Le parole chiave della formazione professionale

Autore: 
Guglielmo Malizia - Daniela Antonietti - Mario Tonini
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2004
Numero pagine: 
222
Le parole chiave della formazione professionale A cura di G. MALIZIA (coord.) - D. ANTONIETTI - M. TONINI parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 1 &7�FQRV���SB�B����SGI � ������������������ Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@pcn.net ottobre 2004 Coordinamento editoriale: MALIZIA Guglielmo (Università Pontificia Salesiana, Roma), coord. TONINI Mario (Sede Nazionale CNOS-FAP) ANTONIETTI Daniela (Sede Nazionale CNOS-FAP) Comitato scientifico: PRELLEZO José Manuel (Università Pontificia Salesiana, Roma) NANNI Carlo (Università Pontificia Salesiana, Roma) SARTI Silvano (Università Pontificia Salesiana, Roma) CHISTOLINI Sandra (Università “Roma Tre”, Roma) COLOMBO Stefano (Sede Nazionale CNOS-FAP) REGHELLIN Lucio (Sede Nazionale CNOS-FAP) VALENTE Lauretta (Sede Nazionale CIOFS/FP) ELICIO Angela (Sede Nazionale CIOFS/FP) parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 2 &7�FQRV���SB�B����SGI � ������������������ 3 SOMMARIO PRESENTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 COLLABORATORI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 ABBREVIAZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 VOCI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 PISTE DI LETTURA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 205 INDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 214 parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 3 &7�FQRV���SB�B����SGI � ������������������ parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 4 &7�FQRV���SB�B����SGI � ������������������ 5 PRESENTAZIONE Nella seduta del 15 gennaio 2004, la Conferenza Stato Regioni ha definito gli “standard formativi minimi in un quadro di sistema, a partire da quelli relativi alle competenze di base” 1 ed ha annunciato la stesura di un “glossario essenziale” affidato, per l’elaborazione, ad un gruppo di lavoro costituito da esperti designati dalle strutture tecniche del MIUR, del MLPS e delle Regioni. Gli Enti nazionali del CNOS-FAP e del CIOFS/FP da tempo avevano avvertito l’esigenza di mettere a punto un analogo strumento di lavoro per guidare tutti coloro che sono interessati a comprendere l’evolversi della formazione professionale. Tra le varie opzioni, dizionario, glossario, lessico, vocabolario, i curatori del pro- getto hanno dato la preferenza a “parole chiave” e si sono orientati a scegliere una gamma di voci ritenute particolarmente significative nell’attuale contesto della for- mazione professionale. Le “parole chiave” scelte costituiscono una prima proposta che avrà certamente bisogno di successivi approfondimenti e revisioni, data anche la fluidità della materia e del contesto normativo legislativo di questo momento. Il presente volume, “Le parole chiave della formazione professionale”, insieme alle “Linee guida per la realizzazione di percorsi organici dell’istruzione e della formazione professionale” 2 e alle “Guide per l’elaborazione di piani formativi personalizzati” di varie comunità professionali 3 sono lo sviluppo di un organico progetto che mira a rispondere a tre esigenze: 1) visione organica di carattere “ordinamentale” del sottosistema dell’Istruzione e della Formazione professionale contenente l’insieme delle offerte formative e le diverse tipologie di intervento per sostenere anche la dimensione nazionale del sottosistema; 2) proposte di guide da mettere a disposizione dei formatori che hanno il delicato compito di elaborare piani formativi personalizzati; 3) proposta di “parole chiave” ridefinite e aggiornate che rispondono alla necessità, ormai avvertita in più parti, di entrare in possesso di una “grammatica comune” 1 CONFERENZA STATO-REGIONI. SEDUTA DEL 15 GENNAIO 2004, Accordo tra il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, per la definizione degli standard formativi minimi in attuazione dell’ac- cordo quadro sancito dalla Conferenza Unificata il 19 giugno 2003, repertorio atti n. 1901, Roma, 2004. 2 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istru- zione e della formazione professionale, Roma, Tipografia Pio XI, 2004. 3 Al momento della presente pubblicazione, il CNOS-FAP e il CIOFS/FP hanno realizzato guide per l’elaborazione di piani formativi personalizzati delle seguenti comunità professionali: alimentazione, aziendale e amministrativa, commerciale e delle vendite, elettrica ed elettronica, estetica, grafica e multimediale, legno e arredamento, meccanica, sociale e sanitaria, tessile e moda, turistica e alberghiera. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 5 &7�FQRV���SB�B����SGI � ������������������ 6 perché il sottosistema dei Licei e quello dell’Istruzione e della Formazione Professionale possano capirsi. Le Sedi Nazionali del CNOS-FAP e del CIOFS/FP ringraziano tutti gli autori che hanno collaborato alla stesura della presente pubblicazione, alquanto faticosa per la complessità della materia e la varietà dei temi e si augurano che anche questa documentazione aiuti quanti sono impegnati, a vario titolo, nel processo di riforma in atto. Le Sedi Nazionali del CNOS-FAP e del CIOFS/FP parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 6 &7�FQRV���SB�B����SGI � ������������������ 7 INTRODUZIONE Dopo anni nei quali sembrava che la parola d’ordine fosse “smantellare la formazione iniziale”, è in corso una nuova fase da cui emerge la responsabilità di Regioni e Province autonome nel delineare un vero e proprio sistema di Istruzione e Formazione Professionale, finalizzato a consentire la crescita umana, professio- nale e sociale dei cittadini. In altre parole, nel nostro Paese si sta delineando il pas- saggio ad una impostazione che supera la prospettiva di mera “interfaccia” tra scuola e lavoro tipica della legge-quadro 845/78 e pone la formazione professio- nale entro una nuova prospettiva che disegna un percorso distinto da quello del- l’istruzione, con esso integrato a livello di funzioni di sistema, a carattere graduale e continuo, dotato di pari dignità culturale ed educativa oltre che di una precisa fisionomia istituzionale. Si delinea un canale di formazione tendenzialmente com- pleto dalla conclusione della scuola di base fino ai livelli di formazione superiore. Il disegno che emerge mira a definire un percorso formativo progressivo basato sull’intreccio di conoscenze e di competenze, nel quadro di un processo di matura- zione personale e nel contempo di crescita culturale e professionale che procede per livelli successivi di intervento / comprensione della realtà. 1. Impostazione generale e destinatari Entro tale quadro, la decisione di realizzare la presente opera è stata presa dalle Presidenze nazionali del CNOS-FAP e del CIOFS/FP e si giustifica soprat- tutto per tre motivi. a) Come si è appena messo in evidenza, negli ultimi anni la FP è stata raggiunta da profondi cambiamenti e il rinnovamento dovrebbe continuare con il mede- simo ritmo anche nel prossimo futuro. Una nuova terminologia è stata intro- dotta, mentre una parte di quella tradizionale sta subendo processi di obsole- scenza o sta assumendo nuovi significati. Gli operatori, e non solo loro, si trovano spesso disorientati e non è facile intendersi anche sui termini più comuni. b) Un secondo motivo va ricercato nel fatto che un attento esame della letteratura più recente in tale campo ha portato a individuare spazi scoperti per una pub- blicazione di questo tipo. c) Da ultimo, i due Enti promotori sono interessati a diffondere la conoscenza dei grandi orientamenti del loro progetto formativo al di là della stretta cerchia di quanti frequentano i loro Centri. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 7 &7�FQRV���SB�B����SGI � ������������������ 8 Destinatari prioritari del volume sono gli operatori della FP, in particolare quelli dei Centri del CNOS-FAP e del CIOFS/FP e gli Enti stessi. La pubblicazione si rivolge anche ai genitori, agli amministratori e ai politici. Si spera che pure gli studiosi della FP potranno trovare utile il volume per la chiarezza e la ricchezza terminologica. Il taglio è prevalentemente educativo e pedagogico. L’opera intende rispondere alle esigenze e ai criteri di una piena scientificità e al tempo stesso costituire uno strumento concreto e operativo di lavoro. Anche se sinteticamente, fornirà le informazioni essenziali sullo stato dell’arte in relazione ai vari temi toccati nella presentazione delle parole chiave. Pur salvaguardando il rigore scientifico dell’impostazione, viene usato uno stile semplice e chiaro che eviti il ricorso a terminologie eccessivamente specialistiche. Il volume non è una enciclopedia o un dizionario, né un glossario. Si è optato invece per una presentazione delle parole chiave della FP in un momento in cui la terminologia è in grande cambiamento nel senso che alcune voci stanno per cadere nella obsolescenza, mentre altre stanno emergendo. Quindi, l’opera non intende trattare tutti i termini che si riferiscono alla FP, ma solo quelli più significativi in questo momento. Nella scelta delle parole uno dei criteri più importanti è stata la particolare rilevanza dei termini. Questi ultimi, a loro volta, provengono dalle scienze della formazione in quanto direttamente significativi per la FP: infatti, come si è detto sopra, ci si è voluti situare dalla parte della valenza educativa e pedagogica di quanto viene presentato. 2. La scelta delle voci In corrispondenza con tali premesse, l’opera offre un ventaglio dei termini principali che descrivono la FP da diverse prospettive (filosofica, teologica, sto- rica, antropologica, sociologica, psicologica, biologica, metodologica, giuridica, delle scienze della comunicazione). Non manca l’attenzione ai vari contesti cultu- rali e alla dimensione europea. Pertanto, allo scopo di assicurare un gruppo di ter- mini veramente significativo, si è dedicata una speciale attenzione alla predisposi- zione dell’elenco delle voci. Come si è detto sopra, in questa operazione i parametri fondamentali di rife- rimento sono consistiti nella prospettiva educativa, nel riferimento diretto alle scienze della formazione, nella rilevanza dei termini per la FP. In ogni caso si è preferito un cammino induttivo piuttosto che deduttivo. Il primo passo è consistito nella compilazione di una lista che integrava voci tratte da varie opere significative: 4 si voleva che la lista contenesse termini che 4 Cfr. CIOFS/FP, Un glossario per l’orientamento. Roma, Publigrafica Romana, s.a.; CNOS-FAP e CIOFS/FP, Progetto di formazione professionale iniziale, manoscritto; ISFOL, Glossario di didattica della formazione, Roma, Franco Angeli, 1992; PRELLEZO J.M. - C. NANNI - G. MALIZIA (Edd.), Dizionario di scienze dell’educazione, Leumann (TO)/Roma/Torino, ElleDiCi/LAS/SEI, 1997. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 8 &7�FQRV���SB�B����SGI � ������������������ 9 coprissero un panorama il più completo possibile. Da questo lavoro è derivata una prima bozza costituita da 341 voci. Alla luce dei criteri indicati sopra, è stata letta criticamente la lista iniziale di oltre 300 voci. L’obiettivo di questo lavoro era duplice: verificare che si coprissero tutti gli ambiti previsti e individuare eventuali nuovi termini da inserire. Si è così arrivati al presente elenco. Si è deciso di non elaborare una mappa delle voci, o indici tematici; piuttosto, si sono definite alcune piste che collegano più termini e possono guidare il lettore in percorsi logici. I percorsi previsti ruotano attorno a quattro aspetti, ciascuno suddiviso a sua volta in ulteriori aggregazioni: 1) Pista di lettura: sistemi (Organizzazione della FP; Contesto socio-economico e culturale della FP; Soggetti della FP). 2) Pista di lettura: dimensioni (Dimensione educativa del sistema di FP; Dimen- sione culturale del sistema di FP; Dimensione professionale del sistema di FP). 3) Piste di lettura: processi / funzioni (Direzione e coordinamento; Progettazione; Docenza; Valutazione). 4) Piste di lettura: servizi (Orientamento). 3. Struttura delle singole voci In relazione all’importanza loro riconosciuta, le parole sono state classificate in tre categorie. La consistenza quantitativa delle voci è stata determinata in base alla rilevanza pedagogica ed educativa degli argomenti. Ogni voce ha di norma questa struttura: una parte introduttiva che offre una sorta di definizione; una parte centrale che contiene le chiarificazioni principali per capire il termine; una breve bibliografia che completa ciascuna voce e consente ulteriori approfondimenti. 4. Indicazioni per l’uso In generale si prende come voce ordinatrice il sostantivo, seguito da eventuali determinazioni. Se il termine è costituito da due o più sostantivi, si prende come voce ordinatrice il termine più specifico. Opportuni rimandi facilitano la soluzione dei problemi che potrebbero insorgere. I segni di rimando all’interno di un testo richiamano la voce o le voci in cui si parla esplicitamente di un argomento. Tali rimandi rispondono a esigenze di inter- disciplinarità. Si è cercato in ogni modo di moltiplicare tali rimandi. Il lettore, in base ai suoi interessi di studio, di ricerca e operativi, troverà anche altre connes- sioni. I rimandi non sono stati inseriti all’interno delle citazioni dirette (per mante- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 9 &7�FQRV���SB�B����SGI � ������������������ 10 nere inalterata la fonte, nelle citazioni dirette, non sono state introdotte neanche le abbreviazioni usate in altre parti del testo). L’indice comprende anche le voci che rimandano ad altre in cui viene trattato direttamente l’argomento in questione (i termini non definiti, sono indicati in maiuscoletto, quelli definiti anche in neretto). Il volume sarà collocato sui siti del CNOS-FAP (www.cnos-fap.it) e del CIOFS/FP (www.ciofs-fp.org), dove verrà costantemente aggiornato e integrato. Inoltre, alcune voci verranno pubblicate sulle riviste dei due Enti: “Rassegna CNOS” e “Città CIOFS”. Infine, per approfondimenti relativi al tema dell’orientamento, è possibile con- sultare il testo Un glossario per l’orientamento, curato dal CIOFS/FP, disponibile sia in volume che sul sito del CIOFS/FP. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 10 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 11 COLLABORATORI ALLULLI Giorgio (ISFOL) ANTONIETTI Daniela (Sede Nazionale CNOS-FAP; Università Pontificia Salesiana - Roma) BECCIU Mario (Associazione Italiana Psicologia Preventiva) BISSOLI Cesare (Università Pontificia Salesiana - Roma) BOCCA Giorgio (Università del S. Cuore di Milano) CANGIÀ Caterina (Università Pontificia Salesiana - Roma) CATANIA Carlo (Università Cattolica di Brescia) CHANG H. C. Ausilia (Università “Auxilium” - Roma) CHISTOLINI Sandra (Università “Roma Tre” di Roma) COLASANTI Anna Rita (Associazione Italiana Psicologia Preventiva; Università Pontificia Salesiana - Roma) COLASANTO Michele (Università Cattolica - Piacenza) COLOMBO Stefano (Sede Nazionale CNOS-FAP) D’AGOSTINO Roberta (ISFOL) D’AGOSTINO Sandra (ISFOL) DEL CORE Giuseppina (Università “Auxilium” - Roma) DE PIERI Severino (Scuola Superiore Internazionale di Scienze della Formazione - Venezia) DI AGRESTI Carmela (Libera Università Maria SS. Assunta - Roma) FEDRIGOTTI Giovanni (Università Pontificia Salesiana - Roma) FELICE Alessandra (ISFOL) GATTI Guido (Università Pontificia Salesiana - Roma) GENTILI Claudio (Confindustria; Università di Siena; Università di Venezia) GHERGO Fulvio (ISFOL) MALIZIA Guglielmo (Università Pontificia Salesiana - Roma) MARSILII Enrica (ISFOL) MION Renato (Università Pontificia Salesiana - Roma) MONTEDORO Claudia (ISFOL) MORANTE Giuseppe (Università Pontificia Salesiana - Roma) NANNI Carlo (Università Pontificia Salesiana - Roma) NICOLI Dario (Università Cattolica - Brescia) ORLANDO Vito (Università Pontificia Salesiana - Roma) PAGGI Rossella (Sede Nazionale CNOS-FAP) PAVONCELLO Daniela (ISFOL) PELLEREY Michele (Università Pontificia Salesiana - Roma) PIERONI Vittorio (Università Pontificia Salesiana - Roma) parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 11 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 12 PIZZINI Ida (Sede Nazionale CNOS-FAP) POLÁÈEK Klement (Università Pontificia Salesiana - Roma) PRELLEZO Josè Manuel (Università Pontificia Salesiana - Roma) PUGLIESE Silvio (Università di Trento) RANSENIGO Pasquale (Sede Nazionale CNOS-FAP) REGHELLIN Lucio (Sede Nazionale CNOS-FAP) STENCO Bruno (Università Pontificia Salesiana - Roma) TONINI Mario (Sede Nazionale CNOS-FAP) TOSO Mario (Università Pontificia Salesiana - Roma) TRENTI Zelindo (Università Pontificia Salesiana - Roma) VALENTE Lauretta (Sede Nazionale CIOFS/FP) VETTORATO Giuliano (Università Pontificia Salesiana - Roma) ZANNI Natale (Università Pontificia Salesiana - Roma) parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 12 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 13 ABBREVIAZIONI A. Autore art. articolo bibl. bibliografia ca. circa cap. capitolo CCNL Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro CEE Comunità Economica Europea cfr. confronta CFP Centro di Formazione Professionale CIOFS/FP Centro Italiano Opere Femminili Salesiane / Formazione Professionale CNOS-FAP Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale D.L. Decreto Legge D. Lgs. Decreto Legislativo D.M. Decreto Ministeriale D.P.R. Decreto del Presidente della Repubblica Ed. Editore (curatore) Edd. Editori (curatori) ediz. edizione educ. educazione es. esempio etim. etimologia enc. Enciclica formaz. formazione fr. francese FP Formazione Professionale FPI Formazione Professionale Iniziale Ibid. Ibidem ID. IDEM, dello stesso autore ingl. inglese INPS Istituto Nazionale Previdenza Sociale ISFOL Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori istruz. istruzione L. Legge L.R. Legge regionale MIUR Ministero Istruzione Università e Ricerca MPI Ministero della Pubblica Istruzione n. numero nn. numeri OCSE Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico ped. pedagogia s. santo S. A. Senza Autore s.d. senza data sec. secolo ss. seguenti ted. tedesco tit. titolo UE Unione Europea UNESCO United Nations Educational Scientific and Cultural Organization vol. volume voll. volumi parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 13 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 14 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 15 VOCI ABBANDONO L’a. della scuola, genericamente degli studi, da parte di chi dovrebbe invece fre- quentarla, per obbligo, per diritto, per dignità, è un dato costante nelle statistiche mondiali ed è un fenomeno che interessa sempre di più studiosi e cultori dell’ – educ. che s’interrogano sullo stato della selezione scolastica, in rapporto alle inno- vazioni curricolari e alle riforme di sistema. 1. L’a. è conseguenza di carenze familiari, disfunzioni sociali, processi psicologici, inadempienze strutturali, negligenze culturali, e interessa soprattutto i maschi, il Sud d’Italia, le famiglie con basso reddito, i figli di genitori professionalmente dequalificati, il passaggio dalla prima alla seconda classe di scuola secondaria (15 su 100 abbandonano) (cfr. Servizio Informativo del MPI, giugno 2000). La demo- tivazione agli studi dell’adolescente rappresenta il momento finale e più evidente dell’insorgenza del fenomeno, senza costituirne la ragione principale. Coloro i quali decidono, più o meno consapevolmente, di uscire dalla scuola e di non prose- guire negli studi (i cosiddetti drop-out), secondo le carriere predefinite dal sistema dell’educ., sono testimonianza dell’incapacità dell’istituzione di far vivere i ra- gazzi al suo interno, ma sono anche la prova del fallimento dei tentativi dei ragazzi di rimanere a scuola. L’Indagine campionaria sulla dispersione scolastica nelle scuole statali (MIUR 2002) registra per il 2000/01 gli a., calcolando gli alunni non valutati agli scrutini finali, per valori percentuali sugli iscritti, pari a 0,07% per l’elementare a 0,31% per la media e a 4,19% per la superiore; i corrispondenti dati per il 2001/02 sono pari a 0,08% (elementare), a 0,33% (media) e a 4,61% (superiore): il fenomeno è in lieve incremento. 2. Le scienze dell’educazione assegnano all’analisi multifattoriale la definizione delle cause intorno alla persistenza del dato. L’a., quando contenuto e in diminu- zione, si interpreta come disfunzione fisiologica del sistema, e le cause dell’uscita dal circuito formativo sono attribuite anche alla intraprendenza economico-cultu- rale dei giovani e alla svalutazione del titolo di studio nella dinamica domanda- offerta di – lavoro. Un’altra valutazione del fenomeno dell’a. emerge dalle ricerche che considerano i dati del successo scolastico in termini di punteggio e di superamento dei gradi scolastici da parte degli studenti, con qualche accenno al peso della componente insegnante che, comunque, incide sulla carriera studen- tesca. Quest’ultima prospettiva di lettura del dato empirico e statistico va ricon- dotta alla variabile economico-culturale che determina l’andamento dell’a. e de- finisce le forme e le strutture dell’emarginazione scolastica e dell’ – esclusione sociale. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 15 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 16 Bibl.: MALIZIA G. - S. CHISTOLINI (Edd.), Drop-out non più. L’abbandono nel biennio a Verona. Un’indagine e una sperimentazione, Roma, LAS, 1985; CHISTOLINI S., Interventi metodologici per adolescenti poco motivati allo studio, in “Rassegna CNOS” 16 (2000)1, 48-61; SERVIZIO INFORMATIVO DEL MPI, La dispersione scolastica: una lente sulla scuola, in www.istruzione.it, giugno 2000; VISAL- BERGHI A., “Riflessioni su attualità e urgenze in materia formativa”, in L. CORRADINI (Ed.), Peda- gogia: Ricerca e Formazione. Saggi in onore di Mauro Laeng, Roma, Seam, 2000, 83-101. S. Chistolini ABILITÀ Il termine a. indica il patrimonio di intelligenza applicata da parte di un individuo che gli consente di svolgere attività mentali (ad es., un calcolo) e pratiche (l’utilizzo di uno strumento di– lavoro), patrimonio riferito ad una dotazione genetica iniziale ed acquisito tramite interazioni con il contesto formativo. L’espressione ha soprat- tutto una valenza nelle scienze psicologiche, dove indica, assieme alle attitudini che ne rappresentano l’aspetto potenziale, la componente attiva dell’intelligenza intesa come costrutto multidimensionale. Nelle scienze dell’educaz., l’a. può essere intesa come esito di un processo di – apprendimento (concezione particolaristica), op- pure come una componente del processo di acquisizione della – competenza necessariamente connessa ad altre (conoscenze, capacità), attraverso opportunità strutturate, collocate entro un contesto reale e dotato di senso (concezione olistica e sociale). 1. Nella letteratura si nota spesso una sovrapposizione tra i termini a., capacità, attitudine, conoscenze e competenze, spesso usati come sinonimi. Ciò crea una discordanza di fondo che spesso si riscontra anche nelle singole definizioni. Il termine a. è solitamente distinto da quello di attitudine. Mentre quest’ultima indica le predisposizioni innate nel soggetto, l’a. rappresenta uno degli esiti di un proces- so molteplice di stimoli, costituito da un intreccio di corredo genetico, apprendi- mento entro un – ambiente familiare, acquisizione in un ambiente scolastico o ap- prendimento nella vita quotidiana o nel contesto di lavoro. Nelle scienze pedago- giche, l’a. è intesa come un requisito specifico dell’apprendimento, che rende la persona autonoma nell’affrontare una parte di un compito, anche se non ancora tale da costituire una vera e propria competenza. L’a., assieme alla conoscenza e alle capacità personali rappresenta quindi un requisito necessario nel processo di formaz. della competenza, unica condizione che consente all’individuo di essere effettivamente autonomo nello svolgere un compito connesso ad un ruolo sociale. 2. Le a. sono raggruppate in una struttura gerarchica, che prevede al vertice l’a. generale, corrispondente all’intelligenza generale, i fattori di gruppo (verbale, nu- merica, spaziale, ecc.) e le a. specifiche. A sua volta, l’a. generale viene suddivisa in due categorie: a) cristallizzata, quando rappresenta il risultato dell’interazione con l’ambiente formativo, e quindi sviluppata mediante percorsi di apprendmento formali, strutturati e fondati su sequenze prestabilite di algoritmi; b) fluida, che si parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 16 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 17 forma solitamente negli ambienti informali e non formali dove prevale il processo euristico e lungo itinerari spesso imprevedibili. Con il prevalere nelle scienze umane del paradigma olistico, si nota la tendenza a valorizzare tutte le acquisizioni che la persona è in grado di palesare, siano esse il prodotto di attività formali, in- formali o non formali. Nella recente letteratura, si manifesta un interesse partico- lare per le a. mentali e cognitive. L’a. in senso cognitivo non è un semplice fare, ma implica anche il perché e la causa delle azioni che si effettuano. Ciò comporta conseguenze importanti rispetto al processo di apprendimento. Infatti, le a. men- tali, appartenenti all’a. generale, sono influenzate fortemente dal contesto fami- liare, e sono predittive della riuscita scolastica e professionale dell’individuo che le possiede. Esiste quindi una stretta relazione tra il tipo di intelligenza, il livello di – istruz. e la professione; tale relazione comporta fenomeni di differenziazione e di selezione negli ambienti di apprendimento formali: scolastici, formativi, accade- mici. Nello stesso modo, le a. sociali indicano il patrimonio di relazionalità e di co- municatività di cui è dotato l’individuo; si tratta di un’espressione simile a quanto nella sociologia viene inteso con l’espressione “capitale sociale”, ovvero la dota- zione di conoscenze e a. spendibili nel – mercato del lavoro, ma anche la rete di relazioni personali di cui il soggetto dispone e che ne accresce la riconoscibilità. Bibl.: POLÁÈEK K., Componenti psicologiche del processo di orientamento, in “Orientamento Sco- lastico e Professionale”, 1-2 (1977), 53-70; DE BENI R. - A. MOÈ, Motivazione e apprendimento, Bologna, Il Mulino, 2000; AA.VV., Il capitale sociale. Istruzioni per l’uso, Bologna, Il Mulino, 2001; BERTAGNA G., Verso i nuovi piani di studio, in “Annali dell’Istruzione, n. speciale Stati Gene- rali dicembre 2001”, 1-2, 2001, 246-277; CASTELLI C. (Ed.), Orientamento in età evolutiva, Milano, Franco Angeli, 2002; POLÁÈEK K., “Abilità”, in CIOFS/FP (Ed.), Un glossario per l’orientamento, Roma, Publigrafica Romana, s.d., 1-2. D. Nicoli ACCOGLIENZA L’a. è, anzitutto, un atteggiamento che consiste in una disposizione o attitudine atta a facilitare l’integrazione e l’inserimento in un contesto sociale, formativo, educati- vo: come tale comporta reciprocità. In secondo luogo, l’a. è un costrutto dell’ – orientamento, che facilita il percorso di costruzione dell’ – identità e la dinamica della decisione in ordine alle scelte che riguardano il progetto di vita e l’inserimen- to sociale e lavorativo. Infine, l’a. è un percorso formativo, sovente modulare, che si prefigge obiettivi e pone in atto strategie di avvio di processi finalizzati alla co- struzione di un– profilo professionale personalmente perseguito. Applicata alla FP, l’a. è una metodologia pedagogica che prevede non solo obiettivi e strategie di in- serimento iniziale, ma soprattutto un atteggiamento che i docenti e i formatori assumono lungo l’intero percorso formativo, con attenzione all’allievo e apertura al dialogo educativo. Sarebbe, infatti, riduttivo e pedagogicamente errato utilizzarla solo all’inizio del percorso, anche se, in quanto tale, costituisce la prima fase di un processo formativo / orientativo esteso a tutta la vita (long life learning). parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 17 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 18 1. Percorso o progetto di a. e sue finalità. L’a. è essenzialmente finalizzata alla ricostruzione delle motivazioni personali e della storia pregressa in modo che l’allievo sottoscriva consapevolmente e attui con successo un patto formativo. Le finalità dell’a. sono: a) analizzare i bisogni individuali e di gruppo; b) acquisire informazioni sulle caratteristiche e sulle – motivazioni degli allievi o la chiarifi- cazione delle scelte; c) chiarire il percorso orientativo e formativo in rapporto alle aspettative individuali; d) promuovere la conoscenza delle modalità di ingresso nei percorsi di istruzione e FP; e) chiarire gli obiettivi formativi delle qualifiche scelte; f) favorire la conoscenza e l’inserimento nelle iniziative formative e culturali pro- poste dal progetto educativo della struttura formativa. 2. Tappe del percorso di a. Il percorso di a. prevede le seguenti tappe, con succes- sione modulare: a) socializzazione: gli allievi sono facilitati a familiarizzare con l’ – ambiente e con il personale educativo, didattico-formativo, si conoscono reci- procamente ed instaurano una buona dinamica di gruppo; b) verifica delle attese degli utenti: attraverso questionari di ingresso sono analizzate attese e aspettative nei riguardi della qualifica prescelta; sono utili anche test motivazionali il cui esito sarà restituito e discusso insieme al gruppo degli allievi; c) analisi e ricostruzione delle esperienze, – conoscenze e – competenze che l’allievo possiede allo scopo di instaurare un percorso formativo personalizzato. Il percorso di a. si conclude con la conoscenza, la riflessione e gli scambi in gruppo sul patto formativo che si sottoscrive. 3. Modalità di realizzazione dell’a. L’a., può essere svolta a livello di gruppo, o a livello individuale attraverso colloqui di consulenza e – orientamento, o mediante l’utilizzo di test psicoattitudinali ad opera di orientatori specializzati. Nel percorso di a. i formatori e i docenti che seguono il percorso formativo sono coadiuvati dai coordinatori delle attività orientative e dagli orientatori di percorso o – tutor. Anche i genitori, per quanto possibile, sono coinvolti non solo per essere informati del percorso formativo, ma soprattutto per offrire la loro attiva collaborazione perché gli allievi siano attivi nella FP. Bibl.: ANDRIOLO G. - M. CONSOLINI, Progettare l’accoglienza, Milano, Franco Angeli, 2000; CALA- MINICI P., Accoglienza, orientamento, patto formativo: un percorso possibile?, in “Percorsi”, (2000), 28-30; CNOS-FAP (Ed.), Accreditamento della sede orientativa, Roma, Tipografia Pio XI, 2002, 77-84; CIOFS/FP, Un modello per la gestione dei servizi di orientamento, Roma, CIOFS/FP, 2002, 82-90. S. De Pieri ACCOMPAGNAMENTO AL LAVORO L’a.a.l. è definibile come un’azione consulenziale personalizzata, assicurata da tecnici specializzati, per facilitare l’inserimento lavorativo (– accompagnamento al lavoro) di soggetti che intendono entrare nella vita lavorativa, come lavoratori parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 18 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 19 autonomi o imprenditori o come lavoratori dipendenti. L’espressione è stata co- niata solo recentemente: non si trova, infatti, ancora, nella legislazione nazionale e, in quella regionale, è presente solo in due provvedimenti: uno della Regione Lazio, che riguarda il diritto al lavoro delle persone disabili (L.R. 19, del 21.7.2003), l’altro della Regione Puglia relativo alla politica del lavoro e dei – servizi per l’impiego (L.R. 19, del 5.5.1999). Frequente l’uso nei documenti di natura pro- grammatoria e nei progetti formativi integrati. 1. Ambiti. L’a.a.l. trova due declinazioni operative fondamentali, nei – processi formativi e in quelli orientativi. Nella prima, rappresenta una fase (normalmente quella conclusiva) di un percorso di FP; i beneficiari sono esclusivamente gli allievi che partecipano all’intervento formativo. Nella seconda, è un servizio, accanto ad altri, reso da strutture di – orientamento e di inserimento lavorativo ed è potenzialmente rivolto a tutti i target di riferimento della struttura stessa. Nel primo caso, inoltre, l’a.a.l. avrà come riferimento un determinato settore econo- mico (quello per il quale sono state acquisite nel percorso formativo specifiche – competenze); nel secondo, invece, l’a.a.l. è tendenzialmente aperto a tutte le op- portunità occupazionali/imprenditoriali di tutti i settori economici in un determi- nato territorio. Particolarmente diffusi sono i percorsi guidati e individualizzati di inserimento lavorativo di persone svantaggiate (da tenere presente che i cittadini disabili possono usufruire dell’inserimento mirato e mediato previsto dalla L. 68/99). Naturalmente nell’uno e nell’altro caso, l’a.a.l. verrà realizzato in una pluralità di modalità ed articolazioni a seconda della tipologia di target (età, scola- rità, eventuale presenza di – handicap o situazioni di disagio, ecc.) del territorio e, dato l’alto livello di – personalizzazione, delle specificità delle singole persone. 2. Percorsi. Possiamo comunque descrivere i percorsi “base” in queste sequenze. L’a.a.l. dipendente prevede: a) acquisizione di competenze: conoscenze sulla nor- mativa e sulle procedure di carattere burocratico relative al lavoro dipendente, fonti e tecniche per la ricerca delle informazioni sulle disponibilità settoriali/terri- toriali, tecniche per l’autopromozione (inserzioni, presentazione di candidature, colloqui di lavoro); b) progetto di un percorso di – ricerca e sua validazione; c) esecuzione del progetto di ricerca, anche con la possibilità di stage/ – tirocinio. L’a.a.l. autonomo (o imprenditoriale) prevede: a) verifica della vocazione all’im- prenditorialità; b) definizione di una idea imprenditoriale (business idea) e sua va- lidazione; c) elaborazione di un piano d’impresa e verifica di fattibilità; d) realizza- zione del piano d’impresa. Nei processi orientativi c’è una fase preliminare finaliz- zata ad una comprensione delle proprie propensioni e possibilità (anche mediante un bilancio di competenze), ad aumentare il livello di autostima, e, se necessario, ad azioni di rimotivazione. 3. Accompagnatori. Per quanto attiene la figura dell’accompagnatore oltre, natu- ralmente, a possedere le conoscenze di carattere disciplinare per espletare i propri compiti, deve adottare uno stile lavorativo ispirato ad un criterio fondamentale: la parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 19 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 20 centralità del soggetto assistito e il suo ruolo attivo in tutto il percorso di a.a.l. L’ – operatore, infatti, offre solo un intervento consulenziale, anche se importante. Non si sostituisce mai al suo assistito nelle scelte da compiere, nelle responsabilità da assumere e nei progetti da elaborare. Supporta, cioè, l’assistito, non opera per suo conto. Pertanto deve aiutarlo nel maturare la consapevolezza sia dei propri bisogni, aspirazioni e attitudini, dei propri valori e – motivazioni, delle proprie risorse e – capacità, in relazione alle scelte che si intendono fare, sia delle oppor- tunità, e dei vincoli dell’ – ambiente e del settore lavorativo in cui intende inse- rirsi. Deve, inoltre favorire e sollecitare: l’assunzione di un atteggiamento attivo di ricerca delle informazioni in rapporto a ciascuna delle possibili alternative a disposizione, l’acquisizione di una capacità di mettersi in discussione in ogni momento e di fronte a qualsiasi posizione da prendere, l’assunzione di un atteg- giamento critico nei confronti delle pressioni e dei condizionamenti socio-am- bientali. Bibl.: DEL COGLIANO D., Il business plan nelle imprese di servizi, Milano, Franco Angeli, 1993; ELVY B.H., Mettersi in proprio senza capitali: 100 nuove idee e opportunità, come valutarle e selezionarle, Milano, Franco Angeli, 1994; MISSIONI DI SVILUPPO, Vademecum per l’imprenditore: dal sogno al- l’idea imprenditoriale, Roma, Società per l’imprenditorialità giovanile, 1995; NAVA B. - N. GIACONI, Come trovare il lavoro che piace, Provincia di Arezzo, Siena, Pistoia, Grosseto, 1995; PASSERINI W., Il Trovalavoro. Le “pagine gialle” del lavoro. Tutto (ma proprio tutto) quello che serve per trovare o cambiare lavoro, Milano, Franco Angeli, 1996; ASSEFOR, Il neo-imprenditore: manuale operativo per mettersi in proprio, Rimini, Assefor, 1997; DE BENEDETTIS A. - G. MINGOLLA - A. SCACCHERI (Edd.), Come fare un business plan, Milano, Sperling & Kupfer, 1997; MARSILII E., Guida per l’accompa- gnamento al lavoro dipendente, Roma, Tipografia Pio XI, 2003. F. Ghergo ACCREDITAMENTO Il termine a. è comunemente utilizzato in due accezioni: la prima, essenzialmente sociale, connessa all’a. di persone (diplomatici, giornalisti, funzionari), ovvero mi- rante a rendere evidente la loro credibilità agli occhi dell’istituzione accreditante; la seconda, essenzialmente tecnica, si riferisce all’a. di laboratori di misura e prova o di altre istituzioni, ovvero tesa a rendere evidente il possesso di requisiti e carat- teristiche prestabilite per esercitare un’attività definita. Nel primo caso, non esiste un processo formalizzato o criteri universalmente condivisi, nel secondo esiste un impianto normativo di riferimento. L’a. può essere definito come riconoscimento formale, attraverso verifica (normalmente di parte seconda), ad un – ente / orga- nizzazione / persona, del possesso dei requisiti richiesti per esercitare uno speci- fico ruolo o svolgere una specifica attività. È utilizzato in molti Paesi nei servizi pubblici, per fornire garanzie alla pubblica amministrazione e alla collettività circa la capacità delle organizzazioni di fornire servizi qualitativamente accettabili. In Italia la diffusione è relativamente recente e riguarda prevalentemente i settori della sanità e della FP. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 20 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 21 1. A. nella FP. Nella FP, l’a. si è focalizzato (in Italia e in Europa) principalmente sulla verifica delle capacità qualitative delle organizzazioni formative; in questa ottica, l’a. dovrebbe consentire ad una “parte seconda” (cliente / committente) l’ac- certamento delle capacità organizzative, tecniche e gestionali per la produzione e il mantenimento di livelli di qualità adeguati e sostenibili. 2. Approcci utilizzati in Europa. A livello europeo sono stati sperimentati diversi approcci: a) Uso di standard minimi di – qualità, fissati e utilizzati dal committente per valutare processi e servizi (organizzazione, processi operativi, prodotti formativi, situazione finanziaria, rapporto di lavoro); b) Standard qualità nazionali, è stato svi- luppato in diversi Paesi del Nord Europa e consiste nello sviluppo di uno standard nazionale sulla qualità della FP che normalmente armonizza standard e norme esistenti; c) Adeguamento del “Sistema qualità” alla ISO 9000 ed eventuale certificazione, costituisce un punto di arrivo degli standard nazionali e di quelli proposti dalle asso- ciazioni. La sua diffusione è anche dovuta alla possibilità di utilizzare la certificazio- ne di parte terza del sistema qualità in ISO 9001 e si è accentuata con l’emanazione del- la ISO 9000:2000; d) Adattamento del modello E.F.Q.M. (European Foundation for Quality Management) alla formazione, si riferisce ad un modello descrittivo ma quan- titativo, che delinea una prassi gestionale della qualità definita dai principi del T.Q.M. (Total Quality Management) Il modello E.F.Q.M. è strutturato in 9 elementi, ognuno dei quali ha un peso nella determinazione del punteggio finale. Qualsiasi approccio si utilizzi, l’a. presuppone la definizione di una logica che stabilisca “cosa si accredita”, ovvero i requisiti generali e specifici da soddisfare, il procedimento da utilizzare, i ruoli coinvolti, le competenze necessarie e gli standard di riferimento per verificare il livello di possesso dei requisiti. Bibl.: E.F.Q.M., Linee guida per l’autovalutazione, Bruxelles, European Foundation for Quality Management, 1994; CONTI T., Autodiagnosi organizzativa. Il self assessment: una via verso l’eccel- lenza organizzativa, Milano, Sperling & Kupfer Editori, 1997; CAPELA C., Systéme d’accreditation des organismes de formation. Origine, objectifs et méthodologie du système d’accreditation, CE- DEFOP, 2000; PUGLIESE S., L’accreditamento interno come approccio per l’eccellenza qualitativa nella Formazione CNOS-FAP, in “Rassegna CNOS”, 3 (2001)17, 11-31; PUGLIESE S., L’accredita- mento delle sedi formative secondo l’art. 17 della L. 196/97: modelli a confronto, in “Rassegna CNOS”, 3 (2002)18, 40-51. S. Pugliese ADATTAMENTO – Ambiente ADDESTRAMENTO – FP; – Formazione; – Competenza; – Ispirazione cristiana della FP AGGIORNAMENTO – FP continua; – Enti di FP; – Lavoro parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 21 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 22 ALTERNANZA – Alternanza formazione lavoro; – Apprendistato ALTERNANZA FORMAZIONE LAVORO L’a. scuola-lavoro è una modalità didattica, non costituente rapporto di – lavoro, realizzata nell’ambito dei percorsi di istruzione o di FP, anche integrati, quale ef- ficace strumento di – orientamento, preparazione professionale e inserimento nel mondo del lavoro. Essa si realizza attraverso esperienze in contesti lavorativi che devono essere adeguati all’ – accoglienza e alla – formaz. 1. Tendenze e rilievi critici. L’a. scuola-lavoro è un nuovo modo di concepire la cultura e il ruolo formativo dell’ – impresa. Essa costituisce una combinazione di preparazione scolastico/formativa e di esperienze assistite sul posto di lavoro, predisposte con la collaborazione del mondo dell’impresa per mettere in grado gli studenti di acquisire attitudini, – conoscenze e – abilità per l’inserimento e lo sviluppo della loro – professionalità. L’a.f.l. nasce dal superamento della separa- zione tra momento formativo e momento applicativo e si basa su una concezione dell’ – educ. in cui educ. formale, informale ed esperienza di lavoro si combi- nano in un unico progetto formativo. Gli studenti di almeno 15 anni di età pos- sono svolgere i corsi del secondo ciclo attraverso l’a.f.l. di periodi di studio e di lavoro. I percorsi in a.f.l. sono progettati e attuati sotto la responsabilità della scuola o del CFP, sulla base di convenzioni con le – imprese o con le rispettive – associazioni di rappresentanza. Nell’a.f.l., il sistema tutoriale è funzionale al progetto educativo e tale assistenza è svolta dal – tutor formativo e dal tutor aziendale. Quest’ultimo favorisce l’inserimento dello studente nel contesto opera- tivo e fornisce all’istituzione scolastica gli elementi per valutare l’ – efficacia dei – processi formativi. 2. Tipi di a.f.l. Il concetto di a.f.l. conserva un certo grado di ambiguità dato che si riferisce contemporaneamente a pratiche diverse. Possiamo distinguere in Europa quattro tipi di a.f.l.: 1) pratiche di a.f.l. come – formaz. di seconda oppor- tunità per soggetti in difficoltà scolastica; 2) pratiche orientate a socializzare gli studenti alla loro futura condizione lavorativa; 3) pratiche che assegnano all’eser- cizio concreto dell’attività professionale il ruolo principale della formaz.; 4) pra- tiche di a.f.l. formalizzate sotto un – contratto lavorativo. Possiamo definire le prime tre pratiche come a. scolastica, dato che i soggetti coinvolti sono studenti, mentre nel quarto caso possiamo parlare di a. lavorativa, dato che i giovani sono al tempo stesso lavoratori presso un’impresa e allievi presso un CFP. L’a. scola- stica è regolata dalla L. 53/03, mentre l’a. lavorativa o apprendistato viene disci- plinata dalla L. 196/97 e dalla L. 30/03. Questi elementi di differenza e di com- plessità si estendono ulteriormente se compariamo fra loro i diversi Paesi del- l’UE: infatti della formaz. in a.f.l. possono essere responsabili una scuola, un CFP parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 22 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 23 o un’impresa, possono essere o meno formalmente previsti nei percorsi e curricoli formativi nazionali, riconoscere un ruolo differente alle agenzie pubbliche di istruz. o alle imprese, fondarsi su forme diverse di validazione, enfatizzare il ruolo del diploma o costruire nuovi meccanismi di certificazione (– certifi- cazione degli apprendimenti) sulla base di competenze standardizzabili, trasfor- mare le procedure di ingresso al lavoro oltre che intervenire sui meccanismi di so- cializzazione professionale. La diffusione di modelli di a.f.l. è parte integrante delle politiche educative europee. Lo stesso “Memorandum Europeo sull’istru- zione e la formazione permanente” indica come obiettivo generale l’avvici- namento fra scuola e impresa in quanto luoghi di acquisizione di conoscenze complementari. Bibl.: AA.VV., Alter-form - L’alternanza formazione lavoro e i bisogni di professionalità nelle imprese, Roma, Sipi, 1998; CARTOCCIO A. - D. FORTI - G. VARCHETTA, Action learning: una formazione oltre l’aula, Milano, Unicopli, 1998; GARDNER H., Sapere per comprendere, Milano, Feltrinelli, 1999; DI NUBILA R., “L’alternanza studio/lavoro come prima esperienza di formazione umana e professionale”, in R. DI NUBILA (Ed.), Formazione umana e formazione professionale, Pisa, I.E.P.I., 2000; GENTILI C., Conoscere e competere, in “Nuova Antologia”, 137 (2002), 2221; GENTILI C. Scuola e extrascuola, Brescia, La Scuola, 2002. C. Gentili AMBIENTE Il termine a. ha una pluralità di accezioni. Esse rimandano tanto a condizioni fisiche esterne ad un organismo, quanto all’insieme delle componenti biologiche, sociali, culturali di un determinato sistema organizzativo. Le coordinate spazio-temporali, esito dell’incessante dialettica di trasformazione e di adattamento sia degli elementi fisico-geografici (cosmo fisico), sia di quelli umani della civiltà, della cultura, dei vissuti individuali e collettivi (cosmo culturale-spirituale), sono componenti struttu- rali dell’a. Dal punto di vista educativo, l’a. è il contesto dove si realizzano – processi e per- corsi formativi del soggetto. La riflessione sulla sua valenza educativa è nata tardi. Oggi il tema è particolarmente sentito per tre ordini di ragioni: a) migliorare le – conoscenze circa l’incidenza condizionante/decondizionante dell’a. sui processi di – apprendimento e di socializzazione (problema connesso con quello delle uguaglianze di opportunità formative e di democratizzazione della – società); b) esigenze di – educaz. ambientale che estrapoli nuove variabili, da quelle naturali – soggette a manipolazioni fuori controllo –, a quelle dell’a. artificiale oggettivo – enormemente ampliato dallo sviluppo tecnologico, e influente sui processi mentali, sulle modalità apprenditive e sulle dinamiche relazionali –, c) riconoscimento dei contesti lavorativi come luogo di – apprendimento continuo, ove l’obiettivo del miglioramento coincide con la gestione della conoscenza e la circolarità tra cono- scenza scientifica, tecnica e pratica. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 23 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 24 Bibl.: POSTMAN N., Ecologia dei media, Roma, Armando, 1981; LAENG M., L’educazione nella società tecnologica, Roma, Armando, 1984; GENNARI M., Pedagogia degli ambienti educativi, Roma, Armando, 1988. C. Di Agresti AMBIENTE EDUCATIVO – Ambiente; – Comunità educativo-formativa ANALISI DEI FABBISOGNI PROFESSIONALI E FORMATIVI – Bisogni formativi APPRENDIMENTO Il concetto di a. è assai vasto e complesso. È difficile darne una definizione com- prensiva che sia accettata da tutti gli studiosi. Limitando la considerazione ai pro- cessi che sono normalmente presenti nel contesto delle attività formative, l’a. si può definire come un’acquisizione significativa, stabile e fruibile di – cono- scenze, – abilità, comportamenti, atteggiamenti, valori. Oggi si insiste sulla ne- cessità di promuovere anche la capacità di valorizzare tali risorse nell’agire quoti- diano, in particolare professionale, che deriva dall’esercizio pratico e da altre forme di esperienza, tenuto conto delle caratteristiche personali di maturità e di intelligenza. In una parola si tratta di sviluppare vere e proprie – competenze, intese come capacità di attivare e orchestrare le risorse interne possedute, e quelle esterne disponibili, per affrontare efficacemente determinate tipologie di situazioni sfidanti. 1. Caratteristiche delle acquisizioni. I processi di a. promossi dalle attività forma- tive dovrebbero, dunque, condurre ad acquisizioni che possiedano alcune caratteri- stiche fondamentali. La prima di esse è la significatività. Gli elementi conoscitivi sono effettivamente compresi a un adeguato livello di profondità, tenuto conto del- l’età e del percorso formativo seguito. Forme di acquisizione solamente ripetitive, non sufficientemente dominate, rimangono rigide e non facilmente collegabili a si- tuazioni diverse da quelle nelle quali sono state acquisite. La seconda caratteristica implica che tali conoscenze entrino a far parte del patrimonio stabilmente disponi- bile nella memoria a lungo termine dello studente. La costituzione di una base di conoscenze ben organizzata, che permetta un facile accesso, significa fornire prin- cipi organizzatori adeguati e abilità puntuali nel valorizzare tale organizzazione per individuare agevolmente il concetto o l’abilità in gioco. La terza caratteristica è la fruibilità. Cioè le conoscenze e le competenze già fatte proprie sono facilmente messe in moto e trasferite da un contesto all’altro. A partire dagli anni ‘80, anche sulla spinta delle teorie cognitive sviluppatesi nei due decenni precedenti, sono parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 24 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 25 state introdotte terminologie differenti rispetto alla dizione tradizionale “transfer dell’a.”; così sono stati studiati i processi di ragionamento analogico e metaforico, d’induzione, di costruzione e di utilizzazione di schemi, di meta-cognizione. Gli approcci socio-culturali hanno evidenziato, poi, la costruzione di categorie inter- pretative e schemi operativi derivanti dall’interazione attiva dei soggetti in una comunità di pratiche, interazione che forma, facilita e sollecita tali trasferimenti. 2. Acquisizione e crescita della competenza. Ma il patrimonio interiore che forma la base di partenza della messa in campo della competenza non è solo formato da conoscenze e abilità, bensì da tutto il sistema complesso che forma il sé e quindi il concetto di sé, l’autostima, gli interessi, i valori, le – motivazioni, la capacità di persistenza e di resistenza nel lavoro, ecc. Di qui la necessità di insistere sui processi di a. e di trasformazione di disposizioni interiori stabili, come sistemi di significato, valori, motivazioni, volizione, ecc. Se l’acquisizione e la crescita delle competenze è legata alla costruzione di conoscenze e abilità significative, stabili e fruibili e allo sviluppo di disposizioni interiori valide e feconde, è, tuttavia, la pratica, l’esercizio che ne sta alla base. Si tratta di vere e proprie forme di appren- distato sia cognitivo, sia pratico. Si tratta, in definitiva, di apprendere da modelli attraverso il meccanismo psicologico dell’esperienza vicaria. 3. Livelli di competenza. A questo proposito sono stati individuati quattro livelli di competenza, caratterizzati dal grado di capacità di auto-regolazione raggiunto. Il primo livello è fondamentalmente legato all’osservazione di modelli che inducono a ipotizzare gli elementi fondamentali che concorrono a formare una competenza. L’esperienza vicaria attivata dalla presenza di un modello già competente permette di osservare direttamente le modalità attraverso le quali è possibile e utile attivare le risorse interne già possedute a un livello adeguato di significatività, stabilità e fruibilità per orchestrarle al fine di affrontare positivamente la situazione o il pro- blema in oggetto. Il secondo livello comprende prestazioni di natura imitativa di modalità o stili generali d’azione legati ad abilità che possono essere guidate e cor- rette socialmente per mezzo di guida, feedback e sostegno durante l’esercizio pra- tico. D’altra parte il riuscire a emulare almeno in alcuni aspetti generali il modello ha effetto sulla motivazione a impegnarsi ulteriormente. Occorre segnalare come a questi due primi livelli la fonte di a. delle abilità auto-regolatrici è esterna al sog- getto che apprende. Negli ulteriori livelli di sviluppo di tali abilità, il riferimento diventa interno. Il terzo livello si raggiunge quando si è in grado di sviluppare forme indipendenti di abilità, esercitate in contesti e condizioni strutturate. È il livello denominato dell’autocontrollo. Infine, si raggiunge il livello della compe- tenza vera e propria quando il soggetto riesce ad adattare da solo le sue prestazioni sulla base delle condizioni soggettive e ambientali varianti. Egli riesce a mutare le sue strategie in maniera autonoma. Bibl.: CORNOLDI C., Metacognizione e apprendimento, Bologna, Il Mulino, 1995; BOSCOLO P., Psico- logia dell’apprendimento scolastico. Aspetti cognitivi e motivazionali, Torino, UTET, 1996; SCHUNK D.H., Learning Theories. An Educational Perspective, Columbus (Ohio), Merrill, 2000; PELLEREY parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 25 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 26 M., “Sul concetto di competenza ed in particolare di competenza sul lavoro”, in C. MONTEDORO (Ed.), Dalla pratica alla teoria per la formazione: un percorso di ricerca epistemologica, Milano, Franco Angeli, 2001, 231-276; NOVAK J., L’apprendimento significativo, Trento, Erickson, 2001. M. Pellerey APPRENDIMENTO COOPERATIVO – Insegnamento APPRENDISTATO L’a. è un – contratto di – lavoro definito “speciale” dalla normativa per la sua finalità formativa, ossia per l’obiettivo di far conseguire a un giovane una – quali- fica professionale. La componente formativa dell’a. si realizza con una duplice modalità: in azienda, attraverso un processo di graduale maturazione di – compe- tenze professionali e quindi di progressiva assunzione del – ruolo professionale; all’esterno dell’ – impresa, nell’ambito di attività formative programmate dalle Regioni e realizzate da strutture di FP. L’a. è una modalità tradizionale di acquisizione di un mestiere, che ha le sue origini nelle botteghe medievali; in una forma moderna, in cui si caratterizza per essere una modalità di – formaz. in – alternanza in cui sono presenti due o più setting forma- tivi, l’a. è uno strumento diffuso in quasi tutti i Paesi europei, e in alcuni in partico- lare costituisce lo strumento principale di inserimento nel – mercato del lavoro per i giovani (Francia, Germania, Svizzera, Austria). 1. Processo di riforma dell’a. Il contratto di a. è da qualche anno al centro di un processo di riforma: prima la L. 196/97 ha introdotto delle modifiche alla L. quadro del 1955, più recentemente il D. Lgs. 276/03 ha indicato i principi generali per un ulteriore rinnovamento dello strumento. In attesa che le Regioni regolamentino sull’a. secondo le linee guida tracciate dal D. Lgs., restano in vigore le norme precedenti; quindi, possono essere assunti come apprendisti i giovani che hanno compiuto 15 anni e l’a. si configura come una modalità per l’assolvimento del diritto-dovere alla formaz. per almeno 12 anni. L’età massima per l’assunzione è 24 anni di età (26 nel Mezzogiorno). Per i giovani portatori di – handicap tutti i limiti di età sono elevati di due anni. La durata dell’a. non può essere superiore a quella stabilita dai CCNL e deve comunque essere compresa tra un minimo di 18 mesi e un massimo di 4 anni (5 anni per l’artigianato). Qualsiasi impresa, in ogni settore produttivo, può assumere apprendisti in numero non superiore a quello dei dipendenti. L’azienda, oltre a corrispondere un salario all’apprendista, si impegna a garantirgli una adeguata formaz. sul – lavoro affidata ad un – tutor aziendale; inoltre, l’azienda deve consentire la partecipazione del giovane alle attività di formaz. esterna organizzate dalle Regioni. Tali attività, di durata pari normalmente a 120 ore annue, sono fina- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 26 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 27 lizzate all’acquisizione di competenze relazionali, gestionali ed economiche oltre che di tipo professionale e tecnico, scientifico e operativo. Per gli apprendisti in obbligo formativo (– obbligo scolastico e formativo) è prevista anche la parteci- pazione a moduli aggiuntivi della durata di 120 ore annue, finalizzati a sviluppare le competenze di base (linguistiche, matematiche e informatiche). Al termine del periodo di formaz., il datore rilascia un attestato formativo e i periodi di formaz. esterna costituiscono – credito formativo. Dopo decenni di utilizzo dell’a. senza la componente di formaz. esterna all’azienda, l’approvazione della L. 196/97 ha avviato un processo di costruzione di un’offerta formativa per gli apprendisti. Le diverse Regioni hanno definito propri modelli organizzativi e l’offerta di formaz. esterna sta via via ampliandosi a coinvolgere quote sempre più ampie di apprendisti. 2. Alcuni dati. Nell’anno 2001, l’utenza del sistema di formaz. per l’a. è stata di 60.000 giovani, diventati 100.000 nel 2002; i dati di programmazione delle Regioni per il 2003 preannunciano un’ulteriore crescita dell’offerta fino a coinvolgere 130.000 giovani. Si tratta di un incremento consistente, ma per la copertura totale di un’utenza di ca. 480.000 giovani (2002, dati INPS) rimane da sciogliere il nodo del finanziamento del sistema, oltre che del ritardo con cui alcune Regioni del Mezzo- giorno stanno attivando gli interventi. 3. Nuove tipologie di a. Proprio l’azione di monitoraggio sulla crescita dei sistemi territoriali di formaz. per l’a. ha fornito alcuni input per quell’ulteriore rinnova- mento dello strumento annunciato dal D. Lgs. 276/03. La principale innovazione è nella definizione di tre tipologie di a. che hanno target e finalità parzialmente diverse: a) a. per l’espletamento del diritto dovere all’istruzione e formazione: si rivolge ai giovani dai 15 ai 17 anni ed ha la finalità di acquisire una – qualifica professionale che ha valore anche di titolo formativo perché definita in raccordo con gli standard di qualifica stabiliti dalla L. 53/03; b) a. professionalizzante: possono essere assunti con questo – contratto i giovani dai 18 ai 29 anni, con l’obiettivo di conseguire una qualifica professionale attraverso una formaz. che si svolge all’interno ed all’esterno dell’impresa; la formaz. formale ha una durata minima di 120 ore ed è regolamentata dalle Regioni e dalle Province Autonome d’intesa con le – parti sociali; c) a. per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formaz.: è uno strumento che si rivolge ai giovani dai 18 ai 29 anni che desiderano conseguire un titolo di studio secondario o superiore, o un titolo di alta qualificazione, attraverso un percorso di alternanza che si svolge nell’ambito di un contratto di lavoro. Bibl.: BOSCO G., Il sistema preventivo, Introduzione e note di G. Modugno, Firenze, La Nuova Italia, 1945; CEDEFOP, Il sistema di formazione professionale in Italia, Lussemburgo, Ufficio delle pub- blicazioni ufficiali della comunità Europea, 2000; ISFOL, Il nuovo apprendistato. Rapporto 1999, Milano, Franco Angeli, 2000; ISFOL, La sfida dell’alternanza. Rapporto sul 2001, Milano, Franco Angeli, 2002; ISFOL, L’apprendistato vola alto, Milano, Franco Angeli, 2003. S. D’Agostino parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 27 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 28 AREE PROFESSIONALI L’espressione a.p. indica la tendenza, da parte di figure lavorative sottoposte al pro- cesso di cognitivizzazione, ad aggregarsi in modo da evidenziare la propria peculia- rità culturale, organizzativa, professionale al fine di affermare una specificità ten- denzialmente rilevante anche dal punto di vista della rappresentanza, della tutela e della formaz. Si tratta di un processo altrimenti definito come – “comunità profes- sionali” oppure “gruppi professionali” ed – in parte – “comunità di pratiche”. 1. Tale impostazione corrisponde ai caratteri della attuale – società della conoscenza che non giustifica più una visione gerarchica e classista dei saperi e quindi dei percorsi degli studi, ma sostiene il valore del carattere culturale di ogni esperienza di – apprendimento formale, informale e non formale. In particolare, l’attività professionale non è più intesa nella logica fordista come somma di – abilità e – conoscenze necessarie per l’espletamento di – mansioni e – ruoli professionali prescritti una volta per tutte, ma risulta strettamente connessa ad una concezione autentica di – competenza. Questa non si identifica né con una per- formance, né con una somma di performance; non è riducibile né a un sapere, né a ciò che si è acquisito con la formaz. Essa si riferisce ad un contesto che esprime un’area di compiti rispetto ai quali viene esercitata una competenza distintiva. 2. Risulta necessario superare la prospettiva specialistica per quella più ampia e aggregata della comunità professionale, in modo che i giovani siano consapevoli delle trasformazioni e delle necessarie nuove acquisizioni che consentano di essere protagonisti di uno scenario fortemente dinamico. Emerge in questo senso il carattere sociale dell’apprendimento che risulta da un rapporto di collaborazione triangolare tra istituti/centri, imprese/ordini professionali e territorio in modo da garantire non solo una maggiore coerenza tra qualificazione ottenuta e effettivo – lavoro svolto, ma permette anche una maggiore realizzazione e soddisfazione per- sonale, posizioni economiche più vantaggiose e un ruolo sociale più costruttivo e riconosciuto. Bibl.: PONTECORVO C. - A.M. AJELLO - C. ZUCCHERMAGLIO, I contesti sociali dell’apprendimento. Acquisire conoscenze a scuola, nel lavoro, nella vita quotidiana, Milano, LED, 1995; PRANDSTRALLER G.P. (Ed.), Guardare alle professioni, Milano, Franco Angeli, 1997; GIANNINI M. - E. MINARDI, I gruppi professionali, Milano, Franco Angeli, 1998; BOLDIZZONI D. - L. MANZOLINI (Edd.), Creare va- lore con le risorse umane. La forma dei nuovi paradigmi nella direzione del personale, Milano, Gue- rini & Associati, 2000; NICOLI D., Famiglie professionali e competenze. Nuovi riferimenti per l’analisi delle professioni e la formazione, in “Rassegna CNOS” 2 (2001) 17, 29-46. D. Nicoli - C. Catania ASSOCIAZIONI 1. Identità e natura. Il termine a. identifica una pluralità di individui stabilmente organizzata per l’identificazione e la gestione di un interesse comune, che supera parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 28 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 29 gli interessi meramente individuali dei partecipanti. In questa accezione, il termine a. (in senso ampio) ricomprende una vasta gamma di fenomeni e di fattispecie, dalla aggregazione spontanea tra persone, alla – società, al – sindacato, al partito, fino al cartello industriale. Conseguentemente, soprattutto dal punto di vista giuri- dico, non vi sono norme comuni applicabili a tutte le figure e le forme associative, che pertanto si possono organizzare con modalità assai divergenti tra loro. Co- munque, il perseguimento di interessi comuni costituisce oggetto di un impegno contrattualmente assunto dai membri nei loro reciproci rapporti. 2. Caratteristiche strutturali. Perché si abbia un’a. in senso proprio (semplice- mente de facto o riconosciuta) si devono riscontrare precise caratteristiche struttu- rali: avere forma e sostanza di un – contratto plurilaterale con possibilità di suc- cessive adesioni di ulteriori membri; dare vita ad una organizzazione stabile ed unitaria (statuto, regolamenti, organi); essere connotata da uno scopo di natura ideale o comunque non economico. Le divergenze dallo schema tipico dell’a. in senso stretto sono comunemente ritenute legittime, in virtù del principio dell’auto- nomia contrattuale, per cui esse danno origine ad una pluralità di a. atipiche, che debbono comunque avere una caratteristica comune nella fattispecie contrattuale. Rientrano invece nella categoria delle a. in senso ampio aggregazioni diverse, tra le quali si debbono annoverare i Consorzi di varia natura; le a. di professionisti con rilevanza esterna; le società cooperative (a metà strada fra l’a. in senso stretto e le società); i Comitati, che dispongono perlopiù di un patrimonio proveniente da non associati. 3. A., terzo settore, rappresentanza sociale. Con riferimento al contesto italiano, gli spazi di autonomia delle a. cominciano ad allargarsi negli anni ‘90 con il ma- nifestarsi della tendenza al decrescere degli iscritti al sindacato e la minore parte- cipazione delle persone nei partiti. Le tendenze di fondo sono quelle di ricercare modalità nuove di autogestione dei processi rivolti sia alla soluzione dei propri problemi (dal desiderio di stare insieme disinteressatamente a quello di fare im- presa mutualistica non profit) e sia alla soluzione disinteressata dei problemi altrui (volontariato gratuito). Si avviano così le esperienze di un associazionismo nuovo: il cosiddetto “terzo settore”, che si distingue dal “primo settore” (con ruolo premi- nente dell’associazionismo partitico-statuale) e dal “secondo settore” (ispirato alla – solidarietà prevalente negli interessi economici), aveva dato avvio ad un sistema autonomo di rappresentanza degli interessi generali dello sviluppo economico col- lettivo e delle economie locali. Il “terzo settore” sviluppa attualmente una espe- rienza associativa che include anche le imprese non profit e le ONLUS, a. che non possono distribuire gli utili ai soci dovendo destinarli a programmi del proprio svi- luppo e di utilità collettiva. Con questa collocazione, l’associazionismo del “terzo settore” cerca di dare una risposta che consenta alle a. e al volontariato sociale di disporre di un luogo istituzionale pubblico locale (rappresentanza sociale), nel quale possano esprimersi e promuovere lo sviluppo della cultura della solidarietà, della sussidiarietà e dell’impresa non profit. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 29 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 30 Bibl.: DE MARTINI C., Le associazioni e le fondazioni, Milano, Etaslibri,1990; VALENTINI A., Cittadini associati senza rappresentanza sociale, Napoli, Tecnodid, 1997; GIUDUCCI, PL., Rapporto sul volonta- riato, Leumann (TO), ElleDiCi, 1998. P. Ransenigo ASSUNZIONI – Curriculum vitae; – Mansione; – Sicurezza sul lavoro; – Apprendistato ATTESTATO – FP superiore; – Apprendistato ATTITUDINI PROFESSIONALI – Orientamento; – Abilità AUTO FORMAZIONE – Processo formativo AUTONOMIA L’a. scolastica/formativa consiste nell’assicurare ad ogni scuola/ – CFP potere d’iniziativa e risorse sufficienti per elaborare e realizzare un suo progetto (o suoi progetti) e costruirsi una propria identità. 1. Il modello dell’a. si contrappone all’impostazione centralistica che consiste nel- l’accentramento del potere di direzione nel Ministero, mentre agli – Enti locali e alle singole scuole/CFP viene assegnata una funzione semplicemente esecutiva. È la formula che ha caratterizzato la nostra amministrazione scolastica fino quasi ai nostri giorni. L’a. si distingue anche dal decentramento che si limita a potenziare i poteri delle autonomie locali e territoriali (Regioni, Province e Comuni) in quanto articolazioni dello Stato, ma mantiene un rapporto gerarchico tra le componenti del sistema. Al contrario, la vera a. si fonda sul riconoscimento di competenze e diritti originari in particolare alle scuole/CFP. In Italia, con la recente riforma del Tit. V della Costituzione n. 3/2001 si è realizzato definitivamente il passaggio da un modello fondato sulle esclusive prerogative dello Stato ad uno che fa interagire in maniera integrata tre diverse competenze: quella dello Stato, quella delle Regioni e degli Enti territoriali e quella delle istituzioni scolastico-formative autonome. Comunque, il cuore dell’a. è costituito dal riconoscimento della competenza pro- gettuale: ogni scuola/CFP dovrà essere messa in grado di elaborare un proprio pro- getto educativo in cui si rispecchi la sua identità. A questo proposito devono essere parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 30 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 31 attribuiti ad ogni unità scolastico-formativa poteri adeguati di a. didattica, forma- tiva, organizzativa e finanziaria. 2. La scelta dell’a. corrisponde anche a un orientamento comune a tutti i Paesi. Infatti, essa permette alla comunità educativa (– comunità educativo formativa) di costruirsi sulle esigenze formative dei suoi membri, favorisce la corrispondenza con la domanda sociale e facilita l’emergere di tutte le potenzialità valide, presenti in ciascuna unità scuola/CFP. Inoltre, le probabilità di successo di un’innovazione sono maggiori quando l’insegnante ne è partecipe, la sente propria, ha contribuito personalmente ad elaborarla, approvarla, attuarla. Bibl.: MALIZIA G., “Autonomia scolastica”, in J.M. PRELLEZO - C. NANNI - G. MALIZIA (Edd.), Dizio- nario di scienze dell’educazione, Leumann (TO)/Roma/Torino, ElleDiCi/LAS/SEI, 1997, 113-114; DALLE FRATTE G. (Ed.), Scuola, formazione professionale: l’autonomia alla prova: spazi reali?: dalle norme alla realtà, Trento, Unoedizioni, 1999; FIORIN I. - D. CRISTANINI (Edd.), Le parole dell’auto- nomia, Torino, Petrini, 1999; BERTAGNA G. - S. GOVI - M. PAVONE, POF. Autonomia delle scuole e offerta formativa, Brescia, La Scuola, 2001. G. Malizia BILANCIO DI COMPETENZE – Orientamento; – Destinatari; – Accompagnamento al lavoro BISOGNI FORMATIVI Vari sono gli approcci possibili e le modalità di analisi dei b.f. Una prima distin- zione riguarda l’ambito, che può essere aziendale o istituzionale; una seconda i livelli (locale, nazionale, internazionale); una terza i settori o comparti produttivi; una quarta i soggetti: il “committente” o i soggetti in – formaz. (Ghiotto, 1992). Le stesse definizioni di b.f. risentono di tali impostazioni. Per alcuni, i b.f. sono “specifiche esigenze connesse alla preparazione professionale dei singoli, che hanno come contenuto ciò che gli individui fanno, ciò che si propongono di fare ed il modo con cui lo fanno, in riferimento alla loro relazione con l’organizzazione ed all’articolazione del loro mondo sociale” (Camuffo - Comacchio - Gerli, 2000, 51). Pertanto sono i b.f. inerenti la – FP. Col termine “fabbisogni formativi” si inten- dono quelli del sistema economico, in un determinato territorio. In questo caso, il fabbisogno formativo viene definito come il divario fra le capacità lavorative at- tuali delle – risorse umane del territorio – esprimibili in un “sapere” e in un “saper fare”, generali e specifici – e quelle necessarie, in senso qualitativo, al raggiungi- mento degli obiettivi economici prefissati. Già queste diversità di approcci e let- ture dei b.f. indicano la non univocità del concetto. In ogni caso vanno tenuti pre- senti tutti gli attori del sistema: le – imprese, le persone da formare, l’istituzione formativa; il tutto inserito in un contesto sociale, economico, politico e culturale più ampio. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 31 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 32 1. I b.f. degli adolescenti. Una questione spesso dimenticata in questo tipo di analisi è la componente soggettiva dei– destinatari della formazione, in genere adolescenti. Ci si dimentica che essi sono “persona” con esigenze irriducibili all’erogazione del- la sola istruzione e FP. La condizione adolescenziale e giovanile è particolarmente problematica e richiede la soddisfazione di particolari b., che riguardano soprattutto la formaz. della personalità, l’integrazione nella società e nel gruppo dei pari, il contatto con persone significative di riferimento, ecc. La frustrazione di questi b.f., materiali, relazionali ed esistenziali nell’adolescenza genera – disagio. 2. I fabbisogni formativi. Con l’espressione “fabbisogni formativi”, si intende il gap esistente tra sistema economico e sistema sociale, che produce depressione economica e disoccupazione. Da questo punto di vista è importante stimolare le capacità impren- ditoriali di un determinato territorio per provvedere meglio ai b. dei soggetti che lo abitano. Pertanto è importante prevedere per tempo l’andamento dell’economia e fare dei piani di occupabilità appropriati. In questo quadro, le imprese devono immaginare i propri fabbisogni di figure/competenze professionali e richiedere al – sistema for- mativo di preparare dei– profili professionali adeguati. L’istituzione scolastica o for- mativa dovrà mediare tra esigenze delle imprese e quelle degli allievi. Attraverso una offerta adeguata cercherà di orientare il giovane a sviluppare le sue– capacità in vista di un probabile impiego. Ma dovrà anche cercare di orientare il sistema produttivo ad evolversi in ragione delle risorse umane presenti nel territorio. Il prosieguo del progetto dovrebbe prevedere l’incontro tra domanda e offerta, in modo da ottenere una miglior conoscenza e distribuzione delle risorse, promuovere l’attivazione o lo sviluppo delle risorse carenti. Ovviamente l’incontro tra domanda e offerta è un problema mai adeguatamente risolto. Ma bisogna evitare soluzioni unilaterali. 3. L’analisi dei b. Per fare dei progetti di formaz. è importante l’analisi dei b.f. Essa si configura come una – ricerca vera e propria. Lo scopo è rilevare i b. presenti nel territorio, quali vengono frustrati, a quali è possibile rispondere. Per questo, è importante censire anche le risorse del territorio, come sono sfruttate, quali strategie sono necessarie per un miglior utilizzo/distribuzione, quali vanno implementate o create. Dal punto di vista economico e professionale, l’obiettivo sarà quello di pre- vedere il tipo di sviluppo occupazionale, immaginando i fabbisogni di figure/com- petenze professionali. La ricerca rileverà le competenze già presenti sul territorio. In base a questo confronto, nascerà il piano formativo di zona. Bibl.: GHIOTTO G., “Analisi del fabbisogno formativo”, in ISFOL, Glossario di didattica della forma- zione, Milano, Franco Angeli, 1992, 44-51; BESOZZI E. (Ed.), Navigare tra formazione e lavoro, Roma, Carocci, 1998; BRAMANTI D., La progettazione formativa, Roma, Carocci, 1998; ZANI B., “Bisogni affettivi e relazionali in adolescenza”, in A. PUTTON, Empowerment e scuola. Metodologia di formazione nell’organizzazione educativa, Roma, Carocci, 1999, 38-48; CAMUFFO A. - A. COMACCHIO - F. GERLI, Piccoli grandi capi. Competenze per la produzione flessibile, Milano, Etaslibri, 2000; ALESSANDRINI G., Risorse umane e new economy. Formazione e apprendimento nella società della conoscenza, Roma, Carocci, 2001; LAZARINI G. - A. CUGNO (Edd.), Verso il domani. Dai bisogni di orientamento alla promozione dell’intervento, Milano, Franco Angeli, 2002. G. Vettorato parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 32 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 33 BULLISMO Il termine b., neologismo ormai molto diffuso nel linguaggio soprattutto in ambito scolastico, è una traduzione letterale del termine inglese bullying e sta ad indicare una particolare forma di aggressività esternalizzata tra pari. Originariamente, soprattutto nei Paesi scandinavi, sono stati usati anche i termini – mobbing e mobbning, per indicare lo stesso fenomeno di azione aggressiva agita da parte di un gruppo. Con gli studi di Olweus (1978; 1993; 1999), si assume il significato di una azione riferita sia al gruppo sia all’individuo. L’A. riporta la seguente definizione “uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto ripetutamente nel corso del tempo alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni” (Olweus, 1993, 11-12). Ricerche successive evidenziano la presenza di tre elementi principali presenti nel fenomeno del b. L’intenzionalità dell’azione prevaricatrice da parte del ‘bullo’ che deliberatamente cerca di offendere, far del male e creare situazioni di disagio agli altri. In secondo luogo, la persistenza del fenomeno. Si evidenziano, infatti, azioni di prevaricazione ripetute nel tempo e nello spazio che tendono a perpetuare la relazione conflittuale persecutore/vittima. Il terzo elemento che connota questa particolare forma di aggressività è la tipologia della relazione che si configura sempre come asimmetrica, cioè basata su un disquilibrio di forze tra il prevaricatore che è in posizione di forza rispetto alla vittima, la quale non riesce a difendersi a motivo della percepita debolezza, fragilità e impotenza. Si possono individuare tre forme di b.: a) b. verbale, quando l’aggressività viene agita tramite offese, prese in giro, ingiurie; b) b. fisico, quando la vittima viene sottoposta ad aggressioni rivolte alla sua persona e/o alle sue cose; c) b. indiretto, quando uno studente viene intenzionalmente escluso dalle attività del proprio gruppo di appartenenza o sottoposto a calunnie e dicerie. Anche nel nostro Paese sono state condotte ricerche e studi al riguardo. Viene regi- strata una specificità, legata all’eccessivo numero di soggetti coinvolti nella popo- lazione scolastica (ca. 40% degli intervistati). Tale risultato, che ci pone di gran lunga ai primi posti tra le popolazioni scolastiche in tutto il mondo, fa sorgere dei dubbi sulla validità degli strumenti utilizzati per rilevare il fenomeno, soprattutto in riferimento all’utilizzo del termine per descriverlo. Per questo motivo, i ricercatori italiani (Fonzi, 1997; 1999; Menesini, 2000), poiché non si dispone di un termine analogo all’inglese bullying, ricorrono, nella traduzione del questionario di Olweus, ad una definizione di tipo descrittivo “diciamo che un ragazzo subisce delle prepotenze quando un altro ragazzo o un gruppo di ragazzi gli dicono cose cattive e spiacevoli. È sempre prepotenza quando un ragazzo riceve colpi, pugni, calci e minacce, quando viene rinchiuso in una stanza, riceve bigliettini con offese e parolacce, quando nessuno gli rivolge mai la parola e altre cose di questo genere. Questi fatti capitano sempre e chi subisce non riesce a difendersi. Si tratta sempre di prepotenze anche quando un ragazzo viene preso in giro ripetutamente e con parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 33 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 34 cattiveria. Non si tratta di prepotenze quando due ragazzi, all’incirca della stessa forza, litigano tra loro o fanno la lotta”. Gli interventi, soprattutto di tipo preventivo, sembrano dare dei buoni risultati. Si riesce, infatti, a diminuire del 70-75% l’incidenza del fenomeno all’interno di una comunità scolastica. Tali interventi, di tipo sistemico, sono destinati all’intera co- munità scolastica (dirigenza, docenti, genitori, personale ausiliario, gruppi classe), ai cosiddetti “bulli” e alle “vittime”. Mentre per i prevaricatori risultano essere efficaci metodologie d’intervento orientate all’incremento della capacità empatica nei confronti delle vittime, gli interventi rivolti a quest’ultime mirano, essenzial- mente, all’incremento delle capacità assertive per un più adeguato inserimento nel gruppo classe. Tuttavia, l’elemento cruciale per ottenere una significativa diminu- zione del fenomeno, è determinato dalla conoscenza in tempo reale degli eventi persecutori e dall’intervento diretto da parte degli adulti della comunità. Bibl.: OLWEUS D. (1978), Aggression in the school: Bullies and whipping boys, Washington D.C., Hemisphere, 1978 (trad. it. L’aggressività a scuola, Roma, Bulzoni, 1983); ID., Bullying at school. What we know and what we can do, Oxford, U.K., Blakvell Publisher, 1993 (trad. it. Il bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Firenze, Giunti, 1996); FONZI A. (Ed.) Il bullismo in Italia. Il fenomeno delle prepotenze a scuola dal Piemonte alla Sicilia, Firenze, Giunti, 1997; ID., (Ed.), Il gioco crudele. Studi e ricerche sui correlati psicologici del bullismo, Firenze, Giunti, 1999; OLWEUS D., “Sweden”, in P.K. Smith et al. (Edd.) The nature of school bullying. A cross national perspective, London, Routledge, 1999, 7-27; MENESINI E., Bullismo. Che fare?, Firenze, Giunti, 2000. M. Becciu BUONE PRASSI / PRATICHE – Insegnamento CAMBIO SOCIALE – Società CAPACITÀ Le c. rappresentano i tratti o le caratteristiche della personalità del soggetto posse- dute su base innata e appresa, di natura non strettamente cognitiva, ma anche affet- tivo-motivazionale, socio-interpersonale, coinvolte in numerosi compiti ed attività, e che delineano le sue potenzialità in ordine all’ – apprendimento ed al processo di inserimento sociale. Tali c., raramente coltivate in modo formale dalle istituzioni formative, sono attualmente considerate preziose per l’adattamento personale, inter- personale, scolastico e professionale. Esse riflettono i valori ed i contenuti propri dell’educazione che la persona vive specie nell’età evolutiva; si riferiscono quindi alla – famiglia di appartenenza, alle agenzie educative e formative ma anche ai parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 34 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 35 legami significativi individuali e di gruppo. In senso pedagogico, le c. indicano l’in- sieme delle potenzialità dell’allievo che richiedono di essere riconosciute (innanzi- tutto a favore del destinatario stesso) e attualizzate perché diventino vere e proprie – competenze. 1. Prospettiva psicologica. L’espressione “c. personali” è vista essenzialmente in una prospettiva di psicologia dell’apprendimento. L’attenzione alle c. personali va di pari passo con l’assunzione del concetto di “intelligenze multiple” che indica l’esistenza di diversi stili di apprendimento da parte dei soggetti, in forza dei quali ciascuno delinea un proprio – progetto personale che è posto alla base delle azioni volte al “successo formativo” di ciascuno, che non è un traguardo uguale per tutti, ma, appunto, va misurato sul “valore aggiunto” che ciascuno è riuscito a raggiun- gere sulle sue c. personali. Si tratta quindi di cogliere la struttura individuale della personalità, da cui trarre caratteristiche peculiari di ciascuno, per poi individuare le leve dei processi di – orientamento e di apprendimento. Vengono pertanto consi- derate, in questa prospettiva, talune caratteristiche in grado di influenzare il – suc- cesso accademico e professionale, quali la c. di canalizzare le proprie energie per raggiungere un obiettivo, la facilità relazionale, l’atteggiamento nei confronti di situazioni impegnative, la c. di autocontrollo, l’apertura mentale. Goleman (1998) parla a questo proposito di intelligenza emozionale intendendola come una meta- abilità che consente alla persona di esercitare un controllo sulla propria vita emo- tiva al fine di consentirle un controllo delle risorse in suo possesso. Un tratto della personalità fortemente indagato è costituito dall’autostima che indica “l’acquisi- zione di una realistica conoscenza di se stessi, delle proprie capacità e potenzialità, dei propri interessi e valori, ma anche dei propri limiti e difficoltà” (Castelli, 2002, 135). Becciu e Colasanti (2003) propongono una classificazione basata sulle diverse variabili coinvolte nella situazione apprenditiva e/o di lavoro: l’“Io” che include le c. che riguardano la consapevolezza, la valutazione e la promozione della propria realtà personale; gli “Altri”, ovvero le c. che rendono produttivo e soddisfacente il rapporto con le persone con le quali si entra i contatto; il “Compito” che include le c. che consentono di far fronte con efficacia alle richieste e ai problemi insiti in una determinata attività; infine il “Contesto” che raggruppa le c. che facilitano l’integrazione e l’inserimento produttivo in un ambiente organizzativo e di lavoro. 2. Prospettiva pedagogica. In chiave pedagogica, Bertagna (2001) parla di c. po- tenziali o c. buone. Le prime si collegano al problema di far sì che ciascuno rea- lizzi al meglio possibile se stesso, ovvero che sviluppi e metta in atto al meglio il suo essere potenziale, rimuovendo gli ostacoli che le limitino e le deformino. Le seconde indicano le c. migliori che la persona possiede in quanto essere umano, e impegnano l’educatore a dichiarare quali sono appunto le c. che meritano di essere promosse al meglio. Ciò significa mirare a che queste vengano trasformate in com- petenze tramite l’insieme delle attività e delle istituzioni educative esistenti nella – società. La scuola realizza tale trasformazione in modo programmatico ed inten- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 35 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 36 zionale, utilizzando a tale scopo le – conoscenze organizzate, ma altre forme di apprendimento agiscono su altri codici e con altre modalità di apprendimento anche occasionale ma non per questo meno rilevanti. Bibl.: GARDNER H., Intelligenze multiple, Milano, Anabasi, 1994; GOLEMAN D., Lavorare con intel- ligenza emotiva, Milano, Rizzoli, 1998; DE PIERI S., Orientamento educativo e accompagnamento vocazionale, Leumann (TO), ElleDiCi, 2000; BERTAGNA G., Verso i nuovi piani di studio, in “Annali dell’Istruzione, n. speciale Stati Generali dicembre 2001”, 1-2, 2001, 246-277; CASTELLI C. (Ed.), Orientamento in età evolutiva, Milano, Franco Angeli, 2002; BECCIU M. - A.R. COLASANTI, La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, Roma, Tipografia Pio XI, 2003. D. Nicoli CENTRO DI FORMAZIONE PROFESSIONALE Il CFP (o Centro di Formazione Polifunzionale, o Centro di Servizi Formativi, ma la prima dizione ormai tradizionale sembra continuare a prevalere) può essere definito come “la sede operativa che opera per lo sviluppo delle risorse umane, erogando: direttamente servizi formativi; (...) direttamente o avvalendosi di una sede accreditata per l’orientamento, servizi orientativi; (...) direttamente o avva- lendosi di una struttura specialistica, servizi connessi all’inserimento lavorativo” (Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale. Ufficio Centrale O.F.P.L., 2001, p. 10). 1. Modello strategico, agenziale e comunitario. Agli inizi degli anni ‘90, la com- plessità sempre maggiore del ruolo che la – FP è chiamata a svolgere in quanto snodo centrale fra tre gruppi di sistemi (produttivo e scolastico; lavorativo e for- mativo; della stratificazione sociale e della promozione dei ceti più deboli della – società) ha messo in crisi l’impostazione tradizionale del CFP, impegnato quasi esclusivamente nell’erogazione di interventi formativi di tipo corsuale per gli adolescenti. Nel dibattito che si è aperto sulle prospettive di sviluppo si sono fron- teggiate grosso modo tre ipotesi. Nella impostazione strategica, il CFP è conside- rato come un sistema organizzativo connesso con il mondo esterno al quale offre servizi. A livello operativo, la realizzazione di una precisa programmazione e di un decentramento controllato richiede una direzione strategica con attenzioni nuove: a tale fine sarebbe da preferire la struttura per progetti, con tutte le conseguenze di un’ampia delega, di un processo decisorio decentrato, – comunicazioni a doppio senso ad ogni livello, coordinamento per comitati, organizzazione del la- voro ispirata all’autocontrollo e clima favorevole allo sviluppo e all’innovazione. A sua volta, l’agenzia di servizi formativi si caratterizza per un modello organiz- zativo orientato al mercato e attento al servizio prodotto. Dal punto di vista dei prodotti/servizi, essa intende superare una visione scolastica della – formaz. e, pertanto, si impegna non solo dal lato dell’offerta, ma soprattutto da quello dell’a- nalisi della domanda e, in particolare, cerca di elaborare risposte. Sul piano orga- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 36 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 37 nizzativo, le strutture devono caratterizzarsi per i tratti di: flessibilità, adeguatezza e personalizzazione delle strutture, specializzazione per settori, imprenditività e managerialità. Le dimensioni dell’agenzia sono ridotte perché in caso contrario non è possibile conseguire uno degli obiettivi che il mercato sociale richiede mag- giormente: la flessibilità. Il modello comunitario mette l’accento sulla centralità della formaz. che è opera comune ed esige un accordo di base su finalità, contenuti e metodologie da parte di tutte le componenti della FP. Ciò esige la costruzione di una comunità che sia al tempo stesso soggetto ed – ambiente di educ. La mission prevalente del CFP viene identificata nel servizio diretto alla persona e l’educando occupa il centro del – sistema formativo. Sul piano organizzativo, il modello comunitario prevede che si realizzi una maggiore articolazione della figura del formatore (– operatori della FP). La priorità accordata alla maturazione, soprattutto professionale, della persona e alla dimensione comunitaria ci fa dare la preferenza al terzo modello. È vero che esso ha da imparare dalla impostazione strategica quanto all’ambito organizzativo e strategico e in questo senso è valido lo sforzo di chi ha cercato di comporre le due prospettive in una ipotesi che è stata chiamata mista, che però non dovrebbe portare a una equiparazione dei tre ambiti, strategico, organizzativo e formativo, ma l’ultimo dovrebbe essere prevalente. A sua volta il modello agenziale trascura sia questa dimensione che quella comunitaria, anche se sono corrette l’insistenza sulla domanda formativa e la preoccupazione per un alleggerimento del nucleo dei formatori stabili. 2. La struttura della sede formativa. Una delle caratteristiche del nuovo CFP con- siste nella diversificazione dell’offerta formativa che sinteticamente viene ad ab- bracciare interventi sia corsuali (– accoglienza, formaz. e inserimento), sia indi- vidualizzati (partecipazione individuale, tutoring sul lavoro, – formaz. a distanza) (Ministero del Lavoro..., 2001): anche da ciò discende il nome di Centro di formaz. “Polifunzionale” che viene utilizzato dal CCNL per indicare la struttura operativa della FP. Per realizzare tali servizi, i processi da innescare sono quelli che: “in un’ottica di qualità (qualità e ricerca), precedono (diagnosi, progetta- zione, promozione), accompagnano (monitoraggio), seguono (valutazione), la rea- lizzazione (erogazione) dei servizi stessi” (Ibidem, p. 13). Ciascuno dei processi si articola in aree operative che sono state identificate nelle seguenti: diagnosi, pro- gettazione, erogazione, – monitoraggio e – valutazione, promozione e – qualità e – ricerca. Per attivarle, il CFP deve poter contare sulla disponibilità di – com- petenze professionali relative ad otto funzioni: di governo (direzione, amministra- zione e coordinamento); di processo (analisi, progettazione e valutazione); di pro- dotto (docenza e – orientamento). L’organigramma del CFP va completato con l’indicazione degli organismi collegiali: in proposito è opportuno sottolineare che negli ultimi anni a quelli tradizionali, come per es. il Consiglio di Centro con poteri decisionali notevoli sulle questioni più rilevanti, il Consiglio di corso, le Assemblee dei genitori e il Comitato di controllo, si è aggiunto lo staff di direzione parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 37 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 38 a cui vengono generalmente affidate funzioni di sostegno al ruolo direttivo e di compartecipazione alle attività di conduzione del CFP. Bibl.: NICOLI D., L’innovazione organizzativa del CFP. Verso un modello misto, comunitario e strate- gico. Seminario dei direttori dei CFP della Federazione CNOS-FAP (Roma, 24-26 ottobre 1995) “Nuova Organizzazione dei Centri di Formazione Professionale”, 11; MALIZIA G. et al., Il direttore e lo staff di direzione come perno del rinnovamento organizzativo, Roma, CNOS-FAP, 1996; ISFOL, Standard formatori. Per un modello nazionale di competenze verso l’accreditamento professionale, Roma, Isfol, 1998; MINISTERO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE. UFFICIO CENTRALE O.F.P.L., Accreditamento delle sedi formative e orientative. DM 25 maggio 2001, n. 166, Accreditamento delle sedi formative e orientative, in GU n. 162 del 14.07.2001; ISFOL, Rapporto Isfol, 2002, Milano, Franco Angeli, 2003. G. Malizia CENTRO DI ORIENTAMENTO – Orientamento CENTRO PER L’IMPIEGO – Servizi per l’impiego CENTRO SERVIZI FORMATIVI (CSF) – CFP CERTIFICAZIONE DEGLI APPRENDIMENTI La c.d.a. rappresenta un’azione che mira a descrivere in modo sistematico le acqui- sizioni della persona, preferibilmente sotto forma di – competenze, e a registrarle in un formato condiviso tra i diversi attori del sistema educativo di – istruz. e – FP, compresi i soggetti economici. 1. L’azione di c., in quanto tale, non può essere concepita come una mera compila- zione, ma rappresenta un’azione complessa, tale da richiedere la soddisfazione di diversi criteri, tra cui: a) la comprensibilità del linguaggio, che deve riferirsi – in forma narrativa e non quindi con linguaggi stereotipati – a locuzioni e sintagmi che consentano ai diversi attori di visualizzare le competenze, b) l’attribuibilità delle competenze al soggetto con specificazione delle evidenze che consentano di conte- stualizzare la competenza entro processi reali in cui egli è coinvolto insieme ad altri attori, c) la validità dei metodi adottati nella – valutazione e validazione delle competenze stesse, con specificazione del loro livello di padronanza. 2. In campo professionale, tale processo prevede una attenta considerazione di pro- dotti / capolavori svolti in situazione reale e delle esperienze in tal modo realizzate dal candidato, con un intervento essenziale dei rappresentanti degli organismi parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 38 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 39 partner (– imprese, – enti, ecc.), oltre che dell’organismo formativo, i quali ne esplicitano il giudizio di validità. In tal modo, la valutazione-c. non si realizza in rapporto a standard “scritti sulla carta”, ma in riferimento alla concreta realtà di esercizio delle competenze indicate con il coinvolgimento diretto dei partner sociali. 3. Circa il modello di certificazione, si prevedono normalmente due fattispecie: a) la c. è legale quando si riferisce esclusivamente al titolo di studio posseduto; tale prospettiva non considera la questione del rapporto tra possesso del titolo e effettiva padronanza delle acquisizioni, con conseguenze critiche nel passaggio dal livello formale a quello sostanziale; b) la c. è sociale quando il certificato cui ci si riferisce rappresenta una documentazione composita che consente di rendere trasparente – quindi leggibile entro categorie comprensibili – la dotazione della persona di – capacità, saperi, – abilità e competenze, in riferimento alle espe- rienze entro cui queste si sono formate. Bibl.: AUBRET J. - F. AUBRET - C. DAMIANI, Les bilans personnels et professionnels, Paris, Éditions Eap-Inetop, 1990; CEPOLLARO G. (Ed.), Competenze e formazione, Milano, Guerini & Associati, 2001; COMOGLIO M., La valutazione autentica e il portfolio, Roma, manoscritto, 2001; AJELLO A.M. (Ed.), La competenza, Bologna, Il Mulino, 2002; CIOFS/FP, Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa, Roma, Tipografia Pio XI, 2003. D. Nicoli CERTIFICAZIONE DI QUALITÀ – Accreditamento CICLO – Riforma educativa; – FP iniziale; – Moduli; – Valori professionali; – Alter- nanza formazione lavoro CITTADINANZA Il concetto di cittadino e relativi diritti era già presente nella cultura greca (demo- crazia ateniese), in quella romana e nelle città medievali che cercavano di affer- mare il loro diritto di libertà e di autogoverno. Nella concezione moderna, la c. è vista come “prerogativa” del popolo riconosciuto come depositario della sovranità e titolare di diritti. Potremmo definirla come appartenenza di una persona a uno Stato da cui derivano diritti e obblighi che sono definiti dalla carta costituzionale e dalle leggi. 1. Negli Stati nazionali moderni, la c. si pone come forma di uguaglianza che tende a garantire a tutti i diritti fondamentali. L’estensione del riconoscimento dei diritti ha portato a identificare tre tipi di c.: la c. civile: le libertà personali (di pensiero, di proprietà, di uguaglianza di fronte alla legge, ecc.), i diritti civili individuali parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 39 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 40 tutelati dai tribunali; la c. politica: il diritto di voto attivo e passivo di tutti gli adulti e la loro partecipazione alle istituzioni rappresentative e governative; la c. sociale: diritto al benessere e alla sicurezza economica, alla cultura e a una vita civile secondo i canoni della – società di appartenenza, diritti resi effettivi dalle politiche sociali (Gallino, 2000, 389). 2. Le politiche di welfare cercano di estendere i diritti e di ridurre le sperequazioni sociali, ma rischiano anche di accrescerle dando vita a nuove forme di disugua- glianza tra i garantiti (cittadini a pieno titolo) e quelli che ne restano esclusi (immi- grati o profughi). I modelli di welfare della società moderna risultano ormai scarsa- mente efficienti, economicamente insostenibili e con effetti deresponsabilizzanti. Per questo oggi si parla di “nuova c.”, di “c. societaria”, legata a una forma di democrazia fondata su nuovi valori inerenti la c. e che includerebbe un senso pro- fondo di libertà, responsabilità, – sussidiarietà e diffusa – solidarietà sociale. Bibl.: MARSHALL T.H., Cittadinanza e classe sociale, Torino, UTET, 1976; COLOZZI I., Stato mercato cittadinanza, Bologna, CUSL, 1992; DONATI P., La cittadinanza societaria, Roma e Bari, Laterza, 1993; GALLINO L. (Ed.), Manuale di Sociologia, Nuova ediz., Torino, UTET, 2000. V. Orlando CLIMA EDUCATIVO / FORMATIVO – Ispirazione cristiana della FP CODICE DEONTOLOGICO – Etica professionale COLLOCAMENTO, UFFICI DI – Servizi per l’impiego COLLOQUIO Il c. può essere definito come una situazione sociale e interpersonale nella quale due o più persone si impegnano in una – comunicazione verbale e non verbale nell’intento di raggiungere uno scopo precedentemente definito. 1. La letteratura in tema di c. presenta numerose definizioni, talvolta analoghe, talvolta difficilmente sovrapponibili. Fondamentalmente, è possibile operare una distinzione tra coloro che del c. enfatizzano l’aspetto psicometrico-quantitativo, considerandolo uno strumento di raccolta di notizie, dati, informazioni oggettive, e coloro che ne sottolineano, invece, l’aspetto clinico-qualitativo, attribuendo parti- colare significato al rapporto interpersonale e al processo dinamico tra intervista- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 40 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 41 tore e intervistato. Si tratta, in realtà di una dicotomia che non ha molta ragione di esistere; infatti, a seconda dei casi sarà più valido l’uno o l’altro tipo di – metodo- logia e spesso si avrà una complementarietà di approcci (Trentini, 2002). 2. A seconda dello scopo, degli aspetti tecnici messi in atto e degli ambiti di appli- cazione possiamo distinguere diversi tipi di c.: diagnostico, terapeutico, di sele- zione, di – orientamento, di – valutazione. Una utile tassonomia è proposta da Trentini (2002) che classifica i diversi tipi di c.-intervista secondo quattro criteri: a) l’approccio epistemologico, distinto a sua volta in base alla prospettiva di applica- zione (psicologica, psicosociale e sociale) e alla gradazione estensività-intensività; b) i tratti distinguenti l’interazione tra i partecipanti, criterio distinto a sua volta in caratteristiche strutturali dell’intervistatore, caratteristiche strutturali dell’intervistato, caratteristiche funzionali dell’interazione tra i partecipanti; c) le caratteristiche situa- zionali, criterio distinto a sua volta in tipo di tecnica usata e tipo di documentazione di dati raccolti; d) il processo dinamico, distinto a sua volta in polo di centratura e stile di conduzione. Bibl.: TRENTINI G., Teoria e prassi del colloquio e dell’intervista, Roma, Carocci, 1995; ID., Oltre l’intervista. Il colloquio nei servizi sociali, Torino, UTET, 2000; ID., Manuale del colloquio e del- l’intervista, Torino, UTET, 2002. A.R. Colasanti COMPETENZA Deriva dal latino cum petere, che indica la qualità di chi regge il confronto con qualcuno, ma anche appartenere ad una cerchia che esprime un dominio in ordine ad uno specifico campo di sapere. Caratteristica della persona, mediante la quale essa è in grado di affrontare efficacemente un’area di problemi connessi ad un particolare ruolo o funzione. Per tale motivo, sarebbe preferibile parlare di persona “competente” piuttosto che di c. La persona competente è in grado di mobilitare le risorse possedute (– capacità, – conoscenze, – abilità) al fine di condurre ad una sua soluzione un compito-problema. La c. non è pertanto riducibile né a un sapere, né a ciò che si è acquisito con la – formaz. Essa è una dotazione del soggetto umano in un contesto definito, e ne realizza le potenzialità. 1. L’espressione c., oltre ad essere dotata di una sua intrinseca complessità poiché riguarda ambiti differenti di sapere e di azione, è anche oggetto di un intenso dibat- tito teorico che ha provocato differenti interpretazioni, che possiamo ricondurre a tre grandi modelli di pensiero: a) coloro che considerano la c. in chiave formale e pre- stazionale ovvero come un costrutto determinato dalla composizione (che si può conoscere previamente e quindi programmare) di un insieme di conoscenze, abilità e comportamenti che consentono alla persona di sviluppare performance controlla- bili e valutabili; b) coloro che concepiscono la c. come la caratteristica di un’orga- nizzazione innovativa, basata sul modello della learning organization, partecipando parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 41 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 42 alla vita della quale l’individuo risulta stimolato ad apprendere; c) coloro che, infine, intendono la c. come la caratteristica di una persona, posta in un particolare conte- sto, che è in grado di mobilitare le risorse possedute (capacità, conoscenze, abilità) al fine di assumere in carico i compiti-problema che questo esprime. 2. La prima posizione (si veda ad es. ISFOL) intende piegare le tradizionali pro- grammazioni didattiche per contenuti e verifiche spostando l’attenzione dei docenti verso i risultati tangibili del processo di – apprendimento, sostanzialmente assunti come performance o comportamenti conformi alle esigenze dell’organizzazione. Il suo limite sta nel fatto che tali esigenze vengono assunte in modo assoluto e norma- tivo, giungendo a definire repertori rigidi di unità formative capitalizzabili la cui reale rispondenza rispetto alle specifiche esigenze delle organizzazioni di lavoro appare dubbia, giungendo a delineare una sorta di neo-addestramento di stampo tay- loristico anche se aperto a fattori spesso indefinibili quali le cosiddette “competenze trasversali”. 3. La seconda posizione accentua l’assunto delle moderne teorie organizzative che abbandonano le tradizionali visioni funzionaliste ed organiciste per giungere a con- cepire le organizzazioni come insiemi olografici che, similmente al cervello umano, sono in grado di assorbire in ogni loro componente tutti gli elementi necessari ad affrontare compiti nuovi e imprevedibili. Tale visione concepisce l’individuo come un soggetto assimilato ad un’organizzazione, legato da una relazione asimmetrica nella quale è quest’ultima a svolgere la funzione docente. 4. Nella terza prospettiva, la c. non è ridotta ad una performance ed è concepita come una qualità della persona posta in modo attivo e responsabile di fronte ad un contesto che ne sollecita l’intraprendenza. Le Boterf (1998, 173) scrive a questo proposito: “In molti casi la nozione di competenza che viene utilizzata nei progetti risale a quella della fine degli anni ‘60: una somma di sapere, saper fare e saper essere. In realtà le competenze sono qualcosa di più complesso (...). La compe- tenza è una costruzione: è il risultato di una combinazione appropriata di svariate risorse. Per questo è opportuno distinguere: le risorse necessarie alla costruzione delle competenze; le competenze propriamente dette, che si esprimono in termini di attività o pratiche professionali e corrispondono a ‘schemi’ specifici di ciascuna persona; le prestazioni (performances) che costituiscono i risultati verificabili delle azioni poste in essere (indicatori di qualità, tassi di soddisfazione della clientela, quantità di prodotti, tasso di valore aggiunto, quantità degli scarti, ...). Le risorse derivano da un duplice equipaggiamento al quale la persona può ricorrere per co- struire le sue competenze: il suo equipaggiamento personale (conoscenze, abilità, savoir-fare, attitudini, esperienze, ecc.) e l’equipaggiamento che le viene dall’am- biente in cui vive (reti di rapporti umani, strumenti, banche dati, ecc.). Non esiste un rapporto puntuale fra ciascun elemento delle risorse e ciascuna competenza. La stessa risorsa può servire ad una pluralità di competenze. Ed esistono svariati assi per queste combinazioni, attorno ai quali si costruiscono le competenze. La capa- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 42 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 43 cità di combinare queste risorse è la competenza di una persona di costruire le competenze che le sono necessarie. Si tratta di una capacità molto complessa, una sorta di ‘scatola nera’ difficilmente accessibile e si trova nel cuore dell’autonomia di un individuo”. Bibl.: ISFOL, Unità capitalizzabili e crediti formativi. Metodologie e strumenti di lavoro, Milano, Franco Angeli, 1997; LE BOTERF G., L’ingénierie des compétences, Paris, Éditions d’Organisation, 1998; MORGAN G., Images: le metafore dell’organizzazione, Milano, Franco Angeli, 1999; LE BOTERF G., Construire les compétences individuelles et collectives, Paris, Éditions d’Organisation, 2000; CE- POLLARO G. (Ed.), Competenze e formazione, Milano, Guerini & Associati, 2001; AJELLO A.M. (Ed.), La competenza, Bologna, Il Mulino, 2002. D. Nicoli COMPETITIVITÀ – Risorse umane; – Educazione permanente COMPLESSITÀ SOCIALE – Società COMUNICAZIONE Il termine c. assume tradizionalmente due significati principali, ed entrambi met- tono l’accento sulla creazione di un qualche tipo di “comunanza” tra persone. Il primo è di origine senz’altro più antica e fondamentale, ed è quello legato al “met- tere in comune” gli oggetti (non le idee o i pensieri delle persone), o al “partecipare insieme” a un evento. È un significato che si richiama a strutture sociali comuni- tarie. Solo il secondo significato di comunicare come “abboccarsi, consigliarsi con uno” e anche “aver rapporti” ha a che fare con una c. in un senso più simile al nostro, e precisamente con la conversazione. Durante l’epoca moderna, lo sviluppo dapprima dei mezzi di trasporto di persone e cose, e poi di mezzi di trasmissione delle informazioni, apre nuove possibilità per la “comunanza” tra persone. Di con- seguenza, i nuovi mezzi assumono una connotazione comunicativa: si parla così di mezzi di c. e vie di c. 1. Significato del termine c. Le definizioni di c. sono almeno sei: la prima afferma che si ha c. ogni qualvolta una proprietà, una risorsa di tipo materiale o immate- riale o uno “stato mentale” viene trasmesso da un soggetto ad un altro. La seconda definizione afferma che ogni comportamento di un essere vivente che ne influenza un altro rappresenta una forma di c. L’influenza può essere considerata di tipo negativo/positivo. La terza definizione si riferisce allo scambio di valori sociali che si effettua secondo regole prestabilite, con riferimento esclusivo, alle – società umane; in modo da definire c. qualsiasi scambio di valori sociali condotto secondo parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 43 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 44 determinate regole. La quarta definizione si riferisce all’ambito della – ricerca sociologica: infatti per alcuni la c. è costituita dal passaggio o trasferimento di informazioni da un soggetto (la fonte, l’emittente) ad un altro (il destinatario, il ricevente) per mezzo di veicoli di varia natura: ottici, acustici, elettrici, ecc. Nella quinta definizione, si ha c. soltanto quando due o più soggetti giungono a condivi- dere i medesimi significati (trasferimento di senso). La sesta definizione, riguarda la formaz. di una unità sociale a partire da individui singoli, mediante l’uso di un linguaggio o di segni o anche l’avere in comune elementi di comportamento, o modi di vita, grazie all’esistenza di insiemi di regole. 2. Ambito della disciplina. Non esiste una sola “idea” di c., bensì tante idee quante sono le derivazioni scientifiche e culturali in vario modo implicate nell’analisi. Perciò è difficile inquadrare l’oggetto empirico riunito all’interno di un arco assai variabile che spazia dalla onnicomprensività del paradigma informazionale, che comprende anche gli scambi tra macchine, alla selettività del paradigma relazionale, che considera pienamente comunicativo soltanto quel processo in cui si raggiunge la formulazione di un’unità sociale e/o psicologica a partire dai singoli individui. Pertanto, per stendere una mappa scientifica della c. è indispensabile tenere in conto i numerosi approcci scientifici e le particolari caratteristiche dell’oggetto-c. Il tenta- tivo di disegnare un profilo preciso per gli studi sulla c. non è quindi solo segnato da un normale avvicendamento di paradigmi, quanto piuttosto dalla confluenza con- temporanea di riferimenti epistemologici diversi. 3. Ambiti di studio della c. Numerosi sono gli ambiti di studio della c. che pos- sono essere affrontati dal punto di vista: matematico, ovvero della c. come tra- smissione di informazioni; dal punto di vista semiotico, della c. come significa- zione e come segno; dal punto di vista pragmatico, ovvero della c. come intera- zione fra testo e contesto; dal punto di vista sociologico: la c. come espressione e prodotto della – società; dal punto di vista psicologico: la c. come gioco di rela- zioni. Tra i fondamenti della c. vi è lo studio del significato, il concetto di inten- zionalità, la c. non-verbale, la c. e l’influenza sociale e, soprattutto, la c. vista dal- l’ottica del medium e dei mezzi di c. di massa, con le considerazioni relative agli effetti a breve e a lungo termine dei mass media, dell’audience dei media, della c. pubblicitaria e politica e mass media. Ultimo in ordine di tempo, ma sempre più importante, è oggi lo studio della c. riferita ai new media, dove vengono trattate le tematiche della c. digitalizzata, di quella mediata dal computer (CMC o Computer Mediated Communication), oltre che le caratteristiche e gli effetti della c. tramite Internet. Bibl.: CANGIÀ C., Teoria e pratica della comunicazione multimediale. Per la scuola e per la forma- zione professionale, Roma, Editoriale Tuttoscuola, 2001; LEVER F. et al., La comunicazione: dizionario di scienze e tecniche, Leumann (TO), ElleDiCi, 2002; ANOLLI L., Psicologia della comu- nicazione, Bologna, Il Mulino, 2002. C. Cangià parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 44 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 45 COMUNITÀ DI APPRENDIMENTO – Comunità educativo-formativa COMUNITÀ DI PRATICHE – Comunità educativo-formativa COMUNITÀ EDUCATIVO FORMATIVA Il termine c. è d’ampio utilizzo in tutti gli ambiti della vita. La parola può avere aggettivazioni forti (e tra esse vanno sicuramente annoverate educativo/formativa, educante), o aggettivazioni deboli (per es., scientifica, economica, sportiva). Con l’aggettivazione forte, il termine rimanda a legami stretti tra i membri che la com- pongono: esperienze di condivisione, di reciprocità, di coinvolgimento, di – solida- rietà, di senso di appartenenza, di stabilità di relazioni, di partecipazione. 1. La c.e.f., per sua natura, si fonda su relazioni stabili e forti. Un solido e fitto tessuto di relazioni, intenzionali o non, la attraversa a tutti i livelli e in ogni espressione. La prima c.e.f. è sicuramente quella domestica, ambito in cui le rela- zioni primarie costituiscono l’ambiente educativo naturale; ad essa fanno seguito le molteplici forme, intenzionali e organizzate o non (istituzioni, aggregazioni as- sociative, volontariato). Si definiscono, poi, c.e.f. anche le forme finalizzate all’ – accoglienza, all’assistenza, al recupero, alla riabilitazione/rieducazione. La dimen- sione comunitaria è elemento strutturale dell’istituzione scolastica: essa è perse- guita e voluta come fine e come mezzo. La scuola, infatti, ha come fine lo sviluppo dell’originario potenziale in dotazione ad ogni essere umano, il promuoverne la realizzazione personale sì che il soggetto si inserisca attivo nella vita economica, sociale, politica, culturale della c. di appartenenza. In quanto sistema organizzato di attività (c. di pratiche), essa è anche strumento operativo per il raggiungimento di tale fine. In essa s’intrecciano rapporti verticali e orizzontali tra i diversi prota- gonisti. Al centro della trama relazionale si colloca il rapporto docente-discenti, mediato dalla trasmissione/acquisizione di saperi/valori, e finalizzato sia a emanci- pare il pensiero, sia motivare il volere nella reciprocità dialogica del dare/ricevere. La dimensione comunitaria contrassegna dunque la vita scolastica (c. di apprendi- mento). 2. A partire dagli anni ‘70, l’uso del termine c. registra una più alta frequenza nel dibattito pedagogico-scolastico. Ciò si connette a due principali fattori. Il primo è l’esplosione dei saperi che focalizzano i rapporti interni all’istituzione scuola. Analisi pluridisciplinari offrono uno spaccato illuminante circa la complessità, la varietà e la problematicità delle pratiche e dei vissuti presenti nel sistema (in primis quelli riferiti alla microunità del gruppo classe). Condizionamenti reali e istanze emancipatrici sono oggetto d’attenzione e d’accesi dibattiti, attuali ancora parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 45 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 46 oggi. Il secondo, che ha mutato in profondità le funzioni del sistema, è il processo di apertura della scuola ai rapporti con l’esterno. Un passo, in tale direzione, è la nascita degli organi collegiali che aprono alla partecipazione dei genitori e poi, gradualmente, dei diversi soggetti, espressione della realtà economica, sociale, politico-culturale. La legge che riforma l’intero sistema sancisce tale mutamento e dà spazio a una varietà di presenze, con diritti/doveri ancora in parte da definire. 3. L’evoluzione è frutto di eventi storici inevitabili. Tre i fattori trainanti che conno- tano l’orizzonte attuale: la società dell’informazione, con ricadute sugli stili di vita e sulla struttura del – lavoro e della produzione; la mondializzazione dell’economia, e i relativi problemi della crescita, della competitività e dell’occupazione; l’esplo- sione delle conoscenze scientifiche e delle applicazioni tecnologiche. La cosiddetta società conoscitiva muta compiti e metodologie formative. Tutti gli aspetti del si- stema sono coinvolti: la qualità dei processi che devono essere permanenti e centrati sulla capacità dell’apprendimento continuo per affrontare cambiamenti complessi e in rapida evoluzione; il superamento delle divisioni rigide tra i canali formativi pro- fessionalizzanti e quelli a prevalente impianto scientifico-culturale di tipo generale; la diversa attenzione alla circolarità delle conoscenze scientifiche, tecniche, pratiche in ogni settore di operatività; il graduale saldarsi della – FP – – apprendistato – con la formazione tecnica; la necessità di curare tutte le dimensioni dell’uomo per promuovere l’autonomia decisionale e la responsabilità circa la qualità di vita dei singoli e della convivenza. La sfida oggi è considerare ciascun contesto di vita e di lavoro come c. ove si apprende insieme, ove si collabora per lo sviluppo delle risorse di tutti e di ciascuno, ove si partecipa alla trasmissione/creazione di valori condivisi per la lotta all’esclusione e all’emarginazione, ove si costruisce la società aperta e solidale del futuro. Bibl.: DALLE FRATTE G., La comunità tra cultura e scienza: 1° vol. Il concetto di comunità nelle scienze umane, 2° vol. Concetto e teoria della comunità in pedagogia, Roma, Armando, 1993; POSTIC M., La relazione educativa. Oltre il rapporto maestro-scolaro, Roma, Armando, 1994; COMMISSIONE EUROPEA, Insegnare ed apprendere. Verso la società conoscitiva, Lussemburgo, 1996; DELORS J., Nell’educazione un tesoro, Roma, Armando, 1997; PELLEREY M., L’agire educativo. La pratica pedagogica tra modernità e post-modernità, Roma, LAS, 1998; DUCCI E., Essere e comuni- care, Roma, Anicia, 2003. C. Di Agresti COMUNITÀ / FAMIGLIA PROFESSIONALE L’espressione c.p., sinonimo di f.p. (Grisolia - Manzolini, 2000) – indica un aggre- gato di figure professionali che condividono un insieme relativamente omogeneo (e nel contempo dinamico) di fattori quali il know how di base, i processi di lavoro ed i compiti che vi si svolgono, il contesto organizzativo, infine un itinerario di – formaz. coerente e progressivo che si svolge a partire dal livello di – qualifica professionale per giungere a quelli di tecnico e di quadro/esperto. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 46 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 47 1. Tale espressione soddisfa la necessità di delineare una nuova classificazione delle occupazioni tenendo conto delle trasformazioni che hanno portato al supera- mento delle vecchie nomenclature: a) quella basata sui settori, che enfatizza esclu- sivamente gli aspetti economici e tecnologici e che presenta una particolare cecità rispetto ad altri aspetti decisivi quali la funzione, il livello di responsabilità e di autonomia nei processi decisionali; b) quella centrata sulla categoria di gruppo professionale che, se pure supera i limiti della classificazione a matrice economica, non consente di spiegare ed accompagnare adeguatamente le dinamiche che hanno investito la nuova struttura occupazionale quali la diffusione delle – nuove tecno- logie informatiche e telematiche, il peso crescente delle nuove – competenze co- gnitive, comunicative e sociali, infine il processo di professionalizzazione che ha investito buona parte delle attività di – lavoro qualificate (Reyneri, 2002). Allo stesso tempo, tale espressione, identificando una “struttura sociale” collocata in specifici contesti organizzativi e territoriali, supera le difficoltà introdotte dal cosiddetto modello delle competenze che, volendo contrapporsi alla staticità degli approcci basati sulle posizioni, finisce per costruire un’architettura autoreferen- ziale e decontestualizzata (Grisolia - Manzolini, 2000). 2. Rispetto alle tradizionali distinzioni delle occupazioni per settori e gruppi pro- fessionali, il concetto di c.p. individua un aggregato a forte valenza culturale che disegna un campo d’azione sociale nel quale le persone accomunate da fattori di- stintivi, a fronte di una serie di compiti sfidanti, mobilitano le proprie – capacità, – conoscenze, – abilità sviluppando vere e proprie competenze; ciò lo rende maggiormente fruibile dal punto di vista formativo, evitando di cadere in una pro- spettiva di tecnologia educativa che considera la – formaz. come un processo di adattamento della persona alle esigenze del mondo economico e dell’ – impresa in particolare. Si tratta di una prospettiva che postula la totale formabilità umana e nel contempo la piena identificazione o fusione del mondo soggettivo con il mondo economico (Nicoli, 2002). In questo senso, gli “individui diventano delle risorse che devono venir sviluppate, piuttosto che essere considerati come degli esseri umani che valgono in quanto tali e che dovrebbero essere incoraggiati a scegliersi e a costruirsi il proprio futuro” (Morgan, 1999, 101). 3. La prospettiva della c.p. consente pertanto di disegnare in modo nuovo il rap- porto tra persona, aggregazione professionale ed organizzazione, individuando un rapporto di consonanza tra la dotazione delle capacità personali, le risorse (cono- scenze, abilità) apprese tramite percorsi formali o informali, infine le competenze concepite come dotazione del soggetto umano in un contesto definito che ne rea- lizza le potenzialità. Si tratta di una visione a carattere antropologico, che delinea uno spazio mediante il quale il soggetto organizza il suo – progetto personale di vita e di lavoro in base all’immagine che ha di se stesso e all’interazione che si è creata con le altre figure di riferimento; il che gli permette di acquisire la – maturità necessaria a tradurre l’immagine di sé in termini professionali. Le scelte professionali vengono elaborate lungo un processo evolutivo segnato da stadi e ca- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 47 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 48 ratterizzato da compiti che l’individuo deve assolvere per pervenire a scelte soddisfacenti per sé e per la – società, in una sequenza di esperienze e di decisioni che – nella continua relazione con gli altri soggetti (formatori, testimoni ed esperti delle c.p., stakeholder) – gradualmente tessono la trama dello sviluppo della persona. Bibl.: GRISOLIA A. - L. MANZOLINI, “Dalle competenze alle professioni aziendali”, in D. BOLDIZZONI - L. MANZOLINI (Edd.), Creare valore con le risorse umane, Milano, Guerini & Associati, 2000, 35- 38; NICOLI D., Manuale per il progettista di formazione, Milano, Provincia di Milano, 2002; REYNERI E., Sociologia del mercato del lavoro, Bologna, Il Mulino, 2002. D. Nicoli CONCERTAZIONE – Parti sociali; – Partnership; – Contratti CONOSCENZE Le c. – in senso plurale per evidenziare la varietà e la difformità dei materiali di cui sono composte – rappresentano le cognizioni di cui l’individuo dispone (nozioni, principi, leggi, regole, concetti, ecc.) riferibili ad aree disciplinari co- dificate oppure a campi d’azione incrementati continuamente dall’esperienza e dall’invenzione. Le c. si costituiscono quindi entro un legame necessario tra le dimensioni della – ricerca, dell’azione, dell’ – apprendimento. Nelle scienze pedagogiche, le c. sono connesse alle – abilità, e rappresentano assieme ad esse gli ingredienti indispensabili perché il soggetto acquisisca la conoscenza intesa come quella qualità – definita da precisi livelli di padronanza di cognizioni – che consente alla persona umana di avere consapevolezza circa la sua collocazione nel mondo. 1. Sul piano didattico, si nota spesso un equivoco, teso ad identificare i saperi con la c., poiché sul piano didattico si considerano come saperi i contenuti del cono- scere, mentre la c. è il livello di padronanza cognitiva dei “contenuti”. Le c. pos- sono essere dichiarative, condizionali o procedurali. Sono dichiarative quelle che riguardano il sapere che cosa e consentono pertanto di riconoscere (ovvero dare un nome a) un fenomeno. Sono condizionali quelle che si riferiscono al dove, quando e perché di un determinato oggetto di c. Sono procedurali quelle che con- cernono il sapere come si fa una certa operazione e quindi prevedono una stretta relazione con una serie di – abilità. Ma appare difficile procedere oltre in una classificazione delle c. La grande varietà di teorie filosofiche e psicologiche sul conoscere impediscono di trovare un’intesa circa una chiara definizione di c. Se le epistemologie classica e moderna convergevano circa la possibilità di una precisa e completa strutturazione del sapere, conducendo così alla piena legittimazione di istituzioni come la scuola e l’accademia connotate dal compito di accumulazione parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 48 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 49 e di – insegnamento delle c., secondo le attuali correnti epistemologiche non è possibile organizzare le c. entro una struttura piramidale rigida e predeterminata; esse al contrario riflettono un universo complesso, senza un centro prestabilito, in continua trasformazione. Ciò comporta il passaggio ad una razionalità meno pre- tenziosa, contestuale e progressiva. Il conoscere richiede, quindi, una continua circolarità tra l’agire e il riflettere sull’azione, al fine di giungere ad acquisizioni ad un tempo teoriche e pratiche, ma comunque in continua trasformazione e diffi- cilmente riconducibili a sistemi dati una volta per tutte. 2. È convinzione diffusa che le c. non possano essere ricondotte unicamente a materie, discipline o aree culturali. Da questo punto di vista, si distingue tra “cognizione”, ovvero un sapere puntuale, riferito ad una realtà specifica, e “metacognizione” del sapere che, nella sua organizzazione in un tempo e in uno spazio considerati, presenterebbe sempre una struttura disciplinare. Da ciò con- segue che compito della scuola non è trasmettere le nozioni, quanto consentire nell’alunno la formaz. di un metodo che gli consenta una “conoscenza perti- nente, quella capace di collocare ogni informazione nel proprio contesto e se possibile nell’insieme in cui si inscrive. Si può anche dire che la conoscenza pro- gredisce principalmente non con la sofisticazione, la formalizzazione e l’astra- zione, ma con la capacità di contestualizzare e di globalizzare” (Morin, 2000, 8). I processi di apprendimento nell’ambito dell’istruzione e della formaz. condu- cono a risultati di tipo “cognitivo”, e questi si distinguono dagli apprendimenti di tipo relazionale, emotivo, comportamentale, operativo. Il rapporto tra c. e competenze è anch’esso di tipo complesso. Le c. sono – accanto alle abilità – un ingrediente della competenza. In linea generale, il processo di apprendimento viene strutturato in modo che il soggetto debba acquisire certe cognizioni per poter porre in atto una competenza; ma può succedere che attraverso l’esercizio di una competenza si acquisiscano e si razionalizzino cognizioni che non si possedevano in precedenza. Bibl.: BATESON G., Verso un’ecologia della mente, Milano, Adelphi, 1976; GARDNER H., Intelligenze multiple, Milano, Anabasi, 1994; STERNBERG R.J., Stili di pensiero. Differenze individuali nell’appren- dimento e nella soluzione di problemi, Trento, Erickson, 1998; MORIN E., La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Milano, Cortina, 2000; BERTAGNA G., Verso i nuovi piani di studio, in “Annali dell’Istruzione, n. speciale Stati Generali dicembre 2001”, 1-2 (2001), 246-277. D. Nicoli CONSIGLIO DI CENTRO – CFP CONSULENZA – Orientamento parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 49 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 50 CONTRATTI 1. Introduzione. Al fine di ridurre in una economia di “glossario” il vasto tema relativo ai c., si è delimitata l’area di osservazione agli elementi costitutivi del c. come “accordo” tra le parti rappresentate nell’ambito del – mercato del lavoro, non entrando nel merito di elementi strettamente giuridici e regolamentari dei c. nei più ampi settori politici ed economici. Con riferimento alla vita civile e al mondo del – lavoro, i c. si realizzano attraverso soggetti non individuali ma collettivi, organizzati in forme prevalentemente associative o di cooperazione, che aggregano interessi e attività di rilevanza superindividuale e che ricorrono allo strumento contrattuale per svolgere le proprie attività istituzionali e per realizzare i fini e gli interessi in funzione dei quali le parti stesse si sono costituite in rappre- sentanze con c. formali o informali. 2. Contrattazione collettiva. Il fenomeno che con maggior evidenza segnala il passaggio del c. verso una dimensione collettivo-istituzionale è quello della con- trattazione collettiva, di cui costituisce un esempio paradigmatico (ma non esclu- sivo) il c. collettivo di lavoro (indicato a livello nazionale con la sigla CCNL), specificato nelle diverse categorie e stipulato dalle contrapposte organizzazioni sindacali dei lavoratori e delle rappresentanze dei datori di lavoro. Il c. collettivo ha una funzione prevalentemente normativa, il cui senso è proprio quello di deter- minare regole per disciplinare non rapporti tra individui, ma tra categorie sociali organizzate. L’oggetto dei c. collettivi si è sempre più ampliato in rapporto alle esigenze di una moderna economia, caratterizzata da produzione, consumi di massa e progressivamente orientata alla globalizzazione, Pur nella complessità dell’evoluzione del mercato del lavoro, i c. collettivi tendono a superare rischi di facile restrizione dell’autonomia privata, dovuti alla ineliminabile disparità eco- nomica e sociale dei contraenti, sollecitando, attraverso le proprie organizzazioni sindacali, interventi di riequilibrio di posizione dei contraenti, anche nel pubblico impiego, a salvaguardia dei diritti inalienabili della cosiddetta “parte debole”. Il ruolo attuale della contrattazione collettiva, se per qualche aspetto appare meno incisivo, per altri aspetti indica la necessità di passare da un modello tradizionale del c. ad altre modalità che tengano conto anche della flessibilità controllata dei rapporti all’interno del nuovo mercato del lavoro. 3. Il sistema contrattuale italiano. Sinteticamente, i fattori che hanno portato alla costruzione del sistema attuale di contrattazione in Italia fanno riferimento: all’au- tonomia delle – parti sociali e alla loro capacità di organizzare la rappresentanza e i loro rapporti di confronto e di concertazione; allo sviluppo economico e tecnolo- gico, di cui la contrattazione deve tener conto come elemento di stimolo; alla cul- tura sociale, intesa come coscienza dei diritti dei lavoratori e della volontà di parte- cipazione allo sviluppo complessivo del Paese attraverso il ricorso al negoziato e all’azione sindacale collettiva. Il sistema contrattuale, nell’ambito delle relazioni sindacali, ha attraversato varie fasi: negli anni ‘60 si è sviluppata la contrattazione parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 50 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 51 aziendale; nel decennio successivo, il processo di sindacalizzazione e di costru- zione organizzativa del sindacato è stato accentuato; negli anni ‘80 si sono creati i primi strumenti di partecipazione (osservatori, protocolli, organismi bilaterali). Nel 1993, il sistema contrattuale ha trovato nuove regole, che hanno consentito il transito dell’economia e della politica all’UE a moneta unica. Le tutele collettive dei CCNL coprono attualmente la generalità del lavoro dipendente, quasi in ogni aspetto del rapporto di lavoro. Schematicamente il sistema contrattuale si compone di: soggetti (rappresentanze sindacali, imprenditori singoli o associati, Stato, – enti locali); contenuti per livello (retribuzioni, inquadramento, orario, diritti di for- mazione, – ambiente, informazioni); regole (accordi nazionali, accordi regionali, accordi aziendali, leggi). I principali livelli sono: interconfederale, nazionale di ca- tegoria, aziendale e territoriale. 4. Fasi e procedure. La contrattazione è un processo che ha proprie fasi, pro- cedure e tempi di durata. In linea generale ad accordo scaduto, o in mancanza di accordi, le organizzazioni sindacali elaborano una piattaforma di richieste che inviano alle controparti imprenditoriali datori di lavoro. Se ci sono le giuste condizioni di rapporti di rappresentanza contrattuale, o di regole condivise da entrambe le parti, si apre la fase di trattativa e si svolgono le operazioni del negoziato. Le consultazioni dei rappresentati sono attivate con procedure e tempi previsti fra le parti. Se la trattativa siglata porta ad un accordo finale firmato, nello stesso accordo è stabilito fra le parti il periodo di validità e il campo di ap- plicazione: i CCNL di categoria durano di norma 4 anni per la parte normativa; più o meno hanno la stessa validità i c. regionali e aziendali. Normalmente, i rappresentati (lavoratori / datori di lavoro) sono consultati nella preparazione della piattaforma e prima della firma conclusiva. Presso il CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) vengono registrati i CCNL confederali e di categoria. Bibl.: TURONE S., Libertà del sindacato in Italia, Bari, Laterza, 1992; BAGLIONI G., Democrazia impossibile?, Bologna, Il Mulino, 1995; CELLA G.P. - T. TREU, Le nuove relazioni industriali, Bologna, Il Mulino, 1998; CESOS, Le relazioni industriali in Italia, Rapporti Biennali, Roma, CNEL, 1998-2000. P. Ransenigo CONTRATTO FORMATIVO Il c.f. o pedagogico, nell’accezione più comune, costituisce l’accordo con cui si stabiliscono in modo preciso gli obiettivi della – formaz. e i criteri della sua – valutazione. Nel contesto della – FP, istituzione educativa dove convergono più spesso utenti della fascia del disagio, viene predisposto anche come strumento di- dattico-pedagogico che mira a coinvolgere gli allievi e a renderli più direttamente partecipi e protagonisti dei percorsi di – apprendimento. Il c.f. può costituire un utile strumento a supporto della – personalizzazione dei percorsi. Essendo struttu- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 51 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 52 rato dal team di formatori, viene da essi adottato e gestito durante le attività forma- tive, come documento di riferimento e confronto. 1. Gli obiettivi del c.f. riguardano non tanto l’acquisizione di singoli contenuti o saperi, quanto il raggiungimento di specifici traguardi durante il percorso. In modo specifico, nella FP, l’oggetto del c.f. dovrà riguardare attività pratiche o esercizi concreti inerenti le – competenze previste dalla – qualifica professionale. Le atti- vità concrete infatti, riferite a specifiche – abilità, sono facilmente documentabili e misurabili e consentono di puntualizzare le evidenze oggettive su cui basare il c. stesso. Le competenze previste per l’acquisizione della qualifica, ciascuna con i relativi saperi e comportamenti, possono essere considerate oggetto del c.f. Con riferimento agli utenti della FP, gli obiettivi perseguibili tramite questo strumento riguardano in particolare lo sviluppo della – motivazione; la consapevolezza e il controllo del proprio percorso formativo; la capacità di progettare nuove tappe di apprendimento; l’acquisizione delle capacità cooperative e lo sviluppo di capacità metacognitive. 2. La formalizzazione del c.f. può assumere diverse forme. Può essere riferita agli apprendimenti personalizzati, c. individuale, o coinvolgere una intera classe, c. d’aula. Può essere punto di riferimento per le attività del – CFP e costituire parte significativa del programma di formazione. Può riguardare l’intero percorso, di- stinti periodi, oppure singole unità di apprendimento. I contraenti sono i formatori, che propongono il c.f., e gli allievi, che ne prendono coscienza, partecipano alla messa in atto e ne discutono le modalità. Possono far parte dei contraenti anche i genitori che desiderano essere coinvolti nel processo formativo. 3. Il successo di questo strumento è legato alla capacità pedagogico-didattica dei formatori che lo gestiscono, alla loro abilità nell’individuarne le modalità di appli- cazione adeguate in rapporto alla tipologia dei – destinatari ed al piano di lavoro previsto. Bibl.: MALIZIA G., “Contratto in educazione”, in J.M. PRELLEZO - C. NANNI - G. MALIZIA (Edd.), Dizionario di Scienze dell’educazione, Leumann (TO)/Roma/Torino, ElleDiCi/LAS/SEI, 1997, 238; NICOLI D., Nuovi percorsi di apprendimento nella società cognitiva. Il sistema di Istruzione e For- mazione Professionale, in “Professionalità”, 78 (2003), 79-88; CECCONI L., “Contratto formativo”, in CIOFS/FP (Ed.), Un glossario per l’orientamento, Roma, Publigrafica Romana, s.d., 49-50. L. Valente COOPERAZIONE – Solidarietà COORDINATORE – Operatori della FP parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 52 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 53 COPING Il c. (fronteggiamento) può essere considerato come un processo mediante il quale le persone cercano di gestire la discrepanza percepita tra le richieste poste loro da una situazione stressante e le proprie risorse. Più specificatamente la recente ricerca definisce il c. come “gli sforzi della persona, sul piano cognitivo e com- portamentale per gestire (ridurre, attenuare, dominare o tollerare) le richieste interne ed esterne poste da quelle interrelazioni persona-ambiente che vengono valutate come estenuanti o eccessive rispetto alle risorse possedute” (Folkman et al., 1986, 572). 1. Il concetto di c. trova la sua origine nell’ambito della Psicologia dell’Io, e speci- ficatamente nel lavoro di Anna Freud, L’io e i meccanismi di difesa (1936). È quindi considerato, inizialmente, un processo inconscio, automatico, la cui funzione si con- nota come primariamente difensiva, sebbene si intravedano importanti risvolti adat- tivi. Successivamente l’interesse dei teorici si focalizza sulle strategie conscie utiliz- zate dall’individuo in situazioni problematiche; strategie che, diversamente dalle inconscie, si caratterizzano per essere flessibili, intenzionali, differenziate e orientate alla realtà. 2. Il primo ad occuparsi di c. come attività conscia è Lazarus (1991) che impiega ampiamente tale concetto negli studi sullo stress. Secondo l’A. il c. svolgerebbe due principali funzioni: minimizzare il rischio del danno che potrebbe derivare da un evento stressante (in tal caso si parla di c. centrato sul problema); contenere o attenuare le reazioni emozionali negative (in tal caso si parla di c. centrato sull’emo- zione). Le diverse strategie che la persona utilizza possono essere focalizzate sul pro- blema (c. attivo, problem solving pianificato), sull’emozione (prendere le di- stanze, autocontrollo, fuga-evitamento, assunzione di responsabilità, rivaluta- zione positiva), o su entrambi (ricerca di sostegno sociale) (Folkman et al., 1986). Per quanto concerne l’efficacia delle strategie adottate, possiamo dire che non esiste in assoluto una strategia migliore di un’altra e l’appropriatezza è de- terminata dal tipo di evento, dal contesto, dalla situazione. In generale, tuttavia, le ricerche fanno emergere come meno efficaci, a lungo termine, le strategie di ritiro- evitamento. Bibl.: FOLKMAN S. et al., Appraisal, coping, health status and psychological syntoms, in “Journal of Personality and Social Psychology”, 50 (1986) 571; FREUD A., L’io e i meccanismi di difesa, Firenze, Martinelli, 1989; LAZARUS R.S., Emotion and Adaptation, New York, Oxford University Press, 1991; ZANI B. - E. CICOGNANI, Le vie del benessere, Roma, Carocci, 1999. A.R. Colasanti COUNSELLING – Orientamento parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 53 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 54 CREDITO FORMATIVO Il c.f. rappresenta una documentazione che attribuisce alla persona in possesso di un’acquisizione un valore esigibile presso un organismo formativo, in vista del raggiungimento di uno specifico titolo. 1. Perché il c. relativo ad un’acquisizione formativa sia effettivamente esigibile, occorre che l’organizzazione ricevente riconosca la certificazione (– certificazione degli apprendimenti) fatta da quella inviante ed attribuisca a questa certificazione un valore affinché possa essere davvero utilizzata per accedere a (o progredire in) un percorso formativo o lavorativo senza che alla persona titolare sia imposto di ripetere le attività di – apprendimento riconosciute. Di conseguenza, la semplice certificazione non rappresenta di per sé un c. Perché un credito sia tale, bisogna che ci sia un “potere” che lo riconosce o che impone alle organizzazioni coinvolte di riconoscerlo. Tale potere risulta da un’intesa condivisa dai diversi attori, in forza della quale si definiscono i criteri di individuazione delle acquisizioni e il percorso formativo con il relativo livello entro cui la persona può indirizzarsi. 2. I c.f. sono pertanto da intendere in senso sostanziale, ovvero non solo in riferi- mento allo sforzo necessario in termini di tempo per soddisfarli (è questa la conce- zione universitaria del c.), ma precisamente agli apprendimenti effettivamente pos- seduti e validamente accertati. Il c. inteso in senso sostanziale non può essere gestito tramite processi automatici. Esso richiede un approccio discreto, in grado di attribuire alla documentazione attestante gli apprendimenti, il giusto valore in termini di – personalizzazione del percorso formativo. Ciò richiede comunque un dialogo e una negoziazione tra i soggetti coinvolti (organismo inviante, organismo ricevente, persona interessata). Ciò definisce un metodo di lavoro necessariamente relazionale e dialogico-narrativo. Bibl.: AUBRET J. - F. AUBRET - C. DAMIANI, Les bilans personnels et professionnels, Paris, Éditions Eap-Inetop, 1990; CEPOLLARO G. (Ed.), Competenze e formazione, Milano, Guerini & Associati, 2001; COMOGLIO M., La valutazione autentica e il portfolio, Roma, manoscritto, 2001; AJELLO A.M. (Ed.), La competenza, Bologna, Il Mulino, 2002; CIOFS/FP, Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa, Roma, Tipografia Pio XI, 2003. D. Nicoli CULTURA PROFESSIONALE L’evoluzione della concezione del – lavoro dalla dimensione del “mestiere” arti- gianale, attraverso la – “mansione”, tipica della descrizione parcellare dell’attività, cui corrisponde la delineazione di diplomi e – qualifiche professionali standard, è giunta alla definizione della cultura tipica di chi esercita una – competenza. 1. Come alla mansione corrisponde la qualifica, così alla competenza la c.p., quale insieme di – conoscenze, – capacità, – abilità che il soggetto ha acquisito (di- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 54 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 55 mensione di qualifica professionale) unite alla sua capacità di farvi ricorso attra- verso l’impiego libero e responsabile della ragione scientifica, al fine di produrre ipotesi di risoluzione dei problemi emergenti nelle situazioni lavorative. Essa si sostanzia non solo di conoscenze tecnico professionali, bensì soprattutto di capacità di autocollocazione all’interno di reti relazionali che costituiscono il luogo delle dinamiche di controllo di processo oltre che di apprendimento organizzativo. 2. Ben oltre una lettura tipica delle professioni liberali, è qui il riferimento alla capa- cità di giocare un – ruolo professionale nei termini di condivisione di esperienze e di culture, di assunzione di spazi di responsabilità, di interazione formativa con per- sone e sistemi al fine di produrre nuovo sapere all’interno delle concrete situazioni lavorative. Questa si sostanzia della capacità di operare all’interno della cultura del- l’organizzazione in quanto assieme di regole di comportamento, linguaggi tipici, riti e miti, forme autonarrative di cui quella si avvale al fine di descrivere se stessa e di regolare i propri confini e i comportamenti al suo interno. Bibl.: BOCCA G., Pedagogia della formazione, Milano, Guerini studio, 2000; MONTEDORO C. (Ed.), Dalla pratica alla teoria per la formazione: un percorso di ricerca epistemologica, Milano, Franco Angeli, 2000; ID. (Ed.), Le dimensioni metacurricolari dell’agire formativo, Milano, Franco Angeli, 2001. G. Bocca CURRICOLO – Progettazione formativa; – Didattica induttiva; – Pedagogia del lavoro CURRICULUM VITAE È lo strumento attraverso cui il candidato presenta la propria – formaz., le proprie – capacità e inclinazioni, nonché il percorso di studi realizzato e le eventuali espe- rienze professionali pregresse, all’azienda in cerca di nuovi dipendenti. La ricerca del – lavoro ha un punto di partenza obbligatorio: il c.v. La stesura di questo documento è il primo passo sulla strada che porta alla conquista di un posto in un’azienda o di un rapporto di collaborazione interessante. Inviato in risposta ad un’inserzione su un giornale, su internet e/o su una rivista, o come candidatura spontanea, il c.v. è considerato dai selezionatori un vero e proprio biglietto da visita del candidato (Peruzzi, 2002, 10). Il c.v. deve rispecchiare il carattere del suo autore: pertanto, è importante che espli- citi bene, in due pagine al massimo, informazioni anagrafiche e relative al percorso formativo, l’obiettivo professionale e i risultati raggiunti. Logica conclusione di tutto ciò è che saper scrivere con accortezza un c.v. è un’ – abilità che, se sviluppata, può contribuire ad agevolare la ricerca e la conquista di un posto di lavoro. A tal fine è necessario sapersi descrivere in considerazione degli specifici bisogni e interessi di chi lo legge che devono essere individuati, parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 55 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 56 anche se in prima approssimazione, già durante l’impostazione del c.v. e approfon- diti poi durante il colloquio (Adani, 2003a, 25). La Commissione Europea ha proposto uno specifico modello di c.v. da utilizzare. L’obiettivo è favorire una maggiore chiarezza e trasparenza delle informazioni che potranno essere gestite meglio anche dalle banche dati europee. Per quanto riguarda i candidati, il modello si propone di aiutarli a valorizzare la – professio- nalità acquisita e a comunicarla efficacemente. Per ora si tratta solo di un suggeri- mento, ma è prevedibile che presto tutte le strutture interessate dovranno adottarlo (Adani, 2003b, 141). Bibl.: PERUZZI M. (Ed.), Lavoro e pensioni, Milano, Il Sole 24 Ore, 2002; ADANI L., Il lavoro è tuo! Guida al colloquio di assunzione, Milano, ETAS, 2003a; ID., Curriculum! Le regole da seguire, gli errori da evitare, i modelli più efficaci in italiano e in inglese, Milano, ETAS, 2003b; S.A., Curriculum vitae e colloquio di lavoro, in http://www.studenti.it/partner/cliccalavoro/utilita/curriculum.php, 05/03/2004; S.A., Cos’è e come si fa il curriculum vitae, in http://www.studenti.it/partner/cliccalavoro/ utilita/curriculum.php, 05/03/2004. R. Paggi DECISIONE – Orientamento; – Sviluppo professionale; – Motivazione; – Prevenzione; – Accoglienza DESTINATARI I d. della – FP si suddividono in due macro-categorie, i “soggetti individuali” e quelli “istituzionali”, a loro volta ripartiti in più sottocategorie. 1. Tra i “soggetti individuali” si possono ricordare: a) gli studenti e gli allievi del sistema educativo di istruzione e di formazione e dell’università; b) i giovani inoccupati/disoccupati e/o a rischio di esclusione; c) gli adulti occupati, a bassa soglia di qualificazione e/o a rischio di espulsione, disoccupati, in cassa integra- zione, in mobilità, in riconversione; d) coloro che appartengono alle fasce deboli del – sistema produttivo (donne, immigrati, portatori di – handicap, drop-outs, giovani a rischio di devianza, detenuti). Appartengono tra l’altro alla categoria dei “soggetti pubblici”: a) il sistema educativo di istruzione e di formazione; b) il sistema produttivo; c) le istituzioni; d) i servizi socio-assistenziali; e) le comunità (ri)educative. 2. L’obiettivo di fondo è quello di dare a tutti – “pari opportunità” nel soddisfare la domanda di – formaz. proveniente dal territorio, finalizzata: a) all’ – accompa- gnamento, inserimento e reinserimento nel – mondo del lavoro (sportello infor- mativo, orientamento, tutoring, ecc.); b) all’attività di – prevenzione attraverso forme di animazione socio-culturale (associazionismo a scopo educativo, sportivo- ricreativo, ecc.), di assistenza psicopedagogia e di orientamento (counseling, parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 56 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 57 bilancio di competenze, ecc.); c) all’attività di recupero attraverso interventi (ri)educativi basati sull’ergoterapia e/o su – processi formativo-professionaliz- zanti indirizzati a soggetti a rischio (carcerati, utenti delle comunità terapeutiche e/o delle comunità rieducative, portatori di forme varie di – disagio, ecc.) e/o a segmenti deboli del sistema (portatori di handicap, giovani, donne, immigrati, ecc.); d) all’attività di – ricerca, studio, – sperimentazione (analisi dei bisogni del territorio, osservatorio ed elaborazione dati sul mercato del lavoro, incontro tra domanda formativa e offerta occupazionale, ecc.). 3. In pratica, quindi, un’attività formativa “per tutti/per tutte le stagioni della vita”, trasformata in un servizio “trasversale” alle diverse strutture/istituzioni grazie ad un’apertura a tutto campo nei confronti delle variegate utenze che fanno capo ad altrettante esigenze/emergenze del territorio, a loro volta suddivise per fasce d’età, status sociale, condizioni di vita più o meno precarie/sfavorevoli a livello psichico, sociale, formativo, comportamentale, in vista di una maturazione sia professionale che della personalità globale (valori, attitudini, interessi, ecc.). Solo prendendo in considerazione entrambi i “soggetti” (pubblici e privati) ed entrambe le componenti (professionali e della personalità) la valenza formativa della – FP contribuisce a meglio qualificare e programmare interventi formativi mirati ai reali bisogni dei differenti gruppi sociali del territorio, dal momento che l’acquisizione di una – professionalità oggi più che mai viene strettamente collegata all’investimento nella risorsa-uomo e, quindi, alla costruzione della propria – identità e di un progetto di vita personalizzato. In questa prospettiva, la FP si presenta come un processo complesso e completo al tempo stesso che, mentre per un verso attende alle diverse istituzioni pubbliche del territorio, non può non tener conto congiuntamente delle variegate sfaccettature dei suoi utenti e dei peculiari bisogni dei singoli. Da qui l’urgenza di “trasversalità” e di un lavoro di rete collaborativo, in un’ottica di superamento dei cementati confini tra pubblico e privato, tra individuo e istituzioni. Tutto questo suppone un’azione coordinata che permetta l’integrazione, in forma articolata, tra strutture forma- tive, istituzioni educative, mondo del lavoro, amministrazioni locali e risorse del territorio, al cui interno la FP si fa “anello” di interconnessione tra i bisogni del singolo utente (qualunque sia la sua categoria di appartenenza) e le istanze del territorio. Bibl.: MONTEDORO C. (Ed.), La personalizzazione dei percorsi di apprendimento e di insegnamento. Modelli, metodi e strategie didattiche, Milano, Franco Angeli, 2001; DI FRANCESCO G. - I. PITONI (Edd.), La qualità dei processi formativi. Approcci, risultati e prospettive, Milano, Franco Angeli, 2002; ISFOL, Rapporto 2002, Milano, Franco Angeli, 2002. V. Pieroni DEVIANZA – Destinatari parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 57 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 58 DIALOGO – Spiritualità dell’operatore; – Accoglienza DIDATTICA – Insegnamento; – Didattica induttiva; Moduli; – Laboratorio; – Metodologia; – Alternanza formazione lavoro; – Autonomia; – Accoglienza; – Tutor DIDATTICA INDUTTIVA Nel significato generale, la d. indica l’attività dell’insegnare; in quello più specifico dice le conoscenze relative a tale attività, identificando un’area di ricerca nell’am- bito delle scienze dell’educazione. D. perciò è quella sezione del sapere pedagogico che ha per oggetto il metodo dell’ – insegnamento, anche se è improprio affermare che d. e insegnamento siano la stessa cosa. Nell’ambito della scuola attiva, la d.i. rovescia l’impostazione della d. tradizionale (che poneva al centro la disciplina e le sue – conoscenze) centrando l’attenzione sul – processo formativo dell’allievo, considerato nella sua struttura bio-psicologica, socio-culturale e valoriale. La d.i. è un momento operativo dell’attività di insegnamento, identificabile come attività svolta intenzionalmente, in forma organizzata, generalmente nella – formaz., se- condo procedimenti ritenuti efficaci, e tendente a sviluppare, estendere, approfon- dire, modificare – abilità, conoscenze, atteggiamenti, valori negli allievi. 1. Questa d. si basa su un procedimento logico che dall’osservazione di un certo numero finito di fatti o eventi o esperienze particolari risale a principi o leggi ge- nerali. Essa si oppone alla deduzione che usa un procedimento esattamente op- posto: dal principio generale ai casi particolari. Il tipo più semplice di d.i. genera- lizza un giudizio su aspetti della realtà che sono visti dal didatta più volte e nella stessa forma. Tale giudizio generalizzante è anche alla base della formaz. del senso comune. 2. Le forme con cui la d. si esprime e i saperi che comunica sono molteplici e si esplicano in alcuni passaggi: progettare per – obiettivi, seguire un modello lineare, progettare per contenuti, progettare per concetti, progettare per situazioni, progettare per padronanze. La d.i. progetta il processo educativo per situazioni che risultano particolarmente funzionali all’– apprendimento in cui l’esperienza dell’allievo è imprescindibile. La realtà dell’allievo è determinante per le situa- zioni di apprendimento tecnico e operativo, per le esperienze di – disagio e per l’apprendimento adulto: per quelle situazioni cioè in cui l’esperienza passata va rivisitata e rimodellata per meglio affrontare l’esperienza futura. Le caratteristiche della d.i. sono: a) la progettazione avviene per situazioni, con- testi, ambienti, sfondi, ecc.; b) il focus è costituito dall’esperienza del soggetto che apprende; c) le azioni richieste all’allievo sono il saper analizzare le situazioni, parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 58 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 59 l’individuare gli elementi problematici, l’imparare ad interpretare la complessità della realtà; d) le azioni dell’insegnante devono facilitare e mediare le esperienze, provocare situazioni problematiche, sviluppare la – motivazione degli allievi; e) il processo formativo è costituito dalla – ricerca fatta insieme, senza distinzione di ruoli tra chi insegna e chi apprende (pur rispettandone le differenze); f) gli obiettivi sono identificati nei traguardi possibili, perché dipendono dalle esperienze e pos- sono cambiare se lo svolgimento didattico in itinere lo richiede; g) il parametro valutativo più importante è costituito dalla – valutazione come raccolta di giudizi personali. 3. I suoi elementi più critici sono la perdita della direzione del curricolo, la man- canza di verifica e di controllo, costi di tempo e di gestione più elevati, scarsa ef- ficienza. Gli elementi di interesse sono l’attenzione del soggetto, l’efficacia del- l’apprendimento per esplorazione, l’importanza della motivazione. Bibl.: PIU C., Nuovi orientamenti della didattica, Roma, Armando, 1996; VERTECCHI B. (Ed.), La didattica: parole e idee, Torino, Paravia Scriptorium, 1999; FRANCESCHINI G., Apprendere, insegnare, dirigere nella scuola riformata. Aspetti metodologici e profili professionali nella nuova scuola di base, Pisa, Edizioni ETS, 2000; TESSARO F., Metodologia e didattica dell’insegnamento secondario, Roma, Armando, 2002. N. Zanni DIPLOMA PROFESSIONALE – FPI; – FP superiore; – Istruzione e FP; – Personalizzazione; – Apprendistato DIRETTORE – Operatori della FP; – Équipe educativa; – Orientamento DIRITTI FORMATIVI In senso giuridico, i d.f. definiscono l’insieme delle prestazioni che assicurano il raggiungimento di un risultato, la – formaz.; mentre, da un punto di vista peda- gogico, si riferiscono al complesso delle misure rivolte a garantire la formaz. di ogni uomo, di tutto l’uomo, per tutta la vita. 1. La riflessione pedagogica. Gli anni ‘80 hanno segnato l’allargamento del diritto alla formaz., caratterizzato fino ad allora prevalentemente dai tratti della quantità, dell’uniformità e dell’unicità; tale estensione ha portato a comprendere anche gli aspetti della – qualità, della differenziazione e della – personalizzazione. Pertanto non basta assicurare l’accesso di tutti, ma è necessario garantire una formaz. di qualità, cioè processi di – insegnamento/ – apprendimento efficaci. Nella stessa prospettiva si dovrà anche contemperare eguaglianza e diversità, tutela ed eccel- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 59 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 60 lenza. Un altro orientamento è consistito nel potenziare la partecipazione alla gestione delle strutture formative di tutte le componenti perché la riduzione e l’eli- minazione delle diseguaglianze di opportunità non possono essere realizzate senza il coinvolgimento dei gruppi che soffrono direttamente dell’impatto delle disparità. Il concetto di diritto alla formaz. mentre si è esteso e diversificato sul piano dei con- tenuti, ha dato vita, in riferimento ai soggetti tutelati, a principi autonomi. In propo- sito si possono ricordare quello dell’eguaglianza fra i due sessi; la formaz. inter- culturale che consiste nella messa in rapporto delle culture, nell’interfecondazione, mentre esclude l’assimilazione; l’integrazione degli handicappati (– handicap e FP), che significa rispondere ai bisogni di tutti gli allievi e di ciascuno, dare risposte differenziate perché gli allievi sono diversi e fornirle all’interno dell’offerta for- mativa ordinaria. Comunque, il cambiamento più profondo sul piano pedagogico consiste nell’accettazione mondiale della strategia della formaz. permanente. Qui mi limito a ricordare che essa significa garantire la formaz. di ogni uomo, di tutto l’uomo, per tutta la vita. 2. I risvolti giuridici. Lo sbocco finale è rappresentato dalla L. 53/03, la cosid- detta “Riforma Moratti”, che all’art. 2., comma 1, lettera c) assicura a tutti “il diritto all’istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età” nel quadro della promozione dell’“apprendimento in tutto l’arco della vita” – art. 2., comma 1, lettera a). Inoltre, la L. costituzionale 3/01 all’art. 117, lettera m, colloca la formaz. tra quei diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il terri- torio nazionale e per i quali lo Stato è chiamato a determinare i livelli essenziali delle prestazioni. Bibl.: MALIZIA G., “Diritto all’educazione”, in J.M. PRELLEZO - C. NANNI - G. MALIZIA (Edd.), Dizio- nario di scienze dell’educazione, Leumann (TO)/Roma/Torino, ElleDiCi/LAS/SEI, 1997, 303-304; Rapporto del Gruppo Ristretto di Lavoro costituito con D.M. n. 672 del 18 luglio 2001, in “Annali dell’Istruzione” 47 (2001) 1/2, 3-176; CNOS-FAP (Ed.), Accreditamento della sede orientativa, Roma, CNOS-FAP, 2002. G. Malizia DISABILITÀ – Handicap e FP DISAGIO Il d. è un termine generico che spesso viene usato per descrivere condizioni indivi- duali e condizioni sociali di carenza di benessere. Il d. indica una mancanza, una condizione di difficoltà in cui si trova un individuo e che si evidenzia attraverso manifestazioni diverse che tendono ad isolare o ad escludere il soggetto dalla – società (esclusione sociale). parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 60 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 61 1. Questa difficoltà può scaturire da problematiche collegabili alla sfera personale, relazionale o professionale dell’individuo. Pertanto, intervenire sul d. significa intervenire su cause che, a seconda dei casi, interessano la sfera psicologica o la sfera socio-economica, e che quindi richiedono l’affinamento di strumenti specifici di comprensione del fenomeno a livello individuale. La condizione di d. impedisce al soggetto di sfruttare al meglio il beneficio proveniente dalla partecipazione ad un’attività formativa, quindi l’analisi dei fabbisogni formativi di soggetti in con- dizione di d. deve necessariamente integrare una dimensione attenta agli aspetti psico-emotivi che possono interferire con i processi pedagogici in cui questi sog- getti vengono coinvolti. 2. La tendenza attuale, in materia di – formaz. destinata a pubblici in condizione di d., consiste nel valutare la capacità del soggetto ad accogliere proficuamente l’inter- vento formativo. Tale processo può essere equiparato, in materia di occupazione, all’azione di incremento dell’occupabilità di un soggetto che non presenti le con- dizioni richieste per l’inserimento nel mondo lavorativo, e che debba quindi creare le condizioni minime per aspirare a un posto di – lavoro. In alcuni Stati della UE (Francia, Regno Unito), si sta diffondendo una prassi che tende a intervenire sulle situazioni di d. individuale a monte di qualsiasi percorso formativo, al fine di per- mettere al soggetto di ottimizzare l’esperienza formativa successiva. Bibl.: SARACENO C., Glossario del disagio, in “Esclusione Sociale” 1 (1993), 21-25; HUSKINS J., Quality work with young people. Developing social skills and diversion from risk, Manchester, 1996; CREPET P., Non siamo capaci di ascoltarli. Riflessioni sull’infanzia e sull’adolescenza, To- rino, Einaudi, 2001. A. Felice DISCIPLINA – Didattica induttiva; – Nuove tecnologie DISOCCUPAZIONE – Sociologia del lavoro; – Bisogni formativi; – Economia e formazione; – Esclusione sociale; – Finanziamenti per la FP; – Impresa; – Servizi per l’im- piego; – Bisogni formativi DOMANDA E OFFERTA DI LAVORO – Economia e formazione; – Mercato del lavoro; – Bisogni formativi DOMANDA FORMATIVA – Bisogni formativi; – FP: sviluppo storico; – CFP; – Destinatari parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 61 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 62 DON BOSCO E LA FP Nel periodo 1853-1862, don Bosco (1815-1888) [= DB] – fondatore della Società Salesiana (1859), dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice (1872) e dei Coope- ratori Salesiani (1876) – organizzava a Valdocco, nella periferia della città di Torino, sei – laboratori: calzolai, sarti, legatori, falegnami, tipografi, fabbri. Con l’aiuto dei collaboratori, le opere per giovani artigiani si trasformarono progressiva- mente in istituti di – FP. I suoi rapporti con il “mondo del lavoro” erano cominciati molti anni prima. 1. Esperienze di lavoro manuale. Nato ai Becchi (Catelnuovo d’Asti) in una famiglia contadina, Giovanni Bosco riceve la prima – formaz. in contesto socio-economico rurale. Ancora ragazzo, alterna “lo studio e la zappa” e diviene garzone di campagna presso una famiglia agiata. Allorché frequenta grammatica, umanità e retorica nelle scuole di Chieri, dedica alcune ore del giorno al – lavoro come apprendista sarto e come “caffettiere e liquorista”. Mentre compie gli studi di filosofia e di teologia nel seminario, mette a disposizione dei compagni le sue abilità pratiche: fare berrette da prete, cucire o rappezzare abiti per chi ne ha bisogno. Ordinato sacerdote, ha i primi contatti con ragazzi immigrati dai campi o dalla montagna alla ricerca di un lavoro in città e con giovani carcerati. Nel 1841, DB si inserisce con originalità nel movimento degli oratori. Riferendosi alle origini dell’opera, scrive nelle sue Memorie dell’Ora- torio: “In generale l’Oratorio era composto di scalpellini, muratori, stuccatori, sel- ciatori, quadratori e di altri che venivano di lontani paesi”. 2. I laboratori artigiani. Sensibile ai bisogni del tempo, DB fa la scelta dei giovani, “soprattutto i più poveri e abbandonati” e organizza a Torino un piccolo “ospizio” per quelli che non hanno “né vitto, né vestito, né alloggio”. Desiderando poi di avviarli allo studio e al lavoro, invia i ricoverati in città; li visita nei cantieri e nelle botteghe; firma – contratti di lavoro con i padroni. Costatando però i pericoli mo- rali a cui i ragazzi vanno incontro, crea i propri laboratori. In questo settore, egli non segue i modelli scolastici statali: “Tra l’antico modo di stabilire rapporti di lavoro tra capo d’arte padrone di bottega con gli apprendisti e il nuovo modello della scuola tecnica prevista dalle legge organica sull’istruzione, preferì percorrere la sua terza via: quella cioè dei grandi laboratori di sua proprietà, il cui ciclo di produzione, di livello popolare e scolastico, era anche un utile tirocinio per i gio- vani apprendisti” (Stella, 1880, 248). L’iniziativa attuata a Valdocco per giovani disoccupati, alcuni usciti dal carcere, in gran parte analfabeti, si inseriva tra le opere “private” originate in un clima di nuova attenzione all’istruzione del popolo ed era finalizzata alla creazione di officine destinate ai giovani apprendisti. L’av- viamento dei laboratori non riuscì un’impresa facile: difficoltà economiche; pro- blemi disciplinari (facilitati dal crescente numero di ragazzi – 400 fin dagli anni settanta – in ambienti piuttosto ristretti in cui si trovano talvolta anche giovani por- tati “dall’autorità di pubblica sicurezza”); ricerca di un equilibrio tra il programma di cultura generale e la pratica dell’ – apprendistato del mestiere. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 62 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 63 3. Dall’apprendistato alle scuole professionali. Fin dagl’inizi dei laboratori, l’in- tento di DB fu quello di preparare i giovani apprendisti a “guadagnarsi onestamente il pane”, senza trascurare tuttavia le “cognizioni utili ed opportune per esercitare la sua arte”. Negli anni ottanta del sec. XIX, il tema si inseriva in una situazione sociale mutata. Nei documenti emanati dai responsabili della politica scolastica si cominciava a parlare di scuole di “arti e mestieri”; nuovi stimoli e richieste pro- venivano dal mondo del lavoro. Nel 1883, il Capitolo Generale (supremo organo legislativo) della Società salesiana studiò il tema: “Indirizzo da darsi alla parte operaia nelle case salesiane”. Approfondita la questione negli incontri del 1886, presieduti da DB, è ribadito che le finalità delle case salesiane aperte ai giovani artigiani non si esauriscono nell’assicurare agli allievi “un mestiere onde guada- gnarsi onoratamente il pane della vita”, ma si propongono che essi “siano bene istruiti nella religione ed abbiano le cognizioni scientifiche opportune al loro stato”. Di conseguenza, “triplice deve essere l’indirizzo da darsi alla loro educa- zione: religioso-morale, intellettuale e professionale” (Delib., 1887, 8). Per garan- tire lo sviluppo fu creata la carica di “consigliere professionale generale”. Ancora in vita DB, oltre a quello di Valdocco, furono aperti altri istituti (laboratori, talleres, case di artigiani, escuelas de artes y oficios, écoles d’arts et métiers) in Italia (Sampierdarena) e all’estero (Francia, Argentina, Spagna). Nella successiva opera di riflessione, di sviluppo e di progressiva trasformazione è stato decisivo – accanto all’impulso iniziale di DB – il contributo dei suoi collaboratori, in parti- colare di G. Bertello (1848-1910). “I primitivi laboratori vennero trasformati in vere e proprie scuole professionali strutturate in modo da offrire ai giovani una formaz. completa che permettesse di farne buoni cristiani, dei cittadini coscienti e di lavoratori qualificati” (Di Pol, 1984, 81). Nelle ultime decadi, i centri di FP hanno trovato terreno fertile nei Paesi in via di sviluppo. Ma anche in essi si presentano nuove sfide causate dalla crescente introduzione della tecnologia avanzata nell’industria e nei servizi: l’efficacia educativa e formativa dei centri esistenti; la capacità di ogni centro di assumere le crescenti spese di manuten- zione e di riqualificazione; la possibilità reale di inserire i giovani allievi nel mondo del lavoro; la presenza di personale competente, salesiano e laico. Recenti statistiche evidenziano il sostenuto incremento delle nuove fondazioni, nonostante le difficoltà accennate. Nel 1995, le scuole professionali salesiane erano 312; le scuola agricole, 44; i corsi di qualificazione per adulti, 84; con un totale di 120.011 allievi. Nel 2002: scuole professionali 367; scuole agricole, 46; corsi di qualificazione per adulti, 107; con un numero complessivo di 167.426 allievi (Dati statistici, 2002, 66). Il recente Congresso Europeo promosso dal Dicastero per la Pastorale Giovanile (Roma, 2001) ha riproposto (Doc. finale), nella pro- spettiva del nuovo millennio, i tratti/compiti essenziali della scuola/FP salesiana: vocazione educativo-evangelizzatrice; scelta dei ragazzi/ragazze più poveri e in difficoltà; comunità educativa (– comunità educativo formativa) con “un marchio di qualità che la distingue: il sistema preventivo”; apertura e inserimento nel terri- torio; attenzione al mondo del lavoro; volto multiculturale e multireligioso. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 63 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 64 Bibl.: DI POL R.S., L’istruzione professionale popolare a Torino nella prima industrializzazione, in Scuola, professioni e studenti a Torino. Momenti di storia dell’istruzione, Torino, C.S. sul Giorna- lismo Piemontese, 1984; ROSSI G., L’istruzione professionale in Roma capitale: le scuole professio- nali dei Salesiani al Castro Pretorio (1883-1930), Roma, LAS, 1996; PANFILO L., Dalla scuola di arti e mestieri di don Bosco all’attività di formazione professionale (1860-1915). Il ruolo dei sale- siani, Milano, LES, 1976; PRELLEZO J.M., La “parte operaia” nelle case salesiane. Documenti e testimonianze sulla formazione professionale (1883-1886), in RSS 16 (1997) 353-391; LA SOCIETÀ DI SAN FRANCESCO DI SALES, Dati statistici GG25, Roma, Dir. Gen. Opere Don Bosco, 2002; STELLA P., Don Bosco nella storia economica e sociale (1815-1870), Roma, LAS, 1980; VAN LOOY L. - G. MALIZIA (Edd.), Formazione professionale salesiana. Indagine sul campo, Roma, LAS, 1997, 19-51. J. M. Prellezo DONNE – Pari opportunità; – Destinatari DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA – Insegnamento sociale della Chiesa; – Enti di FP; – Ispirazione cristiana della FP; – Spiritualità dell’operatore DROP-OUT – Abbandono; – Destinatari ECONOMIA E FORMAZIONE Nel campo delle scienze sociali, il tema dello sviluppo è sempre stato considerato con particolare attenzione, tanto da assurgere a chiave esplicativa dei fenomeni di mutamento sociale, a partire dall’idea dell’ineluttabilità della modernizzazione del secondo dopoguerra e degli anni del “boom economico”, passando per lo smantella- mento di tale concezione a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70, per giungere al rinnovato interesse per le più recenti prospettive che si giocano in equilibrio tra spinte globali e dimensione locale. Anche il nesso che lega i temi dell’e. e della – formaz., dunque, si è dipanato, nell’ambito della riflessione sociologica, soprattutto a partire dal rapporto insistente tra il sistema di – istruz. e la crescita economica e lo svi- luppo, nel quale ai fattori di ordine economico si associano fattori di natura socio- culturale e, oggi, anche ambientale. In particolare, l’evoluzione di tale rapporto è contraddistinta da alcune fasi peculiari, che in parte riflettono il percorso – contrassegnato dall’alternarsi di momenti di ottimismo e pessimismo – compiuto dall’idea stessa di sviluppo economico. 1. In primo luogo, è possibile evidenziare – negli anni ‘50 e nei primi anni ‘60 del sec. scorso – una fase di ottimismo di chiaro rimando funzionalista ed economicista, tendente ad individuare nell’istruzione uno strumento di progresso sociale e di cre- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 64 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 65 scita economica incentrata sulla teoria del “capitale umano”. Alla luce di tale teoria, l’investimento in formaz. sulle – risorse umane, al pari degli investimenti in strut- ture e impianti, sarebbe in grado di determinare aumenti di produttività e, conse- guentemente, di reddito. Il carattere funzionalista di questa visione si esprimerebbe appunto nella tendenza ad identificare il sistema di istruzione come “funzionale” alle esigenze del sistema economico-produttivo, determinando un rapporto di cor- rispondenza tra l’offerta formativa e i fabbisogni professionali delle aziende; allo stesso modo, il grado di sviluppo economico di un Paese avrebbe trovato un ri- scontro nel livello medio di istruzione della sua popolazione. 2. La seconda fase rimanda all’età della cosiddetta “contestazione”, collocabile a cavallo tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ‘70. In questo periodo, il successo delle teorie conflittuali mette fortemente in dubbio l’efficacia dei sistemi di istruzione, giudicati come strumenti di conservazione e riproduzione della struttura sociale e culturale vigente. D’altro canto, i dominanti paradigmi di orga- nizzazione del – lavoro di stampo taylorista-fordista – con il venire meno delle esigenze di professionalizzazione, evidentemente ristrette soltanto ai pochi spe- cialisti che avrebbero assunto il ruolo di coordinamento delle strutture lavorative – rendevano meno evidente la corrispondenza tra output del sistema scolastico e fabbisogni del – sistema produttivo. È tuttavia in questi stessi anni che, proprio innestandosi sui paradigmi taylorismi-fordisti, iniziano a moltiplicarsi le rifles- sioni critiche circa il tema della qualità del lavoro o, come meglio è stato deter- minato dalla letteratura anglosassone, di quality of working life, espressione uti- lizzata per indicare un complesso intreccio di interessi congiunti appannaggio del lavoratore, del datore di lavoro, della comunità. In tale quadro, tra i criteri che definiscono la qualità della vita di lavoro di un individuo comparirebbe quello afferente l’opportunità di utilizzare, ma anche di sviluppare, in modo costante le proprie – capacità. 3. Tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘80, la terza fase è contrassegnata da un rinnovato interesse per la formaz., interesse sospinto soprattutto dal pro- gressivo aggravarsi del problema della disoccupazione, tanto giovanile quanto adulta, ma anche dal deficit di coerenza tra – politiche formative e politiche del lavoro. Sul finire degli anni ‘80, e sempre di più nel corso degli anni ‘90, si fa largo una quarta fase che assegna un ruolo centrale alla formaz. in rapporto alle politiche del lavoro, nel contesto di un rinnovato ottimismo nei confronti delle potenzialità dell’istruz. quale motore dello sviluppo economico. Del resto, la pro- gressiva globalizzazione dei mercati rende maggiormente edotti circa il fatto che l’innalzamento del livello di istruz. possa elevare la capacità concorrenziale, ed inoltre possa contribuire sia ad arginare il fenomeno della disoccupazione, sia a ridurre i rischi di – esclusione sociale. La condizione di partenza è che la compe- tizione globale è più sulla qualità dei prodotti che sui prezzi; che la qualità dei prodotti è legata alla qualità del lavoro, la quale, nella – società della conoscenza, si fonda sull’istruz. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 65 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 66 È in questo contesto che si arriva a ipotizzare la possibilità di misurare la varia- zione del prodotto interno lordo in relazione alla crescita (o mancata crescita) dei livelli di istruz. della popolazione attiva. Bibl.: BLAUG M., An Introduction to the Economics of Education, London, The Penguin Press, 1970; QUADRIO CURZIO A., Investimenti in istruzione e sviluppo economico, Bologna, Il Mulino, 1973; BOURDIEU P., “The Forms of Capital”, in J.G. RICHARDSON (Ed.), Handbook of Theory and Research for the Sociology of Education, New York, Greenwood, 1986; LODIGIANI R., La forma- zione e lo sviluppo, Milano, Vita e Pensiero, 1999; DELORS J., Nell’educazione un tesoro. Rapporto all’UNESCO della Commissione internazionale sull’educazione per il XXI secolo, Roma, Armando, 2000; CIPOLLA C.M., Istruzione e sviluppo. Il declino dell’analfabetismo nel mondo occidentale, Bologna, Il Mulino, 2002. M. Colasanto EDUCATORE – Équipe educativa; – Insegnamento sociale della Chiesa; – Metodologia; – Personalizzazione; – Spiritualità dell’operatore EDUCAZIONE In senso generale, con e. si intende una particolare attività umana, connessa a de- terminate figure e a ruoli particolari, come genitori, maestri, insegnanti, sacerdoti, istitutori, educatori, all’interno di un rapporto interpersonale particolare, e rivolta a nutrire, curare, formare individui della generazione in crescita. È senz’altro l’uso più antico del termine. Oggi, per un verso, si fa riferimento ad un sistema, vale a dire ad un insieme di strutture, istituzioni, persone, procedure sociali, per lo sviluppo sano, l’istruz. e la – formaz. iniziale e permanente di tutti e ciascuno dei membri del corpo sociale. Per altro verso, si tende ad accentuare l’aspetto di autoformaz. Più che ad un atto si pensa ad un processo coestensivo all’esistenza (– e. permamente). La L. 53/03 (cosiddetta, L. Moratti) parla di sistema educativo inglobante l’istruz. e la – FP, in prospettiva permanente. Però non è raro che l’e. sia ancora da molti intesa quasi come equivalente a scuola e a processi d’istruz. scolastica. L’etim. è incerta: tra “educare” (= allevare, coltivare) ed “educere” (= tirar fuori, sviluppare). È sinonimo di sviluppo, crescita, formaz., socializzazione, incultu- razione, istruz., – insegnamento, addestramento, aggiornamento (– FP continua); evoca ambienti istituzionali particolari come la – famiglia, la scuola, i – CFP, le chiese, i gruppi, le – associazioni, i movimenti, ma investe anche la responsabilità sociale nel suo complesso. 1. J.J. Rousseau (fine sec. XVIII), nel primo cap. dell’Emile, afferma che ciascuno di noi è formato da tre specie di maestri: dalla natura (= le tendenze interne bio- psichiche di ognuno); dagli uomini (= persone che ci insegnano come svilupparci); e dalle cose (= l’esperienza personale nell’interazione con gli oggetti). Dopo gli parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 66 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 67 anni ‘20, i pedagogisti cominciarono a distinguere tra e. intenzionale ed e. funzio- nale. Con la prima, si intende quella serie di azioni e interventi voluti e specifici, predisposti secondo un certo ordine metodico e posti da chi ha compiti e responsa- bilità educative, individualmente e/o collettivamente, in vista di favorire e promuo- vere una buona formaz. Con la seconda, s’intendono le incidenze più svariate sulla personalità in sviluppo, che sortiscono senza piano né scopo dalle forze socio- culturali, politiche, economiche, dall’ – ambiente naturale, dai grandi avvenimenti storici e dai piccoli accadimenti quotidiani, ecc. Oggi si parla piuttosto di e. infor- male (= le influenze dell’ambiente e delle dinamiche dell’interazione sociale), di e. diffusa (= iniziative od occasioni istituzionali o contestuali con vasta risonanza for- mativa, come quelle che vengono dall’organizzazione dello sport, dal mondo della comunicazione sociale, del divertimento, dai gruppi di pari o dall’associazio- nismo), di e. formale (= iniziative appositamente messe in atto da quello che viene detto il sistema sociale di e.) e di e. non formale (= quelle azioni intenzionalmente educative, ma messe in atto senza troppo badare alla sistematicità, alla sequenzia- lità programmata o alle verifiche controllate di esse, come capita molte volte nell’e. familiare o nei gruppi spontanei, rispetto all’e. scolastica o a quella di corsi di studio o di FP). 2. Quel che appare abbastanza evidente è che la crescita personale e la sua formaz. impegnano istituzioni e persone in una vasta gamma di azioni (= azioni formative). All’interno di esse, l’e. sembra caratterizzarsi per l’attenzione alla globalità e alla unitarietà della vita personale. Proprio per questo, ha da tener conto dell’intera sfera di aspetti e di rapporti di cui è intessuta la vita umana (in tal senso si parla di e. fisica, psichica, intellettuale, morale, estetica, religiosa, tecnico-professionale, ecc.). Ma l’e. trova il suo “proprio”, cioè la sua modalità diretta e specifica, quando opera per la strutturazione organica della personalità umana e del suo com- portamento storico, cosciente, libero, responsabile e solidale. In tal senso vengono ad essere qualificate educativamente le altre attività formative (l’ – apprendi- mento, l’ – insegnamento, la FP, la socializzazione, l’inculturazione, l’addestra- mento, l’allevamento, il sano sviluppo biopsichico): in modo tale che l’essere umano sano, colto, socializzato, competente, professionista sia persona e viva autenticamente la propria vita. Ma è evidente che a questo livello risulta preponde- rante l’influsso delle concezioni che si hanno del mondo e della vita e più in par- ticolare dell’immagine che si ha dell’uomo e del suo destino: perché educare, in fondo, è aiutare a crescere in “umanità”, suscitare la “genesi della persona”, “iniziare” all’agire libero e responsabile, eticamente valido, operativamente capace, socialmente giusto e solidale. 3. Per tutto ciò, l’e. è tra le pratiche sociali fondamentali della vita comunitaria. Le pratiche educative – cioè l’aiuto sociale alla formaz. generale e specifica dei membri del corpo sociale, codificato culturalmente in consuetudini, norme e meto- dologie più o meno socialmente condivise – sono parte essenziale della vita e della cultura di ogni – società. L’e. è considerata uno dei diritti umani fondamentali e a parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 67 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 68 livello internazionale è intesa come un punto essenziale per uno sviluppo sosteni- bile, equo e di qualità. Peraltro, le novità socio-culturali (globalizzazione, multi- cultura, post-modernità) e scientifico-tecnico (mass-media, internet, informatica, telematica, biotecnologie, ecc.), che caratterizzano questo inizio del sec. XXI, richiedono un’incisiva riforma dell’e. in tutto il mondo. Bibl.: DELORS J. (Ed.), Nell’educazione un tesoro, Roma, Armando, 1997; NANNI C., Educazione e pedagogia in una cultura che cambia, Roma, LAS, 1998; BERTAGNA G. et al., Processi educativi e progettualità pedagogica, Torino, Tirrenia Stampatori, 1998; MORIN E., La testa ben fatta, Milano, Raffaello Cortina, 2000; MORIN E., I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Milano, Raffaello Cortina, 2001. C. Nanni EDUCAZIONE FORMALE – Educazione; – Alternanza formazione lavoro EDUCAZIONE INFORMALE – Educazione EDUCAZIONE INTERCULTURALE La denominazione e.i. è divenuta molto comune, ma recenti ricerche, anche a li- vello europeo, hanno rilevato la scarsa conoscenza dei suoi principi fondamentali anche tra educatori, insegnanti e responsabili di politiche educative. È importante, pertanto, precisare gli elementi essenziali a livello semantico ed epistemologico. Oggi viviamo nella società multiculturale, che è chiamata a costruire modelli di convivenza rispettosi della diversità. Non si tratta soltanto di riconoscere o accettare il multiculturalismo, ma di attrezzarsi per la conoscenza del mondo del- l’altro, di acquistare consapevolezza della diversità e complessità dell’incontro tra persone con matrici culturali, percettive e valutative differenti. L’e.i., in questa situazione, diventa un – obiettivo, una prospettiva ideale, un programma di lavoro. Nel prefisso “inter” si evidenzia l’apertura, l’interazione, lo scambio, la reciprocità, ecc. Tutto questo non va solo elaborato a livello teorico ma va attuato attraverso l’interazione concreta di soggetti portatori di culture diverse. Lo svi- luppo e la promozione dell’e.i. (rivolta a tutti, immigrati e autoctoni) deve aiutare ciascun soggetto portatore di cultura a riconoscere l’alterità e la differenza e a divenire capace di vivere in una – società plurale. 1. L’e.i. è una prospettiva pedagogica (teorica e pratica) globale per le situazioni sociali multiculturali. Essa deve aiutare a saper vivere insieme nel rispetto dell’i- dentità culturale di ciascuno e promuovere una qualità di convivenza. Non si tratta, tuttavia, di qualcosa di semplice. Il problema di fondo è come mettere in contatto, parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 68 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 69 in interazione le differenze. È necessario che si tenda a un’accettazione incondi- zionata della popolazione immigrata per farla diventare protagonista, con la popo- lazione locale, del cammino verso una nuova condizione comune. Il passaggio da realizzare, sia per gli immigrati che per i locali, è quello dalla costrizione dell’ac- cettazione dello stato di fatto (= la novità che si è prodotta), all’apertura e alla con- sapevolezza del nuovo, attraverso un processo graduale che consenta un vero “ap- prendimento interculturale”. Per condividere un cammino è necessario esplorare differenze e somiglianze, far cadere i muri geografici e ideologici, scoprire “la grammatica delle civilizzazioni” e partecipare ad un rinnovato sforzo comune di ricerca di senso, elaborando nuove regole aperte all’intera umanità. La ped. non basta per l’obiettivo interculturale della convivenza. La società multiculturale non si confronta soltanto con problemi educativi e di convivenza tra persone. Deve maturare la consapevolezza di essere una società nuova, chiamata a farsi carico della realtà totale delle persone che la costituiscono. L’impegno educativo culturale promuove ed elabora un ethos civile comune, educa alla convivenza pacifica, aiuta a saper vivere insieme; aiuta a riconoscere la legittimità delle differenze. 2. L’e.i. è un modello educativo che accompagna i soggetti alla realizzazione di una specifica identità, ma nello stesso tempo aperti alla diversità e capaci di rap- portarsi a un orizzonte mondiale. Nella società multiculturale, l’e.i. diviene prin- cipio base sul quale fondare l’intero processo educativo e l’orizzonte di tutto il – processo formativo. In questo processo si realizzerà l’affascinante avventura di connettere “identità e differenza”, “locale e globale”, “specificità delle proprie radici e capacità di ibridazione”. Si potrà così elaborare un sistema aperto di – identità personale e sociale che potrà far maturare attitudini nuove alla mondialità, aprire alla – cittadinanza planetaria. Bibl.: SILVA C., Educazione interculturale: modelli e percorsi, Tirrenia (PI), Edizioni del Cerro, 2002; TORIELLO F., Educare in prospettiva interculturale, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2002; ORLANDO V. (Ed.), Educare nella multicultura, Roma, LAS, 2003. PORTERA A. (Ed.), Pedagogia interculturale in Italia e in Europa. Aspetti epistemologici e didattici, Milano, Vita e Pensiero, 2003. V. Orlando EDUCAZIONE NON FORMALE – Educazione EDUCAZIONE PERMANENTE E. e/o formaz. p. è espressione divenuta punto nodale del dibattito politico-pedago- gico degli ultimi 50 anni. In realtà, il concetto e la pratica appartengono allo storia mondiale dell’ – educaz. senza scansioni temporali. L’uomo da sempre ha sentito il bisogno naturale di continuare per tutta la vita a crescere in esperienza, cono- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 69 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 70 scenza e saggezza. La storia registra una ricca fenomenologia di modalità, nate per esigenze di sopravvivenza fisica, e di perfezionamento professionale, culturale, spirituale. La novità, quindi, non è nella sostanza, ma in una diversa presa di co- scienza circa la necessità e l’urgenza di un impiego istituzionale per fronteggiare mutamenti politici, sociali, economici, culturali di vasta portata. 1. Per capire le dinamiche di trasformazione del concetto di e.p., e le metodologie messe in atto per tradurle in concreto occorre menzionare primariamente l’azione svolta dai grandi organismi sopranazionali: hanno acceso il dibattito, imposto chia- rificazioni concettuali, orientato le scelte politiche. L’UNESCO, il Consiglio d’Eu- ropa, l’OCSE e gli Organismi Comunitari proposti alle politiche formative hanno sollecitato eventi significativi e diversificati in – obiettivi e metodi: conferenze mondiali con attenzione ai problemi sociali e alle – pari opportunità, anche di ge- nere (l’UNESCO); i simposio intesi a favorire lo sviluppo culturale della comunità, la crescita della partecipazione democratica e la creazione di – reti per lo scambio di esperienze (Consiglio d’Europa); ricerche ed esperienze per la messa a punto di alternanze scuola-lavoro, e, centrale, il problema dell’inserimento e permanenza nella vita attiva (OCSE); – FP e problemi connessi di ordine economico, sociale, occupazionale, tecnologico e culturale (gli Organismi Comunitari). La formaz. in età adulta, tematizzata come problema di alfabetizzazione, è la categoria su cui prioritariamente si è concentrata l’attenzione. L’alfabetizzazione, intesa nelle sue molteplici accezioni, esprime la complessità intesa nella realtà dell’e.p., non assunta in senso strumentale, ma come chiave funzionale alla crescita personale e alla con- seguente capacità di partecipazione alla vita produttiva e comunitaria, come lifelong education. 2. I nodi da affrontare oggi sono ancora molti, le soluzioni difficili. Implicano in- nanzitutto la trasformazione radicale di tutte le metodologie formative. Presuppon- gono superata la logica del segmentare a livelli (continuità come tempo della vita dell’uomo), e quella di compartimentare in ambiti, dove prevale l’attenzione al pro- duttivo (continuità nello spazio come superamento della rigida divisione tra formale e non formale, ma anche come spazio geografico e umano che assomma le istanze di tutti). La trasformazione dei ruoli, nel mondo della produzione e dei servizi, esige sinergia tra funzioni, relazioni, motivazioni, qualità etiche. Indispensabile declinare sempre la FP sui processi di – apprendimento per la centralità del soggetto e delle sue capacità di rispondere alle nuove richieste del mondo del lavoro quali profili poliedrici e flessibili, e persone motivate e partecipi. Ma ciò non basta. La vera sfida oggi è coniugare le esigenze della competitività mondiale, che richiede più alti livelli di formaz. scientifico-tecnica, con le garanzie di sicurezza sociale, con il diritto alla crescita culturale e comunitaria. In sintesi, l’aggettivazione p., ossia du- ratura, esprime bene ciò che attiene all’uomo in quanto tale, di là dalle sue concrete manifestazioni, dai suoi atteggiamenti, dalle sue attività connesse al ruolo e allo status; l’uomo accolto e rispettato come essere personale, unico e irripetibile, nel suo valore e nella sua dignità. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 70 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 71 Bibl.: CONSEIL DE L’EUROPE, Education permanente, Strasburgo, 1970; LENGRAND, P., Introduzione all’e.p., Roma, Armando, 1973; SCHWARTZ B., L’educazione domani, Firenze, La Nuova Italia, 1977; LORENZETTO A., Verso un ecosistema educativo. Società/Ambiente/Progetto, Roma, Studium, 1988; UNESCO, Education for All: An Expanded vision, Paris, UNESCO, 1992; OCSE, Apprendere a tutte le età, Roma, Armando, 1997. C. Di Agresti EDUCAZIONE TECNICO - PROFESSIONALE – Educazione EFFICACIA L’e. consiste nella convinzione del soggetto di possedere delle – abilità richieste per un determinato compito. L’A. del costrutto è Albert Bandura (1986) che l’ha elaborato nell’ambito della teoria sociale cognitiva e lo ha denominato self-efficacy che può essere tradotto con autoefficacia. Con il prefisso self, si vuole sottolineare che il soggetto è l’agente primario dell’attività. 1. Definizione. Bandura distingue tra l’e. delle aspettative individuali e il risultato o l’esito delle aspettative. L’e. delle aspettative si riferisce alla convinzione del soggetto di poter riuscire in un determinato compito; le aspettative sull’esito con- sistono nella sua convinzione che un determinato comportamento produrrà un effetto. Dall’e. dipenderà se un soggetto sceglierà un’attività, quanto sforzo svi- lupperà per superare gli ostacoli e quanto persevererà nell’attività intrapresa per ottenere il risultato. 2. “Sorgenti”. Bandura ha descritto poi quattro “sorgenti” dell’e. La prima è la previa esperienza positiva ossia il successo nel compito; la seconda consiste nel- l’esperienza vicaria, osservando il comportamento altrui; la terza nella persuasione verbale e cioè nell’esortazione di persone importanti; la quarta negli stati affettivi costruttivi come il rilassamento e il dominio dell’ansia. 3. Applicazione. L’e. ha una vasta applicazione nei vari settori della psicologia, della sociologia e della – educ. Da essa dipendono in notevole misura varie realtà sociali importanti come il rendimento scolastico, accademico, sportivo, professio- nale, il controllo di fobie e di malattie croniche, il potenziamento delle abitudini favorevoli alla salute (regolare e sana alimentazione) e di quelle dannose (abuso di alcol e uso di droghe). Nell’ – orientamento ha avuto una considerevole applicazione nello sviluppo pro- fessionale, nella – FP e nell’effettivo lavoro. 4. Pregi. Il fatto che l’e. sia collocata nella teoria dell’apprendimento sociale la rende particolarmente utile nell’educ. Infatti, alla base di tale teoria vi è la convinzione che l’agire umano è intenzionale e finalizzato. L’uomo si prefigge delle finalità o degli– parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 71 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 72 obiettivi e organizza le sue abilità intellettive, affettive e motivazionali per raggiun- gerli. Nella conduzione di questo processo anticipa le conseguenze del suo agire e cerca di evitare tutto ciò che contrasta con il raggiungimento di tali finalità. L’e. poi può essere potenziata con le sorgenti indicate: favorendo il successo del soggetto in un determinato compito, indicandogli dei modelli da imitare e dandogli rinforzo positivo verbale o non verbale. Bibl.: BANDURA A., Social foundation of thought and action: A social cognitive theory, Englewood Cliffs, Prentice-Hall, 1986; POLÁÈEK K., Autoefficacia: Costrutto e utilizzazione, in “Orientamenti Pedagogici”, 42 (1995), 927-957; BANDURA A., Autoefficacia: Teoria ed applicazioni, Trento, Erickson, 2000. K. Poláèek E-LEARNING – Formazione a distanza EMARGINAZIONE – Disagio; – Esclusione sociale; – Metodologia; – Motivazione; – Pari oppor- tunità; – Prevenzione; – Abbandono; – Comunità educativo formativa ENTI DI FP L’e.d.FP è un’organizzazione che progetta e gestisce interventi formativi di inte- resse pubblico o privato. La L. 845/78 (L. quadro della FP), parlando della attua- zione delle attività di – FP, così precisa: l’“attuazione dei programmi e dei piani così predisposti è realizzata: (...) mediante convenzione, nelle strutture di Enti che siano emanazioni o delle organizzazioni democratiche o nazionali dei lavoratori dipendenti, dei lavoratori autonomi, degli imprenditori o di associazioni con finalità formative e sociali, o di imprese con loro consorzi, o del movimento cooperativo”. Per questo, con il termine e., nel contesto della FP, è definito chi attua interventi di FP, in particolare legati ai piani e programmi regionali di FP. 1. Tipologie degli e.d.FP. Per rispondere alle esigenze del L. 845/78 la più parte degli e. di FP si è strutturata in – associazioni, consorzi e altri e. non profit, in quanto la L. 845/78 richiede che debbano “avere come fine la FP; (...) non perse- guire scopi di lucro”. Sorgono e si consolidano e. di emanazione dei – sindacati nazionali dei lavoratori (ECAP/CGIL, IAL/CISL, ENFAP/UIL), dell’associa- zionismo sociale (ENAIP/ACLI), di istituzioni, in particolare cattoliche, legate al sociale (CNOS-FAP, salesiani; CIOFS/FP, salesiane; ENGIM, Giuseppini del Murialdo; ecc.), o di altri movimenti. Poiché l’attuazione delle attività avviene a livello regionale, la quasi totalità degli e.d.FP ha strutture operative a livello regio- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 72 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 73 nale, con responsabilità gestionali proprie. Sono perciò e. regionali riconosciuti dalle Regioni perché rispondenti ai requisiti della L. 845/78 e aventi sedi operative proprie, che dal luglio del 2003 debbono avere ottenuto l’ – accreditamento ad operare sulla base di caratteristiche fissate a livello nazionale e regionale. Si deno- minano “e. nazionali” le strutture che raggruppano e coordinano a livello nazionale e. e centri che operano associati tra di loro e che sono riconosciuti come tali secondo il dettato della L. 40/87. Tali e., di diversa importanza e presenza sul terri- torio nazionale, sono una trentina e godono di un – finanziamento nazionale per sostenere la loro opera di coordinamento. 2. Associazioni e Federazioni di e. Gli e.d.FP, a causa delle loro dimensioni tal- volta limitate, della necessità di presentarsi uniti a livello regionale e/o nazionale e per sostenere la propria identità e i propri obiettivi, si sono associati in strutture più ampie. Gli e. promossi da istituzioni di ispirazione cristiana si sono associati fin dal 1974 in una confederazione, la CONFAP (Confederazione Nazionale Forma- zione Aggiornamento Professionale), con lo scopo “di contribuire allo sviluppo della formazione, dell’orientamento e dell’aggiornamento professionale a tutti i li- velli e per tutte le categorie, mediante la promozione dei valori e delle esperienze degli enti e delle associazioni che operano nel settore secondo la tradizione di im- pegno sociale dei cattolici italiani” (Statuto, art. 2, n. 2). A livello regionale, la CONFAP è rappresentata da associazioni regionali analoghe già presenti sul terri- torio (AECA, in Emilia Romagna; ACEF, in Piemonte), o da propri organismi regionali. Nel 1999, nasce, a livello nazionale, l’associazione Forma come rag- gruppamento più ampio di e.d.FP; associa gli e. che riconoscono di ispirarsi nel loro operare alla Dottrina Sociale della Chiesa: CONFAP, ENAIP (ACLI), IAL (CISL), INIPA (Coldiretti), CIF, EFAL (MCL) e ELABORA (Confcooperative). L’insieme di tali e. gestisce sul territorio nazionale la maggior parte dell’attività formativa finanziata dalle Regioni. 3. CCNL. Gli e.d.FP sono datori di lavoro, per questo sono controparti dei sinda- cati nazionali per quanto riguarda la contrattazione e la firma del – CCNL della FP. Per partecipare alla trattativa nazionale, gli e. associati a Forma sono riuniti in un cartello, CENFOP (Coordinamento Enti Nazionali di FOrmazione Professio- nale). Forma e CENFOP hanno condotto l’ultima trattativa per il rinnovo del CCNL della FP e lo hanno firmato a nome degli associati. Alle strutture regionali di tali associazioni è affidato il compito delle trattative regionali. Bibl.: Legge 21 dicembre 1978, n. 845, Legge-quadro in materia di formazione professionale, in GU n. 362 del 30.12.1978; Legge 14 febbraio 1987, n. 40, Norma per la copertura delle spese generali di amministrazione degli enti privati gestori di attività formative, in GU n. 74 del 30.03.1987; DM 25 maggio 2001, n. 166, Accreditamento delle sedi formative e orientative, in GU n. 162 del 14.07.2001; Statuto CONFAP, in “Presenza CONFAP”, 20 (2001) 5/6, 7-15; FORMA - CENFOP - SNS CGIL - CISL SCUOLA - UIL SCUOLA, Contratto collettivo nazionale di lavoro per la formazione professionale - 1° gennaio 1998 - 31 agosto 2003, Roma, 2002. S. Colombo parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 73 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 74 É QUIPE EDUCATIVA Con l’espressione é.e. si fa riferimento a un insieme di figure (formatori, tutor, direttore, pedagogista, psicologo, educatore) che operano in modo organico, piani- ficato e coordinato all’interno del – CFP al fine di promuovere, grazie ad un im- pegno sinergico, lo sviluppo integrale della personalità degli allievi. In particolare, l’é.e. si occupa di pianificare azioni mirate sia di tipo promozionale (orientate allo sviluppo delle – capacità personali, sociali e professionali degli allievi), sia di sostegno (orientate al contenimento e al superamento di difficoltà di – apprendi- mento, di socializzazione, di adattamento). Affinché l’é.e. possa definirsi tale sono necessarie la consapevolezza dell’appartenenza, la presenza di norme condivise e l’interdipendenza dei membri che ne fanno parte. Tra le condizioni che consentono un efficace funzionamento dell’é.e. meritano di essere menzionate: la chiarezza degli obiettivi e la finalizzazione degli interventi al servizio dei singoli e del CFP all’interno di un progetto educativo esplicitato e coerente; la presenza di processi di gruppo che mantengano uno spirito di squadra (leadership e partecipazione distribuite, responsabilità individuale); il possesso di alcuni atteggiamenti e – competenze da parte dei membri componenti (empatia, capacità di unificare gli sforzi, comunicazione aperta, spinta a migliorare, flessibi- lità, fiducia in se stessi come team). Bibl.: FRIEND M. - COOK L., Interazioni. Tecniche di collaborazione tra insegnanti, specialisti e diri- genti della scuola, Trento, Erickson, 2000. A.R. Colasanti ESCLUSIONE SOCIALE L’e.s. indica la presenza di una molteplicità di fattori e di dimensioni che caratte- rizzano la condizione sociale di un individuo in un dato momento: la marginalità, la precarietà lavorativa, la solitudine, la deprivazione formativa e culturale e l’im- poverimento sono tra i più citati. L’e.s. indica un processo: esistono degli indivi- dui in stato di fragilità o di precarietà che possono conoscere o che conoscono questo processo che li esclude dalla vita collettiva, professionale e relazionale, o che li rende dei marginali. Sommatorie di problematiche sociali – famiglie con basso reddito e separate, fallimenti scolastici, assenza di – formaz., uso di sostanze stupefacenti, disoccupazione – rischiano di rendere inamovibili questi processi. La necessità di rendere la – società più inclusiva ha determinato che la lotta contro l’e.s. faccia parte dei sei obiettivi della politica sociale dell’UE, nel nuovo art. 136 dell’ordinamento dell’UE introdotto dal Trattato di Amsterdam nel 1997. In questi anni, è diventata un obiettivo prioritario per tutti gli Stati membri. L’e.s. è pertanto un fenomeno complesso che viene tenuto presente in tutti gli interventi tesi a combattere le disfunzionalità del sistema sociale di integrazione: in questi parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 74 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 75 ultimi anni, ha acquisito una forte rilevanza anche nelle nuove – politiche forma- tive, sempre più attente alla individualizzazione dei percorsi d’inserimento e alla messa in rete del percorso formativo con il contesto di riferimento del partecipante. La nuova multidimensionalità del fatto formativo, che si esprime attraverso – moduli e interventi diversificati e flessibili che partono dalla considerazione della centralità dell’allievo e dei suoi – bisogni, viene così a rappresentare anch’essa un’azione preventiva e una risposta alle problematiche dell’e.s. Bibl.: PAUGAM S. (Ed.), L’exclusion: état des savoirs, Paris, Ed. de la Découverte, 1996; OECD, Surmonter l’exclusion grâce à l’apprentissage des adultes, Paris, La Découverte, 1999; CASTRA D., L’insertion professionnelle des publics precaires, Paris, Puf, 2003. A. Felice ETICA PROFESSIONALE Per e.p. si intende l’insieme delle convinzioni e delle norme morali, che regolano l’esercizio della professione e che sono considerate, in una data – società, come universalmente vincolanti per coloro che esercitano tale professione. L’idea di una qualche forma di e.p., cioè del fatto che anche l’esercizio della pro- fessione, così come molti altri settori dell’esistenza (– famiglia, sessualità, vita so- ciale), sia soggetto a norme etiche e impegnato nella realizzazione di valori morali, è presente nella società da quando esistono le professioni. Il famoso giuramento di Ippocrate può essere considerato come una prima testimonianza di vero e proprio codice di e.p. 1. Le professioni liberali. Medicina e avvocatura sono state a lungo, non solo le più prestigiose tra le professioni liberali, ma anche quelle meglio provvedute di una specifica e.p., regolata in appositi “codici di deontologia” e imposta coattivamente dalla specifica corporazione o “ordine”, al quale i professionisti appartenevano e a cui erano vincolati. Tali codici tracciavano spesso un profilo ideale della profes- sione, e costituivano come una specie di atto di fede e. del rispettivo ordine profes- sionale. E si capisce il perché: l’esercizio di queste professioni era particolarmente gravido di conseguenze sociali e quindi carico di responsabilità. Queste forme di e.p. erano peraltro, prevalentemente se non proprio esclusivamente, orientate a pro- teggere gli interessi di quelli che potremmo considerare i clienti del libero profes- sionista, ai quali il professionista era legato da uno specifico – contratto. Questi co- dici si ispiravano quindi a una certa idea di “giustizia commutativa” e fissavano con tutta la precisione possibile i doveri che il professionista si assumeva nei confronti del cliente, per il solo fatto di accettare di lavorare per lui. Essi obbligavano il pro- fessionista ad assumere come propri gli specifici interessi del cliente e quindi a svolgere il suo compito con – competenza e diligenza (“secondo scienza e co- scienza” come recitava una formula tradizionale), a conservare rigorosamente il co- siddetto “segreto professionale”, a rispettare la specifica dignità e libertà del cliente. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 75 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 76 Va detto, peraltro, che queste “professioni alte” hanno sempre goduto di una certa separatezza nei confronti del restante organismo delle professioni, e i loro codici di deontologia professionale, pur ispirandosi a principi e a una visione dell’uomo e del mondo sostanzialmente coincidenti con quelle del proprio tempo e del proprio – ambiente culturale, non hanno avuto in passato un grande influsso sulla morale comune e sul significato etico della – professionalità in generale. Il loro stesso carattere elitario impediva che esse diventassero una specie di modello normativo o di paradigma interpretativo, per la morale professionale in quanto tale. 2. Le professioni moderne. Ma l’affacciarsi sulla scena della società moderna di professioni di grandissimo impatto sociale, politico o economico, come quelle di operatore della comunicazione sociale o di specialista della tecnica, o di imprendi- tore o di esperto finanziario, ha allargato l’interesse per l’e.p. ad ambiti nuovi, co- involgendo interessi sociali di grande rilevanza. Si è sviluppato un dibattito sempre più aperto e coinvolgente, e sono nate nuove corporazioni e nuovi codici di deon- tologia professionale: ultimo in ordine di tempo quello dell’imprenditore, ancora allo stato nascente ma estremamente significativo per l’abbandono, che esso sembra comportare, di una certa concezione liberistica dell’e., dell’economia e della funzione del “profitto” nell’ambito dell’ – impresa. Appare ormai chiaro che, all’interno della società complessa in cui viviamo, caratterizzata dalla organiz- zazione tecnologica della produzione dei beni e dei servizi e dalla presenza di un mercato globale, si fa sempre più strada l’idea che una qualche forma di e., riguar- dante l’esercizio della professione, interessi tutto quanto l’organismo delle profes- sioni, e quindi tutto il complesso sistema con cui gli uomini, utilizzando compe- tenze professionali diversissime e svolgendo compiti diversi ma complementari, producono insieme la smisurata quantità di beni e di servizi utili, di cui abbisogna oggi l’umanità per la sua sopravvivenza e per lo svolgimento della sua vita cultu- rale e spirituale. Tale e. potrebbe essere pensata (e naturalmente praticata) anzitutto come regola del giusto “rendersi utile” di ogni uomo agli altri uomini, in cambio dei servizi e dei beni ricevuti dalla società globale. Questa prima regola introduce naturalmente il discorso sulla giustizia. Si tratterebbe ancora anzitutto della giu- stizia commutativa, cioè di quella forma di giustizia che regola gli scambi. L’eser- cizio di una professione o di un qualunque mestiere ha una specifica dimensione contrattuale: comporta, infatti, la cessione, da parte dell’operatore professionale, di una parte significativa del proprio tempo, ingegno, fatica, per produrre, o contri- buire a produrre, una specifica forma di utilità per i fruitori del proprio – lavoro. In cambio colui che svolge una professione riceve a sua volta una qualche forma di compenso in termini di reddito, riconoscimento, garanzie di sicurezza economica e stato sociale. 3. La giustizia. La giustizia commutativa impone agli scambisti la norma di un giusto rapporto di scambio, quindi di una giusta retribuzione economica, di un ade- guato riconoscimento e stato sociale. Ma la struttura piramidale dell’organismo delle professioni fa sì che normalmente la fatica, il carattere subordinato, i pericoli parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 76 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 77 per la salute e perfino per la vita che certi lavori comportano per chi li esercita siano spesso inversamente proporzionati ai riconoscimenti economici e sociali del lavoro e al posto occupato nella società da chi compie tali lavori. La sproporzione che il potere contrattuale dei diversi partecipanti a quello che potremmo chiamare il contratto globale di lavoro nella nostra società rende praticamente impossibile il superamento di queste sperequazioni, attraverso il semplice incontro-scontro della domanda e dell’offerta di lavoro. Si apre quindi il problema di una ulteriore forma di giustizia, quella che potremmo chiamare giustizia sociale, proprio perché ri- guardante la giustizia dell’insieme dell’organismo delle professioni cioè della so- cietà stessa. La – formaz. delle nuove leve della professione dovrà quindi com- prendere una forma di – educ. morale che, mentre valorizzi le capacità autorealiz- zatrici delle specifiche professioni, apra nello stesso tempo i futuri operatori pro- fessionali a quella specifica sensibilità di giustizia sociale che li renda capaci di farsi carico della promozione delle professioni meno valutate, meno protette, meno facilmente autorealizzanti, superando le facili tentazioni dell’egoismo corporativo. Bibl.: AUER A., Christsein im Beruf, Düsseldorf, Patmos, 1966; CAMBARERI R., La professione tra ideale e realtà, Palermo, Edi-Oftes, 1989; PELAEZ M., Etica, professioni, virtù, Milano, Ares, 1989; MOUNT Jr. E., Professional Ethic in Context, Louisville, Westminster, J. Knox, 1990; DI TORO P., L’etica nella gestione d’impresa, Padova, CEDAM, 1993; OAKLEY J., Virtu, Ethics and Professional Roles, Cambridge, Cambridge University Press, 2001. G. Gatti EUROPEAN COMPUTER DRIVING LICENCE (ECDL) L’ECDL (cosiddetta “patente europea per il computer”) è un certificato, di carat- tere internazionale, comprovante che chi ne è in possesso ha una – conoscenza dei concetti fondamentali dell’informatica e sa usare un computer nelle applicazioni più comuni, ad un livello di base. Si fonda su un documento concordato a livello europeo, e cioè sul Syllabus, redatto dalla ECDL Foundation. Il Syllabus costi- tuisce uno standard di riferimento che consente di uniformare i test, in qualunque Paese essi vengano effettuati. In Italia, l’ECDL è rilasciato dall’AICA (Associazione Italiana per l’Informatica e il Calcolo Automatico) ed è valido per la determinazione del – credito formativo. In pratica possedere la certificazione ECDL (– certificazione degli apprendimenti) significa aver superato sette test, uno di natura teorica sui concetti della tecnologia dell’informazione, gli altri sei di tipo pratico che verificano la – capacità nell’uso effettivo del computer. ECDL ha dato la possibilità di standardizzare il corso di for- mazione informatica di base. È come la patente dell’automobile: non impariamo a guidare una particolare vettura ma l’auto in genere e dopo aver imparato siamo auto- rizzati a guidarne una qualsiasi. Questa è la grande potenzialità di ECDL. L’obiettivo generale del programma ECDL è di contribuire all’alfabetizzazione informatica. Più in dettaglio, è diretto a: elevare il livello di conoscenza nell’uso parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 77 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 78 dell’informatica di chi già lavora o di chi si prepara ad entrare nel mondo del lavoro; fornire una certificazione che conferisce vantaggi competitivi a chi lo possiede e ne facilita la – mobilità; accrescere la produttività di tutti coloro che hanno bisogno di usare il computer e garantirne un utilizzo efficiente; consentire un miglior ritorno degli investimenti nelle tecnologie dell’informazione; fornire una qualificazione che consenta di partecipare in modo attivo all’evoluzione socio-economica indotta dalla tecnologia dell’informazione. Bibl.: AICA, ECDL per tutti, Milano, Mondadori Informatica, 2003; S.A., L’ennesimo corso di infor- matica?, in http://www.thecar.it/ecdl/ 05/03/2004; S.A., La patente europea, in http://www.thecar. it/ecdl/ecdl.asp, 05/03/2004; S.A., Gli obiettivi, in http://www.thecar.it/ecdl/ecdl.asp, 05/03/2004. I. Pizzini FAMIGLIA Benché molteplici siano oggi le tendenze culturali che rendono difficile il raggiun- gimento di una definizione comunemente condivisa di f., a tal punto che qualcuno ritiene sia impossibile coglierla nella sua natura, a noi sembra sufficientemente chiara, fondata, onnicomprensiva, completa e razionale la definizione che ne dà Gallino; egli scrive, la “famiglia è una unità fondamentale dell’organizzazione sociale, composta al minimo da due individui di sesso opposto, che convivono sta- bilmente in una stessa abitazione a seguito di qualche tipo di matrimonio, intratten- gono rapporti sessuali e affettivi, cooperano regolarmente alla riproduzione mate- riale della loro esistenza, dividendosi il lavoro necessario all’interno e all’esterno dell’unità; e la cui convivenza, le relazioni sessuali ed affettive e la cooperazione economica sono approvate e riconosciute legittime, in cambio della conformità a certe norme sociali, in primo luogo a quelle che regolano il matrimonio, della società di cui fanno parte” (Gallino, 1978, 303). L’emergere di cosiddette “nuove forme di vita familiare” sembra legittimare alcuni studiosi a problematizzare tale concetto fino a vanificarlo e a svuotarlo della sua pregnanza, con il grande rischio però di non sapere più di che cosa si tratti, quando si parla di f. Le concezioni antropologiche di fondo, le caratterizzazioni di tipo culturale, giuridico, psicologico, sociologico, storico, demografico, sono tutte attri- buzioni che ne arricchiscono la natura e ne esplicitano la pluralità degli approcci di studio. 1. Approcci di studio. La complessità di questa realtà sociale emerge dalla pluralità degli approcci con cui è stata studiata, cioè di quell’angolo di prospettiva dal quale è stata osservata ed interpretata. Nel corso della storia, la letteratura scientifica, specie quella sociologica, ne ha individuati almeno una decina: dalla lettura che ne fanno i sociologi classici, come Le Play, Marx, Durkheim, Mauss, Levy-Straus, de Tocqueville, Weber, Simmel, agli approcci più propriamente moderni dei sociologi contemporanei. A partire dagli anni ‘50, vari autori hanno tentato di fornire delle parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 78 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 79 classificazioni sistematiche degli approcci sociologici allo studio della f., così da approfondirne in modo complementare i diversi aspetti. 1) L’approccio istituzio- nale di Zimmerman (1971) considera la f. essenzialmente come istituzione sociale, cioè come gruppo sociale che deve avere una sua precisa normativa pubblicamente sanzionata per rispondere a bisogni naturali e che attraversa tutti i tempi ed è pre- sente in ogni cultura. 2) L’approccio struttural-funzionalista di Parsons (1971) si differenzia dal precedente perché l’unità di analisi è il “sistema sociale f.” che ha una sua struttura di status-ruoli che devono svolgere funzioni specializzate, e dove il comportamento familiare è risposta ad un insieme di attese complementari. Si parla allora di ruoli strumentali esercitati dal padre e di ruoli espressivi svolti dalla madre, in risposta alle attese della – società. In questa prospettiva, la f. deve svol- gere la funzione di controllo delle tensioni che hanno a che fare con la sessualità, la socializzazione, la cura dei nuovi nati e il sostegno psicologico delle personalità adulte. 3) L’approccio dello scambio di Ekeh (1974) ritiene che la solidarietà fami- liare non possa essere basata sulla conformità dei ruoli e sul consenso a valori ultimi, come nel precedente, ma sul vantaggio che deriva dal mutuo scambio di ricompense e di gratificazioni che un soggetto cerca dall’altro. Più che essere orientato verso valori, il comportamento è diretto verso la massimizzazione delle ricompense e la minimizzazione delle sanzioni negative, in uno spirito di piena reciprocità che nella f. ha più una connotazione di dono che non di utilità. 4) L’ap- proccio della teoria critica della Scuola di Francoforte (Adorno, Horkheimer, Marcuse, 1966) considera la f. come forma sociale ambivalente, perché da un lato è funzionale all’ordine e al controllo della società e dall’altro è indispensabile alla maturazione dell’individuo, a tal punto che la decadenza della f. contribuisce al dilagare dell’anomia sociale. 5) L’approccio ermeneutico-fenomenologico di Berger e Kellner (1970) pone l’accento sugli elementi significativi e intenzionali, quindi soggettivi e intersoggettivi della f. Esso sottolinea la dimensione simbolica della f., quasi a rispondere alla domanda “cosa significa oggi dire o fare f.?”. È un modo di attribuire un significato alle relazioni interpersonali, le quali vengono proiettate sullo sfondo di un progetto. Il processo di formazione della coppia, il matrimonio, l’avere figli e vivere in f. è una costruzione sociale di regole signifi- cative di vita con cui la vita familiare prende corpo. 6) L’approccio interazionista di Burgess e Locke (1945) considera la f. come unità di persone interagenti, di cui studia la dinamica psicologica come gruppo e sistema di persone senza preoccu- parsi dei vincoli legali o delle strutture sociali istituzionali. È la f. companionship, comunità di amicizia, che si organizza su elementi non costrittivi, ma derivati dal- l’intimità personale, i cui valori centrali sono il dare e ricevere affetto, l’ugua- glianza tra marito e moglie, il comportamento democratico nelle decisioni fami- liari. 7) L’approccio evolutivo di Hill e Duvall, riformulato oggi da Mc Goldrick e Carter, (1986), avverte che la f. si evolve e si modifica nel tempo, a seconda della particolare fase del ciclo di vita che essa sta attraversando. Questa impone inevita- bilmente dei compiti evolutivi specifici di sviluppo sia per gli individui che per la coppia, i quali vengono determinati da una serie di eventi di crisi che costituiscono parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 79 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 80 il passaggio a fasi successive. La f. costruisce così la sua storia, nella continua ricerca di un equilibrio dinamico che si regge sulla realizzazione più soddisfacente possibile dei compiti con i quali si cerca di far fronte sia alle richieste delle agenzie esterne sia ai bisogni interni. 8) L’approccio relazionale di Donati (1988) sostiene che la f. è una relazione sociale speciale e sovrafunzionale, distinta cioè da ogni altro tipo di relazione sociale e al di sopra delle funzioni che la società le impone progressivamente. È una realtà sui generis, non riconducibile agli elementi compo- nenti: un sistema altamente complesso, differenziato, a confini variabili, in cui si realizza quell’esperienza vitale e specifica che è fondamentale per la strutturazione dell’individuo come persona, cioè come individuo-in-relazione (essere relazio- nale), nelle sue determinazioni di genere (che implicano la sessualità) e di apparte- nenze generazionali (che implicano la parentela). In essa vi è un modo proprio di vivere le relazioni sociali perché sono costruttrici di alleanze e di solidarietà sia interne che esterne (network e reti sociali). 2. Problemi di oggi. Volendo soffermarci al contesto italiano, la f. di oggi è chia- mata ad affrontare sfide di non poca entità non solo per il suo benessere e sviluppo, ma anche per la sua sopravvivenza. Da piramide a cilindro: è l’immagine che se ne può ricavare oggi e che delinea il cambiamento anche solo demografico che la f. italiana ha subíto nell’ultimo decennio. Secondo gli ultimi dati dell’ISTAT (2000), la f. è sempre più “stretta” e “lunga”, aumenta cioè la longevità, ma diminuiscono i figli. Ci sono più generazioni nello stesso nucleo, ma meno bambini. Ciò comporta un cambiamento di relazioni e di bisogni. La generazione dei cinquantenni si ritrova sempre più stretta tra le richieste di sostegno provenienti dai figli (“f. lunga”) e quelle pressanti che vengono dalle generazioni più anziane. Ci sono meno figli, più madri che lavorano, meno tempo a disposizione per le persone, più maschi che la- sciano la casa di origine solo quando si sposano. Assistiamo a una maggiore instabi- lità coniugale e ad un maggior numero di bambini coinvolti nelle separazioni, mentre sta radicandosi nel senso comune l’idea che il matrimonio sia reversibile. Reversibilità significa anche seconde e terze nozze. Aumenta, quindi, la complessità delle relazioni familiari e genitoriali, ci sono più genitori per gli stessi bambini, c’è più pendolarismo genitoriale, si appartiene a più f., si allarga il numero delle rela- zioni, ma anche quello delle case in cui si abita. Tutto questo non può non condurre ad una nuova organizzazione della vita quotidiana e della stessa vita familiare. Bibl.: BERGER P. - H. KELLNER, “Marriage and the Construction of Reality”, in H. DREITZEL, (Ed.), Recent Sociology, n. 2, New York, Mac Millan, 1970; ZIMMERMAN C., Family and Civilization, New York, Harper & Row, 1971; EKEH P.P., Social Exchange Theory, London, Heinemann, 1974; PARSONS T. - R. BALES (Edd.), Famiglia e socializzazione, Milano, Mondadori, 1974; GALLINO L., “Famiglia”, in ID., Dizionario di sociologia, Torino, UTET, 1978; MC GOLDRICK M. - E.M. CARTER, The Family Life Cycle: a Framework for Family Therapy, New York, Gardner Press, 1980; DONATI P.P., La fami- glia come relazione sociale, Milano, Franco Angeli, 1988; ISTAT, Le strutture familiari. Indagine multiscopo sulle famiglie “Famiglie, soggetti sociali e condizioni dell’infanzia”, Roma, ISTAT, 2000. R. Mion parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 80 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 81 FAMIGLIA PROFESSIONALE – Comunità / famiglia professionale FILIERE FORMATIVE – FP FINANZIAMENTI PER LA FP Le fonti di f.p.l. – FP possono essere pubbliche o private, e sono talora diversifi- cate in base al tipo di – formaz. (iniziale, continua). L’esame dei f.p.l. FP richiede una preventiva definizione di quali attività vengano ricomprese nel sistema di FP. Considerando solo il complesso delle attività promosse dalle Regioni, nel 2000 la spesa è stata pari a oltre 3.000 milioni di Euro, somma pressoché raddoppiata negli ultimi dieci anni. 1. Nel sistema regionale di FP, si utilizzano quasi esclusivamente risorse pubbliche. Le Regioni individuano le risorse attraverso i seguenti canali: a) Fondo Comune per le Regioni: è il canale fondamentale attraverso il quale le Regioni ricevono fondi dallo Stato per la copertura delle spese. Il fondo è alimentato da una percentuale fissa di alcune entrate tributarie dello Stato ed è ripartito in base a parametri quali popolazione, superficie, tasso di emigrazione, livello di disoccupazione e reddito. Le Regioni definiscono liberamente la ripartizione di tali risorse fra i vari capitoli di spesa; b) Fondo per la FP e accesso al Fondo Sociale Europeo: istituito dalla L. 236/93, è alimentato dalle risorse derivanti dal prelievo contributivo dello 0,30% del monte salari pagato dalle – imprese come contributo integrativo per l’assicura- zione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria; c) Fondi strutturali: sono risorse erogate dall’UE con diverse finalità per il f. di programmi operativi. Per la FP, le risorse provengono principalmente dal Fondo Sociale Europeo. Per poter aumentare il volume delle iniziative, le Regioni hanno utilizzato in misura crescente le risorse proprie come “sponda” ai f. comunitari, con un grado di dipendenza medio del 60%, ma che si avvicina al 100% per molte Regioni meridionali; d) Altre risorse nazionali: per il f. di attività specifiche, rese obbligatorie da leggi quali gli interventi per i giovani in – obbligo formativo o per gli apprendisti, sono previsti ulteriori f. a carico dello Stato, generalmente a valere sul Fondo per l’occupazione gestito dal Ministero del Lavoro, erogati alle Regioni sulla base di parametri con- divisi. Rientrano in tale canale di f. anche le risorse assegnate dallo Stato per gli – enti di carattere nazionale (L. 40/87). 2. Il f. dei vari interventi formativi avviene di norma tramite bandi pubblici, cui pos- sono partecipare sia strutture pubbliche sia private aventi determinate caratteri- stiche. I corsi sono completamente gratuiti per gli allievi. A volte sono previsti anche rimborsi per le spese di viaggio, vitto e alloggio e indennità di frequenza. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 81 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 82 Solo in casi limitati è richiesto agli allievi il pagamento di una quota minima per l’iscrizione o per i materiali didattici. Rispetto al segmento della – FP iniziale, una voce di spesa importante da considerare riguarda il f. di quei percorsi dell’istruzione secondaria a carattere professionalizzante, quali gli istituti professionali e d’arte. Tali risorse provengono dal bilancio dello Stato, gestite dal MIUR. Sempre con rife- rimento all’anno 2000, tale spesa è stata all’incirca pari a quella per la FP regionale. Nell’ambito della – FP continua, sono destinati ad avere un peso sempre più ampio gli interventi promossi dai fondi interprofessionali, costituiti e gestiti in forma pari- tetica dalle – parti sociali, cui saranno progressivamente assegnati i proventi dello 0,30% del monte salari, sulla base delle adesioni volontarie delle imprese. 3. Altre attività di FP sono offerte in un mercato privato della FP, che talora può ricevere riconoscimento o autorizzazione da parte del soggetto pubblico, e quindi finanziate dalle quote di partecipazione degli allievi; anche le aziende promuovono interventi formativi finanziati con risorse proprie. Bibl.: CEDEFOP, Il finanziamento della formazione professionale in Italia. Ritratto finanziario, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali della Comunità Europea, 2000; ISFOL, Rapporto ISFOL 2001. Federalismo e politiche del lavoro, Milano, Franco Angeli, 2001; ISFOL, Rapporto ISFOL 2002, Milano, Franco Angeli, 2002. S. D’Agostino FLESSIBILITÀ – Mansione; – Contratti; – Sistema produttivo; – Risorse umane; – Sociologia del lavoro; – Sussidiarietà; – CFP; – Minori FONDO SOCIALE EUROPEO (FSE) – Finanziamenti per la FP; – FPI; – Operatori della FP FORMATORE – Operatori della FP; – Metodologia; – Nuove tecnologie; – CFP FORMAZIONE Nel linguaggio comune e nella letteratura pedagogica è sinonimo di – educ., di – apprendimento, di istruz., di addestramento ed in un certo senso li coinvolge tutti. Il termine, nel corso della storia, ha avuto molti usi ed ancora oggi è inteso in molti sensi. 1. Nella tradizione, f. indica l’attività di “dar forma”, di configurare, di plasmare, di foggiare e forgiare; ma anche il processo di adeguamento alla cultura sociale di ap- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 82 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 83 partenenza (= “paideia”). Nell’età moderna, in connessione con l’accentuazione di una immagine dell’uomo costruttore di sé e con l’affermarsi dell’idea di progresso e di sviluppo segnato dall’intervento della razionalità e delle capacità operative e tec- niche umane, il termine f. è diventata una parola-programma. Con f. si è preso ad intendere il processo di integrale sviluppo personale (cfr. il ted. “Bildung”, che dice, insieme, l’immagine umana ideale, la cultura che umanizza e l’azione di umanizza- zione attraverso tale cultura). Ma negli ultimi tempi con f. si è venuto ad intendere normalmente il processo di acquisizione delle – competenze per svolgere in ma- niera efficiente ed efficace un – ruolo sociale o professionale: sicché quando si parla di f. si intende quasi solo – FP, magari in contrapposizione ad istruz. Spesso si usa il termine senza distinguere i due significati. Oppure li si può contrapporre sotto forma di opposizione tra cultura (= qualificazione umana dello sviluppo perso- nale) e – competenza (= operare esperto, efficiente ed efficace). 2. In ogni caso, oggi, la f. viene pensata ed estesa all’intero arco dell’esistenza (cfr. le espressioni: f. degli adulti, – FP continua, – FP iniziale, f. in process, f. perma- nente, f. universitaria, ecc.; e le espressioni anglosassoni: “lifelong education”, “continuing education”, “ongoing education”). Parimenti, pur con tutte le incer- tezze di significato, appare chiaro che parlando di f. si viene ad immaginare e pro- spettare lo sviluppo umano, sia nel suo essere sia nel suo operare, in termini di per- fettibilità e di qualificazione, seppure limitata e non infinita, in un gioco, non privo di tensioni, tra – bisogni del soggetto ed intenzioni sociali di sviluppo. 3. La f. al – ruolo (ma anche quella della persona nelle sue molte articolazioni) è ritenuta questione centrale e risorsa imprescindibile nelle politiche nazionali ed internazionali da parte degli organismi governativi (come l’UE, il Consiglio d’Eu- ropa o l’UNESCO) e non governativi (come le diverse – associazioni comuni- tarie ed internazionali di ricerca e di cooperazione operativa, di tutela e di promo- zione dei diritti umani, specialmente delle minoranze e delle fasce sociali emargi- nate). A livello mondiale, è invocata (e sostenuta economicamente nei concreti progetti di intervento) come termostato dell’equilibrio mondiale e come fattore di sostegno per lo sviluppo dei popoli. La mancata effettività del diritto alla piena alfabetizzazione, il diffuso analfabetismo culturale, la carenza di FP rischiano, in- fatti, di non permettere a quote sempre più estese della popolazione di leggere i sofisticati alfabeti e decifrare i codici procedurali, attraverso cui si esprime, o che impone, la – società industriale e post-industriale, sia a livello di produzione che di esistenza. 4. In tal senso, il problema della f. viene strettamente connesso con gli altri grandi nodi dello sviluppo, quali l’economia, la salute, l’ – ambiente, la popolazione. Anzi assurge a funzione imprescindibile dell’evoluzione umana, dello sviluppo storico e del futuro civile dell’umanità intera; e più specificamente diventa un punto fermo nei processi di mutamento e di innovazione socio-culturale, al fine di uno sviluppo sostenibile e umanamente degno per tutti e per ciascuno, oltre le dif- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 83 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 84 ferenze socio-economiche, di genere, di sesso, di dotazione native e di opportunità esistenziali. Bibl.: CASTOLDI M. (Ed.), Segnali di qualità, Brescia, La Scuola, 1998; BOCCA G., Pedagogia della formazione, Milano, Guerini, 2000; BERTAGNA G., Avvio alla riflessione pedagogica, Brescia, La Scuola, 2000; LAENG M. - G. BALLANTI, Pedagogia, Brescia, La Scuola, 2000; CHIOSSO G. (Ed.), Elementi di pedagogia, Brescia, La Scuola, 2002; NANNI C., Antropologia pedagogica, Roma, LAS, 2002. C. Nanni FORMAZIONE A DISTANZA Da sempre l’aspetto relazionale nell’azione dell’ – insegnamento è stato consi- derato fondamentale, perché ritenuto alla base di ogni azione educativa. In tempi recenti si è sviluppata anche una modalità di insegnamento organizzato mediante l’uso di vari mezzi di – comunicazione nella quale le azioni dell’insegnamento sono eseguite separatamente dagli atti di – apprendimento. 1. Origine e principali caratteristiche generali della FaD. Pur collocata nella metà dell’Ottocento – è del 1840 la prima iniziativa inglese di scuola per corrispondenza per l’acquisizione di capacità segretariali – l’origine dell’ – istruz. a distanza è da individuare nella seconda metà del Novecento, con l’organizzazione di una “università dell’aria” trasformata poi in università a distanza. Apprendimento aperto, istruz. individualizzata, insegnamento a distanza, formazione online, auto- istruzione, sono modi diversi per intendere quella che oggi viene più genericamente chiamata FaD (ISFOL, 1992, 117). Essa permette, rispetto alla – formaz. classica, di formare e/o aggiornare un maggior numero di utenti e di renderli partecipi di un insieme di attività formative strutturate secondo una modalità di apprendimento autonomo e personalizzato, discontinuo nel tempo e nello spazio. La letteratura specialistica distingue tre generazioni dei sistemi FaD: 1) la prima generazione della FaD ha come sistema di diffusione principalmente la posta e le – metodo- logie usate non sono molto diverse da quelle in presenza; 2) nella seconda gene- razione di FaD, invece, si introduce l’uso di strumenti multimediali quali VHS, di- schetti floppy e CD-ROM e i metodi di diffusione elettronica sono TV e radio; 3) nella terza generazione, quella attuale, si utilizzano le – nuove tecnologie e la FaD prende anche il nome di WBT (Web Based Training) o e-learning. Il WBT, coniato a metà degli anni novanta del Novecento, si basa su prodotti multimediali per l’apprendimento che utilizzano in parte le potenzialità della multimedialità e interattività offerte dalla digitalizzazione e dalle – reti; l’elemento predominante nella presentazione dei contenuti è il testo, corredato a volte di grafici e immagini. L’e-learning è la metodologia didattica che offre la possibilità di erogare contenuti formativi elettronicamente, attraverso Internet o reti Intranet. Per l’allievo rappre- senta una soluzione di apprendimento flessibile, in quanto fortemente personalizza- bile e facilmente accessibile. Il temine e-learning copre un’ampia serie di applica- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 84 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 85 zioni e processi formativi. In pratica, sviluppare un sistema di e-learning significa sviluppare un ambiente integrato di formaz. utilizzando le tecnologie di rete per progettare, distribuire, scegliere, gestire e ampliare le risorse per l’apprendimento. Le modalità più utilizzate per realizzare tale integrazione sono: 1) l’autoapprendi- mento asincrono attraverso la fruizione di contenuti preconfezionati disponibili sulla piattaforma di erogazione; 2) l’apprendimento in sincrono attraverso l’utilizzo della videoconferenza e delle aule virtuali; 3) l’apprendimento collaborativo attra- verso le attività delle comunità virtuali di apprendimento. 2. FaD e azione educativa. La pratica dell’insegnamento avviene all’interno del- l’azione educativa che è, per sua natura, di tipo relazionale, volta cioè alla promo- zione nelle persone dello sviluppo di disposizioni interiori e all’acquisizione di saperi e – competenze che favoriscono il loro benessere. In questa azione educa- tiva è responsabile in primo luogo l’educatore, il quale, nell’esplicazione del suo servizio, si avvale di strumenti diversi, applicandoli alle situazioni ed alle persone mediante criteri di adeguatezza e conformità. Anche l’uso delle nuove tecnologie permette all’allievo di diventare responsabile del proprio processo di apprendi- mento, attraverso una dinamica che gli consente di “dare forma” non solo al pro- prio sapere ma all’intera propria personalità in una logica di maturazione. Questa modalità di formaz., pertanto, è educativa in quanto fattore di sviluppo dell’auto- nomia, del controllo, della padronanza della personalità psichica e cognitiva del soggetto in un ambiente di apprendimento che propone una notevole ricchezza di relazioni con soggetti diversi, tra i quali anche quelli virtuali. 3. FaD e – FP. Pur avendo avuto, sino ad oggi, una maggiore diffusione nel campo universitario, in Italia la FaD sta entrando in modo consistente anche nel campo della FP. Tra le iniziative pubbliche di maggior rilievo si segnala il progetto FaDol (Formazione a Distanza on line), promosso dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, finalizzato alla costruzione di un sistema nazionale di – formaz. continua a distanza per gli operatori della FP. Al momento tutta l’espe- rienza è stata affidata ad un servizio permanente di formazione gestito dal- l’Agenzia del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Italia Lavoro Spa. Anche l’ISFOL, già dal 1988, aveva condotto una sperimentazione dell’uso delle reti telematiche per formare a distanza gruppi di formatori appartenenti a diversi – enti di formaz. e residenti in diverse Regioni (Progetto FAD-ISFOL). Varie Regioni hanno intrapreso in quest’ultimo decennio delle azioni significative atte a favorire lo sviluppo della FaD. Si segnalano: il Centro Risorse per la – didattica multimediale e la FaD promosso dall’Emilia Romagna; il progetto T-Teleform ba- sato sull’uso delle reti telematiche e sulla realizzazione di poli didattici territoriali promosso dalla Regione Toscana; un progetto per la formaz. dei formatori me- diante strumenti non telematici (seminari, materiali didattici multimediali, tutorato telefonico e in presenza), promosso dalla Regione Sicilia; la FaD distanza per la formaz. dei formatori, soprattutto nel settore della progettazione e dello sviluppo dei prodotti multimediali per la didattica, promossa dalla Regione Piemonte, al- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 85 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 86 l’interno del progetto SINFOD (Sistema INFormativo per l’Orientamento e la Di- dattica); il progetto SKILLPASS promosso da Sviluppo Italia (Agenzia nazionale per lo sviluppo economico e imprenditoriale del Mezzogiorno e delle aree svan- taggiate del Paese). Tra le iniziative private si segnalano particolarmente le attività di Scuola Radio Elettra di Torino, Dida*El, il Consorzio Multimedia (CMM) di Catania, Edulife di Verona. Bibl.: ISFOL, Glossario di didattica della formazione, Milano, Franco Angeli, 1992; CIOFS/FP - API (Edd.), Formazione a distanza: problemi teorici ed esperienze concrete, Roma, Tipografia Pio XI, 2001; LA NOCE F., E-Learning, la nuova frontiera della formazione, Milano, Franco Angeli, 2002. M. Tonini FORMAZIONE FORMALE – Apprendistato FORMAZIONE ON LINE – Formazione a distanza FORMAZIONE PERMANENTE – FP continua; – Alternanza formazione lavoro; – Spiritualità dell’operatore; – Diritti formativi; – Ispirazione cristiana della FP; – Sistema formativo; – Minori FORMAZIONE PER FASCE DEBOLI – Formazione professionale FORMAZIONE PROFESSIONALE In linea generale si descrive la FP come un processo attraverso il quale una persona può consolidare, aggiornare o migliorare le proprie capacità attraverso l’acquisi- zione di conoscenze, abilità e competenze per un esercizio più produttivo e respon- sabile di un’attività professionale. 1. Principali significati di FP. La dizione FP ha assunto nel tempo – e conserva ancora oggi – vari significati, riconducibili, in sintesi, soprattutto a due. In alcuni casi l’espressione allude all’intervento formativo rivolto a giovani o adulti, occu- pati e non, per avviarli velocemente al – lavoro, attraverso un breve addestra- mento. In altri casi, invece, per FP si intende l’acquisizione di – conoscenze, – abilità e – competenze finalizzate all’esercizio di una professione, indipendente- mente dall’età dei destinatari. Molta letteratura distingue anche tra prima, seconda, parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 86 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 87 terza – formaz., intendendo con tali denominazioni tutti quegli interventi rivolti normalmente o a giovani che per la prima volta affrontano il problema di una pre- parazione sistematica al mondo del lavoro, o a persone che sono già in possesso di titoli o competenze professionali e, attraverso ulteriori percorsi formativi, inten- dono perfezionarsi sia dal punto di vista professionale che culturale, in una pro- spettiva di formaz. permanente (– FP continua). La diversità delle accentuazioni è presente anche nella principale legislazione italiana: una parte di essa tende a sot- tolineare il significato di flessibilità, brevità, molteplicità di interventi adeguati alle diverse realtà produttive locali nonché di promozione e aggiornamento professio- nale dei vari soggetti del mondo del lavoro (cfr., per es., art. 17 della L. 196/97); altra legislazione è più vicina all’idea di formaz. globale della persona (L. quadro 845/78, L. 144/99). La recente riforma costituzionale (L. costituzionale 3/01) e la successiva riforma del sistema educativo nazionale (L. 53/03), superando la tradi- zionale distinzione tra “scuola” e “istruzione artigiana e professionale” propria della vecchia Costituzione, introducono la distinzione tra l’ – istruz. che corri- sponde all’istruz. inferiore obbligatoria e alla componente non professionalizzante dell’istruz. superiore dotata di una visione culturale generale, e l’istruz. e la FP do- tata di pari dignità ma caratterizzata da una visione professionalizzante che facilita l’ingresso nel mondo del lavoro (– istruzione e FP; – riforma educativa). 2. FP e mondo del lavoro. Ad influire sulla varietà dei significati della FP c’è soprattutto il legame di essa con la visione globale della società nel suo insieme ed in particolare con quella del mondo del lavoro nella sua evoluzione storica. Un approccio piuttosto sistematico si affermò, tuttavia, solo nel XX secolo, particolar- mente nel mondo tedesco, dove si prese a criticare una FP troppo legata alla sola acquisizione di capacità manuali e venne suggerito di collegare competenza opera- tiva ad una buona sensibilità civica, dando vita ad una sorta di “scuola del lavoro”, una scuola che avrebbe dovuto comprendere contemporaneamente una formaz. di base per preparare all’inserimento immediato nel mondo produttivo e una formaz. più generale maggiormente aperta a valori e ad interessi più ampi, anche in vista di un completamento della formaz. in momenti successivi. Lungo il secolo scorso ha preso sempre più spazio l’attenzione al ruolo (– ruolo professionale) e alla per- sona e sempre meno al mestiere e al posto di lavoro (– FP: sviluppo storico; – mansione). 3. Elementi di sistema della FP oggi. In linea generale, la normativa ha ormai disciplinato in maniera sufficientemente omogenea alcuni aspetti che concorrono alla definizione del sistema della FP: il soggetto che eroga la FP, l’offerta forma- tiva, i finanziamenti, la certificazione, la qualità, i servizi di supporto. Vediamo ciascuno di tali aspetti. 1) Soggetto erogatore. Se una delle finalità della FP è quella di essere attenta ai cambiamenti del sistema economico e sociale, le attività formative dovranno essere, di conseguenza, mutevoli, come diversi dovranno essere gli organismi che le realizzano: – enti di FP, – associazioni di categoria, consorzi, enti locali, ecc. Il sistema della FP oggi risulta caratterizzato dalla mag- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 87 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 88 gioritaria presenza di soggetti che hanno nella formaz. la propria attività esclusiva o prevalente (ISFOL, 2002). Questi soggetti, oltre alle attività corsuali, general- mente precedute da azioni di – accoglienza e comprendenti stage aziendali (– tirocinio), erogano anche prestazioni parallele o di supporto alle attività formative in senso stretto quali la progettazione di percorsi formativi, attività di sportello in- formativo, servizi di – orientamento, i bilanci di competenze, misure di – accom- pagnamento al lavoro, ecc. 2) Offerta formativa. L’offerta formativa si caratterizza soprattutto in base ai destinatari che possono essere giovani o adulti in cerca di un’occupazione, portatori di – handicap, lavoratori in cassa integrazione o iscritti alle liste di mobilità, lavoratori che necessitano di riqualificazione o di aggiorna- mento professionale. Tuttavia si è affermata oggi una articolazione ampiamente condivisa denominata – FPI, rivolta soprattutto agli adolescenti; – FP superiore, rivolta soprattutto ai giovani; – FP continua rivolta agli adulti in genere; – formaz. a distanza (FaD); formaz. connessa all’ – apprendistato. A queste tipo- logie, si aggiungono interventi formativi per soggetti appartenenti a fasce deboli o a rischio di emarginazione sociale (– disagio; – esclusione sociale), difficilmente schematizzabili. Di queste tipologie, esistono comunque due approcci principali: il primo è quello degli enti che creano corsi specifici esclusivi per i portatori di han- dicap, per gli immigrati, per i detenuti e via dicendo; il secondo, invece, è quello degli enti che preferiscono inserire questi soggetti nei corsi strutturati per soddi- sfare le esigenze formative di un’utenza più ampia. In entrambi i casi, però, ven- gono predisposti percorsi formativi personalizzati (– personalizzazione) o indivi- dualizzati, che richiedono non solo l’apporto del formatore, ma anche quello di un team di specialisti (psicologo, pedagogista, assistente sociale, altri specialisti). Il panorama della FP offre, oltre ai corsi interamente finanziati da risorse pubbliche e quindi gratuiti per l’utenza, anche percorsi formativi a pagamento gestiti da enti, società, consorzi, università; si tratta in genere di corsi ad alta specializzazione. 3) Finanziamenti. La maggior parte delle attività formative sopra descritte sono finanziate dal FSE (oltre 15 miliardi di euro per il periodo 2000-2006) che sostiene la formaz. in genere, la formaz. dei formatori, la riqualificazione e l’orientamento, l’apprendistato, la riconversione, la formaz. a distanza, la formaz. continua, le lauree brevi. Altri finanziamenti sono reperibili tra le risorse nazionali (– finanzia- menti per la FP). 4) La certificazione nel sistema della FP. Una norma recente (D.M. 31.05.01) aggiorna la certificazione del sistema della FP, prevedendo tre diverse tipologie di certificazione: a) la certificazione del percorso formativo com- pleto, che porta alla – qualifica; b) la certificazione di percorso formativo par- ziale, o non completato, o non finalizzato alla qualificazione; c) la certificazione di competenze acquisite in contesto non formale o informale, valutabili per l’accesso a percorsi o titoli formali e il libretto formativo del cittadino, strumento di raccolta e documentazione delle certificazioni acquisite dalla persona. Tutta la materia, in sperimentazione nelle Regioni, tuttavia, è oggetto di riconsiderazione a seguito della L. 53/03 che indica titoli e qualifiche professionali di differente livello, vale- voli su tutto il territorio nazionale se rispondenti ai livelli essenziali di prestazione parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 88 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 89 definiti su base nazionale a norma dell’art. 117 della Costituzione. 5) Qualità nella formazione professionale. Mentre nel caso della formaz. scolastica o universitaria è il sistema stesso a garantire e a sovrintendere sulla qualità dei contenuti formativi e sulle capacità dei docenti, nel caso della FP concorrono soprattutto due adempi- menti per una uguale garanzia: l’ – accreditamento delle sedi formative e orienta- tive e la certificazione di qualità (– qualità) che hanno lo scopo da una parte di as- sicurare agli utenti la qualità del servizio formativo e dall’altra garantire le pub- bliche amministrazioni sull’affidabilità degli enti gestori e dei soggetti attuatori. Accanto a questi requisiti, che sono disciplinati da norme specifiche, la letteratura del settore ne aggiunge altri che devono essere in possesso del soggetto che eroga la formaz.: l’esperienza dell’ente nel settore, la rispondenza alla figura professio- nale, la qualità didattica, l’efficacia, la capacità cioè del corso stesso di favorire l’occupazione e la soddisfazione dell’ex-allievo, l’efficienza, la capacità del corso cioè di fornire una formaz. valida a costi il più possibile contenuti, la continuità, la possibilità cioè di seguire in un secondo momento corsi di specializzazione e/o di aggiornamento e dei workshop. 6) I servizi di supporto. Le attività formative sono oggi inserite in una rete di servizi, propedeutici, paralleli o successivi all’attività didattica, che permettono di fornire all’utenza una sorta di guida completa in tutti i momenti della qualificazione professionale. In generale sono gli “sportelli infor- mativi”, che solitamente spiegano come reperire le informazioni sulle attività for- mative; le “sedi orientative”, le quali, più che fornire informazioni, permettono alla persona che vi accede, un servizio di individuazione di un percorso personalizzato specifico; i “servizi per l’impiego”, che affiancano, accanto alla più classica atti- vità di collocamento della manodopera, una serie di servizi aggiuntivi, tra i quali l’informazione, l’orientamento e il tutorato (– tutor); il servizio di “incontro tra domanda e offerta di lavoro”, per facilitare l’occupazione da parte degli iscritti alle attività formative, i servizi di outplacement, affiancati spesso da quelli di tutoring, servizi che agiscono sul post corso, sul modo di presentarsi, sulla redazione di un curriculum, sull’autopromozione (– orientamento; – servizi per l’impiego). 4. L’integrazione della FP con l’istruz. Uno dei temi ancora molto dibattuti oggi è il rapporto tra la FP di competenza regionale e l’istruz. in senso lato. La questione è stata posta in maniera decisiva già all’epoca della c.d. “Riforma Berlinguer”, che proponeva un superamento della pluridecennale incomunicabilità tra il sistema scolastico e il sistema formativo, concepiti come due canali paralleli e mutuamente esclusivi. Il dibattito che ne è seguito ha portato alla formulazione di due concetti di “integrazione”: l’interpretazione di coloro che intendono “integrazione” come “integrazione di percorsi” (cioè la progettazione di un percorso dove l’istituzione scolastica eroga interventi propri accanto a quelli realizzati dal Centro di FP nei confronti dei medesimi utenti) e quella di coloro che intendono “integrazione” come “integrazione tra sottosistemi” dell’unico sistema educativo (cioè l’integra- zione in ambiti quali la programmazione, la certificazione dei crediti e dei pas- saggi, anche attraverso iniziative didattiche adeguate, monitorando e valutando il parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 89 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 90 conseguimento degli obiettivi intermedi e finali). Molta letteratura valuta critica- mente la prima interpretazione in quanto ispirata ad un dualismo pedagogico che si riflette per lo più in atteggiamenti di passività, se non di rifiuto, da parte dei desti- natari che hanno avuto esperienze negative nella frequenza di percorsi di un dato sistema. La L. 53/03, nel delineare il sistema educativo di istruz. e di formaz., arti- colato nei sottosistemi di istruz. e in quello dell’istruz. e della FP, prefigura l’inte- grazione tra sottosistemi. Bibl.: AMBROSINI M. (Ed.), Un futuro da formare. Verso un nuovo sistema di formazione professio- nale: tendenze, valutazioni e proposte, Brescia, La Scuola, 2000; DM 31.05.01, Certificazione nel sistema della formazione professionale, in GU del 18.06.01, n. 139; UCCELLO S., Guida ai corsi di formazione, Milano, Il Sole 24 ore, 2002; BRAMANTI A. - D. ODIFREDDI., Istruzione formazione lavoro: una filiera da (ri)costruire, Milano, Franco Angeli, 2003; ISFOL (Ed.), Rapporto ISFOL 2003, Brescia, La Scuola, 2004; CONFAP, Collocazione CONFAP nel sistema dell’Istruzione e Formazione Professionale, in “Presenza CONFAP”, 1-2 (2004), supplemento. M. Tonini FORMAZIONE PROFESSIONALE CONTINUA Attività formativa destinata alla popolazione attiva con l’obiettivo di assicurare che le – conoscenze e le – competenze professionali siano continuamente aggior- nate e riqualificate in connessione con l’innovazione tecnologica ed organizzativa del processo produttivo. 1. Il sistema di FPc. costituisce una componente di un più vasto sistema di formaz. permanente, all’interno del quale la caratteristica distintiva proviene dalla sua finalità, destinata essenzialmente alla riqualificazione collegata ai processi produttivi. In Italia, un vero e proprio sistema di FPc. ha cominciato a prendere forma negli ultimi anni, in particolare con l’emanazione della L. 236/93. Fino ad allora gli inter- venti di FPc. erano finanziati e gestiti direttamente dalle singole aziende, che li de- stinavano per lo più all’aggiornamento professionale dei propri quadri, intermedi e superiori. La L. 236/93 vuole rispondere, invece, all’esigenza di una riqualifica- zione continua di tutta la forza lavoro, a garanzia sia dell’aggiornamento continuo dei processi produttivi, sia della manutenzione e del miglioramento dei livelli di – professionalità ed occupabilità dei lavoratori stessi. Pertanto prende corpo, con i – finanziamenti del Ministero del Lavoro, un’attività programmata dalle Regioni, che integra e rafforza, in una prospettiva di sistema, le iniziative condotte autonoma- mente dalle – imprese. Il dialogo sociale tra il sistema delle imprese e quello sinda- cale ha un peso rilevante nella nascita di un sistema di FPc. in Italia. Negli accordi tra – parti sociali e Governo del 1993, del 1996 e del 1998, il tema della FPc. as- sume un ruolo sempre più centrale. È sulla base di tali accordi che sono state appro- vate le successive leggi (196/97, 53/2000) che valorizzano il ruolo strategico della FPc. e delle parti sociali nella – progettazione degli interventi formativi. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 90 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 91 2. Con la L. 53/03, gli interventi a favore dei lavoratori occupati si ampliano, in una prospettiva di lifelong learning, con l’introduzione dei congedi formativi e dei voucher individuali per svolgere attività formative, anche non immediatamente collegate al processo produttivo. Infine, con la L. 388/00 la programmazione e l’organizzazione delle iniziative di FPc. vengono portati più vicino al – sistema produttivo, con la costituzione dei Fondi interprofessionali, organismi gestiti dalle parti sociali, ai quali le aziende possono versare direttamente lo 0,30% della retri- buzione dei lavoratori normalmente versato allo Stato, e che veniva successiva- mente destinato a finanziare le attività formative gestite dalle Regioni. L’obiettivo di questi interventi normativi è quello di ampliare sia l’offerta di FPc. da parte delle imprese, sia la partecipazione dei lavoratori a questo tipo di attività; le inda- gini Eurostat indicano infatti che le imprese italiane sono fra quelle che in Europa dedicano minore spazio alla FPc.: solo il 24% delle imprese italiane intervistate, infatti, dichiara di aver svolto attività formativa a favore dei propri dipendenti nel- l’anno 2001. Bibl.: CONFINDUSTRIA, La fabbrica delle competenze. Rapporto della Commissione per la formazione professionale, Scuola Formazione e Ricerca, 1999; OECD-OCSE, Surmonter l’exclusion grâce à l’apprentissage des adultes, Paris, Oecd, 1999; COMMISSIONE EUROPEA, Realizzare uno spazio europeo dell’apprendimento permanente. COM (2001) 678, Bruxelles, Commissione Europea, 2001; ISFOL, Economia e costi della formazione aziendale. Strumenti e ricerche, Milano, Franco Angeli, 2002; MINISTERO DEL LAVORO, Rapporto sulla formazione continua, Relazione presentata al Parlamento (a cura dell’ISFOL) anni 2001-2002. G. Allulli FORMAZIONE PROFESSIONALE INIZIALE Intervento formativo, a carattere corsuale, destinato ai giovani in uscita dal primo ciclo del percorso di istruzione e formazione, che intendono acquisire – compe- tenze di base e tecnico professionali che consentano loro di inserirsi nel mondo del – lavoro possedendo una – professionalità specifica. Si conclude con l’attribu- zione di una – qualifica professionale. 1. La FPI ricade, in base alla Costituzione, sotto la competenza legislativa e ammi- nistrativa delle Regioni. Con l’emanazione della L. quadro 845/78 tutta la – FP, compresa quella iniziale, era stata ricondotta all’interno delle politiche attive del lavoro. Veniva separato nettamente il ruolo della scuola, rivolto prevalentemente alla preparazione del cittadino, e quello della – formaz., finalizzato principalmente alla formaz. del lavoratore, in stretto collegamento con la domanda del mondo del lavoro. Pertanto le politiche delle Regioni, incentivate anche dagli indirizzi del Fondo Sociale Europeo, che fornisce la maggior parte delle risorse finanziarie del sistema, si erano indirizzate negli anni successivi verso la programmazione di una FPI a carattere breve, modulare, molto flessibile, rivolta esclusivamente alla profes- sionalizzazione. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 91 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 92 Con l’emanazione dell’art. 68 della L. 144/99, il ruolo della FPI viene riconsiderato, tanto che la FPI diventa uno dei canali attraverso i quali si può assolvere l’ – obbligo scolastico e formativo, che viene prolungato fino all’età di 18 anni oppure fino al conseguimento della qualifica professionale. Il successivo Protocollo Stato Regioni del febbraio 2000 sancisce questa nuova “filosofia” della FPI, sta- bilendo per i percorsi formativi una durata minima di 2 anni, l’introduzione del – tirocinio, di misure di – accompagnamento per l’inserimento professionale, di sistemi di valutazione della qualità dell’offerta erogata. 2. La L. 53/03 valorizza e potenzia ulteriormente il ruolo della FPI come percorso di pari dignità rispetto a quello scolastico, che dà la possibilità ai giovani che lo frequentano e che conseguono una qualifica professionale, sia di inserirsi nel mondo del lavoro, sia di proseguire nel percorso formativo, verso il conseguimento di un diploma professionale, e successivamente verso la – FP superiore e verso l’Istruzione universitaria. Pertanto viene riconosciuto che obiettivo della FPI non è solo la formaz. del lavoratore, ma anche la formaz. della persona, nei suoi vari aspetti, culturali, civili e sociali. Con la L. 53/03 possono accedere alla FPI i gio- vani che hanno superato l’esame di Stato al termine del primo ciclo. I corsi assu- mono durata triennale, e si concludono con il rilascio, da parte delle Regioni, di una qualifica professionale, che consente ai giovani di inserirsi nel mondo del lavoro, oppure di proseguire nel percorso formativo con un ulteriore quarto anno, attraverso il quale si consegue il diploma professionale. Sono previste misure di accompagnamento (– orientamento, ecc.), – personalizzazione, stage e – tirocini. Infine, viene superato il principio di una programmazione annuale delle attività formative, a favore di un maggior consolidamento dell’offerta formativa sul territorio. Bibl.: CNEL, Libro Bianco sulla Formazione Professionale, Roma, CNEL, 1991; COMMISSIONE EUROPEA, Insegnare e apprendere verso la società della conoscenza, Lussemburgo, Commissione europea, 1996; ALLULLI G. - P. BOTTA, Inclusione ed esclusione: ritratto di una generazione di giovani alle soglie del 2000, Milano, Franco Angeli, 1999; ISFOL, Obbligo Formativo: l’avvio del- le sperimentazioni della formazione di base, Milano, Franco Angeli, 2001; NICOLI D., Il nuovo sistema di formazione professionale, in “Professionalità”, 61 (2001), 22-31; BUSI M. - F. MAN- FREDDA - O. TURRINI (Edd.), Quale percorso per la riforma?, inserto in “Professionalità”, 75 (2003), I-XXXVIII. G. Allulli FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE Intervento formativo destinato ai giovani che hanno terminato la – FPI oppure il percorso liceale e che intendono acquisire – competenze di base e tecnico profes- sionali più elevate che consentano loro di inserirsi nel mondo del lavoro come tec- nici di livello superiore. Si conclude con l’attribuzione di un diploma professionale superiore. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 92 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 93 1. In Italia il concetto di FPs. è stato tradizionalmente assimilato a quello di formaz. universitaria. Dopo il diploma di maturità non esisteva in pratica, per i giovani che volevano acquisire una preparazione professionale, una alternativa ai corsi universi- tari di laurea o di diploma. L’unica alternativa possibile erano i cosiddetti corsi di secondo livello, ovvero corsi brevi, della durata di 600/800 ore, programmati dalle Regioni e destinati ai giovani in possesso di – qualifica professionale o di diploma secondario. L’esigenza di un percorso professionale di livello superiore ma non universitario, che preparasse i cosiddetti lavoratori della conoscenza, ovvero i tec- nici superiori, ha portato alla creazione del sistema FIS (Formazione Integrata Supe- riore), che comprende sia i corsi di secondo livello organizzati dalle Regioni, sia i corsi dell’Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS). La FIS si colloca nel – sistema formativo italiano nel segmento dell’istruzione e formaz. post-secondaria. In particolare, attraverso l’istituzione dell’IFTS viene creata una nuova tipologia di offerta, il cui obiettivo prioritario è quello di formare figure di tecnici e di profes- sionisti che possano operare nelle – imprese e nella pubblica amministrazione, in particolare in quei settori della produzione e dei servizi che sono caratterizzati da una elevata complessità tecnologica e organizzativa. Inoltre si vuole colmare una carenza di offerta formativa a livello post-secondario, che costituiva finora uno dei motivi dell’accesso di massa all’Università e del successivo – abbandono. 2. La durata prevista per questi corsi va da 1.200 a 2.400 ore (uno o due anni), e alla loro realizzazione devono concorrere scuola, università, – FP e impresa. Inoltre, a questo percorso, che prevede una quota minima (il 30%) di ore da dedicare alle atti- vità di stage, possono accedere sia giovani che adulti, anche occupati; i corsi IFTS rilasciano, oltre all’attestato di qualifica finale, dei – crediti che possono essere spesi all’interno dell’Università. L’istituzione di questo nuovo percorso si prefigge dunque di facilitare l’inserimento professionale dei giovani, offrendo una – formaz. fortemente professionalizzante di alto profilo tecnologico, adeguata ai fab- bisogni formativi delle imprese. La L. 53/03 prevede che il segmento della FPs. si collochi, in modo organico, al termine dei percorsi dell’istruzione e FP di durata almeno quadriennale. La stessa legge prevede che a questo segmento possano acce- dere i giovani che ottengono l’ammissione al V anno dei Licei. Al tempo stesso, dall’analisi dei primi anni di attuazione dell’IFTS emerge la necessità di predisporre un’offerta più solida, in grado di presentare percorsi organizzati in una prospettiva temporale più ampia, e non solamente su base annuale. Bibl.: BUTERA F. - E. DONATI - R. CESARIA, I lavoratori della conoscenza. Quadri, middle manager e alte professionalità tra professione ed organizzazione, Milano, Franco Angeli, 1997; D’ARCANGELO A., La formazione per l’occupazione e le esperienze scuola/lavoro, in “Proiezioni”, 3-4 (1998), 18-20; OCSE, Esame delle politiche nazionali dell’istruzione. Italia, Roma, Armando Editore, 1998; LAMOURE J., Les formations technologiques et professionnelles supérieurs, in “Cahiers Français. La Documentation Française”, 285 (1998), 12-14; ISFOL, Nuovi bisogni di professionalità e inno- vazione del sistema formativo italiano. La formazione integrata superiore, Milano, Franco Angeli, 2000. G. Allulli parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 93 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 94 FORMAZIONE PROFESSIONALE: SVILUPPO STORICO D’accordo con il carattere della presente pubblicazione, questa “parola” si limita all’ambito dell’età moderna e contemporanea, dando uno spazio privilegiato alle realizzazioni italiane, con un veloce accenno ai precedenti. Ma anche in tali settori si dovrà procedere per rapidi cenni, scegliendo alcuni orientamenti e fatti significativi allo scopo di chiarire le origini e il significato della – FP oggi. 1. I precedenti. La storia della FP in Occidente affonda le radici nelle forme di – apprendistato e avviamento al – lavoro nella bottega artigiana dell’antica Roma. Si deve dire tuttavia che i romani (e prima ancora i greci) “non avevano idea di una distinzione tra l’arte (nel senso odierno) e i mestieri artigiani, e dunque tra l’artista e l’artigiano” (Frasca, 1994, 6). Va ricordato, d’altra parte, il merito del cristianesimo nel recuperare il valore etico e religioso del lavoro, anche manuale. Basti richiamare il motto ora et labora che scandisce la vita di molti monasteri fin dall’Alto Me- dioevo. Nel contesto dei cambiamenti socio-economici che si verificano in Europa a partire dal sec. XIII, sorge un altro tipo d’istituzione: la scuola per i mercanti. Con- temporaneamente, nelle nuove città ha luogo una vera esplosione di mestieri. Il Livre des métiers (1268 ca.) elenca 130 mestieri manuali esercitati a Parigi. Gli arti- giani che li esercitano si organizzano in corporazioni allo scopo di difendere i propri diritti e privilegi. All’interno di ogni corporazione si configurano due livelli: i mae- stri e gli apprendisti. In un secondo momento, è introdotto un grado intermedio: gli ufficiali. Molto presto viene espressa l’esigenza di un periodo di – tirocinio prima di poter praticare la propria attività. Il futuro artigiano riceve la preparazione tecnica e viene iniziato ai “segreti del mestiere” attraverso un prolungato contatto con un “maestro” nell’officina e nella casa. Il ragazzo – solo o in piccoli gruppi – comincia l’apprendistato tra i dodici e i quattordici anni e diventa ufficiale verso i diciotto o i vent’anni. Dopo due anni di esercizio del mestiere diventa maestro, mediante la realizzazione, appunto, di un’opera “maestra”. 2. Scuole di arti e mestieri nell’età moderna. Nei sec. XVII-XVIII le corporazioni declinano. L’incipiente “rivoluzione industriale” comporta altre forme di lavoro e modi differenti di organizzarsi tra i lavoratori. In contesti e con obiettivi diversi sorgono nuove iniziative: le scuole per apprendisti dei Fratelli delle Scuole Cri- stiane con un “programma tecnico-pratico”; le scuole di fabbrica in Inghilterra; le case di lavoro durante il Pietismo in Germania; pur con lentezze, ripensamenti e ambiguità, i primi ordinamenti scolastici con qualche attenzione al tema della pre- parazione al lavoro. Nel 1780, il francese duca de La Rochefoucauld-Liancourt concepisce “il progetto di una scuola che offrirebbe l’insegnamento elementare e un sapere tecnico secondo il modello delle scuole di fabbrica che egli aveva visi- tato durante un suo viaggio in Inghilterra” (Day, 1991, 114). L’École des Métiers inizia la sua attività nel 1789 (lettura, scrittura, calcolo, esercizi militari, e prepara- zione pratica a diversi mestieri: sarto, calzolaio, carpentiere, fabbro ferraio). Un decreto di Napoleone (1803) trasforma detto centro in École d’Arts e Métiers per parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 94 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 95 la – formaz. di operai qualificati, trasferita nel 1806 a Châlons-sur-Marne (Cham- pagne). Poco dopo è creata una scuola di arti e mestieri ad Angers. I responsabili costatano la difficoltà che derivava dalla necessaria “associazione della teoria e della pratica, della classe e del laboratorio”. (E sarà questo uno dei temi ricorrenti anche in realizzazioni contemporanee). Dagli anni trenta del sec. XIX, diventa maggiore l’interesse da parte dello Stato per la formaz. dei quadri per l’industria; ma le realizzazioni più significative sono opera dell’iniziativa privata e delle auto- rità comunali. La legge sulle Écoles manuelles d’apprentissage (1880) costituì il primo tentativo di raggruppare tale formaz. sotto la tutela statale. I programmi do- vevano essere approvati dal Ministero dell’Istruzione e da quello dell’Agricoltura e del Commercio. L’intesa, nella pratica, non sempre riuscì facile. Nel 1919, la L. Astier completò il quadro dell’insegnamento tecnico industriale e commerciale, il cui scopo era “lo studio teorico e pratico delle scienze e delle arti o mestieri in vista dell’industria e del commercio” (art. 1). L’impianto generale si mantenne so- stanzialmente inalterato fino alla seconda guerra mondiale. Le esperienze e le nor- mative legali francesi ebbero notevole influsso in altri Paesi europei e americani. 3. Dalle scuole speciali ai corsi di FP in Italia. Gli stimoli arrivati dalla Francia trovano echi nelle pubblicazioni periodiche come il “Giornale della Società d’Istruz. e d’Educ.”. Vi sono anche frequenti riferimenti ad esperienze belghe, inglesi e tede- sche. Le realizzazioni attuate nella penisola italiana non sono però semplice replica di quelle d’Oltralpe. L’Albergo di Virtù fu creato già nel sec. XVI per accogliere giovani poveri “a fine di far loro insegnare le arti”. Nel 1797, l’Opera della Mendi- cità Istruita (fondata nel 1776 a Torino), oltre “il ben vivere, il leggere, lo scrivere, gli elementi di aritmetica”, si proponeva di offrire ai ricoverati “l’avviamento alle arti”. Nel 1838, viene promossa a Milano una Società d’incoraggiamento per le arti e i mestieri. L’incontro tra – istruz. e lavoro è presente inoltre nelle iniziative dei fondatori di istituti religiosi, maschili e femminili (fratelli Cavanis, L. Pavoni, B. Capitanio, L. Murialdo, – G. Bosco). Le prime disposizioni legali sulle “scuole ele- mentari tecniche” si trovano nel Regolamento del Regno Lombardo-Veneto (1818); in Piemonte la L. Boncompagni (1848) segnala che le “scuole speciali [...] prepa- rano all’esercizio delle professioni per le quali non è destinato alcuno speciale inse- gnamento nelle università” (art. 4). La L. Casati (1859) si occupa dell’istruzione tecnica (articolata in due livelli: “scuole tecniche” e “istituti tecnici”), precisando che “ha per fine di dare ai giovani che intendono dedicarsi a determinate carriere del pubblico servizio, alle industrie, ai commerci ed alla condotta delle cose agrarie, la conveniente cultura generale e speciale” (art. 272). Il passaggio, nel 1861, al Mi- nistero dell’Agricoltura, Industria e Commercio non ne facilitò lo sviluppo. Ancora alla fine del sec. si denunciava l’incapacità delle scuole tecniche a “dare un me- stiere” (Soldani, 1981, 110). Di fatto, l’istruzione professionale, regolata da una L. del 1878, ebbe la sua data di nascita legale nelle disposizioni emanate fra il 1879 e 1880 dalle circolari dei ministri Cairoli e Miceli. Pur con difficoltà, essa acquistò progressivamente il riconoscimento di “scuola secondaria”, passando nel 1931 sotto parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 95 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 96 le dipendenze del MPI. La FP, come “sistema formativo extrascolastico”, ebbe invece inizio dopo la seconda guerra mondiale, favorita da due fatti: l’urgenza di preparare manodopera per la ricostruzione, e l’inadeguatezza del sistema scolastico nel dare una risposta al nuovo tipo di domanda formativa espressa dal mondo del lavoro. Il settore fu disciplinato nel 1949 dalla L. 264. Detta legge riceve poi modi- fiche e integrazioni negli anni successivi (1950-1970), che non costituiscono tuttavia un sistema organico di regolamentazione del settore. A tali carenze legislative, il Ministero del Lavoro ha supplito con circolari annuali, dando norme organizzative e amministrative (De Falchi, 1992, 9426-28). 4. Nuovi orientamenti ed esperienze. Nel 1972, le competenze in materia di FP sono state trasferite alle Regioni (con D.P.R. 10, del 5 gennaio) e nel 1978 venne approvata la L. quadro in materia di FP (L. 845/78). I soggetti coinvolti nella legge sono: il Ministero del Lavoro (con ruolo di coordinamento), le Regioni, gli – enti pubblici e privati. Frattanto, si erano consolidate esperienze significative (nel 1977, ad es., iniziava le sue attività nella promozione del mondo del lavoro giovanile il CNOS-FAP). Nella recente L. delega Moratti (L. 53/03), è introdotto un percorso graduale e continuo di FP dai 14 ai 21 anni; e le “istituzioni scola- stiche, nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro, possono collegarsi con il sistema dell’istruzione e della FP ed assicurare, a domanda degli interessati e d’intesa con le Regioni, la frequenza negli istituti d’istruzione e FP di corsi integrati che preve- dano piani di studio progettati d’intesa fra i due sistemi” (art. 4). Tali proposte si trovano in sintonia con gli ordinamenti di altri Paesi della UE, in cui il sottosi- stema della FP è considerato di pari dignità rispetto alla scuola. Bibl.: CHARMASSON Th. (Ed.), L’enseignement de la Révolution à nos jours, Paris, Economica, 1987; DE FALCHI F., “Professionale, formazione”, in M. LAENG (Ed.), Enciclopedia pedagogica, vol. V, Brescia, La Scuola, 1992, 9426-9433; FRASCA R., Mestieri e professioni a Roma. Una storia del- l’educazione, Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1994; HAZON F., Storia della formazione tecnica e professionale in Italia, Roma, Armando, 1991; NANNI C., La riforma della scuola. Le idee, le leggi, Roma, LAS, 2003; PRELLEZO J.M - R. LANFRANCHI, Educazione e pedagogia nei solchi della storia, 3. Voll, Torino, SEI, 2001; SOLDANI S., L’istruzione tecnica nell’Italia liberale, in “Studi Storici” 22 (1981)1, 110. J. M. Prellezo GENITORI – Famiglia; – Processo formativo; – Sistema formativo; – Accoglienza; – CFP; – Comunità educativo formativa; – Contratto formativo; – Educazione GIOVANI – Destinatari; – Minori; – FPI; FP superiore; – Apprendistato; – Alternanza formazione lavoro; – Don Bosco e la FP; – Sistema preventivo; – Spiritualità dell’operatore; – Ispirazione cristiana della FP; – Sviluppo professionale; – Va- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 96 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 97 lori professionali; – Orientamento; – Riforma educativa; – Sicurezza sul lavoro; – Svantaggio sociale; – Abbandono; – Finanziamenti per la FP GLOBALIZZAZIONE – Nuove tecnologie; – Economia e formazione; – Educazione; – Identità; – Spiritualità dell’operatore; – Contratti; – Riforma educativa HANDICAP E FP Il termine h. si riferisce a un ostacolo che impedisce di raggiungere uno scopo. Nel sociale connota un – disagio che pone al disabile la difficoltà di integrarsi nella – società e nel mondo del – lavoro. Egli perciò ha bisogno di una scuola formativa che tenga conto delle diverse – capacità e/o esigenze, in modo da essere inserito in classi comuni o in corsi specifici o pre-lavorativi. Perché il disabile venga orien- tato ad un lavoro mirato si devono prevedere interventi mirati e – formaz. speci- fica. A tale scopo, i formatori (– tutor, coordinatori di processo, progettisti, coor- dinatori di attività di integrazione, orientatori, valutatori dei processi formativi) de- vono mantenere stretti collegamenti con i – Servizi per l’impiego delle Province, al fine di garantire l’articolazione dell’offerta formativa in termini di duttilità tra domanda e offerta. 1. Un progetto mirato (L. 485/78: art. 3, comma l) e m); e art. 8, comma g) e h) prevede l’inserimento del disabile nei corsi formativi ordinari e garantisce a coloro che non sono in grado di avvalersi dei metodi di – apprendimento normali l’ac- quisizione di una – qualifica professionale anche mediante attività specifiche nel- l’ambito di quelle programmate, orientandoli con piani educativi individualizzati durante l’iter formativo, e perseguendo – obiettivi di sbocco in nuovi profili pro- fessionali, mediante percorsi diversificati. La – FP perciò programma interventi formativi, – valutazione e – monitoraggio continuo, bilancio e riconoscimento delle – competenze sviluppate, sostegno e – accompagnamento durante la – formaz. e il – tirocinio, attenzione al ruolo dei formatori e dei – tutor, sostegno alle – famiglie. 2. Ogni apprendimento per attività lavorativa è ben impostato se avviene a stretto contatto con la realtà, le – motivazioni, le difficoltà, le gratificazioni e le frustra- zioni che da essa possono derivargli. Le distinzioni tra momento preparatorio al la- voro (FP) e attività lavorativa vanno relazionate per essere nella vita comunitaria occasioni di successivi momenti di maturazione. Gli interventi per l’inserimento lavorativo (– accompagnamento al lavoro) nel contesto della FP oggi si avvantag- giano di esperienze e scambi tra Paesi europei che ne facilitano le possibilità e mi- gliorano la preparazione degli operatori. Con un’azione pedagogica centrata sulla persona e con attività operativo-pratiche, si orienta l’integrazione facendo recupe- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 97 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 98 rare autonomia e protagonismo. Si realizza più facilmente l’integrazione lavorativa quando è adeguata “la formazione degli operatori impegnati a vario titolo nel so- stegno alle famiglie, nell’integrazione e nell’accompagnamento negli ambienti di lavoro” (Causin - De Pieri, 1999, 17). Questo è possibile oggi anche per l’affer- marsi di – nuove tecnologie e per una diversa organizzazione del lavoro. Ad esempio, il Progetto Horizon aiuta persone affette da specifiche difficoltà; il tele- lavoro diventa possibile in casi di non facile spostamento. 3. Perciò la nuova frontiera della FP sviluppa nel disabile autonomia, – professio- nalità, capacità di partecipazione alla vita comune, valorizzazione delle potenzia- lità e competenze, interazione coi possibili ambiti lavorativi, – orientamento vocazionale. Questi sono i pilastri degli interventi delle fasi della preparazione e dell’inserimento nel mondo del lavoro. Bibl.: VAN LOOY L. - G. MALIZIA (Edd.), Formazione professionale salesiana. Proposta in una pro- spettiva multidisciplinare, Roma, LAS, 1997; CAUSIN P.- S. DE PIERI (Edd.), Disabili e società. L’integrazione socio-lavorativa in prospettiva europea, Milano, Franco Angeli, 1999; BARAVELLI F., Handicap formazione professionale-lavoro in Emilia Romagna. Analisi comparata delle ricerche 1972-1985, Bologna, Tipografia Moderna, 1999; ANTINORI F. et al., Autonomia, forma- zione e inserimento lavorativo dei disabili, Padova, CLEUP 2000; DELLE CHIAIE M.C., Disabilità e garanzie sociali. Integrazione e opportunità della persona disabile, Roma, Ed. Interculturali, 2002. G. Morante IDENTITÀ Il termine i., entrato ormai nel linguaggio comune, è carico di significati ed è utilizzato nei contesti più diversi: in ambito teologico, psicologico, sociologico, antropologico-culturale, religioso. La problematica dell’i. costituisce il punto di incontro di numerose discipline (Sciolla, 1983). Storicamente affrontato dapprima in filosofia, da alcuni decenni il concetto viene utilizzato da altre – scienze umane, in particolare dalla sociologia e psicologia con l’effetto di una notevole disparità di definizioni. 1. In ambito psicologico, i significati del termine si sovrappongono o contrappon- gono con facilità, sicché “individuazione”, “sentimento di i.”, “Sé”, “sistema di Sé” sono considerati concetti intercambiabili con quello di i. L’i. racchiude in sé concetti diversi, come continuità e sviluppo, stabilità e cambiamento, uguaglianza e diversità, identificazione e differenziazione, fedeltà alle tradizioni e apertura al- l’innovazione, maturazione personale e sociale. In tal senso, è un concetto multi- dimensionale e complesso, sia sotto il profilo teorico che in riferimento al con- testo culturale in continuo mutamento. Sono molteplici gli aspetti e le dimensioni che la connotano, tuttavia muovendosi sul terreno del senso comune, si pensa all’i. come alla consapevolezza di essere se stessi, pur attraverso le molteplici tra- sformazioni che si sperimentano nel tempo e nelle diverse situazioni o relazioni sociali, o anche a quell’esperienza vissuta globale e coerente di sé che dà senso e parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 98 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 99 unità interiore. L’i. si configura innanzitutto come “i. personale” e indica ciò in base a cui l’individuo sente di esistere come persona, si sente accettato e ricono- sciuto come tale dagli altri, dal suo gruppo o dalla sua cultura di appartenenza. È il risultato di due percezioni simultanee: la percezione immediata della propria ipseità (auto-identificazione) e della continuità della propria esistenza nel tempo; la percezione simultanea del fatto che gli altri riconoscano tale ipseità e continuità (Erikson, 1974, 58). 2. L’i. non è “data fin dall’inizio”, ma rappresenta il risultato laborioso di una storia personale, che si è costruita a partire dall’elaborazione – all’interno della trama di relazioni interpersonali e d’interazioni con l’ – ambiente – dell’incidenza dei mo- delli culturali e delle differenti esperienze di vita. Perché l’i. possa manifestarsi, è necessario che l’uomo percepisca se stesso come un tutto unitario e impari a rico- noscere la propria separata diversità di individuo (processo di individuazione) in un continuo “separarsi da” e “riconoscersi in”, riconoscersi uguale a se stesso e di- verso dagli altri. Ciascuno trova la conferma o dis-conferma della propria i. nell’in- contro/confronto con gli altri, persone, gruppi, ambiente, cultura. Per svilupparsi armoniosamente nella propria i., ha bisogno di essere strutturato contemporanea- mente dalle proprie appartenenze sociali, territoriali, etniche, linguistiche, culturali e religiose, deve essere capace di assumere le proprie “i. collettive”, integrandole nell’insieme e dando loro un senso (Del Core, 2000, 206). 3. Si parla anche di “i. sociale”, “i. culturale ed etnica”, “i. vocazionale e professio- nale” che non sono altro che delle varianti o delle componenti dell’“i. personale”. L’i. e la sua formaz., nel contesto attuale di globalizzazione, è diventata molto più problematica, non solo per le nuove generazioni, ma anche per la convivenza delle generazioni adulte il cui compito di trasmissione culturale si fa sempre più difficile e complesso. Bibl.: ERIKSON E.H., Gioventù e crisi d’identità, Roma, Armando, 1974; SCIOLLA L. (Ed.), Identità, Torino, Rosemberg & Sellier 1983; DI CRISTOFORO LONGO G., Identità e cultura. Per un’antropologia della reciprocità, Roma, Ed. Studium, 1993; DEL CORE P., Identità e alterità. Fondamenti dinamici della reciprocità e percorsi maturativi, in “Rivista di Scienze dell’Educazione” 38 (2000)2, 201-234; DEL CORE P. - A.M. PORTA (Edd.), Identità, cultura e vocazione. Quale futuro per la formazione in Europa?, Roma, LAS, 2002. G. Del Core IMMIGRAZIONE – Educazione interculturale IMPRESA Nel linguaggio comune, erroneamente, si tende a considerare i. e azienda come sino- nimi. Giuridicamente, invece, sono termini con significati diversi. Il Codice civile parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 99 &7�FQRV���SB�B����SGI �� ������������������ 100 non definisce l’i., ma l’imprenditore: chi “esercita professionalmente un’attività eco- nomica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi” (art. 2082). Di conseguenza l’i. è definibile come un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi. Il Codice civile defi- nisce, invece, l’azienda come “il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa” (art. 2555). L’azienda è quindi l’insieme degli strumenti utilizzati per svolgere l’attività imprenditoriale. Ogni anno nascono in Italia più di 300.000 nuove i. e il saldo tra le nuove i. iscritte e quelle cancellate nel registro tenuto dalle Camere di Commercio risulta positivo, tanto che lo sviluppo delle attività imprenditoriali è generalmente considerato come uno dei modi per riuscire a debellare i grandi numeri della disoccupazione. Per questo, negli ultimi anni, si sono intensificati gli interventi a sostegno della creazione d’i.: a) inter- venti di natura finanziaria, cfr. in particolare la L. 44/86 e successive modificazioni, la L. 236/93, entrambe gestite dalla Società per l’Imprenditorialità Giovanile (IG), e la L. 215/92 sulla IG; a queste si aggiungono numerosissimi provvedimenti regiona- li; b) interventi di formaz.: le Regioni inseriscono nei loro piani di– formaz. corsi de- dicati all’imprenditorialità; analogamente le Camere di Commercio offrono corsi di preparazione alla creazione d’i.; nelle scuole superiori sono inseriti programmi di simulazione della creazione d’i. (come il progetto IG studenti); c) interventi di assi- stenza tecnica, per supportare la nascita della nuova imprenditorialità. Per la gestione degli aiuti connessi ai – finanziamenti, lo Stato opera attraverso la IG. La IG, che fa capo al Ministero del Tesoro, svolge tutte le funzioni e i compiti necessari per soste- nere l’intero processo di creazione di i., inoltre promuove e finanzia anche forme di – lavoro autonomo attraverso il “prestito d’onore”. Da menzionare anche l’attività dei BIC (Business Innovation Center), che hanno la mission di sviluppare la cultura imprenditoriale e stimolare la creazione di nuove i. I BIC, promossi dalla Commis- sione Europea, Direzione Generale Politica Regionale, sono istituiti in molte Regio- ni con la formula della S.p.A. Molte anche le iniziative di assistenza promosse da – enti locali. In molti Comuni, ad es., è stata attivata la costituzione del cosiddetto sportello unico, un ufficio apposito al quale ci si può rivolgere per espletare tutte le pratiche burocratiche accessorie necessarie per iniziare una nuova attività senza doversi perdere nei meandri della pubblica amministrazione. Da menzionare, infine, le numerose iniziative di – accompagnamento alla imprenditorialità realizzate all’interno di progetti integrati di formaz. o da parte di strutture orientative. Bibl.: ASSEFOR, Il neo-imprenditore: manuale operativo per mettersi in proprio, Rimini, Assefor, 1991; DE BENEDETTIS A. - G. MINGOLLA - A. SCACCHERI (Edd.), Come fare un business plan, Milano, Franco Angeli, 1993; ELVY B.H., Mettersi in proprio senza capitali: 100 nuove idee e opportunità, come valutarle e selezionarle, Milano, Franco Angeli, 1994; SOCIETÀ PER L’IMPRENDITORIALITÀ GIOVANILE, Vademecum per l’imprenditore: dal sogno all’idea imprenditoriale, Roma, Società per l’imprenditorialità giovanile, 1995; ABELL F. D., Strategia duale: dominare il presente, anticipare il futuro, Milano, Il Sole 24 ore media & impresa, 1997; REGIONE TOSCANA. DIPARTIMENTO DELLE POLITICHE SOCIALI E DEL LAVORO, Come creare la propria attività e la propria impresa: guida alle iniziative locali, Firenze, Ed. Toscana, 1999. F. Ghergo parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 100 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 101 INDICATORI DI QUALITÀ – Competenza INDIVIDUALIZZAZIONE – Personalizzazione; – Esclusione sociale INFORMAZIONE – Nuove tecnologie; – European Computer Driving Licence; – Conoscenze; – Comunità educativo formativa INSEGNAMENTO Attività sociale diretta alla diffusione di – conoscenze, – abilità, atteggiamenti e valori negli altri per mezzo di opportuni sistemi di rappresentazione e di – comu- nicazione. Dal latino insignare, imprimere segni, il termine è stato ben presto utilizzato per in- dicare la rappresentazione delle informazioni e delle conoscenze in signo sensibile, cioè secondo un sistema di segni sensibili (in signo ponere). D’altra parte insignare significa anche indicare, far segno. 1. L’azione di i. può, quindi, essere considerata sia come azione che mira a rendere sensibili, percepibili le conoscenze, le abilità, le – competenze, i valori che si in- tendono proporre all’azione di – apprendimento degli allievi, sia come indica- zione del loro significato, del loro grado di plausibilità e del loro valore soggettivo e collettivo. Oggi si insiste sul ruolo della pratica di i. come facilitazione dell’ap- prendimento: l’i. è considerato come l’attività sociale che consiste nel creare le condizioni nelle quali i soggetti possano e vogliano apprendere quanto è loro pro- posto. La scienza che studia tale attività sociale è chiamata “didattica”, dal greco didaskein (insegnare). 2. Insegnare validamente ed efficacemente è un compito assai complesso. Esso implica non solo una conoscenza approfondita e consapevole di quanto è oggetto di proposta di apprendimento, bensì anche la – capacità di rappresentarlo e co- municarlo efficacemente agli interlocutori, una sensibilità alle esigenze e diffi- coltà di apprenderlo da parte loro, un senso di responsabilità e coinvolgimento personale nell’impegno didattico. La storia passata e le testimonianze contempo- ranee circa le pratiche di i. messe in atto e risultate valide ed efficaci permettono di individuare un insieme di buone pratiche (meno felicemente dette buone prassi), che costituiscono modelli a cui fare riferimento per progettare e realiz- zare nuove attività formative. Nel contesto di questi modelli sono state suggerite alcune tecniche che sembrano favorire in maniera particolare l’apprendimento parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 101 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 102 da parte di diverse tipologie di interlocutori. Tra queste tecniche merita ricordare un particolare suggerimento: articolare i percorsi formativi secondo unità didat- tiche o formative opportunamente strutturate. Si preferisce, spesso, usare l’e- spressione unità di apprendimento per sottolinearne il criterio organizzativo, che fa riferimento non tanto a quanto fa o deve fare l’insegnante, quanto a ciò che deve essere fatto da parte di ogni studente, o allievo, come suo specifico appren- dimento. Un’unità di questo tipo implica: a) che sia sufficientemente evidente l’– obiettivo, o l’insieme degli obiettivi, che si intende raggiungere; b) che siano esplicitate le conoscenze e le abilità prerequisite; c) che siano chiari e validi sia i contenuti da proporre, sia la – metodologia adottata, sia le modalità di – valu- tazione. 3. Tra le metodologie da valorizzare, in particolare nei processi formativi, vanno segnalate quelle che favoriscono lo sviluppo della capacità di autoregolazione nell’apprendimento e di collaborazione tra gli allievi. Per promuovere la capacità di autoregolazione viene spesso indicata come buona pratica una metodologia nella quale l’insegnante assume il ruolo di mentore, cioè di guida e sostegno allo sviluppo di – progetti personali di apprendimento e alla capacità di auto-diri- gersi nella loro realizzazione e valutazione (mentoring). Quanto alla capacità di collaborare nei processi di studio sono abbastanza diffuse forme e tecniche di ap- prendimento collaborativo o cooperativo (cooperative learning), che tengono conto anche di obiettivi a valenza sociale, oltre che culturale e professionale. Bibl.: DAMIANO E., L’azione didattica, Roma, Armando, 1993; GORDON T., Insegnanti efficaci, Firenze, Giunti e Lisciani, 1996; PERRENOUD P., Enseigner, agir dans l’urgence, décider dans l’incer- titude, Paris, ESF, 1996; ID., Dix nouvelles compétences pour enseigner, Paris, ESF, 1999; BORICH G.D., Effective Teaching Methods, Columbus (Ohio), Merrill, 2000; MEAZZINI P., L’insegnante di qualità, Firenze, Giunti, 2000. M. Pellerey INSEGNAMENTO A DISTANZA – Formazione a distanza INSEGNAMENTO SOCIALE DELLA CHIESA 1. Origine e sviluppo. L’ISC “trova la sua sorgente nella Sacra Scrittura, a comin- ciare dal libro della Genesi e, in particolare, nel Vangelo e negli scritti apostolici. Essa appartenne fin dall’inizio all’insegnamento della Chiesa stessa, alla sua con- cezione dell’uomo e della vita sociale e, specialmente, alla morale sociale elabo- rata secondo le necessità delle varie epoche” (Laborem exercens n. 3). Ha, tuttavia, avuto una fioritura particolarmente rigogliosa in concomitanza all’insorgenza della rivoluzione industriale. In ragione del fatto che i documenti successivi alla Rerum novarum di Leone XIII sono stati promulgati in continuità tra loro, si è gradual- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 102 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 103 mente costituito un corpus dottrinale aggiornato (cfr. Sollicitudo rei socialis, n. 1), abbastanza organico. Esso è sostanziato da principi di riflessione, criteri di giu- dizio, orientamenti pratici. Le ragioni dello sviluppo dell’ISC sono molteplici. È da tener presente sia l’ur- genza e la novità dei problemi legati alla suddetta rivoluzione industriale animata in senso liberista, sia la preoccupazione pastorale dei pontefici di offrire ai catto- lici (e non solo a loro) punti di riferimento e di orientamento etico-culturale per la loro azione, in vista della soluzione della questione sociale secondo l’ispirazione cristiana, partendo cioè dalla lettura degli avvenimenti alla luce del Vangelo e della Tradizione. 2. Natura. È con la Gaudium et spes, preceduta dalla Mater et magistra, in un con- testo socio-culturale sensibilmente mutato ed ampiamente secolarizzato, che l’ISC, grazie ad un’ecclesiologia della comunione, della missione e del servizio, assume più apertamente ed autorevolmente la sua formalità di sapere teologico teorico- pratico. Ciò è avvenuto non in contrapposizione o in alternativa alla precedente strutturazione, prevalentemente filosofica, ma riequilibrandola e ricomprendendola in una formalità superiore, quella teologica, peraltro esigita connaturalmente e ne- cessariamente dall’origine ecclesiale ed apostolica dello stesso ISC. Così rigoriz- zato, l’ISC appare chiaramente espressione del ministero di salvezza integrale che la Chiesa, come comunità-comunione di più componenti, è chiamata a svolgere nei confronti di ogni uomo, di tutto l’uomo. Derivando dall’essere apostolico della Chiesa, viene ritenuto atto a rivelare, annunciare, indicare presente e servire l’a- zione di Dio nel sociale, avente anch’esso, come tutte le altre realtà umane, il suo centro gravitazionale in Gesù Cristo, il nuovo Adamo, venuto per ricapitolare in sé tutte le cose (cfr. Ef 1,3-14; Col 1,15-20). Dopo il Concilio Vaticano II, dopo i tentativi maldestri che ideologizzavano l’ISC o dottrina sociale della Chiesa (= DSC) scambiandolo con l’indicazione di un si- stema sociale, dopo le critiche di alcune teologie della liberazione che ne rileva- vano la tendenza a snaturare il cristianesimo e ad immanentizzare la salvezza, Gio- vanni Paolo II afferma testualmente: “La dottrina sociale della Chiesa non è una ‘terza via’ tra capitalismo liberista e collettivismo marxista, e neppure una possi- bile alternativa per altre soluzioni meno radicalmente contrapposte: essa costi- tuisce una categoria a sé. Non è neppure un’ideologia, ma l’accurata formulazione dei risultati di un’attenta riflessione sulle complesse realtà dell’esistenza del- l’uomo, nella società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tra- dizione ecclesiale. Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminandone la conformità o difformità con le linee dell’insegnamento del Vangelo sull’uomo e sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente; per orientare, quindi, il com- portamento cristiano. Essa appartiene, perciò, non al campo dell’ideologia, ma della teologia e specialmente della teologia morale. L’insegnamento e la diffusione della dottrina sociale fanno parte della missione evangelizzatrice della Chiesa” (Sollicitudo rei socialis, n. 41). parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 103 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 104 3. Dimensione pastorale e pedagogica. Nella coscienza di Giovanni Paolo II, l’an- nuncio della DSC o ISC è componente essenziale della nuova evangelizzazione (cfr. Centesimus annus, n. 5). In altre parole, non può essere considerato facolta- tivo per la comunità ecclesiale, per l’educatore alla fede e per la testimonianza. È indispensabile dal punto di vista apostolico e pedagogico. Senza il suo apporto non si può educare globalmente e far crescere alla fede matura né i singoli credenti né le comunità ecclesiali e religiose; e così, non si può servire adeguatamente l’uomo, per favorirne una promozione ed una liberazione secondo la sua vocazione trascendente. Data la natura interdisciplinare dell’ISC, l’uso didattico dei testi delle encicliche e dei vari documenti sociali, compresi quelli episcopali, non può limitarsi alla di- mensione teologico-morale, dimenticandone quella umanistica e pratico-proget- tuale. Inoltre, non si può rinserrarne la presentazione nell’astoricità o nelle mura scolastiche, senza evidenziarne l’intrinseco legame con il farsi della – società passata o contemporanea. Per questo, non ci si può accontentare delle varie sin- tesi contenutistiche sull’ISC presenti nel mercato librario e dotate solo di qualche fugace cenno storico. Tali sussidi, peraltro utili a sistematizzare un materiale a volte frammentato e inevitabilmente segnato dalla contingenza, debbono essere valorizzati e integrati all’interno di un metodo storico-teorico-pratico. Questo consente di penetrare meglio nel costruirsi progressivo dell’ISC, insegnando a di- venirne soggetti attivi e responsabili. In tal modo, non viene formata solo la co- scienza morale, ma si perfeziona la propria sapienza teologale e pratica relativa alla concretizzazione del bene possibile della società, senza rinunce o tradimenti della visione cristiana della società, all’interno di una prospettiva del già e non ancora. Bibl.: CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti per lo studio e l’insegnamento della dottrina sociale nella formazione sacerdotale, Bologna, EDB, 1989; CAMACHO I., Doctrina social de la Iglesia, Madrid, Ediciones Paulinas, 1991; TOSO M., “Welfare Society”. L’apporto dei pontefici da Leone XIII a Giovanni Paolo II, Roma, LAS, 1995; ID., Dottrina sociale oggi, Torino, SEI, 1996; BEDOGNI G., La dottrina sociale nella formazione del cristiano adulto, Roma, Agrilavoro, 2000; TOSO M., Verso quale società? La dottrina sociale della Chiesa per una nuova progettualità, Roma, LAS, 2000; ID., Umanesimo sociale. Viaggio nella dottrina sociale e dintorni, Roma, LAS, 2002. I documenti sociali della Chiesa sono reperibili in ASS = Acta Sanctae Sedis (fino al 1908) e in AAS = Acta Apostolicae Sedis (dal 1908). Una raccolta delle principali encicliche, facilmente accessibile, è quella di I documenti sociali della Chiesa. Da Leone XIII a Giovanni Paolo II, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1991. M. Toso INSEGNANTE – Moduli; – Didattica induttiva; – Insegnamento; – Abbandono; – Autonomia; – Riforma educativa; – Valutazione parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 104 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 105 INSERIMENTO PROFESSIONALE / LAVORATIVO – Accompagnamento al lavoro; – Servizi per l’impiego; – Risorse umane; – Handicap e FP; – CFP; – FPI; – FP superiore; – Personalizzazione INTEGRAZIONE CON LA SCUOLA – FP INTEGRAZIONE SOCIALE – Società INTERAZIONE TRA SISTEMI – FP INTERCULTURA – Educazione interculturale; – Società; – Metodologia; – Diritti formativi INTERESSI PROFESSIONALI – Orientamento ISO 9000 – Qualità; – Accreditamento; – Mansione ISPIRAZIONE CRISTIANA DELLA FP La Chiesa in Italia ha manifestato da lungo tempo una particolare attenzione alle istituzioni che preparano i giovani al – lavoro, riconoscendo ad esse una funzione educativa e culturale che domanda molto impegno. L’i.c. infatti richiede di non in- serire nella – FP procedimenti unicamente preoccupati di promuovere e di valutare le – abilità tecniche, ma piuttosto di sviluppare l’attenzione alla totalità della per- sona umana. L’impegno della comunità ecclesiale deve quindi farsi ancora più attento, perché questi Centri di i.c., secondo la loro lunga e collaudata esperienza, sempre meglio possano operare nel pieno rispetto della dignità umana e secondo un progetto educativo valido e chiaramente ispirato all’annuncio evangelico sull’uomo, sul lavoro, sul contesto economico in cui quest’ultimo si svolge in un’ottica di formaz. permanente (– FP continua). parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 105 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 106 1. Aspetti caratterizzanti l’identità della FP che si ispira ai valori cristiani. Entrando nel merito della specificità della FP per quanto riguarda le sue finalità e l’offerta educativa da essa proposta, si può procedere con la considerazione se- guente. Da una parte, gli aspetti caratterizzanti la sua identità sono quelli che val- gono per ogni tipo di istituzione educativa che si ispira ai valori cristiani (ad es. le scuole cattoliche); dall’altra, è possibile richiamare alcuni aspetti specifici e più ca- ratteristici di questa particolare forma educativa. Tra i primi, seguendo le indicazioni del magistero si possono ricordare i seguenti: a) Connotazione ecclesiale: l’“eccle- sialità della scuola cattolica è scritta nel cuore stesso della sua identità di istituzione scolastica” (S. Congregazione per l’educazione cattolica, n. 11); essa si colloca nella missione evangelizzatrice della Chiesa: la “Scuola Cattolica rientra nella missione salvifica della Chiesa e particolarmente nell’esigenza dell’educazione alla fede” (CEI, n. 9); b) Connotazione comunitaria: la “dimensione comunitaria nella scuola cattolica non è una semplice categoria sociologica, ma ha anche un fondamento teo- logico” (S. Congregazione per l’educazione cattolica, n. 18). Questo fondamento è la teologia della Chiesa-comunione, espressa nella costituzione Lumen gentium. “Elemento caratteristico [della scuola cattolica] è [quello] di dar vita ad un – am- biente comunitario scolastico permeato dello spirito evangelico di libertà e carità” (Gravissimum educationis, n. 8); c) La qualità della proposta culturale: la ped. della scuola cattolica si ispira ai valori evangelici. Con tale espressione si intende dire che tutto l’agire educativo che la caratterizza ed il clima che in essa si respira devono riflettere questa ispirazione di fondo. Nella scuola cattolica si persegue la formaz. integrale dell’uomo. La “chiesa istituisce le proprie scuole, perché riconosce in esse un mezzo privilegiato volto alla formaz. integrale dell’uomo: la scuola infatti è un centro in cui si elabora e si trasmette una specifica concezione del mondo, del- l’uomo e della storia” (S. Congregazione per l’educazione cattolica, n. 8). Più avanti, lo stesso documento afferma: “è compito formale della scuola, in quanto isti- tuzione educativa, rilevare la dimensione etica e religiosa della cultura, proprio allo scopo di attivare il dinamismo spirituale del soggetto e aiutarlo a raggiungere la libertà etica che presuppone e perfeziona quella psicologica” (S. Congregazione per l’educazione cattolica n. 30); d) Significato sociale e civile della scuola cattolica: la scuola cattolica è un’espressione di un diritto che tutti i cittadini hanno. La “Scuola Cattolica è un’espressione del diritto di tutti i cittadini alla libertà di educazione, e del corrispondente dovere di solidarietà nella costruzione della convivenza civile” (CEI, n. 12). Con la sua presenza la scuola cattolica offre un contributo prezioso alla realizzazione di un reale pluralismo basato sul principio di – sussidiarietà. La “ca- ratterizzazione di servizio pubblico – pur nel rigoroso rispetto della propria identità culturale – conferisce alla Scuola Cattolica anche una connotazione sociale, che esclude ogni scopo di lucro (CEI, n. 81). “La presenza della Chiesa nella cultura, e quindi nel campo scolastico ed educativo, rappresenta per la storia italiana una co- stante e un germe innegabile di promozione umana e sociale” (CEI, n. 5). Si tratta di dimensioni che attraversano anche la FP di ispirazione cristiana la quale peraltro le assume secondo una propria specificità che lo stesso documento La scuola cattolica parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 106 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 107 oggi in Italia così sintetizza: “Alcuni aspetti dovranno soprattutto essere tenuti pre- senti: l’equilibrio tra FP e formaz. umana, in una età ancora segnata dallo sviluppo; la necessità di una fondazione scientifica, culturale ed etica della FP; l’attenzione alle ricorrenti esigenze di ‘riconversione’, tipiche di questo settore; la proposta di una ‘cultura del lavoro’ che sappia riesprimere alla luce del Vangelo la relazione del- l’uomo con la macchina e la materia, nonché la problematica sociale e sindacale. A tal fine occorre che, anche in sede di riforma legislativa della scuola secondaria su- periore, si assicuri tutela adeguata a Centri e servizi che hanno arricchito la nostra società e di cui il Paese ha tuttora bisogno” (CEI, n. 56). La cornice entro cui la FP di ispirazione cristiana si colloca è quella desumibile dalla Dottrina sociale della Chiesa (– Insegnamento sociale della Chiesa) ossia da quel magistero dottrinale che è contenuto nelle Encicliche sociali in particolare a partire dalla Rerum novarum (1891). Esse esprimono la coscienza storica della Chiesa in materia sociale e nello stesso tempo individuano principi e criteri orientativi permanenti in grado di orien- tare l’azione dei fedeli nel campo sociale, del lavoro e dell’ – economia: Quadrage- simo anno (1931), Mater et Magistra (1961), Pacem in terris (1963), Populorum progressio (1967), Octogesima adveniens (1971), Laborem exercens (1981), Solleci- tudi rei socialis (1987), Centesimus annus (1991). In particolare le tematiche del rapporto tra formaz., lavoro ed economia vengono affrontate nella Laborem exer- cens finalizzata alla lettura del lavoro quale ambito di manifestazione dell’umano e quindi affermando l’uomo quale collaboratore del proprio ambito professionale e non meramente oggetto dell’attività economico produttiva. L’interpretazione antro- pologicamente ricca e innovativa del lavoro viene espressa nella Sollecitudo rei socialis e nella Centesimus annus che sottolinea il principio della formaz. umana e professionale di base per tutti i lavoratori e quello della compartecipazione alla diretta gestione del proprio ambito produttivo. 2. Nuovi compiti e prospettive della FP di ispirazione cristiana. Oggi un punto d’avvio importante è costituito dalla presa d’atto dell’importanza dell’ – educ. per- manente quale dinamica vitale dell’uomo strettamente collegata al suo processo di progressiva – personalizzazione. Si tratta dell’assieme di proposte, opportunità, esperienze emergenti dalla – società finalizzate a collaborare con l’individuo in funzione della sua crescita personale e della sua progettazione esistenziale. In questo contesto, la FP si presenta come una particolare proposta intesa a collaborare con la – famiglia nella – educ. iniziale dei soggetti in età evolutiva e in cui vanno coniu- gati la formaz. di base e il perfezionamento professionale. Da qui deriva la possibi- lità di intendere la FP non come un addestramento finalizzato esclusivamente all’ – insegnamento di destrezze manuali, ma come un principio pedagogico capace di ri- spondere alle esigenze del pieno sviluppo della persona secondo un approccio speci- fico fondato sull’esperienza reale e sulla riflessione in ordine alla prassi che per- mette di intervenire nel processo di costruzione dell’ – identità personale. In questo senso, la FP può essere pensata anche nell’età dello sviluppo come una specifica linea formativa capace di promuovere una formaz. integrale della persona seguendo parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 107 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 108 un percorso metodologico e didattico proprio, distinto da quello previsto dall’istruz. scolastica. Questa possibilità è in linea con la tradizione storica della FP di i.c. che, attraverso molteplici esperienze di istituti religiosi maschili e femminili, ne ha sa- puto sperimentare i concreti modelli di attuazione e i riferimenti pedagogici. Si tratta di dar vita, fondamento e riconoscimento pubblico ad un sistema di sostegno della – FP iniziale e – continua e nello stesso tempo di delinearne le strategie didattiche adeguate. I principi pedagogici ispirativi, desumibili e coerenti con l’antropologia cristiana, in grado di condizionare sia la concezione dell’economia che quella del la- voro, potrebbero essere espressi nel seguente modo: a) nel mondo del lavoro si rea- lizzano non solo attività produttive di beni e di servizi, bensì anche produzione di cultura, maturazione di modalità di accesso individuale alla cittadinanza e consape- volezza della propria dignità umana; b) la formaz. esclusivamente mirata alla pro- duttività individuale ingenera distorsioni nella lettura del lavoro considerato unica- mente in funzione del guadagno trasformando il produttore in consumatore e non in un uomo consapevole dell’autentico valore spirituale del lavoro; c) è necessario non perdere il riferimento al primato dello spirito, alla giusta gerarchia dei valori e alla connessione tra i diversi aspetti delle attività umane; porre il lavoro a servizio dell’“azione” vale a dire di quell’attività – il vivere sociale e la comprensione tra gli uomini – che è più autenticamente e propriamente umana; l’apporto di beni e la fab- bricazione di strumenti hanno valore non in funzione esclusiva del prolungamento della pura sopravvivenza, ma perché permettono di affrontare la vita proponendosi mete proporzionali alla vocazione dell’uomo “immagine e somiglianza di Dio”. Bibl.: CEI, La scuola cattolica oggi in Italia, Roma, CEI, 1983; COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE, Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente. Documento di lavoro dei servizi della Commissione, Bruxelles, SEC (2000) 1832, 30.10.2000; ID., Realizzare uno spazio europeo del- l’apprendimento permanente. Comunicazione della Commissione, Bruxelles, COM(2001) 678 defi- nitivo, 21.11.2001; S. CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, La scuola cattolica alle soglie del terzo millennio, Roma, 1999; ID., La scuola cattolica, Roma, 1977; CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA, Gli obiettivi dei sistemi di istruzione e formazione. Relazione del 14/02/01, in “Docete”, 56 (2001) 9, 439-452; FILIPPI N., Verso una nuova concezione del lavoro, in L. SECCO (Ed.), Il rinnova- mento scientifico nelle istituzioni del terzo millennio, Verona, Morelli editore, 2000; FONTANA F. - G. TACCONI - M. VISENTIN, Etica e deontologia dell’operatore della FP, Roma, Tipografia Pio XI, 2003; Il confronto europeo. Prefazione, in Obbligo scolastico e obbligo formativo. Sistema italiano e con- fronto europeo, in “Studi e Documenti degli Annali della Pubblica Istruzione”, n. 92/93, Firenze, Le Monnier, 2001, 134-139; MALIZIA G., Società cognitiva e politiche della formazione nell’Unione Europea, in “ISRE”, VI (1999) 1, 28-50; TOSO M., Verso quale società. La dottrina sociale della Chiesa per una nuova progettualità, Roma, LAS, 2002. B. Stenco ISTITUZIONI – Enti di FP; – Istruzione e FP; – Accreditamento; – Autonomia; – Cittadi- nanza; – Destinatari; – Società; – Sistema formativo; – Riforma educativa; – Progettazione formativa; – Parti sociali; – Obbligo scolastico e formativo; – Ispirazione cristiana della FP; – Educazione; – FP: sviluppo storico; – Capacità parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 108 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 109 ISTRUZIONE E FP Insieme di opportunità e di servizi volti a consentire alla persona di acquisire una – qualifica professionale e – progressivamente – un diploma di formaz. ed un diploma di formaz. superiore. Il percorso di i. e – FPI presenta carattere educa- tivo, istituzionale, progressivo. Esso è equivalente rispetto al percorso liceale con il quale condivide il modello regolatore (profilo educativo culturale e professio- nale) e la possibilità di passaggi reciproci, ma dal quale risulta diversificato dal punto di vista metodologico e del disegno delle opportunità. Il nuovo art. 117 della Costituzione parla di “istruzione e formazione professionale” intendendo non già un accostamento meccanico di strutture preesistenti, quanto una realtà nuova con- cepita in stretta relazione con il territorio, le – imprese, le professioni, la – so- cietà civile, nell’ambito dell’autonomia delle istituzioni scolastiche e formative. Il sistema di i. e FP non si limita alla tradizionale – FPI, ma riguarda ogni cittadino lungo tutto il corso della sua vita. 1. Nel passato l’espressione – formaz. era spesso contrapposta a quella di – educ. Mentre quest’ultima intendeva lo sforzo teso alla massima realizzazione delle po- tenzialità umane nel rispetto della loro intrinseca unicità ed irripetibilità, la prima prefigurava una sorta di “addomesticamento” della persona alle esigenze precosti- tuite della realtà economica e sociale. Ora, il confine tra queste due espressioni ap- pare molto più labile, mentre si profila tra di esse una tendenza convergente: nes- suna educ. può esimersi dall’essere formativa, espressione che prevede “la possibi- lità di controllare, guidare, monitorare, valutare un certo processo formativo sulla base della sua coerenza interna, della sua rispondenza alle finalità, agli obiettivi, alle procedure che si è deciso esso debba seguire” (Monasta, 1997, 23). Nello stesso tempo, nessuna formaz., se è davvero rivolta alla persona, può evitare di caratteriz- zarsi entro un quadro educativo, ovvero di valorizzazione del potenziale proprio della stessa in riferimento al suo specifico – progetto personale. 2. La natura dei percorsi di i. e FP è da rintracciare nei seguenti punti: a) nella cen- tralità della persona all’interno dei processi che tali percorsi rendono possibili, che significa porre il primato della risorsa umana – riferita ad una persona matura, re- sponsabile, critica nel pensare, nel fare e nell’agire – come fondamento e condi- zione prima per lo sviluppo sociale e quindi economico; b) nella unitarietà del sa- pere superando la tradizionale gerarchizzazione e separazione tra theorìa e téchne, tenendo anche conto che l’attuale scenario della società cognitiva esige un processo circolare tra saperi, esperienze, educazioni nella prospettiva del lifelong learning; c) nella affermazione del valore pienamente culturale e quindi educativo dei per- corsi di i. e FP e della loro pari dignità rispetto ai percorsi liceali; d) nella afferma- zione della priorità dei compiti/problemi e dei progetti, piuttosto che delle disci- pline di studio, nella costruzione dei piani di studio personalizzati che mirano alla acquisizione di – competenze che consentono alla persona di svolgere un ruolo attivo e protagonista nella realtà sociale e lavorativa. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 109 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 110 3. La formaz. è strettamente connessa alla struttura del – lavoro intesa come am- bito simbolico, operativo e relazionale nel quale si sviluppa l’attività umana come dinamica di “creazione sociale”. Ciò comporta la necessità di delineare i modi del rapporto tra formaz. e lavoro. Il lavoro, in particolare il tipo di lavoro emergente dall’attuale dinamica sociale ed economica (che possiamo definire in modo sintetico post-tayloristica e post-burocratica), è portatore di una “formati- vità” implicita che va innanzitutto riconosciuta e poi valorizzata verso la mas- sima promozione delle – risorse umane. Il – processo formativo non è pertanto riconducibile ad una “forma” astratta, derivante da una codificazione delle di- verse prassi formative entro modelli e schemi poiché non possono sostituire le di- namiche reali del lavoro ed il loro carattere formativo implicito. La riflessione che è propria dell’agire formativo richiede pertanto un continuo riferimento alla forma reale del lavoro. Di conseguenza, il maggior nemico della “buona formaz.” è il formalismo, ovvero una concezione che considera eccessivamente il modello da applicare piuttosto che la capacità di guida inscritta nella relazione concreta tra la persona (ovvero il suo potenziale) e il lavoro e le competenze poste in atto in tale legame. Bibl.: MAGGI B., La formazione: concezioni a confronto, Milano, Etas, 1991; MONASTA A., Mestiere: progettista di formazione, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1997; BOCCA G., Pedagogia del lavoro. Itinerari, Brescia, La Scuola, 1998; MONTEDORO C. (Ed.), Dalla pratica alla teoria per la forma- zione: un percorso di ricerca epistemologica, Milano, Franco Angeli, 2000; NICOLI D., Il nuovo per- corso dell’istruzione e della formazione professionale, in “Professionalità”, 75 (2003), XI-XXI. D. Nicoli ISTRUZIONE FORMAZIONE TECNICA SUPERIORE (IFTS) – FP superiore KNOW HOW – Sistema produttivo; – Comunità / famiglia professionale LABORATORIO Il l. non è una scoperta dei nostri giorni, anche se è sempre difficile paragonare la nostra realtà con quella di alcuni secoli addietro. Il termine ha diversi significati. Si parla di l. dei giovani, l. di storia, di psicologia, di informatica, di matematica, ecc. In ambito formativo, il l. è nato inizialmente interessandosi quasi esclusivamente delle scienze sperimentali. La proposta venne dagli Stati Uniti nella prima metà del sec. XIX. In Europa si è sviluppato, particolarmente intorno agli anni ‘60 come l. per le lingue. Un notevole impulso lo ha avuto come supporto della parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 110 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 111 scuola attiva, che cercava di coinvolgere maggiormente le persone e renderle attive nell’ – apprendimento. Il termine richiama un – ambiente provvisto di strumenti, materiali e richiede nelle persone che lo frequentano una partecipa- zione diretta per ricercare, sperimentare e produrre dei risultati. Oggi si parla anche di metodo di l. usato non solo nell’ambito di – processi formativi di – in- segnamento – apprendimento, ma anche in corsi e convegni per facilitare ai parte- cipanti la possibilità di lavorare, singolarmente o in gruppo, su ipotesi e proposte concrete mettendo a disposizione spazio, materiali e una varietà di documenta- zioni e supporti adeguati. In campo professionale, per l. si intende normalmente il luogo dove si apprendono – abilità manuali, costruendo oggetti, impianti, sperimentando prodotti, simulando aspetti e fenomeni della realtà lavorativa legata alla specializzazione scelta. Il l. come strategia didattica permette di collegare bene la costruzione del sapere ai fatti e alle esperienze e di collegare la teoria con la pratica. Bibl.: BANZATO M. Imparare insieme: laboratorio di didattica dell’apprendimento cooperativo, Roma, Armando, 2002; FRABBONI F., Il laboratorio, Bari, Laterza, 2004. N. Zanni LAVORO In ped., si intendono quelle attività che coinvolgono la persona nella sua totalità. 1. La cultura classica, concependolo come fatica da schiavi e negazione dell’ – educ. dell’uomo “bello e buono”, lo ha definito come disumano; impostazione dif- fusasi, attraverso l’età ellenistica e la cultura latina, fino ad oggi, penalizzando la – formaz. e l’ – istruz. professionali e rendendo arduo il definirsi di una “cultura del l.” quale percorso, paritario alla cultura “umanistica”, di piena formaz. 2. Dal punto di vista educativo, il l. è “logica in atto”, un operare sulle cose attra- verso il ricorso al pensiero e alla riflessione, è esercizio del giudizio nel riconosci- mento della bontà e giustezza di quanto si sta realizzando, fonte di coinvolgimento nei processi realizzativi oltre che gestionali e decisionali dell’ – impresa, forma umana di collaborazione all’opera redentiva nella ricapitolazione di tutte le cose in Cristo. L’introduzione del concetto di – risorsa umana e di società cognitiva, ne ha esaltato gli aspetti attinenti alla – identità personale, sottolineandone i risvolti cognitivi, di – problem solving, di capacità relazionale ed autoorganizzazione tipici delle – professionalità di controllo. Si presenta come potenziale luogo di produzione di cultura professionale oltre che forma di accesso alla – cittadinanza, pienamente contribuendo sia alla formaz. dell’uomo come al suo aggiornamento tecnico e professionale. 3. Essendo manifestazione tipica di umanità, dovrebbe trovare spazio all’interno di ogni itinerario di istruz. e formaz., divenendo esso stesso un percorso di formaz. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 111 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 112 umana; richiede altresì una peculiare attenzione nei processi di formaz. dell’iden- tità personale, di costituzione di quadri cognitivi e di linguaggi specifici, secondo modalità peculiari di socializzazione e di – orientamento. Bibl.: SS. GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Laborem exercens, Città del Vaticano, Libreria Edi- trice Vaticana, 1981; ID., Lettera enciclica Centesimus annus, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1991; BOCCA G., Appunti per una diversa educazione al lavoro, in “Studium Educationis”, 4 (1998), 774-779. G. Bocca LIBRETTO FORMATIVO – FP LINGUA STRANIERA 1. Ambito della disciplina. La l.s., a differenza della lingua seconda, è anche “estranea”, lontana dall’ – ambiente in cui vivono quotidianamente gli utenti della – FP. Per evitare che l’estraneità fisica si tramuti in estraneità psicologica e in caduta della – motivazione, è necessario staccare l’allievo dalla sua realtà locale nel momento in cui studia una l.s., abbinando quest’ultima allo studio della cultura straniera. Nelle migliori realizzazioni dell’approccio strutturalistico, nell’ – inse- gnamento veniva coinvolto un parlante nativo, che con la sua sola presenza avrebbe dovuto condizionare l’allievo, aprirlo alla lontana realtà della cultura stra- niera. Negli anni ‘60 e ‘70, fu invece tentata la creazione di “aule di civiltà”, che dovevano dare allo studente la sensazione di essere nel Paese straniero. Oggi la soluzione al problema del dépaysement, tipico di chi studia una l.s., è affidato all’uso dei mass media attraverso la televisione satellitare e Internet. La l.s. è articolabile nei seguenti ambiti: la l. intesa come sistema che permette di esprimere concetti e di comunicare (aspetto fonetico-lessicale-grammaticale riferito ai suoni, alla parola, alla frase e al testo); la l. intesa come semantica ovvero i signi- ficati; la l. intesa come pragmatica (aspetti del registro, contesto comunicativo, forme testuali) e, infine, la l. intesa come cultura (produzioni letterarie e artistiche e saperi di varia natura). 2. Finalità formative della l.s. Le finalità formative da raggiungere attraverso l’ – apprendimento di una l. e cultura straniere si possono riferire a tre ambiti: saper es- sere, rappresentato da finalità etiche come la consapevolezza della propria – iden- tità e rispetto delle diverse identità culturali; saper fare, rappresentato da finalità relazionali quali l’interazione e la – comunicazione con persone di culture diverse dalla propria; sapere, rappresentato da finalità cognitive quali la conoscenza di cul- ture e di sistemi linguistici diversi dal proprio. Autopromozione, socializzazione e culturizzazione sono le tre mete da raggiungere attraverso l’insegnamento/acquisi- zione di una l.s. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 112 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 113 3. Certificazione della competenza (– certificazione degli apprendimenti) in l.s. La descrizione di – competenze specifiche in l.s. copre gli ambiti della compren- sione del testo scritto e del discorso ascoltato e della produzione del testo scritto e del discorso parlato. Si fonda sui parametri: attività linguistica, scopi della comu- nicazione, contesti, interlocutori, argomenti, testi, lessico, strutture linguistiche, fluenza nella produzione orale e correttezza nella produzione scritta. Prestazioni definibili con gli stessi parametri possono dimostrare il possesso di una medesima competenza a diversi livelli qualitativi ed essere quindi poste a – obiettivo nei diversi gradi della – FP o essere giudicate secondo scale di valori classiche (suf- ficiente, buono, di eccellenza, o altre). Oggi, la certificazione europea manifesta esigenze diverse. L’elaborazione dei curricoli di l.s. è facilitata dal Framework of reference del Consiglio d’Europa che articola la padronanza linguistica in sei livelli, sganciati dai programmi formativi dei Paesi membri e dalle tipologie di scuola seguita. Il “Portfolio europeo delle lingue”, o documento che accompagna coloro che studiano una lingua nel loro percorso di apprendimento lungo tutto l’arco della vita, permette al giovane cittadino europeo di registrare i propri apprendimenti linguistici, di riflettere sul proprio processo di apprendimento e sui risultati raggiunti, di porre nuovi obiettivi definendo e programmando le tappe del proprio apprendimento. 4. L’insegnamento delle microlingue straniere a servizio della competenza profes- sionale. Nella FP è indispensabile fornire insegnanti competenti nelle microlingue (nella fattispecie, nella microlingua dell’informatica) che siano attenti a un ambito disciplinare e culturale. In particolare, l’insegnamento dell’ESP (English for Spe- cial Purposes) ha l’obiettivo di far seguire da vicino il mutamento del mondo scientifico-professionale, di analizzare l’innovazione linguistica indotta dal diffon- dersi delle reti telematiche che costituiscono uno dei più comuni canali di trasmis- sione di messaggi microlinguistici, e di approfondire la natura di testi che sempre più spesso si presentano in forma multimediale. Bibl.: QUARTAPELLE F. (Ed.), Per un curricolo di lingua straniera: Criteri per la redazione del cur- ricolo, in “Annali della Pubblicazione Istruzione”, 3-4 (1999), 90-94; BALBONI P., Le microlingue scientifico-professionali: Natura e insegnamento, Torino, UTET, 2000; LITTLE D. - R. PERCLOVÁ, Portfolio Europeo delle Lingue: guida per gli insegnanti e i formatori. Strasburgo, Consiglio d’Eu- ropa, 2001; BALBONI P., Parlare a Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse, Torino, UTET, 2002. C. Cangià MANSIONE Il dizionario definisce la parola m. in due modi: “ciò che una persona deve com- piere quando ricopre una funzione, svolge un incarico (sinonimo = compito)”; “complesso dei doveri e delle attività che deve o si trova a svolgere chi fa una determinata professione (sinonimo = incombenza)” (Sabatini - Coletti, 1997). parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 113 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 114 Definiamo quindi come m. il compito che è stato assegnato ad un lavoratore e che spesso viene descritto in forma analitica in un mansionario. Nello stesso dizionario viene esplicitato il termine mansionario come un “elenco sistematico e analitico dei compiti delle diverse categorie di dipendenti di una azienda o di un ente; ta- bella delle mansioni assegnate a chi ha un determinato compito o lavoro (esempio: mansionario del bidello)” (Sabatini - Coletti, 1997). 1. Il termine m. viene richiamato in molte disposizioni legislative; ad es. nello “Statuto dei lavoratori” si esplicita che il lavoratore “deve essere adibito alle man- sioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte” (L. 300/1970, art. 13). Nelle disposizioni generali relative alla sorveglianza sanitaria definite dal D. Lgs. 626/94, all’art. 17, si sostiene che il medico competente deve esprimere un giudizio di idoneità alla m. specifica asse- gnata. Nel linguaggio comune (es. in alcuni annunci di offerte di – lavoro), è facile trovare delle sovrapposizioni di termini per cui viene utilizzata la parola m. per indicare una figura professionale (es.: m. di addetto segreteria, di progettista software, ecc.). 2. Oggi il termine è considerato superato e legato ad una concezione del lavoro di tipo rigido o tayloristico nel quale la m. “rappresenta l’unità organizzativa di base della produzione di serie, riflesso della più accentuata divisione del lavoro tra uomo e uomo e tra uomo e macchina” (Franceschetti, s.d., 131). Si preferisce par- lare di – “profilo professionale”, che consiste in un insieme organico di compiti, – conoscenze, – competenze e relazioni capaci di descrivere in modo dettagliato una determinata prestazione all’interno di un processo lavorativo. Anche il nuovo CCNL (– contratto) della FP non fa più cenno alla m., ma la classificazione e l’in- quadramento del personale vengono definiti in base a profili professionali articolati in aree funzionali e operative. Il dipendente è impegnato nelle funzioni per le quali è stato assunto (art. 37, comma 3) e che l’ – Ente deve esplicitare nella lettera di assunzione (art. 25, comma 2). 3. Nei primi manuali – qualità elaborati in base alle norme UNI ISO 9000/94 ve- niva definito il mansionario delle figure presenti nell’organigramma dell’azienda. Oggi si preferisce descriverne i – ruoli in base alla dipendenza gerarchica e/o fun- zionale, all’obiettivo e alle responsabilità primarie. Questo nell’ottica di “perseguire la massima flessibilità organizzativa al fine di consentire l’adozione di modelli or- ganizzativi rispondenti alle esigenze del mercato del lavoro e il riconoscimento delle professionalità e dei livelli di complessità in cui possono esprimersi” (CCNL, s.d., 49). È strategico per un’azienda o un Ente, al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati, curare in modo particolare la gestione delle – risorse umane definendo in modo chiaro l’organigramma, i ruoli e le varie interconnessioni, gli obiettivi e le responsabilità primarie, cercando di coordinare verso il fine comune le energie e le – capacità di dipendenti e collaboratori. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 114 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 115 4. Nelle realtà educative (scuole, istituti e – CFP), è importante far prendere co- scienza ai giovani, futuri lavoratori, delle esigenze di un rapporto di lavoro (che pre- vede il rispetto delle mansioni/funzioni assegnate, a cui corrispondono dei diritti e dei doveri), del proprio ruolo in vista del raggiungimento di comuni obiettivi, della necessaria flessibilità per rispondere in modo rapido alle esigenze produttive e/o di servizio e infine del contributo di volontà e di idee che ciascuno, all’interno del proprio ruolo e delle proprie m., può dare allo sviluppo di tutti. Bibl.: Legge 20 maggio 1970, n. 300, Statuto dei lavoratori. Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, in GU del 27.05.1970, n. 131; D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/CEE, 93/88/CEE, 95/63/CE, 97/42, 98/24, 99/38 e 2001/45/CE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, in GU del 12.11.1994, n. 265 - S.O. n. 141; FORMA - CENFOP - SNS CGIL - CISL SCUOLA - UIL SCUOLA, Contratto collet- tivo nazionale per la formazione professionale - 1° gennaio 1998 - 31 agosto 2003, Roma, Edigraf Editoriale Grafica, s.d.; SABATINI F. - V. COLETTI, DISC. Dizionario italiano, Firenze, Giunti, 1997; FRANCESCHETTI M., “Risorse umane”, in CIOFS/FP (Ed.), Un glossario per l’orientamento, Roma, Publigrafica Romana, s.d., 131-133. L. Reghellin MATURITÀ PROFESSIONALE La m.p. è finalità naturale e obiettivo principale del processo dello – sviluppo pro- fessionale. Essa è una parte della m. umana e si colloca accanto ad altri tipi di m. come quella psichica, sociale e morale per essere integrata in esse (Vandenplas- Holper, 2000). Nella sua realizzazione finale consiste in una scelta professionale valida, nell’acquisizione di – competenze per l’esercizio della professione e nel loro svolgimento secondo le norme etiche, nella soddisfazione lavorativa e nella collaborazione al bene comune. 1. Indici. La m.p. si realizza progressivamente in un – processo formativo durante il quale si può parlare più di maturazione che di m. Durante tale processo possono essere identificati dei comportamenti favorevoli al raggiungimento della m.p. che possono essere visti come degli “indici” di maturazione. Essi permettono di stabi- lire il grado di m. raggiunta ad un determinato livello di età cronologica. Molti di questi indici però non sono altro che delle competenze richieste per il raggiungi- mento dallo stadio finale e quindi ad esso subordinate e come tali sono puramente strumentali. 2. Verifiche empiriche. Dagli anni ‘50 in poi, numerosi ricercatori hanno condotto delle estese indagini sulla m.p. dalle quali emergono delle tematiche che si riferi- scono a categorie con contenuti piuttosto vasti. Tali categorie sono in stretto rap- porto con lo sviluppo professionale e con il processo della scelta lavorativa. Le stesse categorie possono essere considerate, in realtà, come dei generali indici della m. stessa. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 115 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 116 3. Categorie fondamentali. Le principali categorie che indicano la m.p. sono le seguenti. a) – Abilità - includono componenti intellettive, esecutive e apprendi- mentali; b) Capacità decisionale - saper decidere conoscendo bene le alternative, saperle valutare, possedere una sufficiente stabilità emotiva per controllare l’ansia; c) – Conoscenze - del settore in cui deve essere operata la scelta; il soggetto deve cercare le informazioni, elaborarle e usarle per il suo – progetto personale; d) Costrutti personali - abilità, interessi, valori e ideali devono essere integrati in un quadro unitario e devono essere congruenti con il progetto professionale; e) Esplo- razione - oltre alle informazioni occasionali occorre esplorare intenzionalmente il settore occupazionale prescelto; f) Progetto - elaborato in base alle attitudini, prefe- renze e valori e rapportato alla situazione occupazionale, deve essere verificato e progressivamente realizzato; g) Scelta - perché sia valida è necessario che il sog- getto sia coinvolto in essa e che sia in stretto rapporto con il progetto professionale; h) – Lavoro - un positivo atteggiamento e la formaz. delle competenze richieste per il suo esercizio; i) Integrazione delle componenti - tra le componenti personali (atti- tudini, preferenze e valori) deve esserci un rapporto dinamico che si manifesta in una equilibrata struttura, chiamata congruenza, che è un evidente segno dell’abilità del soggetto di gestire le enumerate componenti della m. in modo efficiente. Bibl.: VIGLIETTI M., Orientamento, una modalità educativa permanente, Torino, SEI, 1988; VANDEN- PLAS-HOLPER C., Maturità e saggezza: lo sviluppo psicologico in età adulta e nella vecchiaia, Milano, Vita e Pensiero, 2000. K. Poláèek MENTORING, PROGRAMMA – Insegnamento MERCATO DEL LAVORO Il m.d.l. è quel contesto ideale all’interno del quale avviene la compravendita di quella merce sui generis costituita dalla forza lavoro, ovvero la capacità lavorativa (Mingione - Pugliese, 2002). Ma proprio la caratteristica “ideale” di tale contesto ha spinto un buon numero di autori a ritenere molteplici i punti deboli dell’applica- zione al – lavoro di uno schema concepito per altri tipi di merce in senso proprio. 1. Comunemente, si dovrebbe parlare di m.d.l. per indicare i meccanismi che rego- lano l’incontro tra i posti di lavoro vacanti e le persone in cerca di occupazione, e che consentono la determinazione dei salari pagati dalle – imprese ai lavoratori. Tuttavia, affinché il lavoro sia scambiato secondo le classiche regole del m., occor- rerebbe che: a) esso fosse considerato come una qualsiasi merce, ovvero avvenga una “mercificazione” della forza lavoro, che a questo punto non terrebbe però in debito conto il fatto che non è possibile separare fisicamente tale merce dal suo portatore; b) tra chi vende e chi compra vi fossero soltanto relazioni di scambio parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 116 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 117 insistenti su un piano di parità; c) il prezzo (salario) svolgesse una funzione di ri- equilibrio tra domanda e offerta; d) tutti i soggetti implicati nello scambio seguis- sero criteri di razionalità economica (Reyneri, 2002). 2. Le indagini compiute sul tema del m.d.l. hanno mostrato come nessuna di tali regole si applichi mai pienamente. Al contrario, le più recenti prospettive di analisi – riconducibili soprattutto al filone della new economic sociology – delineano un rapporto di interdipendenza tra domanda e offerta di lavoro, relazione che non esclude la possibilità del ritorno a situazioni di completa subalternità dell’offerta, ma legittima pienamente lo studio della stessa offerta di lavoro come soggetto in grado di decidere i propri comportamenti in modo relativamente autonomo (Accornero – Carmignani, 1986). In questa ottica, si chiarisce il senso dell’auto- nomia dell’offerta (Zucchetti, 1991), in un m.d.l. che rifugge dall’intenzionalità e dalla razionalità individuale proprie della microeconomia del lavoro, poiché spiega i comportamenti dell’offerta non solo dando grande rilievo a elementi non economici, ma inserendoli nella più vasta rete di relazioni sociali, culturali e poli- tiche che innervano una concreta – società. In questo senso, il m.d.l. è un m. molto particolare, che riflette aspetti e tendenze generali della società (Mingione - Pugliese, 2002), e al tempo stesso ne risulta essere influenzato. Nel momento pre- sente, in particolare, non è possibile prescindere dai nuovi paradigmi di tipo rela- zionale che le scienze sociali, e segnatamente la – sociologia del lavoro, utiliz- zano per spiegare il lavoro stesso e i fenomeni sociali che ad esso si collegano. Le tradizionali interpretazioni del m.d.l., fortemente incentrate sul – sistema produt- tivo fordista, e dunque implicanti forti ricadute sul sistema della stratificazione sociale – che appunto rifletterebbe i processi di distribuzione dei compensi in una data società –, sono oggi messe in crisi dalla progressiva flessibilizzazione del lavoro che, oltre a sconvolgere i confini canonici della segmentazione tra un m.d.l. “primario” ed uno “secondario”, ne stanno ridisegnando i confini stessi, trasfe- rendo nel lavoro dipendente alcune caratteristiche del lavoro autonomo, nell’am- bito di una sovrapposizione al concetto di – professionalità. Bibl.: ACCORNERO A. - F. CARMIGNANI, I paradossi della disoccupazione, Bologna, Il Mulino, 1986; ZUCCHETTI E., Il legame ritrovato. Il lavoro tra mercato economico e comunità locale, Milano, Vita e Pensiero, 1991; MINGIONE E. - E. PUGLIESE, Il lavoro, Roma, Carocci, 2002; REYNERI E., Sociologia del mercato del lavoro, Bologna, Il Mulino, 2002. M. Colasanto METODOLOGIA Il termine m. – etimologicamente: discorso sul metodo (odos = via) – viene usato sia per indicare lo studio critico dei metodi di – ricerca scientifica, sia, nell’am- bito delle scienze dell’ – educ., per indicare la m. pedagogica (o dell’educ.) propriamente detta, distinta da, o anche inclusiva, della didattica (– didattica induttiva). parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 117 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 118 1. “M. dell’educ.” e didattica. In ambito pedagogico, la m. ha la funzione media- trice tra l’antropologia pedagogica e la teleologia pedagogica. Il suo concetto va rapportato a varie dimensioni del – processo formativo (educativo-didattico) con un’ulteriore articolazione che distingue la “m. dell’educ.” propriamente detta e la m. didattica chiamata anche, semplicemente, “didattica”. In ogni caso, la m. sia del- l’educ. sia dell’ – insegnamento, lungi dall’offrire ricette da applicare meccani- camente alle situazioni, peraltro variegate e cangianti, è “conoscenza critica (e quindi razionalmente e sperimentalmente giustificata) delle vie e dei mezzi per conseguire gli scopi desiderati” (Laeng, 1990, 7679). Offre, quindi, i criteri generali e procedurali da seguire, i principi da applicare per conseguire, in modo pertinente e commisurato alle situazioni, le finalità e gli – obiettivi formativi. La m. dev’essere centrata sulla persona umana in situazione, soggetto e destinatario della – formaz.; è necessario considerare i formandi come protagonisti dell’azione educa- tiva e didattica al fine di aiutarli a rendersi capaci di scelte libere e rette, di lettura critica della realtà, di dialogo e di lavoro cooperativo, d’impegno costruttivo e responsabile di cittadino solidale planetario. Nel quadro della m. centrata sulla per- sona dell’alunno, rientrano sia l’affermarsi progressivo, nei diversi Paesi, dell’ – autonomia scolastica, sia la prospettiva della scuola di tutti e di ciascuno, come anche quella dell’interculturalità (– educ. interculturale) come principio educativo- didattico nonché della convivenza in generale: istanze tutte importanti, più che mai, nella nostra – società sempre più complessa, multiculturale, globalizzata, compe- titiva, tecnologica, con dei risvolti non solo positivi, ma anche negativi quali violenza, emarginazione e nuove povertà. Le – nuove tecnologie dell’informazione e della – comunicazione, pertanto, stanno offrendo enormi risorse da valorizzare (– formaz. a distanza; multimedialità; virtualità) nell’ambito della – FP e obbli- gano il – sistema scolastico e formativo di ogni Paese a rivedere tutti i suoi ele- menti, sia di natura teleologica, contenutistica, metodologico-didattica, come anche organizzativa a vari livelli: strutturale, umano, materiale, spazio-temporale, micro e macro, ecc., in termini di – qualità, di – comunicazione, di uguale opportunità e di educ. alla – cittadinanza planetaria. Come vi è una didattica delle singole discipline di studio, così vi è una m. e didattica dei diversi gradi e ordini scolastici, compresa la FP e l’educ. extrascolastica. Sul piano organizzativo, la m. deve favorire la conti- nuità sia tra scuole di ordine diverso, sia tra queste e le varie agenzie educative ex- trascolastiche (– famiglia, – associazioni, – enti locali, servizi sanitari nazionali, chiesa, ecc.), così pure con il mondo del lavoro. 2. La m. scienza dell’educatore e del formatore. La promozione del processo for- mativo è un impegno non facile. Si può dire che la m. (scienza per la prassi educa- tiva) è propriamente la scienza dell’educatore e del formatore (– operatori della FP), che dev’essere in grado di coniugare in modo unitario e pertinente la cono- scenza speculativa sull’educ. (natura dell’uomo in quanto tale dell’educ./formaz., dei valori/fini da realizzare) e la conoscenza sperimentale dei fattori bio-psico- sociologici nella formaz. della personalità, al fine di approntare e vagliare progetti parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 118 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 119 d’intervento operativo adeguati al raggiungimento degli obiettivi. Tutto ciò ovvia- mente esige che il formatore sia agente di cambiamento qualitativo, capace di ricerca e di azione, innovatore, dotato di inventiva e di libera iniziativa, nella sua funzione di organizzatore/programmatore, realizzatore e valutatore degli interventi educativi e formativi. Bibl.: FLORES D’ARCAIS G., “Metodología de la educación”, in G. FLORES D’ARCAIS - I. GUTIÉRREZ ZULOAGA, Diccionario de ciencias de la educación, Madrid, Ediciónes Paulinas, 1990, 1307-1318; LAENG M. (Ed.), “Metodologia”, in ID., Enciclopedia pedagogica IV, Brescia, La Scuola, 1990, 7677-7680; MIALARET G., Pédagogie générale, Paris, PUF, 1991; MEIRIEU Ph., “Méthodes pédago- giques”, in P. CHAMPY - C. ETÉVÉ (Edd.), Dictionnaire encyclopédique de l’éducation et de la for- mation, Paris, Nathan, 1998, 684-690; LANEVE C., Elementi di didattica generale, Brescia, La Scuola, 1998; PELLEREY M., Educare. Manuale di pedagogia come scienza pratico-progettuale, Roma, LAS, 2002. H.-C.A. Chang MIGRAZIONE – Educazione interculturale MINORI L’abbassarsi dello status di “minore-età” combacia ormai con l’adolescenza, pe- riodo considerato a tutti gli effetti una “seconda nascita”, sia in termini fisiologici (le trasformazioni corporee), che psicologici (la costruzione dell’ – identità) e so- ciologici (l’ingresso nella vita sociale-attiva). 1. Si tratta di un’età “evolutiva in sempre più rapida evoluzione”, nel senso che, nel percorrere le varie tappe di questo processo, viaggia alla stessa velocità con cui contestualmente si evolve e si trasforma la – società. Di conseguenza, gli studi più recenti ed accreditati sui m. partono dalle premesse di evitare il più possibile di as- similare queste generazioni alle precedenti, e di inquadrarle piuttosto nelle loro espressioni caratterizzanti. Durante questo periodo, infatti, la “carta d’identità” viene giocata provocatoriamente sull’aspetto fisico/esteriore: il corpo diviene oggetto di sperimentazione, rivestito con abbigliamenti personalizzati, colorato, tatuato e traforato; la necessità di darsi prove iniziatiche di coraggio scaturisce dal bisogno stesso di convalidare il passaggio dal corpo di bambino a quello di gio- vane, una conquista spesso preceduta da condotte “resilienti” e/o a rischio, nei cui confronti la conoscenza e l’informazione filtrate attraverso interventi di – preven- zione primaria e secondaria non sempre sono sufficienti a scoraggiare dal metterle in atto; lo stesso ricorso a variegate forme di violenza attiva/passiva fa parte di un linguaggio intenzionato a comunicare il proprio – disagio interiore e/o uno stato d’animo attraversato da mille bisogni di senso opposto, che ingenerano nel sog- getto in evoluzione una sofferta confusione di sentimenti e di valori; per lui gli amici occupano il primo posto e il gruppo è la nuova – famiglia che si è scelto in parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 119 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 120 alternativa e/o in concomitanza con quella in cui si è trovato a stare; il futuro o non fa ancora parte dei suoi orizzonti oppure gli appare fumoso/chiaroscurato da incer- tezze; così, piuttosto che passare il tempo a progettare, preferisce “presenziare” in quella città virtuale che gli permette di “pensare con gli occhi” mentre viaggia per le sconfinate autostrade informatico-massmediali, all’origine a loro volta di modelli di – apprendimento basati su logiche reticolari del sapere. 2. A tutto ciò la mente del m. in trasformazione deve comunque arrivare a dare risposte di senso nel ripercorrere le normali tappe di un processo evolutivo, al fine di conquistare quel sufficiente equilibrio/integrazione tra corpo e mente, tra io-identità ed io-relazionalità, tra auto ed etero-gestione della propria personalità, che carat- terizzerà lo stadio dell’“età-matura” grazie proprio al fatto di essere passato durante l’adolescenza attraverso esperienze difficili/sofferte. Al tempo stesso, la non perfetta assimilabilità del m. alle precedenti generazioni invita a tener conto che si è sempre più di fronte a un diverso modo di diventare adulti, per cui anche i riti d’ingresso/ini- ziazione all’assunzione di ruoli sociali/attivi avvengono conseguentemente. Limita- tamente al campo della – formaz. / – lavoro, due sono i macro-trends con cui il m. dovrà confrontarsi nel prepararsi a divenire attore del – sistema produttivo: da un lato, la perdita del valore-lavoro come fattore unico di realizzazione, congiuntamente a quella di un’idea di – professionalità statica e duratura per tutta la vita (con con- seguente perdita di garanzie e di stabilità e l’adattamento a convivere con condizio- ni lavorative precarie); e, dall’altro, l’acquisizione di una mentalità improntata alla ricerca di opportunità di formaz. permanente, unitamente alla flessibilità a riconver- tire le proprie – competenze più volte durante la vita attiva. Bibl.: BUZZI C. - A. CAVALLI - A. DE LILLO (Edd.), Giovani nel nuovo secolo. Quinto rapporto IARD sulla condizione dei giovani in Italia, Bologna, Il Mulino, 2002; CENSIS, Giovani lasciati al presente, Milano, Franco Angeli, 2002; EURISPES, 3° Rapporto nazionale sulla condizione dell’Infanzia e del- l’Adolescenza, Roma, Eurispes-Telefono Azzurro, 2002. V. Pieroni MISSION – Proposta formativa; – CFP; – Impresa MOBBING Il termine m., deriva dall’inglese mob e significa letteralmente ‘assalire tumultuosamente’. È mutuato dagli studi etologici di Lorenz che descriveva, con tale termine, il comportamento di alcune specie animali, solite circondare minac- ciosamente un membro del gruppo finché non veniva costretto alla resa o alla fuga. Attualmente, è un termine molto diffuso ed utilizzato in ambito lavorativo per indicare fenomeni di prevaricazione, vessazione, persecuzione nei confronti di un collega (m. orizzontale) o di un subalterno (m. verticale). parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 120 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 121 È un termine ormai acquisito dalla giurisprudenza sia in materia di rilevanza civile che penale. Una recente pronuncia del Tribunale di Torino, (16 novembre 1999, ud. 6/10/99, n. 5050) afferma che si verifica una situazione di m. aziendale “allorché il dipendente è oggetto ripetuto di soprusi da parte dei superiori e, in particolare, vengono poste in essere nei suoi confronti azioni dirette ad isolarlo dall’ambiente di lavoro e, nei casi più gravi, ad espellerlo dalle pratiche il cui effetto è di intaccare gravemente l’equilibrio psichico del paziente menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in se stesso e provocando catastrofe emotiva, depressione e talora persino suicidio”. Possiamo definire m. una situazione di pressione-terrorismo psicologico sul luogo di lavoro, raramente sfociante in atti di violenza fisica, esercitata attraverso con- dotte sistematiche durature ed intense, da parte del datore di lavoro (m. verticale) o di colleghi (m. orizzontale) di accerchiamento attivo del lavoratore attraverso: a) aggressione e /o menomazione alla capacità comunicativa, di relazione sociale e all’immagine sociale, b) disconoscimento o compressione dei diritti elementari per inespresse “cause di servizio”, c) attribuzione di mansioni dequalificanti o degradanti. Si utilizza il termine bossing per descrivere il cosiddetto m. strategico, attuato in esecuzione di piani persecutori con finalità di riduzione (per conteni- mento dei costi) o di “svecchiamento” del personale, in situazioni di non praticabi- lità del licenziamento. Il maggior contributo in questo ambito lo si deve alle ricerche dello psicologo tedesco Heinz Leymann (1990) che per primo individuò e studiò il fenomeno negli anni ‘80. La manifestazione della sindrome di m. avviene in modo graduale e progressivo. Si possono individuare sei fasi sebbene non nettamente distinte le une dalle altre. La prima fase si caratterizza per una intenzionale attribuzione di responsabilità delle diverse disfunzionalità aziendali al dipendente preso di mira. Nella seconda fase, si ‘creano’ situazioni ad hoc per isolare e colpevolizzare la “vittima”. Nella terza fase iniziano a manifestarsi, nel “mobbizzato”, i primi sin- tomi di natura psicosomatica, quali: alterazioni dello stato dell’umore e del ritmo sonno-veglia, stati d’ansia, decremento del repertorio comportamentale, modi- fiche nell’immagine dell’io e nell’autostima. La fase successiva viene caratteriz- zata dalle ripetute assenze dal lavoro, da consistenti e significativi cali di produt- tività e dalla compromissione dell’immagine del lavoratore in azienda. La quinta fase coincide con la individuazione del soggetto come di un “caso aziendale”, con conseguente processo di stigmatizzazione e con ripercussioni, spesso irre- parabili, sul futuro professionale del mobbizzato, sulla salute psichica e sulle relazioni nella vita privata. L’ultima fase la si raggiunge con la fuoriuscita del lavoratore dall’azienda per prepensionamento, per “malattia professionale”, per licenziamento, per dimissioni o, nei casi più gravi, per suicidio. Da un punto di vista diagnostico, la sindrome da m. rientrerebbe, secondo la classificazione psi- chiatrica DSM IV, nell’insieme definito “Reazioni ad eventi”. Esse includono: disturbo dell’adattamento (DA), disturbo acuto da stress (DAS), disturbo post- traumatico da stress (DPTS). Poiché i sintomi delle suddette tre categorie pos- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 121 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 122 sono essere dovuti ad una molteplicità di variabili eziologiche, per poter definire una sindrome da m. è necessaria la inequivocabile presenza di una intenzionale attività persecutoria nei confronti della vittima. Il fenomeno sembra essere molto diffuso e, ancora, troppo sommerso a causa di comprensibili reticenze a far di- ventare pubbliche, in ambiente di lavoro, situazioni di grave disagio psicosociale. Si calcola che nel nostro Paese circa un milione di lavoratori soffrano di sin- drome da m. Gli interventi più diffusi sono di tipo psicoterapeutico destinati alla vittima e orientati al reinserimento lavorativo. Sono carenti gli interventi di tipo preventivo a livello sistemico organizzativo che coinvolgano l’intera organizza- zione aziendale, con particolare riferimento ai quadri dirigenti. Attualmente, i vari sindacati dei lavoratori stanno promovendo diverse iniziative per la sensi- bilizzazione dei loro iscritti al fenomeno del m. Iniziano a diffondersi forme di autoterapia tramite gruppi di auto-aiuto. Bibl.: LEYMANN H. (1990): Mobbing and psychological terror at workplaces, in “Violence and Victims”, 5, (2), 1990; ADAMS A., Bullying at work. How to confront and overcome it, London, Virago Press, 1992; AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION, DSM-IV. Manuale diagnostico e statistico dei dis- turbi mentali, Milano, Masson, 2000; MAIER E., Il mobbing e lo stress organizzativo, Il Ponte vecchio, Pescara, 2002. M. Becciu MOBILITÀ PROFESSIONALE La m.p. viene configurata come un Istituto Contrattuale che richiede o consente il passaggio da un settore lavorativo ad un altro. Assume pertanto, configurazioni di- verse a seconda della tipologia del CCNL (– contratto) e della stipula personale. Nell’ambito della – FP, l’Istituto della m.p. è stato utilizzato prevalentemente in contesti di ridimensionamento del sistema, spesso abbinato con incentivi per l’u- scita. La m.p. è andata, pertanto, assumendo una connotazione negativa, poco at- tenta allo sviluppo del sistema e alla crescita professionale degli operatori. In molte Regioni, particolarmente del Sud, l’applicazione della m.p. e degli incentivi ha condotto allo smantellamento pressoché totale della FP. È pur vero che la FP, in generale in tutto il sistema italiano, è stata sottoposta a tali e tante riorganizzazioni che hanno richiesto capacità ingegneristiche specifiche cui è difficile far fronte, so- prattutto se gli operatori hanno maturato esperienza prevalentemente nella docenza di un ristretto ambito di insegnamenti. Nella Pubblica Istruzione, l’intesa sulla m.p. firmata il 26 marzo 2002, relativa agli incarichi dirigenziali, assume, ad esempio, una prospettiva totalmente diversa sia in rapporto alla persona che lavora, sia in rapporto alla istituzione. Nei momenti di crisi, l’Istituto della m.p. viene utilizzato per far fronte all’esubero del personale e al ridimensionamento delle funzioni al- l’interno delle – imprese. Nel contesto della riorganizzazione del sistema di Istru- zione e – FP (IeFP), le prospettive di utilizzo della m.p. potrebbero assumere una funzione rigenerativa nella gestione delle – risorse umane, anche in rapporto alle parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 122 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 123 esigenze della configurazione del territorio e del – mercato del lavoro. Con la ri- forma dell’IeFP si auspica di pervenire, per la FP, ad una stabilità organizzativa e di servizio compatibile con il sistema stesso. La m.p. potrà assumere allora una connotazione di supporto allo sviluppo, alla – qualità e all’efficacia dei servizi formativi. Bibl.: BULGARELLI A. - M. GIOVINE (Edd.), Politiche formative e lavoratori in mobilità, Milano, Franco Angeli, 1996; MIUR, Intesa sulla mobilità professionale e sull’ordine e tempi delle operazioni relative all’affidamento e all’avvicendamento degli incarichi dirigenziali, in www.edscuola.it/ archivio/norme/varie/imobdir_02.html, 26.03.02, 1; FORMA - CENFOP - SNS CGIL - CISL SCUOLA - UIL SCUOLA. Contratto collettivo nazionale di lavoro per la formazione professionale - 1° gennaio 1998 - 31 agosto 2003, Roma, 2002. L. Valente MODULI Il termine, utilizzato nei diversi ambiti di produzione e di organizzazione del – la- voro con il significato di parte o elemento ripetitivo di un sistema, è entrato piut- tosto recentemente in ambito pedagogico per indicare una particolare forma di or- ganizzazione scolastica e didattica applicata soprattutto nella – FP. 1. Diversi significati. A seconda dei Paesi, la parola m. assume un significato leg- germente diverso anche in riferimento all’ambito propriamente scolastico: in Italia, ad es., l’organizzazione modulare nella scuola elementare fu introdotta con la L. 148/90 secondo cui vengono assegnati 3 insegnanti a 2 classi del primo ciclo e 4 insegnanti a 3 classi successive, il che ha comportato una programmazione per m. in corrispondenza alle aree disciplinari / – competenze / interessi specifici di ciascun insegnante; in Francia, soprattutto nei Lycées, venne introdotta nel 1992 secondo la logica della pédagogie différenciée nella prospettiva di un aiuto diffe- renziato per il – successo scolastico di tutti gli allievi. 2. M. didattico: concetto e suoi elementi costitutivi. Per m. didattico (formativo) si può intendere un’unità di studio o un insieme di unità didattiche (UD disciplinari o pluridisciplinari), che abbia una propria autonomia e completezza, la cui succes- sione è flessibile, variamente combinabile (ricomponibile) in base ai – destinatari e agli – obiettivi. Un m. cioè può contenere più UD il cui numero dipende sia dalla portata della tematica, sia dalla finalità (competenze da assicurare). Struttu- ralmente ambedue (m. e UD) contengono gli stessi elementi, ossia il titolo indi- cante la tematica trattata, la durata dello svolgimento, i prerequisiti, gli obiettivi, i contenuti ed esperienze/attività, il materiale didattico, i momenti e le modalità della verifica (– valutazione). Nonostante la varietà di significato che il termine può assumere a seconda dei contesti, il suo utilizzo nell’ambito della FP comporta un’organizzazione delle attività educativo-didattiche (“offerta formativa”) a partire dalle domande for- mative (riferite sia ai soggetti destinatari come anche al mondo occupazionale) parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 123 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 124 indicando chiaramente le condizioni di partenza, l’esito/risultato da perseguire (competenze) e tutti gli altri elementi di cui sopra. L’organizzazione modulare dell’ – insegnamento – sempre più diffusa – e la certificazione delle competenze (– certificazione degli apprendimenti), anche attraverso il sistema dei crediti (– credito formativo), richiedono oggi una preparazione e riqualificazione di tutti gli insegnanti. 3. Organizzazione modulare e team teaching. Tale tipo di organizzazione modulare sia scolastica che didattica, per essere pedagogicamente significativa ed efficace – processo formativo), esige una capacità e disponibilità di lavorare in team, nello spirito di un autentico team teaching in termini di co-programmazione, co-realiz- zazione e co-valutazione. Bibl.: WARWICK D., Teaching and Learning through Modules, Oxford, Basil Blackwell 1988; CLERC F., Enseigner en modules. Secondes générales, téchnologiques et professionnelles, Paris, Hachette- Éducation, 1992; MARRADI T., Dai programmi ai moduli: una riforma da riformare, Roma, Anicia,1993; DOMENICI G., Manuale dell’orientamento e della didattica modulare, Bari, Laterza, 1999. H.-C.A. Chang MONITORAGGIO In generale, il m. consiste in una “attività sistemica di raccolta dati ed informa- zioni circa l’attuazione di un intervento (una politica, un programma, l’operato di una struttura, ecc.)” (CNOS-FAP, 2002, 39). Più specificamente, esso riguarda la comparazione tra le prestazioni di più scuole o – CFP e tra le prestazioni della stessa scuola o CFP. In questo caso, l’idea di – qualità in base alla quale verificare il funzionamento della scuola/CFP non è unicamente autoreferenziale come nel- l’autovalutazione di istituto, ma presenta un indice di riferimento esterno, costi- tuito dai valori medi delle prestazioni rilevate. In altre parole, si tratta di un ap- proccio di m. basato su indicatori quantitativi e dal punto di vista metodologico si distingue per le seguenti caratteristiche: è quantitativo, perché gli indici di funzio- namento sono rilevati in termini numerici; è globale, nel senso che tende ad assu- mere come punto di riferimento delle varie misure un modello sistemico di funzio- namento; è tecnico, poiché si articola in un insieme di procedure che tendono a neutralizzare la componente soggettiva della – valutazione; è descrittivo, in quanto è finalizzato prevalentemente a delineare fenomeni utili alla valutazione dell’oggetto in esame. Bibl.: ALLULLI G., Le misure della qualità, Roma, SEAM, 2000; CASTOLDI M. - B. STENCO - G. MA- LIZIA, “La scuola cattolica e la valutazione della qualità”, in CSSC – Centro Studi per la Scuola Catto- lica, Per una cultura della qualità. Promozione e Verifica. Scuola Cattolica in Italia. Terzo Rapporto, Brescia, La Scuola, 2001, 15-60; CNOS-FAP (Ed.), Accreditamento della sede orientativa, Roma, CNOS-FAP, 2002. G. Malizia parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 124 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 125 MOTIVAZIONE La m. è un costrutto dell’ – orientamento, essenziale nella dinamica della deci- sione: infatti per prendere decisioni in ambito scolastico, professionale e lavora- tivo, occorre avere motivi autentici per prendere posizione di fronte ad alternative. Essa fa appello ad un sistema di valori che aiutano a compiere una decisione fon- data su criteri di attendibilità e di fattibilità, soprattutto per contrastare il – dis- agio, la dispersione, l’emarginazione. In secondo luogo, la m. è energia e scopo: ossia un insieme di fattori che aiutano la persona e la attivano, la dirigono e rego- lano l’attività verso degli obiettivi. Costrutti connessi alla m. sono quelli di empo- werment e di autoefficacia (– efficacia). L’empowerment è una forma di energia interna che canalizza le risorse ed è anche un sistema di – competenze e strumenti che facilitano il controllo di una esperienza di vita. L’autoefficacia proviene dal- l’auto-stima e consente di affrontare (– coping) un impegno superando eventuali ostacoli e di raggiungere il – successo formativo. In terzo luogo, la m. è interesse per lo studio e l’ – apprendimento. Infatti tra i fattori maggiormente motivanti c’è la volontà di apprendere e questa è riconosciuta determinante nel successo forma- tivo e orientativo. Il metodo di studio e l’apprendimento dipendono essenzialmente da fattori motivazionali. Oggi tuttavia ci sono molti fattori demotivanti che non fa- cilitano lo studio e l’apprendimento, come il clima consumistico, l’accontenta- mento generalizzato nell’ – educ. e la mancanza di modelli cui fare riferimento sia tra i coetanei che tra gli adulti. Dal punto di vista formativo, la m. per lo studio e l’apprendimento permette agli allievi di conseguire importanti obiettivi in quanto attiva l’interesse, sostiene l’im- pegno e la fatica, aiuta l’allievo a valorizzare le proprie – capacità e a darsi un percorso di studio consapevole e programmato. In definitiva, nell’orientamento la m. consente di prendere decisioni ragionevoli, aiuta ad intraprendere percorsi nuovi, a scegliere in situazioni complesse, di incertezza e di disorientamento, spe- cialmente nei confronti di allievi con particolari problemi. Bibl.: NUTTIN J., Motivazione e prospettiva futura, Roma, LAS, 1992; BROPHY J., Motivare gli studenti ad apprendere, Roma, LAS, 2003. S. De Pieri MULTICULTURA – Educazione interculturale; – Società; – Metodologia; – Riforma educativa; – Don Bosco e la FP MULTIMEDIALITÀ – Nuove tecnologie; – Metodologia parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 125 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 126 NUOVE TECNOLOGIE 1. La digitalizzazione ha rivoluzionato il mondo tecnologico in modo silenzioso ma sistematico e continuo. Le n.t. della – comunicazione, ne hanno beneficiato notevolmente e certamente costituiscono uno degli elementi centrali della globa- lizzazione perché contribuiscono alla diffusione del sapere aumentando le capacità e le qualità delle tecniche di trasmissione delle informazioni. Parlando però di n.t. non ci si riferisce esclusivamente alle invenzioni tecniche moderne le- gate ai progressi delle comunicazioni; in realtà le n.t., hanno sviluppato notevol- mente le possibilità di comunicare e di avere in tempi reali molte informazioni; inoltre stanno trasformando anche il nostro rapporto con il sapere, rendendo i processi conoscitivi molto più veloci. 2. Le n.t., dunque, interessano non solo il modo di comunicare, ma l’intero mondo che ci circonda nel suo insieme. Praticamente tutti i settori del vivere umano sono coinvolti e certamente, non in modo indifferente, il mondo della – formaz. nel quale le n.t. entrano sempre più prepotentemente; dove, ad es., la multimedialità e la telematica possono contribuire a veicolare meglio i contenuti del sapere e anche a spingere verso una revisione dei contenuti stessi, mobilitando la creatività in fun- zione di una miglior comunicazione. Oggi le n.t. sono: a) pervasive, diffondendosi orizzontalmente a macchia d’olio in diversi ambiti del vivere ed interessando contemporaneamente più strumenti e persone; b) rapide nel cambio, con effetti quasi immediati sul modo di affrontare i problemi, rendendo molto difficile inter- venire in modo puntuale e tempestivo; c) globali, tendendo ad interessare tutti i settori e le attività della – società nel suo insieme. 3. Le n.t. dell’ultima generazione sono molte legate all’interattività ed a Internet. Per quanto riguarda la formaz. si concretizzano attraverso reti telematiche, televi- sione satellitare, realtà virtuale, CD-Rom e DVD interattivi, corsi on line, iper- testi, videoconferenze, e-mail e possono facilitare molto la qualità dell’ – ap- prendimento agevolando l’accesso a risorse, servizi, scambi a distanza. Sono qualcosa di più del semplice supporto ad un intervento formativo, poiché possono realmente modificare i processi di comunicazione del sapere e quelli della loro acquisizione. Esse creano canali capillari di diffusione che offrono nuove e ine- dite possibilità di una piena democratizzazione dell’accesso alla formaz. Le n.t., tendono a favorire delle strategie d’ – insegnamento basate molto di più sull’ap- proccio costruttivistico in cui una persona entra come attore nel processo di ap- prendimento ed è chiamata a collaborare attivamente e continuamente con i com- pagni e i docenti nelle diverse fasi dell’intervento. 4. Oggi non è più un grande problema per una persona in formaz. avere delle infor- mazioni, ma è ancora problematico recuperarle, renderle attive, strutturarle, riflettere su di esse in modo critico. Le conoscenze specifiche che un formatore (– operatori della FP) possiede sulla propria disciplina diventano meno importanti, mentre acqui- stano maggiore importanza le sue capacità metodologiche e didattiche generali. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 126 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 127 Modelli di formazione collaborativi e costruttivi sarebbero ovviamente possibili anche utilizzando gli strumenti didattici tradizionali, ma con le n.t. è più agevole e più naturale recepire le informazioni. Nel mondo formativo con le n.t. è abbastanza facile creare ambienti virtuali e simulazioni, che aiutino a sviluppare il pensiero cri- tico. In particolare, si riesce a creare un tipo di – formaz. a distanza molto interes- sante, una formaz. on line, dove lo spazio e il tempo entrano in una realtà virtuale. Bibl.: AA.VV., Nuove tecnologie per l’apprendimento (con CD-ROM), Roma, Garamond, 1998; TALAMO A. (Ed.), Apprendere con le nuove tecnologie, Firenze, La Nuova Italia,1998; CIOTTI F. - G. RONCAGLIA, Il mondo digitale. Introduzione ai nuovi media, Bari, Laterza, 2000; AA.VV, Nuove tecnologie e scuola di base, Roma, Carocci, 2001. N. Zanni OBBLIGO SCOLASTICO E FORMATIVO Per o.s.f. si intende il dovere imposto per legge al cittadino di ricevere una formaz./istruz. almeno sufficiente per inserirsi nella – società o per continuare gli studi. In questi ultimi anni, si registra in proposito una tendenza interessante al supera- mento del concetto stesso di o.s.f., che pure dal punto di vista storico ha esercitato una funzione essenziale nel passaggio da una scuola per pochi a una per tutti, ma che al presente sembra costituire piuttosto un impedimento alla piena realizzazione dei diritti di – cittadinanza. In una società complessa come l’attuale, la focalizzazione scolasticistica perde di senso perché ciò che conta è il risultato e la sua qualità e non i percorsi con cui si ottengono che possono essere i più vari. Inoltre, l’istruz. e la – formaz., prima che dei doveri, sono dei diritti della persona e vanno assicurati a tutti in modo pieno. Pertanto, le varie istituzioni che le garantiscono devono operare in – rete, in una prospettiva di – solidarietà cooperativa piuttosto che come alternative tra loro escludentisi. Questo salto di qualità è stato recepito nel nostro Paese con la L. 53/03, la cosiddetta “Riforma Moratti”, che all’art. 2, comma1, lettera c) assicura a tutti “il diritto all’istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età”. Bibl.: Rapporto del Gruppo Ristretto di Lavoro costituito con D.M. n. 672 del 18 luglio 2001, in “Annali dell’Istruzione” 47 (2001) 1/2, 3-176; MALIZIA G. - C. NANNI, “Istruzione e formazione: gli scenari europei”, in CIOFS/FP - CNOS-FAP (Edd.), Dall’obbligo scolastico al diritto di tutti alla for- mazione: i nuovi traguardi della Formazione Professionale, Roma, Tipografia Pio XI, 2002, 15-42. G. Malizia OBIETTIVI Gli o. di un’azione formativa costituiscono la dichiarazione delle intenzioni forma- tive che la comunità, o il singolo docente, assume come riferimento per la – pro- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 127 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 128 gettazione, conduzione e valutazione di un intero percorso formativo o di un sin- golo corso. Si distingue spesso, in base al carattere di generalità e/o d’astrattezza che assume l’espressione di tali intenzioni, tra o. intesi come finalità istituzionali, o. considerati come mete educative e/o formative e o. didattici. 1. Finalità istituzionali. Gli o. intesi come finalità istituzionali di un – CFP costi- tuiscono il quadro di riferimento che caratterizza il suo servizio reso alla – società. Il processo formativo è, infatti, un processo intenzionale e l’istituzione formativa, essendo al servizio della comunità nazionale, regionale e locale, deve tener conto delle indicazioni che esse, ciascuna secondo la sua competenza, esprimono circa il suo ruolo. Fonti principali per la specificazione di tali finalità sono, da una parte, le disposizioni pubbliche e, dall’altra, i caratteri che contraddistinguono l’identità specifica dell’ – Ente promotore dell’istituzione stessa. 2. O. formativo. Una definizione più puntuale di o. formativo può suonare in questo modo: “intento espresso in modo chiaro e non ambiguo, rispetto al quale è possibile decidere se un percorso o un processo formativo è giunto al termine e/o è valido per giungervi”. È inerente a questa definizione il processo decisionale attraverso il quale la – comunità formativa locale giunge alla determinazione e alla formula- zione non solo delle mete da porre a fondamento della sua azione educativa e didat- tica, bensì anche dei modi di verifica del loro raggiungimento. Tale processo si svolge tra due poli di riferimento fondamentali: le finalità istituzionali e i – bisogni educativi dei giovani. Le prime sono lette e interpretate contestualizzandole all’ – ambiente sociale e culturale in cui si opera, evidenziandone il significato e il valore educativo; i secondi sono rilevati nella maniera più fedele possibile e rispondente al tipo d’intervento prefigurato e quindi interpretati alla luce dei valori e delle finalità istituzionali contestualizzate. Si tratta di realizzare una vera e propria mediazione operativa tra un quadro ideale e una situazione reale, tra un dover essere e un dato di fatto. Questo lavoro consente anche di assegnare priorità tra i vari o. Da una parte, infatti, sono considerati i valori e le finalità educative secondo un ordine di importanza dettato da considerazioni generali, dall’altro, viene studiata la distanza o discrepanza esistente tra definizione ideale e la loro attuale presenza. Questo lavoro consente alla comunità la scelta e l’organizzazione degli o. formativi. 3. Quadro degli o. La legge sul diritto-dovere alla formaz. fino a diciotto anni in- dica la necessità di definirne il profilo educativo, culturale e professionale. Di qui l’impegno nell’articolare il quadro degli o. formativi secondo tre tipologie fonda- mentali: o. educativi, o. culturali, o. professionali. Evidentemente, nel concreto della pratica formativa gli interventi mireranno a favorire lo sviluppo di una fe- conda integrazione tra queste tre dimensioni della crescita personale. Gli o. educa- tivi sono linee guida, orientamenti di fondo, principi d’azione, che devono infor- mare sia la dimensione culturale, sia quella professionale. Sono l’orizzonte educa- tivo entro il quale ci si muove o, se si vuole, il quadro di valori da interpretare e concretizzare nel contesto dei vari interventi formativi. Probabilmente, molti o. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 128 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 129 educativi possono essere solo parzialmente raggiunti con l’apporto dell’attività for- mativa strettamente connessa con gli insegnamenti specifici. Molti di essi coinvol- gono le modalità stesse di organizzazione dell’ambiente formativo, il sistema di relazioni interpersonali sviluppato, iniziative rivolte alla – personalizzazione dei percorsi formativi e all’ – orientamento. D’altra parte, la – valutazione relativa al loro raggiungimento può basarsi solo su giudizi, su elementi colti dall’osserva- zione sistematica degli allievi, su confronti fatti tra la situazione di partenza e quella che si ha sotto gli occhi. 4. O. culturali e professionali. Gli o. culturali e professionali si riferiscono più spe- cificatamente ai singoli insegnamenti, anche se questi vanno considerati nella loro complessità e interconnessione. Oggi si tende a definire questo tipo di o. in termini di – competenze, cioè di capacità di utilizzare il proprio patrimonio di – cono- scenze, – abilità e altre disposizioni interiori, come – motivazioni, interessi e aspi- razioni, per affrontare positivamente situazioni e problemi di natura culturale e/o professionale. Nascono di conseguenza alcuni problemi di definizione di tali o., d’organizzazione dei percorsi formativi diretti al loro sviluppo, di valutazione del loro raggiungimento. Bibl.: MAGER R., Gli obiettivi didattici, Teramo, Lisciani e Zampetti, 1972; DE LANDSHEERE V., De- finire gli obiettivi dell’educazione, Firenze, La Nuova Italia, 1977; HAMELINE D., Les objectifs péda- gogiques, Paris, ESF, 1979; PELLEREY M., Progettazione didattica. Torino, SEI, 1994; ID., Educare, manuale di pedagogia come scienza pratico-progettuale, Roma, LAS, 1999. M. Pellerey OFFERTA FORMATIVA – Progettazione formativa; – CFP; – Servizi per l’impiego; – Apprendistato; – Handicap e FP; – Diritti formativi; – Economia e formazione; – FPI; – FP superiore; – Moduli OPERATORI DELLA FP I mutamenti normativi che hanno interessato negli ultimi anni la – FP in Italia hanno inciso, non solo sulla tipologia dei corsi e sulla tipologia degli utenti, ma anche sulle figure professionali incaricate di gestire, erogare, monitorare il – pro- cesso formativo. Di seguito, sono presentate le funzioni e la figura del formatore, le figure di sistema e il Direttore. 1. Funzioni del formatore. Dalla più generale, e onnicomprensiva, funzione del formatore si sono delineate altre funzioni, più specifiche, a cui oggi corrispondono figure professionali definite. Con minime variazioni di denominazione nelle varie Regioni, troviamo formatori che sono incaricati delle seguenti funzioni: coordi- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 129 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 130 namento; progettazione, valutazione e analisi del fabbisogno; docenza, docenza- tutoring, orientamento. In alcuni contesti regionali, sia il docente-tutor (– tutor) che il docente-orientatore sono figure a sé stanti; si mantiene anche la formula del formatore-docente, anche se, sempre più spesso, le funzioni sono raggruppate fra loro. Fin dalle origini la figura del formatore ha presentato i caratteri di un – ruolo professionale molteplice, flessibile in quanto declinato in corsi di diversa struttura, rivolti a giovani allievi o ad adulti o a fasce di utenza marginale. La crescente com- plessità dei corsi professionali erogati e la definizione sempre più articolata delle reali – competenze richieste ai formatori ha fatto emergere i settori di intervento che normalmente sono individuabili come campi di azione dei formatori. 2. Formatore coordinatore. Il formatore coordinatore è colui che segue, sia a livello amministrativo che didattico, lo svolgimento dei corsi in una sede; le sue compe- tenze sono di tipo organizzativo e gestionale, la sua attenzione è rivolta alla defini- zione del corpo docente, alla organizzazione delle condizioni operative per i singoli corsi, al – monitoraggio complessivo dei corsi, fino alla loro rendicontazione eco- nomico-amministrativa. 3. Formatore progettista. Il formatore progettista (a cui si delegano anche le fun- zioni di valutatore e analista del fabbisogno) è normalmente incaricato di seguire la progettazione del – CFP dal punto di vista della stesura dei progetti di corsi. Il la- voro ha più caratteristiche: il progettista infatti deve acquisire competenze nell’ana- lisi dei bandi Fondo Sociale Europeo o regionali e costruire, sia a livello contenuti- stico che amministrativo, i singoli progetti. Dunque, oltre al lavoro di ideazione e scelta dei contenuti dei corsi, il formatore deve svolgere il lavoro di traduzione, in termini gestionali, dei corsi stessi. Ciò significa individuare le risorse professionali necessarie, ma anche in via preventiva procedere all’analisi del fabbisogno dei corsi stessi. Strategica appare, infatti, la funzione del progettista, dal momento che deve individuare i bisogni formativi dell’utenza a cui si rivolge il singolo corso. Altro elemento legato alla – progettazione formativa è quello della – valutazione. In questo caso si intende una funzione valutativa ad ampio raggio che comprende sia quella dei risultati dei singoli allievi, sia quella più generale relativa al corso nel suo complesso, sia quella di tipo amministrativo/gestionale. Ulteriore segmento valuta- tivo è quello del gradimento del corso da parte degli utenti: la – FP per prima, nel panorama scolastico, ha adottato, infatti, come parametro di – qualità dei corsi la soddisfazione dei partecipanti espressa attraverso strumenti di valutazione adeguati. 4. Formatore orientatore. Legata ai problemi di individuazione dei bisogni del- l’utenza della FP è la figura dell’orientatore; da alcuni anni la tematica dell’ – orientamento è divenuta oggetto strategico di riflessione culturale e professionale, soprattutto nell’ambito della FP. Gran parte degli allievi della FP è stata poco e male orientata nel percorso scolastico e lo stesso ingresso nella FP richiede un accompagnamento che permetta all’allievo di ritrovare – motivazione e capacità di scelta. A tali – bisogni risponde la figura del formatore-orientatore. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 130 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 131 5. Formatore – tutor. Caratteristica della FP è la figura del formatore-tutor: con questa dizione si indica una serie di competenze relative alla gestione dei rapporti con gli allievi che frequentano i corsi. Il tutor segue in modo individualizzato gli allievi supportando le loro difficoltà di inserimento, i momenti di scarso impegno, le limitate competenze nell’uso di strumenti didattici, sia tecnologici che tradizio- nali. Si tratta dunque di una funzione metodologica di sostegno per gli allievi, di qualsiasi età, volta a migliorare le condizioni di fruizione del percorso professio- nale. 6. Formatore docente. Più tradizionale è la funzione del formatore-docente: in questo caso indichiamo il lavoro di insegnamento in aula, ma anche i – labora- tori professionali. Sia pure in proporzioni diverse, sia le funzioni di orientamento che di tutorato fanno parte della funzione docente, anche nell’ambito scolastico; tuttavia, la particolare utenza della FP, caratterizzata spesso da problemi legati a forme di – disagio sociale e personale, rende tali funzioni strategiche per la frequenza dei corsi stessi e particolarmente impegnative in termini di orario lavo- rativo. 7. Direttore. Altra funzione, in qualche modo legata alla figura e alla carriera del formatore, è quella del direttore della singola sede; ad essa si attribuiscono funzioni di gestione complessiva dell’azione formativa svolta e della valorizzazione delle – risorse umane impegnate nel lavoro didattico/educativo e amministrativo. C. Montedoro ORIENTAMENTO O. presenta una notevole variazione nei termini: in ted., Berufsberatung: offrire consigli per la scelta professionale; in ingl., Career counseling o career guidance: consigliare o guidare in materia di carriera; l’aggettivo vocational sta per profes- sionale; poiché il sostantivo o. ha numerosi significati deve essere qualificato con un aggettivo (scolastico, professionale, educativo); il termine fr. è equivalente al- l’italiano, Orientation scolaire et professionnelle. L’o. consiste nell’aiuto che viene dato da un esperto (orientatore, consigliere) ad un soggetto in crescita perché elabori un progetto di vita (– progetto personale e professionale) e lo effettui progressivamente durante le fasi del suo sviluppo. L’obiettivo finale dell’o. consiste in un valido inserimento del soggetto nella – società perché realizzando le sue personali finalità contribuisca nello stesso tempo alla promozione del bene comune. Da adulto, poi, nello svolgimento della sua attività professionale, si ispirerà a principi etico-morali e la condurrà da persona professionalmente matura (– maturità professionale). Per raggiungere tale obiet- tivo, l’o. si serve di conoscenze e di metodi provenienti dalle discipline sociolo- giche, antropologiche, psicologiche e pedagogiche. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 131 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 132 1. Origine. L’o. nella sua fase iniziale veniva praticato nell’ambito della psicologia di consulenza (counseling) e tale collocazione non poteva che essere vantaggiosa, poiché la sua finalità era promuovere lo sviluppo delle persone, aiutarle ad effet- tuare un dinamico adattamento al loro – ambiente sociale e provvedere al loro be- nessere fisico e psichico durante tutta la vita. All’o. si sono interessate in sede teo- rica e operativa anche la psicologia industriale (attualmente, “delle organizzazioni” – psicologia del lavoro) e la psicologia applicata. Numerosi convegni sull’o. durante il XX sec. sono stati gestiti nell’ambito della psicologia applicata. 2. Gli utenti. Nell’impostazione dell’o. da parte di Parsons, all’inizio del XX sec., venivano prese in considerazione alcune caratteristiche fondamentali del soggetto, in stretto rapporto ai requisiti della possibile occupazione. Tali erano: attitudini, in- teressi e – valori professionali. Le attitudini sono state considerate delle predispo- sizioni che se sviluppate diventano delle – abilità mentali. Da decenni viene fatta la distinzione tra abilità verbali, numeriche e spaziali che nell’insieme rappresen- tano il livello generale attitudinale del soggetto. I tre tipi di abilità sono associati agli indirizzi scolastici e ai settori occupazionali. Il livello e le abilità specifiche possono essere rilevati con adatti strumenti (batterie attitudinali) che predicono in buona misura il rendimento scolastico e professionale. Gli interessi e i valori pro- fessionali rappresentano i motivi per cui un soggetto desidera svolgere una profes- sione. I valori in particolare sono delle forze motivanti in quanto i valori specifici sono per la loro natura associati a determinate professioni. Tanto gli interessi quanto i valori sono alla base delle scelte degli indirizzi scolastici e in seguito con- tribuiscono alla stabilità e alla soddisfazione nella occupazione scelta. 3. Dimensione informativa. Per una scelta professionale realistica, è necessario offrire al soggetto delle informazioni sulla situazione occupazionale e sulle oppor- tunità formative. Egli deve essere informato sulla progressiva trasformazione del mondo del lavoro per essere flessibile nelle sue preferenze e disponibile alle inno- vazioni nelle professioni. 4. Metodologie. Per la rilevazione delle caratteristiche del soggetto e per la ge- stione del processo di o. vengono usati i più svariati procedimenti. Tra i più utiliz- zati: il – colloquio individuale per la raccolta dei dati anamnestici e per definire i bisogni del soggetto. Sono usati poi vari questionari per accertare le fondamentali dimensioni di personalità. Una – metodologia piuttosto recente consiste nella stima di – competenze da parte del soggetto, nota sotto il nome “bilancio delle competenze”. Si tratta di un procedimento che consiste nella ricostruzione, valoriz- zazione e validazione di competenze acquisite dall’utente attraverso l’esperienza lavorativa e quelle di vita per farne una risorsa utilizzabile nel – mercato del la- voro, formulando e verificando progetti e scelte professionali. Vari questionari sono disponibili poi per la rilevazione della capacità decisionale dei soggetti (– sviluppo professionale). Una metodologia utile accanto agli interventi sistematici dell’o. consiste nello “sportello dell’o.”, che si configura come un servizio su ri- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 132 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 133 chiesta di tutti coloro che hanno bisogno di informazioni e di sostegno personale. L’attività dello “sportello” consiste nel colloquio dell’esperto con l’utente, che può ottenere informazioni sui percorsi formativi. 5. Dimensione formativa. Assume un ruolo centrale nell’o. e consente agli utenti di usufruire delle occasioni per sviluppare la personalità nella presa di coscienza di sé e della propria – identità in un contesto sociale e poi operare delle scelte nell’am- bito della – mobilità professionale dovuta alla rapida trasformazione dei settori lavorativi. 6. Centri di o. (– sede orientativa). Un’attività ordinata ed efficace può essere svolta solo da una struttura stabile con personale competente, quale è un centro di o. La gestione dell’o. richiede varie competenze che sono coperte dal consigliere dell’o.; psicologo, sociologo, pedagogista, informatico, assistente sociale, econo- mista e documentalista coordinati da un direttore. Il centro svolge delle attività articolate in – accoglienza, in accertamento, in preparazione di profili degli utenti per stabilire con loro un patto formativo, che rappresenta un vincolo morale dalle due parti ed è un presupposto per una efficace crescita personale e professionale. 7. L’o. come risposta a nuove situazioni. Dalla storia dell’o. emerge con chiarezza come gli eventi storici (le due guerre mondiali, la depressione del ‘29 e il lancio dello Sputnik negli anni ‘50) hanno sollecitato nuove risposte arricchendo la me- todologia dell’o. e definendo i suoi obiettivi a breve e a lungo termine. Anche l’attuale situazione della nuova economia chiede una adeguata risposta all’o. Greenhaus (2003, 521) riporta i dati secondo i quali dal 1979 al 1995 negli USA sono stati cancellati 43 milioni di posti di – lavoro. La perdita di molti tipi di la- voro, come anche il sorgere di nuovi, ha prodotto “turbolenza” nel contesto occu- pazionale. Gli esperti del settore, come riportano Guichard e Huteau (2003, 12), notano che nel futuro le carriere professionali saranno caratterizzate più da un “caos” che da una regolare crescita professionale. In vista di questa nuova situa- zione, alcuni autori consigliano ai giovani di acquisire la competenza che permet- terà loro di analizzare, ad ogni bivio che dovranno affrontare, gli elementi del sé, le proprie risorse, la struttura dell’ambiente circostante con le opportunità e con le sue incongruenze. In un mondo di evoluzione molti giovani non potranno elabo- rare un progetto professionale a lungo termine e dovranno acquisire delle efficaci strategie a breve termine con frequenti adattamenti. I teorici e i consiglieri dell’o. dovranno rendersi sensibili alle trasformazioni sociali del momento e dare nuove risposte. Bibl.: DEL CORE P. - K. POLÁÈEK - L. VALENTE, “Premesse teoriche”, in G. MALIZIA et al. (Edd.), Rapporto finale della ricerca “Seconda Indagine Nazionale sui Servizi di Orientamento 1988”, Roma, CNOS-FAP, 1999, 17-50; BROWN S.D. - R.W. LENT (Edd.), Handbook of counseling psycho- logy, Third edition, New York, Wiley, 2000; SWANSON J.L. - P.A. GORE, “Advances in vocational psychology: Threory and research”, in S.D. BROWN - R.W. LENT (Edd.), Handbook of counseling psychology, Third edition, New York, Wiley, 2000, 233-269; BAKER D.B., “Counseling psychology”, in I.B. WEINER (Ed.), Handbook of psychology, vol. l, Hoboken NJ, J. Wiley, 2003; FREEDHEIM D.K. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 133 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 134 (Ed.), History of psychology, New Jersey, Wiley, 2003, 357-365; GREENHAUS J.H., “Career dyna- mics”, in I.B. WEINER (Ed.), Handbook of psychology, vol. 12, Hoboken NJ, J. Wiley, 2003; BORMAN W.C. - D.R. ILGEN - R.J. KLIMOSKI (Edd.), Industrial and organizational psychology, New Jersey, John Wiley, 2003, 519-540; GUICHARD J. - M. HUTEAU, Psicologia dell’orientamento professionale: Teorie e pratiche per orientare la scelta negli studi e nelle professioni, Milano, Cortina, 2003. K. Poláèek ORIENTATORE – Operatori della FP; – Orientamento PARI OPPORTUNITÀ Gli studi sociali degli anni 1944-1965 negli USA e nell’Europa settentrionale evi- denziano il divario tra ideali di democrazia e persistenza di disuguaglianze e ingiu- stizie causate da colonialismo, imperialismo e razzismo. La frustrazione delle aspet- tative di pace, di libertà e di rispetto dell’essere umano diffuse dopo la seconda guerra mondiale e consolidate dalle normative costituzionali e dal diritto internazio- nale, genera vive proteste da parte di fasce sociali che maggiormente vivono lo stato di privazione dei diritti. Si tratta di donne, anziani, minoranze, persone con han- dicap. Per un verso, la teoria della società pluralista spiega le ragioni storico-sociali di pregiudizio e discriminazione, indicando le politiche funzionaliste dell’ – istruz.; per altro verso, i teorici dell’antirazzismo evidenziano l’effetto antidemocratico della esaltazione delle diversità e del pluralismo che rischia, se non controllato, nei comportamenti sociali, di restringere il campo all’uguaglianza delle opportunità educative, dando luogo a fenomeni come il – bullismo, l’emarginazione scolastica, la persistenza degli stereotipi nei manuali scolastici, la recrudescenza della disper- sione scolastica. L’uguaglianza delle opportunità in – educ. è la variabile rispetto alla quale si distribuiscono i modelli causali ora del consenso (centrati sul plura- lismo culturale), ora del conflitto (centrati sull’antirazzismo). Il divario tra ugua- glianza raggiunta ed uguaglianza negata in educ. si trasforma nella elaborazione delle teorie sullo svantaggio relative al soggetto con esigenze specifiche (1965- 1976), delle teorie sull’educ. multiculturale (1976-1996), e delle teorie su esclu- sione e discriminazione sociale (1996-2003) in materia di istruz. e – formaz. Le tesi concernenti le p.o., soprattutto di sesso e di razza, studiano le condizioni giuri- diche e sociali di partecipazione delle donne e delle minoranze etniche alla vita ci- vile, politica, economica, culturale ed individuano gli ostacoli al riconoscimento dei diritti umani fondamentali, rivolgendo particolare attenzione a donne e bambine. Nella Costituzione italiana è scritto: le “leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elet- tive” (art. 117 sostituito dall’art. 3 della L. costituzionale 3/01, Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione). parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 134 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 135 Bibl.: CORRADINI L., “Diritto all’educazione e allo studio e uguaglianza delle opportunità”, in M. LAENG (Ed.), Atlante della pedagogia, vol. I, Napoli, Tecnodid, 1990, 233-271; ANTONOURIS G. - J. WILSON, Equal opportunities in schools. New dimensions in topic work, London, Cassell Educational Limited, 1991; SAULLE M.R., “Il principio della parità tra i sessi come norma di diritto internazionale inderogabile”, in G. MORICI (Ed.), Passato, presente e futuro dei diritti dell’uomo, Roma, Euroma - La Goliardica, 1993, 181-191; ALTIERI G. - F. FARINELLI - S. MEGHNAGI (Edd.), La cultura delle pari opportunità. Le donne nella storia, nel lavoro, nella società, Roma, Ediesse, 1993; FASANO A. - P. MANCARELLI, Parità e pari opportunità uomo-donna. Profili di diritto comunitario e nazionale, Torino, G. Giappichelli, 2001; RUBENSTEIN M., Discrimination. A guide to the relevant case law on sex, race and disability discrimination and equal pay, London, Butterworths LexisNexis, 2003; PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA ITALIANA, Legge Costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001. Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, in www.senato.it/parlam/leggi/eleletip.htm, 17.02.2004. S. Chistolini PARTI (FORZE) SOCIALI 1. Per una definizione. Le dizioni p.(f.)s. evidenziano immediatamente la difficoltà a identificare in modo preciso ed esclusivo non solo i soggetti protagonisti, ma anche il ruolo e l’area specifica di azione che ne caratterizzano l’appartenenza nel- l’ambito del vasto campo del sociale. Con riferimento, infatti, ai “soggetti” si in- cludono correntemente nelle p.f.s. i sindacati, gli imprenditori, gli artigiani, i com- mercianti, ecc., ma anche altri attori dell’area dell’associazionismo (– associa- zioni) che stanno emergendo nell’ambito delle tematiche relative allo sviluppo dei diritti, degli interessi e dei servizi connessi all’area del sociale nelle comunità com- plesse. Alla considerevole dimensione numerica dei soggetti corrisponde, invece, poca chiarezza e una rilevanza sistemica alquanto limitata quando si tratta di corre- lare ruoli e aree specifiche alle diverse p.s. presenti nel sociale. Un indicatore di tale squilibrio si può constatare tra l’uso frequente delle suddette dizioni e la loro assenza pressoché completa nei dizionari e negli indici analitici della letteratura economica, scientifica e sociale. 2. Contesto storico. Possiamo comunque constatare che il senso comune attribuito di volta in volta alle p.f.s. si specifica concretamente nelle diverse congiunture storiche in cui si trovano ad operare i soggetti protagonisti. Accade così che il medesimo sog- getto – ad es. il – sindacato – si qualifichi come “f.s.” nei contesti di confronto- scontro nelle situazioni conflittuali del mondo del – lavoro, mentre viene percepito prevalentemente come “p.s.” in periodi di sviluppo di istanze diffuse di partecipa- zione responsabile allo sviluppo complessivo e integrale dei cittadini che, con ruoli diversi, tendono a concorrere alla realizzazione di un bene comune e condiviso. In questa seconda accezione, sempre con riferimento al sindacato, si possono svilup- pare alcune caratteristiche di collocazione, di identità e di azione che esso assume come “p.s.”: nell’ambito dell’associazionismo, della rappresentanza sociale, della partecipazione sociale e nei ruoli svolti per raggiungere e sottoscrivere Intese, Patti e Accordi con i vari soggetti istituzionali, politici e amministrativi. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 135 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 136 3. Configurazione organizzativa. Nel contesto italiano, la principale fonte di docu- mentazione dell’organizzazione delle “f.s.” è raccolta e aggiornata presso l’ar- chivio del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), organismo composto da rappresentanti del mondo dell’ – impresa, del lavoro autonomo, del lavoro dipendente (es., Confindustria, Confcommercio, Confartigianato, Confeser- centi, Coldiretti, Confapi, Coldiretti, Confcooperative, CISL CGIL, UIL, CUB, ecc.) da esponenti del mondo dell’associazionismo sociale e delle organizzazioni del volontariato (es., Acli, Arci, Compagnia delle Opere, Forum Permanente Terzo Settore, Movi, ecc.). L’archivio CNEL alla voce f.s. costituisce una banca dati con lo scopo di offrire alle istituzioni, alle stesse rappresentanze sociali, e a tutti gli interessati, un servizio aggiornato di informazioni e dati su come è articolata e organizzata l’area della rappresentanza di interessi e la rappresentanza sociale nel nostro Paese. 4. Partecipazione sociale. Al di là della problematica storica e analitica del con- cetto stesso di “partecipazione” (che qualifica prevalentemente la collocazione più diffusa attualmente delle p.s.), è utile rilevare nell’economia di queste annotazioni i livelli e le dimensioni delle azioni poste in essere dalle p.f.s. nel contesto recente della vita democratica del nostro Paese. Un primo rilievo fa riferimento all’im- pegno di partecipazione che i soggetti svolgono nell’adempimento dei propri ruoli in coerenza col rispettivo quadro di riferimento valoriale nell’area dei diritti di cit- tadinanza, volontariato, cooperazione, – solidarietà. Un secondo aspetto riguarda l’azione delle p.s. a sostegno dell’efficacia della partecipazione come rapporto de- cisionale, che si configura come un far parte di processi orientati a raggiungere un approdo sancito e condiviso e dove il livello di partecipazione è proporzionale alla possibilità di influenzare, manifestando e sostenendo interessi e preferenze riferite alla propria appartenenza istituzionale. Un terzo livello di partecipazione delle p.s. comporta l’azione diretta al fine di estendere la partecipazione definita al secondo livello, estensione che può riguardare anche la tipologia dei soggetti (istituzionali, politici, amministrativi, associativi, ecc.), nonché le sfere della decisione da pren- dere (Intese, Patti, Accordi, ecc.). 5. Crisi e sviluppo. Il confronto con le p.s. sta assumendo nel contesto italiano un ruolo sempre più diffuso specialmente nei rapporti con le istituzioni e le ammini- strazioni nazionali e territoriali ai diversi livelli di informazione, di pareri, di coin- volgimento, di approvazione, di sottoscrizione. Lo sviluppo della partecipazione dei soggetti è spesso innescato dalla mobilitazione sociale di ampi strati della po- polazione, prima esclusi in tutto o in parte dai circuiti dell’economia, della politica e dei diritti di – cittadinanza. La crisi si verifica, invece, quando la classe politica e i gruppi dirigenti in genere non sanno fornire soluzioni istituzionali adeguate. In simili situazioni, le p.s. si trovano a dover superare eccessi di tecnocrazia e di bu- rocratizzazione, che creano distanze sempre più marcate nel tessuto sociale. Ana- loghe situazioni di crisi si verificano in situazioni dove la dilatazione del sistema politico invade sfere, attività e organizzazioni tipiche della – società civile. Le vi- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 136 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 137 cende alterne del ruolo delle p.s., sindacati e imprese, nei confronti con il Governo sono documentabili con alcuni riferimenti recenti a cominciare soprattutto dagli anni ‘90, che interessano anche l’ambito di materie nuove quali la cultura, l’ – istruz., la – formaz. Tra questi ultimi si possono ricordare: l’Accordo del 31 luglio 1991, che ha azzerato la scala mobile e posto le basi per una nuova struttura del salario; l’Accordo sul costo del lavoro del 23 luglio 1993; l’Accordo per il lavoro e l’occupazione del 24 settembre 1996, con i primi riferimenti al diritto alla formaz. fino ai 18 anni di età; il Patto Sociale per lo sviluppo e l’occupazione, del 22 di- cembre 1998, che viene indicato, tra l’altro, come riferimento inedito nell’espe- rienza politica per l’elaborazione della “legge-quadro in materia di riordino dei cicli dell’istruzione” (L. 30/2000, abrogata con la L. 53/03). Se questi sono ele- menti positivi e di sviluppo della cosiddetta fase di “concertazione” (– part- nership) con le p.s., bisogna subito aggiungere come le spinte ad un ritorno alla prassi opzionale del “confronto”, che rimanda ai rapporti di forza, allontana negati- vamente non solo l’azione partecipativa, ma soprattutto quella decisionale con il coinvolgimento delle p.s. Bibl.: BOBBIO N., L’età dei diritti, Torino, Einaudi, 1990; SARTORI, G., Democrazia, cos’è?, Milano, Franco Angeli, 1993; BAGLIONI G., Democrazia impossibile? Il cammino della partecipazione nel- l’impresa, Bologna, Il Mulino, 1995; ROMANI M., Appunti sull’evoluzione del sindacato, Roma, Edi- zioni Lavoro, 2000; NAPOLI M., Principio di sussidiarietà, Milano, Vita e Pensiero, 2003. P. Ransenigo PARTNERSHIP La p. (o partenariato, o anche concertazione), introdotta dalla Riforma dei Fondi Strutturali del 1988, è uno dei principi generali su cui si fonda la politica di co- esione economica e sociale dell’UE. 1. Sancito nel Regolamento CEE n. 2081/93 del Consiglio e successivamente riba- dito nel Regolamento CEE n. 1260/99, il principio di partenariato ha rappresentato una profonda innovazione delle politiche dell’UE. Strettamente connesso al prin- cipio di complementarietà, in base al quale la Commissione ritiene che l’azione strutturale da essa svolta deve essere complementare rispetto alle iniziative realiz- zate a livello nazionale, per p. s’intende quella forma di concertazione che, a di- versi livelli, si realizza nella programmazione e attuazione dei Fondi Strutturali. L’obiettivo è infatti quello di assicurare il coinvolgimento di tutti i soggetti istitu- zionali competenti e delle parti economiche e sociali nella definizione della poli- tica di coesione e di garantire la massima efficacia dell’azione comunitaria. L’art. 8 del Regolamento 1260/99, infatti, dispone che l’azione comunitaria è complemen- tare alle azioni nazionali corrispondenti o vi contribuisce. Ciò è il risultato della stretta concertazione tra la Commissione, lo Stato membro interessato, le autorità e gli organismi designati dallo Stato membro, nel quadro delle proprie normative parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 137 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 138 nazionali, delle prassi correnti, comprese le autorità regionali e locali e le altre autorità pubbliche competenti, le parti economiche e sociali (– parti sociali), gli altri organismi competenti in tale ambito. 2. La p., come precisa il suddetto regolamento, sempre operando nel pieno rispetto delle competenze istituzionali, giuridiche e finanziarie di ciascun partner, si con- cretizza in tutte le principali fasi della programmazione e dell’attuazione degli in- terventi: elaborazione dei Piani, negoziazione e approvazione dei Quadri comu- nitari di sostegno, attuazione delle forme di intervento, azioni di sorveglianza e di valutazione (ex ante ed ex post) delle azioni intraprese. Con un’accezione diversa, invece, per p. si intende anche la formula, spesso presente fra le condizioni neces- sarie di partecipazione ad un programma comunitario, che indica la necessità di collaborazione di più soggetti, appartenenti a Stati diversi, per l’attuazione di un progetto. Le modalità concrete di p. possono essere diverse e sono specificate nei singoli programmi. Bibl.: COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE - ISFOL - MINISTERO DEL LAVORO, Fondo sociale Europeo: Strumenti e percorsi per l’accesso, Roma, Il Centro Stampa, 1996. E. Marsilii PATTO ORIENTATIVO - FORMATIVO – Orientamento; – Accoglienza PEDAGOGIA DEL LAVORO Area della ped. sociale che si occupa della riflessione attorno al – lavoro come uno dei luoghi di – educ. permanente della persona. Già nel XVII sec. Comenio vedeva nel “fare” delle mani il contributo allo sviluppo armonico dell’uomo, una modalità di – apprendimento e di espressione personale in continuità con l’azione del mastro artigiano medioevale; la spiritualità della Riforma cattolica si orientò all’educ. al lavoro nella – formaz. dei poveri e degli orfani. Locke la aprirà anche alla formaz. del gentleman, mentre il movimento delle scuole attive (XIX sec.) proporrà curricoli formativi costruiti sul lavoro in concor- renza con la scuola umanistica (Bürgerschule di Salomon, 1893), riconoscendo il lavoro manuale come necessario per l’educ. di tutti i bambini attraverso una speci- fica didattica. Troviamo così in Russia la trudovaja skola del Blonskij (1919); a Monaco di Baviera la arbeitschule del Kerschensteiner (1925); se ne occuperanno anche Dewey, Frenet, Ferrière. In Italia, la “Carta della scuola” voluta dal Bottai pose il lavoro come aspetto centrale della formaz. dell’uomo fascista. Un secondo filone pedagogico sorge dalle teorie sull’educ. permanente affermando come all’interno del lavoro produttivo si ritrovano aspetti educativi dell’uomo. Oltre il taylorismo, già Hessen (1950) proponeva l’idea di un “secondo mondo del parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 138 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 139 lavoro” come assieme di elementi sociali e culturali, nella tensione alla piena rea- lizzazione umana del lavoratore. La valorizzazione della – risorsa umana e quindi della – competenza come aspetto essenziale del lavoratore, delina un quadro di riferimenti a processi educativi che fanno pensare ad un continuum fra – istruz., – FP e lavoro direttamente agito nelle – imprese. Bibl.: HESSEN S., Pedagogia e mondo economico, Roma, AVIO, 1950; BOCCA G., Pedagogia del lavoro. Itinerari, Brescia, La Scuola, 1998. G. Bocca PERCORSO FORMATIVO – Progettazione formativa; – Tirocinio; – Valutazione; – Accoglienza; – Accompagnamento al lavoro; – Contratto formativo; – Credito formativo; – Curriculum vitae; – Disagio; – Esclusione sociale; – FPI; – Obiettivi formativi; – Apprendimento PERSONALIZZAZIONE Riferimento del percorso educativo-formativo alla specifica realtà personale del- l’allievo. Personalizzare significa delineare differenti percorsi di trasferimento- acquisizione delle – conoscenze, – abilità e – competenze, in base alle caratteri- stiche proprie di ciascun allievo: stili di – apprendimento, metodi di studio, carat- teristiche peculiari. Il concetto di p. impone un’analisi dei – bisogni dei soggetti che porti a modalità organizzative diversificate per gruppi, che possono variare a seconda degli – obiettivi di apprendimento. 1. Il concetto di p. è strettamente connesso a quello di successo formativo (– suc- cesso scolastico e professionale). Esso si realizza nel momento in cui la persona è in grado di trasformare le proprie – capacità (attitudini, atteggiamenti, risorse, vocazione) in competenze, al fine di ottenere comunque un risultato soddisfacente nel senso del conseguimento di una – qualifica professionale, garanzia di sup- porto all’inserimento lavorativo (– accompagnamento al lavoro); della possibilità di una prosecuzione della – formaz. (diploma di formaz., diploma di formaz. superiore) e di un passaggio anche nei Licei e nell’Università. 2. Il tema della p. rappresenta uno degli snodi centrali nelle riforme dei sistemi formativi. Le politiche scolastiche degli ultimi decenni si sono concentrate deci- samente sull’obiettivo della scolarizzazione di massa dei cittadini, affinché tutti potessero usufruire di una – istruz. di base. Si è trattato di un grande sforzo che ha condotto a risultati indubbi, anche se il modo in cui si sono realizzati è stato condizionato da un lato dagli approcci prevalenti e dalle risorse impiegate, e dal- l’altro dall’influenza del contesto e dalle sue nuove sfide. Va infatti ricordata la dominanza di – metodologie basate sulla garanzia del perseguimento di obiettivi parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 139 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 140 standard per tutti. La “ped. degli obiettivi” si è ben prestata in questa direzione, ma nel fare ciò non ha potuto impedire che si creasse una omologazione delle pratiche pedagogiche, che hanno teso a rivolgersi ad una figura indistinta, una sorta di “stu- dente medio” che in realtà non esiste, scontentando da un lato i soggetti più in dif- ficoltà e quelli portati all’eccellenza, senza peraltro stimolare adeguatamente le persone mediamente dotate. Ciò anche a causa della repulsione ideologica per le pratiche pedagogiche differenziate, ritenute sempre come sinonimo di disugua- glianza e di ingiustizia sociale. 3. Pellerey riassume nelle seguenti tre le caratteristiche di una formaz. personaliz- zata: “in primo luogo si mette in risalto la fondamentale e irripetibile caratterizza- zione dei diversi soggetti educandi. Volerli tutti imbrigliare in un unico progetto e in un analogo percorso educativo significa da una parte misconoscere la realtà e la dignità delle singole persone, dall’altra esporsi a brucianti delusioni e fallimenti. In secondo luogo si constata che è difficile prevedere in anticipo tutti i bisogni e le possibilità educative che durante l’attività educativa emergeranno. Essere prigio- nieri di un progetto prefabbricato rende ciechi e sordi a nuove istanze, a occasioni inaspettate, a nuove presenze e a nuove prospettive. Le cose veramente importanti nel fatto educativo sono l’attività e l’esperienza che vengono proposte, che devono essere in sé cariche di potenzialità e di valori in molte direzioni. Ciascun giovane le vivrà secondo il suo animo e la sua motivazione, le farà fruttificare secondo i propri ritmi, il proprio stile, arricchendo se stesso secondo le proprie esigenze e prospettive. In terzo luogo ci si espone a pericoli di formalismo tecnicista, di buro- cratismo, di comportamentismo riduttivo” (Pellerey, 1999, 162-163). 4. Diversamente dall’individualizzazione, la p. avviene generalmente entro un gruppo e prevede una flessibilità nell’aggregazione di gruppi di allievi: gruppi classe (per alcuni scopi), gruppi di livello (per altri scopi), gruppi d’interesse o elettivi. Il gruppo classe va inteso soprattutto come ambito che sostiene il processo di socializzazione piuttosto che un gruppo di apprendimento, mentre solo quando si costituiscono gruppi di “scopo” gli allievi imparano meglio. 5. La p. è quindi ad un tempo una opzione metodologica di fondo che caratterizza per intero l’opera dell’educatore, ma indica pure una serie di azioni specifiche che consentono di perseguire il fine del successo formativo per tutti. Le azioni di p. con- sistono in laboratori di approfondimento e di recupero, attività connesse ai passaggi tra ambiti e sistemi formativi, laboratori di livello ed elettivi, attività di – alter- nanza, esperienze di autoformazione, laboratori di sviluppo di capacità personali. Bibl.: GENTILE G., La risorsa umana: un potenziale pressoché illimitato, Milano, Franco Angeli, 1995; PELLEREY M., Educare. Manuale di pedagogia come scienza pratico-progettuale, Roma, LAS, 1999; ISFOL, La personalizzazione dei percorsi di apprendimento e di insegnamento, Milano, Franco Angeli, 2001; CHIOSSO G., Personalizzazione dei percorsi e qualità della scuola, in “Nuova Secondaria”, 7 (2002), 13-18; NICOLI D., La personalizzazione dei percorsi formativi, in “Rassegna CNOS”, 1 (2003), 24-38. D. Nicoli parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 140 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 141 POLITICHE DEL LAVORO – Economia e formazione POLITICHE FORMATIVE Per p.f. si intende l’insieme degli interventi posti in essere dall’autorità pubblica nella scuola e nella – FP in vista del raggiungimento del bene comune. 1. Una scuola che istruisce. Con una formula sintetica si può forse dire che in questo momento si contendono il campo quattro visioni diverse delle p.f. Una prima ipotesi è costituita da un modello di scuola/CFP finalizzata esclusivamente o quasi al perseguimento di obiettivi cognitivi, all’ – istruz. cioè. In tale ipotesi la formaz. intellettuale occupa il centro della scena e l’intelligenza viene immaginata a guisa di un calcolatore naturale che bisogna far funzionare nel modo più efficace in risposta alle sollecitazioni dell’ – ambiente. Inoltre, riprende credito la tesi tra- dizionale della separazione della scuola dalla vita, interpretata tuttavia in una ma- niera nuova, come strategia per consentire la simulazione scientifica delle opera- zioni da ripetere nel concreto. Le finalità della – formaz. non vengono identificate in una formaz. globale centrata sulla cultura generale, ma nella preparazione pro- fessionale focalizzata su contenuti di natura scientifico-tecnologica. L’ipotesi può comportare degli effetti negativi sulla dimensione formativa dei processi di – in- segnamento/ – apprendimento e, di conseguenza, sul contributo della scuola/CFP alla maturazione della persona. 2. Una scuola che seleziona. Un’altra formula è quella di un sistema formativo che seleziona, che è modellato sulla base di “politiche di eccellenza”. È uno scenario tutto dominato dalla centralità degli esami e delle votazioni e dal primato della qualità dell’insegnamento. L’analogia fondamentale è data dall’azienda: pertanto, la finalità prioritaria consiste nel produrre, mediante la combinazione ottimale dei vari fattori, un risultato che dovrà essere valutato sul piano quantitativo e qualita- tivo e di cui si dovrà rendere conto ai diversi utenti/pagatori; diviene essenziale il concetto di “performance”, cioè di acquisizioni formative misurabili e obiettiva- mente registrate; la gestione delle strutture formative, del personale e delle risorse, assume un carattere autonomo e flessibile. In sostanza, la scuola/FP verrebbe ad essere pervasa dalla logica del merito e della concorrenza, il libero mercato entre- rebbe nel mondo della formaz. e il – sistema formativo si muoverebbe a due velo- cità, una per la massa e l’altra per un’élite intellettuale. In altre parole, questa scuola significa il trionfo dei valori neo-borghesi e del loro individualismo che non vanno molto d’accordo con un’etica della – solidarietà sociale. 3. Il modello tecnocratico. La terza ipotesi è costituita dal modello tecnocratico: si tratta di una formaz. che si basa tutta sulla telematica, sulle banche dati, sui computer. Si caratterizza per l’esplosione dei luoghi di formaz. attraverso il decen- tramento dei processi di insegnamento/apprendimento nel proprio domicilio sulla parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 141 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 142 base di reti telematiche e dell’interdipendenza di strutture diverse, collegate con una sede centrale di consulenza, di risorse e di – valutazione. Esso comporta una modificazione profonda delle condizioni di organizzazione interna del sistema for- mativo, compresa la gestione del personale, implica uno sviluppo adeguato del software didattico e soprattutto presuppone investimenti consistenti in attrezzature e nella preparazione dei formatori (– operatori della FP). In questo caso, l’effi- cientismo e il tecnicismo potrebbero mortificare i valori etici e spirituali che rispondono a una logica sostanziale e non strumentale. 4. L’impostazione neo-umanistica e solidaristica. Anzitutto questa mantiene la priorità della funzione formativa sull’istruttiva: in altre parole, la formaz. viene intesa come sviluppo globale della personalità, tanto sul piano cognitivo, che su quello emotivo e valoriale, tanto degli aspetti individuali che della dimensione sociale. Sul piano strutturale i punti di riferimento sono la politica dell’alternanza e il sistema integrato. Le finalità vengono individuate nei valori emergenti della soli- darietà, dello sviluppo, della protezione dell’ambiente, della tutela dei diritti umani, della mondialità. L’innovazione viene perseguita mediante procedure de- mocratiche e partecipative: in particolare, la singola comunità educativa (– comu- nità educativo formativa) diviene lo strumento per eccellenza di gestione del sistema formativo e di costruzione del tessuto educativo locale. Essa implica la scelta della progettualità, della flessibilità, della collaborazione, della promozione del privato sociale, per ovviare alle inadeguatezze del gigantismo degli apparati amministrativi della scuola. Indubbiamente, la scelta neo-umanistica e solidaristica è esposta al rischio della retorica delle proclamazioni inefficaci e del trionfalismo di un’utopia totalmente priva di agganci con la realtà concreta. Tuttavia, appare anche come l’unica strada che permette di affrontare in modo efficace le sfide edu- cative attuali. Questa sembra sostanzialmente l’impostazione anche del rapporto Delors che presenta le strategie dell’UNESCO per il XXI sec. (Delors et al., 1996). Bibl.: FAURE E. et al., Learning to Be, Paris/London, UNESCO/Harrap, 1972; CRESSON E. - P. PLYNN, Insegnare e apprendere. Verso la società conoscitiva, Bruxelles, Commissione Europea, 1996; DELORS J. et al., L’éducation. Un trésor est caché dedans, Paris, Editions UNESCO/Editions Odile Jacob, 1996; NANNI A., Quale educazione per il ventunesimo secolo, in “Proposta Educativa”, 3 (1998) 19-31; MA L I Z I A G. - C. NANNI, “Istruzione e formazione: gli scenari europei”, in CIOFS/FP - CNOS-FAP (Edd.), Dall’obbligo scolastico al diritto di tutti alla formazione: i nuovi traguardi della Formazione Professionale, Roma, Tipografia Pio XI, 2002, 15-42. G. Malizia PORTFOLIO – Valutazione; – Tutor; – Lingua straniera PREDIZIONE DELL’ESITO SCOLASTICO E PROFESSIONALE – Orientamento parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 142 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 143 PREVENZIONE La p. può essere definita come “l’insieme degli interventi sulle persone sane e sull’ambiente ed ha come fine l’anticipazione di un evento patogeno in modo da impedire che esso si manifesti” (Merenda, 1995, 16). 1. Il concetto di p. è intimamente connesso con quello di salute o benessere. Tale stato viene attualmente minacciato da alcuni comportamenti collettivi “a rischio”: abuso di sostanze stupefacenti e tossiche (dall’alcool al fumo), condotte perico- lose. Tali comportamenti, che nascono probabilmente da situazioni di – disagio, mettono a repentaglio sia la salute dell’individuo, sia la sicurezza degli altri. La p. allora può essere intesa come la difesa dei “buoni” contro il pericolo rappresentato dai “devianti”: è la classica p. “repressiva”. 2. Accanto a questa, si fa strada una concezione “promozionale” della p. che mira ad incidere sulle cause del disagio e dell’emarginazione, prevenendone lo stabiliz- zarsi: sia cause oggettive, strutturali, esterne al giovane, cui si fa fronte diretta- mente con interventi sociali e politici; sia cause soggettive, personali, interne al giovane, cui si fa fronte direttamente attraverso i processi educativi e formativi (– processo formativo), e indirettamente con interventi politici. Promuovere la p. in senso educativo significa non solo far evitare esperienze che possono avere con- seguenze negative sul processo di maturazione umana, ma anche anticipare ed ac- compagnare processi positivi di crescita, offrirne gli strumenti adeguati, con una appropriata relazione educativa. Significa potenziare nel giovane la capacità di de- cisione, di progettualità, di coerenza verso livelli sempre più alti di maturità. Signi- fica aiutarlo a sviluppare la capacità di anticipare lui stesso e risolvere corretta- mente i problemi, di prevenire gli esiti negativi del disagio, della marginalità, della problematicità, che sono diventate dimensioni ormai generali e normali della vita di oggi. Ciò permette di introdurre concetti recenti come quelli di empowerment, – coping e resilienza. Concetti tutti che tendono a promuovere nell’individuo la capacità di reagire, utilizzando le risorse interiori per emergere da situazioni svan- taggiose o stressanti, conseguendo una propria maturità e realizzazione, senza ricorrere a strumenti illegali o nocivi. Bibl.: BUSCEMA M., Prevenzione e dissuasione. Saggi teorico-critici, Torino, EGA, 1986; MION R. (Ed.), Emarginazione e associazionismo giovanile. Emarginazione, disagio giovanile e prevenzione nella società italiana dal 1945 ad oggi, Roma, Ministero dell’Interno, 1990; REGOGLIOSI L., La prevenzione del disagio giovanile, Roma, NIS, 1994; MERENDA P., Educazione alla salute e scuola, Torino, SEI, 1995. G. Vettorato PROBLEM SOLVING Il p.s. (soluzione di problemi) consiste in una strategia cognitiva attraverso la quale la persona, posta di fronte ad una situazione problematica, ovvero non risolvibile parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 143 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 144 facendo appello alle conoscenze e alle strategie in quel momento disponibili, è portata a generare nuove alternative di soluzione per poi selezionare, tra queste, quelle ritenute più efficaci. La strategia consta di alcune fasi ben codificate e con carattere di propedeuticità: 1) Orientamento generale. È la fase nella quale la persona dopo aver percepito il problema decide di assumere una posizione attiva nei confronti dello stesso; 2) Definizione del problema. È la fase nella quale la persona raccoglie tutte le in- formazioni utili a definire la situazione problematica in termini concreti e specifici, in modo tale da identificare gli obiettivi da raggiungere; 3) Produzione di alterna- tive. È la fase nella quale la persona, facendo ricorso alla propria creatività e supe- rando l’inibizione connessa alle proprie funzioni critiche e ai propri condiziona- menti, cerca di produrre il maggior numero di idee senza preoccuparsi della loro fattibilità. Tale fase si attua applicando le regole del differimento del giudizio (la valutazione è posposta al termine dell’elencazione delle alternative) e della quan- tità che genera la qualità (maggiore è il numero delle alternative prodotte, mag- giore è la possibilità di trovare soluzioni efficaci); 4) Assunzione di decisioni. È la fase nella quale la persona, dopo aver previsto per ciascuna alternativa le possibili conseguenze (a breve e a lungo termine, personali e sociali), formula la scelta su come operare; 5) Verifica dell’efficacia dell’alternativa prescelta. È la fase in cui la persona valuta l’utilità delle strategie e delle tattiche elaborate rispetto agli obiettivi formulati nella definizione del problema. La strategia del p.s. ha una gamma di applicazione molto ampia e può essere adot- tata per problemi di natura personale, interpersonale, scolastica e professionale. Bibl.: HOLYOAK K.J., “Problem solving”, in D.N. OSHERSON - E.E. SMITH (Edd.), Thinking: An Invi- tation to cognitive science, Cambridge, MA, The MIT Press, 1990, 117-146; MAYER R.E., Thinking, problem solving, cognition, New York, Freeman, 1992; MEAZZINI P., “Usare le risorse delle mente”, in P. MEAZZINI, L’insegnante di qualità, Firenze, Giunti, 2000, 137-194. A. R. Colasanti PROCESSO FORMATIVO L’espressione p.f. non è di facile definizione. Di fatto viene usata sia come sino- nimo, o anche inclusivo, di “p. educativo e/o didattico”, come anche con un signi- ficato specifico in qualche modo distinto, cioè riferito alla preparazione profes- sionale. Ciò dipende dall’uso variegato del termine – formaz., del quale conviene rilevare in particolare due accezioni: una ampia, ossia come sinonimo, o meglio inclusivo, di – educ., – istruz., – apprendimento, addestramento, aggiornamento (– FP continua), come indicativo del processo di integrale sviluppo personale e come azione umanizzatrice attraverso la cultura; una ristretta, come azione forma- tiva inerente all’acquisizione di – competenze riferite a dimensioni particolari della personalità (formaz. intellettuale, sociale, religiosa, ecc.) o alla preparazione profes- sionale secondo ruoli e categorie di – lavoro (formaz. iniziale-continua/permanente parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 144 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 145 dei genitori, degli insegnanti, dei formatori, dei lavoratori, degli specialisti, dei manager, ecc.). 1. P.f. come azione organizzata, permanente. Sia nell’uno che nell’altro significato, per p.f. si può intendere l’insieme delle interazioni educativo-didattiche miranti ad un armonico, graduale e costante sviluppo, che si instaura nei e per i soggetti in di- rezione dei fini formativi. Ogni p.f., pertanto, comporta una finalizzazione orga- nica dei suoi vari momenti, in termini di continuità (verticale e orizzontale), di di- namicità e integralità, così pure un’attenta analisi dei – bisogni di formaz. (degli individui e dell’organizzazione) e una coerente progettazione / realizzazione / – valutazione delle attività/interventi e dei risultati che si ottengono durante e alla fine del percorso. Senza un chiaro progetto educativo/formativo (– progettazione formativa), il p.f. rischia frammentarismo, disorganicità, nonché spreco di – ri- sorse umane ed economiche degli individui e delle istituzioni. Ogni p.f., anche quando avviene “a distanza” (– formaz. a distanza), suppone delle mediazioni (in- terpersonali, istituzionali e non) di vario tipo, in attenzione alla dignità della per- sona umana e ai suoi bisogni formativi (sapere, saper fare, saper essere), lungo la vita, nel contesto socio-culturale odierno, sempre più caratterizzato da rapido cam- biamento e interdipendenza. Il p.f., dunque, ha bisogno di essere considerato nella sua globalità, nella prospettiva della formaz. dell’uomo e del cittadino consapevole della propria collocazione nel mondo e capace di collaborare, in modo responsa- bile, costruttivo e creativo, alla realizzazione del bene comune. 2. P.f. e sua promozione. Nel p.f intervengono molti fattori (umani, culturali, istitu- zionali, materiali e ambientali) la cui conoscenza è indispensabile per un’adeguata conduzione del p.f. il quale sta divenendo sempre più complesso non solo per un’e- sigenza di – personalizzazione pedagogico-didattica, orientatrice, promotrice del- l’autoformazione dei soggetti formandi, ma anche a motivo della complessità della – società in generale e del mondo del lavoro in particolare, che pongono nuove questioni alla stessa formaz. ed esigono una costante ottimizzazione, in termini di qualità, tanto dei processi quanto dei “prodotti”/esiti della formaz. sia scolastica che professionale propriamente detta, una capacità di ricerca-azione, un operare si- nergico nel quadro di un – sistema formativo integrato e in rete. Una sensata orga- nizzazione e conduzione del p.f. all’altezza dei tempi richiede non solo la prepara- zione iniziale, ma anche quella permanente dei formatori, alla luce sia delle scienze dell’educ. e della formaz., sia anche di quelle dell’organizzazione e della comunicazione. Bibl.: DOMINICÉ P., L’histoire de vie comme processus de formation, Paris, L’Harmattan, 1990; ALÌ G., “Proceso educativo”, in G. FLORES D’ARCAIS - I. GUTIÉRREZ ZULOAGA (Edd.), Diccionario de ciencias de la educación, Madrid, Ediciónes Paulinas, 1990, 1525-1528; QUAGLINO G.P. - G.P. CAR- ROZZI, Il processo di formazione. Dall’analisi dei bisogni alla valutazione dei risultati, Milano, Franco Angeli, 1990; FABRE M., Penser la formation, Paris, PUF, 1994; GIANOLA P., “Processo edu- cativo”, in J.M. PRELLEZO - C. NANNI - G. MALIZIA (Edd.), Dizionario di scienze dell’educazione, Leumann (TO)/Roma/Torino, ElleDiCi/LAS/SEI, 1997, 858-859; NANNI C., “Formazione”, in J.M. PRELLEZO - C. NANNI - G. MALIZIA (Edd.), Dizionario di scienze dell’educazione, Leumann parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 145 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 146 (TO)/Roma/Torino, ElleDiCi/LAS/SEI, 1997, 432-435; PINEAU G., “Formation”, in P. CHAMPY - C. ETÉVÉ (Edd.), Dictionnaire encyclopédique de l’éducation et de la formation, Paris, Nathan, 1998, 459-462. H.-C.A. Chang PROFESSIONALITÀ P. è tradizionalmente il carattere di una attività lavorativa che si segnala per essere specializzata, altamente qualificata, di riconosciuta utilità sociale, svolta da indi- vidui che hanno acquisito una – competenza specialistica attraverso un preciso percorso di studio orientato a tale obiettivo (Gallino, 1993, 516). In tale prospettiva, chi possiede una determinata p., ovvero esercita una determi- nata professione, è tradizionalmente associato all’idea di appartenenza ad una posi- zione medio-alta, di prestigio, all’interno del sistema della stratificazione sociale. In particolare, ciò che avviene è l’identificazione tra il concetto di p. e l’idea che la lega strettamente all’esercizio delle cosiddette “professioni libere”: quelle di avvo- cato, notaio, medico, ingegnere. 1. In senso lato, tuttavia, è andata sempre più diffondendosi una seconda accezione di p., ovvero quella riferibile ai connotati di una qualsiasi attività lavorativa svolta con continuità, tanto in forma subordinata, quanto in forma autonoma. Ovvero, il cosiddetto “professionismo” è andato diffondendosi in ambiti del – mercato del lavoro sino a poco tempo fa non definiti in tal senso, toccando una larga varietà di posizioni lavorative. Per l’una e per l’altra accezione di p., una prima questione di cruciale interesse riguarda la grande rilevanza che assume, in rapporto ad essa, il tema della – formaz. Nel primo caso, l’idea di p. come attività lavorativa alta- mente qualificata, poiché essa passa necessariamente attraverso il conseguimento di un titolo di studio e di una abilitazione. Nel secondo caso, l’idea di p. come esercizio di una qualsiasi attività lavorativa, poiché essa include comunque impie- gati di medio-alto livello, tecnici, operai specializzati (in fr., professionnels), ovvero individui per i quali è riconoscibile il fatto che si siano qualificati al fine di svolgere una determinata attività lavorativa. 2. Una seconda questione riguarda il rapporto tra professione, etica e coesione sociale, problema che ha interessato la sociologia sin dal suo sorgere come disci- plina. La società capitalistica moderna, infatti, avrebbe legittimato il mantenimento di posizioni privilegiate nel mercato e nella stratificazione della – società da parte delle professioni in quanto esse, attraverso un lavoro organizzato, di utilità sociale, eticamente fondato e tecnicamente specializzato, avrebbero svolto una funzione nomica (Sarfatti Larson, 1998, 85), e dunque creatrice di ordine, fonte di norme ra- zionali e specifiche, ovvero l’opposto del concetto di anomia proprio di Durkheim, che d’altra parte definisce gli ordini professionali come focolai di moralità. Ora, questo modo di intendere la funzione svolta dalle professioni – e la legittimità del parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 146 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 147 ruolo che esse ancora giocano e a cui aspirano – sembra essere messa fortemente in crisi dai nuovi processi di lifelong learning che scardinano i sistemi di creden- ziali definite rigidamente. E questo, peraltro, in coerenza con i mutamenti struttu- rali e culturali messi in luce dalle analisi più recenti in materia di – sistemi pro- duttivi. Mutamenti, dunque, che sfumano i confini tra le diverse professioni e ne ridefiniscono i contenuti in termini di nuove competenze, tenuto conto che una do- manda di prodotti e servizi sempre più personalizzati sta determinando da un lato una diminuzione nella capacità di incidenza e legittimazione delle prestazioni, e dunque, dall’altro, una rivoluzione metodologica nel modo di intendere l’esercizio dei tradizionali – ruoli professionali. Bibl.: TOUSIJN W. (Ed.), Le libere professioni in Italia, Bologna, Il Mulino, 1987; ABBOTT A., The System of the Professions, London, University of Chicago Press, 1988; BUTERA F. - A. FAILLA, Professionisti in azienda, Milano, Etaslibri, 1992; GALLINO L., “Professioni, Sociologia delle”, in L. GALLINO, Dizionario di sociologia, Torino, UTET, 1993, 516-517; PRANDSTRALLER G.P., Guardare alle professioni, Milano, Franco Angeli, 1997; SARFATTI LARSON M., “Le funzioni ‘nomiche’ delle professioni e la fine della modernità”, in M. GIANNINI - E. MINARDI (Edd.), I gruppi professionali, Milano, Franco Angeli, 1998, 81-109. M. Colasanto PROFESSIONALIZZAZIONE – Comunità formativa / professionale; – Economia e formazione; – FPI PROFILO PROFESSIONALE Il p.p. rappresenta un documento che indica le caratteristiche fondamentali di una figura professionale e le – competenze necessarie all’esercizio delle funzioni pro- prie di tale figura. Se nel passato tale riferimento ha condotto ad una polverizza- zione delle rappresentazioni dei – ruoli e delle posizioni di lavoro, nell’attuale fase del dibattito si mira ad aggregare maggiormente tali figure, per realizzare in- siemi più omogenei e olistici dai quali emerga una comunità di cultura, di pratiche e di competenze. 1. Il p.p. non si autosostiene; esso trova la sua collocazione privilegiata nell’ambito della – comunità professionale (o – aree professionali), ovvero un aggregato di figure che prevedono riferimenti condivisi. Ciò ha valore sia nel contesto di – lavoro sia nelle prassi formative. Nel contesto di lavoro si tende ad arricchire la tradizionale descrizione delle posizioni attraverso l’individuazione di competenze chiave o strategiche che definiscano un gruppo professionale definito in rapporto al contributo che arreca agli scopi dell’organizzazione, aggregando al suo interno più figure. Nel contesto formativo, si mira a ridurre il numero di p.p. scegliendo denominazioni in grado di garantire le condizioni della comunità di pratiche; pertanto non si prevede necessariamente da parte dell’utente la scelta della figura parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 147 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 148 professionale (anche se può essere fatta un’opzione preferenziale sia da parte dell’allievo, sia da parte dell’organismo formativo), che si articolerà solo lungo il percorso in rapporto alle specifiche necessità del contesto ed alle caratteristiche del soggetto. È peraltro possibile – ad es. – che la – qualifica professionale abbia una denominazione polivalente, senza per questo specificarsi in una figura professio- nale mirata. 2. Il p.p. è caratterizzato dalle seguenti dimensioni: a) comunità professionale di appartenenza, dei suoi livelli di – formaz. in senso progressivo, dei compiti condi- visi entro le diverse figure professionali previste; b) denominazione della figura professionale, dei compiti specifici che vanno aggiunti ai compiti indicati in precedenza in tema di comunità professionale; c) collocazione organizzativa ovvero le differenti modalità in cui tale figura si riscontra nelle organizzazioni di lavoro. Bibl.: PONTECORVO C. - A.M. AJELLO - C. ZUCCHERMAGLIO, I contesti sociali dell’apprendimento. Acquisire conoscenze a scuola, nel lavoro, nella vita quotidiana, Milano, LED, 1995; PRAND- STRALLER G.P. (Ed.), Guardare alle professioni, Milano, Franco Angeli, 1997; BOLDIZZONI D. - L. MANZOLINI (Edd.), Creare valore con le risorse umane. La forma dei nuovi paradigmi nella direzione del personale, Milano, Guerini & Associati, 2000; NICOLI D., Famiglie professionali e competenze. Nuovi riferimenti per l’analisi delle professioni e la formazione, in “Rassegna CNOS”, 2 (2001), 29-46. D. Nicoli - C. Catania PROGETTAZIONE FORMATIVA Per p.f. si intende generalmente l’elaborazione del progetto educativo, culturale e professionale, che fa da guida ideale a tutta la pratica formativa promossa in un centro o istituto a ciò destinato. Il progetto così sviluppato fornisce a tutte le com- ponenti coinvolte un riferimento prospettico chiaro e condiviso di valori, mete educative culturali e professionali, principi d’azione, sistemi di relazioni inter- personali e istituzionali e modalità di – valutazione. 1. L’attività di p.f. porta a definire quello che nella normativa attuale viene chia- mato il “profilo educativo, culturale e professionale” dello studente. Per far questo occorre tener conto sia dei “livelli essenziali di prestazione” indicati a livello nazionale, sia delle disposizioni che le Regioni e Province Autonome hanno l’autorità di emanare, sia della cultura educativa e formativa delle singole istituzioni. Tradizionalmente si parlava di p.f. in relazione alla predisposizione del curricolo formativo che il centro o l’istituto intendeva seguire e che comuni- cava pubblicamente agli allievi, alle famiglie e alle autorità competenti. Il nuovo lessico istituzionale tende a evitare il termine “curricolo” per parlare di percorso o di offerta educativa. Comunque, si tratta sempre di impostare l’azione educa- tiva, culturale e professionale nei suoi obiettivi, contenuti, metodi e modalità di valutazione. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 148 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 149 2. La p.f. può essere svolta a vari livelli: nazionale, regionale, locale, di singola classe o di particolare disciplina. Essa può riguardare un intervento formativo, un’unità di apprendimento, un sussidio didattico, un programma audiovisivo, un software multimediale, l’impianto stesso educativo, culturale e professionale dei piani di studio personalizzati. In senso più personale e soggettivo, la p.f. riguarda il significato, i valori, lo stile e le scelte di vita che ciascuno si propone di far proprie come prospettiva o orientamento esistenziale. In questo senso si parla di “progetto di vita civile e professionale” (– progetto personale e professionale), che fa da riferimento alla propria auto-formaz. 3. In una p.f. le articolazioni portanti sono costituite in primo luogo dai fini, o valori di riferimento, che sono chiamati a formare l’orizzonte educativo entro cui acquista senso e validità l’azione formativa. Questo orizzonte deve appoggiarsi sulla visione antropologica assunta dagli operatori, o dalla – comunità formativa, cioè su una concezione dell’uomo, del lavoratore, della – società e del loro bene, non astratta, bensì connessa strettamente con il contesto culturale e sociale di rife- rimento. Il secondo elemento costitutivo di ogni progetto formativo riguarda i destinatari dell’azione formativa e la loro condizione umana, culturale, sociale ed economica. La lettura attenta e l’interpretazione di tali condizioni alla luce dei valori o ideali educativi di riferimento permette di individuare da un lato la domanda educativa presente, cioè – bisogni di formaz. emergenti, e dall’altra di procedere alla scelta e alla definizione degli obiettivi da assumere come intenti operativi per l’azione formativa. 4. Il terzo passaggio riguarda la prefigurazione dell’azione formativa, la scelta e organizzazione delle risorse formative, cioè delle pratiche (attività ed esperienze, loro contenuti, metodi e strumenti) disponibili e che appaiono valide ed efficaci: valide nei riguardi degli obiettivi e dei valori di riferimento, efficaci nei confronti dei risultati che si intendono conseguire. Si tratta della componente strategica della p.f., cioè della prefigurazione di un’offerta o percorso formativo che può essere realizzata solo in riferimento a un concreto e specifico contesto educativo, orche- strando in maniera conveniente le differenti risorse formative disponibili in vista di mete educative determinate. Il quarto e ultimo passaggio è costituito dall’impo- stazione di un sistema di regolazione dell’azione formativa, cioè di valutazione continua e finale. L’istanza valutativa ha un ruolo e un significato permanente e puntuale nel guidare l’azione. In effetti, sia nel momento di analisi della situazione iniziale, sia in quello di conduzione dell’azione progettata, sia in quello di verifica dei suoi risultati è presente sempre l’esigenza di interpretare e valutare quanto si riscontra nella realtà educativa. Di qui la necessità di prefigurare i dispositivi da mettere in atto per rendere presente e operante tale istanza. Bibl.: VECCHI J. - J.M. PRELLEZO (Edd.), Progetto educativo pastorale: Elementi modulari, Roma, LAS, 1984; MERRILL M.D., Instructional design theory, Englewood Cliffs, Educational Technology Publications, 1994; PELLEREY M., Progettazione didattica, Torino, SEI, 1994; BRAMANTI D. (Ed.), Progettazione educativa e valutazione, Roma, Carocci, 1998; PELLEREY M., Educare, manuale di parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 149 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 150 pedagogia come scienza pratico-progettuale, Roma, LAS, 1999; SEMERARO R., La progettazione didattica, Firenze, Giunti, 1999. M. Pellerey PROGETTO PERSONALE E PROFESSIONALE La parola “progetto” (dal latino pro-iectus, che indica l’essere lanciati innanzi) richiama la tensione dinamica verso qualcosa che sta avanti, l’idea che l’uomo è divenire, possibilità di sviluppo, identità che si configura nel tempo mediante le esperienze e le scelte quotidiane. In tal senso si parla di “p. esistenziale” o “p. di vita” come l’insieme di scelte organizzate in un piano di azione che l’uomo mette in atto nella sua vita e che costruisce mediante una corretta valutazione sia del futuro che del passato e del presente. 1. L’idea di p. dunque richiama la guida della propria esistenza e la possibilità di conferirle un significato complessivo perché non si riduca a un cumulo disorganico e desemantizzato di eventi occasionali e giustapposti. Esso rimanda a motivazioni e traguardi, a consapevolezze e a razionalità, a scelte consapevolmente e coeren- temente compiute (Rossi, 1994, 56). Dal punto di vista psicopedagogico, il p. è de- finito come “un piano d’azione (un’intenzione) che richiede da chi lo predispone (o da chi lo vive) una capacità di valutare il futuro (anticiparlo nella coscienza) anche in base ad una valutazione del passato e del presente, ed una conseguente capacità metodologica volta alla scelta e alla predisposizione dei mezzi necessari per una concreta realizzazione del piano medesimo” (Bertolini, 1980, 162-163). Il ter- mine può essere considerato nella duplice accezione di dinamismo e di contenuto. In quanto dinamismo psicologico si colloca nel percorso di maturazione della prospet- tiva temporale che a partire dall’adolescenza assume la caratteristica di prospettiva futura. La progettualità, infatti, costituisce “uno dei modi fondamentali degli indi- vidui di porsi di fronte al tempo” (Cavalli, 1985, 36) e si esprime nella capacità di orientarsi verso il futuro e di anticiparlo mediante l’elaborazione di progetti. La capacità progettuale è in stretta interdipendenza con il processo decisionale. Difatti elemento decisivo della progettazione è la scelta, o meglio il sistema di scelte se- condo cui esso si articola. Saper progettare bene è condizione indispensabile per una buona scelta. Un buon p. nella pratica diventa un indice della consistenza della scelta, le dà cioè realismo e dimostra competenza nella persona che sceglie. 2. Lo studio del “p. di vita” è presente in quegli approcci teorici che si ispirano al- l’antropologia umanistico-esistenziale. Il carattere di ‘intenzionalità’ della condotta umana, spesso misconosciuta dalla psicologia, è stato recuperato da alcuni autori come Allport, Maslow, Rogers, Nuttin, Frankl e da molti altri che hanno studiato il rapporto tra tempo e identità o lo sviluppo della prospettiva temporale futura. Sono pochi gli studi sul “p. professionale”, molti di più invece quelli sul “p. di vita”. Una definizione completa di progettualità professionale che tenga conto delle implicanze parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 150 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 151 psico-pedagogiche e sociali forse non è stata ancora elaborata. La costruzione e la realizzazione di un p.p. e p. rappresentano il punto di arrivo di ogni processo orien- tativo e formativo. Si tratta di un processo che si colloca all’interno di un percorso di maturazione della persona. Va ricollegato all’ – identità di cui è dimensione essenziale la progettualità, sia come dinamismo che come processo. 3. Nell’ambito dell’orientamento educativo il p.p. e p. si ritrova, come categoria esplicativa del processo orientativo più che come costrutto fondamentale dell’ – orientamento. È presente nelle teorie evolutive sulla scelta professionale che fanno capo a Super e Ginzberg. L’idea centrale di tali autori è che l’identità personale e professionale si costruisce secondo un ciclo di tappe ben definite, e che occorre essere aiutati a maturare per affrontare scelte sempre più complesse. Ciò si fonda sul riconoscimento del ruolo centrale dell’immagine di sé nella formaz. delle pre- ferenze professionali e nel processo di elaborazione e realizzazione delle intenzioni future. A livello metodologico il p.p. e p. è preso in considerazione dal bilancio delle competenze, un processo metodologico di orientamento articolato in tre fasi (accoglienza, analisi del potenziale ed elaborazione del p. finale) in cui l’auto- progettazione professionale e/o formativa fa parte degli obiettivi prioritari del bilancio. Definire il proprio p. professionale è il punto di arrivo di un percorso che, partendo dall’individuazione di – competenze e – capacità, interessi e valori, preferenze e scelte, conduce il soggetto a identificare un progetto di sviluppo nel- l’impiego attuale o in altro impiego. Non è facile focalizzare con chiarezza il p. professionale, perché occorre verificare il grado di autenticità di tale p., se si tratta cioè di intenzioni velleitarie ed utopistiche senza fondamento nella realtà e nelle competenze che la persona possiede. Si tratta di vedere se si colloca in un p. glo- bale più ampio, un progetto di sé o un p. di vita su cui s’innestano altri progetti, alcuni prioritari altri secondari o molto lontani connotati di “sogno” e fantasia. Inoltre, occorre verificare se i passi e le tappe per realizzarlo sono possibili, reali- sticamente individuate e perseguite. La capacità di elaborare un p.p. e p. affonda le radici nel complesso sistema motiva- zionale del soggetto, ma entrano in gioco anche altri fattori (dinamici, intrapsichici, socioculturali e soprattutto gli orientamenti di valore che danno senso all’esistenza) che concorrono alla sua realizzazione. Occorre coniugare il piano del desiderio e della realtà con quello della volontà. Il p. presuppone la visione del rapporto fina- lità-obiettivo-scopo, fondato sul rapporto desiderio-bisogno-valore, mediato dal rapporto risorse-vincoli-gestione (Yatchinovsky - Michard 1991). Bibl.: BERTOLINI P., “Progetto”, in P. BERTOLINI, Dizionario di psico-pedagogia, Milano, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori, 1980, 162-163; CAVALLI A., Il tempo dei giovani, Bologna, Il Mulino, 1985; LIVOLSI M., Identità e progetto, Firenze, La Nuova Italia, 1987; YATCHINOVSKY A. - P. MICHARD, Le bilan personnel et professionnel. Instrument de management, Paris, ESF Editeur, 1991; ROSSI B., Identità e differenza. I compiti dell’educazione, Brescia, La Scuola 1994; DEL CORE P., “Prospettiva futura e progettualità”, in COSPES (Ed.), L’età incompiuta. Ricerca sulla formazione dell’identità negli adolescenti italiani, Torino-Leumann, ElleDiCi, 1995, 315-332; LEGRÈS J. - D. PÈMARTIN, Abilità progettuale e maturità professionale, in “Orientamento Scolastico e Professio- nale”, 1 (1998), 4-6; DEL CORE P., La paura di scegliere: dinamica della decisione e scelte di vita, in parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 151 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 152 “Rivista di Scienze dell’Educazione”, 40 (2002) 3, 442-455; DI FABIO A., Bilancio di competenze e orientamento formativo, Firenze, OS - Giunti, 2002. G. Del Core PROPOSTA FORMATIVA La dizione p.f. ha trovato la sua più compiuta collocazione nella L. 845/78, “Legge- quadro in materia di formazione professionale”, la quale ha avuto il merito di dare vita ad un sistema professionale italiano “pluralistico”. L’espressione p.f. viene in- dicata in alcuni passaggi del testo della L. citata: a) le Regioni organizzano il si- stema di FP sviluppando “le iniziative pubbliche e rispettando la molteplicità delle proposte formative” (art. 3, lettera c); b) la formazione e l’aggiornamento del perso- nale devono essere attuati “rispettando la presenza delle diverse proposte formative” (art. 4, lettera h); c) i programmi dei corsi devono “assicurare il pieno ri- spetto della molteplicità degli indirizzi educativi” (art. 7, comma 4); d) l’organizza- zione del servizio può avvenire sia direttamente nelle strutture pubbliche sia “me- diante convenzione, nelle strutture di enti che siano emanazione o delle organizza- zioni democratiche e nazionali dei lavoratori dipendenti, dei lavoratori autonomi, degli imprenditori o di loro associazioni con finalità formative e sociali, o di im- prese e loro consorzi, o del movimento cooperativo” (art. 5, commi 1 e 2). 1. La p.f. nella FP. L’ – ente pubblico, dunque, riconosce, secondo questa L., “l’apporto, non solo sussidiario, che possono dare le libere associazioni di forma- zione professionale le quali, a parità di strumentazione e capacità didattica, si ispi- rano a concezioni ideali di diversa natura o hanno matrici sociali diverse” (Hazon, 1986, 47). Gli enti, come indicati all’art. 5, lettera b), si sono dotati di specifiche p.f., riflettendone l’ispirazione e i valori. In alcuni testi, la p.f. non era esplicita ma era desumibile dalle finalità del movimento o dell’ – associazione di cui le strut- ture formative erano emanazione; in altri, ed è stato il caso degli enti di ispirazione religiosa, la p.f. era dichiarata e articolata. In questo secondo caso, la p.f., general- mente, conteneva l’identità valoriale dell’ente: erano indicati, in altre parole, i va- lori ispiratori dell’azione formativa, che potevano essere desunti dal Vangelo, dalla dottrina sociale della Chiesa o dal carisma del fondatore; la natura educativa del- l’azione formativa, centrata sulla comunità formativa; la natura culturale e profes- sionale di ogni percorso, esplicitato nell’identificazione di una particolare cultura generale, tecnica e professionale; la natura orientativa sottesa a tutta l’azione for- mativa, attraverso il servizio permanente dell’ – orientamento. In base alla p.f., gli enti di FP hanno invitato i vari – CFP a dotarsi di specifici “progetti formativi” e di “indirizzi educativi”. La L. ha ispirato la produzione di materiale documentale molto significativo “sul piano ideologico, per il suo valore di principio in ordine al rispetto delle diverse concezioni dell’uomo che si traducono in fatti culturali ed educativi; sul piano tecnico-didattico, per la sua capacità di creare l’offerta di parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 152 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 153 risposte contenutistiche e tecnico-didattiche liberamente ricercate e convalidate dall’esperienza; sul piano promozionale, per lo spazio che offre all’iniziativa, all’inventiva, alla capacità di soddisfare le esigenze, e anzi di anticiparle, con emu- lazione che nasce dalle cose stesse (Hazon, 1986, 50-51). 2. Dalla p.f. alla mission. Nell’attuale scenario, molto diverso per il profondo pro- cesso riformatore in atto (– riforma educativa), non compare la dizione p.f. Si può, tuttavia, fare riferimento ad un concetto equivalente, quello della mission perché è ricavabile dalla normativa e dalle prassi in atto. I vari enti, infatti, hanno proceduto nel cammino dell’ – accreditamento e della – qualità. In sintesi, si può affermare che nella materia dell’ – istruz. e della – formaz. oggi in Italia si intersecano la potestà legislativa esclusiva dello Stato in tema di norme generali, la potestà legis- lativa concorrente delle Regioni, la potestà legislativa esclusiva delle Regioni in materia di istruz. e di – FP e l’ – autonomia normativa delle istituzioni scola- stiche. L’autonomia delle istituzioni scolastiche, inoltre, è inserita nella Costitu- zione riformata (art. 117, comma 3); per analogia si ritiene che anche gli organismi di formaz., denominati enti nella L. a. 845/78, art. 5, comma b, che oggi sono an- cora disciplinati dalle norme dell’accreditamento (D.M. 166 del 25 maggio 2001) e aperti alla certificazione di qualità e che, secondo la L. 53/03 saranno chiamati a dare vita al sottosistema dell’Istruz. e della FP (– sistema formativo), entrino a far parte dell’autonomia sancita costituzionalmente. Tutto il processo riformatore, in conclusione, sembra riaffermare ed ampliare la visione pluralistica, riconoscendo ad ogni organismo la possibilità di sviluppare una vera e propria strategia forma- tiva, coerente con i propri valori e con la visione del contesto di riferimento, per metter in atto i percorsi formativi ispirati al principio della – personalizzazione. 3. Mission e offerta formativa. Si propone una prima esemplificazione della docu- mentazione desumibile dalle – sperimentazioni in atto nelle Regioni e rispondente sia alle indicazioni della normativa che alle indicazioni della qualità. La documenta- zione del CFP descrive la missione (mission) dell’organismo, centrata sulla crescita e sulla valorizzazione della persona umana come elemento centrale del processo educativo, nel contesto territoriale di riferimento, perseguendo l’elevazione del li- vello culturale di ciascun cittadino ed il potenziamento delle – capacità di ciascuno e di tutti di partecipare ai valori – ivi compresi quelli spirituali – della cultura, del lavoro, della civiltà e della convivenza sociale e di contribuire al loro sviluppo; in- dica la strategia formativa (vision) dell’ente, quando questo si propone di perseguire l’eccellenza metodologica in ogni settore previsto ed in ogni livello di intervento, anche mediante la promozione di forme di – partnership; analizza il territorio di ri- ferimento ed elabora specifiche proposte per i rispettivi target (adolescenti, giovani, adulti, soggetti svantaggiati); elabora un piano di servizi e di offerte formative in risposta ai bisogni del territorio attraverso la proposta di un servizio stabile di orien- tamento (informazione, formaz. e consulenza) per tutti gli utenti potenziali, anche in forma di attività integrata; la proposta di percorsi formativi specifici per durata e tipologia; definisce le scelte metodologiche più idonee ispirate alla personaliz- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 153 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 154 zazione, al – successo formativo, alla – didattica attiva e all’ – apprendimento dall’esperienza, alla – valutazione autentica, alla partnership formativa; anima lo stile professionale della comunità formativa (– comunità educativo formativa) attraverso la – motivazione, la preparazione, l’esperienza e la maestria coerenti con le necessità del contesto, il lavoro in team; si ispira ai criteri della qualità, perse- guendo la soddisfazione degli utenti in termini di successo formativo, in coerenza con la visione della formaz. prevista dai riferimento valoriali dell’ente; migliorando continuamente il servizio attraverso il coinvolgimento del personale; adottando un modello unitario che sintetizzi l’accreditamento interno, l’accreditamento esterno e la certificazione di qualità (Nicoli, 2004, 26). Bibl.: HAZON F., Introduzione alla formazione professionale. Manuale per docenti e operatori, Brescia, La Scuola, 1986; AMBROSINI M. et al., Un futuro da formare. Verso un nuovo sistema di formazione professionale: tendenze, valutazioni e proposte, Brescia, La Scuola, 2000; PUGLIESE S., L’accreditamento interno come approccio per l’eccellenza qualitativa nella formazione CNOS-FAP, in “Rassegna CNOS”, 17 (2001)3, 11-31; BRAMANTI A. - D. DIFREDDI (a cura di), Istruzione Forma- zione Lavoro: una filiera da (ri)costruire. L’esperienza lombarda e la sfida della riforma, Milano, Franco Angeli 2003; NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, Roma, Tipografia Pio XI, 2004. M. Tonini PSICOLOGIA DEL LAVORO Branca della p. che si occupa dello studio del comportamento, delle emozioni e delle cognizioni delle persone in contesti lavorativi. 1. Sviluppo storico. La p.d.l. nasce, all’inizio del ‘900, come “psicotecnica”, cioè come applicazione delle conoscenze sulle attitudini e capacità della persona ai contesti della vita pratica. Il termine si diffuse negli Stati Uniti al principio del ‘900 con i primi interventi di “selezione del personale” e in Italia verrà utilizzato fino agli anni ‘50. Un movimento internazionale di studio attorno al quadro di ri- ferimento teorico, ai risultati conseguiti sperimentalmente, alla definizione di me- todologie specifiche, ecc. arrivò a delimitare la psicotecnica come le applicazioni della p. alla vita lavorativa delle persone per migliorare il reciproco adattamento (le persone all’ambiente di – lavoro e l’ – ambiente di lavoro alle persone). Con il taylorismo e lo sviluppo della tecnologia, la psicotecnica si trova a fare i conti con l’organizzazione scientifica del lavoro: alla radicale lettura del lavoro come realizzazione di specifici e singoli compiti, imposta dal taylorismo, la psicotec- nica si adatta identificando il proprio oggetto di studio nel concetto di “attitudine” (– orientamento), arrivando a spiegare il successo o meno in un dato compito la- vorativo in termini di presenza/assenza dell’attitudine necessaria per quel compito (Avallone, 1997, 35-39; Lessico Universale Italiano, 1977, 75-76; Novara - Sar- chielli, 1996, 114). Tale prospettiva ha originato i processi di selezione del perso- nale basati sull’analisi del lavoro, sui – profili professionali e sui reattivi per mi- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 154 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 155 surare le attitudini. Dagli anni ‘20-‘30, l’ottica disposizionale è stata messa in crisi dagli studi sull’analisi fattoriale (Cattel), dallo sviluppo delle teorie sull’ – apprendimento (Pavlov, Skinner, Bandura), dalla psicoanalisi (Freud), dal “movi- mento delle relazioni umane” (Hawthorne e Mayo) e dalle teorie sui bisogni (Maslow) che hanno messo in luce la complessità della personalità, non ricondu- cibile a semplici “condotte”. Così, da una visione secondo la quale è il lavoratore la variabile che deve adattarsi alla costante lavoro, si è passati a una prospettiva secondo la quale è l’ambiente la variabile da modificare per facilitare l’adatta- mento della persona: nascono la “biomeccanica”, la “psicologia sperimentale ap- plicata”, la “psicologia industriale”, l’“ergonomia”, ecc., una serie di filoni di studio che hanno l’obiettivo di ottimizzare il rapporto tra uomo e ambiente di la- voro (Lessico Universale Italiano, 1977, 76). 2. Contesto attuale. Oggi l’espressione p.d.l. resta il nome usato in Italia per defi- nire la disciplina; l’espressione più comune, sia da noi che nel resto d’Europa, è “p.d.l. e delle organizzazioni”. Vengono utilizzate anche altre espressioni, spesso come sinonimi, che hanno accentuazioni, ambiti e campi di studio affini, ma speci- fici per ciascuna. In genere, si è concordi nel sostenere che la “p.d.l. e delle orga- nizzazioni” abbraccia tre ambiti (Sarchielli, 2003, 39; ENOP, 2004): 1) la stessa p.d.l., che riguarda l’attività lavorativa delle persone, cioè, il modo in cui affron- tano i loro impegni lavorativi (in particolare, si occupa di compiti, ambiente di lavoro, ergonomia, prestazioni, – ruoli, ecc.); 2) la p. delle risorse umane, che riguarda le relazioni tra le persone e l’organizzazione cui appartengono (in partico- lare, si occupa della gestione delle persone in ambiente lavorativo: selezione, svi- luppo di carriera, potenziamento di – abilità e – capacità, – formaz., ecc.); 3) la p. delle organizzazioni, che riguarda il comportamento delle persone in quanto membri di un gruppo di lavoro (in particolare, studia i modelli comunicativi, i con- flitti interpersonali, i processi decisionali, le condotte cooperative, la struttura organizzativa, le tecnologie utilizzate, i cambiamenti organizzativi, la leadership, la cultura organizzativa, ecc.). Bibl.: LESSICO UNIVERSALE ITALIANO. DI LINGUA LETTERE ARTI SCIENZE E TECNOLOGIA, Psicologia, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, 1977, vol. XVIII, 67-79; NOVARA F. - G. SAR- CHIELLI, Fondamenti di psicologia del lavoro, Bologna, Il Mulino, 1996; AVALLONE F., Psicologia del lavoro. Storia, modelli, applicazioni, Roma, NIS, 1997; SARCHIELLI G., Psicologia del lavoro, Bologna, Il Mulino, 2003; ENOP, European Curriculum in W&O Psychology Reference Model and Minimal Standards, in http://www.ucm.es/info/Psyap/enop/rmodel.html, 23.06.2004. D. Antonietti QUALIFICA PROFESSIONALE Per q.p. si intende un riconoscimento formale che attesta nella persona il possesso di – capacità, – conoscenze, – abilità e – competenze acquisite da una persona in specifiche esperienze (a tempo pieno, in – alternanza, in modo non formale o parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 155 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 156 informale) utili e necessarie al fine dell’esercizio di un’attività lavorativa determi- nata. La q.p. rappresenta un’istituzione sociale riconosciuta da convenzioni collet- tive che classificano e gerarchizzano i posti di – lavoro (– contratti collettivi na- zionali); ad essa è pure orientata l’istruz. e – FP che realizza i percorsi di appren- dimento in riferimento al profilo educativo culturale e professionale, alle indicazioni, ai repertori delle comunità e dei profili professionali. 1. La q.p., dopo aver rappresentato per diversi decenni il punto di riferimento del- l’analisi come pure della contrattualistica del lavoro, pare oggi indebolita nella sua visione specialistica/mansionistica dalle trasformazioni in atto e dal mutamento delle questioni relative alla tutela dei lavoratori e del welfare. Essa richiama quindi tematiche molteplici quali la rappresentazione della – professionalità, la progettazione della formaz., la certificazione delle acquisizioni (– certificazione degli apprendimenti), la definizione dei sistemi di classificazione del personale, la gestione delle – risorse umane, la tutela dei lavoratori, la gestione delle relazioni industriali e sindacali, la contrattazione e così via. Ciò influisce in modo decisivo sulla rappresentazione del lavoro, sul rapporto tra – progettazione formativa e – certificazione, infine sulla trasparenza dei titoli e la loro spendibilità/capitaliz- zazione. 2. La creazione del concetto di q.p. si spiega dopo l’affermazione della – società industriale che ha determinato la crisi dei modelli di acquisizione dei saperi profes- sionali tipici della società corporativa. Nel dibattito in corso sulla rappresentazione del lavoro in un contesto post-fordista, la parola “q.” viene sottoposta a critiche di inadeguatezza a fronte del mutevole contesto organizzativo, del superamento delle modalità di reclutamento e di gestione delle carriere basate su rigide corrispon- denze tra qualifiche e titoli di studio e su mansionari predefiniti, della modifica delle relazioni istituzionali tra mondo del lavoro e – sistema formativo oltre che dell’organizzazione e del contenuto delle attività formative, e infine della valida- zione e del riconoscimento dei saperi e delle competenze professionali. 3. Molti condividono la necessità di rappresentazioni delle realtà lavorative e pro- fessionali che superino il concetto di “declaratoria” basato sulle – mansioni e la stretta corrispondenza con i titoli di studio. È anche comune la convinzione sul- l’importanza di integrare gli aspetti tecnico-specialistici con elementi connessi alla personalità, contesto, trasversalità, cultura ed etica del lavoro (– etica professio- nale). Alcuni tendono a sostituire al concetto di q. un modello basato sulla compe- tenza come entità funzionale ed autoreferenziale, tassello che consente di dise- gnare il lavoro in modo granulare o compositivo, solo che in tal modo ripropon- gono in chiave più frammentata la stessa prospettiva fordista. Altri propongono nuove modalità di definizione della q. entro una prospettiva olistica che conce- pisce il lavoro come un tutto dotato di una precisa rilevanza culturale e istituzio- nale; ciò conduce a classificazioni più ricche ed aperte, connesse alla cultura ed alla struttura del contesto settoriale ed aziendale di riferimento (– “famiglie/comu- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 156 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 157 nità professionali”). La difficoltà di rappresentare la realtà del lavoro con categorie rigide – benché frammentate in “mattoncini” tecnico operativi – non viene quindi superata tramite metodologie analitiche più sofisticate in grado di classificare di- versamente compiti e mansioni, bensì tramite il riferimento ad una categoria più sintetica, ovvero il “gruppo di lavoro” o comunità professionale che rappresenta un’unità ad un tempo organizzativa e culturale, ma pure un’entità in grado di ap- prendere e di elaborare soluzioni creative. Il modello organizzativo non si basa su una rigida divisione dei compiti, bensì sulla capacità di ogni componente di parte- cipare alle caratteristiche del gruppo in una sorta di “comunità lavorativa” a forte valenza cognitiva. Bibl.: CASTAGNA M., Progettare la formazione, Milano, Franco Angeli, 1993; LANZAVECCHIA G., Il lavoro di domani. Dal taylorismo al neoartigianato, Roma, Ediesse, 1996; ACCORNERO A., Era il secolo del Lavoro, Bologna, Il Mulino, 1997; AJELLO A.M. - S. MEGHNAGI (Ed.), La competenza tra flessibilità e specializzazione, Milano, Franco Angeli, 1998; AMBROSINI M. (Ed.), Un futuro da formare, Brescia, La Scuola, 2000; LIPARI D., Logiche di azione formativa nelle organizzazioni, Milano, Guerini & Associati, 2002. D. Nicoli QUALITÀ Il termine q. assume nel linguaggio comune significati differenti a seconda dei contesti: esprimere attributi morali o spirituali di una persona oppure una dote o virtù di qualcuno o qualcosa, o indicare una distinzione di specie di qualcosa. Una definizione, del termine q., nella sua globalità, è fornita dal vocabolario della lingua italiana: “caratteristica che contraddistingue una persona, un animale, una cosa, una situazione o un loro insieme, denotando valori (in genere, ma non neces- sariamente positivi) che assicurano a chi li possiede un requisito, una proprietà unici” (Sabatini - Coletti, 1997). Il nostro scopo è spiegare il concetto di q. di un servizio o un prodotto (accezione più ristretta); ciò non semplifica il compito perché il concetto di q. non è assoluto ma relativo ed ha subito nel tempo evolu- zioni significative. 1. Il concetto di q. di un prodotto o servizio si è sviluppato prevalentemente in am- bito industriale e successivamente, negli anni ‘80 e ‘90, è stato oggetto di analisi nei servizi. Dalla rivoluzione industriale (agli inizi del ‘900) fino agli anni ‘50-’60, per q. di un prodotto si intendeva il “grado di conformità del prodotto alle speci- fiche progettuali” dello stesso; un problema tecnico che le organizzazioni risolve- vano attraverso una sistematica attività di controllo della q. in fase di realizzazione del prodotto/servizio. 2. Negli anni ‘60 e ‘70, si ha una evoluzione significativa nel concetto di q. che viene collegato strettamente all’uso più che al prodotto stesso. La q. è definita come idoneità all’uso (in ingl., Fitness for use) ovvero il grado di conformità del prodotto ai requisiti posti dall’utilizzazione. Fare q. si concretizza in un’attività parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 157 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 158 sistematica di pianificazione e controllo che interessa tutta l’organizzazione e l’in- tero ciclo di realizzazione del prodotto / servizio (dalla concezione, alla progetta- zione, alla produzione, alla commercializzazione sino all’assistenza post-vendita); uno dei padri di questo approccio, Feigenbaum (1983) parla di Total Quality System. Si sviluppa qui il concetto di “Sistema di Assicurazione Qualità”, fonda- mentale nella successiva elaborazione delle norme sui sistemi q.: la serie ISO 9000 del 1986. 3. Negli anni ‘80, sulla scorta di quello che è definito l’insegnamento giapponese (le aziende giapponesi realizzano, a parità o a costi minori, prodotti di q. supe- riore che si affermano rapidamente sul mercato occidentale), si sviluppa il con- cetto attuale di q. secondo soddisfazione delle esigenze del cliente (in ingl., Customer Satisfaction). L’evento rappresenta una rivoluzione, in quanto pone definitivamente la q. in relazione ai bisogni delle persone, che per loro natura si modificano nel tempo. La q. diventa relativa e dinamica e non si ottiene solo con accorgimenti tecnici ma anche con un continuo sforzo creativo di miglioramento di tutte le persone che partecipano alla produzione e vendita. Deming (1989), uno dei padri di questo approccio (noto come “Total Quality Management”), evi- denzia la molteplicità di prospettive nel concetto di q. e di attori che interven- gono per la sua realizzazione. Quest’ultima definizione di q. si adatta bene alla – FP che richiede tuttavia una particolare attenzione per le sue peculiarità: un forte contenuto relazionale, la presenza di una complessa rete di aspettative e un sistema organizzativo e gestionale costituito da legami deboli e, nella FP di ispi- razione cristiana, il riferimento a tale ispirazione espresso nel progetto educa- tivo/formativo del Centro (– CFP). Bibl.: JURAN J.M., Quality Control Handbook, New York, McGraw-Hill, 1974; FEIGENBAUM A.V., Total Quality Control, New York, McGraw-Hill, 1983; DEMING E., L’impresa di Qualità, Torino, Isedi - Petrini, 1989; CONTI T., Come costruire la Qualità Totale, Milano, Sperling & Kupfer Editori, 1992; PUGLIESE S., Dal Centro di formazione professionale al Centro di servizi formativi, in “Profes- sionalità” n. 40 (1997), XI-XXIII; SABATINI F. - V. COLETTI, DISC. Dizionario italiano, Firenze, Giunti, 1997; UNI EN ISO 9001:2000, Quality Management System-Requirement, Ginevra (CH), International Organization for Standardizzation, 2000. S. Pugliese RECUPERO DIDATTICO – Personalizzazione REGIONE – Enti di FP; – Progettazione formativa; – Mobilità professionale; – Impresa; – FP: sviluppo storico; – FPI; – FP continua; – FP superiore; – Finanziamenti per la FP; – Riforma educativa; – Servizi per l’impiego; – Apprendistato; – Autonomia parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 158 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 159 RELIGIONE R., presa in senso proprio, comporta un rapporto dell’uomo col divino; nell’ambito occidentale il divino è personale. Sotto il profilo specifico educativo il nodo del problema si pone circa la funzione della r. nella maturazione piena ed equilibrata della persona: questione esasperata dalle ideologie recenti, che ne hanno contestato il significato umanizzante. Oggi la r. viene per lo più riconosciuta come una delle fondamentali esperienze umane con una risonanza di ordine culturale e sociale difficilmente calcolabile. Donde la molteplicità degli studi che la esplorano nelle diverse aree disciplinari. A proposito vale la pena sottolineare: a) la r. non è più appannaggio della riflessione cristiana, tanto meno teologica: è campo di indagine aperto a tutti i versanti della cultura; b) comporta un doppio versante: quello sociale, istituzionale, organizza- tivo e quello personale, interiore, magari mistico per stare alla distinzione di Bergson; c) donde la diversa connotazione degli studi e delle valutazioni, dall’a- spetto sociologico a quello fenomenologico e antropologico. In ambito educativo, la ricerca attorno alla risorsa umanizzante della r. rappresenta un filone singolarmente interessante e innovativo; impegna la ricerca storico-feno- menologica da Heiler, a Eliade, a Ries, alimenta la riflessione fenomenologica da Scheler a Levinas, quella esistenziale da Marcel a Ricoeur. Costituisce uno stimolo notevole anche per la rivisitazione della consuetudine educativa ecclesiale. Bibl.: SCHELER M, L’eterno nell’uomo, Milano, Fratelli Fabbri, 1972; BERGSON H., Le due fonti della morale e della religione, Milano, Ed. Comunità, 1973; RIES J., “Storia delle religioni”, in S. ABBRUZZESE (Ed.), Religioni. Enciclopedia tematica aperta, Milano, Jaca Book, 1992; TRENTI Z., Opzione religiosa e dignità umana, Roma, Armando, 2001. Z. Trenti RENDIMENTO SCOLASTICO E PROFESSIONALE – Successo scolastico e professionale; – Valutazione; – Efficacia; – Orienta- mento RESILIENZA – Prevenzione; – Minori RETE Il concetto di r. è relativamente recente e trae origine dagli studi organizzativi e dagli sviluppi informatici. In ingl., esso si può tradurre letteralmente in net, op- pure, più compiutamente, in network, riferendosi ad un concetto sistemico di r. ov- vero di oggetti operanti collegati tra loro. Il termine r. tende ormai a individuare branche di studio: net technology, net organization, net economy. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 159 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 160 In ambito informatico, il concetto di r. si è affermato in contrapposizione al con- cetto di struttura gerarchica; esso indica un sistema distribuito di elaboratori dove ciascun nodo della r. (elaboratore) è dotato di autonomia elaborativa e collegandosi agli altri nodi (uno dei quali fa da coordinatore) coopera all’elaborazione com- plessiva. Il concetto è esploso con lo sviluppo della telematica e in particolare di internet che realizza a livello internazionale il concetto di r. valorizzandone gli aspetti comunicativi. In ambito organizzativo, il concetto di r. si sviluppa a partire dalla concezione sistemica dell’organizzazione che, in quanto sistema aperto, è costituita da un insieme connesso e coerente di sottosistemi in relazione tra loro e con l’esterno. In particolare, il concetto di r. si afferma con la rottura dei limiti spaziali dell’organiz- zazione che tende a distribuirsi sul territorio in più unità autonome ma integrate. La caratterizzazione di organizzazione formativa “in r.”, presente in più punti su un territorio regionale, nazionale o sovranazionale, implica che i – CFP locali, pur mantenendo la loro autonomia, siano in grado di configurarsi all’esterno come organizzazione integrata che riesce a conseguire economie di scala e di scopo. Bibl.: GALBRAITH J., Designing Complex Organizations, Readings, MA, Addison-Wesley, 1977; LORENZONI G. (Ed.), Accordi, reti e vantaggio competitivo, Milano, Etas, 1992; NOHIRIA N. - R. ECCLES (Edd.), Network and Organizations: structure, Form and Action, Harvard, Harvard - University Press, 1992. S. Pugliese RIABILITAZIONE PROFESSIONALE – Comunità educativo formativa RICERCA La r. è una “indagine, investigazione condotta con sistematicità e tendente ad ac- crescere o a verificare il complesso di cognizioni, documenti, teorie, leggi inerenti a una determinata disciplina” (Zingarelli, 1959). 1. Nella definizione sono esplicitamente indicati modalità di realizzazione, obiet- tivi e estensione del suo campo: la sistematicità, la verifica delle conoscenze. La r. è: a) una conoscenza sistematica: con un processo ben strutturato per la raccolta delle informazioni, la loro analisi e valutazione; con l’uso di metodi e strumenti di- versi, scelti in base agli oggetti, alle finalità e agli ambiti disciplinari; b) una cono- scenza verificata: legata ai fatti e all’esperienza ma con l’obiettivo di verificare ipotesi che consentano di interpretare fattori e cause che vanno oltre il “buon senso comune” di lettura degli stessi fatti. 2. Tre sono le condizioni per poter fare r.: a) fare r. comporta l’uso di modelli men- tali e produce una stimolazione a costruire modelli mentali. Si va alla realtà con parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 160 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 161 uno schema mentale, almeno implicito, che consente di confrontarsi con la realtà che si vuole indagare; b) fare r. richiede buone competenze circa la – metodo- logia, la costruzione e l’uso delle tecniche. L’attività di r. si attua secondo metodo- logie rigorose e capacità di uso di strumenti e tecniche: dalle più semplici alle più sofisticate; c) ci vuole fantasia creatrice per fare r. Fare r. non è l’applicazione asettica di tecniche e strumenti perché in essa si esprime sempre curiosità, pas- sione, voglia di innovazione. Tutte e tre le condizioni possono essere causa di errore nella conoscenza che la ricerca consente. È necessario sempre un atteggiamento critico nei confronti dei modelli; una verifica sull’uso dei metodo e delle tecniche e una presa di distanza nel proprio coinvolgimento. Solo così i risultati di una r. possono far avanzare la conoscenza. Bibl.: ZINGARELLI N., Vocabolario della lingua italiana, Bologna, Zanichelli, 1959; GILLI G.A., Come si fa ricerca, Milano, Arnoldo Mondadori, 1971; GATTICO E. - S. MANTOVANI, La ricerca sul campo in educazione. I metodi quantitativi, Milano, Bruno Mondadori, 1998; BAILEY K.D., Metodi della ricerca sociale, Bologna, Il Mulino, 2001; LUCISANO P. - A. SALERNI, Metodologia della ricerca in educazione e formazione, Roma, Carocci, 2002. V. Orlando RIFORMA EDUCATIVA La r.e. è un cambiamento importante e intenzionale del sistema educativo di istruz. e di formaz. o di una sua parte, realizzato attraverso un processo che, muovendo da una situazione data, mira a portare a quella voluta. 1. I modelli di r.e. La strategia tradizionale consiste nell’introduzione della r.e. per via d’autorità e il mancato rispetto delle disposizioni dall’alto comporta l’applica- zione di sanzioni. La generalizzazione della r.e. su tutto il territorio nazionale co- stituisce il vantaggio principale di tale modello; al tempo stesso esiste il pericolo di un’osservanza formale da parte dei formatori (– operatori della FP) perché non si è cercato di creare un consenso adeguato attorno alla r.e. e, pertanto, emerge il pro- blema di un possibile insuccesso della r.e. a livello di cambiamento profondo del comportamento insegnante. Da quando si è riconosciuta dignità di scienza positiva alla riflessione sull’ – educ. ha acquisito importanza un’altra strategia che si può chiamare empirico-razionale. Questa consiste nella traduzione dei risultati della – ricerca educativa in prassi didattica per via di sperimentazione e nella diffusione dei processi innovativi nelle scuole o nei – CFP. La procedura seguita, in quanto scientificamente corretta, assicura la validità delle indicazioni. Il problema si pone però sul piano soggettivo nel senso che in genere le organizzazioni tendono ad op- porre resistenza ad innovazioni che siano elaborate da agenzie esterne come può essere un istituto di ricerca. Un terzo modello sposta il fulcro dei processi di rinno- vamento sulla singola scuola o CFP, sull’innovazione dal basso, in breve sull’ – autonomia. In un contesto di continuo mutamento, la possibilità di soddisfare le parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 161 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 162 esigenze che insorgono incessantemente dipende in primo luogo dalla rapidità degli interventi. Inoltre, le probabilità di successo di un’innovazione sono mag- giori quando l’insegnante ne è partecipe, la sente propria, ha contribuito personal- mente ad elaborarla, approvarla, attuarla. Il limite di tale strategia va visto nel peri- colo di una innovazione troppo diseguale e disomogenea sul territorio nazionale. In conclusione va osservato che prevalentemente si tende a considerare i tre mo- delli come complementari piuttosto che alternativi. 2. La recente stagione delle riforme. Mi riferisco al nostro Paese e al periodo che è iniziato alla metà degli anni ‘90 e che sta per concludersi. Anzitutto va sottolineato che la r. del sistema educativo di istruz. e di formaz. era assolutamente necessaria e urgente non solo per le carenze interne della nostra scuola/ – FP, ma anche per lo scenario radicalmente diverso in cui esse vengono a operare, quello cioè della so- cietà della conoscenza, ma anche della società complessa, della società pluralistica e multiculturale, della mondializzazione e della globalizzazione. Nelle proposte di r. che sono state avanzate dalla metà degli anni ‘90 ad oggi, e soprattutto nella L. 30/00 (cosiddetta, “Berlinguer”) e nella L. 53/03, delega “Moratti”, che l’ha sosti- tuita, si possono cogliere alcuni orientamenti da tutte condivisi. In primo luogo, viene fornita una definizione alta delle mete della r. che si fonda sulla centralità delle persona che apprende. La L. “Moratti” perfeziona tale dettato, aggiungendo che la r. dovrà rispettare le scelte educative della famiglia e soprattutto che an- dranno favorite la – formaz. spirituale e morale. Inoltre, tutte le ipotesi di cambia- mento avanzate tendono a ridisegnare l’architettura complessiva del sistema edu- cativo di istruz. e di formaz., conferendogli una nuova organicità e unitarietà. Va anche notato lo sforzo comune di allineare la nostra scuola e la nostra formaz. con quelle degli altri Paesi dell’Europa. Tra le varie proposte si osservano anche delle interessanti linee evolutive. Così non si può non evidenziare che solo nella L. 53/03 si viene incontro in maniera ade- guata alle esigenze di sviluppo dei giovani: infatti, con il ripristino della durata ot- tennale del primo ciclo si valorizza pienamente la specificità delle età evolutive della fanciullezza e della preadolescenza e, prevedendo un percorso graduale e continuo di FP parallelo a quello scolastico e universitario dai 14 ai 21 anni si risponde per la prima volta in modo soddisfacente alle esigenze di formaz. degli adolescenti e dei giovani che hanno l’intelligenza nelle mani. La L. delega “Mo- ratti” porta in primo piano il principio della personale responsabilità educativa degli alunni e delle famiglie mediante l’introduzione dei piani di studio personaliz- zati. Inoltre, essa recepisce il passaggio da un modello fondato sulle esclusive pre- rogative dello Stato ad uno che fa interagire in maniera integrata tre diverse com- petenze: quella dello Stato, quella delle Regioni e degli – enti territoriali e quella delle istituzioni scolastiche autonome. L’evoluzione però non è completa per quanto riguarda il riconoscimento effettivo del diritto alla libertà di educ. Infatti, nella L. 53/03 che, pure, intende delineare le norme generali sull’ – istruz., manca il riferimento esplicito al fatto che il nostro parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 162 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 163 sistema educativo nazionale non è formato solo da scuole statali, ma anche dalle scuole paritarie private e degli enti locali. Bibl.: MALIZIA G., “Riforma educativa scolastica”, in J.M. PRELLEZO - C. NANNI - G. MALIZIA (Edd.), Dizionario di scienze dell’educazione, Leumann (TO)/Roma/Torino, ElleDiCi/LAS/SEI, 1997, 939; EVERARD B. - G. MORRIS, Gestire l’autonomia. Manuale per dirigenti e staff di direzione, Trento, Erickson, 1999; Rapporto del Gruppo Ristretto di Lavoro costituito con D.M. N. 672 del 18 luglio 2001, in “Annali dell’Istruzione” 47 (2001) 1/2, 3-176; MALIZIA G. - C. NANNI, “La riforma del sistema italiano di istruzione e di formazione”, in CIOFS/FP - CNOS-FAP (Edd.), Dall’obbligo sco- lastico al diritto di tutti alla formazione: i nuovi traguardi della Formazione Professionale, Roma, Tipografia Pio XI, 2002, 43-63; SERGIOVANNI T.J., Dirigere la scuola comunità che apprende, Roma, LAS, 2002. G. Malizia RISORSE UMANE La nuova centralità assegnata alla soggettività e alle r.u. va al di là di un semplice ritorno al modello classico delle relazioni umane; essa sollecita qualità dei risultati/prodotti/servizi offerti da imprese pubbliche e private e dei processi di – lavoro, valorizzazione di aspetti simbolico-culturali e del capitale sociale esistente, nuove condizioni di – apprendimento individuale e organizzativo, l’opportunità di ridare significato al lavoro e al legame tra individuo e attività produttiva, dina- mismo nell’inserimento lavorativo (– accompagnamento al lavoro). 1. Le r.u. appaiono sempre più come una leva strategica per la crescita della capa- cità e competitività delle organizzazioni e le condizioni per la piena realizzazione di questo principio passano attraverso la trasformazione del modello di gestione delle r.u. da una logica quantitativa a una logica qualitativa. D’altra parte se la – formaz. “per tutta la vita” (lifelong learning) diventa una priorità, ed una necessità del lavoratore, essa non può realizzarsi se non in un contesto di trasformazione delle organizzazioni in sistemi autoapprendenti (learning organization) e perciò essere assunta come priorità da – imprese ed – enti pubblici. La formaz. e l’at- tenzione rivolta alle r.u., concepite come leva strategica deve essere connessa a processi di “costruzione di nuovi significati lavorativi individuali e collettivi” (Kaneklin e Scaratti, 1998). I fattori di successo di tale processo sono quelli per i quali il soggetto torna al centro del lavoro, si potenziano i rapporti e le reti di rapporti fra gruppi di persone e tra imprese, si potenziano gli aspetti comunicativi nelle organizzazioni e si valorizzano i processi culturali, si negoziano obiettivi e modi di valutazione degli obiettivi stessi. 2. Ogni impresa o azienda, pubblica o privata, dovrà imparare a produrre non solo ricchezza economica, ma anche valore sociale, legato alla soddisfazione delle esi- genze di benessere e socialità (Butera, 1999). La centralità delle r.u. modifica dunque in modo sostanziale le modalità di funzionamento di aziende e imprese in quanto richiede di cambiare le caratteristiche gestionali delle organizzazioni. Da parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 163 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 164 modelli burocratici, in cui le – mansioni lavorative sono declinate in modo rigido, si dovrà passare a contesti di lavoro dove è possibile sperimentare modalità di la- voro nuove, flessibili e più funzionali. Nuove complessità si disegnano: sul fronte della gestione delle r.u. occorre che la dirigenza impari a orientare e riorientare chi lavora in modo da valorizzare il potenziale, spesso inespresso, delle – competenze professionali e personali. Un processo analogo investe chi lavora, chiamato ormai ad assumere ruoli più sfumati, legati all’individualità del singolo. L’ottica si sposta dall’impresa al mondo sociale che la circonda: la rete di rapporti che garantisce la qualità dei prodotti/servizi è anche espressione di benessere sociale, di interessi collettivi che ruotano intorno al mondo del lavoro. 3. Alcune criticità storiche sollecitano la valorizzazione delle r.u.: i cambiamenti indotti dalle – nuove tecnologie, i cambiamenti del – mercato del lavoro, la ride- finizione necessaria del significato del lavoro rispetto alla realizzazione personale del soggetto. I tre elementi citati si legano fra loro perché fanno parte dell’orizzonte di significati che fa da ponte fra le r.u. e l’attività lavorativa. Le nuove tecnologie sono un fattore di cambiamento che richiede ai lavoratori e alle imprese pubbliche e private continui riadattamenti di procedure e funzioni, oltre che – FP continua. Il mercato del lavoro risente della transitorietà di – profili professionali in divenire e delle sempre meno definibili carriere professionali; dunque sembrano sempre più validi comportamenti legati alla flessibilità, alla autoimprenditorialità. Ultima questione, ma fondamentale, è il significato stesso del lavoro. Se diventa centrale l’uomo, come risorsa, si può ritenere che siano le migliori caratteristiche dell’uomo stesso a fare da cardine nell’attività lavorativa: la creatività, la capacità di parte- cipazione, la progettualità. Dunque un lavoro in cui il soggetto esprime le poten- zialità tecniche in un contesto che garantisce, al tempo stesso, l’espressione delle capacità relazionali, inventive, di socialità lavorativa. La qualità finale del lavoro diventa il prodotto delle competenze professionali e delle caratteristiche personali, in un contesto che garantisce l’espressione di entrambe. Centralità delle r.u. per le imprese, pubbliche e private, di beni o servizi significa perciò un ripensamento delle modalità di reclutamento del personale, una nuova formulazione delle propo- ste di lavoro, una gestione del personale attenta ai criteri dell’integrazione positiva delle persone nei processi lavorativi. Uguale trasformazione diventa necessaria nel- la formaz.: i profili professionali debbono essere arricchiti di quelle competenze trasversali (buona relazionalità, progettualità, capacità organizzative, ecc.) che sono il valore aggiunto indispensabile per gestire, nel tempo, la vita lavorativa stessa. Un nuovo umanesimo sembra accompagnare la società postmoderna: a fronte dei grandi mutamenti tecnologici si evidenzia la centralità dell’uomo come risorsa unica e fondamentale per gestire al meglio i cambiamenti. Bibl.: KANEKLIN C. - G. SCARATTI, Formazione e narrazione. Costruzione di significati e processi di cambiamento personale ed organizzativo, Milano, Cortina, 1998; BUTERA F., Economia e società nel- l’impresa: l’impresa eccellente socialmente capace, in “Studi Organizzativi”, 1 (1999), 11-39. C. Montedoro parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 164 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 165 RUOLO PROFESSIONALE Il r.p. è l’insieme delle norme e delle aspettative che convergono su un individuo in quanto occupa una determinata posizione in una organizzazione lavorativa dove si delinea una specifica rete di relazioni sociali. Tali norme e aspettative provengono dagli individui che occupano le posizioni collegate a quella del soggetto. In tal modo, si ottengono le attese di r., che sono da distinguere dal comportamento di r., ovvero il modo in cui l’individuo agisce concretamente la sua posizione. 1. In tal senso, il r. rappresenta l’elemento centrale della struttura sociale. Le orga- nizzazioni sono infatti costituite dai meccanismi o “dispositivi strutturali” (Scott, 1994, 26) che costituiscono il mezzo grazie al quale si realizzano alcune categorie di fini. Le routine e le procedure rappresentano le risorse che vengono solitamente attivate per rendere una gran parte di prodotti/servizi. Esse indicano la natura della condotta tipicamente sociale che presenta caratteri differenti dalle condotte indivi- duali: “lo sviluppo delle organizzazioni è il meccanismo principale, in base al quale in una società altamente differenziata è possibile realizzare i propri progetti e raggiungere degli obiettivi che vanno al di là degli individui” (Parsons, 1960, 41), con enfasi sulla natura formale, razionale e sociale della organizzazione. 2. Il concetto di r. rappresenta uno degli elementi più importanti della elaborazione sociologica e la sua evoluzione indica un percorso che mira a porre in rilievo in modo sempre più evidente il suo carattere ad un tempo di relazione sociale fonda- mentale e di vera e propria istituzione in grado di determinare un sistema definito di attese nei confronti della persona che lo presidia. Da una iniziale concezione rigida e normativa di r., propria dei principi de L’organizzazione scientifica del lavoro di F.W. Taylor (verticalizzazione della decisione, definizione scientifica delle – mansioni, selezione della persona più adatta, addestramento della stessa in modo efficiente, controllo della produttività), la sociologia ha via via aperto le sue prospettive ai fattori informali dell’organizzazione, al contesto ambientale, alle caratteristiche peculiari delle persone impegnate. Soprattutto l’analisi del – lavoro nella società cognitiva ha potuto rilevare come i r.p., non più riconducibili a quali- fiche rigide, hanno acquisito sempre più un carattere culturale, mentre si sono create nuove forme di relazioni proprie dei gruppi e delle – comunità professio- nali. Tali relazioni pongono in evidenza la natura culturale di ogni attività di lavoro competente, e la necessità di creare circoli virtuosi tra i componenti delle comunità tramite percorsi formativi, scambio di materiali, occasioni di incontro e confronto, – associazioni professionali. 3. In tal modo, sotto le spinte della globalizzazione e della cognitivizzazione, il r.p. diventa sempre meno un fattore rigido e prescrittivo ed acquisisce sempre più un carattere di habitus ovvero un costume, una mentalità che richiede al soggetto che lo presidia una intensa partecipazione esprimendo in ciò le proprie prerogative personali sotto forma di – competenza. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 165 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 166 Bibl.: PARSONS T., Structure and process in modern societies, Glencoe (Illinois), Free Press, 1960; MAGATTI M. (Ed.), Azione economica come azione sociale, Milano, Franco Angeli, 1990; SCOTT W.R., Organizzazioni, Bologna, Il Mulino, 1994; CESAREO V. (Ed.), Sociologia, concetti e tematiche, Milano, Vita e Pensiero, 1997; GIANNINI M. - E. MINARDI, I gruppi professionali, Milano, Franco Angeli, 1998; GALLINO L., Dizionario di Sociologia, Torino, UTET, 2000; BOAM R. - P. SPARROW, Come disegnare e realizzare le competenze organizzative. Un approccio basato sulle competenze per sviluppare le persone e le organizzazioni, Milano, Franco Angeli, 2002; TRIGILIA C., Sociologia economica, 2 voll., Bologna, Il Mulino, 2002; BOLDIZZONI D. (Ed.), Management delle risorse umane, Il Sole 24 Ore, 2003. D. Nicoli SALUTE – Sicurezza sul lavoro; – Prevenzione; – Società; – Efficacia; – Etica profes- sionale; – Formazione SAPERI – Aree professionali; – Certificazione degli apprendimenti; – Conoscenze; – Contratto formativo; – Didattica induttiva; – Istruzione e FP; – Qualifica pro- fessionale; – Comunità educativo formativa SCIENZE UMANE ED ETICA 1. Le s.c. Le s.u. sono quelle forme di indagine e di sapere che hanno come og- getto proprio l’uomo nelle sue espressioni e nel suo vissuto specificamente umani. S.u. sono quindi anzitutto la psicologia, la psichiatria, la sociologia e le scienze sociali in genere e quindi l’antropologia culturale, le scienze della comu- nicazione, e in particolare la linguistica e la semiologia. La insaziabile curiosità dell’uomo nei confronti dello specifico della sua umanità ha prodotto negli ultimi due secoli uno sviluppo enorme di queste forme di sapere, moltiplicandone il numero, le suddivisioni e le specializzazioni. Dal punto di vista specificamente etico, questo sviluppo e l’insonne ricerca che lo ispira vanno visti come assolu- tamente positivi. 2. L’etica. Le specifiche esigenze dell’e. pongono come unica condizione al libero sviluppo della ricerca sull’uomo il rispetto della sua dignità e dei suoi diritti inalie- nabili. Anche l’e. del resto è sempre e comunque un sapere sull’uomo: essa studia e interpreta il vissuto morale umano, una delle realtà più specificamente ed esclusi- vamente umane. Il vissuto morale infatti non è solo una esperienza umana che si pone accanto alle altre, essa le tocca, le coinvolge e le giudica dal suo punto di vista, tutte. Proprio per l’identità dell’oggetto della loro ricerca, costituito in ultima istanza dall’uomo, l’e. e le altre s.u. hanno intrattenuto e intrattengono numerose forme di incontro e di dialogo, di confronto e, a volte, di scontro. Per quanto ri- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 166 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 167 guarda l’e., fin dal suo primo porsi come forma di sapere, essa ha dovuto occuparsi in modo esplicito e diretto della psicologia del vissuto morale, e quindi, ad es., della specifica razionalità e., della coscienza morale, della libertà e delle forme del suo esercizio, della – motivazione, della trasgressione e del senso di colpa. È per questo che i teologi e i filosofi furono per molti secoli praticamente gli unici ad occuparsi di psicologia. 3. Problemi comuni. Grossi problemi, come quelli del significato ultimo dell’esi- stenza umana, interessano, sia pure da punti di vista anche molto diversi, tanto l’e. quanto le scienze dell’uomo. Ma con l’illuminismo il rapporto tra queste due forme di ricerca e di sapere è stato frequentemente caratterizzato da una certa forma di conflittualità o almeno di diffidenza reciproca. Fin dal loro primo porsi come forme di sapere autonomo (se pure disperatamente ma inutilmente impe- gnate ad imitare i metodi di ricerca delle scienze naturali) le s.u. guardarono con sospetto a ogni forma di e. Fu allora il sapere morale, sia filosofico che teologico, a dover comparire davanti al tribunale delle scienze dell’uomo per rendere conto della sua serietà e sensatezza, messa in questione dai cosiddetti “maestri del sospetto” (Marx, Nietzsche, ma soprattutto Freud). 4. Servizio reciproco. Pur nella loro unilateralità e nel carattere preconcetto dei loro presupposti, le contestazioni rivolte dalle s.u. all’e., offrirono a quest’ultima un contributo prezioso per quel lavoro di verifica, di autocritica e di affinamento progressivo dei propri strumenti di – ricerca che è compito essenziale di ogni forma di sapere scientifico, compreso evidentemente quello etico. Particolarmente preziosi furono i suggerimenti e le critiche provenienti dalla psicologia e dalle scienze della comunicazione. Esse si rivelarono particolarmente utili, ai fini di una migliore comprensione dello specifico mondo umano del desiderare e del tendere, del funzionamento della coscienza e dei limiti e condizionamenti della libertà umana. Ma il servizio più importante reso dalle s.u. all’e. (in questo caso all’e. in quanto vissuto più che in quanto sapere) è probabilmente legato ai problemi del- l’educ. morale e quindi allo studio dello sviluppo morale, cioè dei dinamismi edu- cativi e delle tappe della graduale maturazione del senso morale, dalle forme più psichicamente immature di impegno morale del bambino a quelle mature dell’a- dulto riuscito. È evidente quanto lo studio dello sviluppo morale e dei dinamismi educativi che lo incentivano sia importante, per poter offrire una guida illuminata e un aiuto efficace agli adulti educatori e, in ultima analisi, per promuovere un destino migliore per l’umanità. D’altra parte, anche l’e. ha un suo contributo speci- fico da offrire alle scienze dell’uomo: si tratta di una seria messa in guardia contro il pericolo che le scienze dell’uomo, attratte dal modello delle scienze della natura e ingannate dalle allettanti promesse di esattezza e di efficacia operativa offerte dai metodi di ricerca, tipici di questo mondo del sapere, dimentichino il carattere specifico dell’oggetto delle loro ricerche, che è l’uomo, con la sua assoluta unicità nel creato, e con il suo vissuto caratterizzato dalla dimensione spirituale e dal carattere libero e responsabile del suo agire. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 167 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 168 Bibl.: WOLFF K., Psychologie und Sittlichkeit, Stuttgart, Klett, 1958; WRIGHT D., The Psycology of Moral Behaviour, London, Harmondsworth, 1971; KOHLBERG L., Essays on Moral Development, 2 voll., S. Francisco, Harper & Row, 1981; STEININGER M., Problemi etici in psicologia, Roma, Armando, 1988; GATTI G., Educazione morale, etica cristiana, Leumann (To), ElleDiCi, 1994; LA- DRIÉRE J., L’etica nell’universo della razionalità, Milano, Vita e Pensiero, 1999. G. Gatti SCUOLA – Sistema formativo; – Riforma educativa; – Successo scolastico e professio- nale; – Valori professionali; – Abbandono; – Alternanza formazione lavoro; – Politiche formative; – Autonomia; – Comunità educativo formativa; – Cono- scenze; – Didattica induttiva; – Don Bosco e la FP; – Educazione; – Educa- zione permanente; – FPI; – FP superiore; – FP: sviluppo storico; – Handicap e FP; – Ispirazione cristiana della FP; – Laboratorio; – Lingua straniera; – Meto- dologia; – Moduli; – Monitoraggio; – Obbligo scolastico e formativo SECONDA OPPORTUNITÀ – Alternanza formazione lavoro SEDE ORIENTATIVA È la s. accreditata (– accreditamento) dalla Regione per lo svolgimento del servizio di – orientamento secondo le direttive del D.M. 166/01, in analogia a quanto è previsto per la sede formativa (– CFP). L’accreditamento è obbligatorio dal luglio 2003. Il D.M. 166/01 è la prima norma di carattere nazionale in materia di orientamento, dal momento che ad oggi manca una L. quadro. Seguendo il ci- tato Decreto, in questa voce saranno descritte alcune caratteristiche di base pro- prie di ogni s.o. Per “sede operativa” il decreto intende un soggetto organizzativo flessibile, responsabile dei processi ed erogatore dei servizi. 1. L’ambito di azione della s.o. è riconducibile a tutti quegli interventi di carattere informativo, formativo, consulenziale, finalizzati a promuovere l’auto-orienta- mento e a supportare la definizione di percorsi personali di – formaz. e – lavoro e il sostegno all’inserimento occupazionale. I servizi sono fondamentalmente tre: a) informazione o., che è rappresentata da un sistema informativo strutturato car- taceo e/o multimediale, su opportunità di formaz. e di lavoro, aperto ai bisogni in- formativi di utenze giovani e/o adulte e accessibili mediante esplorazioni personali e/o con l’assistenza di un esperto; b) formazione o., che è rappresentata dalla ero- gazione di moduli brevi, destinati a gruppi di utenti con omogenei fabbisogni informativo-formativi su particolari tematiche connesse al processo orientativo parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 168 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 169 (es. “Tecniche e strategie di ricerca del lavoro”, “Le nuove forme del lavoro”, “Le politiche attive del lavoro”, “Mercato del lavoro e delle professioni locale”, “Esplorazione del sé”, “Analisi delle capacità, degli interessi e delle motivazioni”); c) consulenza o., che si configura come una “relazione di aiuto individualizzato” che mira a favorire, anche mediante la metodologia del “bilancio delle compe- tenze”, la conoscenza di sé, la scoperta delle proprie attitudini, – capacità e inte- ressi e la chiarificazione delle – motivazioni per giungere a definire un proprio – progetto professionale e a individuare le vie per attuarlo. Per utenti che presentano fenomeni di disorientamento e/o disadattamento (– disagio) vengono realizzati interventi specialistici di carattere psico-pedagogico. 2. Concorrono allo svolgimento dei suddetti servizi varie – risorse umane che sono, soprattutto, risorse di governo (quali la direzione, l’amministrazione e il coordinamento), risorse di processo (quali l’analisi, la progettazione e la valuta- zione) e, infine, risorse di prodotto (quali la docenza e l’orientamento). Ogni s.o., infine, dovrà, per essere accreditata, rispondere ad una gamma di requisiti che da una parte saranno a tutela dell’utente per la qualità del servizio, dall’altra di garanzia per l’amministrazione pubblica sull’affidabilità e sull’uso di danaro pubblico. Sono tenuti ad accreditare la s.o. tutti gli organismi pubblici e privati che organizzano ed erogano attività di o. finanziate con risorse pubbliche. Il mo- dello delineato dal D.M. 166/01 ha caratteristiche generali; per sperimentarne la fattibilità onde trarne anche suggerimenti utili al suo miglioramento, l’ISFOL ha promosso una sperimentazione nelle Regioni dell’Obiettivo 1, predisponendo, allo scopo, un documento “Manuale operativo per l’accreditamento delle sedi orientative”. Al momento della stesura della presente voce, tuttavia, non si è in possesso dei risultati. Ci si limita pertanto a riportare un giudizio più generale, contenuto nel rapporto ISFOL 2003. La – FP è il “servizio che ha investito maggiormente in azioni orientative, sia esterne (per i propri utenti) sia esterne (nei confronti degli utenti di altri sistemi. Gli interventi rivolti agli utenti dello stesso sistema sono soprattutto di accompagnamento in itinere dell’esperienza in corso e di sostengo sia nelle transizioni tra i diversi canali, sia per l’inserimento nel mondo del lavoro, mentre per quanto concerne gli interventi per gli altri sog- getti istituzionali è possibile riscontrare una vasta gamma di servizi dedicati sia al sistema scolastico (attività informative, progetti integrati, interventi nelle di- verse fasi di transizione, ecc.) sia ai – servizi per l’impiego (servizi di acco- glienza, colloquio, tirocini, bilancio di competenze, ecc.)” (ISFOL, 2003, 301). Bibl.: MINISTERO DEL LAVORO, DM del 25 maggio 2001, Roma, Ministero del Lavoro, 2001; BETTONI C. - L. SCIARRETTA, L’accreditamento delle sedi operative di formazione e orientamento, in “Profes- sionalità”, XXII (2002) 71, 23 - 37; CNOS-FAP (Ed.), Accreditamento della sede orientativa. La pro- posta del CNOS-FAP alla luce del D.M. 166/2001, Roma, Tipografia Pio XI, 2002, ISFOL (Ed.), Ma- nuale operativo per l’accreditamento delle sedi orientative, voll. 1, 2 e allegati, Roma, manoscritto, 2002; ISFOL, Rapporto 2003, Brescia, La Scuola, 2004. M. Tonini parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 169 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 170 SERVIZI (O CENTRI) PER L’IMPIEGO La riforma dei s.p.i. (ex Uffici di collocamento), a seguito del D. Lgs. del 23 dicembre 1997, n. 469, prevede la necessità di fronteggiare situazioni di disoccu- pazione strutturale rivedendo e modificando gli obiettivi specifici che, oltre alle prestazioni di base (– accoglienza e gestione delle procedure amministrative), hanno come finalità: a) la facilitazione dell’incontro tra domanda ed offerta di la- voro; b) la – prevenzione dei fenomeni di disoccupazione; c) l’allargamento della partecipazione al – mercato del lavoro, in particolare attraverso una maggiore partecipazione della manodopera femminile e di altri segmenti sottorappresentati nel mercato del lavoro. 1. Servizi attivati nei s.p.i. I s.p.i., devono essere in grado di fornire i servizi corri- spondenti, sulla base delle scelte di indirizzo espresse ai diversi livelli di strategia di intervento (nazionale, regionale, provinciale, locale), considerando principal- mente le caratteristiche specifiche dei mercati del lavoro locali. È pertanto, essen- ziale l’organizzazione di un sistema di – rete delle strutture informative che ope- rano a livello territoriale. Per il funzionamento dei nuovi servizi si dovrà provve- dere a fornire azioni di: a) accoglienza ed informazione orientativa; b) gestione procedure amministrative; c) – orientamento e consulenza; d) promozione di segmenti del mercato del lavoro a sostegno delle fasce deboli (– disagio); e) in- contro domanda ed offerta. Inoltre, nell’ambito dell’art. 68 della L. 144/99 rela- tivo all’obbligo formativo, cui si aggiunge l’Accordo della Conferenza Unificata Stato-Regioni del 2/3/00, sono previsti altri nuovi servizi a carico dei s.p.i. (ana- grafe regionale sull’obbligo scolastico, interventi di informazione, orientamento e tutorato, banche dati per favorire l’orientamento dei giovani e la predisposizione di un’adeguata offerta formativa). 2. Le nuove funzioni/competenze dei s.p.i. Il D. Lgs. 469/97 prevede che le Pro- vince debbano gestire ed erogare, in strutture denominate “s.p.i.”, funzioni e compiti connessi a diverse tipologie di collocamento (ordinario, agricolo, dello spettacolo, obbligatorio, degli extracomunitari, dei lavoratori domestici e a do- micilio), all’avviamento a selezione negli – enti pubblici, alla preselezione ed incontro tra domanda ed offerta di lavoro, ad iniziative volte ad incrementare l’occupazione e ad incentivare l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro anche con riferimento all’occupazione femminile. Il D. Lgs. 181/00 per agevolare l’in- crocio domanda/offerta di lavoro sottolinea l’obbligatorietà per i s.p.i. dell’ero- gazione di servizi attinenti colloqui di orientamento e proposte di iniziative di in- serimento lavorativo (– accompagnamento al lavoro) o di – formaz. a fasce di utenza ben definite. La novità sostanziale consiste nel fatto che i s.p.i. devono fornire ai loro clienti/utenti, oltre che i tradizionali servizi di tipo amministrativo collegati al collocamento, soprattutto nuove tipologie diversificate di servizi es- senzialmente centrati sull’obiettivo di favorire l’incontro tra la domanda e l’of- ferta di lavoro e sullo sviluppo di interventi di supporto alle scelte formative e parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 170 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 171 lavorative (servizi informativi, di consulenza, di orientamento, di preselezione, di inserimento lavorativo, ecc.). Essi potranno anche essere chiamati a promuo- vere e progettare interventi mirati per quanti incontrano maggiori difficoltà ad inserirsi o reinserirsi nel mercato del lavoro. I clienti possono essere sia persone che – imprese. Possono, ad es., rivolgersi ai s.p.i: a) persone che cercano lavoro o che vogliono modificare la loro condizione lavorativa; b) persone che devono definire propri progetti formativi o professionali (– progetto personale e profes- sionale); c) imprese che richiedono informazioni in materia di collocamento, contrattualistica e legislazione del lavoro; d) imprese che cercano nuovo perso- nale o che chiedono consulenza sui problemi della formaz. e dello sviluppo delle – risorse umane e dell’organizzazione; e) imprese con più di 15 dipendenti e persone disabili (– handicap e FP), o appartenenti ad altre categorie protette che richiedono interventi di sostegno per un inserimento lavorativo (– accompagna- mento al lavoro) mirato, ai sensi della L. 68/99. Bibl.: APOF (Agenzia Provinciale Orientamento e Formazione), Manuale per la sperimentazione, vol. I, Linee di Servizi Informativi e orientativi presso i Centri per l’Impiego, Potenza, Manoscritto, 2001; ISFOL, Rapporto 2002, Milano, Franco Angeli, 2002; ISFOL, Manuale operativo. L’inter- vento per l’obbligo formativo nei servizi per l’impiego, Milano, Franco Angeli, 2002. D. Pavoncello SICUREZZA SUL LAVORO Il tema della s.s.l. è un riferimento strategico per le attività di – FP; infatti, il nostro Paese continua a vantare un triste primato sul numero di incidenti sul – lavoro, almeno in relazione ad altri Paesi europei. Le norme in materia di s.s.l. tro- vano il loro fondamento nella tutela costituzionale dei diritti al lavoro e alla salute, e in particolare nell’art. 2087 del Codice civile che obbliga l’imprenditore ad adot- tare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro. 1. Normativa paradigmatica in materia è senza dubbio il D. Lgs. 626 del 1994, che impegna le – imprese all’adozione di una serie di misure precise a tutela della s. del lavoratore. La norma individua come destinatari degli obblighi di s. non solo datori di lavoro e personale dirigente, ma gli stessi lavoratori. Pertanto, è molto importante erogare una – formaz. sulla s. nei confronti di tutti i soggetti operanti nel contesto aziendale, per fare acquisire ai lavoratori conoscenze tecniche e regole comportamentali utili in riferimento ai diversi compiti assolti nel processo produt- tivo. Il D. Lgs. 626/94 obbliga ad effettuare interventi di formaz. in caso di assun- zione, trasferimento o cambiamento di – mansioni, nonché qualora vengano intro- dotte in azienda – nuove tecnologie o attrezzature di lavoro, oppure sostanze e preparati pericolosi. Tuttavia, considerando che non sempre tale obbligo è rispet- tato in relazione a tutti i dipendenti, soprattutto quelli che entrano con – contratti flessibili, è importante che la FP si faccia carico di impartire conoscenze e – com- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 171 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 172 petenze sulla s. che supportino i giovani nel primo contatto con il mondo del la- voro. Del resto, gli allievi hanno bisogno di sapere come tutelarsi dal rischio di infortuni già nei percorsi formativi, prima di effettuare attività nei – laboratori e nelle officine dei – CFP, oltre che durante il – tirocinio. 2. Riguardo ai contenuti minimi della formaz. alla s.s.l., generalmente si distingue un primo livello generale di formaz. sui processi produttivi e sull’organizzazione della s. e un secondo livello più specifico, diversificato secondo il – ruolo e le mansioni svolte nel luogo lavorativo. R. D’Agostino SINDACATI Nell’economia della presente iniziativa editoriale, che privilegia destinatari impe- gnati soprattutto negli ambiti educativi e formativi, le connotazioni essenziali della voce s. si focalizzano principalmente sull’identità e i ruoli, sui modelli organizza- tivi e di azione che le organizzazioni sindacali assumono nei confronti delle modi- ficazioni socio-economiche che i cittadini sperimentano nel mondo del lavoro e nell’esercizio dei propri diritti/doveri nei vari contesti sociali. Peraltro, da più parti sembra emergere un atteggiamento di distacco rispetto al tema “sindacato”, che viene considerato sì un fenomeno rilevante del mondo industrializzato in un mo- mento storico ben preciso, ma che non rappresenta più una tematica degna di ap- profondimento e soprattutto di attualizzazione. Può essere opportuno tener conto anche di questa situazione nell’approccio al tema e procedere nella strategia educa- tivo/formativa del sapere, saper fare, saper essere. 1. Identità e ruoli. I s., intesi nel loro significato specifico, designano le – asso- ciazioni/organizzazioni distinte degli addetti ai lavori subordinati (detti prestatori d’opera), da un lato, e dei datori di lavoro, dall’altro. Identificare le diverse si- tuazioni di – lavoro subordinato e le varie forme dei rapporti con i datori di la- voro comporta, come ovvio, collocare l’ambito del s. come prodotto della storia. Da questa constatazione, i raggruppamenti delle Trade Unions delle origini, rife- riti alle – associazioni degli artigiani, si sono via via evoluti in unioni di me- stieri, o syindacats (termine che in origine indicava l’assistenza a persone in sede giudiziaria), fino ad estendersi successivamente ai gruppi di interessi organizzati. Ma il dato storico di riferimento rimanda all’esperienza del lavoro operaio e, solo più tardi, a quella degli impiegati o dei “colletti bianchi”, fino a compren- dere tutta l’area del lavoro dipendente. Diversamente, l’aggregazione sociale degli imprenditori e del lavoro autonomo, privo anche di collaboratori subordi- nati, segue linee di sviluppo diverse, che non sempre trovano il riferimento al termine “sindacale” (associazioni di imprenditori, patronats, controparte padro- nale). Il tutto ha sullo sfondo il dato di origine, che è costituito dalla rivoluzione industriale. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 172 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 173 2. Modelli strutturali. Nei confronti dei vari contesti socio-economici, il s. si può configurare schematicamente secondo tre modelli strutturali: il modello antagoni- stico al sistema, riscontrabile principalmente alle origini e ancora ricorrente nei Paesi in via di sviluppo; il modello conflittuale nei confronti dell’autorità ai vari livelli, a partire dalla sede di lavoro dell’organizzazione produttiva e dalle comu- nità territoriali, fino al livello statuale; il modello partecipativo, ispirato ideal- mente a valori di – solidarietà, a politiche mirate all’integrazione collaborativa nelle trasformazioni più recenti dell’organizzazione del lavoro, nonché ad espe- rienze recenti di progetti relativi alla cosiddetta “economia di comunione”. 3. Configurazioni organizzative. Nel contesto italiano, la configurazione organiz- zativa del s. è determinata da una serie complessa di fattori, che rimandano a scelte ideologiche e ad elaborazioni dottrinali su aree più vaste della struttura eco- nomica, costituzionale e giuridica (Costituzione, artt. 39 e 40; Statuto dei Lavora- tori, L. 300/70). Non meno rilevanti risultano le motivazioni che hanno dato ori- gine, dal 1944 in poi, a scissioni interne al s. unitario, attraverso varie fasi evolu- tive con cui si sono strutturate le principali organizzazioni sindacali a livello na- zionale. Attualmente (secondo i dati socializzati dal “Corriere della Sera” del 28 gennaio 2004), la grande maggioranza dei s. dei lavoratori sono aggregati in tre organizzazioni presenti in tutti i settori del lavoro dipendente pubblico e privato: la CGIL (Confederazione Generale Italiana del Lavoro), che dichiara 5,4 milioni di iscritti, dei quali 2,9 pensionati; la CISL (Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori), che dichiara 4,1 milioni di iscritti, dei quali 2,1 pensionati; la UIL (Unione Italiana del Lavoro), che dichiara 1,8 milioni di iscritti, dei quali 500 mila pensionati. Si deve comunque rilevare che accanto alle citate Confederazioni Sin- dacali sono in forte aumento, dagli anni ‘80, altre organizzazioni: il CUB aggrega numerose sigle dei Cobas (sindacati di base), che dichiara – sul medesimo “Cor- riere della Sera” – 600 mila iscritti di cui 160 mila pensionati. Anche le associa- zioni degli imprenditori si sono strutturate nei diversi settori produttivi attraverso aggregazioni di rappresentanza facenti capo, a livello nazionale, soprattutto a Con- findustria, Confapi, Confagricultura. Bibl.: SS. GIOVANNI Paolo II, Lettera enciclica Laborem exercens, AAS 73 (1981), n. 20; ZANGHERI R., Storia del socialismo italiano, Torino, Einaudi, 1997; CELLA G.P., Il sindacato, Bari, Laterza, 1999; ROMANI M., Appunti sull’evoluzione del sindacato, Roma, Edizioni Lavoro, 2000; CEREJA F., Il movi- mento operaio torinese nella storia del secolo (materiali), Torino, Cesedi, 2001. P. Ransenigo SISTEMA FORMATIVO Sta ad indicare il complesso delle istituzioni che svolgono la funzione formativa e l’organizzazione della relativa offerta. L’espressione sottolinea l’idea che tali strut- ture costituiscano come un tutto, un’unità, un insieme che presenta regole e com- piti comuni. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 173 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 174 1. Il modello di riferimento. Benché nel mondo la varietà dei s.f. sia grande, tuttavia, da quando nel 1972 l’UNESCO ha lanciato il modello della formaz. per- manente (– FP continua), si può dire che tutti i Paesi vi hanno riconosciuto un quadro di riferimento (Faure et al., 1972; Delors et al., 1996). Questo ruota attorno a quattro assunti principali. Anzitutto, lo sviluppo integrale dell’uomo richiede il coinvolgimento lungo l’intero arco dell’esistenza, oltre che della scuola e della – FP, di tutte le agenzie formative in una posizione di pari dignità, anche se ciascuna di esse interverrà in tempi e forme diverse secondo la propria natura, la propria – metodologia e i propri mezzi (policentricità formativa). Il s.f. deve prevedere la possibilità di spezzare la sequenza della – formaz. in diversi tempi – in modo da rinviarne parte o parti a un momento successivo al periodo della giovinezza – e di alternare momenti di studio e di – lavoro (– alternanza, formazione lavoro). In terzo luogo, la formaz. è una responsabilità della – società intera, comunità e sin- goli, che sono chiamati a gestire democraticamente le iniziative formative (“cité educative”, o società educante). Infine, la formaz. dovrà costituire un diritto di tutte le persone e di tutti i popoli, presentare un carattere propositivo, offrire stru- menti per l’elaborazione di un – progetto personale di vita e stimolare l’educando a porsi in maniera critica e innovativa rispetto ai messaggi trasmessi e ai valori cir- colanti nella – società (formaz. liberatrice). 2. Le strategie di sistema. Essendo il problema nord/sud la questione più grave che l’umanità dovrà affrontare nel futuro prossimo, gli interventi sul piano mondiale diventano la priorità delle priorità. In altre parole, non è possibile pensare di risol- vere i problemi formativi sul piano locale se non si risolvono al tempo stesso i pro- blemi a livello mondiale, se non si riesce ad es. a ridurre in misura importante le diseguaglianze di opportunità formative tra i Paesi del nord e del sud. Un altro gruppo di strategie rientrano nel cosiddetto sistema integrato: questo si- gnifica il coordinamento tra le diverse strutture formative che consenta di valoriz- zare i rapporti di complementarità esistenti e di favorire transizioni complesse, in vista della realizzazione di sinergie generali e della creazione di una vera coerenza formativa. La “cité éducative” del Rapporto Faure (cioè che l’ – educ. è una responsabilità della società intera, comunità e singoli, che sono chiamati a gestire democraticamente le iniziative formative), o la tesi del rapporto Delors che l’educ. riguarda tutti i cittadini, resi ormai attori da consumatori passivi che erano prima, non si possono attuare partendo solo dallo spontaneismo della società civile, ma richiede anche un intervento del centro che dovrà dare l’impulso, offrire una guida e valutare l’attività della periferia (Faure et al., 1972; Delors et al., 1996). Non è pensabile che il mercato possa, lasciato a se stesso, correggere i propri limiti o che basti una specie di autoregolazione; è, invece, necessario che l’autorità politica si assuma tutta la responsabilità che le compete. 3. Intervento del privato. Lo Stato non è più in grado da solo di affrontare i pro- blemi formativi, ma la sua azione dovrà essere completata dall’intervento del “privato sociale” e del mercato, cioè bisogna ipotizzare una dinamica sociale a parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 174 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 175 tre dimensioni. Il “privato sociale” comprende le iniziative che, pur promosse da privati, sono finalizzate a scopi pubblici: pertanto, esse dovrebbero essere soste- nute dal denaro di tutti, sebbene non completamente, perché conservano sempre un carattere e una responsabilità privata. In terzo luogo, si dovrebbe fare ricorso al mercato libero per utilizzare anche le sue grandi risorse a condizione che siano garantite la qualità del servizio e l’eguaglianza delle opportunità. Da tale punto di vista bisognerebbe che venisse generalizzato il riconoscimento reale e pieno della libertà di educ. Questa può contare almeno su tre giustificazioni molto significa- tive: il diritto di ogni persona ad educarsi e a essere educata secondo le proprie convinzioni e il correlativo diritto dei genitori di decidere dell’educ. e del genere d’istruz. da dare ai loro figli minori; il modello della formaz. permanente (– FP continua), la cui attuazione è assicurata non solo dalle istituzioni formative statali, ma anche da una pluralità di strutture educative pubbliche o private che, in quanto operano senza scopo di lucro, hanno diritto di ricevere adeguate sovvenzioni statali; l’emergere nelle dinamiche sociali fra Stato e mercato di un “terzo settore” o del “privato sociale” che, creato dall’iniziativa dei privati e orientato a perse- guire finalità di interesse generale, sta ottenendo un sostegno sempre più consi- stente dallo Stato a motivo delle sue valenze solidaristiche. Bibl.: FAURE E., Learning to Be, Paris/London, UNESCO/Harrap, 1972; DELORS J. et al., L’éduca- tion. Un trésor est caché dedans, Paris, Editions UNESCO/Editions Odile Jacob, 1996; MALIZIA G., “Sistema formativo”, in J.M. PRELLEZO - C. NANNI - G. MALIZIA (Edd.), Dizionario di scienze del- l’educazione, Leumann (TO)/Roma/Torino, ElleDiCi/LAS/SEI, 1997, 1021-1022; AUGENTI A., Europa chiama scuola, Roma, Sermitel, 1998; DI AGRESTI C., Le politiche formative dell’Unione Europea, in “Orientamenti Pedagogici”, 46 (1999) 3, 441-448; MALIZIA G. - C. NANNI, “Istruzione e formazione: gli scenari europei”, in CIOFS/FP - CNOS-FAP (Edd.), Dall’obbligo scolastico al diritto di tutti alla formazione: i nuovi traguardi della Formazione Professionale, Roma, Tipografia Pio XI, 2002, 15-42. G. Malizia SISTEMA PREVENTIVO 1. La ped. che sorregge la – FP salesiana, pur con le diversità dei tempi, dei luoghi e delle azioni formative, si rifà agli stili della tradizione educativa salesiana, glo- balmente compresi in quello che viene detto s.p. La formula era già usata in altre nazioni (Francia, Belgio), ma con don Bosco, specie dopo la pubblicazione de Il s.p. nell’educ. della gioventù (1877) assunse un significato specifico, venendo ad evidenziare soprattutto un modo di educare in cui non si reprimono mancanze od errori, ma piuttosto si fa in modo che non accadano, promovendo tutto ciò che con- tribuisce ad un buono sviluppo umano degli educandi. In ciò, per un verso, don Bosco si collocava in quel movimento, tipico dopo il Congresso di Vienna (1815), per cui preservare, proteggere, ma anche preparare, premunire, illuminare, istruire, promuovere erano “imperativi” (o perlomeno “infinitivi”) con cui molti volevano caratterizzare la politica, l’economia, la vita giuridica e sociale e l’ – educ.; per parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 175 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 176 altro verso, don Bosco continuava ed innovava l’inesausta tradizione caritativa cri- stiana dell’età moderna a favore della gioventù, specie quella delle classi popolari o in condizione di disagio (“gioventù povera ed abbandonata”, “giovani poveri e peri- colanti”), educandoli con stili improntati ai principi evangelici dell’amore e della misericordia. Don Bosco, ha saputo dare a queste prospettive un’anima ed una certa unità ideale, com’ebbe a dire nel 1920 il pedagogista idealista Lombardo Radice. 2. Nel corso della tradizione educativa e formativa salesiana, già vivente don Bosco, non sono mancati momenti di difficoltà, ma a tutt’oggi certi aspetti del s.p. sembrano avere una loro forza propositiva (non senza aggiustamenti e adegua- menti pratici e teorici, pedagogici e teologici). In estrema sintesi, questi punti forza si possono così elencare: l) il s.p. si pone nell’orizzonte della ricerca del bene dei giovani, non in astratto: il bene spirituale (“Da mihi animas”), si concretizzò in don Bosco nell’essere “prete dei giovani”, vicino a loro, sensibile alle loro esi- genze (di sicurezza, – istruz., – lavoro, ma anche di gioia, vitalità, bisogno di af- fetto, di amicizia, di accompagnamento autorevole e orientativo, ecc.); 2) il s. p. si fonda sulla fede evangelica della benignità e della paternità misericordiosa di Dio. Per questo don Bosco propose la benigna amabilità e lo zelo esuberante di s. Fran- cesco di Sales ad esempio dei suoi collaboratori e lo volle protettore della sua con- gregazione di preti e laici (e poi di quella che ancora oggi è chiamata “famiglia salesiana”); 3) alla base del s.p. c’è la convinzione della grandezza e fragilità del ragazzo e della sua dignità di persona e di figlio di Dio, che portava don Bosco a dire: “senza di voi non posso far nulla”; 4) pur non facendosi illusioni romantiche alla Rousseau, il s.p. parte dall’idea che in ogni ragazzo, anche il più traviato, c’è “un punto accessibile al bene” e stimola gli educatori a mantenere un tono proces- suale di fiducia e di speranza nell’uomo e nella provvidenza di Dio: in tal senso don Bosco ripeteva ai suoi collaboratori il “niente ti turbi” che fu di Gesù, di s. Paolo, di s. Teresa d’Avila, di s. Francesco di Sales; 5) lo stile di intervento nei confronti dei giovani è improntato non solo alle motivazioni profonde che discen- dono da una visione religiosa della vita (– “religione”), ma anche a ragione, ragio- nevolezza ed amorevolezza (cfr. le frasi attribuite a don Bosco: “l’educazione è questione di cuore”; “studia di farti amare”; “non basta amare i giovani, ma bi- sogna che sappiano di essere amati”); 6) la relazione educativa è realizzata sotto forma di presenza attiva ed amichevole, al fine di favorire l’iniziativa, invitare a crescere nel bene, incoraggiare a liberarsi da ogni schiavitù, affinché il male non superi e non vinca le forze migliori degli individui e del gruppo (“assistenza” e “preventività”); 7) la vita e l’ – ambiente educativo è esemplato sulla struttura, le dinamiche, le funzioni e lo “spirito di famiglia”, in modo tale che ciascuno si possa sentire “a casa sua”; 8) fin dagli inizi l’opera educativa di don Bosco fu finalizzata a formare “buoni cristiani ed onesti cittadini”, che si “guadagnassero il pane con il proprio lavoro”. Tale quadro finalistico, con il crescere dell’opera salesiana, si di- latò sempre più nella linea di un progetto-uomo, che coniugasse insieme “lavoro, religione, virtù” e di un progetto-società, che ricercasse pietà, moralità, cultura, parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 176 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 177 civiltà: parametri simili, insieme civili e religiosi, sono tipici del s.p., pur nella linea di fedeltà ed innovazione (cfr. l’espressione: “con don Bosco e con i tempi”). 3. Quest’“anima” del s.p. trova il suo “corpo”, cioè la consistenza istituzionale nel- l’“oratorio”. Esso non era nuovo come istituzione catechetica-educativa (cfr. s. Filippo Neri e s. Carlo Borromeo); ma con don Bosco, diventa un’istituzione educativa globale e paradigmatica. In tal senso, l’oratorio di Valdocco, come di- cono le Costituzioni rinnovate dei salesiani, fu (ed ogni istituzione salesiana è chiamata ad essere) per i giovani “casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia alla vita e cortile per incontrarsi con gli amici e vivere in alle- gria”. Parimenti, la tradizione educativa salesiana del s.p. ha prodotto un “arma- mentario” pedagogico ed è sempre attento a produrre creativamente e contestual- mente “dispositivi” e supporti, che vanno dall’organizzazione dell’ – ambiente, alla regolamentazione della vita comunitaria, di gruppo, di massa; all’insieme delle attività ricreative, ludiche, fisiche, culturali, religiose (banda, teatro, squadre spor- tive, gruppi ricreativi, associazioni formative, ecc.); alla scansione dei tempi di festa e della quotidianità giornaliera, settimanale, periodica, annuale; al vivo senso di coinvolgimento, di corresponsabilità, di partecipazione di tutti ed ognuno nella vita del centro educativo; all’uso ricorrente di momenti rituali e di momenti di spontaneità e di svago; al ricorso a forme di – comunicazione di massa o indiretta e a forme di comunicazione interpersonale diretta e profonda; e globalmente, ad un vivace rapporto tra istituzione educativa e territorio. Bibl.: VECCHI J. - J.M. PRELLEZO (Edd.), Prassi educativa pastorale e scienze dell’educazione, Roma, Editrice SDB, 1988; BRAIDO P. (Ed.), Don Bosco educatore. Scritti e testimonianze, Roma, LAS, 1992; BRAIDO P., Prevenire non reprimere. Il sistema educativo di don Bosco, Roma, LAS, 2000; WIRTH M., Da don Bosco ai nostri giorni, Roma. LAS, 2000; PRELLEZO J.M., Sistema educa- tivo ed esperienza oratoriana di don Bosco, Leumann (TO), ElleDiCi, 2000; STELLA P., Don Bosco, Bologna, Il Mulino, 2001; NANNI C., Il sistema preventivo di don Bosco, Leumann (TO), ElleDiCi, 2003. C. Nanni SISTEMA PRODUTTIVO Con l’espressione s.p. si tende solitamente indicare, a livello micro, il modo in cui è organizzato l’insieme dei fattori di produzione, tra i quali rientrano senz’altro le risorse finanziarie (capitali), tecnologiche (attrezzature, impianti, ma anche sistemi logistici), quelle relative alla conoscenza (know how), e infine le – risorse umane (forze di – lavoro). Tale espressione è inoltre certamente utilizzata, a livello macro, per descrivere complessivamente la struttura economico-produttiva di un Paese. 1. L’attuale riflessione sui differenti modelli di produzione prende le mosse dal- l’ormai appurata crisi del fordismo, ovvero di quella organizzazione scientifica del lavoro pensata come one best way e caratterizzata dal controllo razionale dei tempi parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 177 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 178 e dei movimenti, dalla parcellizzazione e semplificazione delle – mansioni, dalla separazione tra la progettazione (concezione) e l’esecuzione (manuale), e dalla conseguente dequalificazione di un lavoro che diviene intercambiabile; tutto ciò in virtù dell’idea che esiste sempre un modo migliore – individuabile appunto con metodi scientifici – per compiere qualsiasi tipo di azione e risolvere problemi di varia natura. Sui fattori di successo di tale sistema di produzione – che nel dopo- guerra ha favorito l’incremento della produttività, la creazione di posti di lavoro tendenzialmente stabili che hanno assicurato un aumento dei livelli di reddito e, di conseguenza, il dilatarsi dei consumi – si è innestato, nel corso degli anni ‘70, il venir meno di quei meccanismi di regolazione di tipo istituzionale che ne avevano decretato le fortune: entra infatti in crisi il welfare state, vengono ad esaurirsi al- cuni cicli tecnologici, le ricorrenti crisi petrolifere aggravano il deficit di efficacia delle politiche pubbliche keynesiane, cresce il “costo economico” della protesta operaia, iniziano a manifestarsi i primi segni di una logica produttiva che sorpassa i confini nazionali. 2. L’uscita di scena del sistema di produzione fordista saluta l’affacciarsi alla ri- balta di nuovi modelli, definiti “post-fordisti”, e riconducibili essenzialmente alla specializzazione flessibile, da un lato, alla produzione snella e alla diversificazione di qualità dall’altro. Nel primo caso, si tratta dell’affermarsi di un paradigma pro- duttivo decisamente opposto a quello fordista, in quanto centrato sulle – imprese di piccole dimensioni, destandardizzate, caratterizzate da processi di produzione flessibili e rapidamente orientabili alle esigenze del mercato (– mercato del la- voro). Il caso più significativo di sistema a specializzazione flessibile è quello dei distretti industriali italiani, ovvero quel sistema indicato come “terza Italia” (Ba- gnasco, 1977), e per il quale si è parlato di second industrial devide (Piore - Sabel, 1987). A distinguere tale modello dal paradigma fordista sta l’innalzamento del livello di fiducia e collaborazione – facilitato dal radicamento in una comune cul- tura produttiva locale – tra imprenditori e dipendenti, la qualificazione on the job dei lavoratori stessi – che consente loro di saper svolgere più funzioni e di assu- mere delle iniziative tese a migliorare il processo di produzione –, nonché un certo grado di informalità nella regolazione dei rapporti di lavoro. 3. L’elemento della flessibilità è comune anche al modello della produzione snella (lean production) concettualizzato a partire dagli studi sui processi di ristruttura- zione delle fabbriche della Toyota. L’obiettivo della – qualità “totale”, al perse- guimento del quale i dirigenti dell’azienda nipponica si votarono, fu raggiunto attraverso una meticolosa ottimizzazione del processo di produzione, grazie alla quale si puntò ad economizzare su ogni componente tecnologica ritenuta ridon- dante, ordinando la produzione per piccoli lotti, programmando rigidamente le quantità per singolo periodo così da “azzerare” le scorte di magazzino, ed esten- dendo – attraverso rapporti fiduciari o di controllo diretto – questi stessi principi ai propri fornitori. Il punto di forza del modello, e l’elemento che ne determinò il successo, fu comunque il coinvolgimento diretto dei lavoratori nel miglioramento parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 178 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 179 del ciclo produttivo e la loro adattabilità/polifunzionalità alle esigenze del- l’azienda. Preparazione e polivalenza dei lavoratori sono, infine, punti di forza del modello della produzione diversificata di qualità, che mira a “coniugare la produ- zione su larga scala con la realizzazione di prodotti che si collocano sui segmenti “alti” del mercato, con l’obiettivo di rispondere alle domande di una clientele selettiva ed esigente attraverso [...] l’elevato standard di realizzazione, la diversifi- cazione e la personalizzazione dei prodotti” (Lodigiani - Martinelli, 2002, 21). Bibl.: BAGNASCO A., Tre Italie. La problematica territoriale dello sviluppo italiano, Bologna, Il Mulino, 1977; PIORE M. - C. SABEL, Le due vie allo sviluppo industriale, Torino, Isedi, 1987; BUTERA F., Il castello e la rete, Milano, Franco Angeli, 1991; KERN H. - M. SCHUMANN, La fine della divi- sione del lavoro? Produzione industriale e razionalizzazione, Torino, Einaudi, 1991; BONAZZI G., Storia del pensiero organizzativo, Milano, Franco Angeli, 1998; LODIGIANI R. - M. MARTINELLI (Edd.), Dentro e oltre i post-fordismi, Milano, Vita e Pensiero, 2002. M. Colasanto SISTEMA QUALITÀ – Qualità; – Accreditamento SOCIETÀ Un primo problema che si presenta a chi voglia studiare la s. è un problema innan- zitutto di definizione. Il concetto di s. infatti è un concetto polisemico, di difficile precisazione perché di vastissima estensione, una di quelle categorie che da oltre due millenni ricorre con grande frequenza e varietà di significati sia nel linguaggio comune che nei linguaggi specializzati della filosofia, del diritto, dell’economia, della politica, della storiografia, della sociologia e delle altre scienze sociali. In un modo o in un altro, tutte le discipline dell’uomo hanno tra i loro oggetti di osserva- zione o di contesto il costrutto s. In particolare nelle scienze socio-politiche, attra- verso la sua concettualizzazione, l’uomo cerca di comprendere la realtà sociale, così da avere strumenti simbolici di controllo per studiarla e quindi governarla. In questo saggio molto sintetico, noi ci collochiamo in una prospettiva prevalente- mente sociologica e con un approccio globale e olistico. In senso molto ampio, una s. può essere definita come un insieme di persone, organizzate in una serie di gruppi e istituzioni in relazione tra di loro, che tendono a conservarsi nel tempo e che condividono una medesima cultura per lo più abbastanza omogenea. In senso più ristretto, si parla di s. come un sistema di sistemi (Gallino, 1980, 41), in intera- zione tra di loro, sulla base di due leggi, quelle della interdipendenza e delle reci- procità, e individuabili nei quattro sistemi della persona, della popolazione, della cultura e del sistema sociale. 1. Il sistema sociale propriamente detto costituisce la dimensione strutturale di ogni s., che viene perciò teoricamente articolata secondo altrettanti settori distinti parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 179 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 180 di attività, ciascuno dei quali presiede ad una serie di funzioni specifiche, chiara- mente definibili. In ogni s. possiamo così individuare: a) il sistema dell’organizza- zione politica che tende ad assicurare il controllo unitario della s., costruendone e orientandone gli scopi collettivi e l’azione sociale, per far fronte alle esigenze ge- nerali di difesa esterna, mantenimento dell’ordine interno, ricerca della coesione sociale, rilevazione delle molteplici e contrastanti domande politiche della popola- zione; b) il sistema di produzione economica che, attraverso una adeguata strumen- tazione tecnologica, presiede all’acquisizione, trasformazione e distribuzione delle – risorse umane, materiali ed energetiche, così da offrire una serie di prodotti che garantiscono la sopravvivenza del sistema generale; c) il sistema della riprodu- zione socio-culturale, che ha il compito di operare la trasmissione della memoria sociale di un gruppo umano, di quella serie cioè di norme, valori e stili di vita, di conoscenze cognitive, informative e prescrittive, che hanno costituito la cultura del passato, ma sulla cui base si vengono ad elaborare e diffondere definizioni, istru- zioni, norme e valori che riguardano l’esistenza individuale e sociale, oltre che ad essere diretti a costruire dei sistemi di significato capaci di orientare il comporta- mento e l’interazione sociale, attraverso la formaz. del linguaggio, la – comunica- zione verbale e massmediatica, il particolare orientamento religioso (– religione); d) il sistema della riproduzione biopsichica, che provvede alla riproduzione biolo- gica e alla cura della salute mentale della popolazione, ne regola l’interazione sociale, le dinamiche relazionali soddisfacenti, i rapporti sessuali, le cure fisiche dei figli, l’assistenza e la cura medica specie dei bambini e degli anziani in base specialmente alle condizioni definite dalle istituzioni e dalla cultura locale. 2. Evoluzione storica degli studi sulla s. La categoria sociologica di s., emersa peraltro soltanto in questi due ultimi secoli, per opera di Comte, di Durkheim, di Tonnies, e dei sociologi moderni, è stata preceduta da una storia molto antica, che affonda le sue origini nella filosofia. Già la riflessione teoretica di Platone tende a considerare la s. come una risposta funzionale e organizzata ai diversi bisogni del- l’uomo. Anche Aristotele propugna la concezione dell’uomo naturalmente socie- vole, che sarà poi ripresa dalla filosofia sociale e politica di san Tommaso, con il quale si diffonde la concezione della s. come totalità organica e sistema di relazioni naturali, il cui ordine è voluto e regolato da un fine comune trascendente quelli indi- viduali, che è il bene comune. Esso è sovrafunzionale all’individuo e si manifesta nello Stato. In opposizione alla concezione della s. come ordine naturale, si colloca Hobbes, il quale afferma la naturale tendenza degli uomini a danneggiarsi l’un l’altro, aprendo così il pensiero alla concezione contrattualistica della s., secondo cui per evitarne la distruzione è necessario un – contratto, che artificialmente deli- miti le esigenze e le pretese di ciascuno. Per mezzo di esso ogni individuo libera- mente cede il suo diritto di usare la forza a favore di un terzo, cioè lo Stato, che sulla base di un calcolo razionale garantisce l’incolumità dei suoi membri. Vi è qui una prima opposizione tra la s.-natura e la s.-istituzione. A quest’ultima, Rousseau contrapporrà la s.-natura, con l’esaltazione del vivere primitivo, dove la natura ori- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 180 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 181 ginariamente buona si è corrotta attraverso la costituzione della collettività. Nel corso del ‘700, appaiono le elaborazioni teoriche sul sociale di filosofi come Kant e di economisti come Montesquieu, Smith e Ferguson, dove si pongono preliminar- mente le basi teoriche della distinzione tra s. civile e s. politica. Si dovrà aspettare l’‘800 per trovare una teoria specifica del sociale distinta da quella del pensiero filo- sofico. Comte, segretario di Saint Simon, inizierà a investigare la s. con l’approccio specifico di una scienza che chiamerà “fisica sociale” prima, e “sociologia” poi. In questo contesto la s. diventa oggetto di uno studio particolare, che userà una – me- todologia speciale, quella empirica e positiva, abbondantemente utilizzata dai “padri fondatori” della sociologia come Tocqueville, Durkheim, Pareto, Weber, Tonnies, Marx e Spencer. Da questo punto, lo studio della categoria “s.” diventerà sempre più specifico per opera di scuole come il funzionalismo, la teoria critica della Scuola di Francoforte ed il conflittualismo, oltre che per l’apporto dei sociologi moderni e contemporanei, come Parsons, Gurvitch, Merton, Rimmel, Ardigò, Habermas, Luhmann, Dahrendorf, Giddens, Featherstone, Beck, Bauman. 3. Tipologie di s. In apertura parlavamo di una pluralità di significati sottesi al con- cetto di s. Al termine del nostro studio, possiamo individuare una pluralità di tipi specifici che presentano la poliedricità di questo concetto e sono individuati sulla base dei criteri di distinzione e di approccio utilizzati. Per cui se della s. noi pren- diamo in considerazione la sua struttura politica ed economica possiamo parlare di s. civile e s. politica; di s. agricola, preindustriale, industriale e post-industriale; di s. di massa e di s. globale; di s. a libero mercato e di s. ad economia controllata; di s. capitalista e di s. socialista; di s. Gemeinschaft e di s. Gesellschaft; di s. rurali e s. urbane. Se ci soffermiamo invece su un approccio che ne studi specialmente le tendenze culturali in genere, gli stili di vita, gli orientamenti del costume, l’orga- nizzazione del lavoro, l’integrazione o la differenziazione sociale, la dimensione religiosa, possiamo individuare dicotomie polarizzate come s. semplici e s. com- plesse; s. integrate e s. multiculturali; s. sacrali e s. secolarizzate; s. tradizionali e s. moderne o postmoderne. Per l’esigenza di aderire il più possibile alla variegata complessità della realtà storica senza rinunciare ai benefici di una tipizzazione, si è giunti, sulla base poi di caratteristiche emergenti e particolarmente tipiche di un certo periodo storico, ad elaborare una lettura della s. dalle configurazioni più di- verse, come la s. dei consumi, la s. dell’immagine, la s. dell’incertezza, la s. globa- lizzata, la s. liquida, la s. del rischio, la s. mondiale, la s. opaca, la s. flessibile, la s. opulenta, la s. virtuale, la s. comunicazionale, la s. relazionale. In ogni caso però se è abbastanza facile tipicizzare la società odierna non si dovrà trascurare la sua di- mensione dinamica e di modernizzazione, che guida il movimento storico, le tra- sformazioni sociali e quella serie dei processi di cambiamento sociale che oggi sembrano acquistare sempre più accelerazione e differenziazione. Bibl.: GALLINO L., La società, perché cambia, come funziona, Torino, Paravia, 1980; DONATI P., La teoria relazionale della società, Milano, Franco Angeli, 1991; BAGNASCO A. - M. BARBAGLI - A. CAVALLI, Corso di Sociologia, Bologna, Il Mulino, 1997; INGLEART R., La società postmoderna, Roma, Editori Riuniti, 1998; BECK U., La società del rischio. Verso una seconda modernità, Roma, parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 181 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 182 Carocci, 2000; DONATI P., La cittadinanza societaria, Roma-Bari, Laterza, 2000; GUBERT R. (Ed.), La via italiana alla postmodernità. Verso una nuova architettura dei valori, Milano, Franco Angeli, 2000; BEDESCHI G. (Ed.), Enciclopedia delle scienze sociali, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, voll. 1-9, 1991-2001; DONATI P. - I. COLOZZI (Edd.), Generare il civile: nuovi scenari nella società italiana, Bologna, Il Mulino, 2001; BAUMAN Z., La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza, Bologna, Il Mulino, 2002. R. Mion SOCIOLOGIA DEL LAVORO La s.d.l., secondo la definizione che ne dà Gallino, “studia, da un lato le variazioni dell’organizzazione, della qualità, del valore del lavoro in differenti settori produt- tivi – industria, agricoltura, amministrazioni, ecc. – e professionali, mettendole in rapporto col variare del modo di produzione, della tecnologia, della struttura tec- nica ed economica delle aziende, del tipo e grado di organizzazione sindacale dei lavoratori, delle forme di dominio politico ed economico, della composizione bio- sociale della popolazione (piramide d’età, sesso, scolarità, ecc.); dall’altro lato, gli effetti che i cennati aspetti del lavoro hanno sulle collettività dei lavoratori, sulla stratificazione sociale, sull’uso del tempo libero, sull’estensione della civiltà, in- fine sulla qualità della vita” (Gallino, 1993, 389). 1. Nel corso degli anni ‘90, nel nostro Paese ma non solo, alle discipline socio- lavoriste è riconosciuto il fatto di aver acquisito piena maturità e legittimazione, tanto dal punto di vista scientifico e accademico, quanto sotto il profilo politico e istituzionale. Il contesto in cui si muove la disciplina, tuttavia, continua a perma- nere problematico proprio in virtù delle profonde trasformazioni che interessano il suo oggetto di studio. Un criterio utile ad orientarsi nel vasto campo delle prospet- tive analitiche e dei materiali prodotti dalla riflessione sociologica sul – lavoro in Italia prevede di organizzare la letteratura intorno ad alcuni filoni tematici princi- pali (Colasanto, 2002). 2. Il primo filone di analisi riguarda l’organizzazione del lavoro e le nuove forme di regolazione. In esso confluiscono anzitutto gli studi di quegli autori che si sono occupati della trasformazione del – sistema produttivo delle aziende seguita alla crisi del modello fordista, e dunque all’emergere di nuovi paradigmi post-fordisti. Anche da ciò deriverebbe l’importanza attribuita al tema – che ha progressiva- mente assunto un ruolo sempre più centrale – della partecipazione dei lavoratori nell’ – impresa e delle forme che essa assume. Nel corso del decennio ‘90, accanto alla valorizzazione del lavoro umano si pongono tuttavia processi sempre più marcati di precarizzazione delle posizioni lavorative. La flessibilità del lavoro – ma anche delle stesse dimensioni strutturali dell’impresa – è intesa come risposta e capacità di adattamento alle modificazioni del rapporto tra domanda e offerta, tra consumo e produzione. L’accento sulla flessibilità spinge alcuni autori ad interes- sarsi degli inediti scenari del lavoro autonomo, entrato ormai in quella che è stata parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 182 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 183 definita come una seconda generazione, determinata non tanto dalla libera scelta degli individui, quanto dalla nuova domanda di lavoro proveniente proprio dalle imprese ristrutturate alla luce dei differenti modelli di uscita dai sistemi di produ- zione fordisti. La precarietà che ne deriva riporta in auge anche il tema delle – risorse umane, della loro occupabilità e del ruolo che a proposito di questa svolge la – formaz. 3. Il secondo filone di analisi prende in considerazione le nuove politiche dell’oc- cupazione, e si compone soprattutto di quelle riflessioni in merito alla disoccupa- zione italiana che invitano a superare letture riduzionistiche del – mercato del la- voro e a porre in evidenza le peculiarità di quella merce sui generis rappresentata dal lavoro. 4. Un terzo filone al quale ricondurre la più recente letteratura socio-lavorista fa capo ai contenuti del lavoro, con particolare riguardo al tema della conoscenza e della – professionalità, e scaturisce dalla presa d’atto dell’importanza delle – competenze di tipo motivazionale e cognitivo che le occupazioni ad elevato conte- nuto professionale oggi richiedono. Tale attenzione sfocia da un lato nello studio delle libere professioni e dei lavoratori “della conoscenza”, e trova un rinnovato fuoco di interesse per il concetto di gruppo professionale, anche per via del suo stretto legame con il tema della stratificazione sociale; dall’altro, tende a superare ogni interpretazione del lavoro di tipo deterministico (su base tecnologica o ideolo- gica) per valorizzare gli aspetti di senso: così, Arendt (il lavoro come azione che valorizza le dimensioni soggettive in contrapposizione al lavoro come opus); e così soprattutto Donati (il lavoro come relazione, che acquista significato nel rapporto che si stabilisce tra soggetti, oltre ogni lettura meramente economicistica, legata a transazioni di puro mercato). 5. Un quarto filone di analisi, infine, pone attenzione al rapporto tra lavoro e mu- tamento della – società, portando in evidenza le basi sociali del processo di trans- izione ed in particolare il ruolo in esso giocato dalle società locali. La consistente – e certamente non conchiusa – riflessione sviluppatasi in proposito anche a par- tire dalla valorizzazione dei concetti sviluppati dalla cosiddetta “nuova s. econo- mica”, oltre ad aver approfondito tematiche ad essa legate – come ad es. quella delle caratteristiche e della funzione del lavoro degli immigrati – ha contribuito ad elaborare letture più articolate dell’economia e della società italiana e della loro trasformazione. Bibl.: ARENDT H., Vita activa. La condizione umana, Milano, Bompiani, 1964; GALLINO L., “Lavoro, Sociologia del”, in ID., Dizionario di sociologia, Torino, UTET, 1993, 389-398; KERGOAT J. et al., Le monde du travail, Paris, Éditions La Découverte, 1998; DONATI P., Il lavoro che emerge, Torino, Bollati Boringhieri, 2001; COLASANTO M., “La sociologia del lavoro in Italia: elementi per una riflessione”, in G. BONAZZI - M. LA ROSA - V. PULIGNANO (Edd.), Sociologia del lavoro e studi organizzativi. Lo stato del dibattito in Italia ed in Gran Bretagna, Milano, Franco Angeli, 2002, 191-208. M. Colasanto parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 183 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 184 SOLIDARIETÀ Nel linguaggio italiano corrente la parola s. fa riferimento ai rapporti di comu- nanza tra persone pronte a collaborare tra loro e ad assistersi a vicenda nella piena condivisione dei casi e delle responsabilità, all’insieme dei legami di comunanza sussistenti tra gli esseri umani e la – società di cui fanno parte, a situazioni di condivisione di pareri, idee, ansie, paure, dolori, ecc. Il suo uso è aumentato a dis- misura negli ultimi decenni del Novecento: ad esso fanno riferimento i – sinda- cati e altre organizzazioni dei lavoratori, le chiese cristiane, – associazioni, partiti politici e governi. 1. Principali significati del concetto di s. Il concetto di s. si è sviluppato soprat- tutto nel XIX e XX sec. È stato preceduto dal concetto di “fratellanza”, di ispira- zione cristiana, che ha esercitato una influenza culturale profonda e durevole nella società occidentale sia nella sfera religiosa che laica. Negli anni ‘60 dell’Otto- cento, in Francia si afferma il concetto di s. come “s. operaia”, basata sulla ugua- glianza della condizione sociale e degli interessi che ne derivano, che unisce i la- voratori salariati nella lotta per l’affermazione di tali interessi. Alla fine del sec., il concetto assume ulteriori significati: oltre a s. di tutti i lavoratori salariati (ambito del movimento operaio), s. è anche la coesione sociale (ambito sociologico) e s. sociale tra i membri della collettività (ambito della teoria sociale e politica), con- cetto che pone la base della politica sociale e della sua prassi, distinta dall’assi- stenzialismo. Si fa strada così, gradualmente, l’idea di realizzare l’eguaglianza del cittadino sociale e di conseguenza la s. della società nel suo complesso. Il Nove- cento è stato definito anche il “secolo della cittadinanza sociale” (Zoll, 1998, 246): le politiche sociali sono state interpretate sempre più come un diritto piut- tosto che forme di carità o di altruismo. L’avvio di un nuovo periodo di s., detto anche di s. organica, è di questi decenni ed è motivato dai segnali di crisi che si sono manifestati sia nelle forme dello Stato sociale che negli ambiti della s. ope- raia. Nel concetto di s. organica rimane l’aspirazione alla giustizia sociale e al su- peramento delle disuguaglianze tradizionali, però il nuovo concetto vuole coniu- gare i bisogni della soggettività, dare soddisfazione alle esigenze individuali, va- lorizzare il diritto di ciascuno alla differenza, assicurando a ciascuno la possibilità di attuare le proprie opportunità in collaborazione con gli altri. In questa ottica, il concetto di s. si lega strettamente con il concetto di “corresponsabilità”. Il pro- fondo ripensamento dello Stato sociale fa emergere nuove ipotesi: si mira a riqua- lificarlo puntando alla realizzazione di una “società solidale”, fondata su uno Stato “garante-promotore” piuttosto che “garante-organizzatore”; si mira, in secondo luogo, al potenziamento del privato sociale, cioè, al complesso delle atti- vità di produzione di beni e servizi, condotte senza scopo di lucro, ma con finalità di servizio sociale, e attivate da privati, per arrivare a una nuova dinamica sociale; si cerca di diffondere, infine, la cultura della s. che realizzi un salto di qualità da una s. passiva, deresponsabilizzante, assistenziale, ad una s. attiva, promozionale, responsabilizzante. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 184 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 185 2. S. nella dottrina sociale della Chiesa. Il principio di s., di – sussidiarietà, per- sonalistico e del bene comune costituiscono la “grammatica etica” della dottrina sociale della Chiesa, sorta in concomitanza della “questione sociale”, esplosa con la rivoluzione industriale. Con l’evolversi della “questione sociale” si è evoluto anche il concetto di s., passando dalla natura intrinsecamente sociale della per- sona, alla dimensione sociale della proprietà privata, alla s. come esigenza intrin- seca della universale destinazione dei beni, alla s. come valore in sé, come co- scienza e virtù morale, necessaria per dare dimensione umana all’interdipendenza che oggi unisce tra loro uomini e nazioni. Oggi, in seguito alla “crescente consa- pevolezza della interdipendenza tra gli uomini e le nazioni”, la s. si è “trasformata in coscienza e ha acquistato così connotazione morale”. La s. non può più essere scambiata con un “sentimento di vaga compassione o di superficiale inteneri- mento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determina- zione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti” (Sollecitudo rei socialis, n. 38). Il principio di s., già condivisibile dalla retta ragione e da tutti gli uomini di buona volontà, trova il suo sostegno nella coscienza religiosa: come il senso religioso rafforza la coscienza della dignità trascendente della persona, scorgendo in essa l’immagine stessa di Dio, parimenti il senso religioso rafforza pure la coscienza naturale della s., trasformandola da filantropia in carità. Essa spinge le persone a compiere scelte coraggiose e anche eroiche per il bene altrui, fino alla condivisione volontaria della indigenza, per aiutare i poveri ad essere gli artefici della propria elevazione; nello stesso tempo, la s. completa e rende più umana la giustizia. 3. S. e FP. Il sistema di FP (– sistema formativo) in Italia nasce con la L. 264, del 29.04.1949, con forti caratterizzazioni di s. sociale, in quanto strumento concepito per la “qualificazione e riqualificazione di disoccupati, di lavoratori in soprannu- mero nelle aziende, di emigrati”. Era la risposta di aiuto sociale e professionale ai giovani che, non potendo compiere un percorso scolastico “normale”, rischiavano l’emarginazione e l’esclusione dalla società (– esclusione sociale) e dal – lavoro. Anche nei decenni successivi la FP, soprattutto quella espressa dal mondo catto- lico, che si è caratterizzata con – proposte formative che coniugavano prepara- zione tecnico-professionale, formaz. generale e sensibilità educativa, è cresciuta nell’ottica della s. Ancora oggi la FP, attraverso un proprio progetto unitario che assume, come criterio centrale delle proprie scelte, il valore universale della per- sona con la sua educabilità e la sua apertura all’orizzonte dello spirito, anche attra- verso il lavoro, è scuola di s. e strumento di cooperazione sia all’interno di un Paese sia nel rapporto tra Paesi ricchi e Paesi poveri. 4. S. ed educaz. alla s. nella FP. L’educaz. alla s. oggi è un tema fondamentale. Essa mira a formare uno stile globale di vita che definisce l’ – identità della per- sona, l’insieme delle sue interazioni con gli altri e la partecipazione alla vita sociale, politica ed ecclesiale. L’ambiente educativo cardine nella FP è il lavoro, parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 185 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 186 inteso nella sua concezione olistica ed educativa: si rivela, infatti, come opera, azione personale e sociale, pensiero dell’uomo. Attraverso il lavoro la persona si confronta con la storia viva della civiltà, vive relazioni significative con gli altri, conosce ed esprime se stessa, agisce sulla realtà apportando ad essa un valore ed acquisendo in tale dinamica sempre nuove – competenze. In questo orizzonte, un itinerario di educaz. alla s. può prevedere la cura della interiorità della persona, del mondo delle relazioni interpersonali, l’educaz. alla partecipazione personale e cor- responsabile nella società civile, politica ed ecclesiale, per contribuire alla crescita di una convivenza e di un – ambiente dal volto umano, il dialogo con la cultura e la civiltà, aiutando le persone a superare ogni precoce fissazione mentale, ad essere flessibili e aperti nel pensare e nel giudicare e a impegnarsi nell’elaborazione di una cultura dell’accoglienza nell’ottica della s. Bibl.: SS. GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Sollecitudo rei socialis, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1987; ZOLL R., Solidarietà, in “Enciclopedia delle Scienze Sociali. vol. VIII”, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, 1998, 240-255; TOSO M., Umanesimo sociale. Viaggio nella Dottrina Sociale della Chiesa e dintorni, Roma, LAS, 2002; NICOLI D. (Ed.), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione profes- sionale, Roma, Tipografia Pio XI, 2004. M. Tonini SPERIMENTAZIONE La s. è l’insieme delle operazioni esplorative, interpretative, conoscitive intraprese dallo studioso, per dare fondamento scientifico al suo essere nel mondo. Essa è procedimento rigoroso di controllo di principi e fatti. Si distingue da esperienziale, empirico, euristico, laboratoriale, condividendo con questi termini l’esigenza me- todologico-sistematica. 1. Williams apre a Londra (1773) la prima scuola sperimentale guidato dall’idea illuminista di rinnovare l’ – educ. Nel corso della storia, alla verità teologica e a quella metafisica si sono aggiunte la dialettica e la – metodologia, portatrici di vie altre, capaci di illuminare il dato fenomenico con suggestioni, ipotesi, falsificazioni. Se nell’antichità classica filosofi, teologi, astronomi e matematici, pongono do- mande e avanzano soluzioni, in epoca a noi più prossima le assillanti questioni circa la presenza dell’uomo sulla terra e le controverse attribuzioni causali, utili alla spie- gazione dei fatti, rivoluzionano la prospettiva di analisi. Non basta conoscere, è ne- cessario anche capire; non basta riprodurre, è anche importante ripercorrere i pro- cessi; non basta trasmettere, è fondamentale anche trasformare. Sul piano empirico, il dogma s’infrange di fronte alla mentalità sperimentale che vuole provare la verità di principi, ragionamenti e leggi con strumenti attendibili, prove valide e misura- zioni adeguate. Curiosità per l’incognito, rigore della matematica, desiderio di co- municare scoperte inattese, conducono Galilei (1564-1626) alla definizione del me- todo sperimentale che assegna ad esperienza e ragione il ruolo di una nuova rivela- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 186 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 187 zione, fondata sulla continuità della conoscenza che si muove dall’osservazione alla dimostrazione, avendo assunto il dubbio quale motore della scienza. 2. Le scienze naturali sono sperimentali per definizione, le– scienze umane sono in- vece divenute sperimentali quando l’oggetto di osservazione si è spostato dall’inda- gine sulla natura divina e metafisica dell’uomo alla natura scientifica dell’uomo. Le scienze umane sperimentali fanno il loro ingresso nella storia nel XIX sec. Gli studi di Spencer (The principles of psychology, 1855) e di Darwin (On the origin of spe- cies, 1859) sull’evoluzione dell’uomo sono l’inizio di quell’indagine causale, scivo- lata talvolta nel determinismo, ma più spesso interessata a stabilire variabili signifi- cative nel gioco infinito di connessioni e correlazioni. Per Windelband (1848-1915) sono scienze nomotetiche quelle intese alla costruzione di leggi, ed idiografiche quelle volte alla descrizione delle individualità fenomeniche. Nel ‘900, Peirce (1839- 1914) scrive sulle leggi dell’ipotesi che la validità è una questione di fatto e non di pensiero, ed il ragionamento ha lo scopo di trovare quello che non conosciamo an- cora, partendo da premesse vere nel senso che appartengono al metodo sperimentale, cosicché la conclusione ultima di ognuno viene ad essere la medesima. L’ipotesi va formulata secondo percezione, ragionamento, esperienza, vale a dire secondo la con- cezione della realtà. Cresce la consapevolezza che chi conosce può a sua volta essere conosciuto non a priori, ma per procedimenti a posteriori. Al neopositivismo vien- nese, che elimina la metafisica (Neurath, Hahn, Carnap), segue il razionalismo cri- tico di Popper (1902-1994) per il quale anche la scienza può fallire. 3. Le scienze dell’educ. si pongono la questione sperimentale nel momento in cui considerano la realtà, della persona e della – società, come laboratorio di – ricerca nel quale le varie componenti dell’azione agiscono, si influenzano e produ- cono risultati da leggere secondo la prospettiva della – formaz. La teoria del- l’educ., l’esperienza d’– insegnamento, gli strumenti di rilevazione sono i poli co- stitutivi della s., come analisi di concordanze e differenze tra fenomeni che hanno e non hanno luogo nel sistema di logica secondo Mill (1806-1873), come valuta- zione dell’indagine secondo Dewey (1859-1952), come studio comparativo secondo Kuhn (The structure of scientific revolutions, 1962). Dal punto di vista della analisi comparativa, le ricerche su figure, ruoli, – competenze e – qualità della formaz. prevedono l’applicazione delle evidenze raggiunte in contesti e tempi determinati, così da promuovere il miglioramento dell’offerta istituzionale e la possibilità della sua estensione a livello internazionale. Nella – FP, la s. è rivolta alla preparazione al lavoro nel – laboratorio dei mestieri, è fonte di innovazione didattica ed è proposta di organizzazione sistematica. Bibl.: CALONGHI L., Sperimentazione nella scuola, Roma, Armando, 1977; BECCHI E. - B. VERTECCHI (Edd.), Manuale critico della sperimentazione e della ricerca educativa, Milano, Franco Angeli, 1984; DE LANDSHEERE G., Storia della pedagogia sperimentale. Cento anni di ricerca educativa nel mondo, Roma, Armando, 1988; LAENG M., Pedagogia sperimentale, Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1992; CHISTOLINI S., Comparazione e sperimentazione in pedagogia, Milano, Franco Angeli, 2001. S. Chistolini parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 187 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 188 SPIRITUALITÀ DEL LAVORO 1. L’esigenza di un’unificazione personale profonda dell’operare, dell’agire e del- l’essere nella produzione, nella professione e nell’imprenditoria rimangono spesso inespressi, ma non per questo meno cogenti. Sviluppi umanistici e religiosi della cultura del – lavoro e delle professioni possono risultare significativi per la stessa buona qualità della – competenza professionale e dei vissuti lavorativi e profes- sionali. Oggi, per un verso, tale esigenza si può ricollegare al venir meno della forza motivazionale delle ideologie del lavoro, tipiche del recente passato (comu- nista-socialista, liberistico-laicista, cristiano-sociale) e dei valori che esse prospet- tavano: sia in termini di moralità soggettiva (onestà, laboriosità, solidarietà, ecc.) sia di impegno etico oggettivo (costruzione del bene comune, giustizia sociale, svi- luppo democratico). Altrettanto è da dire per certe modalità delle concezioni reli- giose (cattolica, protestante o di altre confessioni) che concepivano il lavoro e le professioni come luogo di espiazione, di redenzione, di santificazione o di carità ed impegno sociale. Per altro verso, tale esigenza scaturisce, magari a livello intui- tivo, dalla percezione dell’insufficienza della secolarizzazione, dalla ricerca di una buona qualità della vita o dall’insoddisfazione per le attese riposte nell’efficien- tismo e nell’innovazione tecnologica informatica e telematica. 2. In questo contesto si comprende la rinnovata attenzione alla Dottrina sociale della Chiesa (– Insegnamento sociale della Chiesa) ed in particolare all’insegna- mento del papa Giovanni Paolo II, sia per il loro ribadire la centralità della per- sona umana e della sua dignità, sia per la loro chiara denuncia, tutela, difesa e promozione dei diritti umani, tra cui quelli dell’occupazione e di un lavoro uma- namente degno. In continuità con questa linea di difesa dell’umano, si pongono: la richiesta di condizioni di vita civili e democratiche; l’esigenza di cultura e di – formaz., di alfabetizzazione, di – educ. e di coscientizzazione socio-politica (cfr. in particolare l’enc. Centesimus annus). Rispetto, poi, alle “res novae” di cui fac- ciamo esperienza, si mette in luce l’esigenza di interrogarsi sul senso umano del lavorare e del produrre; sulla necessità di giustizia sociale per ciò che riguarda la fruizione dei beni produttivi sul mercato; sul sano equilibrio tra tempo del lavoro e tempo libero; sulla – solidarietà a tutti i livelli dell’esistenza sociale (locale, nazionale, internazionale) (cfr. in particolare le enc. Centesimus annus e Sollici- tudo rei socialis). 3. Più specificamente, da una rilettura del Vangelo ed in particolare del cap. 5 del- l’enc. Laborem exercens (e della parte finale dell’enc. Sollicitudo rei socialis) si possono anche evidenziare i fondamenti religiosi dell’etica del lavoro, delle pro- fessioni e della produzione che permettono di delineare una vera e propria s.d.l. e dello sviluppo solidale (configurando una sorta di “Vangelo del lavoro”). Di esso sono da segnalare: 1) la partecipazione dell’uomo all’opera del creatore (per questo i primi capitoli de La Genesi sono qualificabili come “primo Vangelo del lavoro”); 2) l’essere immagine e somiglianza di Dio nella quotidianità, “lavo- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 188 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 189 rando e riposando”; 3) la concezione dell’uomo-libertà e dell’autonomia delle “realtà terrestri”, che Dio stesso rispetta (solo eccezionalmente intervenendo “mi- racolosamente” per il bene); 4) la responsabilità dell’uomo nei confronti del mondo e della storia, in quanto “vicario” di Dio in terra, che può “dar nome” ad animali e a cose (cfr. la rilevanza del “fattore uomo”), ma anche rovinare, distrug- gere, annientare rovinare (oggi con le biotecnologie, l’intervento sugli ecosistemi, lo sfruttamento delle risorse naturali, il mercato mondializzato, la globalizza- zione); 5) il lavoro visto come valore arduo, in quanto possibile via di emancipa- zione, di espressione personale, di qualificazione della vita, ma anche di aliena- zione, di abbrutimento, di funzionalizzazione economicistica, di dominazione so- ciale, ecc.; 6) la concezione della tecnica non necessariamente nemica, ma possi- bile alleata dell’uomo (Laborem exercens, n. 5); 7) il lavoro e l’imprenditorialità come modello dell’operare fattivo e gioioso per il Regno (cfr. molte parabole evangeliche); 8) la prospettiva del Regno e l’impegno per la giustizia di esso, come orizzonte ultimo (in termini tecnici, “escatologico”) dell’impegno umano storico, lavorativo e imprenditoriale; 9) la comunione eterna con Dio, come ter- mine del “riposo” in cui la Lettera agli ebrei invita ad entrare, mentre si vive nel tempo tra difficoltà ed esperienze di complessità. Bibl.: CHIAVACCI E., Teologia morale e vita economica, Città di Castello, Cittadella Editrice, 1988; SPIAZZI R., I documenti sociali della Chiesa da Pio IX a Giovanni Paolo II, Milano, Massimo, 1988; SS. GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Centesimus annus, Città del Vaticano, Libreria Editrice Va- ticana, 1991; NANNI C., “Educazione al lavoro e allo sviluppo”, in N. GALLI (Ed.), L’educazione cri- stiana negli insegnamenti degli ultimi pontefici, Milano, Vita e Pensiero, 1992, 255-304; BOCCA G., Pedagogia del lavoro, Brescia, La Scuola, 1998; TOSO M., Umanesimo sociale, Roma, LAS, 2001. C. Nanni SPIRITUALITÀ DELL’OPERATORE Intendiamo per s. un processo di crescita esistenziale nello Spirito, che matura nella persona un’autenticità sempre più grande della sua relazione verso Dio, gli altri, il mondo. Essa traspare da particolari intuizioni spirituali, atteggiamenti etici, decisioni vitali. Quando si pone in relazione con l’esperienza di grandi personalità spirituali, essa assume una più incisiva dimensione sociale, “trasmissibile”, fino a formare “Scuole di Spiritualità”. La s.d.o. di – FP si caratterizza per alcune di- mensioni specifiche. 1. La s. – che plasma e qualifica la coscienza educativa dell’o.– si ispira al carisma fondazionale dell’Opera, che dà – identità e senso di appartenenza ai singoli operatori, indicando parole umane ed evangeliche privilegiate, valori speci- fici, scelte prioritarie, atteggiamenti educativi originali. 2. È segnata intimamente da un amore preferenziale per i giovani più poveri, molti dei quali confluiscono all’ – istruz. e alla FP. Esso si traduce in una “ped. del po- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 189 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 190 vero”, sorretta da profondo senso di solidarietà, dalla capacità di farsi piccolo coi piccoli, nel linguaggio, nella fraternità, nella pazienza, che non si stanca di rico- minciare da capo. Per moltiplicare le risorse al loro servizio esso spinge ad aprirsi, a tutto campo, agli uomini e donne di buona volontà, che hanno a cuore la condi- zione e l’ – educ. dei giovani. Esso, inoltre, alimenta una autentica “ped. della speranza”, che – a giovani e persone, talora precocemente toccate dal fallimento e dalla frustrazione – è capace di proporre, con allegria ed ottimismo, un pensiero positivo, che germina fiducia nella vita. 3. Guardando a tali giovani, la s.d.o. si trasfigura in una spiritualità pedagogica: vissuta in modo da essere comunicata ai destinatari dell’azione educativa, sia espli- citamente (con la parola, l’ – insegnamento, ecc.), sia implicitamente (col proprio vissuto, l’esempio, l’atteggiamento, ecc.). L’“apprendimento da modello” è, spesso, la via maestra per educare i giovani che affluiscono ai – CFP. In questa logica, la s.d.o. lo muove a “educare educandosi”, facendosi “modello” credibile dei valori, che vede più urgenti e che intende comunicare, come, per es., la capacità di sacri- ficio, l’acquisizione di una disciplina e di un metodo di lavoro, la subordinazione del guadagno, il rifiuto dell’improvvisazione, per una progettualità a medio e lungo termine, la preferenza data al “gusto di costruire”, anziché al “piacere di consumare”. 4. La s.d.o. ha approfondito ed accolto il significato del – lavoro, come prolunga- mento del progetto creativo di Dio, sviluppo delle potenzialità personali, strumento ottimale di responsabilità familiare e di – solidarietà sociale, intimamente con- nesso con la dignità della persona e con lo sviluppo dei popoli. Il lavoro – con le sue componenti di manualità e di razionalità – diventa allora “la nostra forma di inserimento nella società e nella cultura”, e “dedizione alla missione con tutte le capacità e a tempo pieno” (Vecchi, 2000, 101). Il lavoro – nel quale l’uomo riven- dica la dignità d’essere sempre soggetto – rappresenta un decisivo spazio di uma- nizzazione della persona e del suo mondo. Esso testimonia il riscatto della dignità del quotidiano, poiché i giorni, che noi viviamo, sono gli spazi sempre rinnovati della nostra vocazione. 5. Per questo, l’operatore lo realizza con – professionalità, che, situata nel mo- derno contesto “del sempre e nuovo e del sempre diverso” (Veneruso, 1987, 140), è “la maggior perfezione possibile nel proprio lavoro”, che comporta – in vista della necessaria flessibilità e innovazione – di assumere volenterosamente la fatica, la formaz. permanente (– FP continua), il lavoro d’équipe, la – sperimentazione: dimensioni, che confluiscono in una disciplina di vita, segnata dal senso del dovere e da una s., che lo rende possibile ed amabile. Di conseguenza, alimenta e propone una “nuova cultura professionale”, che si traduce in una “professionalità com- plessa”, che – accanto alla indispensabile – competenza tecnica, imprenditoriale e culturale – coltiva con speciale impegno anche la dimensione motivazionale, rela- zionale, etica e spirituale. Solo una tale professionalità appare capace di servire parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 190 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 191 l’“uomo integrale”, che si vuole educare nel giovane lavoratore (Bosco,1988, 209 e ss.), orientandolo verso la propria “progettazione esistenziale” (Bocca, 2003, 40). La s.d.o., tesa a “ricostruire una pedagogia del lavoro” (Macchietti, 2003, 112) lo abilita a ricomprendere e a rievangelizzare il suo significato, frenando la “sottile erosione dell’antica etica del lavoro”, che ha raggiunto livelli allarmanti, specie nei giovani (Milanesi, 1988, 195). 6. La s.d.o. fa perno sulla comunità educativa (– comunità educativo-formativa) – ricca di relazionalità e di spirito di – famiglia – come naturale ambiente forma- tivo, e come anticipazione del futuro lavoro d’équipe. La relazionalità è oggi iscritta fra le componenti essenziali della “qualità del lavoro”. La tradizione educa- tiva cristiana, da sempre, ne fa elemento base per la “qualità della vita” e per la ri- uscita dell’educ. Ne sono espressione: lo stile dell’ – accoglienza, la ped. dell’in- coraggiamento attenta ai più deboli, la prontezza alla riconciliazione, la familiarità della convivenza che chiama ciascuno per nome, ed anche l’attenzione ad indivi- duare e coltivare le qualità di leadership. Una comunità educativa matura coltiva l’impegno nella Chiesa e per il mondo, in uno sforzo incessante di “inculturare il Vangelo”, come contributo per un mondo più umano: nella “famiglia santuario della vita”, con la diffusione di una cultura della solidarietà e della pace, con l’impegno per la promozione umana che porta a condizioni di vita più giuste e al rispetto per la dignità di ogni persona, con la difesa dell’equilibrio ecologico, che custodisce l’“abitabilità” della nostra casa comune. 7. La s.d.o. stimola l’adozione di uno stile educativo, fedele alla tradizione cri- stiana (– sistema preventivo ed affini), che fa appello all’intelligenza, che si sforza di capire i giovani e di coinvolgerli responsabilmente, mantenendo aperto con loro un dialogo, capace di raggiungere il cuore, dove si ancorano le convinzioni, che durano una vita. Valorizza le risorse della fede, che, mentre nutre le motivazioni dell’educatore, fa percepire al giovane il grande orizzonte dell’Amore, che si ri- vela, per donare pienezza di vita. La scoperta della verità che salva (evangelizza- zione e catechesi), i sacramenti della Chiesa, l’attenzione solidale ai fratelli (carità, che educa) ne sono gli elementi portanti. Risponde alle attese del cuore del gio- vane, creando spirito di famiglia e accoglienza incondizionata, rapporto personale costruttivo e propositivo, condivisione di gioie e di dolori, impegno a tradurre in “segni” l’amore educativo. Bibl.: VENERUSO D., “Il metodo educativo di S. Giovanni Bosco alla prova. Dai laboratori agli Istituti Professionali”, in P. BRAIDO (Ed.), Don Bosco nella Chiesa a servizio dell’umanità, Roma, LAS 1987, 133-142; BOSCO G.B., Criterio educativo peculiare dell’intervento salesiano per la prepara- zione del giovane lavoratore, in “Rassegna CNOS”, 4 (1988) 2, 205-220; MILANESI G.C., Cultura ed educazione per il mondo del lavoro nella proposta formativa salesiana, in “Rassegna CNOS”, 4 (1988) 2, 193-203; VECCHI J.E., Spiritualità salesiana, Roma, s.e., 2000; BOCCA G., Pubblica e di ispirazione cristiana. Per una pedagogia della scuola cattolica, Brescia, La Scuola, 2003; MACCHIETTI S.S., Per affermare l’umanesimo del lavoro, in “Notiziario dell’Ufficio Nazionale per i Problemi Sociali e il Lavoro (CEI)”, 7 (2003) 8, 109-113. G. Fedrigotti parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 191 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 192 SPORTELLO INFORMATIVO – Destinatari; – FP STAFF DI DIREZIONE – CFP STAGE – Tirocinio; – Accompagnamento al lavoro; – FPI; – FP superiore STANDARD FORMATIVI – FP SUCCESSO SCOLASTICO E PROFESSIONALE L’indagine P.I.S.A. (Programme for International Student Assessment) sulle com- petenze funzionali di 265.000 quindicenni nei 32 Paesi dell’OCSE (2001) evi- denzia per l’Italia lo stato prevalente di omogeneità delle prestazioni e di non ec- cellenza nei risultati, con docenti poco ambiziosi, rispetto alle potenzialità degli studenti. Dalla scuola del malessere degli anni 1975-2000, che invitava gli inse- gnanti a prender coscienza degli effetti negativi della propria azione pedagogica, poco attenta ai bisogni degli alunni, si passa nel terzo millennio alla scuola delle – competenze e della corsa al successo nella scuola e nella società. La politica delle eccellenze e del s.s. si va sovrapponendo alla teoria della deprivazione cul- turale che negli anni ‘60 del XX sec. intese a riparare all’insuccesso scolastico con l’ – educ. compensativa. I docenti vengono invitati a ripensare al proprio ruolo, secondo la categoria dell’eccellenza, definita su standard internazionali e sempre più sono guidati a gestire con capacità organizzative le situazioni proble- matiche che si presentano a scuola. La constatazione dei bassi livelli dell’Italia nella classifica internazionale pone il quesito sull’innalzamento della qualità del- l’istruz. Allo Stato spetta il compito di determinare “i livelli essenziali delle pre- stazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (art. 117 sostituito dall’art. 3 della L. costituzionale 3/01, Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), primo fra tutti il di- ritto di – cittadinanza. Scuola e – CFP, agenzie ed imprese offrono i mezzi per la maturazione delle – conoscenze e della – abilità e certificano le competenze finali acquisite. Il sistema educativo d’istruz. e formaz. (– sistema formativo) deve rendere conto dei risultati raggiunti (accountability framework) così come avviene in altri Paesi europei. La L. 53/03, Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in ma- parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 192 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 193 teria di istruzione e formazione professionale, riforma gli ordinamenti, precisa i principi, fissa i criteri affinché sia assicurato il diritto-dovere di istruz. e formaz. per almeno dodici anni, sino al conseguimento di una qualifica, entro il diciotte- simo anno di età, per questo la normativa prevede mobilità interna, flessibilità, – alternanza, ed assegna alla – valutazione un ruolo soprattutto promozionale. Bibl.: GIUS E. - M.V. MASONI (Edd.), Costruire il successo scolastico. Guida per insegnanti, Torino, UTET, 2000; BERTAGNA G. (Ed.), L’ipotesi elaborata dal Gruppo Ristretto di Lavoro, in “Annali del- l’Istruzione, n. speciale Stati Generali dicembre 2001”, 47 (2001) 1/2, 21-77; SCHLEICHER A, L’indagine P.I.S.A., Associazione TRELLE, Seminario n. 1, maggio 2002, 16-27; NARDI E., Come leg- gono i quindicenni. Riflessioni sulla ricerca OCSE-PISA, Milano, Franco Angeli, 2002. S. Chistolini SUSSIDIARIETÀ Il principio di s. si può considerare un’esplicitazione del principio di – solidarietà. Infatti, il principio di solidarietà afferma che le varie – società sono ministeriali alle persone e ai vari gruppi sociali, per offrire loro un aiuto. Il principio di s. dice come deve essere dato questo aiuto, ossia non comprimendo o annientando l’auto- nomia, la libera iniziativa, non sostituendosi alle persone e alle società, alla loro li- bertà di azione, bensì favorendole, incrementando la loro capacità di autorganiz- zarsi e autopromuoversi. La giustificazione del principio di s. va ricercata ultima- mente nella persona e nella sua socialità. La socialità della persona è, infatti, carat- terizzata dall’individualità e dalla personalità, ovvero dall’autonomia, da una li- bertà e da una responsabilità che ne fanno un soggetto relazionale che agisce su basi di indipendenza. 1. Definizione classica. Tale principio ha trovato la sua prima formulazione nella Quadragesimo anno (1931). Viene definito così: “Non è lecito togliere agli indi- vidui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria, per affi- darlo alla comunità. Così è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società ciò che in quelle minori si può fare (...). L’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società – continua la Quadragesimo anno – è quello di aiutare (subsidium afferre) le membra del corpo sociale, non già distruggerle o assorbirle. Perciò è necessario che l’autorità suprema dello Stato rimetta ad assemblee minori ed infe- riori il disbrigo degli affari e delle cure di minor importanza, dalle quali essa del resto sarebbe più che mai distratta; ed allora essa potrà eseguire con più libertà, con più forza ed efficacia le parti che a lei sola spettano, perché essa sola può compierle; di direzione cioè, di vigilanza, di incitamento, di repressione, a se- conda dei casi e delle necessità. Si persuadano dunque fermamente gli uomini di governo, che quanto più perfettamente sarà sviluppato l’ordine gerarchico tra le diverse associazioni, salvo il principio della funzione sussidiaria, tanto più forte riuscirà l’autorità e la potenza sociale e perciò anche più felice e più prospera la condizione dello Stato stesso”. parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 193 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 194 2. Significato. Nella sua formulazione, il principio di s. afferma che l’azione di un soggetto, qualunque esso sia, deve essere sussidiaria all’altro soggetto non sempli- cemente in quanto gli porta un aiuto in caso di necessità (lo sussidia nel senso eti- mologico), ma anche in quanto – nell’aiutarlo – lo rispetta e lo promuove nella sua dignità e nella sua autonoma responsabilità. Pertanto, il principio di s. ha una du- plice valenza. Esso impone non solo l’aiuto ma uno stile particolare di liberazione e di emancipazione del più debole, in modo da accrescerne le capacità e quindi di valorizzarne la dignità, secondo termini di flessibilità. Il principio di s. dice che, in funzione del bene comune e, ultimamente, della promozione delle persone, va con- servato e potenziato il carattere pluralistico del tessuto sociale: il bene comune è meglio realizzato mediante la pluralità delle società, giacché lo richiede la molte- plicità dei fini della persona, cui il bene comune è relativo. In secondo luogo e conseguentemente, afferma che vanno evitate tra società maggiori e società minori (s. verticale), tra società dello stesso rango (s. orizzontale), tra persone e società, sovrapposizioni annientatrici o invadenti, con espropriazioni da una parte e con so- vraccarico di compiti dall’altra, con effetti di deresponsabilizzazione, strumentaliz- zazione, colonizzazione. Secondo il principio di s. si vuole, allora, favorire l’ini- ziativa e le responsabilità delle singole persone e dei gruppi sociali; si nega che la comunità superiore possa impedire alle comunità inferiori di perseguire i loro fini legittimi; si impone alla comunità superiore, quella politica, di aiutare positiva- mente le singole persone e le società intermedie; si afferma il dovere di supplire le società inferiori in ciò che per motivi di impossibilità contingente non posso com- piere; si impone anche di integrare le persone e le società minori in ciò che queste, per impossibilità intrinseca, sono sproporzionate. 3. S. oggi. Secondo una corretta interpretazione, nell’attuale contesto di riforma dello Stato del benessere, s. non significa ognuno per sé, fare da sé, ma, piuttosto, trovare nuove relazioni tra Stato, società, mercato, di modo che il primo, conser- vando il proprio compito di coordinazione e di garanzia, non sia troppo invadente, paternalistico, assistenzialistico, bensì integratore e incentivante; di modo che la seconda, alla quale va riconosciuto il primato, sia più attiva e protagonista me- diante nuove organizzazioni sociali e possa meglio mettere a disposizione le sue ri- sorse; di modo che il terzo polo sia più libero e “democratico”, ossia popolato da più soggetti economici (capitalismo democratico). La s. dello Stato non deve cu- rarsi solo di fornire aiuto sul piano dei beni materiali, ma anche su quello dei beni relazionali e morali. Lo Stato ha il compito di non danneggiare direttamente o in- direttamente l’essenza etica o virtuosa delle società che lo precedono e delle quali è espressione. Deve piuttosto favorirla, in ordine alla realizzazione di un benessere anche relazionale. Leggi, ad es., che praticamente liberalizzano l’aborto e il di- vorzio o che non sostengono adeguatamente le famiglie tradizionali, giungendo addirittura ad equipararle alle unioni di fatto, possono a lungo andare danneggiare l’istituto della – famiglia e, di riflesso, la stessa vita politica. Recenti ricerche mostrano come tali politiche alimentano tassi decrescenti di natalità, una generale parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 194 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 195 erosione del bene relazionale e stabile che è la società naturale fondata sul matri- monio, produttrice di beni essenziali alla vita politica. Così, il principio di s. non viene interpretato adeguatamente quando gli amministratori cooptano società non- profit, rendendole funzionali ad un sistema di servizi deciso ed organizzato unilate- ralmente (si ha così una s. rovesciata) o se le si costringe a elemosinare o a costi- tuirsi quale forza di tipo sindacale per difendere i propri diritti. Bibl.: PIO XI, Lettera enciclica Quadragesimo anno, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1931; TOSO M., Verso quale società? La dottrina sociale della Chiesa per una nuova progettualità, Roma, LAS, 2000; TOSO M., Umanesimo sociale. Viaggio nella dottrina sociale e dintorni, Roma, LAS, 2002. M. Toso SVANTAGGIO SOCIALE – Pari opportunità SVILUPPO PROFESSIONALE Lo s.p. si allinea agli sviluppi descritti in psicologia evolutiva accanto a quello intellettivo, affettivo, sociale e morale. Gli stessi sviluppi sono poi considerati nella ped. sotto l’aspetto formativo. 1. Inizi. Lo s.p. è stato preso in considerazione verso la fine del XIX sec. nell’ambito della sociologia. L’attenzione dei sociologi è stata rivolta alla diretta trasmissione dell’occupazione dal padre al figlio. Nello stesso sec., questa continuità è stata inter- rotta a causa di una massiccia immigrazione negli USA, che ha avuto come effetto un crescente numero di giovani in difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro. A Bo- ston, l’avvocato Parsons credette di poter aiutare tali giovani con un semplice proce- dimento con il quale venivano accertati alcuni tratti di personalità, analizzati i requi- siti di una possibile occupazione e raccordate poi le due realtà in vista di un soddisfa- cente adattamento lavorativo. La sua idea ebbe una buona accoglienza in sede uni- versitaria e presto si diffuse nelle scuole americane come la “teoria dei tratti”. 2. Teorie più recenti. Nel 1951, Ginzberg e collaboratori hanno pubblicato un vol. dal tit. Occupational choice in cui hanno articolato lo s.p. in alcune fasi ed hanno dato anche qualche indicazione su come dovrebbe essere elaborata una teoria per spiegare lo s.p. Nello stesso periodo, altri autori hanno articolato lo s.p. in stadi che variavano in numero e specificità. Nel 1957, Super ha pubblicato The psychology of career in cui ha articolato l’intero arco della vita umana in cinque stadi: crescita (4-14 anni), esplorazione (15-24 anni), stabilizzazione (24-44 anni), mantenimento (45-64 anni) e declino (65 anni), suddividendoli in fasi subordinate. Ogni stadio e ogni fase sono caratterizzati da – competenze da acquisire che diventano degli in- dici di – maturità professionale. Alla base dello s. p., Super pone il concetto di sé parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 195 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 196 che da un lato assicura la continuità del processo dello sviluppo e dall’altro viene a sua volta potenziato con le scelte effettuate e con le esperienze professionali. La teoria è stata rielaborata varie volte (Super, 1985). Nel complesso essa offre infor- mazioni utili per capire la situazione professionale di un soggetto. Le competenze che caratterizzano i singoli stadi e fasi possono servire da indici di maturazione di soggetti di differente età cronologica. Essa offre anche delle indicazioni sulla suc- cessione delle fasi; per es., lo stadio della crescita è articolato in tre fasi in un or- dine di sviluppo: fantasia, interessi e capacità; le scelte fantasiose cedono posto agli interessi e gli interessi vengono ridimensionati dalle capacità. Accanto alle teorie dello sviluppo si collocano altre teorie in cui la dimensione dello sviluppo è solo implicita. Tali sono le tre teorie basate sulla scelta professio- nale: quella dei tipi e delle aree professionali, di Holland, e quelle dei bisogni che possono essere soddisfatti con l’esercizio di una determinata professione, di Roe e di Bordin. Un altro gruppo di studiosi privilegia come quadro di riferimento la de- cisione professionale. Così, per es., secondo Tiedeman, è importante formare la ca- pacità decisionale a tutti i livelli dello sviluppo dei soggetti. Krumboltz punta l’at- tenzione sui fattori che favoriscono o ostacolano la realizzazione di un progetto personale accogliendo in esso anche eventi casuali per farne un’opportunità. Di fronte a queste svariate teorie, durante un recente simposio, una ventina di autori ha cercato di far emergere delle convergenze ma senza un apprezzabile successo (Savickas - Lent, 1994). Le teorie sullo s. p. accusano la loro età. La nuova situa- zione socioeconomica non è più conciliabile con una articolata e sequenziale distri- buzione degli eventi umani. La stabilità nella carriera professionale, supposta dalle citate teorie, in molti casi è inesistente (– orientamento: risposta a nuove situa- zioni). Anche lo stesso s. p. non può essere considerato in un completo isolamento; per questa ragione, viene integrato nelle teorie degli stadi della vita umana di Erikson e di Levinson. Per ironia della sorte, Super, per elaborare la sua teoria ha preso i cinque periodi in cui Bühler ha articolato la esistenza umana, applicandoli poi allo s.p. Bibl.: SUPER D., “Career and life development”, in D. BROWN - L. BROOKS (Edd.), Career choice and development, San Francisco, Jossey-Bass, 1985, 192-234; SAVICKAS M.L. - R.W. LENT (Edd.), Con- vergence in career development theories, Palo Alto, CPP Books, 1994; MULTON K.D., “Career deve- lopment”, in A.E. KAZDIN (Ed.), Encyclopedia of psychology, vol. 2, Oxford, University Press, 2000, 25-29. K. Poláèek SVILUPPO SOSTENIBILE – Educazione; – Formazione TECNICHE DI INSEGNAMENTO – Insegnamento parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 196 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 197 TIROCINIO Si definisce t. (o stage) un’esperienza formativa, orientativa o professionalizzante, che non configura rapporto di – lavoro, realizzata presso luoghi di lavoro sulla base di una convenzione contenente uno specifico progetto fra il datore di lavoro e i soggetti del – sistema formativo, che assolvono a compiti di promozione ed as- sumono la responsabilità della qualità e della regolarità dell’iniziativa. Il t. è un’esperienza orientativa e formativa. Esso si distingue in stage di – orien- tamento e stage di – formaz. Lo stage rappresenta un ponte che collega i pro- cessi scolastici e formativi e il mondo delle – imprese. Il t. in Italia è regolato dalla L. 196/97 (e dal decreto di attuazione 142, del 25.3.98,). Le esperienze di t. possono essere effettuate da soggetti in attesa di occupazione con almeno l’ob- bligo scolastico assolto e soggetti in formaz. scolastica, universitaria e professio- nale. La normativa in vigore prevede che il t. sia regolato da una convenzione tra istituzione formativa e impresa (o associazione industriale). Il tutor aziendale rap- presenta l’interlocutore diretto del tirocinante, responsabile di assistere l’allievo, individuandone le potenzialità e facilitandone il percorso formativo. Le attività svolte nel corso dei t. di formaz. e orientamento, possono avere valore di – cre- dito formativo. Per quanto riguarda il costo, lo stage, non costituendo un rapporto di lavoro, deve essere considerato a titolo gratuito anche se le imprese possono riconoscere discrezionalmente ai tirocinanti una somma forfetaria a titolo di rim- borso spese. Attualmente lo stage è molto diffuso nella – FPI, abbastanza diffuso nella scuola tra gli indirizzi economici e tecnici, mentre è guardato ancora con una certa diffidenza negli indirizzi di carattere umanistico. Bibl.: DI NUBILA R., La formazione oltre l’aula: lo stage, Padova, CEDAM, 2000; ASSOLOMBARDA, Dall’idea al progetto di stage: manuale per l’impresa, Roma, Sipi, 2002; GENTILI C., Scuola e extra- scuola, Brescia, La Scuola, 2002. C. Gentili TRANSIZIONE SCUOLA / LAVORO – Alternanza formazione lavoro; – Accompagnamento al lavoro TUTOR Si tratta di una figura indispensabile in ogni azione di istruzione e di – FP che ha il compito di guidare l’ – équipe dei formatori coinvolti e presiedere alle fasi di progettazione e programmazione (piano formativo personalizzato), coordinare le attività, facilitare i processi di – apprendimento e sostenere il miglioramento con- tinuo dell’attività formativa e didattica. Si tratta di una figura composita, sia dal punto di vista concettuale sia pratico, ragione per cui esiste una molteplicità di tipologie di t. il cui contenuto professionale si pone entro due limiti estremi: dal parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 197 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 198 sostegno organizzativo e documentativo dell’attività didattica fino al presidio della progettazione, del coordinamento e delle relazioni interno-esterno proprie della situazione formativa. 1. La letteratura pedagogica e di psicologia dell’apprendimento tende a far emer- gere sempre di più tale figura come soggetto garante e responsabile dell’apprendi- mento dell’allievo, promotore del suo sviluppo e della sua autonomia. Egli riveste diverse funzioni: facilitazione e sostegno dell’apprendimento individuale e di gruppo, accompagnamento del/nel processo formativo, gestione e supporto dei di- scenti e dei formatori nelle fasi di progettazione e programmazione didattica (– progettazione formativa) ed esperto delle dinamiche relazionali e dei processi comunicativi. In questo senso, il t. svolge anche funzioni di counselor: egli “può aiutare il cliente ad esaminare dettagliatamente le situazioni o i comportamenti che si sono rivelati problematici e trovare un punto piccolo ma cruciale da cui sia possi- bile originare qualche cambiamento. Qualunque approccio usi il counselor (...) lo scopo fondamentale è l’autonomia del cliente: che possa fare le sue scelte, prendere le sue decisioni e porle in essere” (Hough, 2002, 8-9). 2. Tale figura garantisce un punto di riferimento e di raccordo per l’allievo, l’é- quipe dei formatori e la – famiglia; la sua funzione di accompagnamento ha inizio dal momento dell’ – accoglienza dell’allievo e prosegue attraverso l’elaborazione e la condivisione di un progetto formativo personalizzato (– progetto personale e professionale) fino al sostegno nei processi di transizione post-formativa. La fun- zione del t. è quella di presidiare il lavoro di squadra, facendo sì che i piani forma- tivi siano effettivamente personalizzati, ovvero rispondenti alle caratteristiche ed esigenze di ciascuno. Egli cura in particolare l’elaborazione del “portfolio delle competenze” (– valutazione), in modo da delineare percorsi coerenti, efficaci, ricchi di stimoli e di risultati. 3. Si possono distinguere quattro situazioni-tipo in cui opera il t.: a) il gruppo di apprendimento collocato in un contesto formale ed informale; b) l’ – alternanza formativa e il raccordo tra – formaz. e – lavoro; c) negli sportelli o servizi di – orientamento ed – accompagnamento individualizzato; d) il contesto comunitario (es.: comunità alloggio). Bibl.: MOTTANA P., Un’esperienza di tutorship. Materiali per pensare un ruolo paradossale, in “Rivista AIF”, 10 (1990); SALOMONE I., Il setting pedagogico, Firenze, La Nuova Italia, 1996; BRU- SCAGLIONI M., La gestione dei processi nella formazione degli adulti, Milano, Franco Angeli, 1997; BARROWS H.S., Il processo tutoriale, Milano, Fondazione Smith Kline, 1998; HOUGH M., Abilità di counseling. Manuale per la prima formazione, Trento, Erickson, 2002; PICCARDO C. - A. BENOZZO, Tutor all’opera, Milano, Guerini Editore, 2002. D. Nicoli TUTORATO (O TUTORAGGIO, O TUTORING) – Tutor; – Operatori della FP; – Servizi per l’impiego parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 198 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 199 UNITÀ DI APPRENDIMENTO – Insegnamento; – Contratto formativo; – Progettazione formativa UNITÀ DIDATTICA – Insegnamento; – Moduli UNITÀ FORMATIVA – Insegnamento UNITÀ FORMATIVA CAPITALIZZABILE (UFC) – Competenza UTENTI – Destinatari; – Contratto formativo; – Orientamento; – Politiche formative; – Lingua straniera; – Servizi per l’impiego VALORI PROFESSIONALI Se assumiamo il termine – professionalità come insieme di – conoscenze e di – competenze operative in un determinato settore dell’attività umana, la definizione si presta anche a verificare i processi scolastici che risultano in grado di conse- guirla. In questo intervento, consideriamo la professionalità nell’ambito specifico scolastico e, data la discussione in atto per la riforma della scuola, la valenza pro- pria della – FP ipotizzata dalla “Riforma Moratti” (L. 53/03). Un accenno conclu- sivo all’aspetto specifico cristiano e salesiano vuole sottolineare la continuità e l’integrazione che ne risultano. 1. L’ambito scolastico. Considerando l’ambito della scuola è importante rilevare la progressiva evoluzione semantica del termine. Schematicamente si potrebbe ricono- scere un graduale approfondimento che dalla considerazione delle competenze circa un posto preciso di lavoro, si porta sulla rete di relazionalità operativa con un con- testo complesso in cui entrano in gioco fattori legati al comportamento umano, alle attitudini, alle – motivazioni, alla rete delle relazionalità. La FP viene di conse- guenza verificata sulla sua valenza umanizzante: come ogni processo educativo (– processo formativo) tende ad una gamma di v. che si compongono in una visione equilibrata e integrale della persona. Per distinguerli nei loro aspetti più rilevanti si potrebbe far riferimento ai “pilastri dell’educazione” del rapporto dell’UNESCO. Comprendono: a) il fare come processo dall’ – abilità alla competenza; b) il vivere insieme come disponibilità a relazionarsi con gli altri e ad operare secondo obiettivi parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 199 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 200 condivisi; c) l’essere quale capacità di ciascuno “di risolvere i suoi problemi, di prendere le sue decisioni e di assumersi le sue responsabilità” (Delors, 1997, 87). 2. Nel dibattito attuale sulla Riforma. Nell’ambito del dibattito più attuale con- cernente il “secondo ciclo”, è esplicita la preoccupazione di garantire all’istru- zione e alla FP pari dignità rispetto ai Licei. Molto lucida a proposito la presa di posizione del “Rapporto del gruppo ristretto di lavoro” (2002) coordinato da Bertagna: “Per un verso, istruzione e formazione sono due processi diversi (...). Per l’altro verso (...) ambedue i processi sono chiamati ad essere educativi, nel senso che l’uno e l’altro sono invitati a promuovere nel modo più integrato, ar- monico, simultaneo e progressivo possibile tutte le dimensioni della personalità di ciascuno”. È chiara la posizione teorica – e teoretica – che sta alla base dell’o- rientamento per il “secondo ciclo” proposta dalla Riforma che prevede senz’altro una – educ. paritaria del sistema educativo di istruz. e formaz.: La L. Moratti scandisce perentoria “è promosso l’apprendimento in tutto l’arco della vita e sono assicurate a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali” (art. 2). Restano naturalmente da verificare le condizioni di fattibilità; non solo a livello organizzativo e strutturale; ma anche e forse soprattutto a livello teore- tico. La prospettiva è comunque carica di suggestione; ha bisogno di elabora- zione pedagogica per riuscire efficace. In questo senso la verifica concreta è data dal progetto educativo che di fatto una certa tradizione e una determinata scuola vanno elaborando. 3. L’orizzonte educativo della tradizione cristiana e salesiana. La tradizione cri- stiana ha fatto della scuola una via privilegiata all’educ., ma anche alla matura- zione integrale, umana e cristiana, della persona, perseguita per lo più da spiritua- lità e pedagogie diverse che la storia conosce. Qui facciamo riferimento in parti- colare a quella salesiana. La tradizione salesiana è marcatamente segnata dalla sua attenzione alle classi popolari, ai giovani disagiati, che dispongono di minori opportunità. La scelta dell’ – istruz. e della FP, sotto molti aspetti privilegiata, dice la concreta volontà di elaborare una proposta operativa efficace e mirata. Vale la pena esplicitare i v. che si impegna a perseguire. Rispetto all’attenzione attuale della scuola al soggetto il contesto salesiano si trova in evidente sintonia; con alcune accentuazioni che caratterizzano una specifica – metodologia pedago- gica: ribadisce la prospettiva dell’UNESCO, sopra richiamata, la integra in alcuni aspetti peculiari: a) tende a fare della preparazione professionale la base di una comprensione matura delle logiche e dei processi di produzione; b) si impegna per una competenza qualificante circa la professione specifica che persegue; c) si qualifica per l’attenzione a prevenire e di conseguenza ad attrezzare il soggetto di qualità e competenze che gli consentano un autentico protagonismo anche di fronte alle provocazioni dell’operatività, del guadagno e del consumo; d) assume l’esigenza di integralità nei processi di maturazione della persona: non solo ne af- ferma il primato sulla realizzazione concreta; non la esaurisce nella produttività, nel significato economico, nel confronto commerciale. La orienta all’incontro e al parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 200 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 201 servizio, la tiene aperta all’esigenza di trascendenza; ne legittima di conseguenza l’atteggiamento religioso (cfr. Progetto Educativo Pastorale Salesiano - PEPS). Bibl.: DELORS J., Nell’educazione un tesoro, Roma, Armando, 1997; ZANNI N., “Professionalità”, in J.M. PRELLEZO - C. NANNI - G. MALIZIA (Edd.), Dizionario di scienze dell’educazione, Leumann (TO)/Roma/Torino, ElleDiCi/LAS/SEI, 1997, 859-861; DE MASI M., Il futuro del lavoro. Fatica e ozio nella società postindustriale, Milano, Rizzoli, 1999; AMBROSINI M. (Ed.), Un futuro da formare. Verso un nuovo sistema di formazione professionale: tendenze, valutazioni e proposte, Brescia, La Scuola, 2000; BERTAGNA G., Strategie riformatrici e qualità del sistema di istruzione e formazione, in “Orientamenti Pedagogici”, 47 (2000) 4, 642-665; BERTAGNA G., Rapporti fra istruzione, formazione e sviluppo socioeconomico. Quale modello?, in “Orientamenti Pedagogici”, 49 (2002) 5, 763-784; Rapporto del Gruppo Ristretto di Lavoro costituito con D.M. n. 672 del 18 luglio 2001 (2002), «Annali dell’Istruzione», vol. XLVII, n. 1/2, 3-176; MIUR, Legge 28 marzo 2003 n. 53. Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle presta- zioni in materia di istruzione e formazione professionale, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 2003. Z. Trenti VALUTAZIONE In termini sintetici, valutare significa attribuire un valore ad un’azione. Nel caso della – formaz., la v. è quell’attività che mira a rilevare il patrimonio di – capa- cità, – conoscenze, – abilità e – competenze di una persona, utilizzando una – metodologia che consenta di giungere a risultati certi e validi. L’espressione ri- chiama l’attribuzione di un giudizio o di un voto (stimare, apprezzare) all’azione stessa, che richiede a sua volta un modello di riferimento definito ed inoltre una metodologia operativa. 1. V. tradizionale. Per un lungo periodo, le prassi di v. degli apprendimenti si sono basate su modelli simili a quelli in uso nei contesti socio-economici che enfatizzano il carattere “oggettivo” degli stessi e la dotazione di indicatori, per poi preferire, sulla base degli esiti poco soddisfacenti di tali metodiche, su approcci che conside- rano la peculiarità dei fenomeni di – apprendimento, e quindi orientarsi verso una v. definita “autentica”. Nella letteratura, appare sempre più spesso la definizione di v. “tradizionale” rispetto alla v. “autentica”. Per “tradizionale” si intende solita- mente una modalità di v. del profitto scolastico che risulta dal confronto dei risultati ottenuti dagli studenti con i risultati attesi, normalmente espressi in – obiettivi resi in modo tale da poter essere rilevati empiricamente ed indicanti “valori di soglia” per determinarne il livello. È in base alla vicinanza o distanza dei risultati che si traggono inferenze sul grado di apprendimento. Tale operazione richiede pertanto una riduzione del fenomeno complesso, denominato apprendimento, in comporta- menti osservabili (performance) e trattabili come oggetti tramite l’applicazione di metodi quantitativi. A fronte dell’esigenza di garantire una misura che fosse il più possibilmente precisa, si è fatto soprattutto ricorso a prove standardizzate applica- bili su popolazioni omogenee. Tali prove hanno visto un’applicazione che in molti casi ha tracimato rispetto all’alveo euristico entro cui queste erano state pensate. Di parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 201 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 202 conseguenza, invece che risultare strumenti atti a rilevare soltanto il successo op- pure l’insuccesso dell’apprendimento per suggerire interventi di rinforzo o di aiuto, le prove standardizzate si sono diffuse generalmente come un sistema di giudizio selettivo in base al quale stabilire il contenuto, la validità ed il livello degli appren- dimenti degli studenti e degli alunni. Ma tale esito non si giustifica a partire dal me- todo adottato. Infatti, questo consente piuttosto di registrare ciò che una persona “sa” inteso come ripetizione del contenuto della lezione e del testo scritto, mentre non è in grado di rilevare la capacità di “costruzione” della conoscenza e neppure la “capacità di applicazione reale” della conoscenza posseduta. 2. V. autentica. Di contro, la v. “autentica” rappresenta una metodologia – collo- cata entro un approccio formativo coerente – che mira a verificare non solo ciò che un allievo sa, ma ciò che “sa fare con ciò che sa”, fondato su una prestazione reale e adeguata dell’apprendimento che risulta così significativo, poiché riflette le esperienze reali ed è legato ad una – motivazione personale. Lo scopo principale consiste nella promozione di tutti offrendo opportunità al fine di compiere presta- zioni di qualità. Tale v., coinvolgendo gli allievi, le – famiglie ed i partner forma- tivi, mira pertanto alla dimostrazione delle conoscenze tramite prestazioni con- crete, stimolando l’allievo ad operare in contesti reali con prodotti capaci di soddi- sfare precisi obiettivi. Particolarmente rilevante è il “capolavoro” che l’allievo esegue al termine del percorso formativo e che documenta nelle forme e nel lin- guaggio proprio della – comunità professionale la sua preparazione, giustificando il rilascio della relativa – qualifica professionale. 3. Portfolio delle competenze. In tal senso, muta la prospettiva dell’intera attività formativa: se la prima forma di v. è intesa come verifica circa l’apprendimento da parte dello studente di una conoscenza trasmessa dall’insegnante, la v. autentica si muove in chiave formativa, ovvero in modo da consentire un incremento del pro- cesso di apprendimento e di consapevolezza da parte dell’allievo. In questo modo, la v. è essa stessa formaz. e non un’interruzione del cammino. Da qui, la pratica del “portfolio delle competenze personali”. Esso rappresenta una raccolta signifi- cativa dei lavori dell’allievo che racconta la storia del suo impegno, del suo pro- gresso o del suo rendimento. Tramite esso è possibile capire la storia della crescita e dello sviluppo di una persona corredandola con materiali che permettono di com- prendere “che cosa è avvenuto” dal momento della presa in carico della persona (che richiede un’attenta osservazione delle sue capacità e acquisizioni previe) fino al momento della partenza, passando per le varie fasi di cui si compone il percorso formativo. In questo senso, il cuore della v. sta il più possibile nei prodotti di cui l’allievo va orgoglioso, e che segnalano (a se stesso, ai formatori, ma anche agli altri attori, compresa la famiglia) le sue acquisizioni ed in particolare il grado di possesso delle competenze. 4. V. dei sistemi formativi. Accanto alla v. degli apprendimenti, abbiamo anche la v. di – efficacia ed efficienza dei – sistemi formativi. Questa è intesa come verifica parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 202 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 203 della capacità – del sistema nel suo insieme e degli organismi che vi fanno parte – di realizzare gli obiettivi per cui sono stati mobilitati (efficienza), e del rapporto tra i risultati conseguiti e le – risorse umane e finanziarie utilizzate per il loro rag- giungimento. La v. di efficacia dei piani formativi mira a verificare la congruità degli apprendimenti e la loro persistenza oltre che dinamica moltiplicativa. Il pro- blema di tale v. risiede nella possibilità di identificare con esattezza il contributo dell’apprendimento in processi economici, sociali e culturali cui concorrono mol- teplici fattori. La v. di efficienza utilizza solitamente l’analisi costi/benefici avendo come oggetto un set di fenomeni obiettivi che vengono convenzionalmente intesi come risultati diretti ed indiretti delle pratiche formative. Bibl.: OCSE, Valutare l’insegnamento, Roma, Armando, 1998; IANES D. - S. ANDRICH, Programma- zione e valutazione scolastica, Trento, Erickson, 2000; PELLEREY M., Il portafoglio formativo progres- sivo come nuovo strumento di valutazione delle competenze, in “Professionalità”, 57 (2000), 5-20; VA- RISCO B.M., Metodi e pratiche della valutazione: tradizione, attualità, nuove speranze, Milano, Gue- rini & Associati, 2000; MONTEDORO C. (Ed.), Elementi di progettazione integrata per la formazione di qualità, Milano, Franco Angeli, 2000; COMOGLIO M., La valutazione autentica e il portfolio, Roma, manoscritto, 2001; AA.VV., Dossier sulla valutazione, in “Libertà di Educazione”, 2 (2002), 7-48. D. Nicoli VERIFICA – Valutazione; – Accoglienza; – Accompagnamento al lavoro; – Accredita- mento; – Didattica induttiva; – Progettazione formativa; – Riforma educativa; – Ricerca; – Moduli; – Monitoraggio; – Obiettivi; – Problem solving; – Scienze umane ed etica VISION – Proposta formativa VOCAZIONE PROFESSIONALE – Orientamento VOTI – Valutazione VOUCHER – FP continua parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 203 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 204 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 205 PISTE DI LETTURA Le piste di lettura che seguono propongono opportunità di approfondimento sia per la sede formativa che per la sede orientativa. Della sede formativa, si evidenziano gli aspetti non solo corsuali, ma anche di servizi – in primo luogo, l’orientamento –, di cui ogni CFP ormai si è dotato. Della sede orientativa, data la novità della norma che la disciplina, si abbozza un primo modello descrittivo. Dunque, per un utilizzo del volume come strumento di autoformazione, pre- sentiamo quattro piste di lettura che aggregano le voci definite in base a: 1) Sistemi • Organizzazione della FP • Contesto socio-economico e culturale della FP • Soggetti della FP 2) Dimensioni • Dimensione educativa del sistema di FP • Dimensione culturale del sistema di FP • Dimensione professionale del sistema di FP 3) Processi/funzioni • Direzione e coordinamento • Progettazione • Docenza • Valutazione 4) Servizi • Orientamento parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 205 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 1) PISTE DI LETTURA: SISTEMI Organizzazione della FP 206 Accreditamento Alternanza formazione lavoro Apprendistato Associazioni CFP Cultura professionale Diritti formativi Enti di FP Finanziamenti per la FP FP FP continua FP superiore FP: sviluppo storico FPI Istruzione e FP Monitoraggio Obbligo scolastico e formativo Operatori della FP Politiche formative Proposta formativa Qualifica professionale Qualità Rete Riforma educativa Sede orientativa Sistema formativo Contesto socio-economico e culturale della FP Cittadinanza Comunità / famiglie professionali Contratti Don Bosco e la FP Economia e formazione Educazione Educazione interculturale Educazione permanente Esclusione sociale Formazione FP continua FP: sviluppo storico Impresa Ispirazione cristiana della FP Istruzione e FP Lavoro Mercato del lavoro Mobilità professionale Nuove tecnologie Pari opportunità Parti (forze) sociali Partnership Pedagogia del lavoro Politiche formative Professionalità Profilo professionale Psicologia del lavoro Qualità Rete Riforma educativa Ruolo professionale Servizi per l’impiego Sindacati Sistema formativo Sistema preventivo Sistema produttivo Spiritualità del lavoro Società Sociologia del lavoro Solidarietà Spiritualità del lavoro Spiritualità dell’operatore Sussidiarietà Valori professionali parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 206 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 207 Soggetti della FP Associazioni Comunità educativo formativa Destinatari Enti di FP Équipe educativa Famiglia Impresa Minori Operatori della FP Parti (forze) sociali Partnership Risorse umane Servizi per l’impiego Sindacati Sistema formativo Sistema produttivo Società Tutor parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 207 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 208 Ambiente Bisogni formativi Cittadinanza Comunicazione Comunità educativo formativa Contratto formativo D. Bosco e la FP Educazione Educazione interculturale Educazione permanente Formazione FP FPI FP: sviluppo storico Identità Ispirazione cristiana della FP Prevenzione Processo formativo Progettazione formativa Progetto personale e professionale Proposta formativa Religione Scienze umane ed etica Sistema formativo Sistema preventivo Spiritualità del lavoro Spiritualità dell’operatore Dimensione culturale della FP Cultura professionale Diritti formativi Don Bosco e la FP Educazione Formazione Insegnamento Istruzione e FP Pedagogia del lavoro Politiche formative Psicologia del lavoro Ricerca Riforma educativa Sociologia del lavoro Solidarietà Dimensione professionale della FP Abilità Accompagnamento al lavoro Alternanza formazione lavoro Apprendimento Apprendistato Aree professionali Capacità Certificazione delgi apprendimenti Competenza Comunità / famiglie professionali Conoscenze Contratto formativo Credito formativo Cultura professionale Curriculum vitae European Computer Driving Licence FP Impresa Insegnamento Laboratorio Lavoro Lingua straniera 2) PISTE DI LETTURA: DIMENSIONI Dimensione educativa della FP parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 208 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 209 Mansione Maturità professionale Mercato del lavoro Orientamento Professionalità Profilo professionale Progetto personale e professionale Qualifica professionale Ruolo professionale Servizi per l’impiego Sicurezza sul lavoro Sindacati Successo scolastico e professionale Tirocinio Valori professionali Valutazione parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 209 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 210 Accreditamento Autonomia CFP Comunicazione Comunità educativo formativa Cultura professionale Diritti formativi D. Bosco e la FP Economia e formazione Educazione Enti di FP Finanziamenti per la FP Formazione FP FP continua FPI FP superiore FP: sviluppo storico Impresa Ispirazione cristiana della FP Istruzione e FP Lavoro Mercato del lavoro Obbligo scolastico e formativo Parti (forze) sociali Partnership Politiche formative Proposta formativa Qualità Rete Ricerca Riforma educativa Risorse umane Scienze umane ed etica Servizi per l’impiego Sindacati Sistema formativo Società Sperimentazione Progettazione Abbandono Accreditamento Alternanza formazione lavoro Aree professionali Autonomia Bisogni formativi Bullismo Comunità / famiglie professionali Cultura professionale Disagio Economia e formazione Educazione interculturale Enti di FP Équipe educativa Esclusione sociale Famiglia Finanziamenti per la FP FP FP continua FP superiore FPI Handicap e FP Impresa Lavoro Mercato del lavoro Moduli Monitoraggio Obiettivi Operatori della FP Partnership 3) PISTE DI LETTURA: PROCESSI/FUNZIONI Dimensione e coordinamento parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 210 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 211 Politiche formative Prevenzione Processo formativo Profilo professionale Progettazione formativa Proposta formativa Qualità Rete Ricerca Riforma educativa Servizi per l’impiego Sicurezza sul lavoro Sistema formativo Sistema preventivo Sistema produttivo Sperimentazione Tirocinio Valutazione Docenza Abilità Apprendimento Bullismo Capacità Colloquio Competenza Comunicazione Comunità educativo formativa Conoscenze Destinatari Didattica induttiva Educazione Efficacia Équipe educativa Famiglia Formazione FP Handicap e FP Insegnamento Laboratorio Lingua straniera Metodologia Minori Moduli Motivazione Nuove tecnologie Obiettivi Personalizzazione Processo formativo Profilo professionale Proposta formativa Qualifica professionale Sperimentazione Spiritualità dell’operatore Tirocinio Valori professionali Valutazione Valutazione Abbandono Abilità Accreditamento Capacità Certificazione degli apprendimenti Competenza Conoscenze Contratto formativo Credito formativo Curriculum vitae Efficacia Équipe educativa European Computer Driving Licence (ECDL) Famiglia Formazione parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 211 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 212 FP FPI Handicap e FP Maturità professionale Metodologia Monitoraggio Motivazione Obiettivi Personalizzazione Prevenzione Professionalità Progetto personale e professionale Qualifica professionale Sperimentazione Successo scolastico e professionale Sviluppo professionale Tirocinio Tutor Valori professionali Valutazione parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 212 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 213 Abbandono Accoglienza Accompagnamento al lavoro Alternanza formazione lavoro Apprendistato Aree professionali Bisogni formativi Capacità CFP Colloquio Competenza Comunicazione Comunità educativo formativa Comunità / famiglie professionali Coping Curriculum vitae Destinatari Disagio Educazione Efficacia Équipe educativa Famiglia Formazione FP FPI Handicap e FP Identità Impresa Istruzione e FP Lavoro Maturità professionale Mercato del lavoro Minori Mobilità professionale Motivazione Obiettivi Orientamento Prevenzione Problem solving Progetto personale e professionale Qualifica professionale Rete Sede orientativa Servizi per l’impiego Successo scolastico e professionale Sviluppo professionale Tirocinio Tutor Valori professionali 4) PISTE DI LETTURA: SERVIZI Orientamento parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 213 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 214 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 215 SOMMARIO ............................................................................................................................................................ 3 PRESENTAZIONE .................................................................................................................................................. 5 INTRODUZIONE .................................................................................................................................................... 7 COLLABORATORI ................................................................................................................................................ 11 ABBREVIAZIONI................................................................................................................................................... 13 ABBANDONO (S. Chistolini) .......................................................................................................................... 15 ABILITÀ (D. Nicoli) .......................................................................................................................................... 16 ACCOGLIENZA (S. De Pieri) .......................................................................................................................... 17 ACCOMPAGNAMENTO AL LAVORO (F. Ghergo)....................................................................................... 18 ACCREDITAMENTO (S. Pugliese).................................................................................................................. 20 ADATTAMENTO – Ambiente ........................................................................................................................... 21 ADDESTRAMENTO – FP; – Formazione; – Competenza; – Ispirazione cristiana della FP 21 AGGIORNAMENTO – FP continua; – Enti di FP; – Lavoro .............................................................. 21 ALTERNANZA– Alternanza formazione lavoro; –Apprendistato .................................................. 22 ALTERNANZA FORMAZIONE LAVORO (C. Gentili).................................................................................. 22 AMBIENTE (C. Di Agresti) ............................................................................................................................. 23 AMBIENTE EDUCATIVO – Ambiente; – Comunità educativo-formativa ....................................... 24 ANALISI DEI FABBISOGNI PROFESSIONALI E FORMATIVI – Bisogni formativi.................................. 24 APPRENDIMENTO (M. Pellerey) ................................................................................................................... 24 APPRENDIMENTO COOPERATIVO – Insegnamento.................................................................................... 26 APPRENDISTATO (S. D’Agostino) ............................................................................................................... 26 AREE PROFESSIONALI (D. Nicoli - C. Catania)..................................................................................... 28 ASSOCIAZIONI (P. Ransenigo) ...................................................................................................................... 28 ASSUNZIONI – Curriculum vitae; – Mansione; – Sicurezza sul lavoro; – Apprendistato 30 ATTESTATO – FP superiore; –Apprendistato......................................................................................... 30 ATTITUDINI PROFESSIONALI – Orientamento; –Abilità ...................................................................... 30 AUTO FORMAZIONE – Processo formativo................................................................................................ 30 AUTONOMIA (G. Malizia) ............................................................................................................................... 30 BILANCIO DI COMPETENZE – Orientamento; – Destinatari; –Accompagnamento al lavoro 31 BISOGNI FORMATIVI (G. Vettorato) ............................................................................................................ 31 BULLISMO (M. Becciu) ................................................................................................................................... 33 BUONE PRASSI / PRATICHE – Insegnamento.............................................................................................. 34 CAMBIO SOCIALE – Società ............................................................................................................................ 34 CAPACITÀ (D. Nicoli) ....................................................................................................................................... 34 CENTRO DI FORMAZIONE PROFESSIONALE (G. Malizia) ..................................................................... 36 CENTRO DI ORIENTAMENTO – Orientamento; – Sede orientativa.................................................... 38 CENTRO PER L’IMPIEGO – Servizi per l’impiego..................................................................................... 38 INDICE parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 215 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 216 CENTRO SERVIZI FORMATIVI (CSF) – CFP ................................................................................................ 38 CERTIFICAZIONE DEGLI APPRENDIMENTI (D. Nicoli)........................................................................... 38 CERTIFICAZIONE DI QUALITÀ – Accreditamento ..................................................................................... 39 CICLO – Riforma educativa; – FP iniziale; – Moduli; – Valori professionali; – Alter- nanza formazione lavoro ...................................................................................................................... 39 CITTADINANZA (V. Orlando) ........................................................................................................................ 39 CLIMA EDUCATIVO / FORMATIVO – Ispirazione cristiana della FP.................................................... 40 CODICE DEONTOLOGICO – Etica professionale....................................................................................... 40 COLLOCAMENTO, UFFICI DI – Servizi per l’impiego............................................................................. 40 COLLOQUIO (A.R. Colasanti) ...................................................................................................................... 40 COMPETENZA (D. Nicoli) ............................................................................................................................... 41 COMPETITIVITÀ – Risorse umane; – Educazione permanente ........................................................ 43 COMPLESSITÀ SOCIALE – Società ................................................................................................................. 43 COMUNICAZIONE (C. Cangià) ...................................................................................................................... 43 COMUNITÀ DI APPRENDIMENTO – Comunità educativo-formativa ................................................... 45 COMUNITÀ DI PRATICHE – Comunità educativo-formativa................................................................. 45 COMUNITÀ EDUCATIVO FORMATIVA (C. Di Agresti) ............................................................................ 45 COMUNITÀ / FAMIGLIA PROFESSIONALE (D. Nicoli) ............................................................................. 46 CONCERTAZIONE – Parti sociali; – Partnership; – Contratti .......................................................... 48 CONOSCENZE (D. Nicoli) ................................................................................................................................ 48 CONSIGLIO DI CENTRO – CFP ........................................................................................................................ 49 CONSULENZA– Orientamento....................................................................................................................... 49 CONTRATTI (P. Ransenigo) ........................................................................................................................... 50 CONTRATTO FORMATIVO (L. Valente)....................................................................................................... 51 COOPERAZIONE – Solidarietà ........................................................................................................................ 52 COORDINATORE – Operatori della FP......................................................................................................... 52 COPING (A.R. Colasanti) ............................................................................................................................... 53 COUNSELLING – Orientamento ...................................................................................................................... 53 CREDITO FORMATIVO (D. Nicoli) ................................................................................................................ 54 CULTURA PROFESSIONALE (G. Bocca) ....................................................................................................... 54 CURRICOLO – Progettazione formativa; – Didattica induttiva; – Pedagogia del lavoro 55 CURRICULUM VITAE (R. Paggi) ..................................................................................................................... 55 DECISIONE – Orientamento; – Sviluppo professionale; –Motivazione; – Prevenzione; –Accoglienza.......................................................................................................................................... 56 DESTINATARI (V. Pieroni)............................................................................................................................... 56 DEVIANZA– Destinatari.................................................................................................................................. 57 DIALOGO – Spiritualità dell’operatore; –Accoglienza ..................................................................... 58 DIDATTICA– Insegnamento; – Didattica induttiva; – Moduli; – Laboratorio; – Meto- dologia; – Alternanza formazione lavoro; – Autonomia; – Accoglienza; – Tutor 58 DIDATTICA INDUTTIVA (N. Zanni)............................................................................................................... 58 DIPLOMA PROFESSIONALE– FPI;– FP superiore;– Istruzione e FP;– Personalizzazione; –Apprendistato....................................................................................................................................... 59 DIRETTORE – Operatori della FP; – Équipe educativa; – Orientamento .................................. 59 DIRITTI FORMATIVI (G. Malizia) ................................................................................................................. 59 DISABILITÀ – Handicap e FP ........................................................................................................................ 60 DISAGIO (A. Felice) .......................................................................................................................................... 60 parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 216 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 217 DISCIPLINA– Didattica induttiva; – Nuove tecnologie ..................................................................... 61 DISOCCUPAZIONE– Sociologia del lavoro;– Bisogni formativi;– Economia e formazione; –Esclusione sociale;– Finanziamenti per la FP;– Impresa;– Servizi per l’impiego; – Bisogni formativi................................................................................................................................ 61 DOMANDA E OFFERTA DI LAVORO– Economia e formazione;–Mercato del lavoro;– Biso- gni formativi .............................................................................................................................................. 61 DOMANDA FORMATIVA– Bisogni formativi; – FP: sviluppo storico; – CFP; – Destinatari 61 DON BOSCO E LA FP (J.M. Prellezo)........................................................................................................ 62 DONNE – Pari opportunità; – Destinatari ............................................................................................... 64 DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA– Insegnamento sociale della Chiesa; – Enti di FP; – Ispirazione cristiana della FP; – Spiritualità dell’operatore.................................................. 64 DROP-OUT– Abbandono; – Destinatari .................................................................................................. 64 ECONOMIA E FORMAZIONE (M. Colasanto)............................................................................................ 64 EDUCATORE – Équipe educativa; – Insegnamento sociale della Chiesa; – Metodologia; – Personalizzazione; – Spiritualità dell’operatore................................................................... 66 EDUCAZIONE (C. Nanni) ................................................................................................................................ 66 EDUCAZIONE FORMALE – Educazione; –Alternanza formazione lavoro .................................... 68 EDUCAZIONE INFORMALE – Educazione .................................................................................................... 68 EDUCAZIONE INTERCULTURALE (V. Orlando)........................................................................................ 68 EDUCAZIONE NON FORMALE – Educazione............................................................................................... 69 EDUCAZIONE PERMANENTE (C. Di Agresti) ............................................................................................ 69 EDUCAZIONE TECNICO - PROFESSIONALE – Educazione........................................................................ 71 EFFICACIA (K. Poláèek) ................................................................................................................................. 71 E-LEARNING – Formazione a distanza........................................................................................................ 72 EMARGINAZIONE – Disagio; – Esclusione sociale; – Metodologia; – Motivazione; – Pari opportunità; – Prevenzione; – Abbandono; – Comunità educativo formativa 72 ENTI DI FP (S. Colombo) .............................................................................................................................. 72 ÉQUIPE EDUCATIVA (A.R. Colasanti) ........................................................................................................ 74 ESCLUSIONE SOCIALE (A. Felice) ................................................................................................................ 74 ETICA PROFESSIONALE (G. Gatti) ............................................................................................................... 75 EUROPEAN COMPUTER DRIVING LICENCE (ECDL) (I. Pizzini) ....................................................... 77 FAMIGLIA (R. Mion) ........................................................................................................................................ 78 FAMIGLIA PROFESSIONALE – Comunità / famiglia professionale...................................................... 81 FILIERE FORMATIVE – FP................................................................................................................................. 81 FINANZIAMENTI PER LA FP (S. D’agostino) ........................................................................................... 81 FLESSIBILITÀ–Mansione;– Contratti;– Sistema produttivo;– Risorse umane;– Socio- logia del lavoro;– Sussidiarietà;– CFP;–Minori .................................................................. 82 FONDO SOCIALE EUROPEO (FSE) – Finanziamenti per la FP; – FPI; – Operatori della FP 82 FORMATORE – Operatori della FP; –Metodologia; – Nuove tecnologie; – CFP................. 82 FORMAZIONE (C. Nanni)................................................................................................................................ 82 FORMAZIONE A DISTANZA (M. Tonini) ...................................................................................................... 84 FORMAZIONE FORMALE – Apprendistato ................................................................................................... 86 FORMAZIONE ON LINE – Formazione a distanza ..................................................................................... 86 FORMAZIONE PERMANENTE – FP continua; –Alternanza formazione lavoro; – Spiritualità dell’operatore; – Diritti formativi; – Ispirazione cristiana della FP; – Sistema formativo; –Minori ............................................................................................................................... 86 parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 217 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 218 FORMAZIONE PER FASCE DEBOLI – FP......................................................................................................... 86 FORMAZIONE PROFESSIONALE (M. Tonini) ............................................................................................. 86 FORMAZIONE PROFESSIONALE CONTINUA (G. Allulli) ......................................................................... 90 FORMAZIONE PROFESSIONALE INIZIALE (G. Allulli) ............................................................................ 91 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE (G. Allulli)........................................................................ 92 FORMAZIONE PROFESSIONALE: SVILUPPO STORICO (J.M. Prellezo) ............................................. 94 GENITORI – Famiglia; – Processo formativo; – Sistema formativo; – Accoglienza; – CFP; – Comunità educativo formativa; – Contratto formativo; – Educazione.... 96 GIOVANI–Destinatari;–Minori;– FPI;– FP superiore;–Apprendistato;–Alternanza formazione Lavoro;– Don Bosco e la FP;– Sistema preventivo;– Spiritualità del- l’operatore; – Ispirazione Cristiana della FP; – Sviluppo Professionale; – Valori professionali; – Orientamento; – Riforma Educativa; – Sicurezza sul lavoro; – Svantaggio sociale;–Abbandono;– Finanziamenti per la FP ............................................ 96 GLOBALIZZAZIONE – Nuove tecnologie; – Economia e formazione; – Educazione; – Identità; – Spiritualità dell’operatore; – Contratti; – Riforma educativa...................... 97 HANDICAP E FP (G. Morante) ..................................................................................................................... 97 IDENTITÀ (G. Del Core) .................................................................................................................................. 98 IMMIGRAZIONE – Educazione interculturale............................................................................................ 99 IMPRESA (F. Ghergo) ....................................................................................................................................... 99 INDICATORI DI QUALITÀ – Competenza...................................................................................................... 101 INDIVIDUALIZZAZIONE – Personalizzazione; – Esclusione sociale ................................................ 101 INFORMAZIONE – Nuove tecnologie; – European Computer Driving Licence; – Cono- scenze; – Comunità educativo formativa ..................................................................................... 101 INSEGNAMENTO (M. Pellerey) ...................................................................................................................... 101 INSEGNAMENTO A DISTANZA– Formazione a distanza ......................................................................... 102 INSEGNAMENTO SOCIALE DELLA CHIESA (M. Toso) ............................................................................ 102 INSEGNANTE –Moduli;– Didattica induttiva;– Insegnamento;–Abbandono;–Auto- nomia; – Riforma educativa; – Valutazione .............................................................................. 104 INSERIMENTO PROFESSIONALE / LAVORATIVO–Accompagnamento al lavoro;– Servizi per l’impiego; – Risorse umane; – Handicap e FP; – CFP; – FPI; – FP superiore; – Personalizzazione.................................................................................................................................... 105 INTEGRAZIONE CON LA SCUOLA– FP........................................................................................................... 105 INTEGRAZIONE SOCIALE – Società................................................................................................................ 105 INTERAZIONE TRA SISTEMI – FP .................................................................................................................... 105 INTERCULTURA– Educazione interculturale;– Società;–Metodologia;– Diritti formativi 105 INTERESSI PROFESSIONALI – Orientamento............................................................................................... 105 ISO 9000 – Qualità; –Accreditamento; –Mansione...................................................................... 105 ISPIRAZIONE CRISTIANA DELLA FP (B. Stenco) ..................................................................................... 105 ISTITUZIONI – Enti di FP; – Istruzione e FP; –Accreditamento; –Autonomia; – Citta- dinanza; – Destinatari; – Società; – Sistema formativo; – Riforma educativa; – Progettazione formativa; – Parti sociali; – Obbligo scolastico e formativo; – Ispirazione cristiana della FP; – Educazione; – FP: sviluppo storico; – Capacità ... 108 ISTRUZIONE E FP (D. Nicoli) ........................................................................................................................ 109 ISTRUZIONE FORMAZIONE TECNICA SUPERIORE (IFTS) – FP superiore.......................................... 110 KNOW HOW – Sistema produttivo; – Comunità / famiglia professionale.................................... 110 LABORATORIO (N. Zanni) .............................................................................................................................. 110 parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 218 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 219 LAVORO (G. Bocca)........................................................................................................................................... 111 LIBRETTO FORMATIVO – FP ............................................................................................................................ 112 LINGUA STRANIERA (C. Cangià) ................................................................................................................. 112 MANSIONE (L. Reghellin) .............................................................................................................................. 113 MATURITÀ PROFESSIONALE (K. Poláèek) ................................................................................................ 115 MENTORING, PROGRAMMA– Insegnamento.............................................................................................. 116 MERCATO DEL LAVORO (M. Colasanto)................................................................................................... 116 METODOLOGIA (H.-C.A. Chang) ............................................................................................................... 117 MIGRAZIONE – Educazione interculturale................................................................................................ 119 MINORI (V. Pieroni) ......................................................................................................................................... 119 MISSION – Proposta formativa; – CFP; – Impresa ............................................................................ 120 MOBBING (M. Becciu)..................................................................................................................................... 120 MOBILITÀ PROFESSIONALE (L. Valente) .................................................................................................. 122 MODULI (H.-C.A. Chang) ............................................................................................................................. 123 MONITORAGGIO (G. Malizia) ....................................................................................................................... 124 MOTIVAZIONE (S. De Pieri)........................................................................................................................... 125 MULTICULTURA– Educazione interculturale;– Società;–Metodologia;– Riforma edu- cativa; – D. Bosco e la FP.................................................................................................................. 125 MULTIMEDIALITÀ – Nuove tecnologie; –Metodologia ..................................................................... 125 NUOVE TECNOLOGIE (N. Zanni).................................................................................................................. 126 OBBLIGO SCOLASTICO E FORMATIVO (G. Malizia) ............................................................................... 127 OBIETTIVI (M. Pellerey)................................................................................................................................. 127 OFFERTA FORMATIVA – Progettazione formativa; – CFP; – Servizi per l’impiego; – Apprendistato;– Handicap e FP;– Diritti formativi;– Economia e formazione;– FPI; – FP superiore; –Moduli ........................................................................................................ 129 OPERATORI DELLA FP (C. Montedoro) ................................................................................................... 129 ORIENTAMENTO (K. Poláèek)....................................................................................................................... 131 ORIENTATORE – Operatori della FP; – Orientamento......................................................................... 134 PARI OPPORTUNITÀ (S. Chistolini) ............................................................................................................. 134 PARTI (FORZE) SOCIALI (P. Ransenigo).................................................................................................... 135 PARTNERSHIP (E. Marsilii)............................................................................................................................. 137 PATTO ORIENTATIVO - FORMATIVO – Orientamento; –Accoglienza .............................................. 138 PEDAGOGIA DEL LAVORO (G. Bocca).......................................................................................................... 138 PERCORSO FORMATIVO – Progettazione formativa; – Tirocinio; – Valutazione; – Acco- glienza;–Accompagnamento al lavoro;–Contratto formativo;–Credito formativo; – Curriculum vitae;– Disagio;– Esclusione sociale;– FPI;– Obiettivi formativi; –Apprendimento .................................................................................................................................... 139 PERSONALIZZAZIONE (D. Nicoli)................................................................................................................. 139 POLITICHE DEL LAVORO – Economia e formazione............................................................................... 141 POLITICHE FORMATIVE (G. Malizia).......................................................................................................... 141 PORTFOLIO – Valutazione; – Tutor; – Lingua straniera................................................................... 142 PREDIZIONE DELL’ESITO SCOLASTICO E PROFESSIONALE – Orientamento........................................ 142 PREVENZIONE (G. Vettorato)........................................................................................................................ 143 PROBLEM SOLVING (A.R. Colasanti) .......................................................................................................... 143 PROCESSO FORMATIVO (H.-C.A. Chang) ................................................................................................ 144 PROFESSIONALITÀ (M. Colasanto)............................................................................................................. 146 parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 219 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 220 PROFESSIONALIZZAZIONE– Comunità formativa / professionale;– Economia e formazione; FPI................................................................................................................................................................. 147 PROFILO PROFESSIONALE (D. Nicoli - C. Catania) ............................................................................. 147 PROGETTAZIONE FORMATIVA (M. Pellerey)............................................................................................ 148 PROGETTO PERSONALE E PROFESSIONALE (G. Del Core) .................................................................. 150 PROPOSTA FORMATIVA (M. Tonini) ............................................................................................................ 152 PSICOLOGIA DEL LAVORO (D. Antonietti)................................................................................................ 154 QUALIFICA PROFESSIONALE (D. Nicoli) .................................................................................................... 155 QUALITÀ (S. Pugliese)..................................................................................................................................... 157 RECUPERO DIDATTICO – Personalizzazione.............................................................................................. 158 REGIONE – Enti di FP; – Progettazione formativa; – Mobilità professionale; – Impresa; – FP: sviluppo storico;– FPI;– FP continua;– FP superiore;– Finanziamenti per la FP;– Riforma educativa;– Servizi per l’impiego;–Apprendistato;–Autonomia 158 RELIGIONE (Z. Trenti) .................................................................................................................................... 159 RENDIMENTO SCOLASTICO E PROFESSIONALE – Successo scolastico e professionale; – Valutazione; – Efficacia; – Orientamento................................................................................... 159 RESILIENZA– Prevenzione; –Minori....................................................................................................... 159 RETE (S. Pugliese) ............................................................................................................................................ 159 RIABILITAZIONE PROFESSIONALE – Comunità educativo formativa................................................. 160 RICERCA (V. Orlando) .................................................................................................................................... 160 RIFORMA EDUCATIVA (G. Malizia).............................................................................................................. 161 RISORSE UMANE (C. Montedoro) ............................................................................................................... 163 RUOLO PROFESSIONALE (D. Nicoli)............................................................................................................ 165 SALUTE– Sicurezza sul lavoro;– Prevenzione;– Società;– Efficacia;– Etica profes- sionale; – Formazione.......................................................................................................................... 166 SAPERI – Aree professionali; – Certificazione degli apprendimenti; – Conoscenze; – Contratto formativo; – Didattica induttiva; – Istruzione e FP; – Qualifica profes- sionale; – Comunità educativo formativa .................................................................................... 166 SCIENZE UMANE ED ETICA (G. Gatti)......................................................................................................... 166 SCUOLA– Sistema formativo; – Riforma educativa; – Successo scolastico e professio- nale; – Valori professionali; – Abbandono; – Alternanza formazione lavoro; – Politiche formative;–Autonomia;– Comunità educativo formativa;– Conoscenze; – Didattica induttiva; – Don Bosco e la FP; – Educazione; – Educazione per- manente;– FPI;– FP superiore;– FP: sviluppo storico;– Handicap e FP;– Ispi- razione cristiana della FP; – Laboratorio; – Lingua straniera; – Metodologia; – Moduli; – monitoraggio; – Obbligo scolastico e formativo ............................................... 168 SECONDA OPPORTUNITÀ – Alternanza formazione lavoro .................................................................. 168 SEDE ORIENTATIVA (M. Tonini) ................................................................................................................... 168 SERVIZI (O CENTRI) PER L’IMPIEGO (D. Pavoncello) ......................................................................... 170 SICUREZZA SUL LAVORO (R. D’agostino)................................................................................................. 171 SINDACATI (P. Ransenigo) ............................................................................................................................. 172 SISTEMA FORMATIVO (G. Malizia) .............................................................................................................. 173 SISTEMA PREVENTIVO (C. Nanni) ............................................................................................................... 175 SISTEMA PRODUTTIVO (M. Colasanto) ..................................................................................................... 177 SISTEMA QUALITÀ – Qualità; –Accreditamento................................................................................... 179 SOCIETÀ (R. Mion)........................................................................................................................................... 179 parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 220 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 221 SOCIOLOGIA DEL LAVORO (M. Colasanto) .............................................................................................. 182 SOLIDARIETÀ (M. Tonini) .............................................................................................................................. 184 SPERIMENTAZIONE (S. Chistolini) .............................................................................................................. 186 SPIRITUALITÀ DEL LAVORO (C. Nanni) ..................................................................................................... 188 SPIRITUALITÀ DELL’OPERATORE (G. Fedrigotti)................................................................................... 189 SPORTELLO INFORMATIVO – Destinatari; – FP ....................................................................................... 192 STAFF DI DIREZIONE – CFP............................................................................................................................. 192 STAGE – Tirocinio; –Accompagnamento al lavoro; – FPI; – FP superiore........................... 192 STANDARD FORMATIVI – FP............................................................................................................................ 192 SUCCESSO SCOLASTICO E PROFESSIONALE (S. Chistolini)................................................................. 192 SUSSIDIARIETÀ (M. Toso) ............................................................................................................................... 193 SVANTAGGIO SOCIALE – Pari Opportunità................................................................................................. 195 SVILUPPO PROFESSIONALE (K. Poláèek) .................................................................................................. 195 SVILUPPO SOSTENIBILE – Educazione; – Formazione......................................................................... 196 TECNICHE DI INSEGNAMENTO – Insegnamento ........................................................................................ 197 TIROCINIO (C. Gentili) ................................................................................................................................... 197 TRANSIZIONE SCUOLA / LAVORO–Alternanza formazione lavoro;–Accompagnamento al lavoro ........................................................................................................................................................... 197 TUTOR (D. Nicoli) .............................................................................................................................................. 197 TUTORATO (O TUTORAGGIO, O TUTORING) – Tutor; – Operatori della FP; – Servizi per l’impiego..................................................................................................................................................... 199 UNITÀ DI APPRENDIMENTO – Insegnamento; – Contratto Formativo; – Progettazione formativa..................................................................................................................................................... 199 UNITÀ DIDATTICA– Insegnamento; –Moduli ....................................................................................... 199 UNITÀ FORMATIVA– Insegnamento............................................................................................................. 199 UNITÀ FORMATIVA CAPITALIZZABILE (UFC) – Competenza................................................................ 199 UTENTI– Destinatari;– Contratto formativo;– Orientamento;– Politiche formative;– Lingua straniera; – Servizi per l’impiego..................................................................................... 199 VALORI PROFESSIONALI (Z. Trenti)............................................................................................................ 199 VALUTAZIONE (D. Nicoli) ............................................................................................................................... 201 VERIFICA – Valutazione; – Accoglienza; – Accompagnamento al lavoro; – Accredita- menti; – Didattica induttiva; – Progettazione formativa; – Riforma educativa; – Ricerca; – Moduli; – Monitoraggio; – Obiettivi; – Problem solving; – Scienze umane ed etica .......................................................................................................................................... 203 VISION – Proposta formativa......................................................................................................................... 203 VOCAZIONE PROFESSIONALE – Orientamento .......................................................................................... 203 VOTI – Valutazione .......................................................................................................................................... 203 VOUCHER – FP continua.................................................................................................................................. 203 PISTE DI LETTURA .............................................................................................................................................. 205 1) PISTE DI LETTURA: SISTEMI .......................................................................................................................... 206 Organizzazione della FP ................................................................................................................................. 206 Contesto socio-economico e culturale della FP ..................................................................................... 206 Soggetti della FP................................................................................................................................................ 207 2) PISTE DI LETTURA: DIMENSIONI................................................................................................................... 208 Dimensione educativa della FP.................................................................................................................... 208 parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 221 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 222 Dimensione culturale della FP...................................................................................................................... 208 Dimensione professionale della FP ............................................................................................................ 208 3) PISTE DI LETTURA: PROCESSI / FUNZIONI.................................................................................................. 210 Direzione e coordinamento............................................................................................................................ 210 Progettazione ....................................................................................................................................................... 210 Docenza ................................................................................................................................................................. 211 Valutazione........................................................................................................................................................... 211 4) PISTE DI LETTURA: SERVIZI........................................................................................................................... 213 Orientamento ....................................................................................................................................................... 213 INDICE ................................................................................................................................... 215 parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 222 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ 223 Pubblicazioni 2002-2004 nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” 1. Nella sezione “studi” 1) CIOFS/FP (a cura di), La formazione professionale per lo sviluppo del territorio. Atti del seminario di formazione europea, Castel Brando (Treviso), 9-11 settembre 2002 2) MALIZIA G. - D. NICOLI - V. PIERONI (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale 3) MALIZIA G. - V. PIERONI (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow - up 4) MALIZIA G. (coord.) - D. ANTONIETTI - M. TONINI (a cura di), Le parole chiave della formazione professionale 5) RUTA G., Etica della persona e del lavoro 6) CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di riforme 2. Nella sezione “progetti” 7) BECCIU M. - A.R. COLASANTI, La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi 8) CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle uni- tà didattiche 9) COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa. Prototipo realizzato dal grup- po di lavoro CIOFS/FP 10) FONTANA S. - G. TACCONI - M. VISENTIN, Etica e deontologia dell’operatore della FP 11) GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo 12) MARSILI E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente 13) TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione 14) VALENTE L. - D. ANTONIETTI, Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi 15) CIOFS/FP (a cura di), Un modello per la gestione dei servizi di orientamento 16) NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale 17) NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale 18) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale alimentazione 19) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale aziendale e amministrativa 20) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale commerciale e delle vendite 21) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale elettrica e elettronica 22) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale estetica 23) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale grafica e multimediale 24) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale legno e arredamento 25) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale meccanica 26) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale sociale e sanitaria 27) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale tessile e moda 28) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale turistica e alberghiera 29) ASSOCIAZIONE CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), Le competenze orientative. Un approccio metodologico e proposte di strumenti 30) ASSOCIAZIONE CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), L’accoglienza nei percorsi formativo-orientativi. Un approccio metodologico e proposte di strumenti 3. Nella sezione “esperienze” 31) CNOS-FAP Piemonte (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza 32) CNOS-FAP Piemonte (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere 33) CNOS-FAP Piemonte (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale 34) CNOS-FAP Piemonte (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage 35) TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordinatore delle attività educative del CFP parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 223 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������ parole-chiaveCNOS.qxd 27/09/2004 10.34 Pagina 224 &7�FQRV���SB�B����SGI ��� ������������������

Atti del XV Seminario di Formazione Europea. Il sistema dell'istruzione e formazione professionale nel contesto della riforma. Significato e percorsi

Autore: 
Sede Nazionale CIOFS/FP
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2004
Numero pagine: 
241
Il coordinamento editoriale del Seminario è stato condotto daIl coordinamento editoriale del Seminario è stato condotto daIl coordinamento editoriale del Seminario è stato condotto daIl coordinamento editoriale del Seminario è stato condotto daIl coordinamento editoriale del Seminario è stato condotto da Lauretta Valente e e e e e Angela Elicio della Sede Nazionale del CIOFS-FPdella Sede Nazionale del CIOFS-FPdella Sede Nazionale del CIOFS-FPdella Sede Nazionale del CIOFS-FPdella Sede Nazionale del CIOFS-FP..... Autori del volume sono:Autori del volume sono:Autori del volume sono:Autori del volume sono:Autori del volume sono: Margherita Dal Lago,,,,, Lauretta Valente,,,,, Cataldo Collazzo,,,,, Vito Santarsiero Giuseppe Schettino (cap. (cap. (cap. (cap. (cap. 1) 1) 1) 1) 1) Michele Pellerey (cap. (cap. (cap. (cap. (cap. 2) 2) 2) 2) 2) Gianfranco Garancini,,,,, Valentina Aprea,,,,, Domenico Sugamiele,,,,, Pasquale Ransenigo (cap. (cap. (cap. (cap. (cap. 3) 3) 3) 3) 3) Giuseppe Richiedei, , , , , Maurizio Drezzadore, , , , , Claudio Gentili (cap. 4) (cap. 4) (cap. 4) (cap. 4) (cap. 4) Antonio De Marco,,,,, Alfio D’Onofrio,,,,, Piero Martina,,,,, Gaetano Volpe,,,,, Adriana Buffardi (cap. (cap. (cap. (cap. (cap. 5) 5) 5) 5) 5) Olga Turrini,,,,, Angela Elicio,,,,, Philip O’ Connor,,,,, Antonio Sassi,,,,, Alberto Morlacchi,,,,, Beatriz Zafra,,,,, Rocco Giuseppe Maggio,,,,,Vito Santarsiero (cap. 6) (cap. 6) (cap. 6) (cap. 6) (cap. 6) Emilio Gandini,,,,, Dario Nicoli,,,,, Anna D’Arcangelo,,,,, Maria Luisa Pombeni,,,,, Irene Gatti,,,,, Sandra D’Agostino (cap. (cap. (cap. (cap. (cap. 7) 7) 7) 7) 7) Il cordinamento editoriale finale è stato curato da:Il cordinamento editoriale finale è stato curato da:Il cordinamento editoriale finale è stato curato da:Il cordinamento editoriale finale è stato curato da:Il cordinamento editoriale finale è stato curato da: Margherita Dal Lago, Angela Elicio, Fabrizia Pittalà, Lauretta Valente Si ringraziano gli Operatori della FSi ringraziano gli Operatori della FSi ringraziano gli Operatori della FSi ringraziano gli Operatori della FSi ringraziano gli Operatori della Formazione Professionale e rappresentanti del:ormazione Professionale e rappresentanti del:ormazione Professionale e rappresentanti del:ormazione Professionale e rappresentanti del:ormazione Professionale e rappresentanti del: CIOFS-FP CIOFS-FP CIOFS-FP CIOFS-FP CIOFS-FP AbrAbrAbrAbrAbruzzo,uzzo,uzzo,uzzo,uzzo, CIOFS-FP Basil icata,CIOFS-FP Basil icata,CIOFS-FP Basil icata,CIOFS-FP Basil icata,CIOFS-FP Basil icata, CIOFS-FP Calabria,CIOFS-FP Calabria,CIOFS-FP Calabria,CIOFS-FP Calabria,CIOFS-FP Calabria, CIOFS-FP Campania,CIOFS-FP Campania,CIOFS-FP Campania,CIOFS-FP Campania,CIOFS-FP Campania, CIOFS-FP Emilia Romagna,CIOFS-FP Emilia Romagna,CIOFS-FP Emilia Romagna,CIOFS-FP Emilia Romagna,CIOFS-FP Emilia Romagna, CIOFS-FP FCIOFS-FP FCIOFS-FP FCIOFS-FP FCIOFS-FP Friuli riuli riuli riuli riuli VVVVVenezia Giulia,enezia Giulia,enezia Giulia,enezia Giulia,enezia Giulia, CIOFS-FP Lazio,CIOFS-FP Lazio,CIOFS-FP Lazio,CIOFS-FP Lazio,CIOFS-FP Lazio, CIOFS-FP Liguria,CIOFS-FP Liguria,CIOFS-FP Liguria,CIOFS-FP Liguria,CIOFS-FP Liguria, CIOFS-FP Lombardia,CIOFS-FP Lombardia,CIOFS-FP Lombardia,CIOFS-FP Lombardia,CIOFS-FP Lombardia, CIOFS-FP Piemonte,CIOFS-FP Piemonte,CIOFS-FP Piemonte,CIOFS-FP Piemonte,CIOFS-FP Piemonte, CIOFS-FP Puglia,CIOFS-FP Puglia,CIOFS-FP Puglia,CIOFS-FP Puglia,CIOFS-FP Puglia, CIOFS-FP Sardegna,CIOFS-FP Sardegna,CIOFS-FP Sardegna,CIOFS-FP Sardegna,CIOFS-FP Sardegna, CIOFS-FP Sici l ia,CIOFS-FP Sici l ia,CIOFS-FP Sici l ia,CIOFS-FP Sici l ia,CIOFS-FP Sici l ia, CIOFS-FP TCIOFS-FP TCIOFS-FP TCIOFS-FP TCIOFS-FP Toscana,oscana,oscana,oscana,oscana, CIOFS-FP CIOFS-FP CIOFS-FP CIOFS-FP CIOFS-FP VVVVVeneto.eneto.eneto.eneto.eneto. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 3 INDICE Premessa Pag. 000 I. Apertura del Seminario “ 000 1.1 Presentazione del Seminario. Margherita Dal Lago - CIOFS “ 000 1.2 Le motivazioni del Seminario. Lauretta Valente - CIOFS-FP “ 000 1.3 Saluti delle Autorità. Cataldo Collazzo - Regione Basilicata; “ 000 Vito Santarsiero - Provincia di Potenza; Giuseppe Schettino - Comune Maratea. II. Il fondamento epistemologico della riforma Pag. 000 1I.1 Il fondamento epistemologico della riforma in rapporto ai destinatari e ai percorsi. “ 000 Michele Pellerey - Università Pontificia Salesiana “ 000 III. Il sistema di IeFP nel contesto della riforma Pag. 000 III.1 Il nuovo quadro istituzionale dell’Istruzione e della Formazione “ 000 Professionale: quali prospettive. Gianfranco Garancini - Università di Milano “ 000 III.2 Un sistema unitario d’Istruzione e Formazione Professionale. Valentina Aprea - MIUR “ 000 III.3 L’assetto istituzionale e i percorsi del sistema d’Istruzione e Formazione Professionale. Domenico Sugamiele - MIUR “ 000 III.4 Il quadro della riforma nel suo assetto normativo. Pasquale Ransenigo - CNOS-FAP “ 000 CIOFS-FP 4 IV. L’utenza del sistema Pag. 000 IV.1 La centralità della famiglia nelle fasi dell’orientamento. Giuseppe Richiedei - AGe “ 000 IV.2 Sistema d’Istruzione e Formazione: Governance e nuovi compiti. Maurizio Drezzadore - ENAIP “ 000 IV.3 I nuovi compiti del sistema di IeFP. Claudio Gentili - Confindustria “ 000 V. Regioni e Province: la governance del nuovo sistema Pag. 000 V.1 Conferenza Stato-Regioni. Obbligo formativo e riforma Moratti. Antonio De Marco - Tecnostruttura “ 000 V.2 Regione Lazio. Un nuovo impegno: avviare la trasformazione del sistema formativo. Alfio D’Onofrio - Regione Lazio “ 000 V.3 Regione Piemonte. La formazione iniziale. Piero Martina - Regione Piemonte “ 000 V.4 Regione Puglia. Sperimentazione e personalizzazione. Gaetano Volpe - Regione Puglia “ 000 V.5 Regione Campania. Aspettando i decreti attuativi: le sperimentazioni come risposta al nuovo obbligo formativo. Adriana Buffardi - Regione Campania “ 000 VI. Esperienze a confronto Pag. 000 VI.1 Confronto tra esperienze italiane ed europee. Olga Turrini - ISFOL “ 000 VI.2 La sperimentazione CIOFS-FP e CNOS-FAP. Angela Elicio – CIOFS-FP “ 000 VI.3 Nuovi percorsi per le Qualifiche d’istruzione in Irlanda. Philip O’ Connor – Dublin Employment Pact (Irlanda) “ 000 VI.4 Il progetto sperimentale della Lombardia. Alberto Morlacchi, Antonio Sassi ATS Sperimentazione Triennale Lombarda “ 000 XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 5 VI.5 Un modulo di formazione interaziendale. Beatriz Zafra - Camaras (Spagna) “ 000 VI.6 Progetto Sperimentale di Orientamento all’obbligo formativo. Rocco Giuseppe Maggio, Vito Santarsiero - APOF (Agenzia Provinciale Orientamento e Formazione Professionale) “ 000 VII. I seminari Pag. 000 VII.1 Introduzione. Emilio Gandini - FORMA Nazionale VII.2 Il metodo e i percorsi dell’obbligo formativo nel sistema dell’IeFP. Dario Nicoli - Università Cattolica “ 000 VII.3 Le prospettive dell’Istruzione e Formazione Superiore. Anna D’Arcangelo - ISFOL “ 000 VII.4 Orientamento e personalizzzzione nel sistema dell’IeFP. Maria Luisa Pombeni - Università di Bologna “ 000 VII.5 Governance, interazioni e collegamenti tra i due sistemi, intersistemici, con gli enti locali. Irene Gatti - MIUR “ 000 VII.6 Le prospettive dell’alternanza. Sandra D’Agostino - ISFOL “ 000 VIII. Allegati Pag. 000 VIII.1 Numero speciale di “Città CIOFS.FP” “ 000 VIII.2 Proposta CIOFS.FP per il sistema di IeFP. “ 000 CIOFS-FP 6 PREMESSA Il Seminario di Formazione Europea ha raggiunto la sua XV edizione. L’iniziativa ha toccato, durante la sua evoluzione, molte tematiche nell’ambito della Formazione Professionale quali la preparazione e l’inserimento lavorativo dei giovani; le problematiche relative alle pari opportunità, la qualificazione ed il sostegno al lavo- ro delle donne; l’orientamento, gli sportelli informativi e il bilancio di competenze; la riflessione sui recenti eventi delle riforme istituzionali del lavoro e del sistema scolastico/formativo. L’iniziativa costituisce ormai un appuntamento di avvio dell’anno formativo sia per gli Organismi che erogano formazione professionale sia per le Istituzioni che par- tecipano con impegno e interesse al dibattito. L’edizione di cui presentiamo gli atti ha approfondito il tema: IL SISTEMA DELLA ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE NEL CONTESTO DELLA RIFORMA. SIGNIFICATO E PERCORSI Nella raccolta della documentazione dei lavori si è trascurato il criterio cronologi- co per dare maggiore importanza alla organizzazione dei contenuti. È stata pertanto curata la organizzazione tematica degli argomenti affrontati nelle diverse giornate di lavoro. I primi capitoli fanno riferimento agli aspetti teorici che la riflessione sulla riforma richiede di approfondire. In particolare il capitolo di apertura, dopo aver riportato i saluti delle autorità, sottolinea le motivazioni che hanno indotto alla scelta del tema individuato. È stata richiamata la necessità di dare corso ad una riflessione nuova ed attuale relativamente al metodo che dovrebbe fondare la costruzione dei percorsi formativi. Nel secondo capitolo è stata riportata la relazione base su cui costruire la rifles- sione e il dibattito del seminario. L’intervento è stato affidato a Michele Pellerey dell’Università Pontificia Salesiana. Pellerey ha richiamato l’attenzione sul fonda- mento epistemologico dei percorsi formativi che necessitano di un sostrato cultu- rale/formativo e contestualmente di un appiglio applicativo e motivazionale. Il terzo capitolo è stato dedicato all’analisi del Sistema di Istruzione e della Forma- XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 7 zione Professionale, IeFP, e raccoglie i contributi di Valentina Aprea, Sottosegretario al MIUR e gli interventi della tavola rotonda dedicata al tema apportati da Gianfranco Garancini, dell’Università di Milano, di Domenico Sugamiele del MIUR, di Pasquale Ransenigo del CNOS/FAP. Alla riflessione sull’utenza del sistema è stato dedicato il quarto capitolo che acco- glie le riflessioni di Giuseppe Richiedei dell’AGe, di Maurizio Drezzadore dell’ENAIP, di Claudio Gentili di Confindustria. I contributi degli interventi istituzionali costituiscono il quinto capitolo degli atti. Sono intervenuti Antonio De Marco per Tecnostruttura, Alfio D’Onofrio per la Regione Lazio, Piero Martina per la Regione Piemonte, Gaetano Volpe per la Regio- ne Puglia, Adriana Buffardi per la Regione Campania. Gli ultimi due capitoli hanno raccolto i contributi più operativi del seminario. Il capitolo sesto ha riportato le esperienze condotte a livello italiano dal CIOFS-FP e dal CNOS/FAP, riferite da Angela Elicio; una esperienza dell’Irlanda presentata da Philip O’ Connor, un modulo di formazione internazionale riportato da Beatriz Zafra, proveniente dalla Spagna, il progetto sperimentale di orientamento dell’ob- bligo formativo presentato da Rocco Giuseppe Maggio e Vito Santarsiero, dell’APOF di Potenza. Il capitolo settimo ha riportato le sintesi dei gruppi di lavoro ed i commenti con- clusivi di Emilio Gandini, di FORMA. Uno degli obiettivi del seminario è stato quello di raccogliere indicazioni per la redazione di una Carta dell’IeFP. A questo scopo è stata predisposta una linea di lavoro facente parte della brochure del seminario, inviata a tutti i partecipanti. I contributi e i lavori di gruppo hanno consentito di perfezionare ed arricchire il documento, di condividerlo con le Organizzazioni CONFAP e FORMA e di pubbli- carlo come Proposta per il Sistema dell’Istruzione e Formazione Professionale . Il docu- mento è stata diffuso come contributo al dibattito sulla riforma, fatto oggetto di un numero speciale di «CITTÀ CIOFS–FP», ed allegato agli atti. Riteniamo che il seminario abbia contribuito ad offrire un apporto partecipativo sia alla riflessione sul sistema di IeFP sia alla possibilità di dibattere la governance locale in prospettiva dei decreti applicativi. I. APERTURA DEL SEMINARIO XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 9 I.1 PRESENTAZIONE DEL SEMINARIO MARGHERITA DAL LAGO Ente CIOFS Aprire la quindicesima edizione del Seminario Europa con un tema così attuale, così problematico, così appassionante per chi si interessa di giovani ed educazione è davvero un’emozione. In questo scenario splendido non ci sarà difficile tener presenti orizzonti vasti, senza perdere di vista la concretezza della terra, dei passi, della gente di questo territorio. A nome dell’Ente CIOFS e dell’Associazione CIOFS-FP ringrazio tutte le autorità qui presenti: la Superiora dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice di questa Regione, il Presidente della Regione Basilicata, l’Assessore Regionale alla Formazio- ne Lavoro Cultura e Sport, al Presidente della Provincia di Potenza e all’Assessore per la Formazione Professionale della Provincia, il Sindaco di Maratea… Ringrazio i rappresentanti del Ministero dell’Istruzione e del Lavoro che parteci- peranno al Seminario e i sottosegretari on. Aprea e on. Viespoli che interverranno e seguiranno i lavori anche con l’apporto di collaboratori. Ringrazio i rappresentanti degli Enti pubblici e privati che lavorano nel campo della formazione professionale e che condividono la nostra ricerca per dare qualità alla formazione professionale, accettando la sfida di questo cambiamento. Ringrazio, infine, tutti voi, qui presenti, che ci portate il riscontro della prassi educativa e formativa dei vostri Centri. Saranno giornate intense in cui insieme cercheremo di approfondire significati e individuare percorsi. Il sottotitolo del seminario, infatti, ci rimanda proprio alla prassi quotidiana, alla ricerca puntigliosa di modalità formative che, tenendo ben presente la tipologia di ragazzi che approdano nei nostri Centri, possano suscitare motivazioni profonde, ridare speranza, ‘movimentare risorse sopite’. Vogliamo raccogliere la sfida della riforma con la creatività di chi crede che l’edu- CIOFS-FP 10 cazione è cosa di cuore – come diceva don Bosco – e che in tutti i giovani c’è un punto in cui far breccia con pazienza e amore. Stiamo costruendola un poco per volta con le sperimentazioni, con le verifiche, con i materiali messi a punto… con il dibattito tenuto alto e accompagnato a livello nazionale. Il Seminario stesso è un laboratorio di idee. Ci serve la pazienza della ricerca. La speranza alimentata dai piccoli successi. La creatività di chi risolve i problemi per strade alternative. La tenacia di chi non si arrende di fronte all’insuccesso. L’ostinazione di chi sa ripartire da capo. L’adatta- mento di chi sa inserirsi sui ritmi degli altri. La volontà determinata di far tesoro della storia e di dialogare con tutti. Ma ci conforta – cioè ci dà forza – la prospettiva di contribuire a costruire una società diversa. Noi vogliamo esserci. Semplicemente. Vogliamo che i giovani trovino significati per la vita. Imparino a spendersi per qualcosa. Abbiano dei valori in cui credere. Sappia- no puntare in alto con tutte le risorse di cui dispongono. Sappiamo scrivere la storia dell’umanità con quelle caratteristiche di bellezza, semplicità, creatività, sag- gezza, laboriosità, amicizia che connotano la nostra gente. Per tutto questo… Buon lavoro a tutti noi! XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 11 I.2 LE MOTIVAZIONI DEL SEMINARIO LAURETTA VALENTE CIOFS-FP Nazionale Un evento significativo questo a cui ci accingiamo a dare vita: la XV edizione del Seminario di Formazione Europea dedicato alla riforma scolastica preparata da una serie di eventi normativi e sancita dalla legge 53/03. Pur tenendo presente la globalità della riforma, in questo evento porremo partico- lare attenzione al sistema IeFP sia perché rappresenta il nostro campo di lavoro sia per l’aspetto innovativo di cui è portatore. La proposta di questo seminario cade dunque bene nella attuale congiuntura del riassetto del sistema dell’educazione in Italia in prossimità della promulgazione dei decreti attuativi. Questa iniziativa è condivisa dalle Associazioni Nazionali CONFAP e FORMA, con la partecipazione dell’ISFOL, con il patrocinio della Regione Basilicata e della Pro- vincia di Potenza ospitanti, con la presenza delle massime Istituzioni: il Ministero del Lavoro, il MIUR, i rappresentanti della Conferenza Stato-Regioni, gli esponenti della Istruzione, della Formazione Professionale, gli operatori della formazione pro- fessionale e i formatori che lavorano a diretto contatto con i giovani utenti. A tutti gli intervenuti e a tutte le personalità e gli studiosi che daranno il loro contributo a questo evento porgiamo cordialmente il benvenuto e il ringraziamen- to sentito. La legge La legge n. 53 del marzo 2003, ha riorganizzato, con un articolato breve e lineare, la struttura dell’educazione in Italia indicando due sistemi entro i quali il cittadino ha la possibilità di adempiere un dovere e conseguire il diritto all’Istruzione e Forma- zione di base e quello alla costruzione di un progetto e di una prospettiva profes- sionale. I due sistemi, pur facendo parte del riassetto generale dell’istruzione e formazione, per il fatto che sono stati codificati e che si è riconosciuta dal legisla- CIOFS-FP 12 tore, in questo momento storico, la necessità di distinguerli, richiede a coloro che sono chiamati a riflettere e a studiare, oltre che a legiferare e amministrare, di tracciare alcune linee di riferimento. Tali si richiede che siano i punti di riferimento, da offrire i fondamenti giustificativi ed esplicativi alla prospettiva di dualità e di interazione/integrazione presente nel sistema sancito dalla legge. Inoltre dovranno essere di appoggio, in prospettiva di sviluppo dinamico, per operare sia le scelte istituzionali che dovranno conferire identità ai due sistemi, sia le scelte operative progettuali, programmatiche e didattiche che dovranno essere operate dalle strut- ture chiamate ad articolare l’offerta formativa. Tali linee dovranno inoltre consen- tire chiarezza di scelta ai destinatari, essere utili per agevolare una corretta com- prensione dell’iniziativa legislativa varata, offrire strumenti atti a progettare nella specificità e nella interazione dei due sistemi e avviare dispositivi di formazione per operatori e insegnanti in ingresso e di adeguato aggiornamento per le profes- sionalità già in organico. Si tratta di un grosso impegno di studio relativo ai fondamenti metodologici (intesi come ragionamento e logica di processo e non ancora come didattica) per dare il giusto valore all’innovazione, agevolare l’avvio delle sperimentazioni e delle scelte didattiche. Demandare questo impegno direttamente agli operatori, direttori presidi, inse- gnanti con riferimento alla libertà di insegnamento, vuol dire dimenticare un pas- saggio importante nella logica del processo di riforma che accingiamo a porre in essere. La libertà per essere esercitata ha bisogno infatti di strumenti adeguati. La domanda Con queste considerazioni ci si riferisce a coloro che studiano, che possono pre- disporre di uno specifico contributo di riflessione e a coloro che operano in quan- to capaci di offrire un ulteriore contributo di analisi della domanda, di confronto e di verifica. Ciò non vuol dire che non si possa lavorare se non si hanno tutti gli strumenti funzionanti. La lettura della domanda dell’utenza, che si presume ben conosciuta dagli addetti ai lavori e si ritiene sia stato l’elemento che ha contribuito a guidare il legislatore della 53/03, costituisce il possibile elemento di partenza dello studio e dell’analisi. Molta attenzione in questo impegno richiede il contesto sociale e non meno quello personale dei destinatari. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 13 1 BRUNER J., La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano 1997. La conoscenza In rapporto alla domanda sarebbe opportuno porre impegno nel riafferrare e rileggere la dimensione della conoscenza umana, elemento formidabile di identifi- cazione della specie ma anche di originale connotazione della persona. La dimen- sione della conoscenza è considerata ormai, nei suoi processi, sistema in evoluzio- ne dinamica e soggiacente ai condizionamenti di ogni genere che attraversano le vicissitudini e le contingenze dell’esistenza personale e sociale. L’elemento evolutivo si riscontra anche nei diversi approcci di riflessione e di studio che molte discipline hanno affrontato in rapporto alle varie manifestazioni: da ultime, la sociologia, la psicologia e la psichiatria, la neurologia. La richiesta concreta e determinante è però rivolta, oggi più che mai, ad una pedago- gia nuova. È questo il momento di lavorare su nuove prospettive pedagogiche, è necessario, lo richiede la domanda scritta dentro la realtà dei giovani e della società. Un breve accenno ad alcuni aspetti della conoscenza può essere utile per operare l’aggancio ad una considerazione sul metodo. Da diversi studiosi è stata sottoline- ata la possibilità di distinguere e identificare due aspetti principali dei processi cognitivi: la costruzione del sistema in riferimento sia alla organizzazione individuale della esperienza personale trascorsa in uno schema concettuale originale, sia in rapporto all’esperienza che segue per facilitarne l’organizzazione e l’archiviazione e per attuare un feed-back di riorganizzazione del sistema stesso, sia in rapporto alla specifica struttura della persona. È inoltre possibile cogliere il processo di efficienza cognitiva rapportata al livello della formalizzazione e della codificazione delle informazioni trattate. Entrambe gli aspetti sono importanti ma non tutte le persone riescono, in tempi e modi comparabili, a destreggiarsi agevolmente a livel- lo delle elaborazioni formali o delle astrazioni. È possibile tuttavia arricchire questa seconda dimensione della conoscenza attraverso l’esperienza e l’elaborazione del- le strutture di sistema, ossia attraverso l’elaborazione del primo aspetto.1 La teoria delle intelligenze multiple di Gardner evidenzia la diversità di approccio alla conoscenza che ciascuna persona può sviluppare. Classificazioni ulteriori legate all’approccio cognitivo hanno tenuto conto di punti di vista diversi per meglio comprendere, partendo dalla persona, la varietà delle CIOFS-FP 14 modalità della mente umana al conoscere e al sapere; ad es. dal punto di vista degli stili cognitivi (D. E. Super) degli interessi (J. L. Holland), della motivazione (G.W. Allport). Questi ed altri aspetti intervengono e condizionano i processi di appren- dimento e hanno ragione della costruzione del patrimonio delle competenze2 . Il metodo In questo momento, più che in altri, occorre fare un salto di qualità nella direzione della ricerca e chiarificazione epistemologica e del metodo in rapporto ai costrutti che possono sorreggere ed esplicitare la riforma sancita dalla legge. L’esigenza emerge particolarmente in rapporto al sistema dell’IeFP. La risposta alla domanda dei destinatari o dell’utenza di cui sopra, ha fondamenta più lontane rispetto alla metodologia didattica che pur esige contributi validi e riflessioni significative rispetto al momento storico. Occorre lavorare molto per dare reale supporto ai due sistemi, per individuarne le linee portanti, le peculiarità e le specifiche di ciascuno, le interazioni e integrazioni possibili e necessarie. Si tratta di un salto di qualità che potrà consentire di rendere possibile, man mano nel tempo che occorre per costruire questa nuova ipotesi di scuola, l’elaborazione di strumenti utili sia per i destinatari dell’offerta in rapporto alla comprensione e alla possibilità di scelta, sia per gli operatori che sono sul campo in rapporto al compito della formulazione dell’offerta formativa. In particolare l’assetto epistemologico della IeFP domanda uno studio ed una esplicitazione del valore educativo, istruttivo, formativo di cui i costrutti di compiti professionali e competenze professionali possono essere portatori. Nella organizzazione e sperimentazione del modello formativo agenziale/ polifunzionale il compito professionale è stato acquisito come “l’insieme delle attivi- tà lavorative in grado di fornire risultati significativi rispetto al processo produtti- vo e rispondenti alle aspettative del sistema organizzativo di appartenenza o di riferimento”3 . La competenza professionale è stata “intesa come l’insieme delle ca- 2 RONCO A., Motivazione, in PRELLEZO J. M, NANNI C., MALIZIA G. (Edd.), Dizionario di Scienze dell’educazione, Elle Di Ci, L.A.S., S.E.I, Torino 1997. 3 cfr. CIOFS, Modello agenziale nella Formazione Professionale - CFP Polifunzionale, Roma 1994, vol. 2°, p. 62. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 15 pacità e dei saperi necessari a svolgere un compito e costituisce la categoria per l’integrazione dei processi formativi”4 . Ai due concetti non è stata attribuita una gerarchia, sono stati compresi in un rapporto di reciproco completamento e ne- cessità. Entrambi i concetti hanno costituito punti di riferimento nella strutturazione dei percorsi formativi. La logica che sottostà all’impegno della sperimentazione citata è quella della formazione della persona attraverso la preparazione al lavoro. Questo approccio ha comportato come conseguenza scelte organizzative e didat- tiche che hanno portato in alcuni casi al miglioramento generale della organizza- zione formativa raggiungendo qualche punta di eccellenza. I costrutti di compito professionale e competenza professionale nel contesto della IeFP sono portatori di una logica strutturante l’organizzazione formativa, logica che nel sistema dei Licei è ricoperta prevalentemente dallo statuto delle discipline. L’assetto dei licei, con particolare riferimento alla riforma Gentile, ha già consoli- dato un fondamento epistemologico e di scelta metodologica sperimentata e sta- bile nel tempo. L’impegno e la ricerca innovativa è richiesto tuttavia nei due sistemi ma in particolare nei confronti dell’IeFP. Queste considerazioni non vogliono significare una riduzione di valore nei con- fronti delle discipline e del loro statuto, tutt’altro, deve essere mantenuta e raffor- zata la consapevolezza che esse costituiscono pur sempre il patrimonio più gran- de, l’assetto del sapere finora raggiunto dall’umanità, senza cui non sarebbe possi- bile formare la mente ed il cuore. Si tratta di attribuire l’una o l’altra priorità in rapporto al punto di vista della logica richiesta nell’uno o nell’altro sistema. Per il sistema dei Licei la priorità metodologica è attribuita all’assetto disciplinare; per il sistema IeFP è attribuita all’assetto dei compiti professionali e delle competenze professionali. Quanto detto non vuole condurre ovviamente ad una separazione netta tra i due sistemi. Si parla infatti di interazione e integrazione, si parla di rete territoriale per una adeguata articolazione dell’offerta formativa dove sono già in atto diverse sperimentazioni. Inoltre, anche il sistema dei Licei ha necessità di integrare competenze, come quello dell’IeFP ha bisogno di precisi riferimenti disci- plinari. Rispetto alla domanda, si tratta di attribuire nell’uno e nell’altro sistema: priorità all’approfondimento e alla ricerca nel contesto di specifiche discipline o in quanto 4 ibidem, p. 63. CIOFS-FP 16 queste possano essere strumentali per il raggiungimento di capacità rispetto a compiti e competenze professionali; priorità alla competenza in quanto ambito specifico di apprendimento o in quanto percorso didattico per migliorare e agevo- lare gli approfondimenti teorici. Il punto di attenzione imprescindibile è dato dal- l’apprendimento, dal contesto e dall’approccio più adeguato, rispetto alla doman- da, in cui questo avviene. Entrambi gli approcci di metodo possono condurre al fine istituzionale della formazione integrale della persona. Un impegno di approfondimento sulla specificità dei sistemi va fatto, a supporto del lavoro che si avvia e si prevede a tempi lunghi, ci auguriamo con l’impegno posto della migliore tradizione rappresentata dai pedagogisti del nostro Paese. La didattica La metodologia didattica attraverso cui viene curato l’apprendimento e struttura- to l’insegnamento è un ulteriore aspetto della riflessione di cui sia i pedagogisti e gli esperti che gli operatori sul campo, sono chiamati a farsi carico per delinearne l’offerta più articolata e idonea in rapporto alla valorizzazione di tutte le risorse dei cittadini e dei territori portatori della domanda, comprese le risorse umane residue, e di contributi specifici e dinamici nei confronti di compiti e competenze. Ne consegue È possibile ora soffermarci su brevi considerazioni relative ad alcuni aspetti consequenziali non ultimo quello dell’identità distintiva dell’uno e l’altro sistema che consentirebbe ad entrambi la giusta autonomia (non indipendenza) e costitui- rebbe il vero riferimento per la pari dignità dei sistemi che ovviamente non vuol dire uguaglianza. Una chiarificazione sulla identità consentirebbe inoltre un mag- giore arricchimento reciproco, uno scambio adeguato e necessario per approfon- dire i passaggi dall’uno all’altro sistema, in particolare quelli dall’IeFP ai Licei, a moti- vo della diversità di approccio accennata più complessa per coloro che scelgono di accedere al sistema dei licei. L’Istituto delle Passerelle, inteso soprattutto come percorso formativo, assumerebbe un preciso spazio e ruolo. Altre considerazioni dovrebbero essere fatte circa le verifiche, le prove d’esame la valutazione che assu- merebbero una diversa connotazione e comprensione nei due sistemi rispetto XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 17 all’approccio disciplinare ovvero all’approccio per compiti e competenze profes- sionali. Pesante si presenta il problema della formazione e riqualificazione del perso- nale dei due sistemi, problema che tuttavia non può non essere considerato anche a lunga scadenza pena il rendere nulli gli aspetti innovativi significati nella legge. Concludendo sarebbe un grosso errore misconoscere l’impegno profuso da colo- ro che hanno lavorato in questa riforma, le fatiche compiute e le energie spese. Un particolare riconoscimento merita l’accoglienza esplicita e la presenza costante della dimensione educativa. Si comprende che sono insidiosi i condizionamenti provenienti da ogni parte ma l’impegno è per il bene dei cittadini, in particolare dei giovani. Riferimenti normativi - L. n. 53/2003 - DPR n. 275 – 8/marzo/1999 Regolamento recante norme in materia di Autonomia delle Istituzioni scolastiche - L. n. 144/99 art. 68 Obbligo Formativo - L. n. 196/97 Pacchetto Treu CIOFS-FP 18 I.3 SALUTI DELLE AUTORITÀ CATALDO COLLAZZO Assessore Formazione Lavoro Cultura e Sport – Regione Basilicata Vi ringrazio dell’invito al vostro seminario, che ho accolto favorevolmente. Vi por- to i saluti del Presidente della Regione, Filippo Bubbico, che non è potuto essere presente. Anche se abbiamo avversato questa riforma in tutti i modi, siamo stati tra le prime regioni in Italia che hanno sottoscritto con il Governo l’accordo quadro di giugno per la sperimentazione del diritto-dovere di istruzione. Il primo vero nodo di questa riforma è che è scritta sulla carta, ma in realtà non esiste. L’abrogazione della legge 9/99, quindi dell’obbligo scolastico con la correlativa sostituzione del diritto-dovere all’istruzione ci ha portati nella spiacevolissima condizione di non avere né l’obbligo scolastico, né il diritto-dovere all’istruzione. Il decreto legislativo delegato non esiste e neanche l’accordo quadro ci dà la possibilità di agire in maniera compiuta su due temi: gli standard formativi essenziali, che devono essere fissati a livello nazionale e che ancora non conosciamo, e la certificazione delle competenze, che è un altro tema fondamentale per garantire la possibilità che i due pilastri del sistema dell’Istruzione e Formazione Professionale possano essere biunivoci e garantire al ragazzo di poter in ogni momento rientrare da un sistema all’altro. Ci troviamo in una situazione veramente difficile: pur avendo firmato l’accordo e pur avendo un’interlocuzione molto avanzata con la direzione scolastica regionale per avviare questo percorso duale della formazione professionale, non abbiamo standard formativi minimi e non abbiamo la possibilità di certificare le competen- ze. Mi chiedo cosa potremo offrire a questi ragazzi quindicenni costretti ad una scelta precoce. Non siamo in grado di dire loro che offerta formativa gli offriamo perché non abbiamo gli standard minimi. A mio avviso la riforma Moratti è una controriforma. Noi siamo riusciti ad ottenere il cosiddetto biennio integrato minimo, che proba- bilmente sarà triennio integrato. Abbiamo chiesto al Governo che la formazione professionale continui ad avere XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 19 elementi di conoscenza di base e ad integrarsi con il sistema dell’istruzione, perché temiamo che una scelta precoce ed impostata su queste basi porti ad una forte differenziazione tra il sistema dei licei e il sistema della formazione professionale. È una scelta fatta in età precoce che rischia di ripercuotere e di amplificare differen- ze sociali. Da qui la proposta di biennio integrato. In tutto questo noi vediamo negativamente l’abolizione dell’obbligo scolastico, anzi come Regione Basilicata tenteremo di intro- durre elementi che possano ampliare su base regionale l’obbligo scolastico e por- tarlo a 18 anni. Non credo che la sostituzione dell’obbligo scolastico nel diritto-dovere all’istru- zione sia stata una grande cosa; credo che abbiamo il dovere di mantenere gli studenti nell’area dell’istruzione, soprattutto nel meridione, quanto più è possibile. Mi riferisco alle regioni del Sud perché questa riforma risponde sul tema del dirit- to-dovere all’istruzione soprattutto alle ragioni delle regioni del Nord. Nel Meri- dione abbiamo questa necessità perché abbiamo una struttura sociale più disgre- gata, in cui il ragazzo che esce dall’istruzione rischia di non avere nulla che gli consenta di mantenere un suo percorso educativo e perché abbiamo una struttu- ra produttiva molto più debole di quella del Nord, dove le industrie chiedono qualifiche per ragazzi che appena hanno compiuto i 16 anni devono andare in fabbrica. Qui in meridione non abbiamo questa struttura e questa legge rischia, a mio avvi- so, di produrre molti danni. Ciò nonostante, con atteggiamento di responsabilità abbiamo firmato questo ac- cordo. Ma ancora oggi non so quando i quattordicenni potranno accedere al siste- ma della formazione. In assenza di standard minimi sui quali il Governo si è impegnato di dare risposte entro la fine del mese di settembre 2003, noi non possiamo offrire ai ragazzi un percorso formativo che non sappiamo dove li porta e su cosa li forma. Spero che le cose possano migliorare. Anche per quanto riguarda le risorse, abbiamo dovuto utilizzare i fondi del FSE, che erano destinati ad altro tipo di formazione, per rispondere a questa necessità di fronte alla quale ci siamo dovuti attrezzare. Credo che l’approccio alla conoscenza debba essere uguale per tutti, ma credo soprattutto che bisogna garantire a tutti parità di condizioni all’accesso delle op- portunità di istruzione e di formazione. In mancanza di parità di accesso, credo che questa riforma rischi di amplificare problemi e differenze sociali che in questo Paese sono già troppo forti. CIOFS-FP 20 VITO SANTARSIERO Presidente della Provincia di Potenza Ringrazio per l’invito a partecipare a questo seminario e rivolgo i miei complimenti al CIOFS-FP per questi momenti di grande interesse. Vi do il benvenuto nella nostra terra, che vi accoglie in uno dei suoi angoli più belli, anche da parte della Provincia di Potenza. Con l’assessore Collazzo abbiamo voluto ascoltare il quadro di riferimento del vostro seminario per poter integrare il nostro saluto con qualche considerazione, come è d’obbligo per i rappresentanti istituzionali. Emerge con chiarezza innanzitutto, la vostra missione in linea con il messaggio di don Bosco: “al centro la persona del giovane”. Un altro elemento espresso chiara- mente da questo seminario è di cercare di far emergere contenuti all’interno di una riforma o “controriforma”, come l’assessore Collazzo ha ribadito, nella quale mi sento di poter dire che il giudizio non positivo da parte mia può essere sospeso solo ed esclusivamente rispetto ad un aspetto che non è stato ancora chiarito: in che modo deve avvenire l’interazione tra istruzione e formazione per accompa- gnare il giovane a rischio di dispersione nel mondo del lavoro con adeguati mo- menti di istruzione, di orientamento e di formazione. Su questo aspetto il giudizio può essere sospeso. Certamente, non possiamo giu- stificare ancora tempi lunghi per un regolamento che attualmente non c’è e porta dibattiti di altissimo livello, come quello che voi proponete, ma che deve entrare nel merito rispetto a percorsi da cui concretamente attuare. Aspettiamo questo regolamento per capire se, almeno rispetto a questo aspetto, si possa parlare di continuità tra due proposte che sono venute da due maggioranze completamente diverse presenti nel nostro Paese. Per noi è particolarmente importante tutto ciò: è importante in una terra nella quale stiamo rivedendo i processi di sviluppo del territorio per ancorarli ad un protagonismo delle nostre comunità, che significa da parte nostra voler essere noi quelli che definiscono i momenti di crescita, come essa deve avvenire. Rispetto a questo è evidente che le nuove competenze che oggi vengono attribu- ite alle Province nel settore della formazione professionale e delle politiche attive del lavoro diventano competenze di carattere strategico. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 21 La Regione Basilicata è una delle più avanzate nel processo di delega: già una parte significativa di formazione attestata alle Province viene sviluppata attraverso agen- zie. Inoltre, è in discussione nel Consiglio Regionale una legge quadro di riforma del sistema della formazione con il riconoscimento alle Province del proprio ruolo. Ma è evidente che già oggi la Provincia di Potenza ha sviluppato un’azione di gran- de interesse per favorire l’integrazione tra i momenti della formazione professio- nale e i momenti delle politiche del lavoro. I vecchi uffici di collocamento sono stati trasformati in centri per l’impiego dove siamo impegnati per favorire momenti di accoglienza, di orientamento e di indiriz- zo alla formazione. Abbiamo individuato luoghi fisici comuni tra i momenti di for- mazione e l’attività dei centri per l’impiego. Grazie ad un’intesa con la Regione Basilicata, già l’anno scorso, anticipando i con- tenuti della legge nazionale ed in linea con un orientamento preciso di dare una parità di condizioni oltre che nell’accesso alla formazione anche nel possesso degli elementi base per i nostri giovani, abbiamo sviluppato un modello sperimentale destinato ai circa 150 giovani a rischio di dispersione scolastica. Nel corso del primo anno, questo modello ha visto concretizzarsi in tre mo- menti: 100 ore sono state dedicate all’accoglienza di questi ragazzi insieme ai familiari per comprendere il contesto all’interno del quale si determinano que- ste situazioni di dispersione; altre ore sono state dedicate all’orientamento e altre ancora allo sviluppo di capacità relazionali. Quest’anno è in fase di attua- zione il secondo modulo e l’anno prossimo proporremo il terzo, in attesa di un regolamento che ci consenta di fare tutto ciò all’interno di un quadro di riferi- mento legislativo nazionale. In una situazione di questo tipo, è evidente che intercettare realtà come l’ISFOL, capace di fare sintesi tra valori educativi e valori formativi, rappresenta per noi Istituzioni la garanzia di avere sul territorio interlocutori capaci di interagire in maniera significativa, così come il CIOFS-FP Basilicata ha avuto modo di far ap- prezzare. Tali interlocutori possono svolgere un ruolo importante per favorire processi di sviluppo locale e concretizzare una legge che, ci auguriamo, almeno per quell’aspetto ci possa far sciogliere una riserva in termini positivi. Auguri di buon lavoro. CIOFS-FP 22 GIUSEPPE SCHETTINO Sindaco di Maratea È per me un enorme piacere porgervi il saluto dell’amministrazione che rappre- sento. Più che un dovere istituzionale è un piacere essere presente. Mi sento quasi in famiglia essendo un ex allievo salesiano. Ringrazio il CIOFS-FP per aver scelto Maratea perché noi crediamo molto in que- sto binomio congressistica e turismo, anzi pensiamo che sia una scelta strategica, in quanto ci consente di fare una puntuale azione di marketing territoriale. Maratea sta puntando su un turismo di qualità, attraverso prestazioni di qualità. In un mercato del turismo sempre più globale e globalizzante diventa difficile e quasi impossibile riuscire a ricavarsi delle nicchie. La peculiarità del nostro turismo è che parte dalla cultura, dalle tradizioni, dalle radici storiche meridionali. Stiamo investendo sulla cultura dell’accoglienza: per far questo non si può prescindere dal tema che voi oggi affrontate, quello della formazione professionale. La risposta di qualità per un pubblico sempre più esigente deve essere rapportata alle novità del tempo e alla gestione del programma turistico in se stesso. Notiamo in qualità di amministratori come la formazione professionale non sia adatta ai tempi perché è frutto di monopoli che non dovrebbero esistere. Spero che la riforma Moratti possa sbloccare la situazione in tal senso. Non è più possibile pensare ad una sola gestione pubblica della formazione professionale. Spesso la formazione professionale, lo dico da politico, è solo un modo per accon- tentare qualche docente amico dei politici. Per alcuni ragazzi che non sono moti- vati significa parcheggiarsi dopo il diploma per altri anni in attesa di un inserimento nel mondo del lavoro, che nel frattempo è cambiato, ha assunto regole nuove e quindi, non è idoneo al percorso che devono raggiungere. Abbiamo necessità che questa formazione professionale sia adeguata; ben vengano le vostre iniziative, ben vengano le sinergie tra pubblico e privato. Siamo consapevoli che non si può pre- scindere dal mondo ‘privato’, sia scolastico che imprenditoriale, per favorire pro- prio quella cultura di impresa che ancora manca nel meridione ed impedisce il decollo definitivo per tutte quelle attività che sono collaterali e che provengono dal territorio, un territorio a vocazione turistica. Vi ringrazio nuovamente per essere qui. II. IL FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DELLA RIFORMA CIOFS-FP 24 II.1 IL FONDAMENTO EPISTEMOLOGICO DELLA RIFORMA IN RAPPORTO AI DESTINATARI E AI PERCORSI MICHELE PELLEREY Università Pontificia Salesiana Le finalità generali della formazione di tutto il sistema educativo è di tipo spirituale, morale, storico-civica, nazionale ed europea. Anche per l’istruzione e formazione professionale bisogna giungere ad un profilo educativo culturale professionale aperto alle transizioni. Chi è titolare di elaborare questo profilo educativo culturale e professionale? C’è anche una competenza regionale su questo profilo, ma soprattutto l’autono- mia delle istituzioni educative. In concreto questo profilo viene presentato alle famiglie dall’istituzione educativa come aperto alle transizioni con delle conseguenze. Per esempio, la Regione Veneto l’anno scorso ha realizzato un’esperienza per l’assolvimento dell’obbligo scolasti- co dentro la formazione professionale con integrazione con la scuola in varie forme. Sono stati fatti accordi con le scuole di vario tipo. Due i problemi che le scuole hanno criticato nell’impianto formativo ufficiale della formazione professio- nale nel Veneto: mancanza di due discipline, educazione fisica e religione. Se il siste- ma educativo è unitario e il profilo educativo comprende tutte le dimensioni educative culturali e professionali, occorre ripensare queste problematiche. Vanno prese in considerazione necessariamente tutte le dimensioni educative. Fenomenologia dell’apprendimento nella scuola e nella formazione professionale. Tre i problemi principali di tipo fenomenologico inerente la disaffezione allo studio: - dimensione socio-culturale: abbandono, disagio, immagine sociale distorta dell’istru- zione professionale; XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 25 - dimensione psico-culturale: atteggiamento negativo verso alcune discipline; - dimensione pedagogico-culturale. L’indagine OCSE 2000, Conoscenza e abilità per la vita, ha condotto una analisi su ragazzi di quindici anni in 32 Paesi dell’OCSE delle competenze matematiche e linguistiche e l’uso di queste competenze nel campo della vita, del lavoro e dello studio. L’indagine ha rilevato che l’Italia si trova al ventottesimo posto per la matematica e al ventesimo per la lingua italiana. La concezione dei licei diventa una concezione aristocratica separata totalmente dalla realtà e dall’uso, non per la formazione dell’uomo, del cittadino, della persona. Il metodo di insegnamento scolastico risulta aristocratico, chiuso al mondo e alle applicazioni. Tenendo conto della natura di questa fenomenologia, si parla di epistemologia o teoria della conoscenza, del conoscere, del comprendere, dell’acquisire concetti e abilità o dello sviluppo di competenze. In questo un ruolo centrale ricopre l’attribuire senso, significato e valore a quanto si apprende a scuola, per far sì che non risulti estranea alla propria esperienza di vita. Questo è un problema di formazione dei docenti; è necessaria una rilettura delle discipline nel contesto educativo più che la disciplina in sé. Mentre questo tipo di apertura è presente nei paesi anglosassoni, noi viviamo ancora della tradizione francese, piuttosto cartesiana e astratta. Bisogna distinguere il “conoscere per conoscere” dal “conoscere per dare senso e significato alla propria esperienza”, il “conoscere per fare” dal “conoscere per agire”. Nel mondo del lavoro adulto si è passati da una competenza nel fare ad una competenza nell’agire. Approfondire il significato di ‘agire’ diventa un problema di natura epistemologica. Oggi si mescolano nelle professionalità concrete sia il saper fare sia il saper agire, quindi prendere decisioni, relazionarsi e tutta la componente etico-professionale che oggi ha un ruolo centrale anche nelle indagini sugli adulti di Quaglino, Varchetta e altri. L’importante è disciplinare la mente, come diceva Montaigne: dare ordine, capacità e funzionalità alla propria mente. Le discipline devono servire a questo, altrimenti è come se riempissero la testa di nozioni inerti non utilizzabili concretamente. La ‘vera’ conoscenza, il patrimonio conoscitivo di ognuno emerge sempre dalla CIOFS-FP 26 esperienza, cioè dal passare attraverso un avvenimento che coinvolge l’individuo. Può essere anche una esperienza scolastica: se viene a mancare l’esperienza reale anche nel liceo può non esserci conoscenza ‘vera’, patrimonio conoscitivo. La teoria delle intelligenze multiple di Gardner cita quella linguistica logico-matema- tica, visivo-spaziale, corporeo-cinestetico, musicale, intrapersonale, interpersonale. Gli insegnanti hanno un problema molto serio di formazione delle capacità interpersonali e intrapersonali di riflessione critica, interiorità… Da questa analisi nasce una domanda: bisogna curare la totalità della persona, promuovendo un po’ tutte queste dimensioni o privilegiarne solo una, dal momen- to che la tendenza di ogni persona è verso una di queste? È una questione impor- tante dal punto di vista educativo, perché attualmente la nostra concezione è che fino a 19 anni nel sistema dei licei bisogna dover fare tutto. Le esperienze sono sempre segnate emozionalmente e sviluppano degli atteggia- menti, cioè la disponibilità verso qualcosa. Nella esperienza, la centralità della ri- flessione critico-costruttiva deve basarsi sui significati da attribuire all’esperienza, che derivano dall’azione formativa, la quale deve fornire con continuità categorie valide e feconde per interpretare la propria esperienza, sia di studio che di lavoro. Le discipline fondamentalmente hanno questo ruolo: di dare delle categorie di lettura e interpretazione al campo dell’esperienza. Negli adulti si traduce nell’experience learning, o apprendimento esperienziale; è chiaro che i ragazzi man mano che crescono hanno maggiore esperienza. L’agire è la base per percepire il valore delle cose. In un libro di Macintyre intitola- to Dopo la virtù1 , trattato fondamentale nella storia della filosofia morale degli ultimi trent’anni, è detto con chiarezza che è possibile percepire il valore solo con una pratica progressiva che si ha dei valori sociali, culturali, collaborativi nella quale la persona si sente partecipe. È chiaro che nella legge 53/2003 si parte da un proposito in particolare, quello di offrire vie alternative allo sviluppo di conoscenze e di competenze. Il programma dell’OCSE, DeSeCo (Definition and Selection of Competencies: Theoretical and Conceptual Foundation) contiene una definizione di competenza molto signifi- cativa: “fronteggiare efficacemente richieste e compiti complessi comporta non solo il possesso di conoscenze e di abilità ma anche l’uso di strategie di routines necessarie per 1 MACINTYRE A., Dopo la virtù. Saggio di teoria morale, Feltrinelli, Milano 1988 XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 27 l’applicazione di tali conoscenze e abilità, nonché emozioni e atteggiamenti adeguati e un’efficace gestione di tali componenti [auto-regolazione, auto-gestione di sé]. Pertan- to la nozione di ‘competenze’ include componenti cognitive ma anche motivazionali, etiche, sociali e relative ai comportamenti. Costituisce l’integrazione di tratti stabili, risul- tati di apprendimento (conoscenze e abilità), sistemi di valori e credenze, abitudini e altre caratteristiche psicologiche”. Questa è una definizione concordata nei 32 Paesi dell’OCSE. “Da tale punto di vista, leggere, scrivere e far di conto sono abilità che, ai livelli di base, rappresentano le componenti critiche di numerose competenze. Mentre il concetto di ‘competenza’ si riferisce alla capacità di far fronte a richieste di un elevato livello di complessità e comporta sistemi di azioni complessi, il termine ‘conoscenze’ è riferito ai fatti o alle idee acquisiti attraverso lo studio, la ricerca, l’osservazione o l’esperienza e designa un insieme di informazioni che sono state comprese. Il termine ‘abilità’ viene usato per designare la capacità di utilizzare le proprie conoscenze in modo relativamen- te agevole per l’esecuzione di compiti semplici”. Questi elementi messi insieme dovrebbero portare poi alle competenze. Nella legge e nei piani che vengono ora pubblicati dal Ministero per il primo ciclo scolastico si usano proprio queste terminologie di conoscenze ed abilità da pro- muovere poi in competenze. Sembrerebbe riecheggiare la definizione dell’OCSE. La Commissione Europea, che ha realizzato un gruppo di studio sulle competenze ‘chiave’ del cittadino e del lavoratore, asserisce che il concetto di competenza “ricopre sia conoscenze, sia saper fare, sia disposizioni e che una competenza può emergere in ogni tipo di contesto sia formali, sia informali, sia non formali, in maniera intenzionale e non intenzionale”. Un’osservazione in merito si riferisce alla legge 30/2003, in particolare al concetto di libretto formativo del cittadino in cui si parla solamente delle certificazione della competenze nell’apprendistato, nella attività di formazione continua e in con- testi non formali ed informali. Non cita i contesti formali, cioè quelli che vengono dalla formazione professionale, per cui sembrerebbe che nel libretto formativo del cittadino non compaia la certificazione acquisita nella formazione professionale iniziale. Bisognerà nei decreti applicativi stare attenti a coniugare questo concetto di libretto formativo con il portfolio delle competenze individuali e dell’orienta- mento che viene attraverso il percorso scolastico e dell’istruzione e formazione professionale. CIOFS-FP 28 “Inoltre, essa permette un suo trasferimento, adattandola ad un gran numero di situazio- ni e contesti ed ha caratteri di polivalenza…”. Il concetto di competenza che ho sviluppato personalmente riguarda la “capacità di mobilizzare (attivare) e orchestrare (combinare) le risorse interne possedute (conoscen- ze, motivazioni, significati, schemi interpretativi routines pratiche, etc.) e quelle esterne disponibili per far fronte a una classe o tipologia di situazioni sfidanti in maniera valida e produttiva”. Le competenze quotidiane nella vita delle persone purtroppo non sono promosse in maniera adeguata per far fronte alle situazioni pratiche. Gli apporti che vengono dalle discipline sono insegnati in maniera tale che diventi- no fruibili, un patrimonio gestibile quando serve. Questo vale sia per i Licei sia per il sistema di istruzione e formazione professionale. Solo che nell’Istruzione e For- mazione Professionale c’è una caratterizzazione orientata verso un tipo di agire che è di tipo professionale, finalizzato al mondo del lavoro, mentre per il licei è più legato all’organizzare la conoscenza entro un sistema coerente strutturato che consente l’accesso all’università. Il problema grosso della scuola è aprire l’insegnamento di queste discipline ai fini dell’attività lavorativa. Per questo il concetto di competenza può essere chiave se lo usiamo in maniera intelligente, perché significa usare tutti gli apporti al fine di affrontare le situazioni di studio, di lavoro… Come si apprendono e si sviluppano le competenze? È chiaro che la crescita delle competenze è legata alla costruzione di conoscenze e abilità significative, stabili e fruibili. ‘Significative’ vuol dire che diventano patrimonio personale, ‘stabile’ perché rimangono e non sono occasionali, ‘fruibili’ significa che si possono usare nelle direzioni che sono congruenti con la persona e con i suoi progetti di vita. Oggi si insiste sul fatto che le competenze nascono da forme di apprendistato di tipo pratico e cognitivo. È quindi, facile comprendere come la prospettiva di inse- gnare per competenze sia affascinante ma anche complessa, ed implica la crescita di tutta la persona nelle sue varie dimensioni. Perché una acquisire competenza presuppone anche la resistenza psicologica nel dedicare le energie finché non si porta a casa il risultato. La perseveranza, purtroppo, non è molto diffusa nei giovani di oggi; come sviluppare la capacità di perseveranza per raggiungere dei risultati è un problema molto serio. Il compito fondamentale di qualsiasi docente e formatore “è creare le condizioni XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 29 nelle quali l’allievo, o lo studente, possa e voglia far proprio in maniera significativa, stabile e fruibile quanto gli viene proposto”. È il docente/formatore che deve creare le condizioni perché l’allievo si impegni, fornendogli gli strumenti di preparazione suf- ficienti per farlo. Bisogna quindi, facilitare l’apprendimento, utilizzando ad esempio, la via dell’appren- distato pratico-cognitivo, cioè l’apprendere da modelli valorizzando il meccanismo psicologico dell’esperienza vicaria. L’esperienza vicaria si riferisce al fatto che si interiorizza e memorizza delle modalità di agire, che rimangono nella persona come riferimento per acquisire queste stesse competenze. Nell’apprendistato si parla di quattro livelli. Per apprendere da un modello è ne- cessario per prima cosa l’osservazione: si inducono le competenze tramite l’espe- rienza vicaria, che si ha osservando attentamente un modello. Un’altra delle strade per imparare è l’imitazione, il secondo livello di sviluppo della capacità di apprendimento. Il modello fa da guida sociale. Il terzo livello è l’auto-controllo, che consiste nel mettere in atto le competenze riscontrate nel modello in maniera indipendente. Infine, l’auto-regolazione, l’uso adattativo delle competenze in condizioni personali e ambientali variate. Questo modello è stato riproposto adesso da tutta quella corrente psicologica o socio-cognitiva che fa capo a Bandura, perché c’è una riconquista fortissima del- l’apprendistato, però riletto in maniera più complessa, cognitiva e affettiva e valoriale (imparare a gestire le proprie emozioni e affetti e a gestire le proprie relazioni). Zimmerman dice che non c’è bisogno che i quattro livelli siano in successione, dipende dalle circostanze. “Il concetto di competenza assunto può suggerire altre forme di intervento formativo. Si può, infatti intervenire per rafforzare e migliorare i singoli processi che si attuano nelle varie fasi di apprendimento (significativo, stabile e fruibile), favorire la capacità di gestire tali processi in maniera meglio coordinata e fluida al fine di raggiungere le finalità desiderate, arricchire e potenziare le varie risorse interne (anche emozionali, valoriali e motivazionali) che via via emergono come necessarie e sostenere la disponibilità a valersi di risorse esterne come colleghi di lavoro o persone più esperte”. Si tratta anche della capacità di valorizzare gli altri in una “comunità di pratica”, che raggruppa persone che lavorano insieme, mettendo insieme anche le risorse dei propri colleghi, per raggiungere una competenza in qualche settore. CIOFS-FP 30 L’excursus fin qui fatto vuole evidenziare come la problematica sulle competenze sia centrale e non si esaurisca nella pura abilità esecutiva e pratica immediata (“algoritmo esecutivo” con termine tecnico), ma deve essere adattata alle varie circostanze. Le discipline vanno rilette in base alle situazioni. Bisogna avviare un progetto di riorganizzazione e formazione degli insegnanti, che non sia in ogni caso affidato all’università. III. IL SISTEMA DI IEFP NEL CONTESTO DELLA RIFORMA CIOFS-FP 32 III.1IL NUOVO QUADRO ISTITUZIONALE DELL’ISTRUZIONE E DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE: QUALI PROSPETTIVE1 GIANFRANCO GARANCINI Università Statale Milano È in atto in questi anni una profonda, anche se in qualche modo confusa, riforma del sistema istituzionale (ma altresì costituzionale) e del sistema organizzativo della pubblica amministrazione. I criteri d’attuazione di questa riforma sono complessi, dal momento che essa si sviluppa a partire da due differenti finalità: da una parte il riconoscimento delle autonomie – locali e sociali – e, dall’altra, la costruzione di un decentramento amministrativo nell’organizzazione della pubblica amministrazione. Il riconoscimento delle autonomie – principio costituzionale la cui fonte di riferi- mento è l’art. 2, Cost., là dove riconosce fra i fondamenti della Repubblica le forma- zioni sociali in cui si svolge la personalità dell’uomo e del cittadino – concerne il riconoscimento originario di diritti e conseguenti poteri a soggetti istituzionali ter- ritoriali e sociali, sulla base della loro prossimità all’esperienza dei cittadini, a quella che si è soliti (anche se impropriamente) definire società civile. L’attuazione del decentramento amministrativo (contrapposto al riconoscimento delle autonomie definito, nel più classico linguaggio del diritto costituzionale e ammini- strativo italiano, risalente alle impostazioni di Vittorio Emanuele Orlando e di Santi Romano, decentramento politico) riguarda invece una modalità di riassetto tutta interna ai “servizi che dipendono dallo Stato”, e cioè, appunto, alla pubblica ammini- strazione. Il fatto che questi due processi si stiano svolgendo (e, in parte, si siano già svolti) contemporaneamente ha portato non di rado ad una sovrapposizione dei criteri e delle modalità, con esiti di confusione, sia per quanto riguarda i principi ispiratori, 1 Cfr. CSSC. CENTRO STUDI PER LA SCUOLA CATTOLICA, A confronto con le riforme: problemi e prospettive. Quarto Rapporto sulla Scuola Cattolica in Italia, La Scuola, Brescia. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 33 sia per quanto riguarda gli esiti istituzionali. Di questo soffre – oltre al concreto assetto normativo – l’applicazione nell’esperienza giuridica e altresì nell’esperien- za comune del Paese: la conseguenza è quella di una diffusa incertezza dei confini e delle competenze, dei poteri e delle facoltà, che – pur a fronte di norme di per sé valide – rallenta tuttavia il cammino delle riforme, sommando le incertezze normative e amministrative alle incertezze politiche dovute anche di recente ad un susseguirsi di diverse maggioranze politiche nel Paese, da cui è conseguito un comportamen- to istituzionale di carattere prevalentemente contrappositivo che ha investito non soltanto i giudizi, appunto, politici ma altresì le iniziative di riforma del sistema istituzionale e – quel che più conta – degli stessi principi generali dell’ordinamento. Si vuol dire che, in realtà, la contrapposizione politica (e il cambiamento che ne è derivato come programma di legislazione) ha investito non solo – come sarebbe corretto in una democrazia rappresentativa in cui il principio vitale è quello di un’autorità revocabile che s’impegni pro tempore all’attuazione del bene comune – la scelta dei mezzi per realizzare gli obiettivi fondamentali dell’ordinamento scritti nella Costituzione, ma altresì la determinazione degli stessi fini, introducendo, in un sistema già in movimento per l’attuazione di riforme istituzionali ormai indispensa- bili proprio per l’adeguamento degli strumenti agli obiettivi, ulteriori fattori di cam- biamento (ma altresì d’incertezza) dovuti alla volontà di investire anche le struttu- re di fondo del sistema. Questo frangente, con le dinamiche cui si è accennato, coinvolge naturalmente tutti gli assetti istituzionali, ma particolarmente – ed è il contesto di fondo sul quale si svolgono le riflessioni contenute in questo volume – le finalità e le moda- lità, anche al di là dei concreti assetti istituzionali e organizzativi, del sistema del- l’istruzione. Delle reciproche interazioni e dei reciproci condizionamenti fra riforma del siste- ma istituzionale e costituzionale delle autonomie e riforma del sistema dell’istru- zione si parlerà, brevemente analizzandone premesse e possibili esiti, nelle pagine che seguono. 1. Le riforme istituzionali Il quadro costituzionale è profondamente cambiato. In attuazione dell’art. 5 della Costituzione (“La Repubblica, una e indivisibile, ricono- CIOFS-FP 34 sce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”) si è posto mano, pur con molto ritardo, alla riforma di un sistema i cui elementi strutturali risalivano, per quanto riguarda le autonomie locali, ai testi unici del 1911, del 1915 e del 1934. Alla fondamentale legge 8 giugno 1990, n. 142 si è ora sostituito, come testo orga- nico, il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267: ma, se la legge n. 142/1990 riguar- dava fin dall’intitolazione l’ordinamento delle autonomie locali, il decreto legislativo n. 267/2000 segna già una revisione concettuale, dal momento che esso riguarda, fin dall’intitolazione, l’ordinamento degli enti locali. Ed è chiara la revisione: autono- mie locali sono le comunità locali, mentre enti locali sono i soggetti istituzionali “esponenziali” delle autonomie locali. 1.1. Il riconoscimento delle autonomie territoriali Dal punto di vista dell’ordinamento costituzionale, invece, con la legge costituzio- nale 18 ottobre 2001, n. 3, il sistema è profondamente, radicalmente cambiato: gli enti esponenziali delle comunità locali (Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni) da elementi in cui “si ripartiva” la Repubblica (considerando lo Stato l’unico ente esponenziale della Repubblica stessa e del suo popolo, inteso come unica comunità nazionale), sono diventati elementi costitutivi della Repubblica, insie- me con lo Stato e, quindi, su un piano di parità costituzionale con esso. L’autonomia che veniva riconosciuta nel testo precedente dell’art. 114 della Costituzione era un’autonomia funzionale, la stessa che era riconosciuta (e che permane) in capo agli organi della pubblica amministrazione intesi come “dipendenti” dallo Stato; l’auto- nomia che viene ora riconosciuta agli enti esponenziali della Repubblica è una pie- na autonomia istituzionale, la quale si esprime attraverso propri statuti, e altresì po- teri e funzioni che non dipendono dalle leggi dello Stato ma trovano il loro fonda- mento e il loro unico riferimento nei principi fissati dalla Costituzione. La differenza è chiara e radicale: con il “nuovo” art. 114 della Costituzione, introdotto con la legge costituzionale n. 3/2001, si è dato un nuovo assetto costituzionale alla Re- pubblica, la cui forma non è più basata esclusivamente su un unico soggetto (lo Stato) come soggetto di produzione, di applicazione, di tutela dell’ordinamento, ma su una pluralità di soggetti, posti costituzionalmente sullo stesso piano e ordinati istituzionalmente non in base a un principio gerarchico, ma in base a un pregnante XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 35 principio di sussidiarietà (inteso, a sua volta, non tanto come sussidiarietà verticale quanto come sussidiarietà orizzontale, cioè come riconoscimento di poteri auto- nomi originari); sussidiarietà che, in più, coinvolge anche le autonomie sociali, intese come i soggetti capaci di esprimere l’autonoma iniziativa della cosiddetta società civile (“Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse genera- le, sulla base del principio di sussidiarietà”: “nuovo” art. 118, Cost., quarto comma). L’innovazione più importante, tuttavia, e tale da introdurre un cambiamento epocale nel nostro ordinamento costituzionale, riguarda la cosiddetta inversione dello spiri- to e della lettera dell’art. 117 Cost.. L’art. 117 della Costituzione Repubblicana era una delle spine nel fianco della stes- sa attività del costituente del 1947, perché incarnava una palese contraddizione o, più specificamente e sostanzialmente, l’esigenza imposta al costituente di inchinarsi alle contingenze politiche del momento. Esso, infatti, contraddicendo l’impostazione generale – pluralistica e autonomistica – dell’art. 5 Cost., ma altresì l’affermazione di principio contenuta nell’originario art. 115 Cost. secondo la quale “Le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione”, con evidente riduzione non solo concettuale ma anche istituzionale, stabiliva che “La Regione emana [...] norme legislative nei limiti dei principi fondamenta- li stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello d’altre Regioni”, subordinando l’autonomia regionale non solo, come giusto, al rispetto dei principi fissati dalla Costituzione, ma altresì all’osservanza dei principi fissati nelle leggi dello Stato, attribuendo a quest’ultimo una supremazia incoerente con il principio fondamentale del riconoscimento del- l’autonomia locale contenuto nell’art. 5 della Costituzione. Ma lo spirito dell’art. 117 è stato modificato e, anzi, “invertito”, soprattutto in ordi- ne alla definizione dell’estensione della potestà legislativa: se l’originario art. 117 riservava tutta la potestà legislativa allo Stato, ritagliando una potestà legislativa “concorrente” per le Regioni in un numero predeterminato di materie, il “nuovo” art. 117, dopo aver affermato che la potestà legislativa è esercitata (sullo stesso piano) dallo Stato e dalle Regioni, indica le materie nelle quali lo Stato ha potestà legislativa esclusiva, stabilendo altresì che “spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato” (quarto comma); il terzo comma del “nuovo” art. 117 Cost. indica poi una serie di CIOFS-FP 36 materie su cui insiste potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni. Vedremo poi l’interesse specifico di queste norme in ordine alla tematica relativa all’istruzione; quello che per ora interessa notare è, tuttavia, un fatto più generale: al di là dell’uso (talvolta anche propagandistico) delle parole, la Costituzione re- pubblicana nei suoi principi generali delinea il disegno di uno Stato delle autonomie, nel quale convivono nell’unità soggetti dotati di potestà legislative e, prima, statutarie reciprocamente autonome, senza che questo, da una parte, metta in discussione l’unità e, dall’altra, minacci (o possa minacciare) di invadere i campi di rispettiva competenza, campi che – tranne quelli in cui viene esplicitamente riconosciuta la possibilità di legislazione concorrente – sono nettamente differenziati; di tal che – essendo il principio fondante quello dell’autonomia ed essendo il principio opera- tivo quello della sussidiarietà – non viene in discussione la sovranità dei singoli soggetti che fanno parte della Repubblica, ma ne vengono in discussione i reciproci rapporti in ordine alle competenze e alle relative funzioni. È questa una peculiarità della forma di Stato delineata dalla Costituzione del 1947, che ha rifiutato esplici- tamente lo stato centralizzato, ma non ha dato luogo ad uno stato a struttura federale nel senso tecnico della parola: l’affiancamento e l’interazione organica dei diversi soggetti chiamati a costituire la Repubblica garantiscono, da una parte, l’unità della Repubblica stessa e, dall’altra, l’autonomia sostanziale e altresì reciproca fra quei diversi soggetti. 1.2. L’attuazione del decentramento amministrativo Se le riforme costituzionali hanno portato a porre precise basi per la costruzione e l’operatività del principio del riconoscimento delle autonomie locali sancito nel primo inciso dell’art. 5 Cost., il principio del più ampio decentramento amministrativo sancito nel secondo inciso dell’art. 5 Cost. in ordine ai “servizi che dipendono dallo Stato” (e cioè in ordine alla pubblica amministrazione statale, centrale o periferica) ha un significato non solo costituzionale e istituzionale, ma soprattutto organizzativo (o ri-organizzativo) della pubblica amministrazione e, proprio, della pubblica amministrazione come organizzazione. Correttamente, dunque, i costi- tuenti del 1947 hanno parlato, riferendosi al linguaggio amministrativistico allora in uso, di “decentramento amministrativo”, contrapponendolo mentalmente e cultu- ralmente (come si è detto) al “decentramento politico”, incarnato per loro dal riconoscimento a tutti gli effetti – anche amministrativi – delle autonomie locali. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 37 La pubblica amministrazione era organizzata sull’impianto – fondamentalmente ri- masto immutato non solo nelle sue strutture portanti ma altresì in un gran numero di norme di dettaglio – costruito con la legge 20 marzo 1865, n. 2248, con tutti i suoi allegati che erano in realtà norme attuative, nelle diverse branche dell’eserci- zio dei poteri pubblici e dell’erogazione dei pubblici servizi, dei principi posti nella “legge-madre”. Nel contesto del sistema organizzativo della pubblica amministra- zione il principio che innervava tutta la struttura era il principio della delega, basato sulla concezione dello Stato come fonte e garante di tutto il potere e di tutti i diritti, che, da una parte, ne delegava l’esercizio per così dire “a cascata” attraverso una strutturazione organica degli uffici; e, dall’altra parte, ne assicurava la tutela attraverso l’esercizio del proprio potere di controllo e della “autotutela”, nella qua- le sarebbe dovuta rientrare anche la garanzia degli interessi legittimi (oppure, signi- ficativamente, interessi riflessi: riflessi, cioè, di quelli pubblici) dei cittadini e dei pri- vati. La supremazia speciale della pubblica amministrazione rispetto ai privati era un dato di fatto, e aveva resistito anche alla istituzione della quarta sezione (e succes- sivamente della quinta) del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, che aveva fatto dell’organo costituzionale consultivo massimo una sorta di tribunale per gli inte- ressi legittimi, tendenzialmente terzo fra la pubblica amministrazione e i cittadini singoli o associati (per vedere l’equiparazione in ordine alla responsabilità della pubblica amministrazione degli interessi legittimi ai diritti soggettivi sarebbe occor- so tuttavia ancora molto tempo, se è vero che un tale processo si è concluso soltanto negli anni recenti con il decreto legislativo n. 80 del 1998, con la nota sentenza n. 500 del 1999 delle sezioni unite della Corte di Cassazione e con la legge n. 205 del 2000). Va da sé che una normazione che riguarda l’organizzazione (o la ri-organizzazione) della pubblica amministrazione sarà applicabile solo agli organi e uffici della stessa pubblica amministrazione e, per converso, nel momento in cui se ne estenderà l’applicazione ad altri soggetti, questi ultimi rischieranno di essere per dir così “assorbiti” nella pubblica amministrazione; va altresì da sé che in una riorganizzazione della pubblica amministrazione intesa appunto come organizzazione non troverà spazio – perché non potrà trovarlo, in quanto principio organizzativo di altri rappor- ti fra altri soggetti, come s’è visto – il principio della autonomia istituzionale ma, semmai, un principio di autonomia funzionale, o meglio di autoregolamentazione, o - come si diceva nel linguaggio amministrativo fra XIX e XX secolo - autarchia. CIOFS-FP 38 La norma fondamentale che ha costituito la fonte principale della ri-organizzazione della pubblica amministrazione è stata la legge 15 marzo 1997, n. 59 recante Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa. Già nell’intitolazione – se il discorso fin qui fatto è stato chiaro e coerente – si coglie una contraddizione (oppure si svela una sorta di “cattiva coscienza”): la legge n. 59 del 1997 contiene tre livelli di intervento fra di loro costituzionalmente non sovrapponibili. Essa, infatti, emanata per rispondere all’indicazione costituzionale contenuta nel terzo inciso dell’art. 5 Cost., mette sullo stesso piano l’attuazione dell’art. 118 della Costituzione nel testo originario, che parlava di “delega” con legge alle Regioni dell’esercizio di altre funzioni amministrative rispetto a quelle già spet- tanti loro per le materie di cui all’originario art. 117 Cost., e l’attuazione del secon- do inciso dello stesso art. 5 Cost. in ordine alla realizzazione del decentramento amministrativo come criterio organizzativo fondamentale della pubblica ammini- strazione. Sennonché alla regolamentazione normativa del dettato costituzionale relativo al riconoscimento alle Regioni delle funzioni amministrative – per blocchi e materie organiche – nelle materie di cui all’originario art. 117 Cost. aveva già provveduto il legislatore con la legge di delega n. 382 del 1975, alla quale aveva fatto seguito il DPR n. 616 del 1977, dando attuazione concreta al riconoscimento e alla conse- guente costituzione effettiva delle Regioni, che risaliva tuttavia a pochi anni prima, essendosi tenute le prime elezioni dei consigli regionali nel 1970. Se è vero che la legge n. 382 del 1975 conteneva anche norme sull’organizzazione della pubblica amministrazione, è altresì vero che tali norme erano del tutto marginali e, in realtà, erano funzionali al riconoscimento delle Regioni e al riassetto delle strutture pe- riferiche dello Stato in relazione ad esso; ma non incidevano quasi per nulla sui criteri organizzativi della pubblica amministrazione come organizzazione in sé: biso- gnerà aspettare ancora qualche lustro perché, a partire dalla legge di delega n. 421 del 1992 e successivamente con il suo decreto legislativo d’attuazione n. 29 del 1993 (recante, appunto, Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego), si stabiliscano criteri normativi e principi organizzativi per addivenire ad una effettivamente innovativa – quanto meno nell’intenzione del legislatore – ri-organizzazione della pubblica amministrazione. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 39 Ma, come si vede, anche se evidentemente sussistevano e sussistono non pochi punti di contatto (che per altro non segnano una sovrapposizione ma, al contrario, dovrebbero indicare punti di confine e pertanto di differenziazione), una cosa è la legislazione in tema di riconoscimento e di promozione delle autonomie locali e dei poteri dei loro enti locali esponenziali, un’altra cosa è la legislazione in tema di ri-organizzazione della pubblica amministrazione. Quest’ultima trova, come si diceva, nella legge n. 59 del 1997 una serie d’indicazio- ni precise in ordine ai principi che debbono presiedere sia al conferimento di funzioni amministrative alle Regioni e agli altri enti locali sia al riordino e alla razionalizzazione del funzionamento della pubblica amministrazione intesa da una parte come struttura d’organi e uffici e, dall’altra, come soggetto erogatore di servizi alla persona: in questo senso va intesa tutta la normativa di delega dell’art. 21 relativa alla riorganizzazione del sistema scolastico sulla base di un’autonomia la cui utilizzazione in questo contesto è stata all’origine di non pochi equivoci, doven- do essa essere intesa necessariamente in termini d’autonomia funzionale o autarchia in un quadro di decentramento amministrativo, ed essendo stata invece troppo spesso intesa come autonomia tout court, attribuendo alle istituzioni scolastiche e agli istituti educativi poteri e, appunto, autonomie di per sé incompatibili con la loro persistente natura d’organi e uffici della pubblica amministrazione. 1.3. I criteri di riparto di funzioni e poteri e i principi organizzativi La legge n. 59 del 1997 – vale la pena di ricordarlo – indicava (e indica, dal momento che essa non è stata abrogata e mantiene una sua persistente vitalità) alcuni fonda- mentali principi ispiratori che avrebbero dovuto presiedere al conferimento alle Regioni di funzioni amministrative non solo in contesti operativi riconducibili alle materie di cui all’originario art. 117 Cost., ma anche riconducibili a “tutte le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello svilup- po delle rispettive comunità, nonché tutte le funzioni e compiti amministrativi localizzabili nei rispettivi territori in atto esercitati da qualunque organo o amministrazione dello Stato, centrali o periferici, ovvero tramite enti o altri soggetti pubblici” (prefigurando così – si veda altresì l’elencazione di cui al terzo comma dell’art. 1 della legge n. 59/ 1997 – quello che sarebbe stato poi il contenuto innovativo della legge costituzio- nale n. 3/2001 in ordine alla “nuova” formulazione degli artt. 114 ss. Cost.). Tali principi – lo si ricorda qui perché essi costituiscono l’ossatura della cultura della CIOFS-FP 40 riforma istituzionale in atto – sono: a) il principio di sussidiarietà; b) il principio di completezza; c) il principio d’efficienza e d’economicità; d) il principio di coopera- zione tra Stato, Regioni ed Enti locali (c.d. principio di “leale collaborazione”, così caro alla Corte Costituzionale); e) i principi di responsabilità ed unicità dell’ammi- nistrazione nonché quello d’identificabilità in capo ad un unico soggetto della re- sponsabilità di ciascun servizio o attività amministrativa; f) il principio d’omogeneità; g) il principio d’adeguatezza; h) il – fondamentale – principio di differenziazione nell’allocazione delle funzioni in considerazione delle diverse caratteristiche, anche associative, demografiche, territoriali e strutturali degli enti riceventi; i) il principio della copertura finanziaria e patrimoniale dei costi; l) il principio d’autonomia organizzativa e regolamentare. Sono, questi, principi chiamati a presiedere il conferimento di funzioni alle Regioni e agli enti locali in un contesto costituzionale ancora legato alla supremazia dello Stato rispetto a tutti gli altri enti territoriali; e tuttavia validi altresì come principi pregnanti di una razionalizzazione della pubblica amministrazione come organizzazione. Sulla base delle indicazioni – delle deleghe date dalla legge n. 59 del 1997 – il legislatore ha posto mano ad una serie di norme le quali hanno profondamente innovato sulle modalità d’azione e sui principi organizzativi delle pubbliche ammi- nistrazioni, sia di quelle dipendenti direttamente dallo Stato sia (e questo ha com- portato non poche complicazioni) di quelle degli altri enti locali territoriali: con la legge n. 127 del 1997 si è intervenuto in profondità per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo; con la legge n. 265 del 1999 si è intervenuto con significative modificazioni sia della legge n. 127/1997 sia della legge n. 142/1990 (continuando così nella sovrapposizione fra interventi sulla pubblica amministrazione statale e interventi sulle altre pubbliche ammini- strazioni); con il decreto legislativo n. 267 del 2000 si è poi intervenuto – sotto la forma onnicomprensiva (e onnicoprente) del testo unico – sulla disciplina com- plessiva degli enti locali, superando e anzi definitivamente abrogando la legge n. 142 del 1990 (ma, come si ricorderà, la legge n. 142 del 1990 riguardava l’ordina- mento delle autonomie locali); parallelamente il legislatore interveniva con norme relative alla trasparenza dell’azione amministrativa e alla de-formalizzazione della stessa, in attuazione dei principi posti dalla fondamentale legge n. 241 del 1990 e in ampliamento e ulteriore semplificazione delle modalità a suo tempo stabilite dalla legge n. 15 del 1968. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 41 In attuazione, per altro, della delega di cui al capo primo della legge n. 59 del 1997 (che, come si vede, a buon diritto abbiamo definito “legge-madre” di tutto un grappolo normativo di riforma della pubblica amministrazione ma altresì delle re- lazioni amministrative fra Stato ed altri enti territoriali) il legislatore delegato po- neva mano ad un’altra serie normativa, facente capo fondamentalmente al decreto legislativo n. 112 del 1998, volta alla riorganizzazione e razionalizzazione del conferimento di funzioni amministrative a Regioni, Province e Comuni, rivedendo e superando gli assetti di cui al DPR n. 616 del 1977. Sono queste – con tutto un contorno di norme minori ma non per questo meno importanti – le norme fondamentali sulla base delle quali, pur tra molte difficoltà e (soprattutto) nella sostanziale inavvertenza da parte dell’opinione pubblica del significato e della profondità dei cambiamenti che si venivano attuando non solo nelle modalità di funzionamento ma altresì negli assetti strutturali delle pubbliche amministrazioni (centrale e periferica dello Stato, e di tutti gli altri enti territoriali, compresi gli enti erogatori di servizi e, più in generale, gli organismi di diritto pubbli- co), si è posto mano alla riforma e si sono portate avanti sostanziali innovazioni che hanno trovato uno sbocco anche costituzionale nella profonda modificazione del titolo quinto della seconda parte della Costituzione repubblicana, tanto da modifi- care la stessa forma dello Stato, nel senso – aderente all’ispirazione dei costituenti del 1947 – di dar vita ad uno Stato delle autonomie, intendendo autonomie sia nel senso istituzionale (autonomie locali) sia nel senso sociale (autonomie sociali, ap- punto: in questa prospettiva un interessantissimo filone sarebbe quello, sfociato nelle leggi n. 382 e n. 383 del 2000 in tema di riorganizzazione dell’assistenza sociale e dell’associazionismo di promozione sociale; ma ciò esula dal tema principale di queste note). Le complessità e, con ogni probabilità, la complicazione del processo di riforma di cui stiamo parlando derivano dal fatto che – con strumenti normativi sostanzial- mente identici – si sono volute iniziare e si vogliono portare avanti riforme di campi dell’ordinamento ontologicamente e strutturalmente diversi. Ne è una pro- va, vorremmo dire emblematica, l’evoluzione che ha subito (o che le è stata im- pressa) in questi anni la pubblica istruzione. CIOFS-FP 42 2. Il sistema della pubblica istruzione Il sistema della pubblica istruzione è sempre stato fra quelli che ideologicamente sono stati ritenuti di competenza dello Stato non solo per ragioni di carattere funzionale, ma soprattutto per ragioni di carattere politico, volte all’ottenimento di un (presunto) “controllo sociale” attraverso l’istruzione e altresì attraverso il con- trollo e il governo delle strutture e delle persone ad essa preposte. È stata questa la ragione storica per la quale nel nostro Paese – in netta controtendenza con gli orientamenti e con la prassi, anche legislativa, di pressoché tutti gli altri Paesi europei – si è voluto e si vuole affermare la preminenza normativa ed economica della scuola statale (detto male: “pubblica”, confondendo la appartenenza con la funzione); per la quale si è voluto e in grande misura si vuole mantenere tale controllo in mano al governo centrale pur in presenza di una tendenza di riforme costituzionali e istituzionali che, come si è visto e come meglio vedremo in seguito, si muovono nel senso del riconoscimento della autonomia territoriale anche in questo campo; per la quale si è voluto e si vuole ad ogni costo (anche dietro lo schermo di pretese “chiusure” sindacali) mantenere in mano al governo centrale il reclutamento del personale docente; per la quale, nonostante la radicale necessità di seguire le esigenze del territorio e nonostante una consolidatissima tradizione locale, con molta difficoltà si accetta la compresenza dell’istruzione e della forma- zione professionale in un unico contesto di sistema d’istruzione: proprio perché – per consolidata esperienza normativa e amministrativa – la formazione professio- nale ha trovato la sua naturale collocazione nel contesto territoriale, e la legge costituzionale n. 3 del 2001 lo ha ormai definitivamente affermato proprio in quel- l’ambito di riconoscimento delle autonomie di cui s’è detto, a non pochi risultano ideologicamente insopportabili quella equiparazione e quella “pari dignità”, il cui mancato conseguimento serve a perpetuare nel nostro Paese un’inaccettabile separatezza fra “scuola” e “lavoro”, di modo che le loro necessarie interazioni restano irrimediabilmente percorsi a sé, fuori dal sistema educativo. 2.1. L’autonomia delle istituzioni scolastiche È in questo contesto che va letta l’affermazione – avente più valore di “norma- manifesto” che di concreta disciplina – della autonomia delle istituzioni scolastiche e degli istituti educativi (che “si inserisce nel processo di realizzazione della autono- XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 43 mia e della riorganizzazione dell’intero sistema formativo”) contenuta nell’art. 21 del- la più volte ricordata legge n. 59 del 1997. Infatti con tale norma, “fermi restando i livelli unitari e nazionali di fruizione del diritto allo studio nonché gli elementi comuni all’intero sistema scolastico pubblico in materia di gestione e programmazione definiti dallo Stato”, veniva indicato un cammino per progressivamente attribuire a tutte le istituzioni scolastiche quella personalità giuridica di cui fino a quel momento solo alcune di esse erano titolari, e per “ampliare” l’autonomia per tutte le tipologie di tutti gli istituti d’istruzione. In quella norma si parla d’autonomia organizzativa; d’au- tonomia didattica (per altro “finalizzata al perseguimento degli obiettivi generali del sistema nazionale d’istruzione”); d’autonomia finanziaria, per altro nella gestione di una dotazione finanziaria essenziale costituita dall’assegnazione dello Stato per il funzionamento amministrativo didattico, suddivisa in assegnazione ordinaria e as- segnazione perequativa, assegnazione attribuita “senz’altro vincolo di destinazione che quello dell’utilizzazione prioritaria per lo svolgimento delle attività d’istruzione, di formazione e d’orientamento proprie di ciascuna tipologia e di ciascun indirizzo di scuo- la”. Di quale sostanza fosse fatta invero (e sia in effetti fatta) quell’autonomia si sarebbe compreso circa due anni dopo, con l’emanazione del DPR n. 275 del 1999, Regolamento recante norme in materia d’autonomia delle istituzioni scolastiche, il quale esplicitamente afferma che le istituzioni scolastiche sono espressioni d’autonomia funzionale: non già, dunque, soggetti in sé autonomi, ma soggetti che rimangono parte (organi, uffici, enti strumentali) della pubblica amministrazione e che eser- citano i compiti e le funzioni loro riservati in un regime d’autarchia (autoregolamentazione) che si estende solo in ragione dell’attribuzione loro fatta da parte dello Stato e, per così dire, del trasferimento di funzioni autoritativamente deciso dal governo centrale. Il sistema dell’autonomia scolastica – così caricato d’aspettative e così compresso da una secolare esperienza di centralismo e dalla sostanziale incapacità (o, peggio, “cattiva volontà”) dell’apparato e della cultura amministrativa persistente ad acco- glierlo e a praticarlo in maniera costruttiva e non solo formalistica – si viene ad inserire in un tessuto politico-organizzativo che si sta rinnovando secondo le linee che abbiamo brevemente tracciato nelle pagine precedenti. A ciò si deve aggiunge- re che – come spesso è capitato nel nostro Paese – le riforme si sono cominciate dal fondo, intervenendo prima sulle articolazioni periferiche e soltanto alla fine (e talvolta non intervenendo) sulle articolazioni centrali delle singole amministrazioni CIOFS-FP 44 (ciò è successo proprio per quanto riguarda il settore della pubblica istruzione, nel quale la riforma – per altro più organizzativa che sostanziale – del ministero è arrivata soltanto nell’ultimo anno, mentre le linee della riforma dell’organizzazione periferica, con l’ “autonomia”, e addirittura degli stessi contenuti e delle stesse strutture dell’istruzione era già intervenuta – seppure in maniera non del tutto organica – in precedenza, con la legge n. 9 del 1999, comportante l’elevamento dell’obbligo dell’istruzione; con l’art. 68 della legge n. 144 del 1999, con l’estensio- ne dell’obbligo di frequenza d’attività formative fino al diciottesimo anno d’età; con la legge n. 30 del 2000, Legge-quadro in materia di riordino dei cicli d’istruzione; con la legge n. 62 del 2000, che ha definito compiutamente il sistema nazionale d’istruzione ricomprendendovi – finalmente applicando l’art. 33 della Costituzione – sia le scuole statali sia le scuole non statali ivi definite paritarie). 2.2. Autonomia funzionale e rapporti con il “territorio” Se il soggetto scolastico autonomo come definito dall’art. 21 della legge n. 59 del 1997 e dal suo Regolamento applicativo contenuto nel DPR n. 275 del 1999, nonché in tutto un corredo di circolari ministeriali, si può qualificare come un “ufficio- organo complesso, preposto a servizio, fornito di personalità giuridica di diritto pubblico, con organo avente la legale rappresentanza, e autonomo in termini di: – autonomia funzionale; – autonomia didattica; – autonomia organizzativa; – autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo; – autonomia finanziaria; – autonomia negoziale, attraverso gli strumenti dell’accordo di rete, delle convenzioni, dei consorzi, delle intese e dei con- tratti”2, esso acquista una posizione assai più rilevante (anche se delimitata rigoro- samente nell’ambito dell’autonomia funzionale) rispetto a quella che aveva sempre occupato in precedenza. Infatti, soprattutto attraverso le possibilità “creative” e innovative offerte dalla stesura autonoma degli atti relativi al nuovo sistema curricolare (carta dei servizi d’istituto, piano dell’offerta formativa, regolamento disciplinare degli studenti, regolamento interno, nonché – l’atto più importante, a parere di chi scrive, per l’affermazione effettiva di un’autonomia culturale – proget- to educativo d’istituto), a ciascun soggetto scolastico è data la possibilità di presen- za nel contesto dell’esperienza territoriale in positiva e costruttiva sinergia, da una parte, con gli enti territoriali esponenziali delle comunità locali e, dall’altra, diretta- 2 L. MOLINARI, Il nuovo sistema di autonomia della scuola, BM italiana, Roma 1998, p. 38. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 45 mente con le stesse comunità locali. Sta, insomma, alla capacità di interpretare l’auto- nomia funzionale da parte degli istituti singoli o associati, se si riuscirà ad affievolire il permanere dei principi di gerarchia e di delega tradizionalmente dominanti la struttura della pubblica amministrazione e se, per converso, si riuscirà ad affermare la centralità del servizio d’istruzione nel contesto dei compiti complessivi dello Stato sociale nelle sue articolazioni territoriali. Pur rimanendo all’interno di un (allo stato attuale della normazione e della prassi) insuperabile decentramento amministrativo, cui non è consentito di diventare ve- ramente autonomia, stante la volontà di non uscire da alcuni vincoli specifici, come quelli relativi al reclutamento del personale docente, i modelli organizzativi del sistema d’istruzione hanno conosciuto un’evoluzione particolarmente importante verso una maggiore aderenza ai bisogni e alle domande della società civile e di quel tessuto sociale e umano che dagli anni Settanta del XX secolo in qua ci siamo positivamente abituati a chiamare “territorio”. La sfida, dunque, consiste nella possibilità che, attraverso una riforma che rimane nel contesto amministrativo-organizzativo, si possa tuttavia arrivare a ridefinire i termini della dimensione politica del sistema d’istruzione in relazione, appunto, con il territorio (si confrontino le impostazioni anche operative contenute nel DPR n. 275 del 1999, per esempio il comma quarto dell’art. 3, che prevede per il dirigente scolastico proprio l’indicazione di attivare, ai fini dell’elaborazione del piano del- l’offerta formativa, i necessari rapporti con gli enti locali e con le diverse realtà istituzionali, culturali, sociali ed economiche operanti nel territorio). 3. Il sistema d’istruzione e le riforme istituzionali Questa condizione del sistema d’istruzione (pur tra luci e ombre) in movimento si viene ad inserire in quel contesto di riforme istituzionali (ma altresì costituzionali) cui abbiamo fatto cenno in apertura di queste note. Infatti, il tessuto normativo istituzionale è ricco di riferimenti a competenze e a funzioni nell’ambito dell’istruzione: c’interessa, qui, particolarmente, sottolineare quanto dispone il decreto legislativo n. 112 del 1998 e quanto ha disposto – se- condo le linee di riassetto dei rapporti istituzionali stabilite con il “nuovo” art. 114 Cost. – la più recente riforma del titolo quinto della seconda parte della Costitu- zione repubblicana (e segnatamente la riforma dell’art. 117) operata con la legge CIOFS-FP 46 costituzionale n. 3 del 2001. 3.1. Il riassetto delle funzioni amministrative Il decreto legislativo n. 112 del 1998 – chiamato a disciplinare ai sensi del capo primo della legge n. 59 del 1997 il conferimento di funzioni e compiti amministra- tivi alle Regioni, alle Province, ai Comuni, alle Comunità Montane o ad altri enti locali e, nei casi espressamente previsti, alle autonomie funzionali – si occupa delle problematiche relative al sistema d’istruzione scolastica negli artt. 135 e ss.. Per quello che interessa ai fini di queste note, occorrerà riferirsi agli artt. 137 (Compe- tenze dello Stato), 138 (Deleghe alle Regioni), 139 (Trasferimenti alle Province e ai Comuni). Si badi: correttamente in questa norma il legislatore non si occupa di rapporti costituzionali, fra i diversi soggetti che costituiscono la Repubblica, in ordine all’esercizio della funzione legislativa (compito, naturalmente, della legisla- zione di carattere costituzionale), ma si occupa di ciò che concerne le funzioni e i compiti amministrativi, relativi cioè al concreto esercizio dei poteri eventualmente conferiti dalla norma costituzionale. In questo senso il decreto legislativo n. 112/ 1998 costruisce un coerente sistema il cui impianto cerca di modellarsi sulle diver- se estensioni dei diversi bisogni cui le funzioni amministrative sono chiamate a rispondere: resteranno allo Stato le funzioni generali di impostazione del sistema di istruzione valide per tutto il territorio del Paese (i compiti e le funzioni concer- nenti i criteri e i parametri per l’organizzazione delle rete scolastica, le funzioni di valutazione del sistema scolastico, le funzioni relative alla determinazione e alla assegnazione delle risorse finanziarie a carico del bilancio dello Stato nonché del personale alle istituzioni scolastiche, perpetuando l’incapacità a spogliarsi di alcune funzioni ritenute – a torto o a ragione – essenziali per il controllo politico del siste- ma); sono delegate alle Regioni le funzioni amministrative relative a tutta una serie di compiti che si ritiene necessario differenziare in ragione delle diverse caratteri- stiche, esigenze, problematiche dei diversi territori regionali (la programmazione dell’offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale; la pro- grammazione, sul piano regionale, nei limiti della disponibilità di risorse umane e finanziarie, della rete scolastica, sulla base dei piani provinciali; la suddivisione, sulla base anche delle proposte degli enti locali interessati, del territorio regionale in ambiti funzionali al miglioramento dell’offerta formativa; la determinazione del ca- lendario scolastico; i contributi alle scuole non statali; le iniziative e le attività di XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 47 promozione relative all’ambito delle funzioni conferite); vengono poi attribuiti alle Province e ai Comuni, enti locali più vicini in concreto all’esperienza comune delle comunità locali amministrate, compiti e funzioni relative alla concreta erogazione dei servizi e all’organizzazione e alla gestione pratica fino alla quotidianità (per esempio, la sospensione delle lezioni in casi gravi e urgenti), nonché alla concreta gestione degli interventi più specificamente riconducibili all’assistenza scolastica e al diritto allo studio (se ne veda l’elencazione puntuale all’art. 139). L’articolazione del sistema delle funzioni come è delineata dal decreto legislativo n. 112 del 1998 si sforza di rispettare – anche andando al di là di una rigida e formale strutturazione gerarchica – l’articolazione territoriale dei bisogni e delle esperien- ze, investendo delle relative responsabilità gli enti esponenziali corrispondenti alle comunità effettivamente interessate ai singoli interventi e all’espletamento delle singole funzioni. 3.2. Il riassetto delle competenze legislative Sul piano costituzionale credo che si possa dire che la legge costituzionale n. 3 del 2001, riformando con l’impostazione che abbiamo ricordato in apertura di queste note il titolo quinto della parte seconda della Costituzione, non si sia discostata da quei criteri che abbiamo appena ricordato. Infatti, il secondo comma del “nuovo” articolo 117 Cost., nell’indicare le materie nelle quali si dà riserva esclusiva di legislazione allo Stato ha, fra l’altro, indicato le “norme generali sull’istruzione” (in ciò rispettando l’art. 33 della stessa Costituzione [lettera n] e la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” [lettera m]. Il terzo comma, poi, nell’elencare le materie di legislazione concorrente fra Stato e Regioni (nelle quali, cioè, spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato), ha indicato, fra l’altro, la materia dell’istruzione, facendo salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche (pur nei limiti che abbiamo ricordato più sopra) ed esplicitamente escludendo l’istruzione e la formazione professionale, che pertanto restano di competenza legislativa esclusiva delle Regioni. Di conseguenza – poiché “spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato” (art. 177, quar- to comma, Cost.) – l’ente generale di legislazione non è più lo Stato, ma la Regione. CIOFS-FP 48 Questa è la maggiore novità, con rilievo che si può tranquillamente definire epocale, della riforma costituzionale del 2001, che – sanando la contraddizione esistente tra i principi generali e la seconda parte della Costituzione stessa – ha finalmente dato attuazione al disegno autonomistico (altri, meno bene, lo chiamerà federalistico) che era nelle corde culturali originali del costituente del 1947 e che, altresì, fa parte integrante della cultura istituzionale del popolo italiano (vorrei ricordare qui l’insegnamento per troppo tempo trascurato di Carlo Cattaneo), nei confronti della quale in realtà il centralismo accentratore sviluppato fra Ottocento e Nove- cento è sempre parso come una sorta di (più o meno necessitata) imposizione. Va da sé che una siffatta re-impostazione dell’impianto costituzionale delle relazio- ni istituzionali nel Paese impone altresì una re-impostazione delle relazioni ammi- nistrative: se Regioni, Province, Città metropolitane, Comuni non sono più soltan- to ripartizioni territoriali della Repubblica ma ne sono soggetti costitutivi a tutti gli effetti, dovrà per forza di cose essere rivista una impostazione meramente gerar- chica delle relazioni istituzionali e pertanto altresì delle relazioni amministrative, basata non più su un “flusso” esclusivamente discendente dal centro alla periferia ma, tutt’al contrario, sulla concertazione istituzionale, sul reperimento comune delle risorse necessarie al funzionamento del sistema nel suo complesso, sul rico- noscimento di una autonomia a tutto tondo a soggetti che ora non più dipendono (in qualsiasi maniera si voglia intendere questo termine) dallo Stato ma vi si affian- cano, rimanendo distinti non in forza di relazioni gerarchiche ma in forza di origina- rie distinzioni di competenza. 3.3. Sistema di istruzione e nuove competenze legislative Il sistema di istruzione rientra a pieno diritto in questo contesto: anzi, tenendo conto del fatto che al suo interno si sono sviluppate particolari autonomie funzionali (e l’eccezione di cui al terzo comma del “nuovo” art. 117 Cost. ne costituisce una solenne consacrazione costituzionale), l’interazione/sinergia fra Stato, Regioni ed enti locali territoriali in ordine all’organizzazione e alla gestione del sistema di istruzione acquista un particolare rilievo. (Ne ha tenuto conto anche il disegno di legge n. 1306 di Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzio- ne e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione profes- sionale, che ha inquadrato [art. 1, primo comma] le indicazioni di delega legislativa, fra l’altro, “in coerenza con il principio di autonomia delle istituzioni scolastiche e secon- XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 49 do i principi sanciti dalla Costituzione, [...], nel rispetto delle competenze costituzionali delle Regioni e di Comuni e Province, in relazione alle competenze conferite ai diversi soggetti istituzionali”). In questo contesto allora quelle sinergie istituzionali di cui abbiamo parlato po- trebbero, senza dubbio, avere sbocchi e prospettive particolarmente significativi, se le diverse istituzioni saranno capaci di coordinare le diverse competenze e funzioni, di ricercare sinergie sistemiche e terreni di leale collaborazione, senza cedere o a tentazioni egemoniche, o a tentazioni spartitorie, o alla tentazione di “scaricare” le proprie responsabilità in nome di un malinteso senso di sussidiarietà verticale, in realtà definibile o come de-responsabilizzazione o come sostituzione. La sfida nel rapporto fra Stato e autonomie – posta la necessità di far diventare prassi quotidiana il sistema della concertazione – ha già modo di giocarsi concre- tamente almeno su due campi: il primo, quello della effettiva integrazione fra l’istru- zione e la formazione professionale da una parte e il sistema dell’istruzione scola- stica dall’altra, non solo e non tanto dal punto di vista organizzativo, quanto, so- prattutto, dal punto di vista culturale, dando un contenuto effettivo a quell’afferma- zione contenuta nell’art. 2, primo comma, lettera d) del disegno di legge-delega di riforma appena ricordato, che solennemente afferma che “il sistema educativo di istruzione e di formazione si articola nella scuola dell’infanzia, in un primo ciclo che comprende la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado, e in un secondo ciclo che comprende il sistema dei licei ed il sistema dell’istruzione e della formazione professionale”, ribadendo così quel concetto di “pari dignità” cui da sempre si ispira la migliore riflessione sull’istruzione e sulla formazione professionale, e che – altret- tanto da sempre – trova ostacoli ed obiezioni soprattutto in quella cultura del controllo politico attraverso il sistema di istruzione portata avanti da chi non si sente sufficientemente sicuro di poter controllare a pieno un sistema quale quello della formazione professionale che tradizionalmente affonda le sue radici non nella struttura organizzativa dello Stato centrale ma nell’iniziativa storica delle comuni- tà locali e delle loro formazioni sociali autonomamente nate e vissute in risposta creativa a concrete esigenze territoriali. Il secondo, quello dell’effettiva attuazione di quella parità fra scuole statali e scuole non statali per dare attuazione – nel rispetto e nello sviluppo delle intuizioni del costituente del 1947 – all’integrazione nell’unico sistema nazionale di istruzione di istituti di istruzione sorti per iniziativa dello Stato e degli altri enti pubblici territoriali in attuazione dei loro compiti istitu- CIOFS-FP 50 zionali (cfr. art. 3, secondo comma, Cost.), e istituti di istruzione nati dalla libera e autonoma iniziativa sociale. Si vuole dire che l’attuazione della legge n. 62 del 2000 non è un settore specifico e/o marginale del contesto di riforme di cui ci stiamo occupando, ma ne è – tutt’al contrario – insieme elemento decisivo e criterio di giudizio della bontà dei risultati finali. Ne è elemento decisivo perché – come ricorda la stessa nuova formulazione dell’art. 118 della Cost. (ultimo comma) – Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni sono chiamati a favorire “l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”; perché, altresì, l’esperienza delle strutture di istruzione nate dall’autonoma iniziati- va sociale è radicata nella storia del nostro popolo e, anzi, è stata per molti secoli alla base del suo sviluppo culturale; perché, ancora, questo è il banco di prova della capacità delle istituzioni, e di chi vi è preposto per il bene collettivo, di saper rico- noscere come soggetto e quasi organo stesso dell’esperienza giuridica pubblica la stessa “società civile”. È, poi, criterio di giudizio della bontà dei risultati finali e della compiutezza del sistema una volta riformato, perché in questo campo si gioca decisivamente l’effet- tiva uguaglianza fra i cittadini nell’esercizio dei loro diritti. Se l’art. 21, comma nono, della legge n. 59 del 1997 aveva indicato quali diritti fondamentali da rispettare nel perseguimento degli obiettivi generali del sistema nazionale d’istruzione la libertà di insegnamento, la libertà di scelta educativa da parte delle famiglie, il diritto ad appren- dere (indicando così sinteticamente ma icasticamente i soggetti principali e fonda- mentali del rapporto d’istruzione: gli allievi, le loro famiglie, gli insegnanti); e se rimane ancora questo il contesto teleologico della riforma del sistema di istruzio- ne, indicato nel già ricordato disegno di legge-delega n. 1306 (la crescita e la valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva e dell’iden- tità di ciascuno; il rispetto delle scelte educative della famiglia, nel quadro della coopera- zione tra scuola e genitori), allora è del tutto evidente come al centro effettivo delle tematiche che ci occupano ci sia la persona umana e i suoi diritti, espansi e integrati nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità e dove si sviluppa la sua esperienza, diritti nei confronti dei quali le istituzioni – qualsiasi esse siano – hanno un compito di sostegno e di garanzia delle effettive condizioni giuridiche, politiche, economiche e sociali di esistenza e di esercizio. Fra questi diritti, certamente, è quello all’istruzione, sancito nella garanzia personale XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 51 del suo esercizio dall’art. 34 Cost., e operativamente riferito alla sfera giuridico- costituzionale delle famiglie in forza dell’art. 30, primo comma, Cost.. A sua volta il contenuto dell’art. 33 Cost. è una sorta di “mandato” da parte del costituente alle pubbliche istituzioni e altresì al legislatore perché realizzino quel compendio normativo e quegli apparati istituzionali necessari ad assicurare il pieno e libero esercizio dei diritti di cui sopra (diritto all’istruzione e diritto alla libera scelta educativa da parte delle famiglie, cui si aggiunge, quale condizione storica di effettività, il diritto per ciascuno, singolo o associato, di istituire scuole e di professare l’inse- gnamento); e questo – in linea con quanto disposto in veste di principio fonda- mentale dall’art. 3, secondo comma – dopo avere rimosso gli ostacoli di ordine economico e sociale (e altresì giuridico) che si oppongono a tale pieno e libero esercizio, su un piede di uguaglianza (e libertà) di ogni cittadino di fronte alla legge, uguaglianza (e libertà) che non possono certo essere messe in discussione a causa di autonome scelte istituzionali e culturali, per altro costituzionalmente ricono- sciute e tutelate nella loro originaria legittimità. La parità fra scuole statali e non statali è, quindi, anch’essa, una modalità istituzionale per assicurare il pieno e libero esercizio di un diritto personale: ne è fedele testimonio il dettato stesso del quar- to comma dell’art. 33 Cost., che richiama bensì alla necessità dell’esistenza di una legge che stabilisca i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, ma che finalizza l’impegno del legislatore e dell’amministrazione non già a tale esistenza formale, bensì alla piena libertà nell’esercizio dei diritti che attraver- so la scuola s’intendono esprimere e – soprattutto – alla realizzazione dell’ugua- glianza di tutti i piccoli cittadini allievi in ordine al trattamento ricevuto. Va da sé che tutto questo non ha soltanto risvolti di carattere normativo e amministrativo, ma altresì – nel rispetto dell’esplicito dettato dell’art. 3 Cost. – di carattere econo- mico e sociale. Si spiega così perché abbiamo detto che la “cartina di tornasole” dell’effettiva realizzazione della riforma in senso autonomistico dell’attuale ordinamento istitu- zionale e, nella specie, dell’ordinamento del sistema di istruzione consiste proprio nell’attuazione piena ed effettiva dell’uguaglianza di ogni cittadino in ordine alla possibilità di liberamente esercitare la scelta educativa e scolastica per sé e, fintantoché minori, per i propri figli. In questo contesto – ove verifichino sul piano formale i requisiti per il riconosci- mento della parità – le scuole cattoliche hanno tutte le carte in regola per inserirsi: CIOFS-FP 52 le hanno dal punto di vista del radicamento nel territorio, essendo molto spesso le più risalenti strutture di istruzione e di formazione in esso presenti; le hanno dal punto di vista dell’esercizio effettivo e “creativo” dell’autonomia scolastica nelle varie sue sfaccettature, essendo la loro autonomia in quanto scuole strumento necessario e decisivo per lo sviluppo dell’autonomia culturale e umana, personale e sociale, dei propri alunni; le hanno dal punto di vista delle relazioni con le comu- nità locali di riferimento, molto spesso traendo origini e sostentamento proprio da esse; le hanno dal punto di vista professionale, essendo testimonianza di una persistente tradizione di serietà nell’individuazione della ratio studiorum, di impe- gno nell’elaborazione del progetto educativo, di flessibilità e storicità nella prepara- zione del piano dell’offerta formativa che per queste scuole – molto più che per altre la cui esistenza è garantita a prescindere in larga misura dall’esistenza degli allievi – è in realtà sempre più spesso un piano della risposta formativa: risposta, cioè, alle effettive domande emergenti dal territorio di riferimento. Naturalmente – proprio perché legate alla storicità e alle peculiarità del territorio di riferimento, e proprio perché costruite più di altre per rispondere al bisogno personale e alla libertà collettiva di autonome scelte scolastiche ed educative – le scuole cattoli- che per essere cattoliche non potranno che tendere all’eccellenza nell’essere scuola. Ma questa è una sfida che non riguarda tanto gli assetti normativi, quanto le scelte culturali e di impegno personale. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 53 III.2 UN SISTEMA UNITARIO DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE VALENTINA APREA Sottosegretario al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Questo incontro è per me un’occasione importante perchè posso riconoscere a voi l’impegno che ha dato vita a ciò che sarebbe diventata una imprescindibile tradizione educativa nel nostro Paese: l’istruzione e la formazione professionale (IeFP). Il 12 settembre il Consiglio dei Ministri ha varato il primo Decreto Attuativo della legge 53/03 di riforma degli ordinamenti, che definisce la struttura del nuovo siste- ma educativo dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria di primo grado. Il Governo ha approvato anche un piano di investimento straordinario di 8,3 mi- liardi di euro per il periodo 2004-2008 che dà sufficienti garanzie di risorse per l’attuazione della riforma. Colgo, quindi, l’occasione per sottolineare come l’inizio della fase attuativa della legge 53/03, legge che supera la separatezza tra istruzione e formazione e conferi- sca pari dignità ai percorsi di istruzione e formazione professionale rispetto al sistema del Liceo. La legge 53 ha tenuto conto di quanto è stato progettato e attuato da Voi, nel corso degli anni, sia nei centri di formazione professionale che negli istituti tecnici e professionali. La formazione professionale è condotta all’interno degli ordina- menti generali del sistema educativo. Ho sempre apprezzato il modello, la professionalità e l’attenzione dimostrata dagli Istituti Salesiani, apprezzamento che sono sicura essere condiviso anche dal Mini- stro Moratti e che mi ha portata ad esserVi sempre vicina, idealmente e spiritual- mente. Un obiettivo importante della legge di riforma è quello di predisporre un sistema unitario, che si prefigge obiettivi culturali elevati per tutti, profili culturali educativi e professionali in uscita unitari. Nel secondo ciclo, in particolare, è previsto un CIOFS-FP 54 unico profilo educativo, culturale e professionale ma con differenziazione di per- corsi e con modalità e durate diversificate di apprendimento, sempre certificati. Cambia l’ottica: si diversificano i luoghi, i modi e i tempi di apprendimento valoriz- zando l’unitarietà e l’integrità della formazione della persona. Finora la formazione professionale è stata gestita a livello territoriale, regionale e provinciale e dalle agenzie formative accreditate. Con la L. 53/2003 questo tipo di istruzione diventa elemento di sistema all’interno del diritto-dovere all’istruzione per almeno 12 anni, ovvero fino al conseguimento di una qualifica professionale entro il diciottesimo anno di età. Dobbiamo essere in grado di creare questo nuovo mix fra istruzione e formazione professionale senza cambiare la natura, la mission della formazione professionale stessa, che deve rimanere fortemente ag- ganciata al lavoro e alle vocazioni del territorio. In questo modo si garantiscono più di prima, quei livelli di istruzione, dei cosiddetti saperi di cittadinanza. Si consente di qualificare il proprio modo di apprendere e di spenderlo immediatamente nel mondo del lavoro qualora si scelgano i percorsi triennali di qualificazione profes- sionale oppure per successivi approfondimenti e qualificazione professionale. Tutto questo va inserito nella logica più generale di un sistema che sta gradual- mente passando da statale al “sistema della repubblica”, che non vede più il Mini- stero come gestore del servizio, potenziandone il ruolo di indirizzo, controllo e valutazione in un modello organizzativo territoriale di governance del sistema. Il Ministero assume un ruolo molto più impegnativo e di tenuta del sistema nazio- nale riconoscendo libertà, autonomia, sussidiarietà, verticale e orizzontale, e ga- rantendo standard, controlli e qualità degli esiti. Questa nuova dimensione di governance ci obbliga ad un lavoro di partenariato istituzionale. Si è avviato un lavoro comune con le Regioni, gli Enti Locali, le agenzie, le parti sociali, le parti datoriali finalizzato a costruire insieme un sistema, certa- mente più complesso della scuola del secolo scorso, ma che probabilmente ci aiuterà a trasformare la scuola di massa, la scuola per tutti in una scuola che garantisca il successo formativo a ciascuno. Quindi, mentre si riconosce il grande merito dell’istruzione statale del secolo scorso, per la sua presenza nel territorio, per la forte tradizione scolastica e di democratizzazione del paese, possiamo promuovere, nel secondo ciclo, una ope- razione di innovazione che vede una forte differenziazione di tutti i percorsi. Naturalmente questa flessibilità culturale deve avere dei punti fermi e quello più XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 55 importante è riferito agli standard sulle competenze di base che stiamo mettendo in piedi in collaborazione con le Regioni e con le parti sociali datoriali. I percorsi di istruzione e formazione professionale, con la definizione di obiettivi nazionali di apprendimento, assumono valenza nazionale e pari dignità all’interno di questo sistema unitario. Un sistema unitario basato sulla circolarità fra istruzio- ne e formazione con un rilancio delle politiche di orientamento. È noto che negli Istituti Salesiani molti ragazzi che, in prima istanza, scelgono di frequentare la Formazione Professionale, dopo la prima o la seconda qualifica, chiedono di passare negli Istituti Tecnici o Professionali. Questo vuol dire che la formazione professionale, già oggi, non è più assimilabile ad addestramento ma assume un ruolo educativo molto più ampio. L’istruzione e formazione professio- nale pur non tradendo le proprie finalità - rivolgendosi a ragazzi di 14/15 anni - mira a garantire i saperi di cittadinanza, insistendo su quel bagaglio culturale gene- rale che li aiuta a diventare cittadini attivi del nostro Paese e in Europa. Il potenziamento e la valorizzazione dell’orientamento, la personalizzazione dei piani di studio e la centralità della persona saranno strumenti che aiuteranno a progettare percorsi formativi coerenti con questi obiettivi e mettere in relazione il progetto educativo della scuola con il progetto di vita di ciascun ragazzo. Un grande aiuto potrà derivarci dal “portfolio delle competenze”, che si aggiunge alla valutazione burocratica prevista dalla frequenza di un ordine di scuola aggiun- gendo quello che il soggetto è e quello che fa, che sa fare, che sa essere, come ha raggiunto quel tipo di competenze e che tipo di spendibilità potrà avere il com- plesso di competenze che ha acquisito. Il portfolio delle competenze deve servire per mettere in risalto le vocazioni, le attitudini, le effettive aspettative del soggetto in educazione; deve aiutarlo ad andare sempre avanti, a prescindere da quello che i percorsi possono offrire, perché certamente sono strutturati in gran parte ri- spettando obiettivi generali e validi per tutti. Il portfolio delle competenze è quello strumento che insieme alla personalizzazione dei piani di studio consentirà la trasformazione degli obiettivi generali di apprendi- mento in obiettivi specifici e in competenze reali. D’altra parte con questi strumenti rientriamo a pieno titolo nell’ambito delle indi- cazioni europee in materia, obiettivi che ormai rappresentano i must, i punti di riferimento forti, i punti di forza della politica scolastica europea. Siamo in grado di conserntire a questi giovani di prepararsi alle sfide internazionali, con un forte CIOFS-FP 56 radicamento nel proprio territorio, in quello nazionale e in Europa e con una preparazione che possa vincere le sfide della globalizzazione e quindi, le sfide inter- nazionali. Questo significa preparare dei cittadini, delle persone, dei lavoratori che abbiano una qualificazione professionale flessibile, certa e aperta a nuovi approfon- dimenti ed ulteriori competenze. Dobbiamo lavorare insieme per innalzare i livelli qualitativi del nostro sistema educativo e dobbiamo mettere in piedi un sistema che garantisca il raggiungimento di esiti superiori, eliminando la differenza di prospettive fra chi sceglie il Liceo e chi sceglie l’Istruzione e Formazione Professionale. Anche il ragazzo che sceglie il per- corso più breve - quello triennale che dà la prima qualifica a 17 anni - deve sapere che potrà fare un quarto anno e conseguire una ulteriore qualifica professionale; dopo questo quarto anno se vuole, potrà fare un altro anno di studio, superare l’esame di stato e iscriversi all’università o può proseguire nel percorso della for- mazione tecnica superiore. Un sistema, quello della formazione tecnica superiore, ancora poco sviluppato ma molto richiesto: creato come sistema di corsi post diploma, è frequentato da molti laureati. Laureati che non trovano risposte adegua- te di formazione specialistica nei corsi di laurea, almeno quelli triennali. L’alternanza formazione-lavoro all’interno dei percorsi del secondo ciclo diventa un momento centrale del quadro politico. Attraverso questa modalità d’apprendi- mento, poter scegliere un percorso di istruzione liceale o un percorso di istruzio- ne e formazione professionale assume una forte valenza orientativa. I ragazzi avranno la possibilità di misurarsi con modalità e ambienti diversi di ap- prendimento; avranno, soprattutto, la possibilità di capire se e quali ambienti di lavoro potranno essere più funzionali alla propria personalità e, quindi, scegliere dove e come potranno specializzarsi e che tipo di approfondimento culturale e professionale dovranno fare in seguito. La nostra aspettativa è quella che tutti i ragazzi dopo i 15 anni, prima dell’uscita dal secondo ciclo possano maturare esperienze di alternanza di formazione-lavoro per periodi brevi o per periodi lunghi. A riguardo, la legge ipotizza anche un per- corso sistematico di alternanza scuola-lavoro per ragazzi che, a 15/16 anni, deci- dono di avvalersene in modo sistematico. Al di là di questa modalità e di questa scelta, che è sicuramente estrema e radicale, ci si augura, però, che tutti i ragazzi possano avere, per periodi brevi, la possibilità di alternare lo studio al lavoro in tutti gli indirizzi, in tutti i segmenti del secondo ciclo, dal liceo classico al percorso XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 57 di istruzione e formazione professionale aggiungendo valore alla formazione. Si vuole generalizzare, anche nel sistema dell’Istruzione, questa pratica diffusa in molti cen- tri di IeFP, privilegiandone il tipo di raccordo e di rapporto. L’alternanza scuola- lavoro rappresenta un elemento forte del sistema come l’orientamento, il sistema dei crediti, la reversibilità delle scelte, i percorsi differenziati e il portfolio. Il piano di investimento di 8.320 milioni di euro, prima accennato, ci consentirà di dare risposte e significato alla prospettiva di portare tutti i nostri giovani almeno alla qualifica professionale nell’ambito del diritto dovere. Un aspetto significativo della legge è, infatti, quello che riguarda il diritto - dovere all’istruzione e alla formazione per almeno 12 anni a cui è dovranno collegarsi azioni tese a prevenire i fenomeni di dispersione e abbandono scolastico. Mi auguro, quindi, che questi finanziamenti consentano per la prima volta di ap- prontare un sistema di Istruzione e Formazione Professionale molto ampio, non un segmento residuale riservato a quei 240mila ragazzi che l’istruzione, in senso lato, perde ogni anno. L’impegno è di cominciare ad “investire” attraverso le risorse dell’obbligo formativo, anche parte dei finanziamenti stanziati per l’apprendistato, piuttosto che a cofinanziamenti della legge 440 (che comunque sono finalizzati all’obbligo scolasti- co), mettendo a disposizione risorse aggiuntive. Oggi possiamo essere più sereni di ieri perché, oltre agli strumenti ideali e normativi per creare questo nuovo sistema, i Ministeri dell’Istruzione e del Lavoro, le Regioni e gli Enti locali hanno finalmente risorse da investire finalizzate a questo scopo. Tutto questo farà sì che si delinei un sistema di Istruzione e Formazione Professio- nale di “pari dignità” rispetto a tutti gli altri segmenti formativi, oltre ad una valorizzazione della formazione per tutto l’arco della vita. Per raggiungere questi ambiziosi obiettivi è improrogabile la necessità del potenziamento della scuola tec- nica superiore. Solo se sapremo creare questo sistema che va fino ai 21 anni, distinto dal sistema dei licei e tale da garantire, qualora si voglia, la possibiltà di proseguire con successo a livello accademico, allora e soltanto allora potremo dire di aver creato un sistema nuovo. Si garantirà ai ragazzi di ottenere una qualifica, un titolo di studio e, certamente, consentirà loro di ultimare la propria formazione e di non essere limitati al prmo segmento o peggio esclusi. CIOFS-FP 58 Le rigidità del sistema e il fatto di obbligare tutti in uno stesso contenitore, anziché favorire una crescita culturale nel Paese, di fatto, ha favorito sempre gli stessi, quelli cioè, già favoriti in partenza, ed escluso tutti gli altri. Invece, bisogna garantire a tutti i soggetti una seria qualificazione e la possibilità di ulteriori approfondimenti di natura specialistica o generale, sempre certificati e riconosciuti, perché quello che oggi ci danneggia e danneggia fortemente i nostri ragazzi è l’assenza di qualificazione professionale. Molti dei nostri ragazzi, troppi, escono dal sistema formativo e raggiungono i 19/20 anni senza un diploma o una qualifica. Ora tutti insieme, Assessori Regionali, i dirigenti del Ministero del Lavoro e tutti coloro che hanno, a diverso titolo, responsabilità nell’educazione, dobbiamo fonda- re la scuola della repubblica riportando al centro delle nostre iniziative i giovani. Riportiamo al centro della nostra attenzione gli studenti, spostando l’asse dalla centralità delle Istituzioni alla centralità della persona e coniugando le nostre pro- fessionalità ai bisogni delle giovani generazioni. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 59 III.3 L’ASSETTO ISTITUZIONALE E I PERCORSI DEL SISTEMA DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE DOMENICO SUGAMIELE Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca I temi in discussione in questo seminario di studio consentono di procedere ad ulteriori riflessioni e approfondimenti che potranno costituire un fattivo contribu- to per la fase attuativa della riforma del secondo ciclo e segnatamente del sistema dei percorsi di istruzione e formazione professionale già a partire da questo anno scolastico con le iniziative sperimentali. La legge delega di riforma del 28 marzo 2003, n. 53, si innesta in un processo di profondo cambiamento dei poteri e delle competenze istituzionali che vede, da un lato, le Regioni titolari di potere legislativo esclusivo sull’istruzione e formazione professionale e, dall’altro, le scuole come vere autonomie funzionali. Questo mo- dello, determinato dal nuovo Titolo V della Costituzione e dalla legge 59/97, porta a riconsiderare il tema della formazione professionale in un quadro di pluralismo educativo, delle autonomie, dei soggetti, e nello sviluppo dei poteri regolatori del- lo Stato e delle stesse Regioni. L’elemento peculiare della legge 53 è dato dalla centralità dell’autonomia delle istituzioni scolastiche e formative nella predisposizione di un’offerta educativa personalizzata con il coinvolgimento e la partecipazione attiva di tutti i soggetti istituzionali e privati interessati. Le autonomie locali, le autonomie funzionali e le agenzie private sono chiamate ad interpretare la domanda dei giovani, delle loro famiglie e del sistema sociale e produttivo e a trasformarla in un’offerta pubblica di istruzione e formazione. Si tratta, cioè, della messa in piedi di un sistema proattivo che sappia coniugare domanda ed offerta superando l’attuale modello basato, pre- valentemente, sull’autoreferenzialità dell’offerta statale di tipo scolastico. La personalizzazione dei percorsi segna, da un lato, l’identità pedagogica dell’istitu- zione scolastica o formativa e, dall’altro, definisce un’identità più ampia che com- prende la libertà di scelta delle famiglie. CIOFS-FP 60 Il fondamento di questa idea forte di educazione è individuato nell’articolo 1 quan- do si pone l’obiettivo di “favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, delle differenze e dell’identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia, nel quadro di cooperazione tra scuola e genitori, in coe- renza con il principio di autonomia scolastica.”. Allo Stato spetta il compito di predisporre i livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale mentre alle autonomie funzionali e alle famiglie sono lasciate le competenze che riguardano la libertà di scelta e di educazione. Si tratta di conciliare l’autonomia delle istituzioni scolastiche con il nuovo quadro costituzionale dei poteri in tema di istruzione e formazione professionale per garantire la validità nazionale dei titoli e delle qualifiche professionali. La legge prevede, infatti, che: “ferma restando la competenza regionale in materia di formazio- ne e istruzione professionale, i percorsi del sistema dell’istruzione e della formazione professionale realizzano profili educativi, culturali e professionali, ai quali conseguono titoli e qualifiche professionali di differente livello, valevoli su tutto il territorio nazionale se rispondenti ai livelli essenziali di prestazione..”. In questo senso la legge 53 si innesta con coerenza nella prospettiva di cambia- mento istituzionale avviata da alcuni anni, dando sistematicità a provvedimenti che, nel precedente contesto, avrebbero rischiato di rimanere strumenti isolati del com- plessivo disegno di riforma e quindi non capaci di produrre cambiamenti sostan- ziali. Ci si riferisce, in particolare, alla legge di riforma costituzionale n 3 del 2001, al DPR 275/99 (Regolamento di attuazione dell’autonomia scolastica), alla legge 62/00 sulla parità scolastica, all’articolo 68 della legge 144/99 sull’obbligo formativo e al- l’articolo 69 della stessa legge sugli IFTS. La legge 53 ha evidenziato la necessità di riorganizzare l’offerta educativa fino ai diciotto anni e di rilanciare i percorsi della formazione professionale con un im- pianto strutturale capace di assicurare loro stabilità nella prospettiva di sviluppo della formazione tecnica superiore. Questo nuovo quadro prefigura, dunque, la possibilità di dare spazio alla nostra migliore tradizione, espressa da educatori e politici cattolici e liberali, che vuole un sistema scolastico più rispondente ai bisogni delle persone e in relazione allo svi- luppo del sistema produttivo e sociale del territorio. In questo senso, con la legge 53 si è inteso modificare l’attuale struttura del siste- XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 61 ma educativo, basato esclusivamente sulla centralità del modello scolastico, che vede una anacronistica separazione tra scuola e lavoro, che soffre della mancanza di un moderno sistema di formazione professionale, che registra una forte difficol- tà nel dialogare con altri soggetti. Il pluralismo istituzionale obbliga alla riflessione comune e alla ricerca di soluzioni che superino tutto ciò: la separazione tra scuola e lavoro e tra scuola ed economia. In più, tale pluralismo potrà consentire uno sviluppo “qualitativo” del sistema educativo che porti il nostro Paese a competere con gli altri paesi industrializzati. Questa prospettiva non sarebbe stata possibile senza un rinnovato disegno della formazione professionale iniziale che affianca il sistema scolastico. La mancanza di un sistema di formazione professionale ha privato moltissimi ra- gazzi di reali opportunità formative e di inserimento nella società. Troppi giovani abbandonano la scuola senza nessuna qualifica professionale e si inseriscono in modo precario nel mercato del lavoro. L’accentuazione della dimensione scolastica ha privato il nostro Paese di un mo- derno strumento di politica attiva del lavoro. L’uniformità dell’offerta, prevalente- mente se non esclusivamente scolastica, coniugata ad una evidente rigidità organizzativa del sistema non ha saputo rispondere ad una domanda diffusa e diversificata di formazione espressa dalla popolazione giovanile. I dati preoccupan- ti sulla dispersione, sugli abbandoni, sul numero di diplomati e laureati ne sono la riprova. Tuttavia, nel campo della formazione professionale, non devono costituire motivo di eccessiva preoccupazione le difficoltà date sia dalla situazione ereditata sia dalla fase di implementazione e sperimentazione che si avvia a seguito dell’accordo quadro siglato il 19 giugno scorso in Conferenza Unificata. È molto più utile, come si fa in questo seminario, concentrarsi sulla necessità di realizzare un sistema di Istruzione e Formazione Professionale di alta qualità, capa- ce di dialogare con i migliori sistemi europei. Così pure bisogna evitare atteggia- menti minimalisti e di difesa dello status quo. Il secondo ciclo di istruzione comprende il sistema dei Licei e il sistema dell’Istru- zione e della Formazione Professionale. Due sistemi che hanno obiettivi e finalità diversi ma che sono ricomposti in un processo unitario in cui entrambe le dimen- sioni sono educative. Qui sta la prima risposta alla pari dignità dei percorsi: la formazione professionale non è intesa come addestramento, non è estranea al CIOFS-FP 62 processo educativo, ma è inserita a pieno titolo nel campo della conoscenza scien- tifica e tecnologica. In coerenza con quanto appena affermato, la riflessione avviata con la commissio- ne dei Licei ha portato alla definizione di un profilo educativo, culturale e profes- sionale unitario per tutto il secondo ciclo che rappresenta i diritti di cittadinanza per tutti i giovani nell’espletamento del diritto dovere all’istruzione per almeno dodici anni. Nella fase di approvazione della legge il Parlamento ha voluto impegnare il Gover- no a riflettere sulla consistenza del sistema dei percorsi di istruzione e di forma- zione professionale, ponendo all’attenzione la necessità di accogliere in questo sistema la nostra migliore tradizione di formazione tecnico professionale. In questa direzione saranno utili le indicazioni e le proposte organizzative che verranno dalle commissioni dei Licei e di quella del Liceo tecnologico, in partico- lare. Nella Commissione esistono due linee di tendenza, una delle quali ritiene impropria l’organizzazione in indirizzi dei Licei tecnologici. Questa posizione apre la prospettiva alla creazione di un sistema di Istruzione e Formazione Professionale molto ampio che, da un lato, sia in grado di dare risposte concrete ai giovani che oggi non conseguono alcun titolo di studio e, dall’altro, preveda un’ampia gamma di qualifiche e titoli di studio tecnico professionali rac- cordati allo sviluppo del sistema produttivo e alla domanda di formazione dei giovani. Si tratta, in altre parole, di realizzare quello che la legge prospetta in termini di sviluppo verticale del sistema dell’Istruzione e Formazione Professionale con la naturale prosecuzione nella formazione tecnica superiore e anche verso l’univer- sità. Va letto in questa direzione quanto previsto dopo il quarto anno dei Licei: “l’ammissione al quinto anno dà accesso all’istruzione e formazione tecnica superiore”. Il riferimento è la nuova concezione del diritto dovere in cui si amplia il concetto di obbligo formativo. Si tratta di puntare ai dodici anni di istruzione per tutti con l’obiettivo di consentire ai giovani di inserirsi nel mondo del lavoro con un titolo di studio professionale. Si vuole realizzare, cioè, un sistema unitario capace di garantire un’offerta diversi- ficata. Per queste ragioni sarà necessario avviare una riflessione sulla organizzazio- ne del sistema di Istruzione e Formazione Professionale per aree, in modo da con- sentire lo sviluppo di eccellenze, portando a sistema la formazione tecnica superio- XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 63 re, e favorendo processi di orientamento e accompagnamento dei giovani. La personalizzazione dei piani di studio dovrà consentire di accompagnare i giovani a correggere scelte sbagliate e a sviluppare un percorso di orientamento “vertica- le” che aiuti lo studente a conseguire obiettivi formativi (titoli di studio) coerenti con le proprie aspettative, capacità ed attitudini. Ciascuna istituzione, scolastica e formativa, deve essere in grado di prospettare ai ragazzi percorsi di varia durata, dai tre ai sette anni, che portano a qualifiche pro- fessionali e diplomi, validi su tutto il territorio nazionale e in ambito europeo. La qualifica professionale deve rappresentare il primo tassello di un percorso di formazione che si potrà sviluppare e arricchire anche in seguito, nella prospettiva della long-life learning. La possibilità di fornire ai nostri giovani reali opportunità di conseguire il successo formativo si potrà concretizzare con la diversificazione dell’offerta, garantita anche dal pluralismo istituzionale, e con lo sviluppo del rapporto scuola lavoro. L’alternanza scuola lavoro è senza ombra di dubbio uno strumento efficace per consentire ai ragazzi di misurarsi con modalità nuove di apprendimento. C’è stata una riflessione comune tra il MIUR e il Ministero del Lavoro che si è concretizzata nella ridefinizione degli obiettivi dell’apprendistato previsti nel decreto legislativo di attuazione della legge 30/03 sul mercato del lavoro (la legge Biagi). Una sinergia che ha portato a distinguere nettamente (la legge 53 è chiara in questo senso) tra l’alternanza come metodologia di apprendimento, sotto la re- sponsabilità della scuola o dell’agenzia formativa, e l’apprendistato che è un con- tratto di lavoro. Si può cogliere positivamente la previsione di un “apprendistato formativo”, per i giovani che non abbiano compiuto i diciotto anni, finalizzato al conseguimento di una qualifica professionale per l’espletamento del diritto dovere. Si ampliano anco- ra le prospettive e le opportunità dei giovani e tutte sono finalizzate al successo formativo e all’innalzamento dei livelli di formazione. Ogni percorso, al di là della durata, consentirà accessi ad un livello superiore di istruzione e di formazione. Infatti, l’impegno è quello di sviluppare il sistema del- l’istruzione e formazione professionale in verticale creando percorsi di formazio- ne tecnico professionale superiore, culturalmente e qualitativamente validi. Il sistema degli IFTS, che pure ha rappresentato una svolta importante per il nostro CIOFS-FP 64 Paese, non garantisce continuità dei percorsi di formazione tecnico - professionale superiore. Ciò è determinato, principalmente, dalla dipendenza dei corsi dai bandi annuali e dagli stessi meccanismi di composizione dei soggetti erogatori. Si tratta, anche in questo campo, di avviare una fase di sperimentazione con la costruzione di scuole tecniche superiori stabili che rispondono ad una program- mazione territoriale su settori trainanti di sviluppo del sistema economico. L’obiet- tivo comune deve essere quello di avere strutture formative capaci di anticipare i bisogni del sistema produttivo e sociale del territorio e di indurre esse stesse linee di sviluppo economico. La costruzione di un forte segmento stabile di formazione superiore è uno dei presupposti dello sviluppo qualitativo e quantitativo di tutto il sistema di Istruzio- ne e Formazione Professionale. Riguardo alle fasi attuative degli aspetti fin qui esaminati e riferiti sia alla legge 53/03 sia alla legge 30/03 (legge Biagi) appare opportuno evidenziare l’impor- tanza dell’accordo quadro, unanimemente condiviso, tra Stato, Regioni e Auto- nomie locali sancito il giorno 19 di giugno scorso in Conferenza Unificata. Si tratta di un primo passo di un rapporto istituzionale che ha visto un proficuo lavoro comune tra il MIUR, il MLPS e il Coordinamento delle Regioni. L’accordo rappresenta una cornice nazionale per l’attuazione, a partire da questo anno scolastico, di una sperimentazione del sistema di Istruzione e Formazione Professionale, che risolve, nel contempo, il problema del vuoto legislativo determi- nato dall’abrogazione della legge 9/99 che innalzava l’obbligo scolastico fino a quin- dici anni. Infatti, in attesa dell’emanazione dei decreti delegati previsti per l’attuazione del diritto-dovere di istruzione e formazione, è stato importante dare una risposta alle famiglie e ai ragazzi quattordicenni, prima soggetti all’obbligo scolastico. L’obiettivo principale è quello di dare una risposta alla domanda inevasa di migliaia di giovani che oggi, non trovando opportunità formative coerenti con le loro aspet- tative, preferiscono abbandonare la scuola. All’accordo sono seguite intese bilaterali siglate con ogni regione (alcune sono in fase di sottoscrizione) finalizzate alla definizione delle modalità attuative dell’ac- cordo quadro in ciascuna regione. Dall’anno scolastico appena iniziato i ragazzi in possesso della licenza media pos- sono iscriversi direttamente a percorsi sperimentali, di durata almeno triennale, di XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 65 formazione professionale. È evidente che si tratta di una grande novità che racco- glie molti sforzi fatti anche dalla vostra associazione. In particolare è prevista la possibilità di realizzare percorsi di formazione profes- sionale di durata almeno triennale, basati su modelli di innovazione metodologica, didattica e organizzativa che coinvolgono sia le istituzioni scolastiche sia le agenzie formative. L’impegno è di realizzare percorsi che portano a qualifiche professionali riconosciute a livello nazionale e corrispondenti al secondo livello europeo. È la prima volta che si prevede uno standard nazionale per le qualifiche profes- sionali. Certo, il quadro di riferimento tra le varie regioni si presenta innegabilmente diffe- renziato. Quadro determinato sia da scelte operate negli anni scorsi da ciascuna regione sul proprio sistema di formazione professionale sia dall’utilizzo dei fondi comunitari che ha, nella maggior parte delle situazioni, favorito il disimpegno delle regioni sulla formazione di base, sia da scelte politiche operate da alcune regioni. In alcune di queste permane ancora un’idea singolare di integrazione che, da un lato, assegna alla formazione professionale un ruolo subalterno e, dall’altro, limita forte- mente la stessa autonomia delle istituzioni scolastiche e formative. L’accordo, anche nell’ottica di una efficace e mirata azione di prevenzione, contra- sto e recupero degli insuccessi, della dispersione scolastica e formativa, prevede di: - individuare modelli di innovazione didattica, metodologica ed organizzativa che coin- volgano l’istruzione e la formazione professionale, rispettando i ruolo delle istituzioni scolastiche autonome e quello delle strutture formative accreditate; - realizzare forme di interazione e/o di integrazione fra i soggetti operanti nei citati sistemi; - promuovere le capacità progettuali dei docenti della scuola e della formazione profes- sionale, per motivare l’apprendimento dello studente attraverso il sapere ed il saper fare. L’impegno finanziario dei ministeri è tale da poter soddisfare una richiesta ampia di percorsi sperimentali. Sono state finalizzate risorse finanziarie della legge 440/97, sul bilancio del MIUR, e dei fondi destinati dal Ministero del lavoro per l’obbligo formativo, per complessivi 216 milioni di euro, ai quali si aggiungeranno risorse di ciascuna regione. CIOFS-FP 66 III.4 IL QUADRO DELLA RIFORMA NEL SUO ASSETTO NORMATIVO PASQUALE RANSENIGO CNOS-FAP Nazionale Gianfranco Garancini, che avrebbe dovuto tenere la relazione questa mattina su questo tema, per impegni inderogabili sopraggiunti, non può essere presente; a me è stato affidato il compito di intervenire con alcune considerazioni che rimandano al testo del suo articolo e che si trova nella sezione “documenti” che troviamo nella cartella dei lavori del presente seminario.1 Garancini nei suoi diversi interventi, in particolare nel presente articolo, propone un approccio giuridico e normativo al tema della riforma Moratti. Se la competenza giuridica non ci appartiene come formazione specifica di educatori, ci accomuna però la passione e l’attenzione ai giovani e agli adulti, soggetti prioritari dei nostri servizi, al mondo del lavoro e alle istituzioni, che pure occupando atten- zione e interesse diretto di Garancini. Tuttavia, l’approccio giuridico proposto da Garancini ci sembra particolarmente utile e interessante per approfondire soprattutto quanto viene affermato nell’arti- colo 2 della legge 53/03 (riforma Moratti), dove si delinea la nuova articolazione del secondo ciclo della riforma. Infatti, tale articolazione costituisce l’elemento innova- tivo più significativo dal punto di vista normativo e strutturale del sistema educativo di istruzione e formazione riformato. In particolare, alla lettera d) del suddetto articolo 2 della legge in oggetto si afferma che il sistema di istruzione e di formazio- ne si articola “nella scuola dell’infanzia, in un primo ciclo che comprende la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado, e in un secondo ciclo che comprende il sistema dei licei ed il sistema dell’istruzione e formazione professionale”. 1 G. GARANCINI, Il nuovo quadro istituzionale dell’istruzione e della formazione professionale: quali prospettive cfr. CSSC. CENTRO STUDI PER LA SCUOLA CATTOLICA, A confronto con le riforme: problemi e prospettive. Quarto Rapporto sulla Scuola Cattolica in Italia, La Scuola, Brescia, 2003). XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 67 Inoltre, sempre sulla scorta dell’articolo di Garancini si deve rilevare anche quanto ha riferimento alla modifica del Titolo V della Costituzione che, in particolare nel- l’articolo 117, include nuove attribuzioni di competenze trasferite alle Regioni in materia di istruzione e di formazione professionale (che vincolano direttamente la riforma Moratti), peraltro già sancite in sede parlamentare dalla maggioranza di Cen- tro-Sinistra nel 2001 con il Governo presieduto dall’on. Prodi e, in continuità, dall’on. D’Alema. Come Enti di formazione professionale siamo attenti anche a questi contesti poli- tici e culturali, sapendo quanto questi incidono sulle modalità di attuazione delle riforme deliberate. Ciò deve qualificare sempre più il ruolo di “soggetti politici” che gli Enti di formazione professionale devono assicurare nei vari contesti terri- toriali dove si attivano i processi di riforma, per rafforzare le competenze pedago- giche e didattiche di cui gli Enti sono portatori nei processi formativi, superando rischi che spesso li portano a prassi di passivi esecutori di normative che si diffe- renziano da regione a regione e che non consentono spesso di valorizzare con coerenza la propria identità su tutto il territorio nazionale. Ciò si verifica quando, per esempio, si affrontano le diverse situazioni in cui si dibatte la questione relativa al problema della cosiddetta “scelta precoce” per giovani quattordicenni che al termine del primo ciclo, come previsto dalla legge 53/03, possono iscriversi direttamente ad un Centro di Formazione Professionale. Come è noto, le possibilità di sperimentazione di percorsi triennali nel sistema regionale della formazione professionale non viene riconosciuta in quelle regioni, dove la continuità dell’obbligo scolastico fino a 15 anni viene ancora imposta e attuata con riferimenti esclusivi all’assetto precedente alla riforma Moratti e nella prospettiva dei successivi percorsi biennali dell’obbligo formativo fino al diciottesimo anno di età. La questione di una “scelta precoce” si può affrontare responsabilmente solo se si tiene presente quanto previsto nel nuovo assetto istituzionale del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e di formazione, così come delineato nella legge di riforma 53/03. Infatti, concluso il primo ciclo (14 anni di età) le famiglie e i giovani interessati possono scegliere i percorsi del sistema dei Licei o i percorsi del sistema dell’Istruzione e della Formazione Professionale, tenendo presente che tutti i percorsi del secondo ciclo debbono essere programmati e attuati in coerenza con quanto indicato nel “Profilo Educativo Culturale e Professionale” (PECUP), valido su tutto il territorio nazionale. CIOFS-FP 68 Inoltre, sempre con riferimento all’esempio fatto, si deve rilevare che, all’interno dei percorsi del sistema dei Licei e del sistema dell’Istruzione e della Formazione Professionale, si possono effettuare i cosiddetti “passaggi” da un sistema all’altro, sulla base alla certificazione dei crediti acquisiti in ciascun percorso. Non si tratta, quindi, di “scelte precoci”, ma di scelte che corrispondono a stili di apprendimento differenziato, che noi educatori dobbiamo assicurare alle famiglie e ai giovani con un accompagnamento di orientamento e di verifica continua lungo tutto l’itinera- rio formativo. Ciò che si deve denunciare chiaramente è la motivazione ideologica e di interesse spesso categoriale che inficia ancora i tentativi di confronto tra le forze sociali e politiche quando si affrontano questioni e scelte di fondo contenute nella legge di riforma. Se mancano le condizioni di un confronto documentato, vengono meno anche le responsabilità che debbono coinvolgere tutta la società, tutti i soggetti istituzionali e amministrativi, facendosi carico di operare scelte coerenti che un processo di riforma di comune interesse richiede. Si tratta di un “bene” che anche l’Unione Europea indica come condizione primaria per il proprio sviluppo. Detto ciò, bisogna subito rilevare l’implicanza che da ciò deriva per ogni educatore un impegno rinnovato e qualificato nell’accompagnare tutte le fasi di un processo di scelta, tenendo conto delle situazioni reali dei soggetti coinvolti e non soltanto delle esigenze degli assetti ordinamentali e normativi. Ciò comporta, come è noi ben noto, una responsabilità comune nell’individuare le migliori strategie che le scienze pedagogiche e didattiche suggeriscono per arrivare a stipulare, a comincia- re dalla formazione professionale iniziale, il cosiddetto “patto educativo” tra istitu- zione formativa, famiglia e giovani utenti. Con tale motivazione, poniamo ora l’attenzione su un altro aspetto importante della legge 53/03, che ci interessa direttamente come operatori della formazione professionale e che viene esplicitato nel contributo di Garancini. L’art. 2 alla lettera g) della suddetta legge precisa che “il secondo ciclo è finalizzato alla crescita educativa culturale e professionale dei giovani attraverso il sapere, il fare e l’agire (inoltre), è finalizzato a sviluppare l’autonoma capacità di giudizio e l’esercizio della responsabilità personale e sociale; in tale ambito viene anche curato lo sviluppo delle conoscenze relative all’uso delle nuove tecnologie; il secondo ciclo è costituito dal sistema dei licei e dal sistema dell’istruzione e della formazione professionale. Dal com- pimento del quindicesimo anno di età i diplomi e le qualifiche si possono conseguire in alternanza scuola-lavoro”. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 69 Un complesso di caratteristiche che impegnerebbero ciascuno di noi in un esame dettagliato , che non è possibile sviluppare in questa sede. Ciò che ci sembra, però, importante rilevare è l’uso dei termini ‘diploma’ e ‘qualifica’: ciò significa che la legge di riforma, per quanto attiene i percorsi di istruzione e di formazione professionale, si struttura in un nuovo “sistema” a diversi livelli: il primo di questi livelli si raggiun- ge con percorsi triennali ordinati al conseguimento di una qualifica professionale, che sancisce anche l’assolvimento del diritto-dovere di istruzione e di formazione previsto dalla riforma. Il secondo livello, indicato nel modello attuativo elaborato dagli Enti di FP associati a FORMA, si raggiunge con ulteriori percorsi annuali ordinati al conseguimento di un diploma professionale, che a loro volta offrono la possibilità di continuare l’iter formativo o con percorsi triennali successivi di istruzione e formazione tecnica supe- riore o con percorsi annuali integrativi ordinati a sostenere l’esame di stato nel sistema dei licei. Come si può rilevare, al di là delle semplificazioni schematiche, si delinea un sistema che, dal punto di vista ordinamentale, si struttura verticalmente accanto a quello dell’istruzione e dell’università con percorsi di istruzione e di formazione profes- sionale a tappe successive, pur avendo sempre le garanzie e le possibilità di passaggi, (le cosiddette passerelle) indicate nella legge 53/03. Per completare l’illustrazione dell’assetto istituzionale del secondo ciclo possiamo anche fare un accenno all’articolazione del sistema dei licei, che prevede il liceo artistico, classico, economico, linguistico, musicale, coreutico, scientifico, tecnologi- co e delle scienze umane (lettera g). Nel confronto con il sistema dei licei, l’art. 2 alla lettera h) evidenzia una caratteri- stica che accomuna gli obiettivi finali dei licei di durata quinquennale e dei percorsi del sistema dell’Istruzione e della Formazione Professionale. “Ferma restando la competenza regionale in materia di formazione e istruzione profes- sionale, i percorsi del sistema dell’istruzione e formazione professionale realizzano profili educativi, culturali e professionali ai quali conseguono titoli e qualifiche professionali di differente livello valevoli su tutto il territorio nazionale se rispondenti a livelli essenziali di prestazioni di cui alla lettera c)…”. “I titoli e le qualifiche costituiscono condizione per l’accesso all’istruzione e formazione tecnico-superiore, salvo quanto previsto dall’art. 69 della legge 144 [istitutiva dell’obbli- go formativo con i relativi percorsi successivi]. “La formazione professionale di dura- ta almeno quadriennale consente di sostenere l’esame di Stato utile anche ai fini degli CIOFS-FP 70 accessi all’università e all’alta formazione artistica”. Da quanto indicato, risulta che nel secondo ciclo si ha una articolazione di percor- si che fa riferimento ad un sistema di istruzione, che si dà per scontato che sia conosciuto, mentre dall’altra parte si indica un inedito sistema di Istruzione e di Formazione Professionale che non c’è ancora e che va tutto costruito con i decre- ti legislativi di attuazione, previsti dalla medesima legge 53/03. Per conoscere le caratteristiche istituzionali e normative di questo nuovo sistema di Istruzione e di Formazione Professionale possiamo far riferimento a quanto esplicitato nello studio elaborato da Garancini. La prima parte del contributo, come possiamo rilevare dal documento in cartella, è molto importante in quanto chiarisce il contesto nel quale si pone l’assetto della riforma con riferimento a due processi innovativi: il riconoscimento delle autono- mie e il decentramento amministrativo. Tali processi, evidenzia Garancini, fanno riferimento a criteri non di facile armonizzazione nel contesto attuale e determi- nano spesso valutazioni superficiali e alquanto confusione. I due criteri dell’autonomia delle istituzioni scolastiche e del decentramento am- ministrativo corrono il rischio di essere attualmente al centro di una “riforma della riforma”. Infatti, sappiamo che accanto alla riforma del titolo V della Costituzione è in atto nell’attuale governo un processo di rivisitazione, che finora (autunno 2003) non ha avuto esito dal punto di vista legislativo e normativo. Questo riferimento sottolinea un aspetto della Legge Delega della riforma Moratti, che si colloca, come sappiamo, all’interno di un più vasto processo di riforme non ancora definite. Il contributo di Garancini, come si vede, affronta anche questi aspetti e si compone di tre parti: le riforme istituzionali, il sistema della Pubblica Amministrazione, il sistema dell’istruzione e riforme istituzionali. Cominciamo dalle “riforme istituzionali” con riferimento immediato al Titolo V della Costituzione e in particolare all’ art. 114, che indica una configurazione istitu- zionale a due facce: ieri e oggi, passato e presente. Ieri la Repubblica “era ripartita” in Regioni, Province e Comuni; oggi la Repubblica è “costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato”, cioè tutti i soggetti si pongono ad un livello pari, ognuno nell’ambito che compete loro. Sono soggetti attivi perché costituiscono la Repubblica, ovviamente in un ambito che dovrà essere determinato per non entrare in conflitto. Ciò ha ricadute immediate anche per quanto riguarda l’attuazione della legge di riforma: si può rilevare che l’istituzione più vicina al cittadino è il Comune. Quindi, non avere posto i sindaci dei comuni in XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 71 grado di essere informati sui contenuti della riforma che li coinvolge direttamente comporta anche perdere, per esempio, il riferimento dell’assetto istituzionale de- gli uffici per l’impiego che devono procedere alla rilevazione dell’anagrafe formativa di tutti i cittadini presenti nel territorio, anagrafe che deve diventare il punto di riferimento oggettivo da cui partire per interloquire con il soggetto amministrati- vo, regionale, provinciale e comunale, che deve garantire sul territorio l’esercizio del diritto-dovere di istruzione e di formazione dei cittadini almeno fino al dodicesimo anno di età. Infatti, è sulla base dei dati che emergono dall’anagrafe formativa che si può partire per conoscere realisticamente almeno il numero di ragazzi e ragazze che hanno il diritto-dovere di scegliere i percorsi di istruzione e formazione fino al diciottesimo anno di età o fino al conseguimento di una qualifica professionale. Se potessimo subito disporre dell’anagrafe formativa in ciascuna regione si potrebbero più facil- mente demitizzare non pochi luoghi comuni, se non pregiudiziali, che anche in ambito sindacale emergono, con riferimento al rischio di perdita di posti di lavoro o di cattedre dei docenti delle scuola, conseguenti all’applicazione del nuovo as- setto istituzionale dei due sistemi di percorsi previsti nel secondo ciclo dalla rifor- ma Moratti. Una conferma su tale materia può essere desunta da quanto si è verificato nella Regione Sardegna dove, a seguito dell’introduzione dell’obbligo formativo, si è socializzata tale opportunità attraverso l’iniziativa di un apposito convegno (rivol- to anche ai Comuni, alle Province e all’intera Regione) a cui hanno fatto seguito non poche iniziative di avvio di corsi di formazione professionale che, per quanto riguarda il solo Ente CNOS-FAP Sardegna, hanno decuplicato le presenze di pro- pri Centri di FP. Riforma del titolo V, art. 117 Un altro aspetto che il contributo di Garancini evidenzia riguarda l’analisi specifica alla riforma dell’articolo costituzionale 117, rilevando le nuove competenze di legi- slazione esclusiva attribuite alle Regioni in materia “di istruzione e di formazione professionale”. Ne consegue che allo Stato sia riservata la legislazione esclusiva per quanto riguarda la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (lettera m, comma 1, articolo 3, legge 3/01). E’ invece materia di legislazione concorrente tra CIOFS-FP 72 Stato e Regioni quanto riguarda l’istruzione, con specificazioni e limiti che non pos- siamo approfondire in questa sede. In sostanza, sintetizza Garancini, questa è la formulazione all’interno della quale la legge delega 53/03 pone le scelte a cui dovranno fare riferimento le elaborazione dei decreti legislativi di attuazione della medesima legge. Ciò che Garancini puntualizza è che con la riforma del Titolo V della Costruzione si modifica anche il riferimento costituzionale su cui si è elaborata la legge-quadro n. 845/78, che faceva riferimen- to a quanto sancito nel precedente art. 117: la Regione ha legislazione su istruzione artigiane e professionali, nel rispetto dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato. Sistema educativo e articolazione nei diversi cicli Pur non entrando nel merito di analisi normative specifiche, il contributo di Garancini rimanda agli addetti ai lavori l’approfondimento degli aspetti che caratterizzano il sistema educativo complessivo nazionale in relazione a quelli che potremmo chiama- re i due sottosistemi: quello dell’Istruzione e quello dell’Istruzione e della Formazio- ne Professionale. Non si tratta, come è ovvio ad Enti e a soggetti addetti ai lavori, di modifiche di linguaggio soltanto, ma di vera e propria innovazione istituzionale, ordinamentale, pedagogica e didattica. In altre parole, chi non è in grado di padroneggiare i contenuti sottesi ai termini innovativi a cui fa ricorso la legge 53/03 continuerà ad affermare che i percorsi di formazione professionale sono sempre e comunque “addestrativi” e non potran- no mai essere di “pari dignità” come quelli dell’istruzione scolastica perché questa sola può trasmettere la “cultura” di cui la società della conoscenza ha bisogno per confrontarsi e competere con altre società dell’Unione Europea e del mondo. Definire “luoghi comuni” o “pregiudiziali ideologiche” non basta più. Oggi, dispo- nendo di una legge dello Stato (legge 53/03) bisogna instaurare un confronto dialettico e documentato, anche in termini di contenuto normativo, per avviare o potenziare un processo culturale e politico che permetta anche all’Italia di dotarsi di un sistema educativo unitario e articolato che possa confrontarsi con gli altri sistemi educativi e formativi dei Paesi dell’Unione Europea. Ma il contributo di Garancini aggiunge a questa riflessione un aspetto rilevante perché colloca il processo di riforma della legge 53/03 all’interno di una conquista non solo legislativa, ma costituzionale: l’autonomia delle istituzioni scolastiche (leg- XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 73 ge 59/1997, art. 21; legge costituzionale n.3/2001, art. 3) Queste leggi sono state emanate con maggioranze e governi di centro sinistra, con la conseguenza, almeno per questi aspetti, che ciò che è avvenuto non permette di classificare la riforma Moratti, come è stato detto più volte, una controriforma. Ovviamente, l’autonomia riguarda anche le strutture formative, anche se nella leg- ge 53/03 non occorreva farne un riferimento esplicito perché già sancita nella legge-quadro n. 845/78, non abrogata dalla legge 53/03. Istituzioni Scolastiche e Centri di Formazione Professionale sono soggetti autonomi in grado di rapportar- si anche istituzionalmente con pari dignità all’interno del sistema educativo e formativo unitario e articolato . Sistema di istruzione e Pubblica Amministrazione Avviandoci alla fine della relazione, è certamente utile far riferimento anche a quanto viene messo in evidenza nel contributo di Garancini, che afferma come “Il sistema della pubblica istruzione sia sempre stato tra quelli che ideologicamente sono ritenuti di competenza dello Stato non solo per ragioni di carattere funzionale, ma soprattutto per ragioni di carattere politico, volte all’ottenimento di un (presun- to) controllo sociale attraverso l’istruzione e altresì attraverso il controllo e il gover- no delle strutture e delle persone ad essa preposte”. E più oltre si afferma che “è stata questa la ragione storica per la quale nel nostro Paese - in netta controtendenza con gli orientamenti e con la prassi, anche legislativa, di pressoché tutti gli altri Paesi europei - si è voluto e si vuole affermare la preminenza normativa ed economica della scuola statale…; per la quale si è voluto e in grande misura si vuole mantenere tale controllo in mano al Governo centrale pur in presenza di una tendenza di riforme costituzionali ed istituzionali che… si muovono nel senso del riconoscimen- to della autonomia territoriale anche in questo campo; per la quale si è voluto e in grande misura si vuole ad ogni costo (anche dietro lo schermo di pretese “chiusure” sindacali) mantenere in mano al governo centrale il reclutamento del personale docente…”. Un altro “luogo comune” riguarderebbe, quindi, l’opposizione avanzata da più parti al dispositivo di portare l’istruzione professionale (Istituti Tecnici, Istituti Professio- nali) nell’ambito delle competenze delle Regioni, perché con tale operazione que- ste istituzioni passerebbero ad una amministrazione che non è lo Stato, quindi si configurerebbero in una sottocategoria istituzionale di minor valore e dequalificata. CIOFS-FP 74 Connesso a tale questione si pone anche la prospettiva di competenze specifiche delle Regioni sul personale che opera attualmente nel sistema dell’istruzione pro- fessionale e le modalità di reclutamento del medesimo personale da parte delle Regioni. Certamente non si tratta, come è ovvio, di operazioni semplici e scontate, ma non si può improvvisare un sistema che ha bisogno di chiarezza ordinamentale e che richiede strategie di accompagnamento da parte di tutti i soggetti coinvolti, tenendo presente che è proprio la risorsa umana che qualifica ogni riforma di un sistema di educazione e di formazione. Infine, il contributo di Garancini accenna anche alle questioni relative al riassetto delle funzioni amministrative nonché di quelle legislative, con riferimento specifico al decreto legislativo 112 del 1998. Anche a questo aspetto, si può affermare che soprattutto la riforma del Titolo V trova esplicite indicazioni costituzionali nella legge n.3 del 2001 e nei relativi rego- lamenti. “Di conseguenza (conclude Garancini) – poiché spetta alle Regioni la potestà legislati- va in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato (art. 177, quarto comma, Cost.) – l’ente generale di legislazione non è più lo Stato, ma la Regione. Questa è la maggiore novità, che a ragione viene ritenuta di portata “epocale” in quanto concorre a sanare una palese contraddizione che esisteva tra i principi generali e la seconda parte della Costituzione stessa, dando finalmente attuazio- ne al disegno autonomistico… che trova una verifica diretta sia nella costruzione del sistema di istruzione, sia nella effettiva parità anche economica tra scuole statali e quelle non statali”. Conclusione Una più completa ed esaustiva riflessione sulle questioni affrontate è affidata alla buona volontà di ciascuno di noi, che potrà far riferimento anche alle altre problematiche presentate nel citato contributo elaborato da Garancini. IV L’UTENZA DEL SISTEMA CIOFS-FP 76 IV.1 LA CENTRALITÀ DELLA FAMIGLIA NELLE FASI DELL’ORIENTAMENTO GIUSEPPE RICHIEDEI AGe – Associazione Italiana Genitori Un recente documento (gennaio 2003) del Ministero dell’Istruzione “Le fami- glia e la scuola orientano i ragazzi” puntualizza bene ruoli e compiti dei genitori nella problematica impegnativa ed esigente dell’orientamento, dell’istruzione e della formazione: “la nuova configurazione del sistema di istruzione e formazione apre nuovi spazi di scelta e di responsabilità che rendono indispensabile rafforzare le capacità di orien- tamento e di autonomia dei giovani ed il sostegno ad essi da parte dei genitori, della scuola e del territorio. Tale sostegno è ancora più importante per i giovani diversa- mente abili o a rischio di esclusione sociale. Per quanto si individua come punto di snodo importante la fase di transizione dall’ob- bligo scolastico all’obbligo formativo in quanto le scelte che si operano in tale passag- gio sono scelte di vita. Il compito dell’orientamento (aiuto a scegliere) e del riorientamento (aiuto a passare ad un altro percorso, che offra una prospettiva di successo formativo, secondo il principio della “reversibilità delle scelte”) è cruciale. Non si tratta soltanto di condividere le responsabilità con le famiglie, ma di rendere più effica- ce un lavoro che risulta spesso vanificato dall’orientamento “implicito” che il mondo culturale di provenienza, le attese o l’immaginario delle famiglie conse- gna come mandato ai più giovani. L’orientamento e il riorientamento vanno perseguiti dalla scuola e dai genitori come obiettivi formativi in modo intenzionale e sistematico, per consentire ai sog- getti più deboli di passare dalla logica della rinuncia a quella della possibilità di altre scelte, dalla sfiducia in se stessi alla consapevolezza e valorizzazione dei propri punti di forza… Perché il progetto di orientamento abbia una speranza di efficacia, perché il XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 77 lavoro degli operatori scolastici non sia una voce moralistica o vanamente dia- gnostica che la famiglia tende a dimenticare se non è consentanea al progetto culturale familiare, è necessario saper intervenire in primis: - sui problemi di comunicazione tra insegnanti e genitori; - sulle difficoltà di molti genitori ad esporre le proprie idee e le proprie espe- rienze, sulle difficoltà a trovare opportunità di confronto e soluzione dei pro- blemi educativi. Soltanto se il genitore ha fatto un lavoro personale, può poi aiutare i figli ad assu- mersi le proprie responsabilità di decisioni mature e diventare così protagonisti della propria crescita. L’azione orientativa dei genitori significa promuovere la libertà del figlio quale sog- getto costantemente in relazione con sé e con l’altro ed espressione in ogni su forma e manifestazione del passato che ha vissuto, del presente in cui è posto e del futuro che ha il diritto-dovere di progettare come positivo per sé. Andare verso la vita adulta con la stima e la fiducia in sé vuol dire non scoraggiarsi davanti alle difficoltà, ma saper rischiare ed affrontare il futuro con speranza. Tutto ciò vuol dire dare ai figli le ali per muoversi nella vita con libertà ed autonomia, ma soprat- tutto per puntare sulla propria realizzazione come persone. Il bagaglio per partire verso la vita adulta è fatto di poche cose essenziali: l’amore, la stima, la fiducia e la sicurezza che comunque vadano le cose, i ragazzi sanno di poter contare sugli educatori”. La Riforma 2003 e i compiti delle Famiglie “La riforma 2003 apre considerevoli spazi di flessibilità per la responsabilità e la partecipazione rinnovata dei genitori. Nel primo articolo si afferma che “al fine di favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana nel rispetto delle scelte educative della famiglia, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori si definisce il sistema educativo di istruzio- ne e di formazione”. È prevista la domanda facoltativa da parte delle famiglie per l’anticipo di iscrizione dei bambini alla scuola materna e della scuola primaria (art. 2). La scuola dell’infanzia “concorre all’educazione delle bambine e dei bambini nel rispetto della primaria responsabilità educativa dei genitori”. CIOFS-FP 78 È promosso l’apprendimento in tutto l’arco della vita attraverso conoscenze e abilità coerenti con le attitudini e le scelte personali (art. 2, a). Si prospettano in questo modo spazi di scelta delle famiglie in ordine alle attività integrative e ai labo- ratori, concorrendo alla definizione degli orari scolastici, commisurati alle esigenze dei ragazzi. - I ragazzi al termine del primo ciclo possono “scegliere tra il sistema dei licei e il sistema dell’istruzione e della formazione professionale” (art. 2, g). - È assicurata ed assistita la possibilità di cambiare indirizzo scolastico (art. 2, i). - Dopo il quindicesimo anno di età è possibile realizzare i corsi in alternanza scuo- la-lavoro (art. 4). - A domanda degli interessati è possibile la frequenza di corsi integrati negli istitu- ti di istruzione e formazione professionale (art. 4). - Si prevede la valutazione, periodica ed annuale, degli apprendimenti e del com- portamento (art. 3, a) con la collaborazione dei genitori nella compilazione del portfolio delle competenze. - Viene introdotta la valutazione da parte esterna da parte dell’ Istituto (INVaLSI) a cui si affianca la valutazione interna dell’autovalutazione di istituto dove si pren- de in considerazione la soddisfazione delle famiglie per il servizio ricevuto. Dalle indicazioni contenute nella legge di riforma emerge una prospettiva di rilancio di una scuola che diventi “comunità” e non solo servizio funzionale, luogo di appar- tenenza e non solo ufficio amministrativo, spazio di socializzazione e di educazione alla convivenza civile non solo ambiente di apprendimento. Compiti e spazi d’Intervento dell’Associazione Genitori L’associazione genitori è intesa come: “forma di espressione e di rappresentanza autonoma, complementare a quella istituzionale dei consigli, per assicurare stabilità al dialogo, alla consultazione ed alla cooperazione tra scuola e genitori”. Dispongono di propri rappresentanti a livello nazionale, regionale e provinciale, nei “forum delle associazioni dei genitori” più rappresentative, presso il Ministero per una stabile consultazione delle famiglie sulle problematiche scolastiche (DPR 105/2001 - DM 14/2002). Ai genitori è riconosciuto il diritto all’associarsi all’interno della scuola, quale gruppo comunitario per superare l’isolamento (Statuto delle Studentesse DPR 249/98). XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 79 Nella scuola dell’autonomia le associazioni sono chiamate a presentare proposte di cui i docenti devono tener conto nella stesura del P.O.F. (DPR 275/99). Svolgono compiti di rappresentanza e di tutela dei diritti collettivi, costruiscono condivisione su programmi coerenti e significativi (L. 383/2000). Organizzano corsi di formazione e di informazione dei genitori sulle varie problematiche educative (Regolamento dell’autonomia DPR 275/99 art.9 e DM 112/98). Possono gestire attività integrative rivolte ai ragazzi con autonomia di iniziativa e di gestione con forme di autofinanziamento (DPR 567/96 - Progetto “Genitori & scuola 2003” - “I giovani e il volontariato” - L. 383/2000). Partecipano al monitoraggio per la qualità delle attività educative nell’autovalutazione di istituto, con diritto di accesso ai documenti (carta dei servizi - DL 165/2001 - Indicazioni Nazionali 2003). Stabiliscono collegamenti per progetti “in rete” tra scuola e territorio e cooperare nel realizzare i servizi sociali per la famiglia (L. 285/97 e L. 328/2000) Partecipano ad iniziative di orientamento rivolto ai ragazzi (Direttiva 487/97 e do- cumento ministeriale 2003 “le famiglie e la scuola orientano i ragazzi”). Si coinvolgono nelle iniziative di prevenzione nel “programma famiglia” (Direttiva 292/99 e il progetto “Missione salute 2002”). Dispongono di una propria bacheca, diffondono informazioni all’interno della scuola, organizzano servizi di consulenza (C.M. 255/91). Utilizzano locali ed attrezzature per iniziativa negli ambienti scolastici. Preparano programmi e liste per l’elezione dei Consigli scolastici locali (D.L. 233/99). Possono incontrare direttamente i dirigenti scolastici per presentare proposte, per segnalare disfunzioni, per costruire collaborazioni (DPR 105/2001). L’Informazione e la Formazione dei Genitori Sempre nel documento ministeriale 2003 “le famiglie e la scuola orientano i ragazzi” viene affrontato il problema impellente della preparazione dei genitori allo svolgi- mento dei nuovi compiti educativi nell’attuale società complessa e di partecipare in modo cooperativo e rinnovato nel sistema educativo di istruzione e di formazione. “La complessità che oggi caratterizza, ad ogni livello, i rapporti umani e sociali in- CIOFS-FP 80 dubbiamente si ripercuote all’interno delle relazioni familiari e scolastiche. Essendo la scuola il luogo fondamentale delle relazioni sociali, essa deve saper offri- re anche adeguato supporto e sostegno alle famiglie, attraverso iniziative da istitu- zionalizzare in maniera più proficua e continuativa. Fornire momenti di informazione e di formazione ai genitori, sviluppare forme di educazione degli adulti - come afferma l’articolo 9 del Regolamento dell’autonomia - rappresenta quindi un modo per sostenere il diritto-dovere dei genitori di ac- quisire consapevolezza e capacità orientative per intervenire nel modo più cor- retto nei processi di scelta dei giovani. L’azione orientativa dei genitori ha bisogno di incoraggiamento e di speranza, di fiducia, ma insieme avere l’umile consapevolezza che gli sbagli educativi sono sem- pre possibili se non altro per la varietà degli elementi in gioco. Questo fa capire la necessità che la famiglia non sia sola con le sue responsabilità. Iniziative formative contribuiscono alla nascita di una nuova cultura dell’orientamento, cioè valorizza- re la funzione orientativa della famiglia, la sua dimensione di supporto al processo decisionale dei ragazzi. E’ necessario, quindi, intervenire sui problemi di comunicazione tra genitori e figli, tra genitori ed insegnanti, sulle difficoltà di molti genitori ad esporre le proprie idee e le proprie esperienze, sulle difficoltà a trovare soluzione dei problemi educativi. Questi comportamenti trovano spesso origine in ansie e paure che, più o meno consapevolmente si provano gli uni verso gli altri. Abbiamo bisogno di sviluppare una conoscenza più completa e sistematica di questi timori reciproci, anche per riuscire a progettare interventi più efficaci. Le famiglie, la scuola, gli Enti Locali titolari di nuove competenze formative, sono impegnati a costruire reti collaborative per costruire ambienti “a misura di ragaz- zo” dove egli possa orientarsi in autonomia, sicurezza e consapevolezza. All’interno degli istituti le relazioni tra operatori e genitori si costruiscono a partire dalla reciproca conoscenza, dall’ascolto di esigenze ed aspettative, nella disponibili- tà positiva all’accoglienza. Si pongono così le premesse per avviare lo scambio di informazioni e di contributi per progetti condivisi ed efficaci. I genitori assicurano informazioni sui figli, sulle loro motivazioni di fondo, sugli interessi. Se informati sulle proposte scolastiche possono integrarle con apporti peculiari che sostengano la motivazioni ed il coinvolgimento degli allievi. Specie nei progetti integrati tra scuola e territorio le famiglie vi possono svolgere un ruolo XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 81 qualificante, con senso di appartenenza e di responsabilità. La cooperazione non si ferma all’apporto dei singoli, ma si estende al contribu- to che i genitori possono assicurare negli organi collegiali e nei gruppi associa- tivi nel sensibilizzare l’insieme delle famiglie e nel promuovere in proprio inizia- tive coerenti. Nei consigli l’apporto genitori si esplica nella proposta e nella condivisione delle decisioni. Nei gruppi associativi è facilitata l’iniziativa in proprio nel definire do- mande appropriate e nell’integrare le attività scolastiche con iniziative culturali, artistiche e ricreative. La stessa formazione risulta più efficace in rapporto al grado di coinvolgimento attivo dei genitori, che la possono vivere come momento di auto-formazione di adulti, tesi al concreto delle problematiche e delle sfide educative. Nel definire e realizzare il progetto di orientamento può essere avviata un’effettiva “partnership educativa” tra genitori , scuola e territorio”. Un rapporto rinnovato secondo il principio di sussidiarietà La scuola è soprattutto sistema organizzato, ma ha bisogno di diventare luogo di esperienza positiva, di incontro vitale e partecipato. La famiglia a sua volta se è anzitutto comunità naturale ed accogliente, ha bisogno oggi di attrezzarsi per far fronte ad una società sempre più difficile a capire e ad operarvi. Il contratto si fa così paritario e simmetrico di reciproca valorizzazione tra l’apporto della scuola e quello familiare. L’una aiuta la scuola a superare l’autoreferenzialità all’origine dei troppi ritardi, ma la stessa scuola aiuta la famiglia a non chiudersi in un illusorio familismo, destinato a scontrarsi con una realtà sociale e mediatica condizionante. C’è bisogno che nella società come nel sistema formativo integrato, nel rapporto famiglia-scuola si affermi il principio della sussidiarietà, enunciato nella recente legge 59/1997: che “attribuisce compiti e funzioni alla autorità più vicina ai cittadi- ni, al fine di favorire l’assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, delle associazioni e delle comunità”. In questo momento il soggetto più debole è indubbiamente la famiglia, soprattutto per il suo isolamento in una società sempre più complessa e frantumata. Ha bisogno dello strumento associativo per un incontro, uno scambio per recupe- rare in fiducia ed in competenza. CIOFS-FP 82 L’INFORMAZIONE capillare dei genitori è indispensabile perché siano consape- voli delle novità introdotte dalla riforma, dei nuovi compiti a cui sono chiamati, degli spazi di scelta aperti da un servizio flessibile, da commisurare sulle esigenze e le attitudini dei ragazzi. Già la scelta tra il sistema dei licei e quella della formazione ha bisogno di una vasta azione informativa per motivare correttamente, superare pregiudizi e paure, rendere la scelta corretta e consapevole. LA SCUOLA GENITORI in questa linea risulta una iniziativa di particolare signifi- cato. Aiutare, in questo momento le famiglie a recuperare in competenza formativa ed in capacità relazionale significa alimentare autonomia di iniziativa, di collabora- zione e di corresponsabilità nei genitori. L’ASSOCIAZIONISMO, poi, si conferma lo strumento principale per portare la famiglia ad uno scambio paritario con la scuola in quanto esperienza reale di parte- cipazione, sorgente di solidarietà, condizione per una rappresentanza autorevole dei genitori di fronte alle istituzioni. “Esso è espressione di un modo nuovo di vivere solidarietà e responsabilità nella realizzazione del bene comune secondo specificità (genitoriale)” (Pierpaolo Donati). Le famiglie e le associazioni costituisco- no dei mondi vitali che esigono di essere riconosciuti, non ignorati o emarginati, sia in ambito dello stato che nell’ambito del mercato. “Le associazioni devono diventa- re un fattore costitutivo della comunità locale e scolastica” (L. Pati), infatti non sono più una presenza superflua né estranea alla logica pubblica, ma un soggetto legittimato di partecipazione e di solidarietà, per una pluralità di soggetti, consape- voli della loro identità e disposti al dialogo ed alla collaborazione con gli altri. Tocqueville affermava: “nelle società democratiche la scienza dell’associazionismo è la madre di tutte le scienze; il progresso di una società dipende dal progresso fatto in questo campo. La ragione è che in una democrazia i cittadini sono indipendenti, ma sostanzialmente deboli. Sono tutti senza potere se non imparano ad aiutarsi volontariamente l’un con l’altro”. Le associazioni mentre perseguono l’interesse categoriale concorrono al bene comune ed alla funzione pubblica della formazione dei giovani insieme con la scuola. Fondata nel 1968, L’AGe è la Federazione nazionale delle Associazioni locali di genitori, che si ispirano ai valori della Costituzione italiana e dell’etica cristiana. L’AGe persegue l’obiettivo di aiutare i genitori ad esercitare pienamente il loro ruolo educativo ed a promuovere adeguate politiche per la famiglia, per la scuola e nella società. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 83 L’AGe è attiva e presente nel mondo dell’associazionismo e del volontariato. L’AGe, a livello nazionale, fa parte: ‰ della Commissione per la famiglia presso il Ministero per la Famiglia e la Solidarietà Sociale del FORUM delle Associazioni dei genitori maggiormente rappresentative presso il Ministero dell’Istruzione ‰ del Comitato Tecnico Scientifico per l’educazione alla salute, presso il Ministero del- l’Istruzione ‰ del FORUM delle Associazioni familiari per la cittadinanza della famiglia ‰ del COPERCOM , il coordinamento delle associazioni per la comunicazione. L’AGe, a livello internazionale, fa parte: ‰ del WTO/OMF, Organizzazione mondiale della famiglia. ‰ della COFACE, Confederazione delle organizzazioni familiari della Unione Euro- pea. ‰ dell’EPA, Associazione Europea dei genitori. SCOPI ‰ Individuare ed approfondire quanto concerne il bene e l’interesse dei figli sotto il profilo educativo, sociale, culturale, etico e fisico. ‰ Sostenere la responsabilità dei genitori nei confronti della scuola e dei problemi posti dai mass-media e dall’ambiente sociale, nel quale vive la famiglia individuando modalità di presenza e settori di intervento. ‰ Fornire aiuto e consulenza alle famiglie, contribuendo al miglior compimento del- l’opera degli educatori promuovendo corsi di formazione, incontri, servizi, etc. ‰ Favorire percorsi di integrazione dei bambini con handicap e delle loro famiglie nella scuola e nella vita sociale. ‰ Promuovere attività di educazione interculturale per la convivenza interetnica. ‰ Stimolare la costituzione di tutti gli organismi attraverso i quali può realizzarsi la partecipazione della famiglia alla vita della scuola e della comunità sociale. ‰ Intervenire presso le istituzioni per proporre le soluzioni più idonee alle problematiche educative e familiari. CIOFS-FP 84 IV.2 SISTEMA DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE: GOVERNANCE E NUOVI COMPITI MAURIZIO DREZZADORE ENAIP Con l’approvazione da parte del Parlamento della legge 28 marzo 2003, n. 53, si apre una nuova fase, non più caratterizzata dalla discussione sui diritti formativi, sul compito educativo del sistema scolastico-formativo, sulla pari dignità dei due canali (quello liceale e quello formativo) sulla pari dignità dentro il sistema di istruzione e formazione tra IPS e Centri Professionali. Tutti questi argomenti infatti hanno ca- ratterizzato la discussione della fase iniziale del percorso della riforma del sistema scolastico-formativo, inducendo l’ENAIP, e con esso molti altri enti di formazione, a sostenere con la propria convinta adesione un progetto che può veramente por- tare una forte innovazione nel sistema italiano. La fase nuova che si apre ora sarà sempre più caratterizzata dal confronto su come costruire l’architettura operativa del sistema di Istruzione e Formazione Professionale. È questo il vero banco di prova per il Governo, perché dagli argo- menti generali che tratteggiavano i contorni culturali del progetto si arriverà ben presto ad individuare nella concretezza le modalità organizzative e saranno queste a dare il nuovo assetto. Dalle prime battute della discussione su come costruire operativamente l’attua- zione della legge 53 si intravede già il pericolo rappresentato dal “pensiero minimalista”; di quanti cioè si fanno sostenitori di una riforma che cambi semplice- mente “la giacca” all’esistente, riducendo tutta la dimensione innovativa al sempli- ce trasferimento della gestione scolastica dallo Stato centrale alle Regioni. Noi di ENAIP guardiamo con molta apprensione il farsi avanti di questa posizione politica che, non legando indissolubilmente la giusta prerogativa di governo in capo alle Regioni a tutte le misure di riferimento nazionali che dovrebbero garan- tire l’unitarietà del sistema, potrebbe divenire l’anticamera della frantumazione del sistema scolastico-formativo in tanti modellini quante sono le regioni italiane. Fini- rebbe così col venir meno anche quel faticoso consenso che in questo ultimo XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 85 periodo ha cominciato a farsi strada tra le famiglie e gli studenti. ENAIP evidenzia quattro architravi su cui costruire l’intero modello organizzativo della legge 53, su queste quattro priorità misureremo la coerenza del Governo e decideremo il coefficiente di consenso che questa riforma merita di ottenere dagli Enti di Formazione Professionale. Prima architrave: una forte innovazione pedagogica La riforma dovrà garantire attraverso il sistema di istruzione e formazione la co- struzione di un’ampia offerta formativa ispirata alla pedagogia dell’apprendimento dall’esperienza e dal fare. Ciò si potrà perseguire a due condizioni. a) Valorizzando il ruolo degli Enti di Formazione, che da decenni hanno consolida- to questo approccio pedagogico, impostato per progetti e non per programmi, per obiettivi e non per discipline. b) Dando consistenza adeguata al canale formativo che non dovrà essere minore del 40% dell’intera offerta dell’istruzione, pena una manifesta marginalità. Seconda architrave: una forte attenzione sociale Il sistema d’istruzione e formazione dovrà essere in grado di fornire una nuova opportunità formativa a quanti (oltre 300.000 giovani in età 14/18 anni) sono oggi fuori da ogni percorso: scolastico, formativo o di apprendistato e sono a rischio di marginalità sociale. Questi 300.000 dispersi dal sistema scolastico che non hanno avuto modo di inserirsi in altri percorsi di vita sono uno zoccolo duro e incomprimibile, nelle attuali condizioni della scuola italiana, perché la motivazione di fondo dell’abban- dono sta nella metodologia eccessivamente deduttiva e imperniata sull’apprendi- mento teorico dell’istruzione italiana che non trova in loro nessuna possibilità di accettazione. Questi giovani hanno un assoluto disinteresse agli attuali percorsi scolastici, non ne saranno mai attratti e non trovano, fuori della scuola, una offerta formativa quantitativamente e qualitativamente capace di dare loro una risposta. Basti pensare che i percorsi che dovrebbero essere più vicini alle loro esigenze, CIOFS-FP 86 cioè gli stessi IPS, ne operano la più pesante esclusione, 27% il primo anno. I numeri ci dicono che solo per fare fronte a questa sfida di equità che coinvolge il sistema scolastico la formazione professionale dovrà nei prossimi anni quasi rad- doppiare la propria offerta formativa. Terza architrave: una nuova capacità di relazionarsi con le dinamiche dello sviluppo locale e con le caratteristiche dei mercati del lavoro Una delle più pesanti distorsioni del sistema scolastico italiano è la separatezza con le imprese e le dinamiche del sistema economico e la distanza, mai colmata, con le variabili dello sviluppo locale. Non solo questo divario è generatore dello storico scompenso tra conoscenze e competenze professionali e area delle conoscenze culturali, ma è altresì espressione della distanza oggi esistente tra cultura d’impresa e preparazione scolastica. Nell’epoca della globalizzazione e nella dinamica del miglioramento della qua- lità dei prodotti e servizi italiani, la qualità delle risorse umane diviene elemen- to competitivo dei prodotti italiani per l’immediato futuro, divenendo elemen- to significativo che contraddistingue i margini di successo competitivo del si- stema paese. Quarta architrave: una continuità verticale. Va costruita una continuità verticale tra formazione per la qualifica, diploma formativo e formazione superiore, nell’ottica di costruire un sistema capace di accompagnare il cittadino e il lavoratore lungo tutto l’arco della vita. La marginalità in tutti questi anni della FP regionale sta proprio nell’essere sempre stato un per- corso a termine. Nei Centri di Formazione Professionale si dovrà conseguire la qualifica e il diplo- ma formativo. Mentre nei Centri di Formazione Professionale di eccellenza si do- vrà poter conseguire il diploma di formazione superiore. A questi Centri dovrà essere consentito di diventare Scuole di Formazione Superiore, così come lo po- tranno diventare gli IPS e gli ITS di eccellenza. È nostra profonda convinzione che non potrà essere costruita una vera Formazio- XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 87 ne Superiore senza ridimensionare l’Università. Questa nostra attuale Università sconta oggi due rilevanti contraddizioni: essere un sistema fortemente selettivo che perde per strada un numero rilevantissimo di studenti e nel contempo essere l’unico attore italiano di formazione superiore. In maniera ancor più macroscopica la formazione superiore soffre delle stesse contraddizioni del sistema scolastico: essendo un altro monolitismo da superare. In questo quadro monolitico si sono consolidate in questi anni passati vere e proprie distorsioni che vanno al più pre- sto corrette e che hanno portato a conseguire titoli di natura professionale all’in- terno di percorsi universitari: si pensi agli infermieri e alle assistenti sociali. Nella strada della riorganizzazione della Formazione Superiore va subito individua- to un nuovo modello per gli IFTS, in grado di superare la frammentarietà, l’occasionalità e tutti i limiti burocratico-organizzativi della presente esperienza. Inoltre la sfida che pervade tutti i nuovi assetti futuri della riforma e che potrà rendere effettuale oppure mera chimera l’impianto organizzativo della riforma è la questione delle risorse. Abbiamo ben presente che questo tema delle risorse da un lato ha una ineludibile dimensione quantitativa, dall’altro non può non essere ricondotto ad una questione di metodo. Dal punto di vista quantitativo sappiamo che esistono risorse limitate visto il con- testo generale di crisi che le economie mondiali si trovano ad affrontare, anche conseguentemente all’11 settembre 2002 e ai focolai di guerra che si sono acutizzati in questo 2003. Non possiamo né vogliamo pertanto assumere l’atteggiamento di chi richiede tutto e subito, siamo invece disponibili a discutere un piano di implementazione che preveda: la programmazione di risorse aggiuntive nazionali in crescita nel triennio 2004/2006, da immettere nelle leggi finanziarie e la riprogrammazione dei fondi strutturali in modo da posizionare più risorse per far fronte ai diritti di formazione nella fascia di età 14/18 anni. Dal punto di vista metodologico un limite da superare è la separatezza tra MIUR e Ministero del Lavoro nell’affrontare la questione delle risorse necessarie a dar vita al sistema di Istruzione e Formazione Professionale, superando un modello fino ad oggi affermatosi nel quale ognuno è stato intento a badare al proprio orticello. Se non verrà superata questa logica i risultati rischieranno di essere disastrosi, perché finiranno col produrre l’allargamento della forbice tra gli IPS e ITS che potranno rafforzare la loro posizione dominante anche perché garantita da cer- tezza dei flussi finanziari e i Centri di Formazione Professionali, che proprio in conseguenza della loro debolezza e della loro precarietà economica (conseguente CIOFS-FP 88 al meccanismo di erogazione delle risorse da parte delle regioni), finiranno con l’essere sempre più marginalizzati. Il primo segnale di questa logica di separatezza ci viene dal recente Accordo Qua- dro MIUR - MLPS - Regioni, laddove il MIUR eroga 11 milioni di euro di risorse aggiuntive che consente di far fronte ad un primo piano di riorganizzazione del- l’istruzione verso il nuovo sistema, come disegnato dalla riforma, mentre il MLP eroga 204 milioni di euro di risorse correnti, importo assolutamente identico a quanto stanziato nelle annualità precedenti per l’obbligo formativo, quando si do- vrebbero invece predisporre risorse adeguate a programmare percorsi triennali e non più biennali. La richiesta che ENAIP e gli Enti di formazione appartenenti a FORMA formulano è che si instauri una logica d’insieme da parte del Governo con provvedimenti unici nel reperire le risorse per l’intero sistema. Il primo riscontro lo si avrà nel Piano Programmatico di Interventi Finanziari che il governo dovrà approvare, previsto entro poche settimane, così come disposto dal comma 3, art.1 della legge 53/2003. L’interrogativo è se ci saranno risorse solo per l’istruzione oppure se nel piano saranno previsti interventi in una visione d’insie- me, secondo le necessità del nuovo sistema. È noto che la Formazione Professionale ha davanti a sé un arduo compito di riorganizzazione finalizzato a: finanziare percorsi triennali di qualifica laddove oggi sono biennali o anche annuali; finanziare percorsi formativi idonei e ridurre la di- spersione scolastica; creare nuovi modelli didattici e metodologici adeguati agli standard nazionali; formare i docenti e portare a titolo quelli che non ne sono in possesso; promuovere adeguate misure di orientamento, specialmente all’uscita dalla terza media; dare avvio a programmi di alternanza formativa. Ed è conseguen- temente chiaro che senza adeguate risorse economiche tutto questo sarà impos- sibile. Proprio perché siamo consapevoli che il Governo non ha la bacchetta magi- ca per reperire nell’immediato l’ingente mole di risorse necessarie per tutte que- ste esigenze, proponiamo che si vada ad una concertazione per definire in un arco quadriennale un piano di risorse crescenti idoneo a costruire nel tempo un vero sistema di istruzione e formazione professionale. FORMA si candida ad essere uno degli attori di questa concertazione, nella consapevolezza che più si riscontrano difficoltà a reperire le risorse necessarie, più si rende necessario creare un tavolo per trovare le soluzioni con un piano di lungo periodo. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 89 IV.3 I NUOVI COMPITI DEL SISTEMA DI IEFP CLAUDIO GENTILI Direzione Formazione e Scuola - Confindustria Negli ultimi mesi alcuni addetti ai lavori hanno la sensazione di non conoscere quale futuro avrà il settore dell’istruzione e della formazione professionale. Il mio scopo con quest’intervento, è di cercare di dire come, dal punto di vista delle imprese, vorremmo che fosse. Si avverte oggi, più che mai, la necessità di trovare un’amplissima convergenza su questi temi. Ci troviamo in una fase in cui l’Italia è una sorta di cantiere per quanto riguarda i temi dell’istruzione e della formazione. Un cantiere aperto che contiene la devolution, una legge nazionale quella Moratti, un progetto di legge regionale quello dell’Emilia Romagna, e ancora una legge sul mercato del lavoro la cosiddetta legge Biagi. Tutto questo rappresenta un panora- ma molto variegato e con alcune difficoltà di convergenza. Storicamente, sui temi della scuola, è sempre stato facile alzare il livello della pole- mica, molto spesso in maniera semplicistica e faziosa da più parti. Non dobbiamo assolutamente pensare che sia solo il nostro caso, perché abbastanza recentemen- te, anche in Francia ed Inghilterra i Ministri dell’istruzione si sono dovuti dimettere proprio in conseguenza del forte scontro che si era creato. Il giorno in cui è stata approvata la legge Moratti, su un quotidiano italiano venne fatta la seguente affermazione: “... questa legge riduce l’istruzione a mera alfabetizzazione della manovalanza flessibile con una formazione pagata dallo Sta- to e gestita direttamente dalle aziende”. Questa frase esprime un chiaro esempio del grado di eccessiva semplificazione che a volte si fa quando si parla di questi temi. Si ravvisa però la necessità di cominciare a lavorare, solo così probabilmente si riuscirà a fare qualche passo in avanti. Questa è una riforma che indubbiamen- te deve fare i conti con il grosso nodo delle risorse. Ma in realtà questa è una riforma che ha un’ottica di medio/lungo periodo. Per affrontare qualsiasi nodo CIOFS-FP 90 strutturale della società e dell’economia si deve necessariamente avere un’otti- ca di questo tipo. Noi non ci possiamo permettere che ogni cinque anni su temi così rilevanti ci siano dei cambiamenti radicali, per questo è molto importante provare da subito a vedere su quali temi sia possibile un’ampia convergenza. È soprattutto importante rispetto alle leggi che sono state e saranno emanate a livello regionale. Confindustria, in termini molto generali, ha apprezzato molti aspetti della riforma Moratti e in particolar modo la conferma e l’ampliamento dell’obbligo di istruzio- ne e formazione per tutti gli studenti fino ai 18 anni, la valorizzazione in senso paritario del secondo canale di formazione professionale, la nascita per la prima volta in Italia del sistema di alternanza scuola/lavoro, che prevede che l’azienda si strutturi come vero e proprio ambito formativo, l’istituzionalizzazione della forma- zione superiore e la nascita di un liceo economico e di un liceo tecnologico. Un altro aspetto, che desidero affrontare, riguarda se la scelta nei confronti di un canale o dell’altro debba essere così precoce come compare nel disegno di questa legge. Lasciando da parte le dispute ideologiche, in moltissimi Paesi europei è in corso un dibattito proprio sul tema del momento in cui scegliere in quale canale i giovani intendono proseguire i propri studi. In Francia c’è il cosiddetto Collège Unique, in cui i primi due anni della scuola superiore sono comuni e dove vengono date delle competenze uguali per tutti e la scelta è rinviata ad un momento successivo. Pur non avendo il Collège Unique anche in Gran Bretagna si ha una situazione analoga in cui questa scelta si attua a 16 anni, in Spagna invece era così fino a dicembre del 2001, poi una nuova legge ha modificato anticipando a 14 anni questa scelta. Ora però anche in Inghilterra c’è un dibattito molto acceso su questa tematica per tornare ad una scelta a 14 anni. Il dibattito è vivace anche in Francia perché il Collège Unique sta dando dei risul- tati molto negativi in termini di dispersione scolastica, il 30% degli allievi, infatti, non riesce a concludere il percorso. Questi sono temi che fanno riflettere e ci dicono che l’Italia andando in questa direzione sta forse anticipando un processo che potrebbe avvenire entro breve anche negli altri paesi europei. Inoltre la riforma Moratti dà la possibilità di cambiare e di passare orizzontalmente da una filiera ad un’altra. Una legge che offre tante possibilità di scelta è una buona XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 91 legge. Occorre però fare una campagna di comunicazione seria. Vorrei però affrontare anche il tema dell’istruzione tecnica. Storicamente gli istitu- ti tecnici ed anche professionali hanno costituito un bacino di reperimento di risorse umane qualificate. Negli ultimi 10/15 anni, però, si è avviato un processo di depauperamento di questi istituti che hanno aumentato molto il numero delle discipline, hanno ridotto l’orario, e forse hanno un po’ annacquato questo tipo di scuola. L’indagine dell’Organismo Bilaterale Nazionale per la Formazione ci ha detto che, negli anni scorsi, il 19% degli addetti ricercati dalle imprese devono possedere proprio il titolo di istruzione tecnica. Una recentissima indagine che abbiamo svol- to, invece, in Confindustria, nel nostro sistema associativo, ha messo in evidenza l’insoddisfazione delle imprese per la sempre più scarsa competenza professionale posseduta dai giovani che escono dagli istituti tecnici. Anche le soluzioni che si intravedono per il futuro degli istituti tecnici non soddi- sfano per ora appieno le imprese. Le soluzioni sono: o venire privati della loro specificità professionalizzante oppure essere completamente equiparati agli istituti professionali di durata quadriennale. Sono evidenti in entrambe le soluzioni i rischi di depauperamento di quella che è universalmente considerata una delle “perle” della scuola italiana. I futuri licei tecnologici italiani potrebbero a buon diritto ereditare gli attuali indi- rizzi dell’istruzione tecnica industriale, intrecciando elevati livelli di formazione scientifica, tecnica e tecnologica in modo da dare luogo a profili professionalizzanti. Combinando la nuova tipologia del Liceo tecnologico con i percorsi di alternanza scuola lavoro, di cui darò cenno tra breve, si potrebbe aprire una nuova frontiera educativa che attui l’obiettivo di continuità tra i livelli scolastici, eviti separazioni brusche tra Licei e formazione professionale e consenta allo studente percorsi personalizzati e recuperi di scelte fatte in momenti in cui non si disponeva di tutte le informazioni utili per decidere della propria vita professionale. Questo tipo di istituti potrebbe essere direttamente collegato ad un’offerta formativa più ampia e modulare che preveda anche nella stessa sede – o almeno nello stesso territorio – corsi brevi di formazione professionale; corsi di formazio- ne professionale triennali per la qualifica; corsi di istruzione professionali quadriennali per il conseguimento del diploma professionale; corsi di formazione professionale superiore annuali o biennali. CIOFS-FP 92 L’insieme di questa offerta formativa deve realizzarsi nell’ambito delle competenze distinte dello Stato e delle Regioni. Nel nuovo quadro federalista, che sosteniamo con convinzione, la Regione non diventa la “nuova proprietaria” della scuola, ma svolge un fondamentale ruolo di programmazione dell’offerta formativa sul terri- torio per rispondere alla domanda di formazione dei giovani, delle famiglie e delle imprese. Per Confindustria la novità più significativa della riforma Moratti è costituita dall’al- ternanza scuola/lavoro, che si dovrà basare su periodi consistenti in azienda con un adeguato supporto tutoriale. Alternanza che non è la realizzazione dello stage, ma è invece una combinazione di preparazione scolastica e di esperienza assistita sul posto di lavoro. L’alternanza nasce dal superamento della separazione tra momento formativo e momento applicativo e questa è una battaglia culturale da fare a tutti i livelli: nella formazione continua, nella formazione permanente, in tutte le definizioni di forma- zione occorre superare questa separazione tra sapere e saper fare. L’apprendi- mento sul lavoro non avviene attraverso la trasmissione teorica di regole e di astrazioni, ma avviene in un mix di imitazione ed improvvisazione sul posto di lavoro, nasce dall’attenzione consapevole a quello che gli altri fanno. In qualche modo l’alternanza ricostruisce l’unità tra apprendimento e vita reale. Sull’alternanza i problemi che appaiono da subito molto rilevanti sono due: il pri- mo riguarda il modello organizzativo, il secondo le modalità di finanziamento. Sul primo aspetto, la legge mi sembra molto chiara, in pratica il percorso d’alternan- za si svolge sotto la piena responsabilità della scuola e non si configura come rap- porto di lavoro. Dovrà essere, quindi, la scuola o l’istituto di formazione a realizzare, con la singola impresa o con l’associazione territoriale di categoria, una convenzio- ne che precisi le modalità di collaborazione e certificazione dei percorsi formativi, attribuendo all’impresa il carattere di luogo di formazione. Sulle fonti di finanziamento è meglio per il momento non esprimersi, in considera- zione della difficoltà a reperire risorse, che è un problema comune in questa fase a tutti i paesi dell’area dell’Euro. Per quanto riguarda l’IFTS, questa filiera rappresenta un tema cruciale, perché se guardiamo al rapporto che c’è tra l’utenza che sceglie la formazione universitaria e l’utenza che sceglie la formazione post-obbligo, abbiamo attualmente un rapporto di 13 a 1, mentre da quando è stata introdotta la formazione tecnico superiore XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 93 questo rapporto è sceso a 10 a 1, con un miglioramento considerevole. A questo punto è necessario che l’IFTS si strutturi in maniera ancor più netta. Un ultimo aspetto da considerare è quello dell’apprendistato. Ricollegandomi alla legge Biagi, vorrei sottolineare che l’apprendistato viene ora specializzato come strumento d’inserimento, ma anche come strumento di formazione, perché se la legge Moratti da un lato dice chiaramente nel proprio testo che è possibile conse- guire un diploma con l’apprendistato, la legge Biagi dice addirittura che è possibile conseguire perfino una laurea con l’apprendistato. Tra l’altro ci sono già in Italia due esperienze da questo punto di vista, una è a Trento dove ci si può laureare in informatica, e l’altra a Brescia dove ci si può laureare in economia con l’apprendistato. Queste esperienze, seppure di nicchia, rafforzano il ruolo formativo dell’impresa, anche se è corretto lasciarle alla libera iniziativa delle imprese, e quindi premiare ed assecondare la virtuosità, senza lacci e laccioli. V. REGIONI E PROVINCE: LA GOVERNANCE DEL NUOVO SISTEMA XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 95 V.1 CONFERENZA STATO-REGIONI. OBBLIGO FORMATIVO E RIFORMA MORATTI ANTONIO DE MARCO Tecnostruttura delle Regioni Come sistema formativo del Paese dobbiamo molto al CIOFS-FP, al CNOS-FAP e a Forma per le continue sollecitazioni che ci arrivano sul problema della formazio- ne di base dell’obbligo formativo. In una fase in cui è oggettivamente maggiore nelle regioni l’attenzione rispetto alle tematiche della strategia europee dell’occu- pazione, siamo ‘costretti’ a porre una attenzione forte anche agli strumenti dell’al- ternanza, alla formazione di base dell’obbligo formativo nel nuovo scenario che si è aperto con la riforma Moratti. Siamo all’interno di un processo che si è avviato, pur con le sue contraddizioni e i problemi. Sono proprio queste difficoltà che sollecitano tutti i protagonisti, Regio- ni, Province, MLPS, MIUR, organizzazioni formative a mettere in campo ogni inizia- tiva culturale, politica, istituzionale, sociale necessaria per sostenere un passaggio davvero epocale nella trasformazione del sistema formativo del Paese. L’obbligo formativo è oggi il collante dell’integrazione dei sistemi formativi e del riconoscimento della pari dignità dell’istruzione e della formazione professio- nale, che è al centro della riforma Moratti. Consente inoltre, di mettere insieme tutti quei passaggi fondamentali della riforma, del sistema formativo e del mer- cato del lavoro (legge 53, completamento della riforma della formazione profes- sionale, legge Biagi di riforma del mercato del lavoro, la riforma dei servizi per l’impiego, la riforma avvenuta con la legge 144/1999 dell’obbligo formativo e dell’apprendistato). Le variabili complessive del sistema dell’impiego e della formazione del nostro Paese trovano uno snodo fondamentale all’interno della proposta organica che stiamo tentando di definire sull’obbligo formativo, davvero strumento di integra- zione dei sistemi. Questo è ancora più forte considerando che l’obbligo formativo è nato prendendo atto delle grandi contraddizioni del sistema formativo ma so- CIOFS-FP 96 prattutto del sistema del mercato del lavoro italiano, caratterizzato da una forte contraddizione di una domanda di lavoro che si concentra dove c’è poca offerta e di una grande offerta di lavoro (i giovani disoccupati del mezzogiorno) che si con- centra dove non c’è disponibilità delle imprese. Questa forte contraddizione del mercato del lavoro ha determinato uno scollamento sul piano dei fabbisogni formativi e quindi, dei percorsi formativi dei giovani: al Nord i ragazzi arrivano alla scolarità dell’obbligo perché trovano imme- diatamente una opportunità di lavoro, mentre nel mezzogiorno i ragazzi continua- no normalmente il percorso scolastico, ma spesso con tassi di abbandono alti, dovuti al fatto che non trovano la scuola adeguata ai fabbisogni che i ragazzi espri- mono. L’obbligo formativo in qualche modo è un tentativo di risposta a questa contraddi- zione del sistema formativo italiano, che è contemporaneamente la contraddizio- ne del mercato del lavoro italiano. Dire che l’obbligo formativo è lo snodo fondamentale di processi di ammodernamento del Paese significa tentare di dare dei contenuti culturali mag- giori ad un livello di dequalificazione scolastica sempre più imperante nel nostro Paese, che ci avvicina ad alcuni standard europei delle aree territoriali più avanzate, tentando di dare un forte contenuto culturale alle esperienze professionalizzanti dei giovani dai 15 ai 18 anni e contemporaneamente di dare un contenuto professionalizzante agli interventi formativi che vengono realizzati all’interno del canale educativo del Paese. Con l’introduzione del secondo canale di formazione professionale a gestione regionale all’interno della riforma Moratti si apre la prospettiva di un mercato del lavoro nuovo. È evidente che alcuni problemi sono sorti negli anni passati nella fase sperimentale dell’obbligo formativo nei sistemi regionali (l’esperienza della regio- ne Piemonte è solo una dei 21 sistemi regionali di difficoltà registrate). Il dato più problematico riguarda l’incontro tra domanda e offerta di formazione (trovare la proposta giusta per la persona giusta), l’incontro tra i profili professionali, la do- manda del giovane che ha lasciato la scuola e vuole entrare in un percorso di formazione professionale e il sistema dell’offerta formativa garantita dalle regioni. Questa è una costante dell’esperienza dei sistemi regionali di obbligo formativo, che oggi potrebbe essere superata sicuramente dalla pari dignità del canale della formazione professionale rispetto al canale liceale, ma che richiede una grande XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 97 sfida alle regioni, quella di riuscire a strutturare un’offerta formativa regionale orga- nica adeguata. Siamo in presenza oggi di 21 sistemi formativi in qualche modo diffe- renziati, che spesso costituiscono la grande ricchezza del sistema formativo italiano, anche perché sono legati a situazioni territoriali, alle opportunità e alle vocazioni del territorio, alla capacità di dialogo o meno con i sistemi di alternanza formazione- lavoro e con i sistemi di individuazione dei fabbisogni professionali da parte delle imprese. Ma sono 21 sistemi formativi diversi della formazione professionale. La grande sfida oggi, alla vigilia dell’avvio della sperimentazione della riforma Moratti, in mancanza dei decreti di attuazione, è di riuscire a strutturare un’offerta formativa regionale organica e stabile sul territorio che consenta l’incontro tra domanda e offerta della formazione dei giovani dai 15 ai 18 anni, che sia preludio in qualche modo ad un incontro domanda e offerta di lavoro. È evidente che lo snodo fondamentale della scommessa avanzata con l’obbligo formativo è la capacità di integrazione e di dialogo con i sistemi di lettura dei fabbisogni professionali e di lettura dei fabbisogni delle imprese. Questo può avvenire solamente attraverso un raccordo forte con le amministra- zioni provinciali non in quanto soltanto enti delegati in materia di formazione professionale nella fase matura del decentramento amministrativo italiano ma so- prattutto per la capacità di integrazione con i centri per l’impiego. È con i centri per l’impiego che abbiamo individuato come motore di ricerca delle strategie di prevenzione della disoccupazione del nostro Paese, la capacità dell’ob- bligo formativo di raccordarsi con gli strumenti dell’alternanza formazione-lavoro, ma soprattutto con gli strumenti di presenza sul territorio dei centri per l’impiego. Qui è la vera scommessa della riuscita dell’obbligo formativo. L’avvio della sperimentazione, individuata secondo l’accordo che abbiamo sotto- scritto, l’accordo quadro approvato in Conferenza Stato-Regioni a marzo e poi sottoscritto dalle Regioni, dal MIUR e dal MLPS a giugno del 2003 per l’offerta formativa sperimentale di istruzione e di formazione professionale, doveva avveni- re sul 2003-2004. Nei fatti, com’è noto, di sperimentazione della attuazione della riforma Moratti parte l’inglese e l’informatica. Quindi, il vero dato innovativo sarà la capacità di attivare le risorse dell’ultimo decreto dell’obbligo formativo per cercare di mettere a regime il meccanismo triennale di formazione professionale nell’ambito dell’obbligo formativo 15-18 anni. Dal punto di vista dei costi, se mettiamo in piedi tutte le risorse che sono state CIOFS-FP 98 assegnate all’obbligo formativo (nel rapporto ISFOL si può vedere come viene incrociato questo con il dato della domanda formativa, cioè quanti sono i giovani interessati presuntivamente nella fascia dell’obbligo formativo [15-18 anni] che non sono interessati alla percorrenza del sistema liceale), vediamo che 204 milioni di euro sono stati stanziati dal MLPS per l’obbligo formativo, 11 milioni di euro dal MIUR e circa 30 milioni di euro dal FSE (l’obbligo formativo è considerato insieme con l’apprendistato uno dei capisaldi dell’investimento del nuovo Fondo Sociale Europeo come strumento di attuazione della strategia europea per l’occupazione). In totale sono circa 250 milioni di euro di investimento sull’obbligo formativo, che nei fatti è diventato, grazie all’accordo quadro MIUR, MLPS, Regioni che ha già portato alla sottoscrizione di 14 accordi attuativi regionali, l’unico motore finan- ziario che sostiene le innovazioni e la sperimentazione riforma Moratti. Il problema di fondo è nel ruolo delle Regioni: di nodo di governo del sistema ma in maniera integrata rispetto al sistema delle autonomie scolastiche, al sistema di governo della riforma e al sistema delle autonomie locali, individuando soprattutto il ruolo delle province e dei centri dell’impiego. Ciò pone un problema di innovazione del sistema dell’offerta formativa e quindi, anche del ruolo delle agenzie formative e dell’esperienza della formazione di base. Il ruolo di Forma esprime la grande ricchezza delle agenzie formative che vengono fuori da un’esperienza di estrazione cattolica e del movimento associativo del nostro Paese, le due grandi scuole di pensiero che hanno creato i valori della formazione professionale come valori di un sistema educativo integrato. Cosa è stato fatto in questa prospettiva? Le Regioni hanno lavorato molto sui percorsi integrati, sull’accreditamento (con il 1 luglio è stato concluso il percorso dell’accreditamento in tutti i sistemi regionali), sull’individuazione dei fabbisogni formativi, sulla strumentazione dell’alternanza formazione-lavoro, anche attraver- so un tavolo costante di concertazione messo in piedi con le parti sociali e con gli enti bilaterali. Stiamo cercando di lavorare anche su un sistema interregionale di orientamento che possa dare la risposta a quel problema dell’incontro domanda- offerta di formazione che passa necessariamente attraverso un sistema organico e personalizzato di orientamento. La sperimentazione dell’obbligo formativo, dell’apprendistato e dell’IFTS ha già dato una serie di indicazioni ai sistemi regionali. L’accordo quadro si è già tramutato in 14 accordi integrativi tra Regioni, MIUR e MLPS, con un tentativo di innovazione XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 99 che tiene conto anche delle diversità territoriali. Sono state avviate le sperimentazioni sulle competenze professionali. Quali sono i nodi degli accordi? Sono l’integrazione dei percorsi, gli strumenti di alternanza formazione-lavoro, le passerelle tra i sistemi, i moduli integrati, azioni di sistema, formazione dei formatori, i percorsi triennali obbligatori per l’obbligo formativo (i percorsi triennali sono diventati standardizzati con un elemento con- fortante dal punto di vista dell’omogeneità del sistema a livello nazionale) e gli standard formativi minimi. Rimane a latere da approfondire tutto il ragionamento attraverso le sperimentazioni che sono state messe i piedi, riguardo la certificazione dei percorsi e la certificazione delle competenze, che peraltro aiuterà non solo i decreti attuativi della legge 53 ma anche i decreti attuativi del decreto legislativo di attuazione della legge Biagi. All’interno del decreto legislativo in corso di pubblicazione sulla G.U. sono previsti una serie di passaggi che saranno determinanti sulla certificazione delle competen- ze e sull’istituzione del portfolio di formazione del cittadino, che risultavano appli- cativi nel vecchio accordo in Conferenza Stato-Regioni di febbraio del 2000. All’interno degli accordi regionali, è stato anche fatto il tentativo di individuare due nodi fondamentali del processo di innovazione sull’obbligo formativo, uno è sui percorsi di formazione professionale (l’art. 2 degli accordi, quello sulle tipologie) dove alcune regioni si sono concentrate su una valutazione di natura generale, sui percorsi di formazione che terminano con il rilascio di una qualifica professionale che a sua volta comporta crediti formativi per la passerella nei sistemi educativi scolastici. Qualche altra regione ha tentato di individuare, anche su sollecitazione del MIUR, due percorsi: un percorso integrato di risorse, strutture e professionalità, lavoran- do sui sistemi in qualche modo, e percorsi formativi integrati di attività didattiche e curricolari, intervenendo nel merito dei percorsi formativi a livello di integrazio- ne di moduli che siano comuni tra canale scolastico-liceale e canale della formazio- ne professionale a livello di formazione di base. Tutti si sono concentrati sulla necessità di ritrovare momenti comuni sulle figure di sistema, i tutor dell’obbligo formativo, sulle azioni di accompagnamento e sulla formazione dei formatori. Tutti gli accordi regionali hanno invece, condiviso la necessità di prevedere degli accordi territoriali che siano lo sviluppo sull’anagrafe dell’obbligo formativo, sull’in- CIOFS-FP 100 tegrazione dei sistemi, sulle azioni di sistema, l’accompagnamento e la formazione dei formatori. È chiaro che questo presuppone, alla vigilia dell’adozione dei decreti ministeriali di attuazione sia della legge Biagi sia della legge 53, un’accelerazione del processo, che richiede non solo una capacità delle istituzioni di ragionare in termini di siste- ma formativo complessivo del Paese, ma soprattutto una grande opera di convin- cimento culturale, di contaminazione culturale tra i sistemi, perché capiscano che c’è un percorso comune da fare. Le esperienze del Fondo Sociale hanno aiutato un processo di contaminazione, i percorsi IFTS sono stati determinanti a creare una cultura del lavorare insieme. È determinante l’esperienza di chi lavora concretamente nel sistema dell’istruzio- ne e della formazione professionale integrata, perché attraverso la testimonianza dell’integrazione sul territorio è possibile tirar fuori un impegno di una sperimentazione sul quale siamo convinti ne vada del sistema dell’ammodernamento del Paese. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 101 V.2 REGIONE LAZIO. UN NUOVO IMPEGNO: AVVIARE LA TRASFORMAZIONE DEL SISTEMA FORMATIVO ALFIO D’ONOFRIO Regione Lazio Prima di entrare nel merito degli interrogativi posti, ritengo utile sintetizzare l’im- pianto strutturale che si rileva nella fascia dell’Obbligo Formativo, sotto il profilo economico, finanziario, organizzativo, contenutistico, procedurale, metodologico. Il sistema della formazione professionale, infatti, si caratterizza per: - modalità di finanziamento, ancorata sempre più a risorse rese disponibili in una logica di mercato (avvisi pubblici) e non quale attività di servizio propria di inizia- tive che intendono rispondere ad un obbligo sancito per legge dello Stato; - metodologia utilizzata per la determinazione dei finanziamenti, riferita esclusiva- mente al parametro ore corso per numero allievi ed al tempo di durata dell’atti- vità, con pesanti condizionamenti in ordine alle strutture ed alle risorse che, vice- versa, richiedono, continuità e stabilità nel tempo; - certificazione delle competenze in itinere e finali e dei crediti senza alcuna condivisione, quale premessa indispensabile per le passerelle orizzontali e verti- cali infra e intra sistemi; - tradizionale assenza di figure di sistema e di governo a supporto dell’attività corsuale, quale condizione necessaria e sufficiente per lo sviluppo e la promozione inte- grale di attività a tutto campo (tutoring, counseling, progettazione, orientamento, analisi dei fabbisogni, valutazione, validazione, e simili); - insufficienza o inesistenza di interrelazioni con il territorio e con gli altri sistemi: istruzione e lavoro; - insignificante partecipazione del mondo accademico alle elaborazioni didattico- pedagogico-metodologico; - sostanziale assenza di procedure standardizzate di selezione e di formazione degli operatori; - incoerenza dell’accreditamento delle sedi operative che, a fronte di strutture e CIOFS-FP 102 risorse stabili richieste per essere accreditati, non prefigura alcuna significativa certezza; - autoreferenzialità che sovente caratterizza talune realtà formative; - assenza di standardizzazione dei percorsi formativi in termini di: contenuti, deno- minazione, ruoli e profili professionali, durata. L’elenco potrebbe continuare, ma ritengo che sia sufficiente per evidenziare che si è in presenza di un non sistema che solo grazie all’impegno ed alla volontà di alcune organizzazioni, quali il CIOFS-FP, ha svolto e continua a svolgere una importante azione sociale in favore dei giovani, specie di coloro per i quali la formazione pro- fessionale spesso rappresenta l’unica concreta opportunità. Se l’elevato grado di destrutturazione ha rappresentato la forza intrinseca in ter- mini di dinamicità del sistema. Ciò se appare condivisibile sul piano etico-morale, alla vigilia dei citati decreti legislativi e in assenza di interventi strutturali, prefigura lo stato di una sostanziale scomparsa della formazione professionale nel sistema dell’istruzione e formazione delineato dalla legge n. 53/2003 (cosiddetta legge Moratti). Con tale consapevolezza, già con il piano annuale 2002/2003, pur assicurando con- tinuità al modello sperimentale di riforma della formazione professionale (cosid- detto modello Lucisano), è stata promossa la realizzazione di attività caratterizza- te da una forte alternanza con il sistema lavoro, convinti che anche dal lavoro sia possibile acquisire le informazioni e le conoscenze teoriche necessarie per una buona preparazione professionale ma, soprattutto, che la formazione professiona- le deve avere una sua specificità incentrata sul saper fare per apprendere gli ele- menti caratterizzanti la figura professionale prescelta. Ma è con le direttive per il triennio 2003/2004, 2004/2005, 2005/2006, approvate dalla Giunta regionale del Lazio in data 1° agosto 2003, che sono state determina- te le condizioni per avviare la trasformazione sistemica con l’introduzione del livello minimo di esistenza delle istituzioni formative finalizzato a: - prefigurare un volume di attività minimo capace di sostenere l’onere delle figure di sistema e di governo, del modello di cfp agenziale e degli operatori ammini- strativi, valutate rispettivamente intorno al 10%, 10% e 30% dei formatori impe- gnati in formazione diretta; - favorire il consolidamento di strutture confrontabili con la istituzione scolastica, così come risulta dal dimensionamento della rete scolastica; XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 103 - superare la eccessiva destrutturazione e frammentazione del sistema. Inoltre viene avviato il finanziamento globale, non più a corso, per un periodo di tre anni. Delineato il quadro dell’azione regionale, è possibile rispondere agli interrogativi che, nella sostanza, attengono la consistenza della domanda e dell’offerta e la stra- tegia per fornire risposte a giovani che, completato il primo ciclo di istruzione, intendono optare per i percorsi triennali di istruzione e formazione professionale, specie nelle more dell’emanazione dei decreti legislativi attuativi della delega di cui alla legge n. 53/2003. Anche in questo caso, ritengo necessario focalizzare l’attenzione sulle scelte ope- rate in ordine alla sperimentazione dei percorsi triennali per l’assolvimento del- l’obbligo scolastico nella formazione professionale (AF 2002/2003 in base al Pro- tocollo di intesa sottoscritto con il MIUR e con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali in data 24 luglio 2002) e di istruzione e formazione professionale (AF 2003/2004 in base all’Accordo quadro approvato dalla Conferenza Unificata Stato – regioni – autonomie locali in data 19 giugno 2003 ed al Protocollo di intesa sottoscritto con il MIUR e con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali in data 24 luglio 2003). La competenza esclusiva in materia di formazione professionale, sancita normativamente da ultimo dalla riforma del Titolo V della Costituzione, avvenuta con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, pone le regioni nella condizione di attivare un sistema formativo nella macrotipologia dell’Obbligo Formativo: a) riferito esclusivamente al sistema scolastico, scuola-centrico, con il quale gover- nare le attività di integrazione con la formazione professionale, quale struttura di supporto; b) incentrato esclusivamente sul sistema formativo, forma-centrico, autoreferenziale e, oggettivamente, circoscritto all’ambito locale, ripetendo in scala ridotta il modello scolastico c) aperto alla integrazione, alla transizione, da e per altri sistemi, con pari dignità. Con le predette sperimentazioni, si è operato affinché trovi concreta realizzazione la terza opzione, con il fine di favorire l’attivazione di percorsi triennali integrati, coprogettati, con standard formativi minimi, a partire da quelli relativi alle compe- tenze di base, che consentano l’acquisizione di una qualifica valida a livello naziona- le e corrispondente almeno al secondo livello europeo (decisione del Consiglio CIOFS-FP 104 85/368/CEE) e che permettano il reciproco riconoscimento delle competenze, in itinere e finali, dei crediti formativi, delle certificazioni e dei titoli. La riprogrammazione didattica curriculare, infatti, con l’inserimento delle compe- tenze di base e trasversali, deve necessariamente avvenire in un contesto di interazione e di integrazione con il sistema istruzione, di costante confronto con i fabbisogni emergenti dal mondo del lavoro e deve presentare percorsi formativi e modelli organizzativi volti a consolidare e ad innalzare il livello delle competenze di base, a sostenere i processi di scelta dello studente e la sua conoscenza del mon- do del lavoro, a motivare l’apprendimento dello studente attraverso il sapere ed il saper fare. A tal fine, nell’AF 2002/2003, sono stati programmati n. 34 corsi sperimentali se- condo il progetto e la documentazione amministrativo - didattica resa disponibile sul sito internet dedicato http://sperimentazioni.sirio.regione.lazio.it, ove è anche disponibile il primo rapporto di monitoraggio promosso dall’Isfol, mentre per l’AF 2003/2004 la determinazione del numero delle iniziative è stata ricondotta alla competenza delle Amministrazioni provinciali. Si prevede, comunque, che saranno attivati circa 50 percorsi triennali sperimentali di istruzione e formazione profes- sionale. Per quanto attiene la potenziale domanda, va precisato che, secondo i dati forniti dall’Ufficio Scolastico Regionale - USR per il Lazio, essa è costituita da circa 5.000 giovani, su una media di circa 40.000 del primo anno della scuola secondaria di secondo grado, potenzialmente interessati a percorsi triennali nel sistema della formazione professionale. Valore che trova conferma nei dati Istat assunti a base per il riparto dei fondi statali per le iniziative di cui all’articolo 68, comma 1, lettere b) e c), e comma 3, della legge 17 maggio 1999, n. 144. Se si considera che, allo stato, non è stata predisposta alcuna attività di informazio- ne pianificata, deve ritenersi che la predetta domanda sia definibile di tipo sponta- neo, forse dovuta prevalentemente ad iniziative isolate di promozione o al “passa parola”. Non possono sfuggire le implicazioni di ordine più generale, con gli inevitabili ri- flessi sul sistema scolastico, che potrebbero aversi ove si attivino i necessari pro- cessi di diffusione e di validità di un sistema formativo regionale spendibile nel mercato del lavoro e nei percorsi di istruzione scolastica, di IFTS e di istruzione universitaria con un prevedibile aumento della domanda a tutto danno dello stes- XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 105 so sistema scolastico. Le attuali risorse regionali, integrate con i predetti fondi statali, in un sistema come sopra definito, ad oggi, sono in grado di finanziare una offerta formativa per circa 4.800 giovani, mentre sotto il profilo strutturale il sistema, così come risulta dall’accreditamento al 30 aprile 2003, presenta una capacità formativa per oltre 8.000 giovani (per l’articolazione delle sedi operative accreditate si veda il sito internet dedicato: http://accreditamento.siro.regione.lazio.it). Sul piano qualitativo, le sperimentazioni in atto sono circoscritte ad alcuni sub comparti economici desunti dalla codifica Isfol – ORFEO, definiti a livello regionale dal tavolo regionale di coordinamento e di indirizzo, e ciò anche in relazione alle tipologie di attività rinvenibili nelle istituzioni scolastiche di riferimento. Il governo delle sperimentazioni, inoltre, assicura le necessarie attività di monitoraggio, valu- tazione e validazione articolate a livello provinciale e regionale. L’impegno è diretto a stabilizzare un “Sistema” formativo capace di sviluppare per- corsi di istruzione e formazione professionale in un contesto di interazione, di integrazione e di confrontabilità con il sistema scolastico, in grado di consentire le passerelle orizzontali e verticali, di rispondere alla domanda di istruzione e forma- zione dei giovani da correlare con le opportunità occupazionali presenti nel terri- torio, aperto alle sfide della flessibilità e della globalizzazione che sempre più inci- dono sulle dinamiche occupazionali che caratterizzano lo sviluppo articolato e complesso della società post industriale. Sviluppo che incide anche sul lavoro e sulla produzione e pone in discussione tutte le certezze, le convinzioni e le regole che finora hanno governato i processi educativo - formativi e, quale ovvia conse- guenza, le competenze, nel senso più ampio del termine, delle persone ma anche delle imprese. Si consideri l’esigenza connessa con il superamento dei localismi produttivi con la indispensabilità di competenze trasversali, quali le conoscenze linguistiche e infor- matiche, la cui carenza, oggettivamente, favorisce la collocazione esterna ad ogni contesto. Non da meno, le competenze professionali specifiche che, unitamente ai processi di lavorazione, devono risultare sempre più correlati alla tipologia di pro- dotti e servizi che, per la competitività imposta dalla citata globalizzazione, sono certamente ad alto valore aggiunto, ad alto contenuto innovativo e, di norma, basati su tecnologie ad elevata specializzazione. Delineato il contesto di riferimento, resta da evidenziare che la fase di transizione CIOFS-FP 106 sarà completata con la revisione dell’attuale disciplina della formazione professio- nale, dettata dalla LR n. 23 del 1992, per renderla coerente con i dettami della legge n. 53/2003 e con la riforma del mercato del lavoro prevista dalla legge n. 30/ 2003 (cosiddetta legge Biagi), ma soprattutto con i decreti legislativi attuativi delle deleghe previste dalle medesime leggi. In tale sede, oltre alla formalizzazione del sistema dei percorsi triennali di istruzio- ne e formazione professionale, in un contesto di risorse finanziarie definito, do- vranno trovare risposte anche le questioni inerenti la formazione per le categorie disagiate, la alternanza scuola-lavoro, la formazione per i diversi livelli di apprendi- stato, la formazione per titolari di impresa: artigiana, commerciale e di servizi, la formazione superiore integrata, la formazione privata non finanziata con la previ- sione di ambiti di istruzione e formazione professionale paritaria. Si intende realizzare i percorsi di istruzione e formazione professionale previsti dalla legge n. 53/2003 senza disperdere il patrimonio di know-how e di risorse umane e materiali presenti nella formazione professionale ma, anzi, valorizzandolo e integrandolo con quanto sarà trasferito dallo Stato con i decreti legislativi attua- tivi della delega prevista dalla predetta legge n. 53/2003. Valorizzazione e integrazione possibile solamente se, nel periodo di transizione, l’attuale formazione riesce, in concreto, ad assumere i connotati di “Sistema”, diver- samente si determineranno le condizioni di espulsione dalla fascia del diritto-dove- re di istruzione e formazione. Appare evidente che gli enti storici della formazione professionale, soprattutto quelli operanti a livello nazionale, superando le posizioni isolazionistiche che trop- po spesso si manifestano, possono e debbono svolgere un ruolo trainante del processo di riorganizzazione in atto. L’azione sarà tanto più significativa e di valore, se si ritrova una unità di intenti di ampio respiro e, in concreto, si smetta di inseguire fatti e situazioni particolari. Purtroppo, i recenti episodi accaduti nel Lazio, anche nell’ambito degli enti associa- ti a “Forma”, dimostrano la inesistenza di momenti forti di coordinamento e di unitarietà di intenti, con un sostanziale procedere in ordine sparso diretto ad inseguire aspetti specifici che fanno perdere di vista la posta in gioco. Non può certo ignorarsi che alcune realtà politico-sociali privilegiano l’esclusività di un sistema di istruzione e formazione professionale esclusivamente pubblico e incardinato nella Pubblica amministrazione senza alcuna presenza di altri organismi, XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 107 mentre altre realtà privilegiano il sistema pubblico inteso come servizio attivato sia in strutture pubbliche sia in strutture private che, ovviamente, presentino gli stessi livelli di qualità. Le scelte operate dalle regioni per attuare la sperimentazione prevista dall’Accor- do quadro del 19 giugno 2003, riflettono le linee sopra evidenziate. Va tenuto presente che, secondo la Commissione Bertagna, si ipotizza che circa il 30% degli istituti secondari non saranno trasformati in licei. Ciò implica che le regioni per la gestione dei predetti percorsi di istruzione e formazione professio- nale si troveranno a disporre di una rilevante struttura pubblica (nel Lazio si calco- la siano circa 200 per una capacità formativa superiore alle 10.000 unità) e risulte- rà molto difficile far coesistere una realtà, sostanzialmente privata, che non rispon- da a condizioni di “Sistema” con modelli organizzativi che non consentano la comparabilità, la interazione e l’integrazione. A mio avviso, preceduta da una attenta lettura della sostenibilità di alcune posizio- ni interne a “Forma”, occorre una forte capacità di mobilitazione per affermare, ai diversi livelli decisionali e presso l’opinione pubblica, il ruolo e la funzione della realtà formativa cosiddetta convenzionata. Le iniziative di sensibilizzazione assumibili, oltre a seminari e convegni regionali e provinciali, dovrebbero favorire l’elaborazione di documenti unitari da sottoporre all’attenzione delle forze politiche e sociali e sui quali sviluppare ampi dibattiti coinvolgendo i mass media. CIOFS-FP 108 V.3 REGIONE PIEMONTE. LA FORMAZIONE INIZIALE PIERO MARTINA Regione Piemonte Premessa Come è noto l’Unione europea al Consiglio di Lisbona ha stabilito nuovi e impor- tanti obiettivi da raggiungere nell’ambito della Strategia europea per l’occupazio- ne, in particolare ha fissato l’obiettivo strategico per cui l’Europa deve diventare entro il 2010 “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mon- do, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”. Non è il caso di ripercorrere tutti gli obiettivi prefissati nella SEO perché richiede- rebbe troppo tempo, anche se tutti gli argomenti sono correlati tra di loro. Gli obiettivi di raggiungere la piena occupazione in tempi ragionevolmente brevi, di aumentare la permanenza sul lavoro dei lavoratori anziani, di realizzare un sistema di formazione lungo tutto l’arco della vita lavorativa, non possono essere avulsi dalla problematiche connesse al successo scolastico e formativo e a quelle relative agli abbandoni scolastici. Entro il 2010 dimezzare il tasso degli abbandoni scolastici precoci rispetto al tasso registrato nel 2000, richiederà un impegno generale non indifferente. Nel lungo periodo tali traguardi saranno condizionati da una serie di variabili dipendenti: il successo di uno è strettamente collegato al successo degli altri e viceversa. La Regione Piemonte vive una situazione socio economica tipica dei paesi del nord Europa ed è sofferente dei mali endemici delle zone che hanno vissuto un forte sviluppo industriale nella seconda metà del secolo scorso. Il calo demografico e la conseguente carenza di manodopera giovanile, la pressio- ne immigratoria, il relativo basso tasso di scolarità e di professionalità dei lavorato- ri anziani, la necessità di governare un flusso ordinato di occupazione prevalente- mente incentrata su un sistema produttivo industriale verso i servizi, sono solo XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 109 alcuni aspetti cui, nel prossimo futuro, l’Amministrazione regionale sarà chiamata a rispondere. Per questi motivi sono pienamente condivisi dal Piemonte gli obiettivi fissati dalla SEO nell’ambito dei sistemi di Istruzione e di Formazione Professionale: ‰ aumentare la qualità e l’efficacia dei sistemi di istruzione e di formazione; ‰ facilitare l’accesso di tutti ai sistemi di istruzione e di formazione: ‰ aprire al mondo esterno i sistemi di istruzione. Tali obiettivi, fissati dal Consiglio europeo a Stoccolma nel marzo del 2001, impor- ranno uno sforzo programmatico e finanziario non indifferente. Sulla base di questa premessa, si possono focalizzare alcuni aspetti. Innanzi tutto si ritiene indispensabile partire dal passato per non disperdere un patrimonio di esperienza acquisito in tanti anni di lavoro. La Regione Piemonte non ha mai abbandonato o ridotto la formazione iniziale cosiddetta di primo livello. Anzi si deve riconoscere che con l’introduzione dell’ob- bligo formativo gli interventi riservati ai giovani 15 – 18enni sono stati rafforzati. È importante sottolineare che l’offerta formativa è molto diversificata in quanto, oltre ai canonici corsi biennali, vengono realizzati percorsi annuali per giovani che abbandonano precocemente la scuola, offrendo loro un percorso più breve e mi- rato che tenga in considerazione le conoscenze acquisite con l’esperienza scola- stica. Un altro filone molto importante è rappresentato dai percorsi integrati con la scuola, nell’ambito di quanto previsto all’art. 7 del DPR 257/2000. Questi interventi, consentono sinergia tra i sistemi e sono finalizzati a: ‰ orientare professionalmente; ‰ integrare il curriculum scolastico e professionale, ovvero acquisire contempo- raneamente il diploma di scuola media superiore e una qualifica professionale spendibile immediatamente sul mercato del lavoro; ‰ arricchire professionalmente, ovvero acquisire, in caso di insuccesso scolastico, crediti formativi spendibili sul lavoro o nella formazione professionale. La sperimentazione A seguito dell’accordo quadro stipulato con il MIUR e il Ministero del Lavoro, nell’anno formativo 2002/03 la Regione Piemonte ha affidato otto corsi di forma- CIOFS-FP 110 Percorsi di formazione iniziale 394 37.103.055 6.233 (A) Percorsi di formazione iniziale 203 5.095.118 531 per disabili (B) Totale A+B 597 42.198.174 6.764 Percorsi integrati con la scuola 372 1.916.799 3.330 secondaria superiore Percorsi di specializzazione 59 4.255.239 762 post-qualifica Totale generale 1.028 48.370.212 10.856 n. spesa n. allievi corsi pubblica iscritti Totale generale realizzato anno formativo 2001-2002Azione Percorsi di 41 15 anni formazione iniziale 178 15.332.899 2639 1479 16 anni (A) 1119 >16 anni Percorsi di 32 15 anni formazione iniziale 112 2.717.609 331 79 16 anni per disabili (B) 220 >16 anni Totale A+B 290 18.050.508 2970 n. spesa n. allievi di cuicorsi pubblica iscritti Secondi anni di corsi pluriennali Percorsi di 148 15 anni 1721 15 anni formazione iniziale 37 2.592.944 585 193 16 anni 179 19.177.212 3.009 832 16 anni (A) 244 >16 anni 456 >16 anni Percorsi di 0 15 anni 18 15 anni formazione iniziale 11 273.464 56 0 16 anni 80 2.104.045 144 16 16 anni per disabili (B) 110 >16 anni Totale A+B 48 2.866.408 641 259 21.281,257 3153 Percorsi integrati 2360 15 anni con la scuola 372 1.916.799 3.330 694 16 anni secondaria superiore 276 >16 anni Percorsi di 1 15 anni specializzazione 59 4.255.239 761 21 16 anni post-qualifica 739 >16 anni Totale generale 479 9.038.446 4.732 n. spesa n. allievi di cui n. spesa n. allievi di cuicorsi pubblica iscritti corsi pubblica iscritti Corsi annuali Primi anni di corsi pluriennali Azione Come si può rilevare la spesa complessiva è su- periore ai 48 milioni di euro per una popolazione di 10.800 allievi circa. Importante rilevare che 42,2 milioni di euro sono dedicati alla prima formazione dei 15-16enni che abbandonano precocemente la scuola. I dati della tabella dimostrano l’impegno assunto dalla Regione Piemonte nell’anno 2001/2002 Azione XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 111 zione sperimentali di durata triennale, con l’intento di promuovere la progettazio- ne di percorsi formativi adeguati al progetto di riforma della scuola previsto dal ra disegno di legge di allora trasformato in norma a marzo 2003 (L. 53/03). Le procedure di affidamento sono state quelle ad evidenza pubblica, ovvero ema- nazione di un bando in cui sono stati prescritti gli elementi essenziali delle propo- ste formative. Ha risposto al bando un unico soggetto, composto da una Associa- zione temporanea di scopo di agenzie formative già operanti sul territorio regio- nale in ambito di obbligo formativo. Il progetto ha coinvolto 160 giovani in larga misura 14enni, per un impegno di spesa complessivo pari a 4 milioni di euro circa. Il percorso è stato piuttosto travagliato in quanto osteggiato da una gran parte dei Collegi docenti delle Istituzioni scolastiche interessate ed ha trovato una forte opposizione politica in seno al Consiglio regionale. Anche sul piano della concertazione sociale le organizzazioni sindacali si sono trovate divise tra favore- voli e contrari ad avviare la sperimentazione. Inoltre ad oggi non sono ancora tutti i risolti i problemi emersi in sede di confronto con le Province. La fattiva collaborazione instaurata con l’Ufficio regionale Istruzione, ha consenti- to comunque l’avvio del progetto con tre Istituzioni scolastiche pubbliche. Gli altri cinque corsi sono stati realizzati con scuole paritarie. Il modello proposto nei fondamenti basilari è quello di FORMA con alcune speci- fiche adottate in seguito alle intese territoriali, con particolare riferimento al livel- lo di interazione con le Istituzioni scolastiche. Particolarmente positiva è stata l’idea di costituire dei Comitati tecnici di coordinamento, composti in forma paritaria tra i CFP e le scuole coinvolte nel progetto, coordinati da funzionari regionali. La sperimentazione verrà reiterata anche il prossimo anno formativo mediante l’attivazione di 26 corsi per circa 520 allievi per un impegno complessivo di circa 11 milioni di euro. Questa progettazione è stata formulata per competenze. Le proposte per il futuro Per sviluppare concretamente il processo di riforma e realizzare pienamente il diritto-dovere alla Istruzione e Formazione, sono indispensabili alcuni presup- posti: ‰ sgombrare il campo dai preconcetti, dai meri interessi di parte e condividere gli CIOFS-FP 112 obiettivi generali tracciati dall’Unione europea e dalla normativa di riferimento; ‰ avviare un processo di collaborazione istituzionale, con il coinvolgimento attivo delle Autonomie locali, nel caso piemontese le Province in primo luogo; ‰ non sottrarsi al confronto della concertazione sociale, anzi riforme di questo respiro richiedono una partecipazione aperta a tutte le parti interessate attra- verso la concertazione a livello locale, così come auspicato dall’Unione euro- pea. Concertare significa concordare sugli obiettivi e quindi bisogna mettere in conto che i mezzi per raggiungerli a volte sono il frutto di compromessi; ‰ non sclerotizzare le proposte su un unico e intoccabile modello. La proposta di FORMA è condivisa dalla Regione Piemonte, ma una serie di motivi, compreso quello economico, impongono una diversificazione dell’offerta. Inoltre occorre tener conto del fatto che gli abbandoni scolastici e formativi precoci ci sono e continueranno ad esserci anche in futuro. Per questo è necessario dare attuazione ad una priorità dell’Unione europea: formulare “l’offerta giusta alla persona giusta al momento giusto”. Formazione strutturata triennale, percorsi di formazione più brevi svolti in al- ternanza con il lavoro, percorsi integrati con la scuola, percorsi svolti in alter- nanza scuola-lavoro, sono alcuni esempi su cui si può concentrare l’offerta formativa. I passaggi tra i sistemi debbono realizzarsi in forma bi-direzionale e i Larsa devono diventare sistema. Lo sviluppo del diploma di formazione e della formazione superiore è fortemen- te condizionato dai decreti legislativi attuativi della L. 53/03. I costi Nota dolente è certamente rappresentata dai costi. È impensabile dare gambe ad una riforma di questa portata a costo zero. Le Regioni devono esercitare una forte azione di pressione nei confronti del Governo affinché siano trasferite risorse aggiuntive adeguate agli obiettivi da raggiungere. Nessuno può illudersi che siano sufficienti le risorse stanziate annualmente per effetto della L. 144/99. Perlomeno per la Regione Piemonte sono largamente insufficienti. L’accordo in Conferenza Stato – Regioni – Autonomie Locali del 16 giugno 2000, XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 113 infatti si limita a riferirsi al finanziamento delle sperimentazioni, ma la messa a regime della riforma richiede ben altro impegno finanziario. La Regione Piemonte considera altamente prioritari gli investimenti sulla forma- zione iniziale, perché è convinzione generale che le misure preventive si attuino principalmente attraverso una attenta politica mirata alla lotta alla dispersione scolastica e formativa. È difficile però in questi tempi immaginare un impegno aggiuntivo di fondi regionali. Infine, è da mettere in conto l’evento determinato dalla ormai prossima scadenza della programmazione dei fondi strutturali 2000/06 che, come è noto, attraverso il FSE rappresentano la maggiore e a volte unica fonte di investimento sulle risorse umane. In proposito le regioni non solo dovranno rinegoziare con l’Unione euro- pea il FSE, ma dovranno pretendere dal Governo il rispetto degli impegni assunti a Lisbona, consistenti nell’ottenere incrementi annui sostanziali degli investimenti pro capite per le risorse umane. A titolo esemplificativo si sottopongono alcuni dati di analisi e di stima: Il costo medio annuale per allievo inserito nella formazione iniziale per la Regione Piemonte è di 6.400 euro. Con le risorse attuali destinate complessivamente ai corsi pluriennali si potrebbe- ro finanziare interventi triennali per circa 2.050 allievi. Rimarrebbero esclusi ancora 1.100 persone circa, per le quali necessita un impe- gno di spesa che, nell’ipotesi di formulare per loro una proposta formativa di durata più breve e cioè una parte di percorsi annuali e una parte biennale, richie- derebbe una disponibilità aggiuntiva di 11/12 milioni di euro. Ovviamente se questa utenza dovesse orientarsi verso percorsi triennali, tale importo andrebbe propor- zionalmente rivisto. Tutto questo con una popolazione di riferimento invariata e senza considerare i costi dovuti al 4° anno di diploma di formazione e alle specializzazioni corrispon- denti al III livello europeo, così come indicato nel modello FORMA. Modalità di affidamento Un ulteriore problema è rappresentato dalla modalità di affidamento dei percorsi formativi. Occorre trovare il giusto compromesso tra i fabbisogni di professiona- lità rilevati sul territorio e le legittime aspettative degli utenti e delle loro famiglie. CIOFS-FP 114 Eccessi da una parte o dall’altra possono produrre effetti indesiderati rispetto agli obiettivi prefissati. In questa ottica, l’orientamento assumerà funzione strategica per il governo delle politiche formative. È convinzione generale che la procedura dei bandi non sia funzionale a queste tipologie corsuali. L’offerta formativa non può essere condizionata da procedure amministrative che mal si addicono a dare una risposta ai bisogni delle persone. E poi sarebbe difficile motivare l’impossibilità ad esercitare un diritto-dovere per colpa della burocrazia. D’altro canto però, il solo requisito di accreditamento non può ritenersi esaustivo e garante dei principi di legalità e trasparenza. La disciplina attuale non consente alla Pubblica Amministrazione, neanche avvalendosi delle cosiddette “procedure ri- strette”, di procedere con affidamenti diretti. Questo sarà uno dei temi da affrontare nell’immediato anche attraverso una azio- ne legislativa, cosa che peraltro la Regione Piemonte si sta accingendo a mettere in atto. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 115 V.4 REGIONE PUGLIA. SPERIMENTAZIONE E PERSONALIZZAZIONE GAETANO VOLPE Assessorato alla Formazione Professionale - Politiche dell’Occupazione e del Lavoro - Cooperazione Pubblica Istruzione - Diritto allo Studio. Settore Formazione Professionale - Regione Puglia Ringrazio innanzitutto il CIOFS-FP per l’invito rivolto a me e alla Regione Puglia a partecipare a questo seminario, indubbiamente di straordinario interesse. La Regione Puglia si sta oggi muovendo sul terreno della formazione professionale in maniera molto innovativa. Personalmente mi ero già occupato di formazione fino al 1995. Dopo aver ricoper- to incarichi diversi nell’ambito della amministrazione regionale, nel 2000 sono ri- tornato a dirigere l’Assessorato alla Formazione Professionale. Dopo sei anni ho trovato un sistema, nel suo complesso, estremamente rinnovato, e ne sono rimasto piacevolmente colpito. Ciò mi ha spinto ad impegnare me stesso e tutta la struttura assessorile, con risultati spero buoni. Oggi la Regione Puglia, dopo aver abrogato tutti i vecchi testi normativi, circa una trentina, ha una nuova legge per la formazione professionale, approvata circa un anno fa, pienamente rispondente a tutte le novità che sono state introdotte nel sistema. Ci siamo cimentati sul terreno della sperimentazione e della integrazione istruzio- ne-formazione. Il primo programma in tal senso risale ad un anno e mezzo fa, forse con dei limiti, ma eravamo all’inizio dei nostri rapporti con la Pubblica Istruzione. È in atto ora una seconda sperimentazione, per la quale abbiamo sottoscritto ap- posite intese, assieme ad altre quattro regioni. A giorni sarà pubblicato il bando per la terza sperimentazione, quella triennale. Dicevo che il seminario di oggi ha fornito indubbiamente molti stimoli, tutti inte- ressanti. Dario Nicoli ad esempio parlava di “personalizzazione” del percorso formativo: CIOFS-FP 116 cioè, secondo il mio pensiero, una sorta di fascia di contrattazione dell’itinerario formativo, che non nasce rigidamente dal bando o dall’avviso pubblico, ma da ac- cordi successivi, proprio per rispondere a queste esigenze di personalizzazione. Interessante è anche il riferimento a quella che io chiamo la “navigazione attraver- so itinerari formativi”, personalizzati sì, ma scelti e non ritualizzati, che possano portare ad un tipo di percorso legato alla persona, comunque coerente con le esigenze del mercato del lavoro. Certo, esistono dei vincoli. Credo che in tutte le Regioni il problema sia un intel- ligente costruzione amministrativa e di programmazione, tale da consentire a tutti di fare, con ragionevolezza, i propri programmi. La Regione deve garantire il governo del sistema. È una grossa responsabilità politi- ca e burocratica. Credo che gli Assessori regionali oggi stiano orientando bene le strutture assessorili, che si stanno avviando rapidamente nella direzione del nuovo, in positivo. Da parte di tutti i funzionari, l’impegno è forte, concreto, costruttivo. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 117 V.5 REGIONE CAMPANIA. ASPETTANDO I DECRETI ATTUATIVI: LE SPERIMENTAZIONI COME RISPOSTA AL NUOVO OBBLIGO FORMATIVO ADRIANA BUFFARDI Assessorato alla Istruzione e Formazione, Lavoro e Politiche Sociali, Politiche Giovanili, Problemi dell’Immigrazione - Regione Campania Ho ascoltato con molta attenzione le relazioni sui lavori di gruppo che costituiva- no delle sintesi dalle quali tuttavia, traspariva la ricchezza degli interventi, che andava al di là dell’abilità di chi rappresentava la sintesi stessa. Ritengo molto importante un confronto, in questa fase di transizione così delicata per la scuola dal punto di vista istituzionale e mi riferisco alla legge 53 e al passag- gio di competenze dallo Stato alle Regioni e agli Enti locali. È opportuno avviare dibattiti che portino al confronto di posizioni, anche diverse, per poi giungere alle sintesi che costruiscono mediazioni. L’altro motivo per cui sono contenta di essere qui è che la scuola e il sistema della Formazione Professionale, luoghi della formazione istituzionale, rischiano di per- dere valore in una società sempre più complessa. In passato il ragazzo era formato dalla scuola e dalla famiglia, oggi sappiamo che i ragazzi hanno una serie di input da Agenzie Formative diverse: i mass-media e le varie associazioni. I ragazzi sono formati non più soltanto dalla scuola, col supporto della famiglia, ma da una serie di elementi: moltissimi sono i fattori che influiscono sulle scelte personali del ragazzo. La scuola, tuttavia, conserva la sua caratteristica centrale, perché è il luogo in cui fare sintesi e, pertanto, deve essere garantita dalle Istituzioni, in quanto luogo della cittadinanza. Sono stata presentata come assessore della Campania e coordinatrice delle Re- gioni. Non rappresento tuttavia, le Regioni in quanto esse hanno più voci e speci- ficità territoriali diverse a cui ispirano anche modelli di scuola. A riprova di queste diversità territoriali, ricordo che nel dibattito sulla riforma CIOFS-FP 118 Moratti, nel momento in cui si è arrivati alla votazione delle proposte nella Confe- renza dei Presidenti, alcune Regioni hanno dato parere favorevole e altre negativo. Non è un elemento di poco conto questa diversità. Infatti, i Presidenti si sono pronunciati, assumendosene la responsabilità politica. La scuola, come è stato sintetizzato molto bene dal gruppo di lavoro, non è più compito solo dello Stato centrale. C’è una governance generale in cui parte essen- ziale sono le Regioni, le Province, gli Enti locali; c’è un ruolo specifico della scuola dell’autonomia, dei CFP, delle Associazioni. Le Regioni hanno potere di legislazione concorrente sulla scuola. Purtroppo non sono state ascoltate, ma soprattutto non hanno partecipato all’elaborazione della riforma Moratti, rapporto Bertagna compreso. Un elemento importante di unitarietà che accomuna tutte le Regioni è stata l’as- sunzione di responsabilità rispetto ad un vuoto che la riforma Moratti ha determi- nato, abolendo la legge 9. È stato ridotto di un anno l’obbligo scolastico senza attuare quel decreto di dirit- to-dovere preannunciato dalla legge 53/03. I ragazzi a 13 anni e mezzo o 14, alla fine dell’obbligo scolastico, non sanno dove andare perché il 2° canale non c’è, anzi, non si sa che cosa sia. In molte regioni, salvo qualche eccezione, la formazione professionale iniziale, cioè per i 14enni, non c’è. Quindi sono state le Regioni unitariamente che hanno fatto una proposta al Mini- stro e non di anticipazione della riforma, ma di una sperimentazione nelle more dell’attuazione della legge Moratti. Se fosse stata una anticipazione avremmo do- vuto sapere come sarebbe andato a finire il 2° canale. Poiché nessuno lo sa, in quanto il Ministero non ha ancora detto che cosa sia il 2° canale, abbiamo dovuto scegliere la strada della sperimentazione. All’interno della stessa maggioranza di governo, ci sono due ipotesi diverse. Una, che sostiene che il 2° canale, sarà l’unificazione dell’istruzione tecnica o dell’istru- zione professionale più la formazione professionale, e un’altra che vorrebbe che l’istruzione tecnica diventi liceo tecnico e anzi addirittura, una parte dell’istruzione professionale diventi liceo tecnico professionale, quello riconosciuto dalle qualifi- che a livello europeo. È un dibattito molto importante. Entrambe le ipotesi prefigurano delle proposte. Tutte le Regioni sono preoccupate degli effetti dell’inserimento della FP, spesso considerata residuale, all’interno della scuola. Ciò mantiene aperto il dibattito sul XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 119 2° canale. Aggiungo una mia ipotesi: forse non dovremmo parlare di 2° canale, ma di subsistema. Se veramente noi vogliamo un sistema integrato di istruzione e formazione pro- fessionale non possiamo pensare a due canali, affinchè si possa invocare la pari dignità. Separare l’IeFP con una canalizzazione precoce per i ragazzi, ma con una struttura che parte a 14 anni, già di per sé è una gerarchia, significa aver costruito una scuola di èlite da una parte e una scuola per chi va verso la formazione professionale dall’altra. Ritengo erroneo pensare al secondo canale come risposta alla dispersione scola- stica, come afferma l’on. Aprea. Io credo che la dispersione scolastica sia il vero problema della scuola nel suo insieme. Questo vuol dire che questo sottosistema di istruzione e formazione professionale è già fatto per i meno capaci, per chi è destinato alla dispersione. C’è una rinuncia della scuola, in quanto tale, a recupera- re i ragazzi. Utilizzare altre metodologie non vuol dire risolvere il problema. Anche io farò una sperimentazione in Campania in cui cercherò, con metodologie diverse, il saper fare, il sapere insegnare a fare e il partire dalla concretezza per recuperare i ragaz- zi. Ma questo vuol dire investire l’intero complesso della scuola. Così per l’alternanza. Ho ascoltato un’interessante sintesi del lavoro di gruppo sull’alternanza. Essa non può diventare il 4° o 5° canale. Avremo il liceo, l’IeFP, l’apprendistato e poi l’alternanza per i drop-out o, come è stato detto, per i più eccellenti. La scuola, l’alternanza e la cultura del lavoro hanno senso se investono il comples- so della scuola. Voi in quanto operatori della FP dovreste essere d’accordo. L’esperienza di lavoro concreto, di stage, di alternanza devono investire il percorso formativo di tutti i ragazzi e non di quelli la cui uscita è a breve sul lavoro, ma è chiaro che ci saranno uscite diverse. C’è chi farà il liceo, chi proseguirà per l’univer- sità e chi farà addirittura il master, chi si fermerà al primo livello universitario, chi uscirà dopo il diploma e farà gli IFTS, che ritengo essere l’esempio di cosa significhi il sistema integrato di formazione e di istruzione, al di là delle debolezze qui elen- cate che condivido. Tra l’altro è stata più forte la richiesta dell’utenza rispetto all’impostazione iniziale, che voleva che il sistema degli IFTS si indirizzasse soltanto a coloro che uscivano CIOFS-FP 120 dalla FP. Gli IFTS sono stati frequentati anche da coloro che provenivano dal liceo, in Campania anche da coloro che erano in possesso delle lauree brevi o deboli sul mercato del lavoro. Un’altra questione è quella della gestione delle risorse. L’on. Aprea ha riferito sull’approvazione di un provvedimento di sostegno finanziario alla riforma, della durata, credo, di 5 anni. Il problema è la disponibilità finanziaria, che si rivela insuf- ficiente. La formazione professionale in quanto parte del percorso formativo per tutti deve essere finanziata dallo Stato. L’Italia è una delle nazioni europee in cui il rapporto delle spese per l’istruzione, come per la ricerca, rispetto al PIL è tra i più bassi. Le Regioni si interrogano e vorrebbero al più presto che il Ministero elabori una proposta su che cosa si intende per i due sottosistemi o i due canali. La Conferenza dei Presidenti delle Regioni ha approvato una sperimentazione nel- le more dell’attuazione della Riforma Moratti. Ci sono più modelli di sperimentazione. Il modello Campania, che ha l’ambizione di essere una conferma del sistema integrato, attuerà la sperimentazione nell’istituto professionale e in qualche istituto tecnico. Non ritengo che questo costituisca la ‘svalorizzazione’ della formazione professio- nale. In Emilia Romagna, infatti, l’istituto professionale e tecnico deve presentare una coprogettazione con un centro di formazione professionale accreditato. Inoltre, l’intervento affidato alla formazione professionale riguarderà non solo le macro aree professionali, orientative ecc. ma anche la co-docenza per una serie di discipline. Questo primo anno di sperimentazione in Campania darà luogo a tre possibili uscite; qui si colloca la scelta delle utenze e delle loro famiglie. Questo consentirà al ragazzo di ritornare, se vuole, nell’istituto professionale o nell’istituto tecnico, potrà anche andare nella FP. L’atto che l’istituto professionale, la scuola e l’ente di formazione presenteranno alla Regione, garantisce rispetto al programma tutte le uscite. Questa sperimentazione triennale potrà continuare, augurandoci che nel frattempo il tavolo con il MLPS e con il MIUR ci dia chiarimenti precisi, non solo dal punto di vista regionale, ma anche, in modo omogeneo, sul territorio nazionale, sugli standard formativi minimi, sulla certificazione e sul rico- noscimento dei crediti formativi nonché sul sistema delle qualifiche riconosciute. Nei prossimi mesi ci troveremo davanti alla necessità di una verifica delle XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 121 sperimentazioni in atto, che rende indispensabile il confronto delle pratiche oltre che delle idee. Questo potrà dare dei suggerimenti utili per la stesura del decreto attuativo del diritto-dovere e per la individuazione del secondo sottosistema. In rapporto al diritto-dovere, vorrei aggiungere a sostegno di quanto detto una considerazione sull’obbligo scolastico/obbligo formativo. Purtroppo la riforma Moratti ha abolito l’obbligo formativo che sarà ridefinito nell’ambito del diritto-dovere. Mi auguro e mi batterò sia come Regione Campania che come parte delle Regioni affinchè il diritto-dovere comporti l’obbligo delle Istituzioni di garantire la scuola o la FP fino a 18 anni. Il diritto-dovere non può essere lasciato all’utenza. Il problema è del rapporto fra domanda e offerta formativa. Nel corso del Seminario, è stata approfondita la dinamica della domanda formativa. Sicuramente ad essa concorrono più fattori: la disponibilità del ragazzo, le scelte della famiglia, il mercato del lavoro, la società in genere. L’offerta formativa va garantita rispetto all’insieme di queste esigenze. La scuola rimane uno degli ele- menti base della società e quindi non può essere condizionata dalla sola domanda formativa. Se in una regione le famiglie non vogliono mandare a scuola i ragazzi e le aziende non hanno bisogno di formazione perché assumono a livello più basso, viene a determinarsi un’insufficiente partecipazione ed uno scarso protagonismo sociale per gli studenti, per le famiglie e per i cittadini. Ciò nonostante c’è un obbligo da parte delle Istituzioni di garantire un’offerta formativa che promuova la stessa domanda. Ovvero una offerta formativa ricca che non dia solo risposte alle do- mande che le famiglie fanno, ma che promuova e solleciti anche domande di arric- chimento. La stessa cosa vale anche per il mercato del lavoro. In Campania, moltissime azien- de chiedono formazione ad alti livelli, ma poi i dati sul reclutamento sono al livello più basso di scolarità. La formazione non può essere condizionata dall’offerta ma deve essere un elemento di promozione della stessa domanda. Più le persone sono formate, più viene favorito il possesso di strumenti critici, per una maggiore partecipazione e controllo sociale. Considero fondamentale la programmazione dell’offerta formativa, che deve esse- re fatta dalle Regioni. Ritengo, come diceva Giuseppe Richiedei, che esiste realmente una difficoltà nei rapporti fra Istituzioni e famiglie. Molte volte le associazioni sono povere, inesistenti CIOFS-FP 122 o poco rappresentative sul territorio. So bene che ci sono problemi di rappresentanza e di rappresentatività all’interno degli organi collegiali. Come assessore mi sono impegnata dall’inizio dell’anno scolastico a fare una con- sulta delle famiglie, partendo da chi ha un ruolo di rappresentanza e cioè dai geni- tori che sono presidenti dei consigli di istituto. Un’ultima considerazione desidero riservarla alla pratica partecipativa di chi ope- ra nella scuola e nella FP. Sarebbe opportuno verificare le esperienze significative e portarle ad un confronto. Come vedete ho dato poche certezze, sono quelle di cui mi posso assumere la responsabilità: dove va la sperimentazione in Campania, la consulta che farò, ciò che chiederemo al governo. Interrogarsi in una fase che cambia è fondamentale: sono ottimista. Le risposte le troveremo insieme. VI. ESPERIENZE A CONFRONTO CIOFS-FP 124 VI.1 CONFRONTO TRA ESPERIENZE ITALIANE ED EUROPEE OLGA TURRINI Area Interventi Comunitari - ISFOL Non poteva mancare, in un seminario “europeo”, un momento di confronto con le realtà e le esperienze di altri paesi. Conoscere le modalità con le quali si sono affrontati e risolti (o anche non risolti) problemi analoghi a quelli che noi stiamo affrontando può fornire un utile contributo alle nostre riflessioni. Certamente occorre sempre aver presenti le grandi diversità di contesto: sistemi istituzionali e organizzativi con le loro specificità, che non si tratta quindi di esaminare per riproporre tout court, ma per cogliere singoli elementi ai quali attingere per co- struire le nostre specificità. Nell’introdurre i lavori di questa tavola rotonda, vorrei ricordare alcuni importanti elementi di contesto che ci accomunano agli altri Paesi. Il quadro in cui si muove in questa fase a livello europeo è del tutto nuovo, sia quanto a contenuti, sia soprattutto per il metodo adottato. Ci si muove nel qua- dro del processo avviato dal Consiglio europeo di Lisbona nel marzo 2000, che ha fissato un grande obiettivo strategico per l’Europa: divenire “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggior coesione sociale” . A seguito degli obiettivi strategici delineati a Lisbona, ha preso avvio un processo, il cosiddetto processo di Bruges-Copenhagen, nel corso del quale si sono definiti, attraverso una serie di documenti, (frutto anche del lavoro di numerosi gruppi e tavoli istituiti a livello europeo e nei quali sono presenti rappresentanti dei diversi Stati membri) gli obiettivi specifici per i sistemi di istruzione e formazione e le tappe attraverso le quali essi dovranno essere raggiunti. Viene proposto un ap- proccio europeo coerente sulle politiche dell’istruzione e della formazione. Ven- gono identificati tre grandi obiettivi dei sistemi di istruzione e formazione in un’ottica di lifelong learning: il miglioramento della qualità e dell’efficacia dei sistemi di istru- XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 125 zione e formazione europei, la facilitazione dell’accesso a tali sistemi, l’apertura dei sistemi al resto del mondo. Nel luglio 2001 viene approvata una Risoluzione del Consiglio sul ruolo dell’istru- zione e della formazione nelle politiche connesse all’occupazione. Nel marzo 2002 il Consiglio di Barcellona approva un programma di lavoro dettagliato sul follow up degli obiettivi dei sistemi di istruzione e formazione, esortando a fare dell’istruzio- ne e della formazione in Europa un punto di riferimento di qualità a livello mondia- le entro il 2010. Il programma di lavoro declina i tre obiettivi strategici in 13 obiet- tivi operativi, secondo lo schema seguente: miglioramento della qualità e dell’efficacia dei sistemi di istruzione e formazione europei 1. miglioramento dell’istruzione e della formazione per gli insegnanti e i formatori 2. sviluppo di skills per la società della conoscenza 3. assicurazione dell’accesso alle ICT per tutti 4. aumento del reclutamento per gli studi scientifici e tecnici 5. miglior uso delle risorse facilitazione dell’accesso ai sistemi di istruzione e formazione 1. contesto aperto per l’apprendimento 2. rendere l’apprendimento più attraente 3. assistere la cittadinanza attiva, le pari opportunità e la coesione sociale apertura dei sistemi al resto del mondo 1. rafforzamento dei legami con la vita lavorativa, la ricerca e la società civile 2. sviluppo dell’imprenditorialità 3. miglioramento dell’apprendimento delle lingue straniere 4. aumento della mobilità e degli scambi 5. rafforzamento della cooperazione europea Nel giugno 2002 viene approvata una Risoluzione del Consiglio sull’apprendimen- to permanente che ne ribadisce la centralità come principio guida per l’istruzione e formazione e identifica alcune priorità, correlate con la strategia europea per l’occupazione. Nel novembre 2002 una Comunicazione della Commissione fissa una serie di parametri di riferimento europei per l’istruzione e formazione, che CIOFS-FP 126 riguardano: gli investimenti in istruzione e formazione, l’abbandono scolastico, i lau- reati in matematica, scienze e tecnologia, gli studenti che portano a termine l’istru- zione secondaria superiore, le competenze fondamentali, la partecipazione all’ap- prendimento lungo tutto l’arco della vita. Ma la decisione più significativa è, come dicevo, quella di metodo, ossia la scelta politica di estendere al tema delle politiche di istruzione e formazione il metodo della cooperazione rafforzata. La Dichiarazione di Copenhagen del novembre 2002 e la Risoluzione del Consiglio del dicembre 2002 promuovono una cooperazione rafforzata in materia di istruzione e formazione professionale, volta a garantire il raggiungimento degli obiettivi fissati per il 2010, con le seguenti priorità: dimensio- ne europea, trasparenza, informazione e orientamento, riconoscimento delle com- petenze e delle qualifiche, garanzia della qualità. Conseguenza della cooperazione rafforzata è l’adozione di una serie di parametri ed indicatori comuni ai diversi paesi, per verificare e valutare i progressi compiuti da ciascuno nell’avvicinarsi agli obiettivi prefissati. Nel corso del 2003 viene anche ridefinita la Strategia Europea per l’occupazione. Essa è ora più coerente con gli obiettivi di Lisbona e fa propri gli obiettivi del processo di Copenhagen. I nuovi orientamenti per le politiche a favore dell’occupazione definiscono tre obiettivi generali correlati tra loro: la piena occupazione, il miglioramento della qualità e produttività sul posto di lavoro, il rafforzamento della coesione e dell’in- tegrazione sociale. L’obiettivo della piena occupazione riprende i target di Lisbona e Stoccolma: - un tasso di occupazione complessivo del 67% nel 2005 e del 70% nel 2010; - un tasso di occupazione per le donne del 57% nel 2005 e del 60 % nel 2010; - un tasso di occupazione per i lavoratori anziani tra i 55 e i 64 anni del 50% nel 2010. Il raggiungimento di questi tre obiettivi generali verrà perseguito nel quadro di una gestione coerente che farà riferimento a 10 priorità, una delle quali riguarda la promozione dello sviluppo del capitale umano e dell’apprendimento lungo l’arco della vita. Gli orientamenti specifici si caratterizzano quindi per il forte intreccio con le poli- tiche della formazione, che non è riconducibile al solo orientamento specifico de- dicato, ma che si pone come pervasivo. Il riferimento alla formazione è presente in XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 127 sette orientamenti su 10. Il quadro sinteticamente descritto aiuta a comprendere l’importanza della nuova SEO come riferimento obbligato per i prossimi anni nella definizione delle politi- che nazionali. Esso guiderà anche la riprogrammazione 2004-2006 del Fondo So- ciale Europeo e l’elaborazione del NAP, che riguarderà il prossimo triennio. Anche le politiche formative trovano dunque ora nel quadro europeo un riferimento molto più cogente, che giunge tra l’altro per noi in una fase di riforme nazionali che potrà, o meglio dovrà tenerne conto. Siamo, infatti, a livello nazionale, in una fase “fondativa”, che vede l’impegno per l’attuazione della riforma del sistema di istruzione e formazione, alla luce del nuovo quadro di competenze definito dalla riforma costituzionale. Il metodo adottato at- traverso l’accordo Stato-Regioni ha certo il merito di affrontare la difficile fase di transizione e i connessi vuoti normativi. Esso presenta tuttavia anche dei rischi, perchè di fatto affida alle sperimentazioni l’onere di farsi carico di questa fase fon- dativi rispetto alla quale i vincoli dati e i requisiti definiti sono assai limitati. La sfida vera sarà quella di confrontare i risultati delle sperimentazioni, riuscendo a enuclearne quegli elementi che possano essere utili anche per la costruzione del quadro di riferimento nazionale, evitando che ognuno difenda a oltranza il proprio modello o le proprie elaborazioni. La fase fondativa riguarda anche la costruzione della nuova modalità dell’alternanza. Essa forse non dovrebbe limitarsi ad una banale riproposizione dello stage, né è identificabile con l’apprendistato, che è un vero rapporto di lavoro. Anche su questo aspetto specifico possiamo ascoltare le espe- rienze che verranno presentate nella tavola rotonda. CIOFS-FP 128 VI.2 LA SPERIMENTAZIONE CIOFS-FP E CNOS-FAP ANGELA ELICIO CIOFS-FP Nazionale Introduzione La Formazione Professionale viene spesso definita un “cantiere aperto” per la pre- senza di esperienze composite per oggetto e soggetti coinvolti: mio compito è quello di presentare l’esperienza realizzata, e, in parte, ancora in fase di realizzazio- ne, da parte del CIOFS-FP e del CNOS-FAP. Ha avuto inizio sulla base dell’art. 68 della legge n. 144 del 17 maggio 1999 e dell’Accordo Stato Regioni del 2 marzo 2000 come avvio di un processo in grado di garantire il successo dell’obbligo formativo – diritto formativo fino al 18esimo anno d’età o il conseguimento della qualifica - per gli adolescenti delle diverse Re- gioni del territorio nazionale. Elementi di sviluppo e articolazione sono stati: 1. la elaborazione di un progetto di Formazione Professionale Iniziale; 2. l’avvio di una ricerca-azione mirata a raccogliere dati sulla effettiva realizzazione di quanto previsto; 3. la costituzione di laboratori di formatori e di esperti per la elaborazione di strumenti metodologici per l’attuazione del progetto; 4. la costituzione di un gruppo di riflessione sulla Riforma in atto per l’approfondi- mento delle istanze e l’organizzazione di risposte rispettose dello statuto pecu- liare della Formazione Professionale. 1. Il Progetto di Formazione Professionale iniziale Il progetto elaborato come modello di riferimento a livello nazionale è stato realiz- zato sulla base di linee guida che hanno definito: XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 129 ‰ standard professionali e formativi ‰ modello formativo ‰ sviluppo del percorso 1.1. Standard professionali e formativi Il progetto ha previsto, per ogni figura professionale, la seguente impostazione cir- ca gli standard professionali e formativi: Si è sviluppato e articolato un repertorio degli standard professionali e formativi per le Comunità/Figure. Con l’espressione “comunità professionale” si è inteso un aggregato - coincidente volta per volta con il settore (es.: meccanico) o il processo (es.: aziendale e ammi- nistrativa) – di più figure, ruoli o denominazioni che hanno in comune una cultura distintiva composta di valori e di saperi peculiari, la collocazione organizzativa, i percorsi professionali, le competenze chiave. Ciò significa che le ulteriori articolazioni in figure professionali sono state definite all’interno di tali aggregazioni più ampie, mantenendo la dimensione di “cultura professionale” comune. CIOFS-FP 130 1.2. Mappa delle comunità / figure professionali ipotizzate COMUNITÀ FIGURE PROFESSIONALIPROFESSIONALI 1. AGRICOLA E 1.0 Operatore agricolo ed ambientale AMBIENTALE 1.1 Addetto al giardinaggio 1.2 Addetto ai servizi agricoli e forestali 1.3 Addetto ai servizi ecologici ambientali 1.4 Addetto all’agricoltura biologica 1.5 Addetto all’allevamento 2 ALIMENTAZIONE 2.0 Operatore dell’alimentazione 2.1 Addetto alla trasformazione degli alimenti 2.2 Addetto alla panificazione e pasticceria 3. ARTIGIANATO 3.0 Operatore dell’artigianato artistico ARTISTICO 3.1 Ceramista 3.2 Orafo argentiere 3.3 Lavorazione del vetro 3.4 Tappezziere 3.5 Lavorazione del marmo e dei metalli 3.6 Addetto al restauro 4. AZIENDALE E 4.0 Operatore dei servizi di impresa AMMINISTRATIVA 4.1 Segreteria 4.2 Contabilità 5. CHIMICA E 5.0 Operatore chimico e biologico BIOLOGICA 5.1 Addetto agli impianti chimici 5.2 Lavorazione di materie plastiche 6. COMMERCIALE E 6.0 Operatore commerciale DELLE VENDITE 6.1 Addetto alle vendite 6.2 Addetto alla ricezione e spedizione merci 7. EDILE 7.0 Operatore edile 7.1 Muratore 7.2 Cementista carpentiere 7.3 Stuccatore intonacatore decoratore 7.4 Piastrellista mosaicista 8. ELETTRICA E 8.0 Operatore elettrico ed elettronico ELETTRONICA 8.1 Installatore/manutentore impianti civili e industriali 8.2 Installatore/manutentore impianti di automazione industriale 8.3 Montatore e manutentore di sistemi elettronici 8.4 Installatore e manutentore di reti locali e internet XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 131 COMUNITÀ FIGURE PROFESSIONALIPROFESSIONALI 9. ESTETICA 9.0 Operatore per le cure estetiche 9.1 Acconciatore 9.2 Estetista 10. GRAFICA E 10.0 Operatore grafico MULTIMEDIALE 10.1 Addetto alla progettazione 10.2 Prestampatore 10.3 Addetto ai pre-media 10.4 Stampatore offset 10.5 Legatore 11. LEGNO E 11.0 Operatore del legno e dell’arredamento ARREDAMENTO 11.1 Falegname 11.2 Intagliatore e scultore in legno 12. MECCANICA 12.0 Operatore meccanico 12.1 Costruttore alle macchine utensili 12.2 Montatore-manutentore 12.3 Saldocarpentiere 12.4 Termoidraulico 12.5 Meccanico d’auto 13. SANITARIA 13.0 Operatore sanitario 13.1 Ausiliario dei servizi sanitari 13.2 Addetto alle cure termali 14. SOCIALE 14.0 Operatore sociale 14.1 Ausiliario dei servizi sociali 14.2 Assistente per lo sport e tempo libero 15. SPETTACOLO 15.0 Operatore dello spettacolo 15.1 Addetto audio/video 16. TESSILE E MODA 16.0 Operatore dell’abbigliamento 16.1 Confezionista modellista su CAD 16.2 Sarta su misura con supporto CAD 16.3 Addetto alle confezioni industriali 17. TURISTICA E 17.0 Operatore turistico e alberghiero ALBERGHIERA 17.1 Addetto ai servizi turistici 17.2 Commis di sala e bar 17.3 Commis di cucina CIOFS-FP 132 1.3. Gli standard formativi Le acquisizioni sono state distinte in due categorie, così specificate per compo- nenti: I saperi definiti come un insieme di nozioni strutturate in una materia/disciplina o area culturale, possono riguardare teorie, modelli, sistemi di azione. Ogni ambito di sapere comprende nozioni, concetti, nessi, regole. I saperi sono – al pari delle abilità e delle capacità - cognizioni che occorre acquisire per porre in atto una competenza (di cui sono uno degli ingredienti). La competenza non risiede nelle risorse (conoscenze, capacità...) da mobilizzare, ma nella mobilizzazione stessa di queste risorse. Qualunque competenza è finalizza- ta (o funzionale) e contestualizzata: essa non può dunque essere separata dalle proprie condizioni di ‘messa in opera’. “La competenza è un saper agire (o reagire) riconosciuto. Qualunque competenza, per esistere, necessita del giudizio altrui” (G. Le Boterf). La competenza, quindi, è caratteristica della persona, mediante la quale essa è in grado di affrontare efficacemente un’area di problemi connessi ad un particolare ruolo o funzione. Le capacità personali rappresentano l’insieme delle caratteristiche (tratti, disposi- zioni, vocazione, attitudini…) che l’individuo pone in atto in differenti situazioni sia professionali sia di vita quotidiana e che ne connotano la personalità. Esse rifletto- no i valori ed i contenuti propri dell’educazione che la persona vive specie nell’età evolutiva; si riferiscono quindi alla famiglia di appartenenza, alle agenzie educative e formative ma anche ai legami significativi individuali e di gruppo. In un percorso formativo, le capacità riflettono la proposta, i valori e la testimonianza della comu- nità degli educatori-formatori; esse rappresentano quindi l’asse del percorso formativo lungo il quale l’allievo progredisce e matura in quanto persona. Il percorso per le acquisizioni ha previsto l’organizzazione di Unità Formative, specificate per cicli formativi e composte in piani formativi organizzati a partire dal compito/competenza. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 133 Area linguistica Š Lingua italiana Š Lingua inglese Area delle Scienze Š Cultura storico sociale Umane e dell’ETICA Š Diritto del lavoro Š Organizzazione aziendale Š Economia di base Š Etica della persona e del lavoro Area scientifica, Š Logico-matematica tecnologica Š Scienze della materia e di supporto Š Scienze della natura Š Informatica utente Comuni Š Elaborare un budget e gestire gli atti amministrativi fondamentali Š Conoscere, rispettare ed applicare le norme di sicurezza Š Conoscere, rispettare ed applicare le procedure relative alla qualità Specifiche ŠŠŠŠŠ Comprendere, interpretare, selezionare, documentare, inviare ed archiviare informazioni Š Gestire le relazioni con referenti interni ed esterni Š Gestire rapporti con Enti istituzionali e non Š Aggiornare le scritture contabili e non a livello sezionale ed elementare ŠŠŠŠŠ Controllare e rettificare documenti, atti e relazioni Š Diagnosticare e promuovere la propria realtà personale Š Comunicare e gestire relazioni Š Apprendere ad apprendere Š Organizzare il lavoro e risolvere problemi Š Lavorare in modo cooperativo ŠŠŠŠŠ Progettare il proprio percorso di vita / di lavoro C) CAPACITA’ PERSONALI B) COMPETENZE PROFESSIONALI A) SAPERI DI BASE Le figure professionali previste per la formazione iniziale sono state collocate nel passaggio dal livello 2 al livello 3 della classificazione UE delle attività professionali. Gli standard formativi proposti di seguito, come esempio, si riferiscono alla figura professionale “Addetto ai servizi di impresa – indirizzo segreteria”. CIOFS-FP 134 1.4. Modello formativo I percorsi sono stati articolati in cicli formativi secondo la vigente legislazione, ov- vero quattro cicli di non più di 600 ore ciascuno. Di conseguenza tali percorsi hanno avuto la durata massima di 2.400 ore. Nella pianificazione delle attività formative è stato previsto fino al 15% di ore per attività finalizzate alla personalizzazione del percorso, ovvero per: - moduli integrativi - recuperi - approfondimenti - accompagnamenti. All’inizio di ogni percorso ed in ogni momento in cui si prevedano passerelle in entrata, si è proposto un modulo di orientamento ed accoglienza comprensivo di un servizio per l’accertamento di conoscenze, capacità e competenze acquisite e per il riconoscimento di eventuali crediti formativi. Il modello formativo adottato ha previsto un’impostazione modulare organizzata su compiti reali. L’impostazione formativa ha tenuto conto essenzialmente di quanto previsto dal quadro di acquisizioni per cicli formativi: il criterio fondamentale di riferimento è stato rappresentato dal percorso del destinatario. A conclusione di ciascun ciclo è stata prevista la certificazione delle acquisizioni dei destinatari con valore di titolo di accesso ai cicli successivi e credito per il passag- gio a cicli diversi o per la transizione nel sistema di istruzione o nell’esercizio dell’apprendistato. A tal fine gli organismi formativi hanno svolto verifiche in itinere e finali per l’accer- tamento di tali acquisizioni. 1.5. Sviluppo del percorso Il percorso previsto, in coerenza con l’approccio peculiare della formazione pro- fessionale, è stato articolato secondo i seguenti elementi: a) Riferimento alla persona del destinatario nella sua globalità ed originalità, con un percorso amichevole, personalizzato e fondato su una forte relazione didattico-formativa XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 135 b) Competenze professionali come requisiti di performance sulla base dei quali si sviluppa il patto formativo con i destinatari e si disegna il percorso di formazione c) Metodologia prevalentemente di tipo induttivo che valorizza l’esperienza come entità centrale del processo di apprendimento d) Sviluppo intorno a “nuclei di apprendimento” composti da un’area omoge- nea di competenze, conoscenze e capacità personali e) Pedagogia del successo che mira a stimolare in ogni persona l’espressione delle proprie potenzialità 2. La Ricerca-Azione: dati quantitativi sulla sperimentazione La metodologia adottata per il monitoraggio della sperimentazione è stata quella della ricerca-azione; in tal modo, si è voluto accompagnare tutto il percorso di attua- zione delle sperimentazioni, cercando di valorizzare massimamente il materiale pro- dotto dalle équipe dei formatori e intervenendo in una prospettiva di “secondo livello” che consentisse il raggiungimento di alcuni obiettivi: - la conoscenza e la comparabilità delle esperienze alla luce di categorie comuni; - la rilevazione delle tappe del percorso e dei relativi esiti; - l’efficacia e l’efficienza del processo; - l’individuazione delle aree di criticità e delle soluzioni adottate; - la sostenibilità del modello e le condizioni di riproducibilità. Tutti coloro che hanno dato vita alle sperimentazioni secondo il modello del CNOS- FAP e del CIOFS-FP potevano candidarsi per il monitoraggio sulla base della metodologia standard e della disponibilità di un coordinatore del monitoraggio. Al termine della sperimentazione è stata anche prevista la presentazione di un rapporto finale con indicazioni circa gli esiti, la validazione del modello e la sua assunzione come riferimento standard. Il rapporto finale (giugno 2000) è articolato sulla lettura dei dati quantitativi e il rapporto sulle buone prassi. Riporto, citandole, alcune osservazioni conclusive. 2.1. Centri, destinatari, formatori Una prima osservazione riguarda gli aspetti strettamente quantitativi: da questo punto di vista la ricerca ha raggiunto un numero ragguardevole di strutture e di soggetti. CIOFS-FP 136 4 In particolare, i Centri coinvolti sono 73 nel 1 anno della sperimentazione (2000- 01) e, anche quando nel 2 (2001-02) sono venuti meno i dati degli Enti della Lombardia, diversi dal CIOFS-FP e CNOS-FAP1 , i CFP oggetto della ricerca sono rimasti 70. Per quanto riguarda gli allievi del CIOFS-FP e del CNOS-FAP, gli iscritti al 1 anno sono aumentati tra il 2000-01 e il 2001-02 dell’8%, salendo da 2.915 a 3.149. Anche il numero dei formatori è stato consistente e proporzionato, 553 nel 2001-02. Pertanto, nonostante le variazioni registrate nel biennio, le cifre sono tali da offrire una base quantitativa adeguata ai risultati della indagine. Se si prendono in considerazione le percezioni degli interessati circa l’andamento della sperimentazione, emerge un trend comune. Il gradimento degli allievi, la sod- disfazione dei formatori, i giudizi in itinere e finali dei referenti della FPI si colloca- no complessivamente sull’ “abbastanza” e, in un certo numero di casi, si sono avvi- cinati al “molto” senza però mai coincidervi. 2.2. Il parere dei responsabili delle sperimentazioni attuate Al termine del biennio di sperimentazione, ai referenti per l’obbligo formativo è stato chiesto di esprimere un parere su: standard di qualifica, qualità della proget- tazione, conseguimento degli obiettivi, dispositivo di certificazione, socializzazione delle attività realizzate. a) Valutazione sugli standard di qualifica Sulla base dei giudizi che i referenti della FPI hanno dato al termine dei due anni di sperimentazione, va evidenziato che in genere gli standard di qualifica sono risultati dappertutto “abbastanza” rispondenti alla progettazione formativa e che il 60-80% dei Centri ha potuto documentare tale conformità attraverso appositi strumenti di rilevamento. b) Valutazione sulla qualità della progettazione La qualità della progettazione ha ricevuto un giudizio più uniforme. Infatti, nel complesso ha ottenuto una valutazione almeno di “abbastanza” in relazione a 1 cfr. AA. VV., Il progetto di ricerca e la sperimentazione del I anno, in MALIZIA G., NICOLI D., PIERONI V. (Edd.), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della formazione professionale iniziale secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP, Roma, giugno 2002. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 137 tutti i criteri previsti, ossia: la concretezza degli obiettivi, la loro traducibilità in operazioni pratiche, la corrispondenza dell’impianto didattico con le caratteri- stiche del contesto, l’adeguatezza delle metodologie rispetto agli esiti formativi e professionali e ai bisogni individuali e quella delle risorse. c) Valutazione sul conseguimento degli obiettivi Circa un terzo dei CFP coinvolti nella sperimentazione ha pienamente conse- guito gli obiettivi previsti dal progetto formativo e gli altri due terzi si ritengono abbastanza soddisfatti degli esiti conseguiti. Tale successo viene in parte confer- mato dalle scarse segnalazioni in merito alla necessità di apportare modifiche al progetto, ma soprattutto dal gradimento degli utenti, dei committenti e dei partners. 2.3. I dati relativi all’analisi delle prassi La parte di rapporto relativa all’analisi delle prassi è stata fondata su informazioni ottenute attraverso tre strumenti: - scheda sintetica del progetto formativo; - dossier delle procedure e degli strumenti; - scheda di interazione/integrazione con le Scuole nell’obbligo di istruzione. Va precisato che il concetto di “buone prassi” è stato utilizzato in senso generico. Ciò significa che non si tratta di prassi rispetto alle quali sia stato attivato un processo di valutazione comparativa (nel qual caso saremmo di fronte a “migliori prassi“ o eccellenza), bensì di metodologie che si sono dimostrate capaci di ri- spondere agli obiettivi per cui sono state elaborate, oltre che coerenti con l’impostazione progettuale di fondo. Si ritrovano diverse prassi utili per la creazione di ulteriori metodologie di suppor- to (si veda ad esempio il tema della valutazione e la proposta del centro risorse didattiche). Il materiale raccolto è presentato sotto forma di schede che strutturano la docu- mentazione ricevuta e tracciano alcune note essenziali per la sua comprensione e collocazione nel contesto del monitoraggio. Il mondo della formazione professionale appare molto ricco di varietà e di capaci- tà di adattamento ai contesti ed ai soggetti; tale elemento che pure rappresenta un pregio, può anche portare alla estrema frammentazione degli approcci, oltre che alla difficoltà di delineare un quadro comparativo di insieme. CIOFS-FP 138 Per ovviare a ciò si è cercato di delineare, attraverso gruppi di lavoro nazionali, un approccio omogeneo almeno dal punto di vista dell’impostazione generale. 3. La elaborazione di strumenti metodologici I laboratori di ricerca metodologica operativa, tra formatori ed esperti, sono dive- nuti luogo di formazione dei formatori e sono stati articolati ai diversi livelli: nazio- nale, regionale, di centro. Cito di seguito alcuni dei risultati raggiunti. 3.1. Il “Prototipo di prova finale riferito alla figura di addetto ai servizi di impresa”2 La valutazione verte su “ciò che uno studente sa fare con ciò che sa”, riferendosi ad una performance analoga al mondo reale. Gli utenti infatti imparano, compren- dono e possono essere meglio valutati quando si trovano di fronte a situazioni vere. Il modello teorico denominato valutazione autentica è stato assunto come riferi- mento e utilizzato per la ricerca di criteri di prestazione per la costruzione delle rubriche di riferimento. Il processo valutativo attivato dal prototipo coinvolge i due livelli fondamentali della attività umana: ‰ il livello della “persona” per cui la valutazione è intesa come metodologia in vista di obiettivi formativi personali che rendono più complessa l’operazione valutativa; ‰ il livello della competenza e abilità conseguita la cui performance è di più agevo- le verifica e valutazione: gli standard di riferimento presentano caratteristiche più agevolmente derubricabili e misurabili. Il prototipo richiede ai destinatari una prestazione in grado di soddisfare i requisiti professionali attinenti al ruolo e alle mansioni previste dalla qualifica. Fa riferimen- to ad un processo che prevede la sequenza classica dell’analisi dei dati, dell’elabora- zione del compito, del controllo e del recupero delle anomalie secondo criteri di auto- nomia, efficacia, efficienza e durata (tempo utilizzato). 2 CIOFS-FP, Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa, Roma, maggio 2003 XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 139 Valorizza la dimensione dell’autovalutazione sia nei confronti degli allievi sia dei docenti. 3.2. Gli Strumenti didattici Sono state elaborate diverse unità didattiche per gli allievi, costruite secondo uno schema essenziale e comunicativo. Una formazione basata sull’attenzione educativa rappresenta la chiave di riferi- mento dei materiali. Vi è un notevole intreccio di opportunità e di relazioni da un lato con il mondo degli adolescenti, dall’altro con l’ambito dei saperi, infine con il mondo del lavoro. Gli strumenti proposti sono stati costruiti per consentire allo staff formativo di creare armonia tra questi aspetti. Si tratta di una buona base per realizzare – su alcuni di questi ambiti (cultura storico-sociale, budget, lingua italiana, amministrazione, chimica, sicurezza, diritto del lavoro, organizzazione aziendale, economia di base, comunicazione aziendale) - unità formative attive. Gli strumenti sono impostati in forma amichevole, interattiva, con una struttura semplice preceduta e accompagnata da una spiegazione e basata su esercitazioni concrete. Alcuni di questi materiali sono reperibili sulla rete internet. 4. Il gruppo di riflessione sulla riforma in atto Il passaggio dal percorso biennale dell’obbligo formativo alle esperienze sperimen- tali volte a definire nuovi modelli formativi coerenti con la normativa in evoluzio- ne, è risultato una conseguenza logica del processo avviato. La costituzione di un gruppo di riflessione e lavoro per l’approfondimento delle istanze e l’organizzazio- ne di risposte rispettose dello statuto peculiare della Formazione Professionale è stata una istanza a cui abbiamo dato risposta immediata e costituisce un punto di riferimento per il prosieguo del lavoro. Il Progetto predisposto, arricchito con gli elementi raccolti attraverso l’azione di monitoraggio, è stato articolato su standard formativi distribuiti su un percorso triennale, costituendo modello di riferimento per alcune sperimentazioni scaturite dai protocolli di intesa tra MIUR – Regioni ed è attualmente alla base del nuovo modello proposto in riferimento alla legge 53/03. CIOFS-FP 140 4.1. I percorsi di Istruzione e Formazione Professionale Il sistema di offerta delineato propone un percorso formativo progressivo, che con- senta alla persona di avanzare nel proprio cammino, procedendo per livelli succes- sivi di intervento / comprensione della realtà, secondo il principio del successo formativo, seguendo tre tappe tipiche, corrispondenti ad altrettanti titoli: qualifica, diploma di formazione, diploma di formazione superiore. In tale disegno si innesta la specializzazione, conseguente ai tre titoli indicati. Si prevedono percorsi personalizzati entro una prospettiva prevalentemente corsuale, a tempo pieno o in alternanza, e percorsi individualizzati destrutturati, a seconda delle necessità del giovane. Il quadro dell’offerta formativa è quello proposto nelle linee per una Carta dell’IeFP e condiviso dalla proposta FORMA3 . 4.2. Il modello proposto La proposta sostiene la necessità di delineare un modello di gestione degli standard formativi e professionali basandoli su tre elementi: - Profilo educativo culturale e professionale - Obiettivi specifici di apprendimento (per ogni comunità professionale) - Referenziali professionali (per ogni titolo rilasciato). Il modello è centrato sulla comunità professionale, così come definito precedente- mente al punto 1.1 della presente relazione, quindi sulle competenze comuni tra le diverse figure professionali possibili. Per quanto concerne la comunità professionale, essa prevede le seguenti voci: ‰ Denominazione iniziale del percorso di qualificazione ‰ Competenze e compiti caratteristici della comunità professionale (livello di qualificazione) ‰ Figure professionali previste ‰ Continuità (diploma di formazione) 3 cfr. FORMA, DOSSIER per la realizzazione del nuovo percorso dell’IeFP, 29 maggio 2003 - Ver. 05. L’Associazione Italiana degli Enti di Formazione Professionale - FORMA è nata all’inizio del 1999. Ad essa aderiscono: ENAIP (Acli), IAL (Cisl), CIF, CONFAP, EFAL (MCL), ELABORA (Confocooperative), INIPA (Col diretti). XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 141 Per quanto concerne le figure professionali, si prevedono le seguenti voci: ‰‰‰‰‰ Denominazione ‰‰‰‰‰ Denominazioni equivalenti ‰‰‰‰‰ Note ‰‰‰‰‰ Competenze e Compiti specifici ‰‰‰‰‰ Collocazione organizzativa A tale scopo, nel punto 1.2 della presente relazione sono state indicate le denomi- nazioni iniziali delle azioni formative previste. È lavoro già in parte realizzato la successiva denominazioni delle figure professionali su cui tale comunità professio- nale può articolarsi. In allegato riportiamo lo sviluppo della Comunità Aziendale Amministrativa. Conclusioni Dare consistenza sperimentale alla riforma L’aspetto più rilevante dell’esperienza consiste nell’avvio di un processo che, a partire dai Centri, dai Formatori, dal know-how maturato nel variegato mondo della formazione professionale, ha attivato interazioni diverse, facendo leva su un patrimonio consolidato nell’attenzione al territorio e al lavoro in rete, orientando- lo a dare consistenza sperimentale alla riforma del sistema educativo di istruzione e formazione. Rendere leggibile la peculiarità pedagogica IeFP La sperimentazione ha permesso di maturare ulteriormente la coscienza e la rifles- sione su una sua identità, da rendere leggibile e trasferibile al sistema di IeFP con una peculiare cultura pedagogica attenta alla domanda dei destinatari, che attribu- isce importanza agli stili di apprendimento, al tipo di intelligenza e all’approccio cognitivo di gruppi diversi di persone. Nei Centri si sono sviluppate, intorno al progetto, una serie di iniziative metodologiche interessanti mirate al coinvolgimento attivo dei giovani nei processi di apprendi- mento: azioni che ne hanno favorito la partecipazione consapevole alle attività e all’acquisizione di conoscenze anche partendo dalla loro stessa esperienza. CIOFS-FP 142 Delineare una gestione degli standard formativi completa e articolata Il progetto può costituire un utile riferimento per delineare una gestione degli standard formativi che, in coerenza con il carattere educativo generale del disegno di riforma, rispetti il ruolo particolare delle Regioni e degli Enti locali per la rivalutazione della dimensione culturale locale, con l’autonomia degli Istituti (Cen- tri, Agenzie formative, Scuole) e con i soggetti della rete locale, le imprese in parti- colare. L’ottica che ha guidato questo impegno è quella di: - offrire un nostro modesto contributo al processo di rinnovamento dell’Istru- zione e Formazione; - giungere all’attuazione della riforma il più possibile preparati e supportati da dati ed esperienze riflettute. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 143 VI.3 NUOVI PERCORSI PER LE QUALIFICHE D’ISTRUZIONE IN IRLANDA PHILIP O’CONNOR Dublin Employment Pact Ho ascoltato con interesse le presentazioni di questa mattina e gran parte delle cose che avevo intenzione di dire sono state già trattate nel discorso sulla politica europea. Olga Turrini ci ha delineato il contesto nel quale noi tutti lavoriamo, che è quello della Strategia Europea per l’Occupazione (SEO). In tutti i Paesi europei si sta tentando di riformare i nostri sistemi di formazione e istruzione, per renderli maggiormente compatibili con un mercato del lavoro dinamico e flessibile. La Dott.ssa Beatriz Zafra ha descritto come il sistema spagnolo sia stato oggetto di una recente riforma, che presenta forti somiglianze con i percorsi che abbiamo intrapreso in Irlanda. Alberto Morlacchi ha altresì descritto i recenti esperimenti compiuti in materia di formazione modulare in Lombardia. A mio avviso, comunque, il dato più interessante è che tutti noi ci troviamo di fronte a problemi ben specifici. Pertanto mi concentrerò nel mio discorso sui nuovi percorsi per giungere ad un’istruzione e formazione di qualità, percorsi che stiamo sperimentando in Irlanda. Molto brevemente, c’è da dire che il sistema dell’istruzione in Irlanda è molto simile a quello descritto dalla collega spagnola, quindi non occorre a mio avviso soffermarvisi ulteriormente. Abbiamo un sistema d’istruzione primaria che dura fino all’età di 12 anni e un sistema d’istruzione secondaria per studenti fino ai 18 anni d’età. Come già precisato, non entrerò nel dettaglio del nostro sistema scolastico. Molti istituti scolastici - circa il 65% degli istituti d’istruzione secondaria - da noi sono gestiti da organizzazioni volontarie o da enti e ordini religiosi. In secondo luogo, vanno con- siderati i nostri istituti tecnico-professionali, orientati al conferimento di compe- tenze tecniche spendibili sul mercato del lavoro. Infine, il terzo gruppo, che è il più piccolo, è rappresentato da un 10% di “scuole comunitarie”. Si tratta di un esperi- mento interessante che racchiude in un unico sistema i vecchi istituti gestiti da CIOFS-FP 144 opere o enti di volontariato e i vecchi istituti tecnico-professionali. Va detto che tale sistema ha riscosso un grosso successo per la maggior parte degli studenti. Il curricolo è costantemente aggiornato, per introdurvi elementi finalizzati sempre più all’acquisizione di competenze tecniche e alla valorizzazione delle esperienze lavorative. La stragrande maggioranza degli studenti completa il suo percorso scola- stico fino all’età di 18 anni, l’85% dei giovani completa il percorso d’istruzione secondaria. E di nuovo, l’85% di coloro che completano la scuola secondaria supe- riore prosegue col terzo livello, l’educazione terziaria (università o scuole di specializzazione professionale). Noi abbiamo altresì un sistema molto ben sviluppato di formazione tecnica post- secondaria e tirocinio aziendale. Per ora mi sto soffermando sugli aspetti positivi del nostro sistema, per giungere successivamente a quelli che sono gli aspetti negativi del sistema in questione. Per quanto attiene al sistema in generale, l’OCSE ha condotto uno studio, noto col nome Indagine PISA, secondo il quale gli allievi delle scuole irlandesi sono tra i migliori in Europa. Anche l’Università di Oxford, in Gran Bretagna, ha recentemente espresso grande apprezzamento per le qualifiche conferite dal sistema scolastico irlandese. A mio avviso, vi è un elemento interessante da prendere in considerazione: ritengo che i Paesi con una lunga tradizione industriale stiano assistendo ad una crisi dei loro sistemi di istruzione, ma ritornerò su questo punto in seguito. Quali sono i punti deboli del sistema di istruzione irlandese? Il 16% dei giovani, provenienti principalmente da famiglie povere, non riesce a portare a compimento il percorso di istruzione secondaria, ma abbandona prima. Inoltre, il 15% di coloro che completano l’istruzione secondaria non prosegue con nessun percorso di educazione terziaria. A conferma del grosso divario sociale, solo il 6% degli studenti di terzo livello proviene da famiglie operaie. E poiché l’istruzione fino alla maggiore età è gratuita solo dal 1970, vi sono molti lavoratori anziani con livelli molto bassi di istruzione e competenze professionali. Un altro studio condotto dall’OCSE ha evidenziato che il 20% della popolazione adulta dell’Irlanda, se non è analfabeta, ha problemi a leggere e a scrivere. Sto semplicemente fornendo qui alcune informa- zioni specifiche relative a Dublino, non entrerò nel dettaglio, ma è solo per segnala- re che a Dublino si pone un problema di disparità sociali e di povertà che si con- centra in determinate sacche, le quali rappresentano anche le aree in cui i risultati del sistema dell’istruzione sono i più modesti. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 145 Per riassumere brevemente quelli che sono i successi del sistema di istruzione irlandese, come ho già detto vanno tenuti presente i tassi di completamento degli studi da parte degli studenti, i quali sembrano essere molto buoni, il che si è tradotto in molti investimenti da parte degli Americani in Irlanda, in particolare nell’industria del software, grazie certamente agli elevati standard di preparazione e competenza delle risorse umane. La filosofia soggiacente al nostro sistema di istruzione consiste nel dispensare ai giovani un’istruzione di carattere generale, unitamente ad una qualche specializzazione tecnica. Questo connubio si è dimostrato particolarmente vincen- te nell’odierna economia della conoscenza. È infatti, proprio questo il problema cui accennavo poc’anzi: paesi come la Germania o la Gran Bretagna si trovano a dover affrontare notevoli problemi in termini di forza lavoro. In Germania, ad esempio, il “sistema duale”, che era considerato l’optimum tra i sistemi di formazione profes- sionale a livello mondiale fino ad una decina di anni fa, si trova ora in seria difficoltà, giacché è troppo specializzato e pienamente rispondente ad un’economia indu- striale di tipo tradizionale, ma non è adatto per l’economia della conoscenza dina- mica e flessibile del futuro. I lavoratori che entrano nel mercato del lavoro in Inghil- terra e in Germania hanno delle competenze troppo settoriali e, all’interno delle strutture europee, vediamo che soprattutto per quanto attiene alla Germania, si sta cercando il modo di rendere il sistema duale più aperto, modulare e flessibile. Il principale punto di debolezza del sistema irlandese è rappresentato dal fatto che coloro che non rispondono ai criteri di questa economia della conoscenza finisco- no per abbandonare la scuola e rimanere con bassi profili di competenze, e sappia- mo bene che senza competenze non c’è futuro nell’economia della conoscenza. Pertanto, se la Germania ha bisogno di offrire ai propri studenti competenze più generali, l’Irlanda ha necessità di migliorare più gli aspetti tecnici e professionalizzanti del proprio sistema di istruzione. Pertanto, analogamente all’Italia, come è stato ribadito stamane, l’obiettivo primario della politica dell’istruzione in Irlanda è di raggiungere un tasso di scolarizzazione del 90%. Esistono molte iniziative a livello locale in fatto di formazione e istruzione organizzate localmente e via discorrendo. Vi è una campagna condotta a livello nazionale per contrastare il fenomeno del- l’analfabetismo e per promuovere le competenze informatiche. Vi è un’azione di ampio respiro rivolta alle fasce più disagiate della popolazione e tesa a coinvolgerle nelle iniziative di formazione di terzo livello. Infine, ed è questo l’aspetto che vorrei CIOFS-FP 146 trattare più nel dettaglio, vi sono una serie di iniziative tese ad avvicinare maggior- mente la scuola al lavoro. Ho cercato di estrapolare alcune delle più significative tra le molteplici iniziative esistenti in quest’ambito. Non avrò il tempo per soffermarmi su ciascuna di esse, ne prenderò solo una o due per descriverle in maggior dettaglio. Ritornando alle iniziative in campo educativo, si tratta di offrire preparazione e formazione a determinate competenze in maniera modulare all’interno della co- munità attraverso il lavoro e di promuovere una formazione continua e permanen- te, sia nelle competenze più generali che in quelle più specifiche. L’obiettivo è di stilare questo come programma generale per tutta la società e perseguirlo entro il 2006 per ventimila persone. L’Irlanda è un piccolo Paese. Un’altra iniziativa che mi è stato chiesto di presentare in questo contesto è l’anno di transizione e l’esperienza lavorativa maturata nelle scuole. Quello che noi chia- miamo l’anno di transizione è un anno in più previsto per passare dal Junior Cert. al Senior Cert. Stiamo parlando di studenti di 16 anni. Si tratta di un programma molto ampio, teso a sviluppare l’autonomia e l’indipendenza dell’adolescente, in maniera da incoraggiarlo a fare scelte autonome per ulteriori percorsi formativi o la carriera lavorativa da intraprendere. Si basa sull’impostazione della teoria del- l’intelligenza multipla: ovvero le competenze sociali, tecniche e accademiche sono considerate tutte in maniera paritaria. La filosofia di base è che si tratta di un educare alla maturità, tramite esperienze sociali e lavorative e attraverso la pro- mozione di abilità generali ma anche tecniche. Circa l’80% degli studenti della scuola secondaria superiore partecipano attual- mente a questo programma dell’anno di transizione. In quest’anno non seguono le normali attività curricolari, ma apprendono tutta una serie di competenze diverse, da quelle tecniche a quelle mediche, a quelle oratorie, ecc. Mia figlia, ad esempio, durante quest’anno di transizione ha seguito un corso sui rudimenti della lingua italiana. Ogni istituto scolastico organizzerà il proprio anno di transizione di con- certo con i genitori, con il corpo docente e con gli enti locali. Nella valutazione dell’anno di transizione, si è deciso che l’esperienza lavorativa debba rappresenta- re l’elemento decisivo per valutare positivamente l’anno. Un anno di transizione ben riuscito è quello in cui l’esperienza lavorativa sia stata organizzata bene. Que- sto si è evidenziato come il problema principale dell’anno di transizione. Non è facile trovare datori di lavoro disposti a prendere giovani per brevi esperienze XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 147 lavorative strutturate. Quando i giovani provengono da un buon ambiente sociale ed hanno conoscenze, riescono a trovare ottime esperienze lavorative. Nelle aree più povere non esistono queste possibilità e molti studenti finiscono per lavorare come commessi nei negozi, da McDonald’s, ecc. E, ovviamente, il valore dell’espe- rienza lavorativa in questi casi è opinabile. Pertanto, nel nostro sistema di istruzio- ne si assiste ora ad una tendenza volta a cercare di introdurre nelle scuole un sistema per la valutazione delle esperienze lavorative. Comunque, nel complesso, l’anno di transizione è stato visto con grande favore, perché riesce a formare giovani molto indipendenti e decisi. Esiste poi un altro programma, ma non ho il tempo di parlarvene. Adesso vorrei concentrarmi sul Consiglio per l’accreditamento dell’istruzione e della formazione superiore post-secondaria. In sigla, lo chiamiamo FETAC (Further Education and Training Awards Council). La filosofia di base è la stessa del sistema IFP esistente in Italia. La missione è quella di formare degli standard di riferimento nazionali per il sistema educativo e formativo e di individuare un sistema di accreditamento. In sostanza, così come è stato descritto nel caso della Lombardia, è un sistema che decollerà dalle qualifiche formali ed introdurrà l’accreditamento modulare delle competenze e che consentirà l’apprendimento permanente nel contesto lavorativo, in quello scolastico, al di fuori del sistema scolastico. In qualun- que contesto, si accumuleranno crediti per tutto l’arco vitale. Queste competenze rappresenteranno standard riconosciuti a livello nazionale e permetteranno di ac- cedere ad una formazione più tecnica ed anche al mercato del lavoro. È importante sottolineare che stiamo cercando di mettere a punto questo sistema, poiché pre- visto dalla politica europea e anche sotto l’egida delle Nazioni Unite è stato intro- dotto un sistema di qualifiche standard. È un sistema che si fonda su una pluralità di soggetti eroganti, non solo il sistema scolastico tradizionale, ma tutta una serie di centri di formazione pubblici, privati e volontari. Sono previsti sei livelli di qualifiche riconosciute sul piano nazionale, si parte da un livello di base fino ad arrivare a competenze molto tecniche. Tutti i programmi, che siano erogati da istituti privati o pubblici, sono soggetti ad un sistema di garanzia di qualità e devono essere validati dal Consiglio, ovvero dall’autorità nazionale. E, in ragione di questo controllo di qualità, questi crediti sono riconosciuti dai datori di lavoro, nonché dal sistema più tradizionale di educazione terziaria. Nella comunità locale, il tipo di competenze da formare è stabilito in programmi messi a punto in partenariato dagli enti erogatori CIOFS-FP 148 e dai datori di lavoro. Pertanto, questi moduli formativi sono offerti sia a livello di comunità locale che sul posto di lavoro. E, come ho già detto, sono offerti anche percorsi di accesso ad istituti formativi di terzo livello. Molti sistemi formativi già esistenti, come ad esempio nel settore turistico, dell’assistenza all’infanzia, dell’agri- coltura e orticoltura, dello sport, del settore artistico, delle competenze tecnico- industriali, rientrano nel sesto livello del sistema FETAC. Tutti questi sistemi distinti e separati di formazione professionale saranno riportati all’interno di questo siste- ma unico di crediti formativi standard. Già sono stati concessi 200mila crediti for- mativi in due anni nell’ambito del sistema FETAC. E’ un sistema che si sta diffonden- do moltissimo soprattutto tra le fasce della popolazione con livelli formativi più modesti ed il sistema ha aperto proprio a queste fasce maggiori possibilità educativo- formative. Stiamo cercando di rafforzare quelli che sono i punti più deboli del nostro sistema, e uno dei punti deboli è l’accreditamento dei programmi di formazione-lavoro. Per questa ragione, attraverso il Patto di Dublino per il lavoro, abbiamo sviluppato tre progetti pilota nelle aree più disagiate. L’obiettivo principale è di rivolgersi a giova- ni lavoratori non qualificati che lavorano a tempo pieno, senza però aver comple- tato il loro percorso formativo. Alla base di questi programmi vi è un contratto firmato tra il lavoratore, l’istituto di formazione e il datore di lavoro. I programmi sono stati attuati grazie ad un accordo di partenariato tra lo Stato, gli enti locali, gli istituti scolastici e i datori di lavoro a livello locale. I datori di lavoro si sono dimostrati disposti a partecipare all’aggiornamento delle competenze dei loro gio- vani lavoratori ed in cambio i giovani lavoratori hanno accettato di rinunciare a parte del loro tempo libero per dedicarlo al programma di formazione. È molto importante in questo sistema mettere a punto percorsi formativi personalizzati per ciascun individuo. Il percorso personalizzato è deciso congiuntamente tra il lavoratore, il datore di lavoro e gli organismi erogatori. Questo è un aspetto molto importante, poiché il datore di lavoro ha tendenza a richiedere competenze molto specifiche da parte del lavoratore, mentre il lavoratore ha interesse ad acquisire competenze più ampie. Un altro aspetto interessante di questa esperienza è che tutti quelli coinvolti in questi programmi formativi FETAC hanno voluto essere integrati in questo sistema modulare di accreditamento delle competenze, in quan- to l’accreditamento avrebbe aperto loro prospettive formative e occupazionali in- teressanti in futuro. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 149 Un altro aspetto, cui faceva riferimento Morlacchi prima, è che gli insegnanti devo- no modificare il loro approccio e la loro filosofia di base per arrivare all’apprendi- mento e alla formazione permanente. E agli istituti scolastici devono essere eroga- te le risorse necessarie perché possano trasformarsi in luoghi di formazione ela- stici e flessibili. Quanto sta avvenendo nel nostro Paese è simile a quanto si assiste in Italia, tenendo conto comunque dei nostri problemi specifici locali. L’obiettivo è quello di arrivare ad un sistema di standard riconosciuti e di una formazione ac- creditata che possa essere sviluppata durante tutto l’arco vitale. A guisa di conclusione, direi che il sistema dell’istruzione nel suo insieme in Irlanda, con l’aggiunta di talune specializzazioni tecniche, è adatto a soddisfare la maggior parte delle situazioni individuali dei cittadini, ma per un gruppo sempre più nume- roso di popolazione è essenziale un sistema che sia in grado di conciliare in manie- ra efficace il lavoro e l’istruzione. E, in realtà, è proprio questo sistema del FETAC che si è dimostrato quello più efficace a realizzare il connubio istruzione/lavoro. La sfida che abbiamo di fronte è ora quella di realizzare una connessione più stretta tra il FETAC e le opzioni disponibili in ambito lavorativo. Con questo concludo e vi ringrazio dell’attenzione. CIOFS-FP 150 VI.4 IL PROGETTO SPERIMENTALE DELLA LOMBARDIA ANTONIO SASSI - ALBERTO MORLACCHI Gruppo Tecnico di Progettazione dell’ATS Triennale Lombarda L’articolo presenta sinteticamente la Sperimentazione che in Lombardia dà prima attuazione al Protocollo d’intesa tra Regione, MIUR e Ministero del Lavoro, finaliz- zato alla realizzazione, attraverso accordi cooperativi tra sistema della formazione professionale e sistema scolastico, di un percorso formativo triennale in grado di garantire l’assolvimento dell’obbligo formativo e scolastico. Se ne approfondisco- no gli elementi di inquadramento generale (modello gestionale, organizzativo, progettuale, metodologico). 1. Inquadramento tecnico, organizzativo e istituzionale del progetto sperimentale 1.1. Premessa: iter procedurale Il progetto nasce a seguito del Protocollo d’intesa fra Regione Lombardia, Ministe- ro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per la sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di istruzione e di formazione. La Regione Lombardia ha inteso dare una prima attuazione a quanto in esso pre- visto promuovendo, con apposito bando emesso a metà del mese di giugno 2002, percorsi sperimentali di durata triennale per il conseguimento della qualifica pro- fessionale, per giovani che abbiano compiuto i 14 anni di età. Il dispositivo regionale richiedeva ai partecipanti al bando la capacità di assicurare: - una adeguata copertura su tutto il territorio regionale; - una adeguata differenziazione tra comparti e settori merceologici per le quali- fiche in uscita al termine del triennio; - una maggioranza di destinatari quattordicenni all’avvio del percorso pluriennale; XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 151 Province n. corsi Membri ATS / localizzazione Bergamo 4 CFP Ass.ne Suore Passioniste- Calcio CFP Patronato S. Vincenzo- Clusone CFP Provincia di Bergamo- Bergamo CFP Scuola d’arte Fantoni- Bergamo Brescia 7 CFP alberghiero e della montagna - Pontedilegno CFP Centro Artigianelli - Brescia CFP Chiari - Chiari CFP Cooperativa S. Giuseppe - Roè Volciano CFP Provincia di Brescia - Brescia CFP Rodolfo Vantini - Rezzato CFP Scuola Edile Bresciana - Mompiano - una serie dettagliata di caratteristiche progettuali di tipo tecnico, metodologico; e didattico (impostazione della proposta formativa, strumentazione da assicura- re, standard di durata, tipologie di percorso - di gruppo e individuale - requisiti del personale coinvolto, azioni di supporto e controllo da garantire). Sulla base dell’esperienza pluriennale maturata nella formazione iniziale e nell’ob- bligo formativo, oltre che in altre filiere formative (formazione superiore per diplomati o laureati, formazione per adulti occupati e non) e sulla base delle collaborazioni già attivate su altre iniziative sperimentali, un gruppo di Enti di formazione professionale e di Centri accreditati dalla Regione Lombardia, costituitisi in una Associazione Tempo- ranea di Scopo, ha elaborato una proposta e ha presentato la propria candidatura nelle modalità e nei tempi previsti dal bando regionale aggiudicandosi la realizza- zione della Sperimentazione. 1.2. Soggetti attuatori Il Dispositivo regionale prevedeva la partecipazione di Associazioni temporanee di scopo di operatori titolari di sedi operative accreditate per l’obbligo formativo ai sensi del DGR 6251/01 “Accreditamento dei soggetti che erogano attività di formazio- ne e di orientamento”. La titolarità del Progetto è ascritta ad una Associazione Tem- poranea di Scopo avente come capofila AFGP - Associazione Formazione Giovanni Piamarta - costituita da 29 Enti di formazione, 7 CFP provinciali, 1 CFP di capoluo- go di provincia e 1 CFP regionale territorialmente così distribuiti: CIOFS-FP 152 In alcuni territori si sarebbero potuti avviare anche più percorsi, ma non è stato possibile poiché il bando regionale prevedeva un massimo di 35 corsi. Como 4 CFP ASFAP - Como Albate CFP ENFAPI Briantea - Erba CFP Provincia di Como - Como CFP Scuola Castellini - Como Cremona 0 Lecco 2 CFP Aldo Moro - Valmadrera CFP ENAIP- Lecco Lodi 0 Mantova 0 Milano 10 CFP CAPAC - Milano CFP CNOS/FAP - Arese CFP Cooperativa Galdus - Milano CFP CSL - Milano CFP ECFOP - Monza CFP ENAC - Cuggiono CFP Fondazione Clerici - Brugherio CFP Istituto d’arte Rizzoli - Milano CFP Mazzini - Cinisello Balsamo CFP Provincia di Milano - Seregno Pavia 3 CFP CIOFS - Pavia CFP Comune di Pavia - Pavia CFP ODPF Santachiara - Stradella Sondrio 0 Varese 5 CFP ASLAM - S. Macario Samarate CFP Ass.ne La Nostra Famiglia - Castiglione Olona CFP IAL Lombardia - Saronno CFP Padre Monti- Saronno CFP Provincia di Varese - Tradate Totale 35 Province n. corsi Membri ATS / localizzazione XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 153 1.3. Modello organizzativo del progetto La sperimentazione a livello regionale è gestita nei suoi vari aspetti da: ‰ un Comitato paritetico di coordinamento, composto da 6 membri dei quali 2 nominati dalla Regione, 2 nominati dal MIUR tramite l’Ufficio scolastico regio- nale della Lombardia, e 2 dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ai sensi di quanto previsto dall’art. 7 del Protocollo d’Intesa; ‰ un Gruppo di governo composto dal capofila dell’ATS e dai rappresentanti degli Enti attuatori, con funzioni di: - rappresentanza nei confronti di Regione, Amministrazioni provinciali, Istituzio- ni scolastiche, parti sociali ecc.; - coordinamento organizzativo, gestionale ed amministrativo tra i membri dell’ATS; - validazione e supervisione sull’impostazione progettuale, metodologica e formativa sviluppata dal progetto; ‰ un Gruppo Tecnico di Progettazione, composto da progettisti, responsabile delle seguenti attività: - elaborazione degli standard; - impostazione metodologica; - coordinamento delle azioni attraverso un’organizzazione settoriale; - azioni di sistema (supporto al monitoraggio, alla formazione degli operatori ed alla valutazione); ‰ un Gruppo di Coordinamento-Monitoraggio, composto da tutor-coordinatori referenti delle attività corsuali attivate nel progetto per le seguenti azioni: - concorso alla progettazione (attraverso coordinamenti settoriali); - elaborazione del Piano formativo operativo; - coordinamento degli interventi formativi e miglioramento continuo degli stessi. Tale modello consente di garantire la gestione della dinamica sperimentale in cui le indicazioni emergenti dall’operatività dei corsi nei vari CFP e quelle elaborate a livello regionale dialogano e si arricchiscono reciprocamente. 2. Relazioni con il sistema scolastico 2.1. Istituzioni scolastiche coinvolte La fase di predisposizione del Bando e della strumentazione collegata ha visto la CIOFS-FP 154 fattiva partecipazione, al fianco della Regione Lombardia, della Direzione Regionale per l’Istruzione (Uff.IV) e dell’IRRE. Tale collaborazione prosegue anche nell’attività di governo delle fasi di realizzazione e valutazione. La fase operativa di avvio delle attività sul territorio, ha visto invece, il coinvolgimento diretto degli Istituti scolatici superiori, sia statali che paritari, in cui i giovani, soggetti ad obbligo scolastico, risultavano iscritti all’avvio della sperimentazione attraverso la sottoscrizione della Convenzione e la costituzione della Commissione Tecnico- Scientifica paritetico. Nei territori interessati dalla sperimentazione si è registrato il coinvolgimento di 58 istituti (in rappresentanza di tutte le scuole attive), in particolare: Statali Paritari Istituti Tecnici 23 4 Licei 1 2 Istituti Professionali 28 / Totali 52 6 2.2. Il rapporto tra Istituti scolastici e Centri di Formazione Professionale Uno degli aspetti che la sperimentazione ha maggiormente curato è quello dell’interazione e collaborazione con il sistema scolastico. In tal senso si sono attivati due livelli: ‰ un presidio di livello regionale gestito dal Comitato di Pilotaggio con la Direzio- ne Regionale per l’Istruzione che agisce sulla base delle linee guida definite in accordo con il Comitato paritetico di coordinamento, ‰ un presidio territoriale attraverso: - la sottoscrizione di una Convenzione tra l’Istituto scolastico, in cui il giovane era iscritto, e il CFP titolare della sperimentazione - la costituzione di una Commissione Tecnico-Scientifica tra la direzione del Centro di formazione e il dirigente scolastico dell’Istituto individuato come rappresentante sul territorio di tutte le strutture scolastiche coinvolte nella XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 155 sperimentazione (Scuola Pilota) sulla base degli orientamenti e delle linee gui- da definite a livello regionale. La Commissione tecnico-scientifica, costituita localmente per ognuno dei corsi attivati, è composta almeno da 4 membri (2 della scuola e 2 della formazione professionale) che intervengono nel rispetto della Convenzione concordata che prevede che: ‰ l’Istituto scolastico sia titolare dell’assolvimento/proscioglimento dell’obbligo sco- lastico e della relativa certificazione; ‰ la Commissione tecnico-scientifica assuma e adotti gli obiettivi formativi inter- medi e finali; contenuti nel progetto sperimentale e le modalità di svolgimento delle attività per i singoli destinatari; ‰ l’Ente di formazione (presso cui si svolgono le attività) sia responsabile della sicurezza, delle attrezzature e degli ambienti, secondo quanto previsto dalla legge 626/94 e normativa collegata; ‰ il direttore dell’Ente di formazione sia responsabile della vigilanza sui minori coinvolti nel percorso formativo di cui alla presente Convenzione, ai sensi dell’art. 2048 c.c.; ‰ al termine dell’attività formativa, svolta presso il Centro di formazione profes- sionale, la valutazione e il riconoscimento dei crediti formativi da far valere nella formazione professionale vengano gestiti secondo i criteri stabiliti dalla Forma- zione Professionale; ‰ la valutazione dei crediti ed il relativo riconoscimento da far valere nelle Istitu- zioni scolastiche avvenga, secondo le modalità previste dall’art.4, comma 6, del D.P.R.275/99, a cura della direzione scolastica. 3. Specifiche progettuali della sperimentazione 3.1. Caratteristiche dei destinatari Il Progetto presentato prevedeva un numero minimo complessivo di destinatari pari a 525 allievi (di cui almeno il 51% composto da quattordicenni). In data 10/02/03, dopo l’avvio dei 35 corsi, il numero degli allievi effettivamente iscritti e frequentanti ammonta complessivamente a 620, di cui 420 quattordicenni (pari al 67.7 %), 200 quindicenni (pari al 32.3 %). Questi ultimi provengono quasi CIOFS-FP 156 totalmente dalle scuole medie inferiori e non dai primi anni degli istituti superiori (se non per un ristretto numero di allievi che si è iscritta in itinere). I maschi sono 477, pari al 77 %. Le femmine sono 143, pari al 23%. Gli allievi portatori di handicap sono 21, pari al 3.4 %, quelli di origine straniera invece sono 27, pari al 4,4%. Le richieste di nuove iscrizioni in itinere, a percorso già avviato, da parte di giovani segnalati dalla Scuole Medie Superiori sono state nell’ordine del 10-20% degli at- tuali iscritti. Le segnalazioni sono aumentate al termine del 1° quadrimestre scola- stico (gennaio-febbraio). 3.2. Articolazione del percorso formativo triennale Il percorso formativo proposto dal Progetto sperimentale ha una durata triennale per un monte ore totale di formazione di 3.150 ore, per ognuno dei 35 corsi attivati. Il monte ore di formazione per ogni annualità ammonta a 1.050 ore, distinte tra 900 ore di percorso comune al gruppo classe e 150 ore di interventi personalizzati. L’articolazione di dettaglio della pianificazione e programmazione didattica rappre- senta uno dei principali oggetti della Sperimentazione. Le esperienze pregresse realizzate nell’ambito dell’obbligo formativo (come ad esempio la Sperimentazione condotta da CNOS-FAP e CIOFS-FP, i modelli di progettazione sviluppati in alcuni sistemi provinciali di formazione professionale o da parte di Enti o singoli CFP) costituiscono l’ineludibile punto di partenza, ma sia il gruppo di progettazione cen- trale sia ogni singola equipe di formatori dei centri dell’ATS, stanno di fatto proce- dendo a riprogettare e documentare, strada facendo, il percorso formativo speri- mentale, tenendo conto sia degli sviluppi operativi dei corsi sia delle nuove indica- zioni emergenti. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 157 La macro-articolazione del percorso è il seguente: 1° anno 2° anno 3° anno Totale Area Culturale 40% 26% 21% 29% Area Professionale 45% 39% 31% 38,3% Area Personalizzazione 15% 15% 15% 15% Stage - 20% 33% 17,7% Totale 100% 100% 100% 100% Come previsto nel Protocollo d’intesa citato in premessa, all’interno del percorso formativo triennale, saranno sviluppati crediti formativi corrispondenti a quelli previsti per l’assolvimento dell’obbligo scolastico. 3.3. Figure/profili professionali di riferimento Le Famiglie di figure professionali previste all’interno del Progetto sperimentale sono le seguenti: Famiglia professionale N° corsi attivi 1. Addetto alle vendite 1 2. Operatore elettrico-elettronico 4 3. Operatore meccanico 11 4. Operatore alberghiero e dell’alimentazione 5 5. Operatore dell’abbigliamento 1 6. Addetto ai servizi d’impresa 3 7. Operatore poligrafico 4 8. Operatore edile 2 9. Addetto alla cura estetica 3 10. Addetto alle lavorazioni artigianali 1 CIOFS-FP 158 Nella maggior parte dei settori, ogni famiglia professionale può prevedere, a partire dal secondo anno, uno sviluppo operativo della formazione in indirizzi specifici mirati a singole figure professionali 4. La costruzione del modello: principali linee guida Uno dei focus fondamentali della Sperimentazione è centrato sull’ingegnerizzazione del processo formativo nelle sue diverse fasi (analisi dei fabbisogni, progettazione, erogazione, monitoraggio e valutazione): tale attenzione costituisce un elemento fondamentale per la definizione di un modello formativo coerente ai bisogni educa- tivi e formativi espressi dall’utenza ed aggiornato rispetto alle metodologie formative ed alle tecniche didattiche utilizzate. Per concretizzare e documentare la costruzione di un modello formativo sono previste specifiche attività di ricerca, progettazione, produzione di materiale didat- tico, formazione degli operatori, monitoraggio e valutazione, gestite attraverso varie forme di coordinamento a livello regionale e locale ed il contributo di esper- ti, ricercatori universitari ecc. ... L’impostazione definita per le attività è basata su alcuni “fondamenti” descritti nei successivi paragrafi. 4.1. Il principio del successo formativo La Sperimentazione è incentrata sul principio educativo del successo formativo: ossia sull’obiettivo di assicurare ai giovani una proposta formativa dal carattere educativo, culturale e professionale, che preveda risposte molteplici e diversificate in funzione delle loro esigenze, in modo che ogni persona possa comunque otte- nere un risultato soddisfacente in termini o di conseguimento di una qualifica professionale o di garanzia di un supporto all’inserimento lavorativo o di possibili- tà di un’eventuale prosecuzione della formazione nell’ambito dell’Istruzione e/o della formazione professionale anche superiore. 4.2. Il criterio della personalizzazione L’asse portante dell’intero progetto è dato dal criterio di personalizzazione dei percorsi formativi. Da un lato la “centratura sulla persona” non resta una mera affermazione di principio, ma diventa operativa, in forza del principio secondo cui XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 159 gli allievi comprendono ed assimilano in misura maggiore quando hanno a che fare con situazioni reali rispetto a quando devono apprendere in situazioni decontestualizzate. Ciò pone le basi per un confronto più stretto con il mondo adulto, preparando così il giovane ad un inserimento di successo nella vita reale, e stimolando una sua maggiore preparazione culturale attraverso modalità induttive, che procedono dalla pratica al concetto e non viceversa. L’apprendimento non si dimostra infatti con l’accumulo di nozioni, ma con la capacità di trasferire e utilizza- re la conoscenza acquisita a contesti reali. Dall’altro con una declinazione del percorso formativo che prevede non solo solu- zioni di personalizzazione riferite all’intera articolazione del corso, ma anche risor- se a disposizione delle équipe di formatori per gestire strategie di personalizzazione anche a livello individuale. Questa linea di innovazione della metodologia didattica è attiva da diverso tempo nell’ambito della formazione professionale. Si pensi, ad esempio, alla pratica del tutor, alla metodologia dell’accoglienza e del patto formativo, dell’orientamento e dell’accompagnamento trasversali a tutto il percorso, ai laboratori di recupero e sviluppo degli apprendimenti. Su questi temi, come su altri, la Sperimentazione fa tesoro del patrimonio di esperienza ed elaborazione maturato dal sistema di FP e prosegue il lavoro di raccolta, progettazione e sperimentazione necessario. In tal senso la tematica evidenzia forti collegamenti al tema della valutazione e all’ado- zione del Portfolio individuale. 4.3. L’approccio metodologico Una delle specificità principali della Sperimentazione sta nell’approccio metodologico utilizzato, che si basa su una didattica attiva, di tipo induttivo, attenta alle dimensio- ni orientative ed educative, che valorizza l’apprendere attraverso l’esperienza, la presenza di momenti di personalizzazione finalizzati alla costruzione di un proget- to professionale personale attraverso la costruzione di una propria identità cultu- rale, sociale e professionale. Questo approccio metodologico rappresenta il know-how specifico sviluppato dal sistema lombardo della formazione professionale, in particolare per quanto con- cerne le attività di formazione rivolte all’utenza adolescenziale e giovanile attuate negli ultimi decenni. Infatti, una delle specificità che la formazione professionale ha sviluppato è rappre- CIOFS-FP 160 sentata dall’approccio metodologico centrato sull’ “apprendimento attraverso il fare”, cioè su un processo che, attraverso una rielaborazione critica dell’esperienza, porta allo sviluppo di autonomia e consapevolezza personale oltre che allo svilup- po di capacità operative e ricollega i concetti teorici e astratti all’esperienza effet- tuate, favorendone così l’acquisizione. L’approccio descritto (definibile “pedagogia del compito”) si realizza sia attraverso una progettazione integrata del percorso formativo che attraverso la modalità dell’alternanza formativa (stage, tirocini in azienda integrati nel percorso formativo). Tale metodologia, di tipo induttivo, è inoltre particolarmente rispondente alle esi- genze formative e agli stili di apprendimento di molti allievi iscritti: una delle chiavi del successo del percorso formativo dal punto di vista metodologico è data dalla ricchezza della strumentazione didattica messa in campo dai formatori e dalla capacità professionale di utilizzare al meglio le diversificate tecnologie formative. In questo senso il Progetto sostiene l’adozione di didattiche attive (casi, simulazio- ni, esercitazioni guidate, giochi didattici ecc.) supportate da tecniche di animazione e conduzione di gruppi in apprendimento. Come pure promuove l’utilizzo di ap- procci come la metodologia dei “centri di interesse” (personale, sociale, lavorati- vo) o del “lavoro cooperativo”, che puntano ad un metodo di apprendimento partecipato e non “esclusivamente deduttivo”, con un approccio amichevole che valorizza l’esperienza dei giovani e conduce in modo induttivo verso traguardi di sapere soddisfacenti orientati a compiti concreti, valutati sulla base di specifiche performance. Coerentemente si sta definendo e sperimentando la conseguente metodologia valutativa. 4.4. Le risorse umane: diversificazione delle funzioni e sviluppo professionale La Sperimentazione prevede l’impiego di risorse umane in grado di gestire il pro- cesso formativo e di apprendimento in modo coerente con l’approccio metodologico adottato. In particolare le strutture formative coinvolte nella pro- getto si avvalgono di una equipe di formatori di Centro in grado di ricoprire le seguenti funzioni: coordinamento, tutoring, orientamento, formazione/docenza. Al- l’interno della Sperimentazione sono inoltre previste attività di screening e svilup- po delle risorse umane impiegate, con l’obiettivo di formalizzare e valorizzare le competenze possedute e incrementare e aggiornare quelle ritenute peculiari per la gestione dell’approccio formativo proposto. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 161 Le strutture formative impegnate nel Progetto sperimentale si avvalgono di perso- nale, assunto a tempo indeterminato o a collaborazione professionale, in possesso delle competenze richieste per gestire l’intervento. Le principali funzioni ricoperte dal personale formativo sono le seguenti. ‰ Coordinatore - Figura che ha il compito di guidare l’équipe dei formatori coin- volti nella gestione progettuale, organizzativa ed amministrativa dell’intervento interfacciandosi con la Direzione ed il Responsabile amministrativo e con il Gruppo di progettazione a livello di settore, in particolare presiede alle fasi di progettazione e programmazione didattica (piano formativo), coordinamento degli interventi dei singoli formatori. ‰ Tutor - Figura che svolge funzioni didattiche connesse alla facilitazione dell’ap- prendimento all’interno del gruppo classe, alla gestione delle dinamiche dei gruppi in apprendimento, al supporto individualizzato all’allievo in termini orga- nizzativi e motivazionali, alla progettazione ed organizzazione della parte personalizzata del percorso formativo, alla progettazione e realizzazione dello stage. ‰ Orientatore - Figura che presidia in stretto raccordo con le altre figure del- l’équipe di Centro, le fasi di accoglienza, orientamento ed accompagnamento, curando in particolare, con un’attenzione specifica rivolta alla persona, il positi- vo inserimento del giovane nel gruppo-classe, la costruzione e la verifica in itinere di un progetto professionale personalizzato e la fase di accompagnamento al lavoro. ‰ Formatore/docente - Figura esperta di contenuti formativi e di gestione dei processi di insegnamento-apprendimento che opera in coerenza con il proget- to ed in stretta collaborazione con i colleghi dell’équipe di Centro. 5. I punti qualificanti del modello formativo Dall’avanzamento della Sperimentazione emergono alcun ulteriori elementi carat- terizzanti il modello formativo. 5.1. Apprendimento non (solo) disciplinare ma integrato sulle competenze Il concetto di competenza, intesa come piena padronanza della persona rispetto alle conoscenze, alle tecnologie ed ai processi dell’ambito lavorativo e sociale di CIOFS-FP 162 riferimento costituisce uno degli assi portanti del percorso formativo. Ciò che si persegue non è infatti l’abilità fine a se stessa, quanto la maturazione nell’allievo di una cultura professionale e sociale che assuma il lavoro entro un quadro di riferi- menti valoriali culturali, sociali, etici e non meramente strumentali o funzionali. Intorno alle competenze si realizzano nuclei (Unità) di apprendimento che preve- dono una forte e sostanziale circolarità di capacità personali, conoscenze, abilità. Ogni attività operativa si coniuga sempre con un’attività di riflessione sui significati dell’agire, mentre ogni sapere teorico trova continuo collegamento ed applicazio- ne in azioni concrete. Ciò in una prospettiva di formazione integrale ed unitaria della persona, comprese quindi le abilità personali quali la consapevolezza di sé, la comunicazione e relazione con gli altri, la disposizione all’autonomia, alla responsa- bilità ed alla soluzione dei problemi, il rispetto delle regole organizzative, la capaci- tà di apprendere dall’esperienza. 5.2. L’orientamento e l’accompagnamento al lavoro come servizi di supporto al percorso formativo Il percorso formativo presenta una valenza orientativa di accompagnamento in itinere del giovane nella costruzione di un proprio progetto professionale e perso- nale attorno ad una identità culturale, sociale e professionale. A partire dalla fase di accoglienza/primo contatto, per proseguire con i colloqui iniziali di orientamento per giungere all’attività di bilancio delle esperienze e delle competenze sino al possibile riconoscimento/certificazione dei crediti formativi. L’attività di orientamento peraltro viene svolta non in una specifica fase, ma lungo tutto l’iter formativo dando luogo sia a momenti informativi riguardanti il lavoro (mercato del lavoro locale, settore/ruolo professionale, diritti/doveri del lavorato- re, diverse caratteristiche dei contratti di lavoro, ecc.) e la formazione (opportuni- tà per proseguire la preparazione culturale, professionale, servizi di consulenza a disposizione, ecc.) che a momenti di verifica e confronto nella costruzione del progetto professionale personale gestito attraverso colloqui mirati da parte dell’orientatore. Il progetto prevede inoltre la costituzione di un servizio di accompagnamento al lavoro che inizia con l’attività di stage (secondo e terzo anno) e prosegue con l’acquisizione delle tecniche fondamentali di ricerca del lavoro (costruzione del curriculuum, gestione di colloqui di selezione, strategie e modalità di contatto e XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 163 ricerca delle informazioni ecc.), il supporto nella fase di ricerca del lavoro e/o di inserimento lavorativo e la possibilità di raccordo con altri percorsi di istruzione o formazione professionale. 5.3. Riconoscimento dei crediti scolastici e formativi La Sperimentazione garantisce l’acquisizione, nel corso del programma formativo triennale, di crediti formativi corrispondenti a quelli previsti per l’assolvimento dell’obbligo scolastico, certificabili attraverso le modalità definite all’art. 3 della Con- venzione tra Istituti scolastici e Centri. Nessun percorso vede preclusa la possibi- lità di un passaggio ad altri, sia all’interno del sistema di FP che dal o verso il sistema scolastico. Tali passaggi verranno gestiti attraverso l’implementazione di laboratori di recupero e sviluppo degli apprendimenti e l’attivazione di misure di personalizzazione. Il passaggio da un indirizzo di studi all’altro è favorito da un’intesa non automatica ma consensuale tra organismo inviante ed organismo ricevente che preveda anche moduli integrativi più o meno intensi, a seconda della maggiore o minore vicinanza degli indirizzi. 5.4. Misure di personalizzazione: flessibilizzazione del percorso formativo Un aspetto qualificante del Progetto è dato dall’adozione di misure di personalizzazione atte a rendere più flessibile il percorso formativo e consentire attenzioni educative e formative alle caratteristiche ed ai bisogni specifici di ogni singolo allievo: ai diversi stili di apprendimento e metodi di studio, alle necessità di approfondimento e/o di recupero, alle “soluzioni diversificate” che occorre mette- re in campo nella gestione di “casi personali”, che richiedono un surplus di risorse e progettualità. La personalizzazione avviene comunque in un contesto-classe, dove il gruppo co- stituisce una delle leve dell’apprendimento. Ciò vale anche nel caso in cui si debba- no delineare sottogruppi differenti, che non costituiscono una sorta di corsi a sé stanti, ma rappresentano articolazioni dei gruppi-classe originari per la gestione di attività: recupero e/o di approfondimento. CIOFS-FP 164 6. Conclusioni: linee di sviluppo e approfondimento Il presente articolo non aveva l’obiettivo di presentare nei dettagli il progetto sperimentale che l’ATS lombarda sta realizzando ma solo quello di consentirne una prima conoscenza generale. Rimandiamo quindi a più ampio articolo l’approfondi- mento delle diverse tematiche correlate, in particolare: ‰ i primi esiti operativi del percorso (positivi i primi riscontri in termini di tenuta e di frequenza alle attività); ‰ alcune linee di lavoro e sviluppo particolarmente interessanti (progettazione, valutazione, portfolio, alternanza formativa); ‰ prospettive future. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 165 VI.5 UN MODULO DI FORMAZIONE INTERAZIENDALE BEATRIZ ZAFRA Camaras - Spagna Vorrei innanzi tutto ringraziare il CIOFS-FP per avermi dato l’opportunità di rac- contare quale è stata l’esperienza in Spagna, per quanto concerne il legame scuola- impresa. Sicuramente non riuscirò a descrivere nel dettaglio ed in modo esaustivo tutta la nostra esperienza, tuttavia durante la sessione dedicata al dibattito avremo modo di approfondire l’argomento; inoltre, nell’ultima diapositiva che vi mostrerò, ho indicato il mio indirizzo di posta elettronica per permettervi di comunicarmi qual- siasi cosa desideriate approfondire. Inizio quindi col dirvi che nel 1990 in Spagna fu approvata una Legge definita comunemente LOGSE ossia Legge di Ordinamento Generale del Sistema Educativo. Si tratta di una Legge di riforma del sistema educativo dai tre anni di età all’università. Essa si riferisce tuttavia in modo particolare alla formazione professionale, princi- palmente nei legami che essa ha con il sistema educativo, con l’istruzione obbliga- toria, l’istruzione secondaria e soprattutto, cosa che più ci riguarda in questo momento, il suo legame con il sistema produttivo. Il sistema delineato dalla LOGSE è stato recentemente perfezionato da una Legge approvata nel 2002, la Legge Organica di Qualificazione e Formazione Professionale. Tutto ciò dimostra che in Spagna si stanno applicando le raccomandazioni del- l’Unione Europea delle quali ci ha già parlato Olga Turrini. Infatti, ciò che tenta di fare questa nuova legge è mettere in relazione la formazione professionale “acca- demica” con la formazione necessaria ai lavoratori per accedere al mondo del lavoro, ciò che in Spagna definiamo qualificazione. In questa diapositiva potete vedere il sistema formativo spagnolo che, da quanto ho potuto ascoltare oggi, non si differenzia poi molto da quello italiano; ho indicato CIOFS-FP 166 solo il sistema a partire dai 13 anni, perché quello che precede quest’età fa parte dell’istruzione infantile. Vorrei però attirare la vostra attenzione sul fatto che la formazione professionale, che si trova nella parte centrale dello schema e precisa- mente nei tre schemi centrali, rappresenta tre livelli molto diversi. La formazione professionale come tale, in Spagna, è divisa in due cicli. Cicli di grado medio, rappresentati dal riquadro a metà dello schema, e cicli di grado superiore, rappresentati nei riquadri nella parte superiore della dispositiva. I programmi di garanzia sociale, rappresentati nel riquadro inferiore, sono disponi- bili per gli alunni che, per necessità educative o per insuccesso scolastico, non sono in grado di ottenere il titolo di istruzione secondaria obbligatoria. È importante sottolineare che questo sistema creato attraverso la LOGSE fa sì che tutte le scelta di formazione professionale abbiano come obiettivo l’immedia- to inserimento lavorativo. Dunque, a partire dall’anno 1993 le Camere di Commercio hanno iniziato a colla- borare con le amministrazioni dell’istruzione affinché potesse essere raggiunta questa unione del mondo del lavoro con il mondo dell’impresa. La nostra missione è soprattutto quella di sostenere l’impresa nella sua opera di formazione, che ora andiamo ad esaminare. L’azione formativa dell’impresa si svol- ge attraverso la creazione del materiale pedagogico di cui ho portato un esempio. Questa è, infatti, una guida pratica destinata ai tutors delle aziende che sono a contatto con gli alunni, costituita da due cd-rom nei quali è contenuta tutta la formazione professionale in Spagna, tutta la forza formativa ecc. Infine l’ultimo esempio che vi mostro è il nostro ultimo manuale. Questa diapositiva mi serviva solo per comunicarvi che in Spagna ci sono 22 fami- glie professionali, mi sembra di aver letto in una delle pubblicazioni che mi sono state consegnate che in Italia ne esistono 17. In Spagna esistono appunto 22 fami- glie e attualmente 141 cicli, poiché nell’ultimo mese ne sono stati approvati tre nuovi. Divisi come ho detto precedentemente in cicli di grado medio e cicli di grado superiore. La cosa importate di questa riforma, e soprattutto la più importante ai fini del tema che stiamo trattando, è che nella progettazione di ciascuno di questi cicli formativi si è avuta la presenza attiva di tutti i relativi settori produttivi. Tutta la riforma è stata attuata con équipe miste provenienti dal mondo dell’istru- zione e dal mondo imprenditoriale, come si può vedere in questa diapositiva. Il XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 167 settore produttivo comunicava le sue necessità per permettere al settore formativo di tradurre le esigenze dell’impresa in un programma formativo. Quindi il coinvolgimento dell’impresa in questa fase del progetto fornisce una garanzia di coerenza con la domanda che il sistema produttivo si aspetta. I cicli formativi hanno una struttura modulare, sono cioè composti da moduli, come si può vedere nel lato destro, e che si possono distinguere in tre tipi di moduli. 1 I moduli che sono eminentemente professionali sono associati alle cosiddette unità di competenza. 2 I moduli traversali sono associati a varie unità di competenza. 3 I moduli individuali, all’interno dei quali troviamo il modulo di Formazione in Centri di Lavoro, che andrò di seguito ad approfondire. Ne deriva che all’interno dei Moduli di Formazione in Centri di Lavoro interven- gono agenti che fanno parte del gruppo docente e di quello imprenditoriale e tutti devono muoversi all’interno di uno stesso schema di funzionamento e soprattutto devono avere gli stessi obiettivi. Entriamo nel dettaglio dell’analisi del Modulo di Formazione in Centri di Lavoro, ossia l’esperienza spagnola, e successivamente vi racconterò un po’ quali sono stati i risultati dell’anno 1990, anno in cui è stata ratificata la Legge, ad oggi, tenen- do presente che dal momento dell’approvazione al momento dell’effettiva applica- zione della Legge sono trascorsi degli anni, quindi possiamo affermare che l’espe- rienza spagnola è relativamente giovane. La cosa principale per quanto riguarda questo modulo è che si tratta di un modulo obbligatorio, necessario al fine di ottenere il titolo di formazione professionale. Per poterlo seguire, al contrario degli altri moduli, è però necessario aver supera- to tutti i moduli precedenti. Gli alunni che realizzano questo modulo hanno fra i 17 ed i 18 anni per quanto concerne il ciclo medio e 20 anni per il grado superiore. Dico ciò perché dall’età degli alunni si può capire se hanno la capacità e la maturità per accedere al mondo produttivo. Normalmente la pratica si realizza in un perio- do lavorativo, mai durante le vacanze. Il periodo di realizzazione dipende da cia- scun ciclo, cioè da ciascuno dei 141 cicli dei quali ho parlato in precedenza, gene- ralmente si tratta di un periodo compreso tra settembre e dicembre, se si tratta di cicli corti, e tra gennaio e giugno se si tratta di cicli lunghi. Il modulo professionale di Formazione in Centri di Lavoro è quindi, come detto, un CIOFS-FP 168 blocco di formazione specifica che si sviluppa all’interno dell’azienda ed è obbliga- torio per ottenere il titolo. Si concretizza nella realizzazione di pratiche precedentemente programmate. La caratteristica più rilevante della formazione è quindi il fatto che si sviluppa all’interno di un ambito produttivo reale, infatti, gli alunni si spostano nel sistema produttivo reale e non il contrario. È importante segnalare che una delle sue carat- teristiche è che gli alunni sono sempre guidati ed orientati da due persone, un tutor del centro educativo ed un tutor dell’impresa. Questo modulo formativo, detto comunemente CFT, sicuramente ha fomenta- to in Spagna un decisivo salto qualitativo per quanto concerne la formazione professionale. Cerchiamo di analizzare il programma formativo. Prima della riforma in Spagna, quando terminava la formazione professionale si poteva effettuare un praticantato presso le aziende, ma si trattava di un praticantato volontario. Ciò che accadeva normal- mente era che agli alunni che avevano già terminato, cioè erano già in possesso del titolo, e si rivolgevano alle aziende erano dati incarichi marginali, gli veniva quasi chiesto di fare le pulizie. Proprio per questa ragione il programma formativo, oggi obbligatorio, è molto importante per la realizzazione del praticantato. Si tratta di un programma formativo che è pianificato, organizzato, sequenziale. È un programma formativo che si applica attraverso un metodo che oltre alla guida del tutor e del professore dell’azienda è, cosa ancor più importante per gli imprenditori, un programma valutato attraverso metodi predeterminati. Il programma formativo ha tre gruppi di elementi: il primo è appunto il fatto che si tratta di attività programmate, attività concrete che hanno una dimensione spazio- temporale concreta, che l’alunno deve sviluppare. Lo sviluppo di queste attività è principalmente formativo, esse, infatti, completano la competenza professionale che l’alunno ha appreso nel sistema formativo. In secondo luogo esso ha dei processi di realizzazione che si adattano alle caratteristiche concrete di ciascuna azienda e di ciascun alunno. E’ molto importante sottolineare che, nonostante possa sembrare un sistema rigido, esso è un sistema programmato fatto su misura per ciascun alunno secondo la sua situazione e la situazione dell’azienda presso la quale egli svolge il Modulo di Formazione in Centri di Lavoro. Possiamo notare qui i fattori derivanti dal titolo professionale, dall’organizzazione XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 169 di ciascuna azienda, le caratteristiche del centro educativo e le caratteristiche di ciascun alunno. Affinché l’intero processo sia utile è necessario effettuare, come detto all’inizio, una valutazione. La valutazione può essere di due tipi: - valutazione individuale - valutazione globale dell’intero processo. L’impresa centra la sua funzione valutatrice nei singoli aspetti e più concretamente in tre aspetti: nelle conoscenze tecniche che l’alunno acquisisce nell’azienda, nella realizzazione dei compiti a lui assegnati, cioè quelli definiti attitudini e abilità per il lavoro e infine l’inserimento professionale che l’alunno può ottenere una volta terminato il periodo di formazione. La valutazione globale viene svolta dall’amministrazione, poiché si dedica principal- mente a verificare se il sistema funziona, se le aziende fanno ciò che dovrebbero fare ecc. praticamente tutto ciò che è una valutazione globale del sistema. Questo è ciò che valutano le aziende. Una volta analizzato il Modulo di Formazione nei Centri di Lavoro, vediamo quali sono i benefici che questo legame tra scuola ed impresa suppone. Abbiamo visto in primo luogo che le risorse utilizzate parlando di lavoratori del- l’impresa, di alunni e professori, sono state motivate vedendosi a confronto con schemi di lavoro o di apprendistato diversi da quelli ai quali erano stati abituati nel corso della loro vita. Inoltre, uno dei vantaggi che più sono emersi da tutti gli agenti formativi è la possibilità di negoziati occupazionali con maggiori garanzie. Secondo l’ultimo studio eseguito dalle Camere di Commercio, il 60% degli alunni rimane nelle aziende dove ha svolto il praticantato. Infatti, egli così è già in posses- so di un contratto. Tutto il periodo nel quale l’alunno svolge il praticantato presso l’azienda non rappresenta mai un costo per l’azienda stessa. In Spagna, infatti, è stato notato che solo attraverso la collaborazione con l’impresa è possibile fare dei progressi verso un modello efficace, che possa oltretutto garan- tire agli alunni una competenza professionale. Questo processo tuttavia ha dei costi, ma l’investimento supera sempre il costo che l’attuazione del programma potrebbe creare ai diversi agenti. Vedo che ormai non mi rimane più molto tempo. Tralascerò il resto della mia pre- sentazione, che descrive le responsabilità che ciascuno degli agenti ha, che avete nella documentazione ricevuta. CIOFS-FP 170 Termino qui per lasciare quindi spazio ai miei colleghi. Vorrei solo aggiungere che l’esperienza vissuta in Spagna con la creazione di questo Modulo di Formazione Professionale è stata senz’altro molto positiva. Certamente ci sono state delle difficoltà, perché non è giusto come spesso accade in certi forum dire che tutto è stato positivo e perfetto, perché non è così. Però i dati che abbiamo in quanto ad inserimento occupazionale degli alunni provenienti dalla for- mazione professionale ci incoraggiano a seguire questo cammino. Il 60% di loro trova lavoro nelle aziende presso le quali ha realizzato il praticantato, mentre quasi l’80% trova un lavoro prima che siano trascorsi tre mesi. Inoltre per la prima volta, mi verrebbe da dire quasi, nella storia della Spagna è aumentato il numero degli iscritti alla formazione professionale e diminuisce il numero di immatricolati presso le università. Credo che sia tutto. Non voglio annoiarvi oltre, vorrei solo ringraziarvi per avermi ascoltata e per avermi permesso di presentare questa esperienza. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 171 CIOFS-FP 172 XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 173 CIOFS-FP 174 VI.6 PROGETTO SPERIMENTALE DI ORIENTAMENTO ALL’OBBLIGO FORMATIVO ROCCO GIUSEPPE MAGGIO APOF - Agenzia Provinciale Orientamento e Formazione Professionale Una delle innovazioni più importanti introdotte negli ultimi decenni nel sistema formativo italiano é rappresentata dall’obbligo formativo fino al diciottesimo anno di età, istituito con la legge 144 del 1999. Questa legge rappresenta per il nostro Paese un importante passo avanti verso l’obiettivo strategico dell’innalzamento del livello di qualificazione della popolazio- ne, finalizzato al mantenimento della competitività del sistema in grado di fronteg- giare le continue sfide dell’economia globale. Sviluppando ed ampliando l’offerta di istruzione e di formazione, la legge sull’obbli- go formativo individua la strada per contenere gli elevati tassi di insuccesso che hanno da sempre caratterizzato il nostro sistema scolastico e si propone altresì, come finalità primaria, di dotare i giovani di competenze di base e specialistiche, in maniera tale da consentire agli stessi di potersi misurare positivamente con il mercato del lavoro, attraverso il superamento di quella condizione di debolezza derivante dall’essere privi di un titolo di studio o di una qualifica. La suddetta legge viene così a valorizzare la componente formativa quale strumen- to centrale, teso a facilitare e supportare l’inserimento dei giovani nella vita attiva, oltre che a sostenerli nella transizione scuola-lavoro. In tal modo, questa riforma contribuisce a rimotivare gli studenti riducendo i tassi di abbandono, attraverso il diritto di esercitare consapevolmente la scelta di un percorso il più aderente possibile alle proprie esigenze di apprendimento ed atti- tudini. Pertanto, un ragazzo di 15 anni ha la possibilità di scegliere di proseguire: nella scuola superiore per conseguire un titolo di studio; nella formazione profes- sionale per conseguire una qualifica; direttamente in azienda attraverso l’apprendi- stato. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 175 VITO SANTARSIERO APOF - Agenzia Provinciale Orientamento e Formazione Professionale Il progetto sperimentale di Orientamento all’Obbligo Formativo, definito e porta- to avanti congiuntamente dall’APOF e dai Centri per l’impiego della Provincia di Potenza, si è messo in questa direzione perseguendo l’obiettivo di produrre cam- biamenti significativi nel governo delle dinamiche del mercato del lavoro, renden- do più fluidi i meccanismi di incontro tra domanda ed offerta di lavoro. Questa sperimentazione, che ha reso un gruppo di adolescenti maggiormente consapevoli della propria esistenza e capaci di muoversi responsabilmente e creativamente di fronte alla nuova realtà sociale e culturale, ha altresì recuperato esperienze positive, maturate dai diversi attori attraverso l’offerta dei servizi orien- tativi di qualità omogenei per tutto il territorio ed integrati con gli altri soggetti istituzionali impegnati (scuola, università, enti locali, organizzazioni aziendali). Nell’ambito di questo progetto sono stati coinvolti 118 ragazzi, di cui il 55% ma- schi e il 45% femmine. Le aree territoriali prese in considerazione sono state cinque, coincidenti con le sedi dei Centri per l’Impiego della provincia: il potentino, il lagonegrese, il vulture melfese, il senisese e la Val D’Agri. La sperimentazione del percorso di orientamento, della durata di 100 ore, ha previsto 10 ore di accoglienza/informazione e 90 ore di formazione orientativa, complessivamente articolata in 6 fasi: l’accoglienza/informazione, l’esplorazione, l’analisi delle risorse, la conoscenza e l’interazione con l’ambiente, progetto perso- nale e piano di azione, valutazione. La seconda parte ha visto i ragazzi protagonisti nell’esplorazione diretta del mon- do del lavoro attraverso visite in aziende e sperimentazioni in laboratori. In tal modo essi hanno avuto la possibilità di confrontarsi nelle diverse situazioni di apprendimento. L’obiettivo è stato anche quello di conoscere le opportunità formative presenti sul territorio, cercando di individuare e selezionare aree pro- fessionali possibili. Successivamente in aula si è passati alla rielaborazione individuale e di gruppo di quanto vissuto all’esterno, al fine di analizzare, verificare e confrontare attitudini/ aspettative degli allievi, con la complessità del contesto formativo e lavorativo a CIOFS-FP 176 livello territoriale. La fase “progetto personale e piano di azione” ha rappresentato il punto di arrivo di tutto il processo/percorso di orientamento perché ogni ragazzo, supportato dall’équipe di orientamento, ha formalizzato la propria scelta professionale con la costruzione di un piano di azione. Ogni scelta ha fatto riferimento ai tre possibili percorsi da intraprendere: il rientro a scuola, l’avvio di un percorso all’interno della formazione professionale, l’attiva- zione di un contratto di apprendistato. La fase finale, la valutazione del percorso orientativo, ha coinvolto sia gli utenti che le loro famiglie nella rilevazione del grado di soddisfazione dell’intera esperienza. L’approccio orientativo di tipo psico sociale ha individuato nella flessibilità l’ele- mento in grado di individuare adeguate risposte alla complessità dell’ambiente circostante. L’intero progetto, di carattere sperimentale, si è caratterizzato soprattutto nel- l’azione sinergica di soggetti istituzionali e non, risorse anche professionali, stru- menti e spazi coinvolti. Diversi gli elementi di forza che ne hanno qualificato l’azione tra cui, a livello didat- tico, l’utilizzo di metodologie attive, le attività di laboratorio, le uscite didattiche presso aziende presenti sul territorio, l’elaborazione del progetto personale, gli incontri con i testimoni privilegiati, la stipula del contratto formativo sottoscritto dagli operatori, dagli utenti e dalle famiglie, i percorsi individualizzati, i mini semina- ri informativi rivolti anche alle famiglie. A livello organizzativo invece, sono da evidenziare: gli incontri periodici di équipe tra le diverse strutture, a livello locale e di area, il coinvolgimento delle famiglie nei diversi momenti, la rete istituzionale a livello territoriale, la documentazione del- l’intera esperienza. Questo progetto ha presentato anche alcuni elementi di criticità come la numerosità dei gruppi d’aula, le difficoltà legate ai trasporti, l’individuazione e l’organizzazione degli spazi, gli stereotipi culturali nei confronti del momento educativo e del lavo- ro, il sistema valoriale, la stessa rete istituzionale che ancora ha necessità di ridefinirsi o di definire le modalità di ricorso e di transizione dei giovani da un sistema all’altro. Chiaramente la complessità e la ricchezza della proposta elaborata ha presupposto un continuo riformulare le azioni per determinare un cambiamento a cerchi con- centrici: persona, ambiente formativo, ambiente sociale circostante. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 177 Attualmente è in corso il primo anno di formazione, all’interno del quale continua l’approccio sperimentale con la costituzione di gruppi classe con sbocchi profes- sionali diversificati; le attività di laboratorio svolte direttamente in aziende; l’attiva- zione di laboratorio espressivi; l’attività di ricerca sul territorio; il coinvolgimento di soggetti esterni, istituzionali e non; il counselling individuale e di gruppo. Un percorso suggestivo e responsabile quindi, che individua nel passaggio dagli effettivi bisogni degli individui all’esplicita domanda di apprendimento l’elemento caratterizzante. Non si possono però non sottolineare le continue difficoltà di raccordo tra le strategie individuate e le concrete scelte quotidiane da effettuare. Resta però fondamentale la visione globale del processo formativo che vede coin- volti più protagonisti impegnati attivamente e responsabilmente per rispondere alle sfide che la stessa legge pone di fronte, al fine di migliorare l’occupabilità e la maggiore partecipazione dei nostri giovani alla vita sociale. VII. I SEMINARI XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 179 VII.1 INTRODUZIONE EMILIO GANDINI FORMA Nazionale Il plus valore del seminario ritengo stia proprio nei lavori di gruppo che hanno coinvolto tutti i partecipanti. I temi affrontati, come abbiamo avuto modo di senti- re, ci presentano uno scenario compiuto della riforma, almeno per la parte che ci tocca da vicino. Abbiamo avuto modo di ascoltare i risultati di questi lavori, diretti da testimoni che lavorano in prima linea per perseguire obiettivi che caratterizza- no la nostra specificità, attraverso metodologie che valorizzano il nostro patrimo- nio culturale, educativo, professionale e che, soprattutto, mettono il giovane e la persona al centro di ogni attenzione e di ogni azione in campo formativo, in campo sociale e lavorativo. I risultati dei lavori di gruppo, credo di interpretare anche i cinque coordinatori, non vogliono rappresentare la soluzione ai problemi, (saremmo presuntuosi e autoreferenziali, formacentrici, se solo lo pensassimo); vogliono essere un contri- buto, perché questo è lo spirito che caratterizza il seminario, da condividere con quanti hanno responsabilità politiche, sociali, educative; vogliono essere patrimo- nio per tutti noi: dirigenti, formatori, genitori, educatori che ci impegniamo nel campo della formazione per concretizzare le azioni più opportune ed efficaci. Il metodo è pertanto quello del dialogo, un dialogo aperto e sincero, come lo è stato finora, che porta ad integrare i sistemi, perché mette attorno allo stesso tavolo i soggetti che contribuiscono a fare sistema. Questo spiega la presenza oggi, a conclusione del nostro seminario, del Ministero dell’Istruzione, attraverso la videoconferenza con il Sottosegretario Valentina Aprea, l’invito a partecipare del Sottosegretario al Ministero del Lavoro in delega alla Formazione, Pasquale Viespoli, la presenza dell’Assessore Buffardi per la Regione Campania, che ha il coordinamento delle Regioni nel campo dell’Istruzione, e Gaetano Volpe che per la Regione Puglia partecipa ai lavori del coordinamento delle Regioni in tema di formazione professionale. CIOFS-FP 180 È proritario per noi sentire la loro voce, il loro punto di vista, non solo sull’accordo che hanno sottoscritto a giugno per l’avvio della sperimentazione in attesa dei decreti attuativi, ma soprattutto per quanto hanno potuto ascoltare dai lavori di gruppo. In questo contesto la presenza dei genitori, come ben diceva Irene Gatti, è impor- tante; portavoce dei genitori in questo seminario è Giuseppe Richiedei dell’AGe. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 181 VII.2 IL METODO E I PERCORSI DELL’OBBLIGO FORMATIVO NEL SISTEMA DELLA IEFP DARIO NICOLI Università Cattolica di Milano Aspetti generali Il sistema disegnato dalla legge 53/2003 prevede una chiara ispirazione educativa e personalistica che mira a “favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, delle differenze e dell’identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori” (art. 1) ed a promuovere “l’apprendimento in tutto l’arco della vita e assicurare a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le compe- tenze, attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, anche con riguardo alle dimensioni locali, nazionale ed europea” (art. 2). Esso prevede inoltre: ‰ una struttura a due percorsi (o canali) con il riconoscimento della pari dignità tra istruzione e formazione professionale; ‰ la garanzia della autonomia degli organismi formativi, non più vincolati da standard rigidi e regole che condizionano la didattica, ma liberi di sviluppare piani forma- tivi personalizzati in coerenza con il profilo educativo, culturale e professionale e tenendo conto delle indicazioni regionali; ‰ la possibilità di una pluralità di offerte formative, coerentemente con il Profilo educativo, culturale e professionale e con le Indicazioni regionali, prevedendo in particolare percorsi destrutturati, fortemente personalizzati, svolti tramite La- boratori di recupero e sviluppo degli apprendimenti sia interni sia esterni al Centro. I percorsi formativi che si intendono realizzare risponderanno ai seguenti principi: CIOFS-FP 182 a) Si ispirano al criterio metodologico fondamentale della centralità dell’allievo e del suo successo formativo. b) Si fondano sul profilo educativo, culturale e professionale comune al secondo ciclo del sistema educativo in relazione alla comunità professionale di riferimento. Essi enfatizzano pertanto le competenze che identificano la disposizione parti- colare del soggetto ad essere protagonista della cultura del lavoro come parte- cipazione responsabile e dotata di senso. c) Forniscono una formazione più ampia e più ricca della qualifica o del lavoro scelto, superando la prospettiva specialistica per quella più ampia e aggregata della comunità professionale, in riferimento ad uno scenario professionale forte- mente dinamico. Il disegno formativo proposto prevede la continuità da un lato con la formazione in servizio, e dall’altro con le ulteriori formazioni di diploma e di diploma superiore. d) Richiedono nei formatori l’atteggiamento professionale predominante della pro- gettazione, della creatività e dell’autonomia. Ciò significa mirare l’azione educativa ad obiettivi formativi significativi e motivanti per gli allievi, nella forma dei Piani Personalizzati degli Studi che ogni gruppo docente è chiamato a realizzare strut- turandoli in Unità di Apprendimento. e) Prevedono una metodologia formativa basata sulla didattica attiva e sull’appren- dimento dall’esperienza, ovvero su compiti reali. f) Richiedono l’adozione di una valutazione “autentica” che miri a verificare non solo ciò che un allievo sa, ma ciò che “sa fare con ciò che sa” fondato su una prestazione reale e adeguata dell’apprendimento che risulta così significativo. g) Prevedono l’utilizzo nell’attività formativa di personale che presenti requisiti di motivazione, preparazione ed esperienza coerenti con le necessità richieste dalla modalità formativa individuata. h) Richiedono un’azione di rete condivisa fra più organismi che operano in rappor- to alla stessa utenza nel contesto territoriale di riferimento, al fine di qualificare la proposta formativa. Metodologie Le previste privilegiano la didattica attiva e l’apprendimento dall’esperienza, centra- ta sulle competenze e sul profilo educativo, culturale e professionale del destinatario. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 183 Ciò significa realizzare il più possibile Laboratori di apprendimento (personali, sociali, professionali) specificati in compiti che richiedono una integrazione delle diverse discipline o aree formative coinvolte. Questo al fine di realizzare un approccio amichevole che valorizza l’esperienza dei giovani e conduce in modo induttivo verso traguardi di sapere soddisfacenti orientati a compiti concreti, valutati sulla base di specifiche performance. Inoltre, si valorizzano differenti modalità formative: - la Simulazione di impresa, da adottare in situazioni specifiche (es.: servizi all’impre- sa) che consentano di organizzare il percorso di apprendimento in forma ap- punto simulata ma secondo modalità assolutamente uguali a quelle adottate nella concreta attività economica; - la Scuola bottega, che risulta utile specie nell’ambito artigianale e nei contesti piccoli e con esigenze tali da non giustificare la realizzazione di corsi interi per qualifiche omogenee. Si sollecita pure l’adozione della la strategia della Alternanza formativa. Essa rappre- senta una strategia metodologica che consente - in riferimento al singolo allievo - di realizzare un percorso formativo coerente e compiuto nel quale si integrano reciprocamente attività formative di aula, di laboratorio ed esperienze svolte nella concreta realtà dell’organizzazione di lavoro e di impresa. L’alternanza formativa è autentica quando le diverse modalità formative che “si alternano” vengono a com- porre un percorso unico e continuo avente al centro la persona in formazione in riferimento al profilo educativo, culturale e professionale ed in stretta relazione con il contesto in cui opera la figura professionale di riferimento. Tale percorso è basato su un apporto reciproco di attenzioni, sensibilità, contenuti e metodologie; esso trae inizio da un progetto formativo definito congiuntamente dai due attori in gioco (la scuola/l’organismo di formazione e l’impresa) e si sviluppa attraverso una cura continua che prevede monitoraggio, verifica ed eventualmente correzio- ne e miglioramento lungo tutto il cammino formativo. La strategia metodologica individuata richiede l’adozione della “valutazione autenti- ca” ovvero l’approccio tipico di un apprendimento significativo che riflette le espe- rienze di apprendimento reale. L’enfasi va quindi posta sulla riflessione, sulla com- prensione e sulla crescita piuttosto che sulle risposte fondate solo sul ricordo di fatti isolati. L’intento della valutazione autentica è quello di coinvolgere gli studenti CIOFS-FP 184 in compiti che richiedono di applicare le conoscenze nelle esperienze del mondo reale. L’attività di valutazione prevede in particolare due prodotti: - una scheda valutativa sintetica, sommativa, riferita alle aree formative previste, sul- la base di un criterio metodologico comune, ed inoltre comprendente un profi- lo finale dell’allievo; - il portfolio delle competenze individuali che viene rilasciato nella sua parte essen- ziale all’allievo, al fine di documentare le competenze acquisite con specificazio- ne sia delle attività svolte sia dei livelli di padronanza raggiunti. Il portfolio rappresenta una raccolta significativa dei lavori dell’allievo che racconta la storia del suo impegno, del suo progresso o del suo rendimento: si tratta pertanto di materiali che documentano ad altri una serie di prestazioni eseguite nel tempo e di cui l’allievo è orgoglioso. Tramite questo documento, è possibile capire la storia della crescita e dello svilup- po di una persona corredandola con materiali che permettono di comprendere “che cosa è avvenuto” dal momento della presa in carico della persona (che ri- chiede un’attenta osservazione delle sue capacità e acquisizioni previe) fino al momento della partenza, passando per le varie fasi di cui si compone il percorso formativo. Tramite il portfolio si intende: - dimostrare lo sviluppo di una competenza, ovvero un cambiamento progressivo nel tempo da parte dell’allievo, a partire dal suo profilo iniziale e considerando la padronanza delle conoscenze e delle abilità che ha saputo valorizzare nello svol- gimento dei compiti/prodotti (dimostrazione); - rendere possibile un’osservazione delle capacità e delle conoscenze/abilità pos- sedute dall’allievo nel suo percorso formativo, in relazione al progetto che egli si è posto (orientamento); - indicare i punti forti/punti deboli e le attenzioni del piano formativo personalizzato (formazione personalizzata); - esprimere un giudizio individualizzato e “autentico” - ovvero elaborato in consi- derazione dei diversi fattori in gioco - sul lavoro che ha svolto e sulle sue effet- tive acquisizioni (valutazione). Il portfolio delle competenze individuali è compilato ed aggiornato dal coordinatore- XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 185 tutor, in collaborazione con tutti i formatori che si fanno carico dell’educazione e degli apprendimenti di ciascun allievo. Per la parte relativa alla raccolta ed alla “etichettatura” dei materiali prodotti, esso è compilato ed aggiornato da ciascun allievo chiamato ad essere sempre protagonista consapevole della propria crescita. Le due dimensioni previste, orientamento e valutazione, si intrecciano in continua- zione perché l’unica valutazione positiva per l’allievo è quella che contribuisce a conoscere l’ampiezza e la profondità delle sue competenze e, attraverso questa conoscenza progressiva e sistematica, a fargli scoprire ed apprezzare sempre me- glio le capacità potenziali personali, non pienamente mobilitate, ma indispensabili per avvalorare e decidere un proprio progetto di vita. Indicazioni La tipologia di utenza che prevale nell’ambito dell’attuale formazione professionale è caratterizzata da persone che hanno avuto un’esperienza scolastica insoddisfacente. Ma si tratta verosimilmente di una caratteristica comune anche agli studenti dell’istruzione professionale ed in parte dell’istruzione tecnica. Ciò esige quindi un approccio che eviti di riproporre un metodo scolastico, per uno stile formativo, centrato sulla persona, con una didattica attiva e coinvolgente. Ne consegue un approccio metodologico fondato sulle seguenti opzioni: ‰ Collocare la persona nel contesto lavorativo, allontanandola dalla impostazione didattica, sviluppando un apprendimento per competenze. ‰ Passare dalla fase tradizionale - dove non erano contemplate alcune discipline, perlomeno non esplicitamente) ad una fase nuova centrata sulla personalizzazione e l’acquisizione di competenze che garantisca un bagaglio culturale più elevato. La maggiore difficoltà relativa a tale passaggio consiste nel correggere il disciplinarismo e lavorare per compiti ed unità di apprendimento. ‰ Distinguere tra obiettivi per i formatori ed obiettivi per gli allievi. Ciò porta a costruire un percorso di apprendimento che trasformi le capacità della perso- na in competenze, basato su compiti reali, con forte personalizzazione sia per chi presenta deficit culturali sia per chi desidera approfondimenti. ‰ Scelta della metodologia dei laboratori. Nell’ambito di un necessario approfondimento metodologico che viene sollecitato CIOFS-FP 186 dalla totalità dei partecipanti, si indicano le seguenti questioni. 1) Unità di apprendimento: si tratta di dar vita ad un approccio che escluda piani di dettaglio ma che punti ad piano formativo che si crea strada facendo. 2) Profilo dell’allievo: elaborazione di una metodologia di osservazione e di bilancio che consenta di mettere in luce le capacità e le risorse (conoscenze, abilità e competenze) di cui il soggetto è in possesso all’ingresso nel percorso formativo. 3) Interdisciplinarietà: elaborazione di materiali e raccolta di esperienze che favori- scono - in riferimento a specifiche comunità professionali - la gestione di piani formativi personalizzati basati su una lista di Unità di apprendimento conside- rate indispensabili e da adeguare alle caratteristiche contestuali. 4) Personale: attività di sensibilizzazione e di formazione che consenta la migliore valorizzazione professionale basata su una consapevole opzione metodologica, chiedendo a ciascuno ciò che sa fare meglio piuttosto che obbligare a stili educativi e formativi omologanti. 5) Amministrazione: ricerca della massima flessibilità dell’apparato amministrativo (orari, incarichi, registrazione), evitando che il processo di apprendimento sia condizionato da vincoli di altra natura, compresi quelli relativi al sistema di “garanzia” della qualità che in taluni casi manifestano una caratterizzazione amministrativa poco giustificabile rispetto al loro scopo originario. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 187 VII.3 LE PROSPETTIVE DELL’ISTRUZIONE E FORMAZIONE TECNICA SUPERIORE ANNA D’ARCANGELO Area Sistemi Formativi - ISFOL Ad oltre cinque anni dal suo avvio la filiera dell’Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS) ha triplicato l’offerta corsuale, che è passata dai circa 200 corsi della prima annualità di sperimentazione del 1998/99 ai 700 corsi relativi all’annualità di programmazione 2001-2002, con circa 10mila corsisti coinvolti. Questa nuova offerta va ad arricchire il sistema di opportunità formative di tipo post-secondario, fino ad ora costituito in misura consistente dal solo sistema del- l’istruzione universitaria e, per la parte non accademica, dai corsi di formazione professionale regionale di secondo livello, sviluppatisi a partire dalla seconda metà degli anni ottanta, anche sull’abbrivio delle linee di finanziamento comunitario in favore dell’inserimento lavorativo dei giovani diplomati. L’IFTS è una proposta di recente istituzione,1 nata per rispondere all’esigenza di formare figure professionali con percorsi formativi basati sull’apprendimento di consistenti contenuti tecnico-scientifici, ma molto orientati alla applicazione di tali contenuti nei contesti di lavoro, in grado di inserirsi nei processi produttivi carat- terizzati da innovazione tecnologica o di operare in ambiti e settori lavorativi connotati dall’utilizzo di livelli medio-alti di conoscenze e competenze. L’istituzione di questa tipologia di offerta formativa presenta un impianto organizzativo del tutto particolare: sono infatti quattro i soggetti formativi (scuole secondarie superiori, centri di formazione professionale, università ed imprese), obbligatoria- mente consociati in forme consortili e rappresentate da un Comitato tecnico scien- tifico, coinvolti nella progettazione e realizzazione degli interventi, in base ad una 1 L’articolo 69 della legge 144/99 ed il relativo decreto 430 dell’ottobre 2000 sanciscono l’istituzione ufficiale della filiera, il cui finanziamento è previsto dalla legge 440 e dai fondi Cipe, nonché dai fondi regionali e comunitari. CIOFS-FP 188 programmazione annuale stabilita e messa a bando dalle Regioni. Il carattere dell’ar- chitettura progettuale, afferente all’offerta formativa integrata, ha richiesto la costi- tuzione di un Comitato nazionale, preposto alla condivisione delle linee d’indirizzo della filiera da parte degli attori istituzionali e sociali coinvolti, tra cui il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, le Regioni, le Autonomie locali, le Parti sociali. L’impostazione metodologica degli interventi formativi prevede un monte ore va- riabile tra le 1.200 e le 2.400 e risente dell’influenza delle migliori pratiche di for- mazione postdiploma integrate con la formazione professionale e con il sistema impresa. Infatti, i parametri di qualità cui le iniziative formative devono necessaria- mente conformarsi comportano uno stage di durata pari al 30% del percorso e la presenza di docenti almeno per il 50% provenienti dal mondo del lavoro e delle professioni, a garanzia della forte permeabilità tra le conoscenze derivate dai con- tenuti teorici appresi e l’applicazione degli stessi ai contesti lavorativi. Fondante è anche l’approccio al tema dell’individuazione delle figure professionali, indicate dalla programmazione regionale e legate all’analisi dei fabbisogni per lo sviluppo locale, e tuttavia strutturate secondo una più ampia ottica di spendibilità delle competenze. L’IFTS si rivolge ad una differenziata gamma di destinatari, giovani e adulti diplomati o non diplomati, purché in possesso di esperienze formative e lavorative valutabili ai fini dell’accesso ai percorsi formativi per “tecnico superiore”. Al termine del per- corso si consegue il “Certificato di specializzazione tecnica superiore”, valevole su territorio nazionale e pensato in modo da certificare competenze leggibili anche nel contesto europeo e riferibili ad una formazione equivalente al IV livello euro- peo. È anche possibile il riconoscimento di crediti formativi per coloro che inten- dono farne richiesta per la prosecuzione dell’iter formativo in ambito universitario, in base ad accordi definiti tra le università e i Comitati tecnici scientifici di ciascun percorso formativo. È inoltre prevista, per quanti non completino il percorso, una “Dichiarazione intermedia delle competenze”, certificazione che attesta il tipo di competenze effettivamente conseguite e che rende possibile la loro spendibilità nella formazione ulteriore e/o nel mondo del lavoro. L’IFTS rappresenta in concreto “un laboratorio” di innovazione formativa, non già e non solo per l’originalità dell’impianto appena descritto (partenariato tra soggetti formativi, sistema di accesso aperto al riconoscimento di crediti anche di esperien- XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 189 ze lavorative e formative pregresse non formali, ecc.), ma anche per aver affrontato e messo a punto alcuni snodi di primaria importanza relativi alla messa a sistema della filiera. Uno di essi è senza dubbio il tema della sperimentazione degli standard minimi delle competenze di base e trasversali e tecnico professionali, per assicurare cono- scenze e competenze culturali e scientifiche comuni e per consentirne la certificazione riconoscibile sul territorio nazionale e comunitario, sulla base dell’individuazione di competenze comuni da possedere in esito ad un percorso, ascrivibili ad una figura professionale. Un lungo processo di approfondimento e condivisione sui presupposti teorici e sulle metodologie di lavoro ha coinvolto tutti gli attori istituzionali e sociali rappre- sentati nel Comitato nazionale e ha infine condotto l’individuazione degli standard minimi delle competenze, sia per il gruppo delle competenze di base e trasversali, sia per le tecnico professionali. Allo stato attuale i corsi programmati nel 2002-03 stanno sperimentando gli standard minimi delle competenze di base e trasversali, mentre gli standard minimi tecnico professionali, frutto di un’attività svolta dalle istituzioni, dalle parti sociali e dagli esperti di settore all’interno dei Comitati di Settore, sono in corso di approvazio- ne da parte della Conferenza Stato Regioni. Lo sviluppo e la progressiva messa a sistema della filiera sono stati accompagnati da una costante azione di monitoraggio e valutazione, condotta dall’ISFOL, su inca- rico del Comitato nazionale, che ha permesso di costruire una base di dati sui corsi realizzati, ricca di informazioni quali-quantitative. Per ottenere il quadro complessi- vo delle attività il monitoraggio - che raggiunge l’universo dei corsi programmati con un elevato tasso di copertura (sono stati monitorati in media oltre il 97% dei corsi programmati per ciascuna annualità) - si somministrano questionari postali, accompagnati da assistenza alla compilazione, a tutti i responsabili dei corsi, ai do- centi e tutor e agli allievi, durante le attività corsuali. Successivamente vengono selezionati campioni di docenti e di allievi per interviste telefoniche su aspetti valu- tativi, quasi al termine delle attività formative. Inoltre, vengono ascoltati i giudizi sulle attività svolte da parte dei responsabili e dei coordinatori dei corsi e vengono effettuati studi di caso per approfondimenti ed analisi valutativa. A completamento dell’attività di monitoraggio e valutazione, un campione di ex corsisti viene intervistato un anno dopo il termine del corso per conoscere gli CIOFS-FP 190 esiti formativi e l’impatto occupazionale. Il carattere ricorrente del monitoraggio e della valutazione, realizzato all’interno delle azioni di sistema del Programma Operativo Nazionale a titolarità del Mini- stero del Lavoro e delle Politiche Sociali, rende possibile l’analisi diacronica dello sviluppo della filiera e contribuisce al supporto delle decisioni in merito ai riorientamenti o miglioramenti da apportare. I risultati di tali attività mostrano, accanto ad un diffuso rispetto dei parametri basilari dell’impianto formativo ed organizzativo, gli elementi centrali da tener pre- sente per la successiva implementazione. Una prima considerazione riguarda il monte ore prescelto dalla maggioranza dei progetti formativi, che si concentra sulle 1200 ore complessive di formazione, tendenza che sembra sempre più affermarsi e che riguarda il 70% dei percorsi avviati nel 2000-2001. Alcuni indicatori mostrano con chiarezza come il partenariato, in particolare sul versante della collaborazione con il mondo del lavoro, sia efficace strumento di arricchimento della proposta formativa. All’interno del percorso, infatti, lo stage riveste un ruolo rilevante: la maggioranza dei corsisti ritiene che sia di particolare interesse e suggerisce una eventuale ampliamento di tale modalità di apprendi- mento. Gli utenti danno un giudizio positivo anche sulla spendibilità dei profili dei corsi, ritenuti dai tre quarti di essi piuttosto aderenti alle esigenze del mercato del lavoro. Si evolvono anche altri aspetti collegati al partenariato: risulta che il Comitato tecnico scientifico (CTS) si riunisca con cadenza ricorrente (in media sette incon- tri per anno formativo), soprattutto in vista di decisioni rilevanti per l’attività corsuale. I profili professionali oggetto della progettazione formativa fanno riferimento allo stato attuale a 37 figure individuate sulla base di un processo di analisi bottom-up, afferenti ai vari settori di produzione e servizi. Le figure, il cui elenco è corredato dalla descrizione delle rispettive attività principali, è stato approvato in sede di Conferenza Unificata Stato-Regioni. La scelta delle figure da mettere a bando per ciascun anno di programmazione è di competenza delle Regioni, che le selezionano in base alle priorità in termini di fabbisogni del territorio, con possibilità di declina- re ed adeguare i profili alle esigenze che maggiormente si evidenziano a livello locale. Dal monitoraggio emerge che è il settore dell’Informatica, Telematica e della Multimedialità a presentare la concentrazione maggiore di corsi, seguito dal settore XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 191 dell’Industria, dall’Agricoltura e Ambiente e dal Turismo. Per quanto riguarda le caratteristiche degli utenti si osserva una maggioranza di allievi provenienti dagli istituti tecnici e professionali, con una tendenza ad un co- stante aumento dei giovani con diploma liceale, anche di tipo umanistico. L’età dei corsisti iscritti appare in aumento: infatti mentre nel primo anno sperimentale la gran parte di essi si concentrava nella fascia 18-20 anni, nell’ultimo monitoraggio è la fascia di età compresa tra i 21 ed i 24 anni ad essere preponderante (37%), seguita dalla fascia compresa tra i 25-30 anni (28%), con una presenza di un 16% di corsisti ultra trentenni. Oltre il 30 % dei corsisti è occupato, il 25% di essi è iscritto all’università e l’11 % è laureato. Si iscrivono dunque ai corsi persone che vedono in questa proposta formativa una possibilità di acquisire competenze professionali spendibili per inserirsi nel mondo del lavoro e persone che intendono migliorare e sviluppare le loro potenzialità di arricchimento e di collocazione professionale. I risultati in termini di ricadute oc- cupazionali ci mostrano una situazione problematica al riguardo: se si considera il confronto tra la prima e la seconda annualità, il tasso netto di occupazione scende dal 44% al 35%, con un abbattimento di quasi 9 punti percentuali sulla quota di nuova occupazione. Se da un lato va sottolineato che questi dati vanno letti come una media nazionale e che appaiono ben diverse le connotazioni in termini di esiti se esaminate alla luce della ripartizione per area territoriale (si conferma una buona tenuta nel Nord, con +44% nel Nord est e +38% nel Nord ovest), la man- canza di misure di accompagnamento in uscita dai percorsi può già considerarsi un’area problematica cui porre maggiore attenzione in fase progettuale e di realiz- zazione. Resta inoltre da chiarire l’influenza che ha avuto sull’impatto occupaziona- le l’aumento dell’età dei corsisti: è infatti noto il non trascurabile peso della disoc- cupazione di lunga durata ai fini dell’inserimento o reinserimento occupazionale. Migliore risulta l’impatto della formazione ricevuta per gli occupati; i percorsi IFTS sembrano infatti rappresentare un volano per la formazione continua: il 30% degli occupati ha trovato dopo il corso una migliore e più coerente collocazione pro- fessionale. Il quadro di sintesi appena delineato mostra dunque una situazione in continuo sviluppo ed assestamento, fatto assolutamente fisiologico, se si pensa che i percor- si IFTS costituiscono una realtà formativa piuttosto recente. Non vi è dubbio inol- tre, che una proposta di arricchimento dell’offerta postsecondaria andava necessa- CIOFS-FP 192 riamente adottata in un sistema formativo caratterizzato da forte dispersione nell’alta formazione (ricordiamo che è solo un iscritto all’università su tre a laure- arsi). Tale fenomeno fa registrare ancora una carenza preoccupante di disponibilità di capitale umano, a fronte della necessità di disporre di un considerevole patrimo- nio di risorse qualificate, soprattutto nell’ambito scientifico-tecnologico. Del resto, le ipotesi di disegno di sistema tracciate dalla riforma dell’istruzione e formazione professionale in atto delineano un percorso di qualificazione professionalizzante a livello postobbligo, paritetico al sistema del canale liceale, la cui ulteriore prosecuzione potrebbe essere rappresentata proprio dalla formazio- ne tecnica superiore. In tal caso, a maggior ragione, occorrerebbe garantire una visibilità ed effettiva stabilità dell’offerta di formazione tecnica superiore, le cui procedure attuali di messa a bando rischiano di rallentarne, e talvolta impedirne, l’effettiva fruibilità su tutto il territorio nazionale. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 193 VII.4 ORIENTAMENTO E PERSONALIZZAZIONE NEL SISTEMA DELLA IEFP MARIA LUISA POMBENI Centro per le Transizioni al Lavoro e nel Lavoro Il gruppo ha accolto con entusiasmo la centralità dell’orientamento, che è apparso ovviamente nel disegno di riforma ma anche in tutti i ragionamenti fatti nel corso di questo seminario.Trovandoci fra addetti ai lavori, il gruppo era formato da ope- ratori che fanno orientamento o che sono inseriti nel gruppo dell’orientamento. Sono emerse non poche perplessità relative alla necessità di mettere ordine in questa tematica dell’orientamento, in quanto si è sviluppata in maniera spontaneistica, alle volte anche a discapito della qualità dell’intervento nei con- fronti dei destinatari finali che sono il vero interesse. Sembra giunto il momento di portare avanti in parallelo un discorso che tenda a ridefinire la diversità delle funzioni che possono e devono essere svolte dai diversi sistemi: il sistema dell’education in generale, prima che quello specifico dell’IeFP, insieme alle funzioni di altri sistemi, in primo luogo il sistema del lavoro che per lo specifico di questo percorso formativo ci vede interagire. L’idea è che comunque si vada verso una ridefinizione delle funzioni, delle professionalità interne ai diversi sistemi e del rapporto e collegamento intersistema. Si è cercato di ragionare su quello che potrebbe essere il contributo specifico dell’orientamento all’interno del sistema IeFP. È emersa una prima preoccupazio- ne: non vorremmo che la parte di orientamento che precede l’ingresso in questo percorso legittimi l’accesso a questo canale in base a criteri di riempimento o di risultati scolastici, perpetuando una discriminazione dei canali formativi. Sollecitia- mo, quindi, l’affrontare in modo importante l’orientamento in un ciclo preceden- te, riconoscendo alla funzione del docente un ruolo importante per creare quei prerequisiti, che sono poi necessari più avanti nel corso dell’esperienza, per cui i ragazzi imparano ad orientarsi considerando e intravedendo delle figure di ac- compagnamento, (tutorato orientativo). CIOFS-FP 194 A questo riguardo gli operatori del sistema della FP, nello specifico, hanno molto sottolineato l’importanza di procedere ad un lavoro di modifica della rappresenta- zione sociale attribuita a questo sistema, in quanto l’orientamento fino adesso ha agito a livello individuale. Emerge la necessità di modificare la dimensione dell’agire da individuale a sociale facendo confluire all’interno di questo canale altre tipologie di clienti. L’azione deve essere rivolta non solo a ragazzi della scuola media ma agli adulti significativi, insegnanti e famiglie, vista l’età dei ragazzi abbastanza precoce. Il tema delle famiglie è stato trattato in modo forte. È stata ipotizzata qualche possibile strategia riferita al diretto coinvolgimento delle famiglie anche attraverso interventi fra pari (famiglie e famiglie) non solo fra specialisti e famiglie; questo per favorire un dialogo orizzontale e per creare una sensibilità culturale e valoriale molto forte che in qualche modo accompagni i processi di crescita dei ragazzi soprattutto più svantaggiati. Si richiede un’azione di informazione più orientativa che tenda a riproporre un percorso in maniera meno stereotipata più appetibile ma anche più vicina alle specificità e alle differenze non penalizzanti e non negative. Da ultime abbiamo considerato quella che a nostro avviso poteva essere il ruolo specifico dell’orientamento dentro il sistema IeFP e si è fatta una distinzione fra due possibili funzioni. Da un lato una funzione di tutorato orientativo inteso proprio come un accompa- gnamento personalizzato lungo il percorso formativo, facendo in modo che diventi un’opportunità non solo sulla carta ma nella realtà. È importante aiutare i ragazzi nei vari segmenti di percorso a mantenere il senso e il significato della propria esperienza, perché il segmentare è positivo in quanto permette di aggiungere elementi ma facilita, anche, un certo disorientamento nella persona. Perdere il filo della propria esperienza formativa è abbastanza semplice per cui è fondamentale un’azione che aiuti a tenere alto questo significato, anche perché parallelamente permette degli aggiustamenti trasversali nel passaggio fra sistemi. L’altra funzione che abbiamo riconosciuto propria del sistema è quella di orienta- mento professionale nel senso più classico. È chiaro che esiste il problema di preparare una transizione al lavoro e l’elemento emerso nella logica di un percor- so triennale è quello di non ripetere ogni anno le stesse cose. Si rischia di non XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 195 sviluppare un obiettivo verticale che aggiunge competenze orientative ma tende in qualche modo a fossilizzarsi su alcuni obiettivi. L’ultima osservazione è che l’azione su questo obiettivo non deve essere fatta in maniera isolata: il raccordo con il sistema dei servizi, del sistema lavoro (aziende, sistema locale, servizi ecc) è fondamentale, altrimenti ci si ferma su un livello teori- co/ astratto che sicuramente non facilita l’inserimento lavorativo effettivo alla fine del percorso. È stata richiamata l’importanza sulla interazione e la collaborazione, che nella spe- cificità e nella valorizzazione delle diversità raggiunga un meta obiettivo a cui con- corrono risorse necessariamente diverse. CIOFS-FP 196 VII.5 GOVERNANCE: INTERAZIONI E COLLEGAMENTI TRA I DUE SISTEMI, INTERSISTEMICI, CON GLI ENTI LOCALI IRENE GATTI Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Se indichiamo col termine governance “quell’insieme d’attività di controllo sociale che prescinde dalle istituzioni che la espletano e può comprendere anche il mer- cato”, allora - in questa accezione generale - la governance si qualifica come il mezzo con cui un’attività o un insieme d’attività (nel caso specifico il servizio formativo) sono controllati o diretti in modo tale da offrire una serie accettabile di risultati in base ad un criterio sociale determinato. Gli obiettivi esplicitati nella legge 53/2003, in particolare quanto sancito dalla legge n. 53/2003, art. 2, comma 1 e dai provvedimenti correlati, che comprendono, oltre alla normativa nazionale, tutti gli atti normativi e d’indirizzo regionali riguardanti il tema in questione, costituiscono l’ambito in cui operare le scelte di governance. Per cogliere le novità implicate nel governo del sistema scolastico, ed in particola- re per il canale dell’Istruzione e Formazione Professionale, è necessario ripercor- rere le principali innovazioni legislative, che hanno ridisegnato l’assetto dello Stato. La legge Costituzionale n. 1 del 1999 ha introdotto l’elezione diretta dei Presiden- ti delle Regioni e ha definito il nuovo ruolo dei consigli regionali e l’ampliamento della loro sfera d’autonomia. La legge Costituzionale n. 3 del 2001 ha radicalmente trasformato il sistema delle relazioni tra amministrazioni centrali ed enti territoriali, con uno spostamento del potere normativo, tanto di rango legislativo che regolamentare, a livello regionale e locale, in una prospettiva di forte autonomia dell’amministrazione. La riforma del titolo V, parte seconda, della Costituzione ha profondamente muta- to l’assetto delle competenze amministrative fra i diversi livelli di governo locali con ricadute rilevante sul piano degli assetti organizzativi delle amministrazioni statali, regionali e locali. L’effetto è la trasformazione del sistema politico e di governo. Sono potenziate le XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 197 capacità di scelta e d’azione delle entità locali, in conseguenza dell’assunzione di un più vasto repertorio di responsabilità e di competenze. Al modello di governo verticale si sostituisce un modello orizzontale fondato sul presupposto che i centri di decisione, individuati nelle amministrazioni pubbliche e nelle autonomie funzionali (le scuole autonome, ad esempio), individuano obiettivi comuni, operano d’intesa tra loro, realizzano la collaborazione delle risorse. Le istituzioni, le organizzazioni ed i soggetti privati possono sviluppare strategie comuni e soddisfare le nuove esigenze poste dalla necessaria cooperazione interistituzionale. La concreta funzionalità dei nuovi assetti del territorio si deve, infatti, realizzare ora con attenzione a: - l’integrazione verticale degli interventi di vari livelli amministrativi; - l’integrazione orizzontale tra i vari organismi che operano a livello locale e all’in- terno di essi; - il coinvolgimento dei cittadini e dei soggetti responsabili delle politiche. La riforma del titolo V ha operato una netta distinzione tra funzione legislativa e funzione amministrativa, comprensiva di quella regolamentare. Allo Stato spetta la potestà regolamentare nelle materie di legislazione esclusiva, salvo delega alle Regioni, mentre spetta alle Regioni, oltre che nelle materie di loro potestà legislativa, anche in quelle di legislazione concorrente. Agli enti sub regionali è riservata una potestà regolamentare per la disciplina del- l’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. L’art.118, comma 1, ha previsto che “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni” a meno che non ricorrano esigenze di “esercizio unitario” che impongo- no di attribuire le funzioni amministrative ad altro livello di governo, sempre però nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. La consapevolezza dell’impegno richiesto dalla piena attuazione di questo com- plesso di riforme, rende necessario un ulteriore sforzo per realizzare incisive azio- ni di governo. È necessaria una nuova programmazione, capace di svincolarsi dalla tentazione del riciclaggio di attività già in essere. Le Regioni hanno ruolo strategico nell’approntare il servizio di istruzione e forma- zione per i cittadini di ogni età, qualunque percorso formativo scelgano. L’attività di pianificazione e programmazione, per le competenze che sono riserva- te alle Regioni, richiede il coinvolgimento di attori istituzionali e non, che concor- CIOFS-FP 198 rono a vario titolo e con ruoli e funzioni diverse, a realizzare i servizi di educazione e formazione. Il coinvolgimento riguarda chi eroga i servizi e gli utenti stessi, si realizza con strumenti e modalità diverse, a seconda della specificità delle situazio- ni da affrontare. L’azione di coinvolgimento e concertazione, della creazione delle reti istituzionali e per così dire sociali, è un compito che ha nel territorio regionale un suo ambito naturale, oltre che istituzionale. È la base politica, amministrativa, territoriale da cui può prendere avvio un’azione che incorpori insieme consenso e coordinamento, la sola che legittima, potenzia e amplifica l’efficacia di ogni singolo intervento. Oltre questa funzione di promozione e costruzione di un consenso diffuso, è ne- cessario mantenere il coordinamento, il monitoraggio ed il feed-back su quanto si va realizzando. Si tratta di una vera e propria regia, alimentata da dati relativi al fabbisogno e dall’insieme degli elementi che emergono dal lavoro che si va svol- gendo. Una volta assunte le priorità e avviati gli interventi, si deve tenere sotto controllo un complesso mosaico, composto da vari tasselli, in modo che ci sia congruenza e convergenza su obiettivi e ruoli, anche perché difficilmente il singolo intervento è efficace se non è coordinato e legittimato nel suo scopo entro un quadro generale d’azione. Un tema sicuramente importante e tutto politico è quello dell’individuazione delle priorità, in termini sia di investimento, che di strategie, che di visibilità esterna. La formazione professionale, in forza della legge 53/2003, sempre più è chiamata a collocarsi entro un sistema, il canale dell’Istruzione e Formazione Professionale, in cui si fa più stringente il rapporto con il mondo della scuola. L’eventuale definizio- ne e razionalizzazione delle qualifiche, riconoscibili a livello nazionale, la mobilità tra i due canali dell’istruzione secondaria, lo sviluppo della permeabilità dei sistemi fanno premere l’acceleratore per un avanzamento, di un comparto tradizional- mente debole. Il canale dell’Istruzione e Formazione Professionale trova uno sno- do fondamentale nella scelta che il ragazzo compie a scuola, al compimento dei quattordici anni. Azioni di orientamento efficaci, diffuse, con carattere di sistema, che non si limitino alla mera informazione, sono uno strumento indispensabile. Peraltro, le Regioni che hanno scelto di attuare politiche di sostegno per questo settore, hanno investito ed investono sull’orientamento. Intorno alla necessità di orientare emerge la necessità di politiche di rete, che stimolino la collaborazione XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 199 tra centri per l’impiego, scuola, centri di formazione professionale, famiglie, sempre più chiamate ad essere protagoniste e responsabili. Un identico, anzi maggiore processo di integrazione tra scuola, formazione professionale, università ed impre- sa richiede la realizzazione dell’istruzione e formazione tecnica superiore, supe- rando gli attuali rigidi vincoli degli IFTS. L’istruzione e formazione tecnica superiore costituirà un grande impegno per le Regioni; è un tema su cui ruotano interessi ed attenzione di un’ampia platea d’utenti (lo scarso numero di studenti che conseguono la laurea lo attesta), dei soggetti interessati a realizzare la formazione, del mondo produttivo. La qualità per scuola e formazione, qualunque aspetto si affronti, è centrata sulla capacità di promuovere reti rappresentative per la programmazione e sistemi effi- caci per il monitoraggio ed il feed-back, che diano impulso ad un adeguamento dell’azione e ad un congruo sviluppo del sistema d’istruzione e formazione, sul coinvolgimento dei vari soggetti, sia di coloro che erogano i servizi, sia di coloro che ne usufruiscono; sempre più si andrà configurando un sistema ad alta circola- zione interna di utenti e di know-how. Il sistema delle autonomie locali, scuola compresa, è chiamato perciò a: - co-partecipare alle politiche educative e formative del territorio, anche per l’at- tuazione delle politiche nazionali, comunitarie, sopranazionali; - promuovere l’integrazione e la sinergia delle politiche tra i diversi livelli di gover- no locale, favorire lo scambio di esperienze positive, la cooperazione e le reti transnazionali; - sostenere lo sviluppo di uno spirito cooperativo nel sistema educativo pubblico, coinvolgendo le scuole statali - soggetti che sono ormai riconosciuti come “auto- nomie funzionali” - enti pubblici e privati che erogano formazione professionale, le famiglie, le associazioni del privato sociale e il mondo produttivo; - migliorare il sistema di monitoraggio per l’identificazione dei problemi e per la formulazione di proposte chiare per adeguare le politiche di governo in funzione delle esigenze locali; - assicurare il controllo e la misurazione della qualità e della quantità del servizio erogato, in relazione agli obiettivi posti dalla normativa e dagli altri atti d’indirizzo. Lo scenario istituzionale sopra richiamato, il diverso rapporto tra il centro e le autonomie, le nuove competenze dei soggetti territoriali richiedono di identificare nuove missioni; è necessario che si promuovano nuove culture, orientate all’inter- CIOFS-FP 200 pretazione evolutiva delle norme e capaci di operare secondo una prassi efficiente e orientata all’efficacia dei servizi finali resi ai cittadini. Un sistema di governance è autorevole se è in grado di prendere rapidamente le decisioni necessarie. Ma lo è ancor di più se consente alla politica di realizzare i suoi programmi con piena responsabilità, se assicura adeguati controlli, se offre a tutti la sicurezza del proprio diritto all’istruzione e alla formazione. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 201 VII.6 LE PROSPETTIVE DELL’ALTERNANZA SANDRA D’AGOSTINO Area Sistemi Formativi - ISFOL Il titolo del gruppo di lavoro rimanda direttamente all’art. 4 della legge Moratti, ossia all’alternanza scuola - lavoro. La prospettiva che si è voluta assumere riguar- da però l’attuazione dell’alternanza nell’ambito del sistema dell’Istruzione e For- mazione Professionale. Si tratta di una prospettiva nuova, che non ha ancora trova- to piena attenzione, visto che al momento la riflessione e il confronto si sono concentrati soprattutto su un’applicazione del dispositivo nel sistema dei licei. Infatti, mentre tutti i protocolli fra Ministero dell’Istruzione, Ministero del Lavoro e Regioni si soffermano sulla definizione dei percorsi sperimentali triennali, sull’alter- nanza scuola-lavoro nel sistema dell’IeFP non esiste ancora documentazione e neanche una proposta. Il gruppo di lavoro era formato da persone che di alternanza, almeno quella intesa nel modo classico (esperienza di stage/tirocinio inserita nell’ambito dei percorsi formativi), sono abituate a sentir parlare e soprattutto hanno accumulato un am- pio patrimonio di esperienza diretta. L’idea guida per la riflessione nel gruppo è stata quella di partire da questa esperienza e di rileggerla alla luce delle previsioni dell’art. 4 della legge 53/03. Infatti, l’alternanza scuola-lavoro non si configura come un nuovo canale, un nuovo percorso, ma come una modalità nuova per conseguire gli stessi obiettivi dei percorsi dell’IeFP, che si pone come ulteriore opzione per l’assolvimento del diritto-dovere all’istruzione e formazione. Né l’alternanza va in- tesa come strumento in concorrenza con l’apprendistato, che nasce con altre fina- lità e altre modalità di regolazione. Il gruppo ha discusso in primo luogo su quali siano i presupposti per la progetta- zione e realizzazione di efficaci percorsi di alternanza nell’ambito della formazione professionale. È evidente che l’elemento strategico è la relazione che si costruisce fra struttura formativa e impresa, e in proposito, l’esperienza di stage che ha guidato la riflessio- ne ha messo in evidenza situazioni di grande difficoltà. CIOFS-FP 202 Sono state avanzate alcune proposte operative che potrebbero favorire la nascita dei progetti di alternanza. Anzitutto, è stata evidenziata la necessita di informare e sensibilizzare le imprese, affinché acquisiscano consapevolezza del ruolo formativo che dovrebbero svolgere nei confronti dei ragazzi che entrano in azienda; questa opera di sensibilizzazione non può essere delegata, come spesso è stato finora, alle sole strutture formative, ma dovrebbe essere svolta soprattutto dalle istituzioni, in raccordo con le associazioni di categoria. Ovviamente un momento strategico è quello della scelta dell’impresa nella quale inviare il ragazzo in alternanza; tale scelta, anche se fatta a monte, prima della progettazione del percorso che dovrebbe avvenire in maniera congiunta, deve poi trovare verifiche e conferme durante lo svolgimento del percorso, perché sia ga- rantito il valore formativo dell’esperienza in azienda. Elemento strategico per la realizzazione dell’alternanza è la collaborazione, la sinergia che si riesce a stabilire fra impresa e struttura formativa. Ed è importante attribu- ire alle istituzioni formative, come fa l’art. 4 della legge 53/03, la responsabilità per la scelta e la conferma dell’impresa, a garanzia del diritto dell’utente di realizzare un’esperienza qualitativamente significativa. Tuttavia c’è il rischio che rispetto al ruolo di forte protagonismo assegnato alle istituzioni formative ci sia una forma di deresponsabilizzazione dell’impresa, per cui è fondamentale trovare una mediazio- ne fra il ruolo delle istituzioni formative, che non può essere abdicato (la struttura formativa conosce il ragazzo e si interessa dell’esito del percorso), e le responsa- bilità attribuite all’impresa, per la quale vanno definiti precisi standard di processo, di risultati da perseguire. L’aver introdotto degli incentivi per le imprese è un elemento importante, in quan- to è nota la difficoltà di trovare la disponibilità delle imprese nell’accogliere ragazzi in stage, e difficoltà maggiori potrebbero profilarsi nel caso di alternanza impostata su un percorso pluriennale, che prevede più momenti in impresa. D’altro canto, ci sono già esempi di distorsione nell’utilizzo degli incentivi da parte di imprese, che accettano di realizzare stages solo per beneficiare degli incentivi. Il gruppo ha poi riflettuto in maniera più approfondita sulla progettazione dei per- corsi di alternanza. In primo luogo, è impossibile definire modelli rigidi o tempi per l’esperienza in azienda validi per tutti. Ogni figura professionale ha bisogno di du- rate diverse di alternanza. Gli stessi ragazzi inseriti nelle diverse filiere professiona- li, nei diversi percorsi, che hanno come esito finale diverse qualifiche, hanno diversi tempi di apprendimento, per cui la progettazione dei percorsi di alternanza va personalizzata, va fatta con una forte attenzione al soggetto, alla figura, all’impresa XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 203 e a quelli che sono i tempi delle imprese stesse, proprio per favorire il più ampio coinvolgimento. Ovviamente altro punto di attenzione sono le figure che presidiano i processi di alternanza. Sono state identificate come strategiche sia la figura del tutor formativo che del tutor aziendale. Ci si è poi chiesti se l’alternanza scuola-lavoro, come disegnata dall’art. 4, possa essere considerata una opzione valida per quei ragazzi che attualmente sono fuori dal sistema dell’obbligo formativo oppure una chance offerta a quel 30% dei ragaz- zi che abbandonano anche i corsi di formazione professionale. Per individuare una risposta a questo quesito è stato necessario un lavoro di ricerca sulle possibili cause dell’abbandono formativo. Sono emerse due motiva- zioni molto forti, con una evidente polarizzazione legata al territorio. Nelle aree meridionali l’abbandono è legato soprattutto al disagio economico, per cui in Sicilia, nonostante venga riconosciuta una indennità di partecipazione agli allievi della FP, si abbandonano i corsi per trovare una ulteriore fonte di reddito per la famiglia o per soddisfare i propri bisogni personali. Quella dei ragazzi 14- 18enni è, infatti, un’età in cui c’è una scarsa progettazione sul futuro, in cui si preferisce fare piccoli lavoretti pur di permettersi quello che hanno i pari. Nelle Regioni del nord, invece, la motivazione economica per l’abbandono formativo è pressocché assente. L’abbandono è invece legato al disagio sociale. Ci si è chiesti quindi, quali caratteristiche presupponga per l’utenza un percorso di alternanza. Sicuramente richiede nei ragazzi una forte capacità di destreggiarsi all’interno di una pluralità di setting formativi, di passare anche rapidamente da un setting formativo all’altro, caratteristiche che non si ritrovano nell’utenza del disa- gio sociale, che invece ha bisogno della personalizzazione dei percorsi, di una forte attenzione al singolo soggetto e di una forte azione di tutoraggio. Per quanto riguarda invece l’abbandono legato a motivazioni economiche sono altri gli inter- venti che dovrebbero essere messi in campo per supportare questa utenza. L’alternanza viene quindi a configurarsi piuttosto come un percorso per “l’eccel- lenza formativa”, cioè un’opzione adeguata per quei giovani che più degli altri han- no capacità e velocità di apprendimento, che poi sono anche quelli che l’impresa più facilmente accoglie. In ogni caso, anche per questa utenza “dell’eccellenza”, la strutturazione dell’alter- nanza come un percorso che prevede una pluralità di esperienze in azienda, distri- buite in un arco temporale pluriennale, richiede una forte attenzione ai soggetti, per assicurare che effettivamente giungano alla fine del percorso. VIII. ALLEGATI XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 205 NUMERO SPECIALE DI “CITTÀ CIOFS.FP” EDITORIALE LAURETTA VALENTE CIOFS-FP Nazionale L’edizione speciale di «Città CIOFS-FP» per la diffusione della Proposta per il siste- ma dell’Istruzione e della Formazione Professionale (IeFP) fa seguito ad un impegno più capillare di distribuzione del documento nel contesto del dibattito sulla rifor- ma. Lo scopo di questa ulteriore azione di diffusione, abbinata alla rivista, è quello di raggiungere un maggior numero di istituzioni, organismi formativi e di ricerca più direttamente coinvolti nell’impegno di riordino del sistema. Il numero speciale della rivista propone una presentazione sintetica del documen- to. Il commento è stato affidato al prof. Michele Pellerey dell’Università Salesiana di Roma. La presentazione strutturale è stata curata dalla prof.ssa Irene Gatti del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca. L’Associazione CIOFS-FP, in questo momento, è attenta all’attuazione della legge 53 del 2003. In particolare alla scelta delle modalità per la messa in atto del sistema della IeFP. Ci impegna il carisma, la missione, la lunga esperienza sul campo e il lavoro di ricerca e sperimentazione particolarmente intenso e compartecipato di questi ultimi anni. L’obiettivo di questo e di altri contributi che hanno impegnato l’Associazione nel- l’evoluzione di questa riforma è anche quello di contribuire al dibattito, sollecitare la partecipazione, ascoltare e ragionare sulle diverse posizioni, ottenere uno spazio di confronto. Il riconoscimento del sistema dell’IeFP ha la sua ragion d’essere se si potranno verificare una serie di condizioni e attenzioni alcune delle quali presenti nel docu- mento. La domanda di formazione che perviene a questo canale è contraddistinta da una molteplicità di aspetti e dunque, dovrà rispondere ad esigenze diversificate in rap- porto ai livelli di età, alla peculiarità e agli interessi dei destinatari/utenti. Ulteriori attenzioni dovranno essere poste alle specifiche formative richieste dal processo CIOFS-FP 206 di sviluppo professionale sia in situazione di formazione di base che continua e permanente. I percorsi di crescita, in questo sistema, dovranno inoltre poter trova- re un incentivo ed un riconoscimento progressivo delle diverse tappe fino ai livelli superiori. Gli utenti presentano caratteristiche tali da richiedere e giustificare un sistema pluralistico per la diversificazione dell’offerta formativa. La gerarchia tracciata dalla legge indica nel Profilo Educativo Culturale e Professio- nale (PECUP) un traguardo unitario per tutti i cittadini. Tuttavia la realizzazione del profilo avviene in due sottosistemi distinti rispondenti ciascuno alle istanze speci- fiche dei rispettivi target fino alla personalizzazione dei percorsi. L’IeFP, in particolare, richiede una attenta valutazione e valorizzazione, nel rispetto dei principi democratici delle istituzioni che hanno reso possibile, nel nostro Paese, un servizio formativo orientato al lavoro. La formazione professionale promossa dagli Enti storici potrà contribuire con gli Istituti professionali di Stato, alla realizza- zione del sistema, nel contesto della governance locale, e pervenire alla diversificazione dell’offerta formativa, nel rispetto delle specifiche identità territoriali. La ricerca pedagogica dovrà indicare gli aspetti peculiari fondanti il sistema. Nella costruzione dello specifico approccio formativo occorrerà pervenire ad equilibri diversificati, in rapporto alla domanda/offerta, tra l’acquisizione delle competenze finalizzate all’espletamento dei compiti professionali previsti dal percorso ed il cor- redo culturale e disciplinare adeguato e necessario. L’analisi aggiornata delle famiglie professionali del sistema economico e gli standard formativi potranno costituire punti di riferimento per la predisposizione dei piani di percorso. La scelta delle competenze come riferimento metodologico è finalizzata alla cresci- ta personale dei destinatari dell’offerta. Il raggiungimento dello status professionale è contestuale alla crescita culturale e spirituale del cittadino. L’attenzione ai destinatari e alle famiglie consente di perfezionare i piani di lavoro non solo in riferimento a particolari categorie di persone il cui approccio alla co- noscenza è ordinato alla sperimentazione prima che all’astrazione, ma anche in rap- porto alla singola persona, al suo successo, al progetto di vita e professionale che è chiamata ad espletare nella società. L’orientamento/accompagnamento costituisce dunque, uno degli aspetti essenziali dei percorsi e consente il collegamento con il territorio sia per quanto riguarda il tirocinio nel contesto lavorativo locale sia per l’utilizzo dei servizi disponibili per la crescita formativa e professionale e per l’inse- rimento in rapporto alle capacità personali. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 207 QUALE IMPIANTO EDUCATIVO-DIDATTICO PER IL SISTEMA DELL’ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE? MICHELE PELLEREY Università Pontificia Salesiana Come caratterizzare il canale educativo Istruzione e Formazione Professionale ri- spetto a quello dei Licei? Sulla base di un profondamente diverso profilo educativo, culturale e professionale, oppure semplicemente a partire da uno specifico im- pianto metodologico? Cioè, sono le contrastanti finalità che identificano i due ca- nali e li portano a differire tanto radicalmente da impedire una vicendevole interazione o comunicazione, oppure sono in realtà soltanto le modalità formative pratiche che li distinguono e non gli obiettivi formativi fondamentali da raggiunge- re? Domande poste in modo così radicale probabilmente portano ad affermazioni an- ch’esse assai radicali, sia che si insista sulla diversa peculiarità dell’impianto educativo, sia che si metta in luce la specificità dell’approccio metodologico adottato. La legge delega di per sé parla di un unico sistema educativo e di un profilo educativo, culturale e professionale del segmento secondario superiore, o di secondo grado, fondamentalmente omogeneo. I due canali, a mio avviso, dovrebbero differire certamente sia sul piano dell’impian- to formativo, sia su quello metodologico, anche se per alcuni aspetti centrali del- l’educazione del cittadino e del lavoratore essi perseguono le stesse finalità. Il siste- ma dei Licei dovrebbe portare, come prospettiva di studio, di norma alla scelta dell’Università, almeno della Laurea triennale. Il sistema dell’Istruzione e Formazio- ne Professionale dovrebbe condurre, invece, più esplicitamente verso l’inserimen- to nel mondo del lavoro a vari livelli di professionalità. Tuttavia, ambedue i canali si rivolgono prevalentemente a soggetti minorenni, cioè a giovani che non hanno in genere compiuto ancora i diciotto anni e che richiedono dalle istituzioni formative CIOFS-FP 208 un’attenzione specifica per l’educazione della persona in quanto tale e per la sua formazione come cittadino. Occorre, quindi, integrare l’educazione fondamentale della persona e del cittadino nel primo caso con una preparazione culturale e professionale orientata agli studi universitari; nel secondo caso, con una prepara- zione culturale e professionale orientata ad un inserimento valido e produttivo nel mondo del lavoro e delle professioni. Ma, si può obiettare, la scelta metodologica che si attua in un processo educativo non è indifferente rispetto agli obiettivi che esso si pone. Molte delle finalità più significative a livello di sviluppo della persona dal punto di vista della sua identità e della sua socialità derivano più da scelte di metodo che di contenuti, specialmente se questi sono considerati nella loro chiusura disciplinare. Un apprendimento ba- sato su una proficua interazione tra esperienza attiva e riflessione critica porta a conoscenze ed abilità di natura e fruibilità assai diverse rispetto ad un apprendi- mento basato su un’acquisizione, anche se significativa, di una compatta costruzio- ne disciplinare. Occorre comunque, a mio avviso, distinguere tra inizio del percorso e suo svilup- po. La legge delega assegna all’ultimo anno della scuola media un forte carattere orientativo quanto a scelta del percorso scolastico o formativo ulteriore. Ma è evidente che il primo anno del sistema educativo di secondo grado implica ancora un’attenzione particolare al problema dell’orientamento per molte ragioni. Tra que- ste spicca per la sua corposità la possibilità di transitare, al compimento del quindicesimo anno, nei percorsi dell’apprendistato. Più diffusamente, è presente la necessità di aiutare tutti coloro che manifestano segni di disorientamento, o di più profondo disagio, per un inserimento imprudente, o del tutto errato, in un sistema o indirizzo inadatto. Una scuola centrata sulla persona, che si pone come promotrice di educazione, di cultura e di professionalità, non può non aiutare i propri studenti a collocarsi nella maniera più valida e feconda all’interno del sistema educativo, a qualsiasi tappa del loro cammino formativo, se per una qualsiasi ragione si trovano in un percorso incoerente con le loro caratteristiche ed aspirazioni personali. Inoltre, durante questo primo anno gli studenti che non intendono continuare a frequentare il sistema educativo bensì passare all’apprendistato, e quindi diventare a tutti gli effetti titolari di contratto di lavoro, ancorché specifico, si troveranno a dover affrontare un anno che in genere viene progettato come il primo di un percorso continuo triennale o quadriennale o quinquennale. Si può quindi XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 209 ripresentare, anche se in forme attenuate, l’anomalia, e relativi disagi, riscontrata nell’esperienza di innalzamento dell’obbligo scolastico stabilita dalla legge 9. Ciò sarebbe di nuovo in contraddizione con uno dei pilastri sempre affermati dalla riforma: l’attenzione alla persona. Tenendo conto di quanto sopra accennato, ritengo non solo possibile, ma necessa- rio, progettare un anno che sia nel sistema dei Licei, sia in quello dell’Istruzione e Formazione Professionale possa costituire un comune momento significativo e fe- condo di cammino educativo, prevedendo una sostanziale equivalenza nella forma- zione culturale di base tra i due canali per alcune aree disciplinari chiave come: lingua italiana e lingua straniera; studi storico-economico-sociali; matematica e scienze. Sappiamo dalle indagini disponibili come la formazione scolastica dei nostri quindicenni risulti per alcuni versi assai debole. Questa debolezza si manifesta in primo luogo sul versante della fruizione dei concetti e dei procedimenti nell’af- frontare sia le questioni relative alla vita pratica, sia le stesse discipline di studio considerate nella loro operatività. In secondo luogo per una larga parte della popo- lazione scolastica risultano assai fragili le competenze di autoregolazione di sé nello studio, come nella gestione della propria esistenza quotidiana. Ecco due ambiti pre- ferenziali di intervento e di consolidamento per fondare una più forte base di appoggio per gli impegni successivi, ma anche per una realistica verifica delle pro- prie aspirazioni e delle proprie risorse interne in termini di apprendimento. D’altra parte, è possibile garantire l’identità del canale formativo mediante un con- veniente approccio metodologico da privilegiare sia durante il primo anno, sia du- rante gli anni seguenti. Si tratta di valorizzare intelligentemente la tendenza ormai diffusa a livello internazionale, e ora presente anche in Italia, di definire gli obiettivi educativi, culturali e professionali in termini di competenze. Soprattutto in Europa, ed in particolare nel contesto linguistico latino, l’introduzione dell’approccio per competenze è stato favorito, se non determinato, anche nel mondo della scuola, da una loro presenza sempre più diffusa e penetrante nel contesto del mondo del lavoro, dove vengono ormai valorizzate più le competenze effettivamente manife- state che non i soli titoli e qualifiche professionali posseduti. L’impostazione formativa che si basa sullo sviluppo di competenze privilegia due elementi centrali del processo di apprendimento, che risultano assai influenti sul piano dello sviluppo della persona e non solo del lavoratore. In primo luogo si dà un’importanza fondamentale ai compiti, che occorre imparare ad affrontare positi- CIOFS-FP 210 vamente. Essi caratterizzano le competenze e quindi devono essere non solo colti e interpretati validamente, ma anche essere assunti come intenzioni, finalità della propria azione di apprendimento. In secondo luogo, le conoscenze e abilità, come le altre disposizioni interne (interessi, motivazioni, emozioni…), devono essere acqui- site e diventare un vero patrimonio personale, che costituisce una risorsa di riferi- mento entro cui individuare, attivare e coordinare quelle utili o necessarie per rispondere positivamente alla sfida incontrata. Quindi, i processi di acquisizione del sapere e del saper fare sono finalizzati al saper agire; le conoscenze e le abilità apprese sono risorse interne da mettere in moto ed utilizzare in maniera sempre più pertinente e agevole nei vari contesti esperienziali: sia di lavoro, sia di vita sociale e cittadina, sia di consapevolezza e lettura critica della realtà, sia di scelte di vita e di comportamento. Il senso e il perché dell’apprendi- mento dei vari saperi e saper fare e la loro agevole fruibilità nello svolgimento dei compiti richiesti costituiscono il nerbo del processo formativo. La diversa intenzionalità messa in moto nell’acquisizione delle competenze costituisce per- tanto una delle principali caratterizzazioni dell’impianto metodologico che diversi- fica i due canali dell’unico sistema educativo. Nel canale dell’Istruzione e della For- mazione Professionale i compiti da affrontare, i problemi da risolvere, le situazioni nelle quali si è coinvolti, sono più di natura tecnico-pratica, in quello dei Licei essi sono prevalentemente di natura teorica. Ma non per questo essi implicano l’acquisizione di conoscenze, abilità e disposizioni interiori meno importanti, signifi- cative, stabili e fruibili, anzi. In questo senso, credo, debbano essere riletti gli stessi contenuti disciplinari pro- posti anche per il canale dell’Istruzione e della Formazione Professionale. Non si tratta di negare il diritto di cittadinanza alle tradizionali fondamentali discipline sco- lastiche, per favorire approcci e contenuti vagamente interdisciplinari, dove la pre- sentazione interdisciplinare è offerta e acquisita in maniera tanto ripetitiva, quanto lo potrebbe essere una esposizione disciplinare chiusa e nozionistica. È il senso e il perché del lavoro educativo-didattico attuato che permette di dirigere lo studio di un argomento verso una sua possibile valorizzazione in contesti applicativi tecni- co-pratici o di vita, o, più specificatamente, verso lo sviluppo di un patrimonio conoscitivo e di abilità facilmente trasformabili in competenze in un aperto dialogo ricorsivo tra esperienze di lavoro, apprendistato cognitivo e pratico, costruzione e organizzazione concettuale culturalmente segnata. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 211 LA PROPOSTA COME STRUMENTO DI LAVORO IRENE GATTI Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca La legge 53/03, la legge 30/03 e il DL.vo 10 settembre 2003, n. 276 definiscono modalità inedite in cui esercitare il diritto dei giovani cittadini a educarsi, formarsi, lavorare. Attraverso la Proposta per il Sistema dell’Istruzione e della Formazione Pro- fessionale, il CIOFS-FP vuole rispondere alla sollecitazione proveniente da un con- testo normativo attraversato da cambiamenti radicali. L’interpretazione delle nuove norme e la riflessione circa la loro applicazione con- creta inducono ad una visione del processo educativo, quale sintesi risultante da una profonda integrazione della dimensione dell’istruzione, della formazione e del- l’impegno lavorativo. Tale sintesi sarà resa possibile e catalizzata dalla creazione di contesti educativi - spirituali e materiali - che consentano al giovane di vivere e viversi in una socialità consapevole, positiva, matrice di persone responsabili e gioiose. Studio, lavoro, creatività si propongono come diversi aspetti e possibili modulazioni di un unitario processo di crescita. È pensabile rispondere alla nuova missione educativa solo se si supera la dicotomia, che in Italia ha sempre contrapposto la scelta dell’istruzione alla scelta del lavoro, identificando nella prima la pista privilegiata per un cittadino a tutto tondo e nel pieno esercizio dei suoi diritti e nella seconda un ripiego per un cittadino di serie B. Il nuovo sistema prevede istruzione, istruzione e formazione professionale e lavoro come tasselli di pari valore che costituiscono i diversi mattoni con cui ogni giovane costruisce il suo progetto di vita, sfruttandoli ed armonizzandoli secondo le sue personali aspirazioni, necessità e talenti. Ogni progetto personale è una sorta di “edificio” suscettibile di ampliamenti e ristrutturazioni, che si può sviluppare nel corso del tempo, utilizzando le opzioni offerte, grazie alla totale percorribilità del sistema e al riconoscimento di crediti maturati nelle diverse esperienze. Il nuovo scenario normativo è straordinariamente vicino a quanto da sempre ca- ratterizza la visione formativa del CIOFS-FP. Da qui l’idea di elaborare un documen- CIOFS-FP 212 to che riportasse le riflessioni già maturate, per promuovere ulteriori approfondi- menti ed arricchimenti e per stimolare il mondo dell’istruzione e della formazione professionale a dichiarare i propri intenti. La Proposta per il Sistema dell’Istruzione e della Formazione Professionale è stata inol- tre, pensata e scritta come uno strumento di dialogo tra i vari attori che concorro- no alla governance di questo nuovo sistema e come strumento di lavoro per chi, a livello locale e regionale, si misura concretamente con le sperimentazioni già pro- mosse e con quelle avviate dai protocolli d’intesa stilati di recente. La Proposta è organizzata in quattro parti. Una prima parte in cui si dichiarano obiettivi, temi caratterizzanti e soggetti a cui la Proposta è rivolta. Nell’articolazione della Proposta si è ritenuto necessario identificare un protocollo di dibattito e confronto centrato sui ruoli della formazione professionale e della scuola nel secondo canale. Sono stati precisati gli attori cui ci si rivolge: studenti e famiglie, CFP, operatori IeFP, scuola, insegnanti, Province, Regioni, mondo del lavoro, MIUR, MLPS, Conferenza Unificata Stato-Regioni e le ragioni di dialogo e interscambio con i diversi soggetti. Con molti di loro infatti, si è avviato un confronto, già dal XV Seminario Europa. Il dialogo iniziato sarà promosso e mantenuto vivo per dare piena legittimazione alle scelte effettuate e per accompagnare e sostenere l’implementazione del siste- ma, anche attraverso la “ provocazione” tentata con la Proposta. Una seconda parte rappresentata da una mappa dei “Nuovi percorsi d’Istruzione e della Formazione Professionale”. È stata delineata una mappa dei nuovi percorsi di Istruzione e Formazione Profes- sionale, collegandoli al mondo del lavoro e al canale liceale e universitario. Tale map- pa rappresenta un’ipotesi concreta su cui avviare un confronto. L’ipotesi posta è del tutto compatibile con la legge Moratti, ma non è certo l’unico modo di interpre- tare i percorsi formativi consentiti dalla legge 30 nel canale dell’istruzione e forma- zione professionale. Una terza parte in cui si approfondiscono le scelte metodologiche, il ruolo dell’orien- tamento, la novità costituita dall’alternanza formativa, la formazione tecnica superiore, i vari aspetti dei processi di governance, le interrelazioni tra legge Moratti e legge Biagi, la pluralità dei soggetti nell’offerta nel sistema di IeFP. I vari temi individuati si presentano come le “dimensioni” del progetto educativo XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 213 del CIOFS-FP per il sistema dell’Istruzione e della Formazione Professionale. Il modo in cui ciascuno di esse verrà declinato e concretamente implementato condizione- rà il servizio reso ai giovani e alle famiglie. È necessario identificare uno spazio di confronto e rendere trasparenti le proprie opzioni, per sollecitare un dibattito chiaro, per confrontarsi e - se necessario - “affrontarsi” su scelte specifiche, che risulteranno determinanti nella connotazione effettiva dell’IeFP. Una quarta parte che sintetizza in una tabella il percorso formativo e lavorativo e i livelli europei (codifica ECTS). Si tratta di uno strumento che evidenzia e sintetizza in una visione sinottica i carat- teri specifici delle nuove tappe del percorso formativo, le mette in relazione con i nuovi livelli europei e con le nuove fattispecie contrattuali introdotte dalla legge Biagi. Si intende rendere visibile il contenuto ed il valore dei titoli in Italia ed in Europa e la corrispondente possibilità di inserimento lavorativo. Alla tabella sono sottese due diverse piste di riflessione: una, quella che colloca e legge il nostro sistema nazionale d’istruzione e formazione nello scenario europeo, termine di confronto che avrà nel tempo un peso crescente e cogente. L’altra, quella della interrelazione tra fase della formazione e fase dell’inserimento lavorati- vo, i cui confini risultano più sfumati e permeabili: attraverso l’alternanza scuola- lavoro si crea un contatto nuovo tra istruzione, formazione e lavoro e molte nuove forme contrattuali inglobano un obiettivo di formazione di crescita professionale. CIOFS-FP 214 Per favorire una scelta consapevole e dialogante, presen- tando il progetto educativo e culturale della formazione professionale nell’IeFP Come strumento a sostegno della progettualità e come carta d’identità Perché possano appropriarsi consapevolmente dei nuovi scenari di lavoro e per dare un personale contributo alla costruzione del sistema di IeFP Per stimolare un dialogo costruttivo e azioni integrate, al fine di costruire una rete formativa Per rendere disponibile uno strumento concreto di infor- mazione e conoscenza della formazione professionale Per individuare punti significativi di dialogo sull’offerta formativa, rendendo visibile il progetto educativo. Per presentare l’ipotesi del CIOFS-FP coerente con le li- nee di CONFAP e FORMA nella costruzione del sistema di IeFP e legittimarne la partecipazione al dibattito Per coniugare la domanda e l’offerta formativa, nel rispet- to dell’identità dell’azienda e della struttura formativa Per avvalorare la partecipazione all’elaborazione dei de- creti attuativi e dei regolamenti e contribuire ai processi di monitoraggio e valutazione del sistema di IeFP La Proposta si rivolge a: STUDENTI E FAMIGLIE CFP OPERATORI IEFP SCUOLA INSEGNANTI PROVINCE REGIONI MONDO DEL LAVORO MINISTERO DELL’ISTRUZIONE MINISTERO DEL LAVORO CONFERENZA UNIFICATA STATO-REGIONI VIII.2 PROPOSTA CIOFS-FP PER IL SISTEMA DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE1 1 Pubblicata come supplemento al numero speciale di (CITTÀ CIOFS-FP del 31 gennaio 2004) XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 215 La nostra Proposta per il sistema dell’Istruzione e Formazione Professionale, nata in occasione dei lavori della XV edizione del Seminario Europa, promosso dal CIOFS-FP in collaborazione con CONFAP e FORMA, vuole favorire il dialogo tra i vari attori che concorrono alla governance di questo nuovo sistema. Si caratterizza contemporanea- mente come “strumento di lavoro” per chi, a livello locale e regionale, si misura con- cretamente con le sperimentazioni già promosse e con quelle avviate dai protocolli d’intesa stilati di recente. Nell’ambito del II ciclo, l’IeFP è l’unico canale in sperimentazione già dal 2002 e ogget- to nell’ultimo anno di un approfondito dibattito. L’emanazione prossima di decreti attuativi e di regolamenti che concorreranno a defi- nire le caratteristiche del canale d’Istruzione e Formazione Professionale costituisce una tappa saliente del dialogo tra MIUR, MLPS, Regioni, scuole, studenti, famiglie e mondo del lavoro e sistema dell’IeFP. La Proposta presenta alcune linee fondamentali per costruire questo canale e per definire in esso il ruolo della formazione professionale. Si pone quindi, in dialogo con gli estensori del decreto e vuole contribuire a definire uno spazio specifico per la FP. Attraverso attività di studio e ricerca, sperimentazioni e dibattiti, CONFAP e FORMA stanno lavorando per elaborare alcuni temi. 1. Ruoli della FP e della scuola nel secondo canale. Configurazione del sistema di IeFP a livello regionale. 2. Confrontabilità tra scuola e CFP (finanziamenti, tempi, certezza dell’offerta formativa per partecipare alla fase di orientamento al termine della scuola media...). 3. Elementi essenziali per rendere comparabili i ventuno sistemi regionali/provinciali di FP, fermo restando la potestà di legislazione esclusiva in capo alle Regioni per quanto attiene l’IeFP. 4. Orientamento come processo che caratterizza il canale dell’IeFP. 5. Sviluppo verticale del percorso e interscambiabilità di scuola e FP come soggetti che erogano il servizio. 6. Definizione dei “livelli essenziali” e individuazione degli standard minimi di qualifica valevoli sul territorio nazionale. Compiti che rimangono di pertinenza del governo nazionale (MIUR, MLPS). 7. Possibilità di partecipare alla governance per: CFP, scuole, famiglie e mondo del lavoro. 8. Natura giuridica del CFP nel sistema IeFP1 . 1 L. 62/2000 articolo. 1, comma 1. Il sistema nazionale di istruzione, fermo restando quanto previsto dall’articolo 33, comma 2 della Costituzione, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali. La Repubblica individua come obiettivo prioritario l’espansione dell’offerta formativa e la conseguente generalizzazione della domanda di istruzione dall’infanzia lungo tutto l’arco della vita. CIOFS-FP 216 I NUOVI PERCORSI DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE I percorsi di Istruzione e Formazione Professionale presentano carattere graduale e continuo, sono dotati di pari dignità culturale ed educativa rispetto a quelli liceali ed inoltre, presentano una precisa fisionomia istituzionale (cfr. L. 53/2003). Il sistema di offerta delinea un percorso formativo progressivo, che consente alla persona di avanzare nel proprio cammino procedendo per livelli successivi di in- tervento/comprensione della realtà, secondo il principio del successo formativo, seguendo tre tappe tipiche, corrispondenti ad altrettanti titoli: qualifica, diploma di formazione, diploma di formazione tecnica superiore. In tale disegno si innesta la specializzazione, conseguente ai tre titoli indicati e in ottica di formazione continua e permanente. XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 217 IL SISTEMA D’ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE. LE NOSTRE PROPOSTE Da più parti si sostiene l’importanza della formazione professionale non soltanto come prassi mirante alla dotazione tecnica della persona, ma come risorsa impor- tante in una prospettiva pienamente educativa. Il suo orizzonte fondante è profes- sionale per scelta di metodo in rapporto alla domanda dei destinatari. Essa abilita alle seguenti finalità: ‰ coscienza e responsabilità nei confronti di sé e degli altri; ‰ intraprendenza e desiderio di mettersi alla prova; ‰ creatività come modo in cui il soggetto esprime se stesso, in rapporto a biso- gni/opportunità sociali; ‰ relazione di cooperazione e di servizio sia in campo professionale, sia sociale, sia ambientale; ‰ stimolo etico e morale ed autonoma capacità di giudizio e di azione nella realtà più vasta; ‰ accrescimento continuo della conoscenza, della riflessione e della capacità di azione intenzionale, competente e dotata di senso. La metodologia L’orizzonte fondante la IeFP non può che essere immediatamente professionale in rapporto alla domanda dei destinatari e al loro successo formativo: la costruzione del patrimonio professionale della persona realizzata tenendo presente la sua dimensione integrale. L’elemento centrale del progetto di percorso formativo sarà posto nel saper fare. Il saper fare oggi è però carico di una valenza di sintesi di diversi elementi di non facile combinazione. La formazione professionale domanda, dunque, un approccio epistemologico dove il sapere ed il saper fare subiscono, nell’impatto metodologico, una inversione - rispetto alle scelte tradizionalmente proprie del sistema dell’istruzione - nella or- ganizzazione e programmazione degli apprendimenti. Questo approccio richiede uno studio accurato in merito alla trasversalità e alla interazione e compenetrazione CIOFS-FP 218 delle discipline e delle esperienze in ordine alla costruzione del profilo professio- nale. Pur riconoscendo alle discipline il merito ed il valore della sistematizzazione del sapere, la ricostruzione del loro apporto metodologico viene operata in rap- porto alle esigenze di professionalità. Tale approccio metodologico consente un appiglio motivazionale nei confronti della tipologia dei destinatari che approdano alla formazione professionale. Inoltre, il riferimento alla progettualità professionale, proiettando il soggetto al lavoro, rende più concreto un investimento di energie sugli apprendimenti. Carattere fondamentale della metodologia formativa è l’integrazione tra cono- scenze, abilità e capacità, al fine di delineare vere e proprie competenze che si collocano lungo un percorso formativo secondo una logica non meccanicistica, ma olistica. Il cuore della prassi formativa è la competenza; a tal fine la formazione professiona- le prevede una metodologia basata su compiti reali, didattica attiva, apprendimen- to dall’esperienza anche tramite tirocinio/stage formativo in stretta collaborazio- ne con le imprese del settore di riferimento. Tale metodologia presenta una rilevanza orientativa, in modo da sviluppare nella persona la consapevolezza circa le sue prerogative, il progetto personale, il percorso intrapreso. La formazione professionale stimola l’intelligenza creativa e sintetica, come pure quella pratica, esperienziale, intuitiva, per scoperta e narrazione. Essa è basata su una relazione amichevole, personalizzata, centrata sull’acquisizione di competenze utili e sull’attribuzione di senso agli apprendimenti proposti. L’orientamento Nell’ambito della IeFP dovrà essere affidato all’orientamento il compito di risve- gliare la capacità di creare il proprio futuro in ordine alla costruzione della propria professionalità, a vantaggio delle reali domande della persona. L’impegno di stimolare soprattutto i giovani a lavorare sul proprio progetto di vita e sulla preparazione alla propria prospettiva professionale, può significare dover dare un contributo valido perché emerga in modo determinante una specifica dimensione umana. Quella appunto del bisogno di prevedere gli eventi, anticiparli in rapporto ai propri interessi e al bisogno di impegnare la propria esistenza, in modo gratificante, a largo raggio e in cose che contano. L’intervento orientativo attraverso azioni di consulenza, percorsi individuali e di XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 219 gruppo dovrà fornire un supporto in relazione a diverse situazioni di transizione connesse ai processi di formazione e lavoro. L’alternanza formativa L’alternanza formativa, nuova modalità di realizzazione del percorso formativo, in- trodotta dall’articolo 4 della legge 53/2003, è da considerare come una alternativa alla formazione a tempo pieno e interessa gli allievi di almeno 15 anni di età. La sua elaborazione richiede la definizione di un modello formativo che consenta di conseguire delle qualifiche e dei diplomi di formazione, alternando formazione e lavoro basato sull’approccio pedagogico tipico della formazione professionale (valorizzazione delle esperienze lavorative, approccio induttivo, ecc.) all’interno del quadro di standard definiti per i percorsi formativi. Da un punto di vista pedagogico, il termine alternanza si basa su: ‰ un’attenzione ai processi di apprendimento del soggetto, a come la persona sviluppa e consolida le proprie competenze; ‰ un’idea di apprendimento come elaborazione e costruzione dell’esperienza; ‰ un riconoscimento del ruolo formativo della situazione di lavoro; ‰ un’enfasi sulle funzioni diverse dalla docenza (progettazione, tutoring, ecc.). In tale processo i due contesti formativi intervengono portando ognuno le pro- prie peculiarità. In particolare la formazione in azienda consente di: ‰ apprendere come si attua il lavoro tenendo conto delle concrete caratteristi- che organizzative dell’azienda e delle caratteristiche delle persone con cui si lavora; ‰ vedere come in concreto si applicano le conoscenze e le procedure apprese nella formazione extra-aziendale; ‰ sviluppare, mediante la pratica, l’esperienza professionale, ossia la capacità di predisporre il lavoro e di prevederne le difficoltà ed i risultati; ‰ riflettere sul lavoro svolto per individuarne i difetti e per migliorare le proprie prestazioni. Va realizzata un’intesa tra le parti coinvolte, al fine di determinare i seguenti punti: ‰ il ruolo dell’azienda e della struttura formativa e le modalità di collaborazione; ‰ gli aspetti ‘gestionali’ (il sostegno al reddito dell’allievo, gli incentivi per le impre- CIOFS-FP 220 se e l’assistenza tutoriale); ‰ le modalità di certificazione dell’esito positivo del tirocinio e di valutazione dei crediti formativi acquisiti dallo studente. È opportuno/necessario avviare un processo di confronto ed elaborazione con- giunto che consenta di giungere ad una condivisione del piano formativo in riferi- mento agli standard e livelli essenziali delle prestazioni definiti e comuni al percor- so a tempo pieno, sulla base dei quali stipulare un protocollo di intesa che sancisca la collaborazione tra tali realtà concorrenti al buon esito del percorso. La Formazione Superiore Anche per la formazione tecnica superiore occorre procedere mediante un inter- vento ad hoc. Si tratta di un percorso che punta all’acquisizione di un diploma di formazione tecnica superiore, sbocco finale del cammino previsto nella filiera formativa inizia- ta con la qualifica e proseguita con il diploma di formazione, rispondente alle ne- cessità del sistema economico e del mondo sociale e caratterizzato per un forte livello di competenze. A tale livello la persona, dotata di una cultura superiore, è in grado di svolgere un’attività professionale con rilevanti competenze tecnico/scien- tifiche e/o livelli significativi di responsabilità ed autonomia nelle attività di pro- grammazione, amministrazione e gestione. La formazione tecnica superiore non è da confondere con le due seguenti soluzioni: a) il “sesto anno” dell’istruzione, inteso come necessario prolungamento di un percorso di diploma che è andato sempre più arricchendosi di contenuti a seguito del noto processo di “liceizzazione” degli istituti tecnici e professionali; b) un tipo di “laurea professionale” breve, finanziata dai fondi europei e regionali, che non si distingue dal percorso universitario. La formazione tecnica superiore - al contrario - rappresenta la naturale continua- zione del percorso di istruzione e formazione professionale, ponendosi in conti- nuità con il cammino che, iniziando dalla qualifica (triennio), procede poi con il diploma di formazione (un anno), per poi giungere al diploma di formazione tecni- ca superiore. Circa la sua durata, si prevedono da uno a tre anni formativi a seconda del settore/comunità professionale. I destinatari sono rappresentati da adolescen- XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 221 ti e giovani in possesso di diploma formativo corrispondente per settore o comunità professionale. Si tratta del completamento del percorso formativo per i diplomati affinché acqui- siscano le prerogative proprie delle figure di quadro. La governance Un sistema dal carattere educativo, istituzionale, continuativo come quello dise- gnato necessita di un intervento rilevante sul piano dei soggetti, delle regole e delle procedure. Soggetti È necessario delineare una mappa generale dei soggetti coinvolti nel percorso di Istruzione e di Formazione Professionale, secondo una sequenza di offerta “di filiera”, ovvero corrispondente ai diversi livelli delle differenti comunità professio- nali implicate. Ciò procedendo in due direzioni: - introdurre una lista di organismi coinvolti nella macro-tipologia della “formazio- ne professionale iniziale” che richiede la presenza di un requisito spesso non considerato nei modelli di accreditamento, ovvero la presenza di una proposta educativa che sia garanzia di qualità formativa a fronte di soggetti in minore età che necessitano appunto di una presa in carico educativa; - disegnare un’offerta formativa territoriale che garantisca la copertura delle ne- cessità e dei fabbisogni formativi, in coerenza con i bacini di utenza, eliminando incongruenze, doppioni e sopperendo alle assenze, garantendo una presenza di pari dignità tra istituti tecnici, istituti professionali, centri di formazione profes- sionale ed agenzie formative. Regole Va definita una sistematizzazione delle regole amministrative connesse al sistema di Istruzione e Formazione Professionale, in modo da recepire le principali novità previste dalla riforma, e precisamente: - vincolare gli interventi unicamente ai profili educativi, culturali e professionali, oltre che agli obiettivi specifici di apprendimento, eliminando impostazioni ‘mec- caniche’ del processo formativo e riducendo il peso delle regolamentazioni amministrative che inducono in forma surrettizia una sorta di omologazione CIOFS-FP 222 della prassi educativa; - favorire la personalizzazione dei percorsi formativi rendendo obbligatorio il portfolio delle competenze individuali (entro cui individuare le parti relative al libretto formativo), in modo da consentire la più ampia flessibilità e responsabi- lità degli organismi erogativi in ordine alle metodologie, all’organizzazione, alla valutazione degli apprendimenti; - modificare i dispositivi che impongono una gestione rigida del gruppo-clas- se (registro) e dei percorsi degli allievi favorendo il riconoscimento dei crediti formativi e la variazione dei tempi e dei modi della formazione (con- sentendo ai responsabili degli istituti di riconoscere i crediti attribuendo ai titolari un numero di ore formative equivalenti a quelle svolte direttamente nell’istituto stesso). Procedure Le procedure da qualificare sono le seguenti: ‰ accreditamento: il sistema di accreditamento va adeguato alla nuova situazione relativa ai percorsi di Istruzione e Formazione Professionale, come accennato in precedenza, e ciò in coerenza con la mappa di cui al punto successivo; ‰ mappatura: definizione di una mappa pluralistica di organismi (istituti di varia natura) in grado di presidiare l’offerta formativa nei vari territori, in corrispon- denza delle diverse comunità professionali in cui si distingue l’offerta formativa; ‰ finanziamento: creazione di dispositivi di finanziamento che garantiscano la con- tinuità delle azioni (secondo lo schema 3 + 1, cui far seguire percorsi di forma- zione tecnica superiore mirata alle realtà di eccellenza) e che siano coerenti con il principio di pari dignità tra istituti di varia natura (istituti tecnici, istituti professionali, centri di formazione professionale, agenzie formative); ‰ coinvolgimento delle imprese: elaborazione di procedure che individuino l’impre- sa come un soggetto in grado di sviluppare formazione in alternanza, definendo condizioni, metodologie e risorse; ‰ monitoraggio e valutazione permanente: inteso come raccolta sistematica di dati e prassi che favoriscano le decisioni relative alla programmazione e il migliora- mento continuo del sistema; ‰ azioni di sistema: sviluppo di reti tra organismi differenti in modo da unire le risorse al fine di combattere la dispersione scolastica, consentire il successo XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 223 formativo, sviluppare una formazione di qualità; ‰ formazione del personale: creazione di percorsi sistematici di formazione del personale in base a referenziali formativi univoci, in stretto accordo con le università, gli organismi formativi, al fine di realizzare percorsi preferibilmente in alternanza. Il canale dell’IeFP e la legge Biagi (L. 30/2003) La legge Biagi introduce nuove forme contrattuali, che consentono un inserimento lavorativo, con carattere orientativo, in cui si completa la fase di preparazione professionale. Entrambi gli aspetti, quello orientativo e quello d’approfondimento della professionalità richiedono l’attivazione di sinergie tra il periodo formativo vero e proprio e quello di primo inserimento lavorativo. Lo sviluppo di un network locale (l’ambito più adeguato appare quella provinciale) che si occupi dell’offerta formativa territoriale non può prescindere dall’inglobare anche l’offerta di lavoro, almeno quella che corrisponde alle tipologie evidenziate nella tabella che segue. Se si intende il percorso formativo come parte della crescita umana complessiva dei giovani, la transizione al mondo del lavoro è una fase che ne costituisce la naturale evoluzione. Se si accetta questa lettura delle possibili “affinità elettive” tra legge Moratti e legge Biagi, ci si deve impegnare a creare un nuovo rapporto con i giovani, magari ancora inseriti in percorsi formativi, che fanno la scelta di impegnarsi, sia pure in forme limitate, in esperienze di lavoro. Si tratta di implementare sul serio la possi- bilità di costruire un continuum tra set d’apprendimento e set lavorativi, di imma- ginare concretamente un nuovo cittadino che possa progettare la sua vita tra apprendimento e professionalità, secondo gli orizzonti della lifelong learning. Per dare una concreta attuazione a questa nuova possibilità è necessario far in- contrare l’offerta di lavoro (secondo le tipologie evidenziate) e la domanda che proviene dai giovani: è ineludibile e non più procrastinabile la creazione di una forma di governo territoriale che metta in relazione formazione professionale e imprese, che analizzi ed indirizzi la programmazione dell’offerta formativa territo- riale, allineandola con bisogni attuali e di medio e lungo periodo. CIOFS-FP 224 La pluralità dell’offerta nell’IeFP La pluralità dei bisogni e della domanda dell’offerta formativa impone una pluralità di offerta e un coordinamento tra i soggetti che erogano formazione – centri di formazione professionale regionali, istituti professionali, istituti tecnici. Il dibattito e la pratica degli ultimi anni hanno esplorato concretamente forme di integrazione, interazione, autonomia dell’offerta. Un sano pragmatismo consentirebbe di accogliere che: - formazione professionale e istituti continuino ad offrire il loro servizio nel ca- nale dell’IeFP, ciascuno caratterizzando in modo inequivocabile la propria speci- ficità; - riconosciuto il diritto di esistere e di operare per ciascuno dei soggetti, le opzioni circa le diverse forme di relazione - integrazione, interazione, autono- mia - assumono la connotazione della scelta contingente più opportuna, inten- dendo “la più opportuna” come la migliore garanzia per conseguire il più ampio successo formativo; - si pone inoltre, l’esigenza della modulazione dell’offerta formativa in relazione alla specificità territoriale. Percorso formativo-lavorativo e livelli europei La legge 53/2003 e la legge 30/2003 concorrono a definire un nuovo scenario per la formazione professionale. La tabella vuole sintetizzare in un unico sguardo d’in- sieme le nuove tappe del percorso formativo, i titoli corrispettivi in Italia e in Europa, i collegamenti tra percorso formativo e le opportunità di inserimento nel mondo del lavoro (Dl.vo 10 settembre 2003, n.276). Il portfolio delle competenze o libretto formativo, da istituire di concerto tra MLPS e MIUR, previa intesa con la Conferenza Unificata Stato-Regioni e sentite le parti sociali, conterrà la registrazione di tutte le competenze acquisite durante la formazione in apprendistato, in contratto di inserimento, la formazione specialisti- ca e quella continua svolta durante l’arco della vita lavorativa ed effettuata da soggetti accreditati dalle Regioni, nonché le competenze acquisite in modo forma- le e informale secondo gli indirizzi della Unione Europea in materia di apprendi- mento permanente, purché riconosciute e certificate. Le modalità di riconosci- mento dei titoli dovranno essere definite entro un anno (art. 51 Dl.vo 10 set- tembre 2003, n.276). XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 225 Specificazione Al livello della figura qualificata, la persona, in pos- sesso di una solida cultura di base, è in grado di sviluppare competenze operative di processo, sa- pendo utilizzare in autonomia le tecniche e le metodologie previste Livello La frequenza di un segmento del percorso triennale che dà luogo al riconoscimento di crediti formativi e professionali corrisponde al I livello europeo. Tale livello riconosce percorsi formativi personalizzati e flessibili, rivolti in particolare a fasce deboli, rico- nosce e certifica anche apprendimenti non formali e informali, secondo la logica del portfolio. Articolazioni Si può prevedere una qualifica polivalente, connes- sa alla necessità di formare un operatore dotato di competenze operative a largo spettro e non spe- cialistiche, che può articolarsi in riferimento ad uno specifico processo in relazione alle necessità speci- fiche di una o più imprese Durata La durata prevista è di tre anni formativi Percorsi I percorsi sono distinti a seconda della articolazio- ne della qualifica. È possibile nello stesso percorso prevedere più opzioni Valore Il titolo ha valore di accesso al quarto anno al fine di acquisire il diploma di formazione LIVELLO I Attività che permet- te principalmente l’esecuzione di un lavoro relativamen- te semplice, con co- noscenze e capaci- tà pratiche molto li- mitate LIVELLO II Attività che prevede l’utilizzo di stru- menti e tecniche, consistente in un la- voro esecutivo, che può essere autono- mo nei limiti delle tecniche ad esso inerenti. Art. 47 Contratto di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione Art. 60. Tirocinio estivi di orientamento Durata max 3 mesi. Borsa lavoro max. 600 euro mensili Artt. 70-74 Lavoro accessorio Attività lavorative di natura meramente occasionale Durata complessiva non superiore a 30 giorni Compensi non superiori 3.000 euro nell’anno solare SCHEMA EUROPEO DEI LIVELLI PROFESSIONALI codifica ECTS (European Credit Transfer System) Legge 30/2003 Dl.vo 276/2003 PERCORSO FORMATIVO 1 QTP - Triennio di Qualifica Professionale (a tempo pieno o in alternanza) CIOFS-FP 226 SCHEMA EUROPEO DEI LIVELLI PROFESSIONALI codifica ECTS (European Credit Transfer System) Legge 30/2003 Dl.vo 276/2003 PERCORSO FORMATIVO 2 D F - Diploma di Formazione Specificazione Si riferisce alla figura del tecnico, ovvero una persona, dotata di una buona cultura tecnica, in grado di intervenire nei processi di lavoro con competenze di programmazione, verifica e coordinamento, sapendo assumere gradi sod- disfacenti di autonomia e responsabilità Articolazioni Si definiscono in relazione alle necessità delle imprese del settore di riferimento Durata La durata prevista è quadriennale Percorsi Si può prevedere un percorso unico, oppure un cammino progressivo, con anno di forma- zione oltre la qualifica Valore Il titolo ha valore di accesso al percorso mira- to all’acquisizione del diploma di formazione tecnica superiore. Inoltre, consente l’accesso all’anno preparatorio per l’iscrizione a percorsi universitari LIVELLO III Lavoro tecnico, che può comportare gradi di autonomia e responsabilità ri- spetto ad attività di programmazione o coordinamento ART. 47 Contratto di apprendistato professionalizzante per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e un apprendimento tecnico-professionale Artt. 54-59 Contratto d’inserimento 18 anni Prevede progetto d’inserimento Art. 60 e Artt. 70-74 come sopra XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 227 Legge 30/2003 Dl.vo 276/2003 PERCORSO FORMATIVO 3. D F S - Diploma di Formazione Superiore Specificazione Si riferisce alla figura del quadro o del- l’esperto, ovvero una persona, dotata di una cultura superiore, in grado di svolgere un’at- tività professionale con rilevanti competen- ze tecnico/scientifiche e/o livelli significati- vi di responsabilità e autonomia nelle atti- vità di programmazione, amministrazione e gestione. Livello Corrisponde al IV -V livello europeo Articolazioni Si definiscono in relazione alle necessità delle imprese del settore di riferimento Durata La durata prevista varia da 1 a 3 anni oltre il diploma di formazione Percorsi Si prevede un cammino progressivo, con un percorso successivo al diploma di for- mazione Valore Il titolo ha valore di credito formativo per l’accesso a percorsi universitari omogenei LIVELLO IV Attività professionale con rilevanti competenze tec- nico/scientifiche e/o livelli significativi di responsabili- tà e autonomia nelle atti- vità di programmazione, amministrazione e gestio- ne LIVELLO V Attività professionale che pre- vede la padronanza dei fon- damenti scientifici della pro- fessione e di tecniche com- plesse nell’ambito di una va- rietà di contesti ampia e spes- so non predicibile. Si tratta di un’attività professionale che comporta una larga autono- mia e frequentemente una si- gnificativa responsabilità ri- spetto al lavoro svolto da al- tri e alla distribuzione di ri- sorse significative, così come la responsabilità personale per attività di analisi, diagno- si, progettazione e valutazio- ne. ART. 47 Contratto di apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione ARTT. 61-69 Lavoro a progetto Prestazioni di durata complessiva non superiore a 30 giorni nell’anno solare con lo stesso committente che determinano un reddito complessivo annuo non superiore a 5.000 euro. Art. 60 e Artt. 70-74 come sopra SCHEMA EUROPEO DEI LIVELLI PROFESSIONALI codifica ECTS (European Credit Transfer System) CIOFS-FP 228 SCHEMA EUROPEO DEI LIVELLI PROFESSIONALI codifica ECTS (European Credit Transfer System) Legge 30/2003 Dl.vo 276/2003 PERCORSO FORMATIVO 4. S - Specializzazione Specificazione Si tratta di una figura qualificata o in posses- so di diploma di formazione che approfon- disce un aspetto specifico della propria pre- parazione, in modo da poter svolgere un’area di compiti in forma specialistica Livello Corrisponde al II/III livello europeo Articolazioni Le specializzazioni si definiscono in rappor- to alle caratteristiche del processo di lavoro cui si riferiscono Durata La durata prevista è compresa fra le 300 e le 900 ore Percorsi I percorsi sono successivi alla qualifica e pre- vedono la gestione di compiti reali Valore Il titolo ha valore di credito formativo per l’acquisizione del titolo successivo a quello posseduto. LIVELLO II Attività che pre- vede l’utilizzo di strumenti e tecni- che, consistente in un lavoro esecuti- vo, che può esse- re autonomo nei limiti delle tecni- che ad esso ine- renti. LIVELLO III Lavoro tecnico, che può comportare gra- di di autonomia e re- sponsabilità rispetto ad attività di pro- grammazione o coor- dinamento ART. 47 Contratto di apprendistato professionalizzante per il conseguimen- to di una qualifica- zione attraverso una formazione sul lavoro e un appren- dimento tecnico- professionale Artt. 54-59 Contratto d’inserimento 18 anni Prevede progetto d’inserimento XV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 229 Significati di alcune sigle IeFP Sigla che si riferisce al canale dell’Istruzione e Formazione Professionale, istituito dalla legge 53/2003 come una delle articolazioni del II Ciclo. MIUR Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. È il Ministero a cui compete l’attua- zione della legge 53/2003 e l’emanazione dei relativi decreti attuativi e regolamenti. MLPS Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. È il Ministero a cui compete l’attuazione della cosiddetta legge Biagi e l’emanazione dei relativi provvedimenti attuativi. Di recente è stato emanato il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. Attuazione delle deleghe in mate- ria di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30. (G.U. n. 235 del 9-10-2003- Suppl. Ordinario n. 159). CONFAP La CONFAP (Confederazione Nazionale Formazione Aggiornamento Professionale) aggrega Enti ed Associazioni nazionali e regionali che operano nel campo della formazione e del- l’orientamento professionale con una propria proposta formativa ispirata ai principi cristiani. La CONFAP è stata costituita nel 1974 a Roma, promossa dalla CEI (Conferenza Episcopale Italiana), ha come riferimento lo Statuto nazionale e il Progetto Formativo. Essa si propone la salvaguardia delle garanzie istituzionali, culturali ed operative, la rappresentanza ai vari livelli, il coordinamento e la promozione di attività comuni, specie per l’aggiornamento del perso- nale. FORMA Associazione nata ai primi di giugno 1999, riunisce tutto il mondo della formazione profes- sionale d’ispirazione cristiana, allo scopo di presentarsi uniti nelle varie sedi istituzionali. L’Associazione rappresenta oltre il 60% della attività di formazione professionale che si svolge nel nostro Paese: oltre 830 centri, coordinati da 110 strutture regionali, 20.000 ope- ratori - di cui 12.000 dipendenti. Aderiscono a FORMA: CONFAP, ENAIP (Acli), IAL (Cisl), CIF, EFAL (MCL), ELABORA (Confcooperative), INIPA (Coldiretti).

Monitoraggio delle politiche regionali in tema di Istruzione e Formazione Professionale

Autore: 
Sandra D'Agostino - Dario Nicoli - Gianni Mascio - Guglielmo Malizia
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2005
Numero pagine: 
203
Sandra D’AGOSTINO - Dario NICOLI Gianni MASCIO - Guglielmo MALIZIA CENTRO NAZIONALE OPERE SALESIANE FORMAZIONE AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE Federazione CNOS-FAP Sede Nazionale Monitoraggio delle politiche regionali in tema di Istruzione e Formazione Professionale 3 PRESENTAZIONE Il Decreto legislativo approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri il 17 ottobre 2005 concernente la “Definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni sul secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione ai sensi della legge 28 marzo 2003”, n. 53, all’articolo 18, comma 2, recita: “Gli standard minimi formativi relativi alle competenze di cui al comma 1, lettera b) sono definiti con Accordo in sede di Conferenza Stato - Regioni di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, ai fini della spendibilità nazionale ed europea dei titoli e qualifiche professionali conseguiti all’esito dei percorsi”. L’esigenza di dotare di standard formativi minimi il sistema della formazione professionale prima, del sistema dell’istruzione e formazione professionale oggi, è stata ed è ancora affermata come necessità, come prerequisito per l’avvio di un vero sistema formativo a dimensione nazionale ed europea. Già la Legge 21 dicembre 1978, n. 845 (“Legge quadro in materia di forma- zione professionale”) all’articolo 18 recitava: “Spettano al Ministero del lavoro e della previdenza sociale: (...) la disciplina dell’ordinamento delle fasce di mansioni e di funzioni professionali omogenee ai fini dei rapporti contrattuali di lavoro. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale provvede con propri decreti, da ema- narsi entro un anno dall’entrata in vigore della presente legge, sentita la commis- sione di cui all’articolo precedente, e tenuto conto degli accordi internazionali e comunitari in vigore, alla definizione delle qualifiche professionali, dei loro conte- nuti tecnici, culturali ed operativi e delle prove di accertamento per la loro attribu- zione. Con successivi decreti si provvederà ai necessari aggiornamenti”. Dopo l’approvazione della Legge 17 maggio 1999, n. 144, contenente disposi- zioni relative all’obbligo di frequenza di attività formative, l’accordo tra Governo, Regioni, Comuni e Comunità montane del 2 marzo 2000, che aveva il fine di dare attuazione a quanto previsto dalla suddetta legge, prevedeva: “Al fine di diffon- dere standard formativi omogenei a livello nazionale, nella strutturazione dei per- corsi formativi si persegue l’obiettivo dello sviluppo di competenze di base, di competenze tecnico-professionali e di competenze trasversali anche mediante le attività di tirocinio, al fine di realizzare un percorso educativo unitario”. Il Decreto legislativo attuativo della Legge 53/03 sopra citato descrive i livelli essenziali delle prestazioni del percorso formativo; all’articolo 18, comma 1, let- tera d), prevede: b) l’acquisizione, ai sensi dell’art. 1, comma 5, di competenze linguistiche, matemati- che, scientifiche, tecnologiche, storico sociali ed economiche, destinando a tal fine quote dell’orario complessivo obbligatorio idonee al raggiungimento degli obiettivi indicati nel profilo educativo, culturale e professionale dello studente, nonché di competenze professionali mirate in relazione al livello del titolo cui si riferiscono; 4 d) il riferimento a figure di differente livello, relative ad aree professionali definite, sen- tite le parti sociali, mediante accordi in sede di Conferenza unificata a norma del de- creto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, recepiti con decreti del Presidente della Re- pubblica su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Tali figure possono es- sere articolate in specifici profili professionali sulla base dei fabbisogni del territorio. Viene spontaneo chiedersi: in questa materia si è ancora all’anno zero? Senza richiamare tutta la letteratura prodotta dall’ISFOL in materia e volendo riferirci solamente ad alcuni testi elaborati negli anni più recenti, possiamo affer- mare che sia Enti di formazione professionale che Regioni hanno elaborato propo- ste molto vicine agli obiettivi ancora una volta dichiarati nel decreto legislativo concernente il secondo ciclo. Il CNOS-FAP e il CIOFS/FP, in occasione della ricerca azione di supporto alla sperimentazione della formazione professionale iniziale1, avevano provveduto ad elaborare un dispositivo di validazione delle figure professionali per il sistema della formazione professionale iniziale, con l’intento di formulare una proposta atta a far superare la proliferazione delle qualifiche professionali e a dotare di indi- cazioni, espresse in termini di competenze, le figure professionali scelte. Fermarsi alle sole denominazioni non avrebbe risolto di per sé la questione della validazione delle figure professionali, se non sul piano dell’etichetta. Si sa- rebbe corso il pericolo di elaborare una proposta in grado di garantire trasparenza e uniformità solo dal punto di vista formale, lasciando alla soggettività dei diversi at- tori sociali il compito di riempire di contenuti le denominazioni proposte e sacrifi- cando in tal mondo la spendibilità sociale delle qualifiche professionali. La scelta, pertanto, è stata quella di problematizzare la questione fino alle competenze che ciascuna figura sottende, poiché da ciò dipende, in ultima istanza, la possibilità di definire degli standard formativi validi per tutti in grado di dare ordine a una mate- ria che da sempre si è distinta per frammentazione e contingenza. Per realizzare il dispositivo, il CNOS-FAP e il CIOFS/FP hanno definito un percorso di riconosci- mento della qualifica mediante il confronto con alcuni sistemi di classificazione delle professioni, sia tra quelli presenti all’interno dell’offerta formativa delle Re- gioni sia tra quelli elaborati a sostegno dell’attività di incontro domanda-offerta di lavoro, sia infine tra i repertori costruiti per l’analisi delle professioni e a supporto delle politiche formative e del lavoro. Le fonti consultate sono state: ErgOnLine, OBNF (anagrafe delle figure professionali), ISFOL (repertorio delle professioni), il CCNL di riferimento, le Regioni Piemonte (standard formativi), Toscana (repertorio dei profili professionali), Veneto (banca dati Ulisse), Lombar- dia (Direttiva regionale). 1 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V., Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della formazione professionale iniziale secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale (Giu- gno 2002), Tipografia Pio XI, Roma, 2002; MALIZIA G. - PIERONI V., Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della formazione professionale iniziale secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow-up (Giugno 2003), Tipografia Pio XI, Roma, 2003. 5 Il percorso di riconoscimento si è articolato in tre distinti livelli di analisi. Il primo livello di confronto ha riguardato solo le denominazioni delle figure professionali. Per ciascuno dei sistemi di classificazione considerati sono state in- dicate una o più denominazioni giudicate equivalenti rispetto a quella scelta. Là dove è stato possibile sono stati riportati anche i dati relativi al tipo di utenza di ri- ferimento, requisiti di ingresso, titolo rilasciato, durata, eventuali indirizzi previsti, comparto produttivo. Il secondo livello di confronto ha riguardato, invece, il cosiddetto referenziale professionale, ossia il documento che specifica la figura professionale, il tipo di competenze associate, nonché il grado di padronanza delle stesse. Il referenziale formativo è stato, infine, caratterizzato dall’indicazione dei pre- requisiti e dei tempi 2. Il materiale elaborato è confluito nella stesura delle linee guida che hanno ispirato la sperimentazione dei percorsi formativi triennali a se- guito dell’Accordo Stato-Regioni del giugno 2003 e nelle successive guide per l’e- laborazione di piani formativi personalizzati articolate in comunità professionali 3. Accanto a queste ed altre documentazioni degli Enti, esistono pubblicazioni elaborate dalle Regioni che, in questi anni, hanno avviato le sperimentazioni di percorsi triennali (secondo l’Accordo quadro del giugno 2003) in collaborazione con gli Enti. Ci riferiamo in particolare alle Regioni Liguria 4, Lombardia 5, Sar- degna 6, Veneto 7. Stimolato a seguito dei dati emergenti dai monitoraggi sui percorsi triennali promossi all’interno della Federazione e dalle varie documentazioni regionali, il CNOS-FAP ha ritenuto utile approfondire la problematica attraverso una azione di 2 CNOS-FAP, Dispositivo di validazione delle figure professionali (Formazione professionale iniziale). Dossier promosso dalla sede nazionale CNOS-FAP e realizzato con la consulenza del prof. Dario Nicoli e il prof. Carlo Catania, Manoscritto, Roma aprile 2001. 3 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del- l’istruzione e della formazione professionale, Tipografia Pio XI, Roma, 2004. Il volume contiene anche un primo repertorio di comunità e di figure professionali. 4 NICOLI D. - PALUMBO M. - MALIZIA G. (a cura di), Per una istruzione e formazione profes- sionale di eccellenza. Nuovi percorsi formativi per la riforma del sistema educativo, Franco Angeli, Milano, 2005; FRANCHINI R. - CERR R. (a cura di), Per una istruzione e formazione professionale di eccellenza. Un laboratorio per la riforma del sistema educativo, Franco Angeli, Milano 2005. 5 COORDINAMENTO INTER-ATS (a cura di), Progetto sperimentale triennale: impostazione meto- dologico-progettuale, 2004. Si tratta di 8 volumetti riguardanti le seguenti aree professionali: alimen- tare, commercio e vendite, edile e del territorio, elettrica, estetica, grafica multimediale, meccanica, servizi impresa. 6 Finanziato dal POR Sardegna 2000/2006, l’ATS composta dal CNOS-FAP Regione Sardegna, IAL Sardegna, ENAIP Sardegna, COSPES Sardegna, CIOFS Sardegna, IBM spa, SELFIN spa, Si- stemi informativi spa, Krenesiel spa, Impresa Insieme ha prodotto le seguenti pubblicazioni: Reperto- rio dei profili professionali e dei corrispondenti percorsi formativi in Sardegna; Guide metodologi- che per l’elaborazione di piani e percorsi formativi; Portfolio delle competenze individuali; L’orien- tamento in Sardegna. Un modello operativo di intervento. 7 ASSOCIAZIONE FORMA VENETO (a cura di), Progetto di azione di sistema. Metodologie e stru- menti per un nuovo modello regionale di riconoscimento delle qualifiche nel secondario e per un co- erente processo di adeguamento delle competenze degli operatori della formazione professionale, 2004; SCUOLA CENTRALE FORMAZIONE (a cura di), Progetto di azione di sistema. Studio, ricerca, valutazione, monitoraggio delle politiche di formazione e istruzione, 2004. 6 monitoraggio delle politiche di alcune Regioni in tema di istruzione e formazione professionale allo scopo di pervenire ad alcune conclusioni orientative. Il volume si apre con un primo commento sul decreto legislativo concernente il secondo ciclo che offre al lettore una prima analisi generale sulla proposta di riordino della scuola secondaria superiore e sulle caratteristiche fondamentali del sottosistema di Istruzione e formazione professionale in particolare. Lo studio è stato affidato ai professori Guglielmo Malizia e Dario Nicoli. Segue l’analisi di quattro casi di studio, e più precisamente le Regioni Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e la Provincia autonoma di Trento che presentano una fase avanzata di proposta in materia di standard, affidata dal CNOS-FAP alla dott.ssa Sandra D’Agostino, ricercatrice ISFOL. Il suo contributo delinea una panoramica non solo dal punto di vista di ciò che avviene in queste Regioni, ma anche dal punto di vista culturale e politico. Al dott. Gianni Mascio, esperto in processi formativi, è stato chiesto, di elabo- rare un saggio comparativo che ponesse in luce alcuni elementi di rilievo quali il riferimento alla riforma in atto, la contestualizzazione entro le politiche dell’ammi- nistrazione e le caratteristiche del sistema culturale, economico, sociale ed istitu- zionale, il modello di intervento, sia dal punto di vista istituzionale che metodolo- gico, una interpretazione dei modelli entro lo schema-tipo che prevede le finalità prevalenti ed il grado di innovazione. Al prof. Dario Nicoli, consulente in tema di istruzione e formazione professio- nale, è stato affidato il compito di una valutazione dei modelli anche in rapporto ai dati campionari dei monitoraggi in atto nella Federazione CNOS-FAP e nell’Asso- ciazione CIOFS/FP. A questo punto ci preme sottolineare che la sperimentazione del modello inte- grale, o puro, è quello che maggiormente ha permesso agli operatori coinvolti di dare vita a proposte di standard descritti sia in compiti caratteristici di area che di figura collocata all’interno della medesima area di differente livello (qualifica pro- fessionale e diploma professionale); queste proposte ci sembrano coerenti con le finalità proprie del sistema di istruzione e formazione professionale che sono quelle del lavoro e della cittadinanza. Nel ringraziare vivamente i collaboratori che hanno reso possibile la realizza- zione del volume, ci auguriamo che il presente studio risulti un utile contributo per quanti sono impegnati, nelle Istituzioni, a definire quell’insieme di competenze, relative alle singole figure professionali, assunto come standard formativo minimo e ritenuto indispensabile per il rilascio di qualifiche o diplomi. Riteniamo, infine, che anche tutti gli operatori della formazione professionale, che hanno vissuto il cambiamento di questi ultimi anni, possono trovare nelle pa- gine che seguono utili approfondimenti e spunti di riflessione per la loro azione formativa. La sede nazionale CNOS-FAP 7 Capitolo 1 Il decreto sul secondo ciclo tra conservazione e riforma. Un primo commento Guglielmo MALIZIA - Dario NICOLI 1. IL DECRETO NEL CONTESTO DELLA RIFORMA DEL SISTEMA EDUCATIVO Il Decreto relativo al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e for- mazione 1 rappresenta, accanto a quello riferito al diritto-dovere, l’architrave del- l’intera riforma e nel contempo il banco di prova su cui valutare l’effettiva volontà del Governo di dare vita ad un disegno riformatore secondo le linee definite dalla Legge n. 53/03. Tali linee, per la natura dei cambiamenti che pongono in atto – che riguardano gli aspetti istituzionali e metodologici, ma soprattutto quelli culturali ri- feriti alla concezione del ruolo dell’insegnante e del compito della scuola – risul- tano fortemente innovative rispetto al quadro esistente, e coerenti con le dinamiche che interessano il sistema nel suo insieme ed il ruolo che la società assegna oggi alla scuola intesa in senso lato, così come più volte indicate dall’Unione europea. A tale proposito, intendiamo segnalare da subito quelli che secondo noi rap- presentano i principi fondamentali del disegno riformatore, ovvero: 1) il principio di unitarietà del secondo ciclo degli studi che viene evidenziato dal riferimento ad un unico “Profilo educativo, culturale e professionale” (PE- CUP) come pure dalla possibilità di ciascun destinatario di perseguire in ogni punto del percorso tutte le opzioni possibili (art. 1, c. 5); 2) il principio del pluralismo formativo che si denota attraverso la comparsa, ac- canto alla “istituzione scolastica”, della “istituzione formativa”, ovvero un or- ganismo accreditato presso le Regioni e Province autonome, garante dei “Li- velli essenziali delle prestazioni” (LEP), avente gli stessi requisiti giuridici della scuola compresa l’autonomia (art. 1, c. 4); 3) il principio della libertà di scelta della famiglia nella decisione circa il per- corso formativo dei figli che si rileva nella priorità, in tema di livelli essenziali delle prestazioni, del criterio di “soddisfacimento della domanda di frequenza” 1 Cfr. Decreto legislativo 17 ottobre 2005: Definizione delle norme generali e dei livelli essen- ziali delle prestazioni sul secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53. 8 (art. 16, c. 1) che comporta una priorità di tale principio rispetto a quello di programmazione che ne risulta conseguente; 4) il principio di personalizzazione del piano di studi che riflette le richieste delle famiglie e degli studenti, formulate all’atto dell’iscrizione e riferite alle attività ed insegnamenti a scelta e facoltativi (art. 3, c. 2); 5) il principio di territorialità che assume in senso stretto una valenza organizza- tiva in quanto possibilità di realizzazione di un ampio ventaglio di percorsi formativi – liceali e di istruzione e formazione professionale – entro un’unica sede (art. 1, c. 15), ed in senso ampio disegna nel territorio il luogo nel quale le istituzioni scolastiche e formative delineano un’intesa educativa di fondo con tutti i soggetti – culturali, sociali, istituzionali – che sono interessati ad un’offerta formativa di qualità. In questo modo, l’impianto generale del sistema così come viene configurato dal Decreto presenta una forte organicità, mentre si assiste ad una estensione del concetto di “scuola” che non indica più una particolare configurazione giuridica (gli istituti scolastici statali o parificati), ma tutte le istituzioni cui viene ricono- sciuta la legittimità di partecipare con la propria offerta formativa al sistema edu- cativo a norma del citato Decreto sul diritto-dovere, quindi comprendente anche le istituzioni formative accreditate dalle Regioni e dalle Province autonome. In tal senso, si notano due movimenti: da un lato vi è una estensione della valenza giuri- dica propria della scuola anche ai centri di formazione professionale ed alle agen- zie formative accreditate per il diritto-dovere, compresi l’apprendistato e le espe- rienze formative realizzate in azienda (alternanza scuola-lavoro); dall’altro, il con- cetto di scuola si fa più ampio tanto da arricchirsi di significati nuovi connessi al più generale compito educativo della comunità territoriale ed alle varie modalità possibili in cui esso si svolge nel nuovo quadro di riferimento. Tale premessa ci consente già di individuare alcune chiavi di lettura che inten- diamo utilizzare per analizzarne il contenuto: a) la natura dell’azione educativa in rapporto alla funzione attribuita alla scuola; b) la struttura dei percorsi nella dina- mica unitarietà/diversificazione; c) il profilo dei soggetti che sviluppano l’offerta formativa ed il tema del pluralismo; d) il ruolo delle istituzioni della Repubblica e la poliarchia di competenze. 1.1. Natura dell’azione educativa Nel quadro attuale, la scuola e la formazione non possono limitarsi alla mera istruzione o al semplice addestramento. Oltre alle ragioni valide in ogni contesto che motivano un intervento pienamente educativo specie in relazione ad adole- scenti e giovani, l’unico in grado di realizzare le loro potenzialità e renderli auten- ticamente competenti e quindi capaci di esercitare in modo effettivo la loro libertà, occorre ricordare le questioni tipiche del nostro tempo, ovvero il tema degli inseri- menti di soggetti extracomunitari, la crescente diffusione di problematiche dell’i- 9 dentità, delle relazioni e dell’apprendimento, i processi di disgregazione sociale, la crisi dei valori e la necessità di rafforzare l’identità e l’appartenenza alla comunità civile. Siamo di fronte ad un nuovo contesto sociale e culturale che richiede un punto di vista più adeguato circa i compiti dell’educazione. Le sfide che il sistema educativo si trova di fronte debbono condurre a rispondere responsabilmente al mutamento culturale e dei costumi tramite un approccio educativo amichevole, personalizzato e nel contempo comunitario, ed inoltre mediante un metodo di apprendimento più concreto e vicino alla realtà delle persone. Ciò si lega alla necessità di finalizzare l’offerta formativa a tutti i cittadini, nessuno escluso. L’impianto pedagogico ed organizzativo tipico della scuola (spe- cie per il secondo ciclo) e dell’università italiana presenta ancora caratteri di eliti- smo non più adeguati ai tempi. Spesso la mappa del successo scolastico non fa al- tro che confermare la mappa della stratificazione sociale: l’opera educativa non pare ancora in grado di contrastare i fenomeni di discriminazione sociale né di valorizzare i talenti di cui le persone sono portatrici. Inoltre, il sistema educativo di cui vi è estremo bisogno, al fine di fronteggiare con possibilità di successo la varietà e la vastità delle domande emergenti, deve potersi riferire ad ogni cittadino lungo tutto il corso della sua vita e deve valoriz- zare ogni suo apprendimento significativo, qualunque sia il modo – formale, non formale ed informale – in cui questo è stato acquisito. Ciò richiede maggiore scambio ed apertura nei confronti delle varie realtà che esprimono un potenziale formativo; nel contempo esige un approccio formativo che pone in gioco la neces- saria circolarità tra teoria e pratica, superando una concezione angusta dell’inse- gnamento disciplinare inteso come mero trasferimento di cognizioni. 1.2. Struttura dei percorsi nella dinamica unitarietà/diversificazione Di fronte alla vastità e alla complessità delle questioni connesse all’azione educativa, si impone la necessità di un sistema educativo che sia unitario e nel con- tempo flessibile e pluralistico. La flessibilità rappresenta la prospettiva di ogni strategia di servizio che intenda accompagnare i mutamenti piuttosto che tentare di ingabbiarli entro schemi rigidi. La prospettiva del diritto-dovere di istruzione e di formazione intende riconoscere e quindi consentire a tutti la possibilità di rintrac- ciare entro una varietà di strategie di pari dignità le migliori risposte alle proprie esigenze. Ciò vale per l’intera offerta formativa, ed in particolar modo per quella di natura professionalizzante. Il sistema di istruzione e formazione professionale necessita di un approccio polivalente e nel contempo aperto alle caratteristiche e alle opportunità del contesto. Questo conduce ad una strategia formativa basata sul compito reale e l’alternanza, ovvero sul coinvolgimento dei vari attori culturali, istituzionali, economici e professionali entro un impegno educativo di natura col- laborativa. Alla luce del nuovo Titolo V della Costituzione modificato dalla Legge costi- tuzionale n. 3 del 18 ottobre 2001 che supera la tradizionale distinzione, presente 10 nell’originario linguaggio della Costituzione, tra “scuola”, da un lato, e “istruzione artigiana e professionale” dall’altro, si è delineata la possibilità di una nuova clas- sificazione dell’offerta non più basata sulla univocità del concetto di “scuola” bensì sul criterio che sottende il carattere dell’offerta formativa. In tal senso, esi- stono due tipi di percorsi: 1) quelli che presentano il carattere di “istruzione” nel senso che forniscono allo studente una visione culturale generale in forza della quale egli può successi- vamente completare gli studi in sede universitaria o di formazione superiore (principio di propedeuticità), i cui titoli rilasciati non si riferiscono a profili presenti nel mondo del lavoro; 2) quelli che presentano un carattere “professionalizzante”, ovvero che mirano a dotare la persona di requisiti di competenza tali da consentirle di immettersi nel mercato del lavoro e delle professioni (principio di professionalità) avendo acquisito titoli coerenti con profili corrispondenti a ruoli effettivamente rico- nosciuti nel mondo del lavoro. Si impone qui la grande rivoluzione dei percorsi personalizzati: il punto di ri- ferimento di ogni intervento educativo deve essere la persona collocata entro una pluralità di relazioni di classe, di gruppo, di esperienza, in specie quelle persone che, presentando maggiori difficoltà, necessitano di un accompagnamento più ade- guato. Ciò richiede una qualificazione delle risorse, in particolare di quelle umane, ed una loro migliore distribuzione in rapporto alle necessità emergenti. 1.3. Profilo dei soggetti che sviluppano l’offerta formativa ed il tema del pluralismo L’apertura del sistema educativo alle dinamiche della società civile, sia sotto forma di domande sia di opportunità ed esperienze, definisce in modo nuovo il profilo degli organismi che sono legittimati ad erogare l’offerta formativa. Il disegno riformatore propone il superamento della concezione della “scuola di Stato” per una “scuola della Repubblica” che fa venir meno la coincidenza tra ser- vizio e pubblica amministrazione e consente di concepire come “pubblico” ogni servizio che presenti specifici requisiti di qualità definiti in base ai livelli essenziali delle prestazioni. Nonostante ciò, si è ancora lontani dal riconoscere pienamente, anche a livello di finanziamenti, la pubblicità del servizio reso dalle scuole pari- tarie private. Così come è accaduto per altri comparti di servizi, anche tutte le istituzioni formative debbono affrontare i temi connessi alla stagione della qualità ponendosi seriamente il problema del rapporto tra le risorse affidate, i processi messi in atto ed i soggetti coinvolti ai cui bisogni intende dare risposta. Si tratta di una pro- spettiva che richiede un rovesciamento dei fattori, ovvero l’assunzione di una visione autenticamente di servizio, secondo cui l’interesse primario è quello dei 11 cittadini, piuttosto che quello degli operatori intesi sia come istituzioni sia come ri- sorse umane. Il sistema educativo appare oggi eccessivamente rigido e autoreferenziale per la parte scolastica e, all’opposto, troppo incerto e variabile per la parte formativa. Per correggere questo dualismo, la Legge n. 53/03 prevede il rispetto dei livelli es- senziali delle prestazioni definiti a garanzia dei diritti civili e sociali dei cittadini. Contemporaneamente, le istituzioni formative debbono misurarsi con il valore effettivo della propria azione a favore delle diverse categorie di beneficiari, e sulla base di questo accettare una valutazione cui ne consegua una selettiva distribu- zione di risorse. Anche gli educatori debbono poter ottenere risorse adeguate, sia salariali sia formative, per svolgere al meglio la loro attività che non può peraltro essere affrontata sotto forma impiegatizia come fosse una procedura amministrativa che richiede unicamente di essere portata a termine; essa esige al contrario una forte motivazione educativa e la ricerca di una interazione vitale con gli studenti e le loro famiglie che esprima prossimità, assunzione in carico dello sviluppo delle loro potenzialità, cooperazione al fine di un reale apprendimento che arricchisca effetti- vamente le persone e, con esse, la società tutta. Un punto centrale al fine di garantire unitarietà al sistema e pari opportunità alle famiglie ed ai loro figli è costituito dal principio di autonomia che consente alle istituzioni formative (cui tale principio non era finora riconosciuto) di svilup- pare al meglio la propria responsabilità didattica ed organizzativa e agli Enti locali di elaborare un’offerta formativa di qualità, coerente con i livelli essenziali delle prestazioni previsti al fine di garantire i diritti civili e sociali dei cittadini su tutto il territorio nazionale, ma soprattutto validata dalla opzione delle famiglie che tra- mite la domanda di frequenza esercitano il loro dovere educativo. Infatti, la libertà di educazione, come libertà di scelta della scuola da frequentare, si fonda sul di- ritto di ogni persona ad educarsi e ad essere educata secondo le proprie convin- zioni e sul correlativo diritto dei genitori di decidere dell’educazione e del genere d’istruzione da dare ai loro figli minori. 1.4. Ruolo delle istituzioni della Repubblica e la poliarchia di competenze La nuova configurazione della Repubblica prevede necessariamente una ridu- zione di competenze (“devoluzione”) da parte dello Stato, e nel contempo una loro qualificazione, ed una assunzione più rilevante di responsabilità da parte degli Enti locali a cominciare dalle Regioni e Province autonome. Si tratta di un disegno nel quale vanno distinti i profili di competenza in base all’oggetto della stessa, ovvero: 1) emanazione delle norme generali; 2) definizione degli indirizzi dei percorsi formativi; 3) responsabilità di programmazione e di gestione delle risorse. 12 La nuova configurazione normativa disegna un sistema nel quale si delineano una varietà di soggetti in grado di svolgere una funzione propria, anche se – lo di- ciamo da subito – non appare chiarissima la specificazione dei diversi oggetti so- pra indicati, specie là dove si parla di “livelli essenziali delle prestazioni” e di “standard formativi minimi” con un linguaggio che può preludere ad una sovrap- posizione tra l’ambito che attiene all’offerta formativa intesa come caratteristiche che debbono essere garantite dalle istituzioni formative per poter soddisfare i re- quisiti del diritto-dovere, e l’ambito che attiene agli apprendimenti degli studenti con riferimento anche alla problematica della certificazione e dei titoli di studio. Appare ineludibile, peraltro, la creazione di un sistema di offerta territoriale che consenta di delineare un campo formativo in cui i diversi attori possano coope- rare – ognuno nel proprio ambito di azione – al fine di qualificare in modo conti- nuativo l’insieme delle attività poste in atto. Si coglie qui la rilevanza del territorio come contesto ma pure come sistema di relazioni che favoriscono un’assunzione di responsabilità dei vari attori circa la responsabilità educativa che non può essere semplicemente delegata alla scuola. Ma non vanno sottaciute le forti differenze amministrative e gestionali delle diverse Regioni del nostro Paese; ciò riflette una varietà di condizioni socio-econo- miche ma anche culturali che esigono di essere comprese e valorizzate al fine di evitare la prospettiva dell’“anno zero” della riforma. Da qui la necessità di un ob- bligato gradualismo nella sua attuazione, facendo leva innanzitutto sui fattori di forza e nel contempo di minore resistenza, così da disegnare più cantieri che proce- dano in tempi e combinazioni differenti verso la stessa meta complessiva. Delineare nel concreto l’insieme di questi criteri e disegnare un quadro di in- dirizzo e gestionale del secondo ciclo degli studi in modo che tutti i fattori indicati siano collocati entro un insieme armonico, appare un impegno rilevante e non sce- vro di criticità di notevole rilievo. Infatti, vi è il pericolo da un lato di annunciare cambiamenti di ordine generale, ma di procedere poi nei fatti con una riproposi- zione – magari sotto altro nome – dell’esistente; dall’altro, si corre il rischio di creare, specie in riferimento alle istituzioni, un insieme disordinato di ruoli e fun- zioni, che la succitata “poliarchia istituzionale” può comportare a causa della non felice definizione dei profili di competenza dell’una o dell’alta istituzione chiamata ad operare. Ma va segnalato soprattutto il quadro critico in cui versa il personale, sia sotto il profilo motivazionale (la scuola italiana presenta la media di età più elevata di tutti i Paesi sviluppati) sia sotto quello delle competenze ad agire in un contesto siffatto. È alla luce di questi punti che intendiamo esprimere una valutazione sui vari aspetti costituitivi il Decreto relativo al secondo ciclo degli studi, così come previ- sti nell’articolato. 13 2. ASPETTI GENERALI RELATIVI AL SECONDO CICLO DEL SISTEMA EDUCATIVO DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE Nell’impostazione generale del Decreto, l’unico articolo del capo 1 svolge il compito di richiamare sinteticamente i principi fondamentali che hanno ispirato la Legge n. 53/03 nella stesura della normativa sul secondo ciclo. Nella sequenza dei vari commi si incomincia con il ribadire una conquista della riforma: il sistema educativo è unitario e al tempo stesso internamente arti- colato in (sotto)sistema dei licei e (sotto)sistema dell’istruzione e della formazione professionale (Bertagna, 2005b). In altre parole, sia i percorsi liceali sia quelli del- l’istruzione e della formazione professionale educano la persona, cioè ne promuo- vono lo sviluppo pieno (sapere, saper essere, saper fare),2 e pertanto sono di pari dignità: i primi però perseguono tale finalità, servendosi del fare e dell’agire per elaborare pensiero e teoria, mentre i secondi utilizzano la teoria e l’azione per pro- durre in modo esperto. Ambedue assicurano il conseguimento di una formazione intellettuale, spirituale e morale, ispirata ai principi della Costituzione, lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, a quella nazionale ed alla civiltà europea, la crescita dell’autonoma capacità di giudizio e l’esercizio della responsabilità personale e sociale. Entrambi i percorsi forniscono gli stru- menti indispensabili per l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, in partico- lare la padronanza dell’italiano, dell’inglese e di una lingua europea, l’acquisizione delle competenze e l’ampliamento delle conoscenze, delle abilità, delle capacità e delle attitudini relative all’uso delle nuove tecnologie, in base agli obiettivi forma- tivi previsti dal “Profilo educativo, culturale e professionale” dello studente alla fine del secondo ciclo di istruzione. Inoltre, sia nei licei sia nell’istruzione e forma- zione professionale si realizza dopo i 15 anni l’alternanza scuola-lavoro che, quindi, consente non solo di acquisire competenze tecnico-professionali, ma anche di contribuire alla costruzione del sapere teorico. Del passaggio da un modello centralistico e gerarchico ad uno poliarchico (sancito dal Titolo V della Costituzione e recepito dalla Legge n. 53/03), cioè da un modello fondato sulle esclusive prerogative dello Stato ad uno che fa interagire in maniera integrata tre diverse competenze, quella dello Stato, quella delle Regioni e degli Enti territoriali e quella delle istituzioni scolastiche autonome, il Decreto ri- prende solo due punti fondamentali. Anzitutto, viene sottolineato che lo Stato ga- rantisce i livelli essenziali delle prestazioni del secondo ciclo, cioè le condizioni organizzative, gestionali e professionali a monte. Di conseguenza la normativa può affermare che nei percorsi liceali e in quelli di istruzione e formazione professio- nali si realizza il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione; anche in questo caso si assiste ad un salto di qualità, non solo sul piano della durata in quanto si passa dai 9 ad almeno 12 anni o, comunque, sino al conseguimento di una quali- fica entro il diciottesimo anno di età, ma soprattutto perché la Legge si muove 2 Cfr. art. 1, c. 5. 14 nella linea della tendenza emersa recentemente in Europa al superamento del con- cetto stesso di obbligo scolastico, in quanto l’istruzione e la formazione, prima che dei doveri, sono dei diritti della persona e vanno assicurate a tutti in modo pieno. Un altro orientamento fondamentale della nuova governance si può vedere rispec- chiato nel riconoscimento dell’autonomia didattica, organizzativa, finanziaria e di ricerca e sviluppo a tutte le istituzioni del sistema educativo e non solo alle scuole. Il Decreto recepisce nel modo più pieno anche il principio della complementa- rità e della interconnessione tra i licei e gli istituti di istruzione e di formazione professionale e della valorizzazione di tutte le esperienze di educazione non-for- male e informale dello studente. Infatti, l’art. 1, c. 7 recita che ambedue “assicu- rano ed assistono, anche associandosi tra loro, la possibilità di cambiare scelta tra i percorsi liceali e, all’interno di questi, tra gli indirizzi, ove previsti, nonché di pas- sare dai percorsi liceali a quelli dell’istruzione e formazione professionale e vice- versa”. A sua volta, il c. 8 aggiunge: “La frequenza, con esito positivo, di qualsiasi percorso o frazione di percorso formativo3 comporta l’acquisizione di crediti certi- ficati […] Le istituzioni del sistema educativo di istruzione e formazione ricono- scono inoltre, con specifiche certificazioni di competenza, le esercitazioni pratiche, le esperienze formative, i tirocini di cui all’articolo 18 della legge 24 giugno 1997, n. 196 e gli stage realizzati in Italia e all’estero […] Ai fini di quanto previsto nel presente comma sono validi anche i crediti formativi acquisiti e le esperienze ma- turate sul lavoro, nell’ambito del contratto di apprendistato […]”. Da ultimo il c. 11 stabilisce che “Sono riconosciuti i crediti formativi conseguiti nelle attività sportive svolte dallo studente presso associazioni sportive”. A parere di Bertagna (2005a), Le Regioni, […] avendo non solo la legislazione esclusiva sull’istruzione e forma- zione professionale, ma anche la legislazione concorrente sull’istruzione […], sono tenute ad organizzare l’offerta formativa territoriale e a distribuire il personale docente e non docente, ora statale, in maniera tale da concretizzare questi propositi di permeabi- lità dei due (sotto)sistemi sia per chi frequenta i licei, sia per chi frequenta gli istituti dell’istruzione e formazione professionale. In questo senso, è la Repubblica nel suo in- sieme che, in nome del principio della leale collaborazione interistituzionale tra Stato, Regioni, Enti locali, istituzioni scolastiche e per il rispetto del fondamentale diritto so- ciale e civile dei cittadini all’istruzione e formazione, affida alle Regioni il compito di istituire Larsa di istituto e/o territoriali (Larsa: Laboratori di Approfondimento, Re- cupero e Sviluppo degli Apprendimenti), rivolti unitariamente ad assicurare e assistere i passaggi degli studenti all’interno dei e tra i due (sotto)sistemi dell’unico sistema edu- cativo nazionale. Di particolare rilevanza è il c. 13 dell’art. 1 che è nuovo rispetto allo schema del 27 maggio. Esso suona così: “Tutti i titoli e le qualifiche a carattere professio- nalizzante sono di competenza delle Regioni e Province autonome e vengono rila- sciati esclusivamente dalle istituzioni scolastiche e formative del sistema d’istru- 3 Superando la restrizione indebita che lo schema del 27 maggio aveva introdotto, in quanto aveva limitato l’acquisizione di crediti certificati alla frequenza di un indirizzo. 15 zione e formazione professionale. Essi hanno valore nazionale in quanto corrispon- denti ai livelli essenziali”. Viene ribadito uno dei principi fondamentali della nuova governance, introdotta dalla riforma del Titolo V della Costituzione, che affida alle Regioni la competenza esclusiva del (sotto)sistema dell’istruzione e della forma- zione professionale e soprattutto si cerca di allontanare il rischio che il liceo di- venti una istituzione “acchiappatutto”, emarginando di fatto gli istituti di istruzione e di formazione professionale. La norma mira anche ad ovviare a uno dei limiti della legislazione finora vigente sulla formazione professionale che aveva confi- nato quest’ultima nella autoreferenzialità regionale, privandola di un respiro e di una valenza nazionale. In questo contesto si giustifica l’introduzione del nuovo modello organizzativo dei “poli” o dei “campus”, come stabilisce l’art. 1 al c. 15: i “percorsi del sistema dei licei, e quelli del sistema di istruzione e formazione professionale, possono es- sere realizzati in un’unica sede, anche sulla base di apposite convenzioni tra le isti- tuzioni scolastiche e formative interessate” costituendo, insieme, un centro poliva- lente denominato “campus” 4. Per la realizzazione delle finalità dell’intero sistema educativo e per l’attuazione di un forte legame con il mondo del lavoro, dell’eco- nomia e delle professioni, il “campus-polo formativo” ha una struttura flessibile e organica, e fornisce differenti opportunità di istruzione e di formazione. Ma ciò in coerenza con gli ordinamenti, infatti ciascuno “dei percorsi di insegnamento-ap- prendimento ha una propria identità ordinamentale e curricolare”. Anzitutto, il comma in questione costituisce un superamento della disposi- zione di un precedente schema secondo cui tutti gli istituti di istruzione secondaria superiore diventavano licei ad eccezione degli istituti professionali di Stato e que- sti ultimi insieme con i centri di formazione professionale venivano a costituire il (sotto)sistema dell’istruzione e della formazione professionale; fra l’altro, tale nor- mativa contraddiceva palesemente il principio della pari dignità tra i due (sotto)si- stemi perché non si può sostenere che il 75% (la percentuale di allievi che veniva attribuita ai licei) sia pari al 25% (la porzione residua dell’istruzione e della for- mazione professionale). In positivo, la disposizione precisa con chiarezza che la distinzione delle com- petenze costituzionali non va ricercata tanto nei nomi delle istituzioni quanto nella finalità e nella natura dei percorsi (Sugamiele, 2005). Inoltre, l’innovazione introdotta può venire incontro alla preoccupazione espressa dalla Confindustria e dai dirigenti di diversi istituti tecnici insieme con i loro docenti e studenti che nella eventuale trasformazione in licei tecnologici do- vesse essere perduto il patrimonio di formazione professionalizzante da loro accu- mulato in tanti anni di insegnamento efficace: con la normativa in questione gli 4 A nostro parere, questa sembra l’interpretazione più corretta, che cioè il “campus” o “polo formativo” può essere attivato alla pari dai percorsi dei sistemi dei licei e da quelli del sistema di istruzione e di formazione professionale, ma il comma è stato redatto in una maniera così pasticciata da offrire la possibilità ai governanti o amministratori del momento di restringere l’iniziativa solo ai percorsi liceali. 16 istituti tecnici possono realizzare percorsi liceali di indirizzo con una notevole dis- ponibilità di ore proprio per tale componente dell’offerta formativa. Anche se, va detto con chiarezza, in tal modo si viene a creare una soluzione ibrida che, mentre viene collocata entro il sottosistema liceale e quindi presenta una natura propedeu- tica all’Università, acquisisce anche una natura di indirizzo tecnologico che sem- bra preludere ad una cultura tecnica professionale. In tal modo si creano due pro- blematicità: da un lato la possibilità di una piena preparazione all’esame di Stato è limitata dallo scarso numero di ore attribuite alla parte non di indirizzo, dall’altro la volontà di articolare indirizzi consistenti non riesce a realizzare un intento pro- fessionalizzante sia per gli obiettivi limiti di tempo sia per l’assenza di uno sbocco professionalizzante. Vista questa soluzione ibrida che scontenta ambedue i corni del dilemma (liceo, ma di indirizzo), sarebbe stato meglio investire maggiormente sul sistema di istruzione e formazione professionale vista anche la valenza attri- buita ai titoli che esso rilascia e che prevedono, oltre al titolo di qualifica triennale (art. 17, c. 1), il titolo di diploma professionale di tecnico per i percorsi quadrien- nali e quello di diploma professionale di tecnico superiore per i percorsi di istru- zione e formazione tecnica superiore (art. 20, c. 1). Una possibilità di maggiore contiguità tra le varie offerte formative viene for- nita in tema di “campus” o “polo” formativo che rappresenta un luogo fisico nel quale sono compresenti percorsi liceali e percorsi di istruzione e formazione pro- fessionale, avendo garantita a ciascuno di essi la propria identità ordinamentale e curricolare, anche tramite convenzioni che non paiono limitate ad un mero feno- meno aggregativo, ma prevedono il coinvolgimento, oltre alle istituzioni scolasti- che e formative, delle associazioni imprenditoriali del settore economico e tecnolo- gico di riferimento e degli Enti locali (art. 1, c. 15). Ciò esclude in modo definitivo soluzioni uniformi come quelle del biennio unico (che peraltro non trovano alcun aggancio nella Legge 53/03) che al contrario mirano a ridurre la possibilità di scelta dei destinatari eliminando le “istituzioni formative” e riducendole ad un mera appendice tecnico-laboratoriale delle istituzioni scolastiche, oltre che a svuo- tare di consistenza il principio di autonomia e di territorialità. Va infatti sottolineato come le istituzioni di istruzione e di formazione non possano essere considerate solamente come uffici periferici dello Stato o delle Re- gioni, ma godano di vera autonomia. Pertanto, pur rimanendo fermo il principio che lo Stato istituisce i percorsi liceali e le Regioni quelli di istruzione e di forma- zione professionale, lo Stato e le Regioni non possono imporre ad un’istituzione di istruzione e di formazione di richiedere l’attivazione dell’uno o dell’altro tipo di percorso, ma spetta ad ogni istituzione decidere di quale percorso domandare l’atti- vazione. Sarà “poi compito della Regione e degli enti locali decidere, in sede di programmazione territoriale, se accedere in tutto o solo in parte alle richieste delle istituzioni di istruzione e di formazione, ma non pare certo possibile decidere a priori, in qualunque sede, Ministero o Conferenza Stato Regioni, che determinate istituzioni restino statali perché sede di licei, altre diventino regionali perché sedi di percorsi che rilasciano titoli e qualifiche professionali, e dentro le prime e le se- 17 conde sia possibile o impossibile attivare corsi liceali statali o di istruzione e for- mazione professionale regionali” (Bertagna, 2005b, 240). Pertanto, la legislazione regionale è chiamata “a stabilire i criteri con cui orga- nizzare a rete, nei diversi territori, le strutture del sistema educativo di istruzione e formazione, volte a promuovere gli apprendimenti formali delle giovani genera- zioni (quanti e quali licei, e dove; quanti e quali corsi da 3 a 9 anni di istruzione e formazione professionale, e dove; quanti e quali collegamenti con l’apprendistato, e dove, e come; quanti e quali ‘quinti anni’ sfusi o ‘percorsi formativi quinquennali sistematici’ organizzare nel sistema dell’istruzione e formazione professionale per consentire ai giovani di sostenere gli esami di Stato, e dove), e a considerare, in questo contesto, in maniera adeguata, anche la necessità di istituire i Larsa, con ap- posite strutture logistiche e di personale” (Bertagna, 2005a). Inoltre, se è vero che l’acquisizione dei livelli di competenza richiesti dalla società della conoscenza non può essere assicurata solo dalle istituzioni che impartono l’educazione formale, il “campus” dovrà comprendere anche le offerte non formali e informali. Pertanto, l’attuazione di tale modello organizzativo comporta non solo la realizzazione di reti educative territoriali, fatte di edifici e di servizi diversi facilmente raggiungibili che implicano la mobilità orizzontale e verticale degli allievi, ma anche la proget- tazione dell’offerta formativa in termini di collaborazione istituzionale, basata sul ricorso sistematico alla sussidiarietà verticale e orizzontale. Nel testo approvato, viene posto maggiormente l’accento sul pieno coinvolgi- mento di associazioni economiche ed Enti locali, e ciò pare riferibile più alla lo- gica di “polo formativo” che indica l’esistenza di intese ampie e di carattere strate- gico fra tutti gli attori interessati alla qualità dell’offerta formativa in riferimento a specifici ambiti settoriali e territoriali. Passando ora ad altri aspetti meno convincenti di questo capo, anzitutto va os- servato che, se esso riafferma vari degli orientamenti fondamentali che caratteriz- zano la Legge n. 53/03, è anche vero che non tutti sono stati recepiti. Più specifica- mente mancano i principi della crescita e della valorizzazione della persona umana, del rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, dell’attenzione alle differenze e al- l’identità di ciascuno e della libertà di scelta educativa della famiglia nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori. La centralità della persona umana costitui- sce la pietra d’angolo della legge per cui andrebbe menzionata, e anche l’afferma- zione del rispetto dei ritmi dell’età evolutiva e delle differenze e dell’identità di ciascuna dovrebbe essere ribadita nel Decreto attuativo perché fonda una delle maggiori novità della riforma quella cioè della introduzione di un unico sistema educativo internamento articolato in un (sotto)sistema dei licei e un (sotto)sistema dell’istruzione e della formazione professionale. Inoltre, anche il riconoscimento esplicito della libertà di scelta educativa delle famiglie trova una piena giustifi- cazione nel fatto che la sua realizzazione nel nostro Paese è, come si sa, ancora insoddisfacente. Se il primo titolare del diritto all’educazione è la persona dell’educando, allora la normativa dovrebbe essere particolarmente rispettosa delle scelte personali degli 18 allievi. Pertanto, l’opportunità dell’alternanza scuola-lavoro andrebbe prevista come una possibilità offerta allo studente e non come una decisione dell’ammini- strazione. Questo vale anche per il cambio indirizzo che dovrebbe essere assicurato a domanda degli allievi. Correttamente, il c. 12 dell’art. 1 stabilisce che al “secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione si accede previo superamento dell’esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione”. Tenuto però conto che il tasso di coloro che non ottengono la licenza media è ancora elevato, sembrerebbe oppor- tuno che la normativa riconoscesse in qualche modo la lunga e apprezzata espe- rienza che l’istruzione e la formazione professionale possiedono nel recupero di preadolescenti in difficoltà sulla base di un approccio che parte dal fare per arri- vare al conoscere. 3. PERCORSI LICEALI Dopo aver definito i principi generali che regolano la normativa del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e di formazione considerato nella sua glo- balità, il Decreto affronta nel capo II i percorsi liceali. Questa sezione della norma- tiva comprende 5 articoli (2, 3, 12, 13 e 14) che riguardano tutto il (sotto)sistema dell’istruzione mentre gli altri 8 (dal 4 all’11) si occupano delle varie tipologie pre- viste dalla Legge n. 53/03. Si incomincia con le finalità generali. L’art. 2, c. 1 conferma che i percorsi li- ceali mirano allo sviluppo della persona umana in tutte le sue dimensioni, come l’intero secondo ciclo, ma si distinguono dai percorsi di istruzione e di formazione professionale in quanto adoperano il sapere e il fare con l’intento prioritario di co- noscere (Bertagna, 2005b). Essi infatti offrono agli allievi gli strumenti culturali e metodologici che consentono loro una comprensione approfondita e di alto livello delle questioni connesse con la persona e la società nel mondo contemporaneo; lo scopo ultimo è di educarli ad accostare la realtà con atteggiamento razionale, crea- tivo, progettuale e critico e ad acquisire la padronanza di conoscenze, competenze, abilità e capacità adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del la- voro. Secondo il c. 6 dell’art. 2, i tratti appena richiamati costituiscono la “cultura liceale”. A prima vista, la normativa risulta in linea con la natura propedeutica dei percorsi liceali come voluta dalla riforma Moratti; al tempo stesso, il riferimento al diretto inserimento nel mondo del lavoro appena richiamato e la finalizzazione dei licei ad indirizzo a una preparazione non solo scientifica, ma anche professionale tendono a indebolire tale impostazione e va aggiunto che questa mancanza di una chiara e completa adesione all’idea della propedeuticità costituisce un elemento ricorrente di tutto il capo e anzi in alcuni casi arriva fino a contraddirla. In questo ambito, una novità dello schema del 27 maggio prima e poi del Decreto consiste nell’aggiunta del termine “capacità” a “conoscenze”, “abilità” e “competenze”. Tale introduzione può essere di per sé positiva: se per “capacità” 19 si intendono le “capacità personali”, ossia “l’insieme delle caratteristiche (tratti, disposizioni, vocazione, attitudini…) che l’individuo pone in atto in differenti si- tuazioni sia professionali sia di vita quotidiana e che ne connotano la personalità” (Nicoli, 2000, 95) e se tale aggiunta non viene intesa come un indebolimento del concetto di competenza, che rappresenta l’esito del processo di apprendimento, in quanto padronanza della persona nel sapere affrontare positivamente i vari problemi della vita personale, sociale e professionale propri del nostro tempo. Nel Decreto, però, l’uso di tale termine non è affatto corretto in tre contesti; quando si parla: 1) di una scuola e di docenti che facciano acquisire le capacità agli studenti (come se le capacità fossero qualcosa di estraneo e di esterno al soggetto stesso, che egli può però acquistare al mercato dell’istruzione, e di cui potrà adornarsi quasi fossero monili a lui aggiuntivi); 2) di una scuola e di docenti che forniscano agli studenti, non che sviluppino, promuovano, valorizzino in loro, le capacità per frequentare una scuola piutto- sto di un’altra (quasi a voler dire che la forza e la potenza dell’insegnamento prevale sulla forza e la potenza dell’apprendimento, nel senso che il docente può attrezzare lo studente con gli utensili che vuole, piacciano o non piacciano allo studente stesso); 3) di una scuola e di docenti che certifichino e valutino le capacità di ciascuno (come se le capacità di ciascuno, sempre, per natura, potenziali, perché non si smette mai, per tutta la vita, di umanarsi e di diventare chi si è, fossero attuali, fotografabili come sono, fissate una volta per tutte invece che attese nel loro inesauribile svolgersi) (Bertagna, 2005c, 63). La durata è fissata per tutti i percorsi liceali in 5 anni in continuità con l’ordi- namento precedente (Cicatelli, 2005). Un aspetto di novità è costituito dall’artico- lazione in due periodi biennali e in un quinto anno che “prioritariamente completa il percorso disciplinare e prevede altresì la maturazione delle competenze mediante l’approfondimento delle conoscenze, e l’acquisizione di capacità e di abilità carat- terizzanti il profilo educativo, culturale e professionale del corso di studi” (art. 2, c. 2). La discontinuità tuttavia appare relativa in quanto sulla base delle “Indica- zioni nazionali” l’approfondimento selettivo di conoscenze, abilità e competenze risulta molto in ombra nell’ultimo anno. Sempre a proposito del corso terminale, un’altra novità, tutta ancora da sperimentare, riguarda la possibilità di definire d’intesa con le università, con le istituzioni di alta formazione e con il sistema del- l’istruzione e formazione tecnica superiore “specifiche modalità per l’approfondi- mento delle conoscenze e delle abilità richieste per l’accesso ai corsi di studio uni- versitari e dell’alta formazione, rispetto ai quali i percorsi dei licei sono propedeu- tici, ed ai percorsi dell’istruzione e formazione tecnica superiore, nonché per l’ap- profondimento delle conoscenze e delle abilità necessarie per l’inserimento nel mondo del lavoro”; quest’ultima opportunità, aggiunta nel Decreto rispetto allo 20 schema del 27 maggio contribuisce ad indebolire la natura propedeutica dei licei quale voluta dalla Legge 53/03. Nella linea della continuità è previsto che l’esame di Stato viene a coronare il percorso quinquennale e che il relativo titolo consente la continuazione degli studi all’università e negli istituti di alta formazione. Tuttavia, anche in questo caso si registra una interessante novità in quanto già l’ammissione al quinto corso per- mette di iscriversi all’istruzione e formazione tecnico-superiore: indubbiamente si tratta di una ulteriore significativa opportunità rispetto al passato che per poter dare tutti i suoi frutti e per evitare abbandoni per mancanza di coerenza tra gli studi liceali e il corso intrapreso, come è avvenuto e avviene ancora all’università, richiede che vengano previsti, là dove necessario, interventi propedeutici ai fini di conseguire una preparazione adeguata alla professionalità scelta. Otto sono le tipologie che compongono l’attuale sistema dei licei: si tratta dei percorsi artistico, classico, economico, linguistico, musicale e coreutico, scienti- fico, tecnologico e delle scienze umane (Cicatelli, 2005). Tre di essi, artistico, eco- nomico e tecnologico si distribuiscono in indirizzi: così recita l’art. 2, c. 6, ma di fatto i percorsi sono quattro perché il liceo musicale e coreutico si divide nelle se- zioni musicale e coreutica che costituiscono due indirizzi e forse due tipologie di- stinte. Otto tipologie e 13 indirizzi (o 15 se si includono le sezioni musicale e co- reutica) non sono poco; al tempo stesso non si può negare la razionalizzazione compiuta rispetto alla precedente frammentazione. In relazione alla tradizione pre- cedente le novità più importanti sono costituite dai licei economico e tecnologico. Anche in questo caso, proprio per la discontinuità introdotta rispetto al passato sa- rebbe stato utile ribadire che gli indirizzi presentano natura propedeutica; in linea con questo orientamento si sarebbe dovuto dire che essi vengono realizzati nel quinto anno, ma questa ipotesi che avrebbe affermato in maniera inequivocabile la propedeuticità dei percorsi liceali e che è stata anche discussa durante i lavori della Commissione degli esperti istituita dal MIUR, non ha trovato i necessari consensi. Al contrario, il Decreto ha rafforzato la natura professionalizzante dei licei ad indi- rizzi con l’aggiunta del c. 7 all’art. 2: “Nel liceo economico e nel liceo tecnologico è garantito l’apprestamento di una consistente area di discipline e attività tecnico- professionali tale da assicurare il perseguimento delle finalità e degli obiettivi inerenti alla specificità dei licei medesimi”. L’art. 3 è dedicato alle attività educative e didattiche o più precisamente al qua- dro orario annuale (Cicatelli, 2005). Anzitutto viene chiarito che esso comprende anche la quota riservata alle Regioni, alle istituzioni scolastiche autonome ed all’in- segnamento della religione cattolica. La sua articolazione prevede attività e insegna- menti obbligatori per tutti gli studenti, attività e insegnamenti obbligatori di indi- rizzo, attività e insegnamenti obbligatori a scelta dello studente e attività e insegna- menti facoltativi. Inoltre, “nel quinto anno sono organizzati, nell’ambito delle atti- vità e insegnamenti obbligatori a scelta dello studente, attività e insegnamenti desti- nati ad approfondimenti disciplinari coerenti con la personalizzazione dei percorsi e con le vocazioni manifestate per gli studi successivi di livello superiore”. 21 A questo punto, prima di approfondire il quadro orario, è opportuno soffer- marsi sul tema della cultura liceale (Cicatelli, 2005; Sugamiele, 2005). Abbiamo richiamato sopra la definizione che ne dà l’art. 2, c. 1 che possiamo rendere in breve con le parole di Bertagna “i licei educano la persona, la fanno crescere in tutte le dimensioni, adoperando il fare e l’agire per costruire pensiero, teoria” (2005b, 235). Dal quadro orario, emerge che una componente forte della identità liceale, anche per il collegamento evidente con la tradizione, è costituita dalla filo- sofia che viene insegnata in tutti i percorsi liceali. Il latino, invece, nonostante la rilevanza ricevuta dalla riforma Gentile, non ha la stessa diffusione, si limita a quattro percorsi liceali ed è compreso nel quinto anno solo a livello di classico. Nel quadro orario si nota anche una migliore distribuzione tra dimensione umanistica e scientifica in quanto la seconda ottiene una considerazione più equilibrata. Un’al- tra componente della cultura liceale si trova anche nell’insegnamento di due lingue comunitarie. Venendo più ai particolari, l’orario del primo biennio dei licei classico, lingui- stico, scientifico e delle scienze umane consiste di 1.023/1.056 ore nel primo anno (31-32 settimanali) o 1.023/1.089 nel secondo (31-33) di cui 924 (28) obbligatorie, 99 (3) obbligatorie a scelta dello studente e 33-66 (1-2) nel primo o nel secondo anno facoltative; a sua volta l’orario del liceo economico comprende 1.056/1.122 (32-34 ore) di cui 1.056 (32) obbligatorie e 99 (3) obbligatorie a scelta dello stu- dente, quello del tecnologico 1.056/1.122 (32-34) (957 obbligatorie e 66 facolta- tive), quello dell’artistico 1.188 (36) (1.089 obbligatorie e 99 obbligatorie a scelta dello studente) e quello del musicale e coreutico 1.122/1.155 (34-35) nel primo anno (627 obbligatorie, 330 obbligatorie di sezione, 165 obbligatorie a scelta dello studente e 33 facoltative), 1.122-1.188 nel secondo anno (34-36) (627 obbligatorie, 330 obbligatorie di sezione, 165 obbligatorie a scelta dello studente e 66 facol- tative) (cfr. Tav. 1). Nel secondo biennio, i quattro licei senza indirizzi si caratterizzano per 957 ore (29) obbligatorie, 66 (2) obbligatorie a scelta dello studente e 66 (2) facoltative per cui il totale oscilla tra 1.023 (31) e 1.089 (33); i quattro licei con indirizzi oscillano tra 1.056 (32) e 1.254 (38) ore, le ore obbligatorie tra 594 (18) e 858 (26), quelle di indirizzo tra 198 (6) e 561 (17), quelle obbligatorie a scelta dello studente (solo artistico e musicale e coreutico) tra 66 (2), mentre quelle facoltative sono tra 66 (2) e 99 (3). Nel quinto anno, i quattro licei senza indirizzi si caratterizzano per 858 ore (26) obbligatorie, 99 (3) obbligatorie a scelta dello studente e 33 (1) facoltative per cui il totale oscilla tra 957 (29) e 990 (30); i quattro licei con indirizzi oscillano tra 1.056 (32) e 1.155 (35), le ore obbligatorie tra 561 (17) e 858 (26) ore, quelle ob- bligatorie di indirizzo tra 198 (6) e 594 (18), quelle obbligatorie a scelta dello stu- dente (solo artistico e musicale e coreutico) sono 66 (2), mentre quelle facoltative vanno da 33 (1) a 165 (5) (e mancano nell’artistico, indirizzo audiovisivo, multi- media e scenografia). Se si fa riferimento alle discipline, emerge in particolare un’ulteriore diversità fra licei senza indirizzi e con indirizzi: nei primi prevalgono 22 le discipline dell’area comune e nei secondi queste diminuiscono e aumentano le discipline di indirizzo. Su queste ipotesi riportiamo un giudizio di Sugamiele che condividiamo pie- namente. Il testo “si connota per la consistente continuità con l’attuale struttura della secondaria operando una ‘razionalizzazione’ delle sperimentazioni esistenti e accentuando il processo di licealizzazione di tutta la secondaria e segnatamente dell’Istruzione tecnica” (Sugamiele, 2005, 273). Inoltre, esso “presenta con tutta evidenza un quadro orario dei licei caratterizzato da una sorta di ipertrofia discipli- nare che tende a limitare lo spazio di autonomia delle scuole. Il numero delle disci- pline appare eccessivo rispetto agli obiettivi di una formazione liceale che abbia il carattere di propedeuticità agli studi successivi. Il Ministro eppure aveva racco- mandato per gli indirizzi dei licei: ‘poche cose fatte bene’” (Sugamiele, 2005, 274). Se i margini di libertà delle singole scuole appaiono ridotti, altrettanto si può dire per quelli delle famiglie e degli studenti, benché nel succedersi di bozze si riscontri un certo progresso. Come si è detto sopra, gli articoli 4-11 sono dedicati alle singole tipologie, uno per ogni liceo. Ciascuna disposizione specifica l’identità di ogni percorso, definisce gli indirizzi e determina il quadro orario. Su quest’ultimo punto ci siamo soffermati prima. Quanto alla caratterizzazione dei singoli licei, si precisa che “il percorso del liceo artistico approfondisce la cultura liceale attraverso la componente estetica come principio di comprensione del reale” (art. 4, c. 1), quello del liceo classico “dal punto di vista della civiltà classica, e delle conoscenze linguistiche, storiche e filosofiche, fornendo allo studente gli strumenti per interpretarle” (art. 5, c. 1) 5, quello del liceo economico “dal punto di vista delle categorie interpretative dell’a- zione personale e sociale messe a disposizione dagli studi economici e giuridici” (art. 6, c. 1), quello del liceo linguistico “dal punto di vista della conoscenza coor- dinata di più sistemi linguistici e culturali” (art. 7, c. 1), quello del liceo musicale e coreutico “dal punto di vista musicale e coreutico, alla luce della evoluzione storica ed estetica, delle conoscenze teoriche e scientifiche, della creatività e delle abilità tecniche relative” (art. 8, c. 1), quello del liceo scientifico “nella prospettiva del nesso che collega la tradizione umanistica alla scienza, sviluppando i metodi propri della matematica e delle scienze sperimentali” (art. 9, c. 1), quello del liceo tecno- logico “attraverso il punto di vista della tecnologia” (art. 10, c. 1), e quello del liceo delle scienze umane “dal punto di vista della conoscenza dei fenomeni collegati alla costruzione dell’identità personale e delle relazioni umane e sociali, con parti- colare riguardo alla elaborazione dei modelli educativi” (art. 11, c. 1). A questo punto, vale anche la pena ricordare quali sono gli indirizzi dei licei; di norma tale articolazione è introdotta solo a partire dal secondo biennio, tranne nel caso del percorso tecnologico riguardo al quale si dice che nei “primi due anni 5 Riguardo al liceo classico, il Decreto introduce una novità rispetto a precedenti bozze che sembra mettere in discussione la pari dignità dei percorsi liceali in quanto afferma solo per tale per- corso che esso offre “un quadro culturale di alto livello” e fornisce “gli strumenti per l’accesso quali- ficato ad ogni facoltà universitaria” (art. 5, c. 2). 23 […] è attivato l’insegnamento obbligatorio di una disciplina caratterizzante gli in- dirizzi, finalizzata all’orientamento per la scelta di indirizzo” (art. 10, c.4). Inco- minciamo con il liceo artistico che ne prevede 3: arti figurative; architettura, de- sign, ambiente; audiovisivo, multimedia, scenografia, ognuno dei quali si caratte- rizza per la presenza di specifici laboratori nei quali lo studente sviluppa la propria capacità progettuale. A sua volta, il percorso del liceo economico si articola nell’e- conomico-aziendale e nell’economico-istituzionale: nel primo le competenze orga- nizzative, amministrative e gestionali a cui prepara possono essere orientate sui settori dei servizi, del credito, del turismo, delle produzioni agro-alimentari e della moda, e nel secondo sui settori della ricerca e dell’innovazione, internazionale, della finanza pubblica e della pubblica amministrazione, rimessi alla libera scelta dello studente e in relazione al tessuto economico, sociale e produttivo del territo- rio (una relazione quest’ultima che dovrebbe caratterizzare un istituto del sistema di istruzione e formazione professionale e non i licei). Da ultimo, il percorso tec- nologico comprende ben otto indirizzi: meccanico e meccatronico; elettrico ed elettronico; informatico, grafico e comunicazione; chimico e materiali; produzioni biologiche e biotecnologie alimentari; costruzioni, ambiente e territorio; logistica e trasporti; tecnologie tessili, dell’abbigliamento e della moda; tali indirizzi si carat- terizzano per lo stretto raccordo con le imprese del settore di riferimento sul terri- torio per cui si ribadisce quanto richiamato sopra a proposito dei licei economici circa il legame con il contesto. Commentando i primi articoli del capo III, avevamo già notato che la presen- tazione dell’offerta formativa dei percorsi liceali non risulta sempre chiara circa la loro natura propedeutica, lasciando spazio a possibili equivoci: questo è vero an- che riguardo alle norme sui singoli licei che per esempio parlano di padronanza o di capacità senza precisare che si tratta di padronanza e di capacità di base. In ag- giunta, l’articolazione in indirizzi sottolinea ulteriormente il carattere terminale dei percorsi che li comprendono al loro interno. Emblematico è il caso del liceo tecno- logico in cui è chiaro il tentativo di far rivivere in esso sotto mentite spoglie l’isti- tuto tecnico in conformità alle richieste della Confindustria e dell’apparato buro- cratico amministrativo centrale del MIUR (Sugamiele, 2005 e 16 febbraio 2005): in proposito è sufficiente ricordare l’elevato numero degli indirizzi, e l’afferma- zione che i percorsi del liceo tecnologico assicurano l’acquisizione di una perizia applicativa e pratica e che prevede la presenza di indirizzi già nel primo biennio. Si tratta però di una scelta che contraddice i bisogni formativi dei giovani e le esi- genze del mondo economico. Infatti, queste ultime possono essere descritte nei se- guenti termini: “60% qualifiche e 30% diploma tecnico professionali, mentre l’of- ferta sottesa al decreto pare condurre al 75% di diplomi liceali ed al 25% di quali- fiche e diplomi tecnico-professionali. Si spingono cioè i giovani ad una forma- zione ‘pre-professionalizzante’ nei percorsi liceali portando a una confusione for- mativa e ad un sicuro e inevitabile incremento della dispersione” (Sugamiele, 2005, 275). In pratica si preparerebbero figure che non hanno possibilità di inse- rirsi nel mondo del lavoro, mentre non sono formate quelle che il sistema econo- 24 mico richiede: i qualificati, i diplomati specializzati, i tecnici formati nella forma- zione professionale superiore. Al tempo stesso, il sistema di istruzione e di forma- zione professionale verrebbe a perdere l’apporto dell’istruzione tecnica per cui rimarrebbe in condizione marginale e non riuscirebbe a formare la forza lavoro necessaria per lo sviluppo locale. Le ultime due disposizioni del capo II ritornano su aspetti generali. Nell’art. 12, viene ribadito che le attività educative e didattiche vengono garantite dalla do- tazione di personale docente attribuito all’istituto, personale che dovrà permanere nella sede di titolarità almeno per il tempo corrispondente a un periodo didattico, e che là dove si richiede una specifica professionalità non riconducibile agli ambiti disciplinari per i quali è prevista l’abilitazione all’insegnamento, si può far ricorso ad esperti mediante la stipula di contratti di diritto privato. A sua volta l’organizza- zione dell’offerta formativa è affidata agli istituti nell’esercizio della loro autono- mia e responsabilità, in relazione costante con le famiglie e le istituzioni sociali; in proposito, vengono confermate la scelte della personalizzazione dei piani di studio e la introduzione della figura del tutor. L’art. 13 ribadisce l’attribuzione della valutazione periodica e annuale ai do- centi: essa riguarda sia gli apprendimenti sia il comportamento e consente tra l’al- tro di predisporre gli interventi educativi e didattici ritenuti necessari al recupero o allo sviluppo degli apprendimenti. Lo studente deve frequentare almeno tre quarti dell’orario annuale personalizzato e complessivo per il riconoscimento della vali- dità dell’anno e ai fini della valutazione. Gli alunni sono promossi o respinti alla fine di ogni periodo didattico, cioè dopo il secondo o il quarto anno, mentre la non ammissione al secondo anno dei due bienni in cui si articola il percorso liceale può essere decisa solo per serie lacune e con provvedimenti motivati. Possono soste- nere l’esame di Stato conclusivo solo gli studenti che sono stati valutati positiva- mente nell’apposito scrutinio al termine del quinto anno, mentre per i candidati esterni si applicano la Legge n. 425/97 e il DPR n. 323/98. L’esame di Stato conclusivo dei percorsi liceali si svolgerà sia sulle prove or- ganizzate dalle commissioni di esame sia su quelle predisposte e gestite dall’Isti- tuto nazionale di valutazione del sistema di istruzione (cfr art. 14). Viene con- fermata la possibilità di anticipare tale esame al quarto anno per gli “ottisti”, gli studenti cioè che ottengono almeno sette decimi nello scrutinio finale del primo periodo biennale e almeno otto decimi in ciascuna disciplina nello scrutinio finale del secondo periodo biennale. Da ultimo, i candidati esterni sono distribuiti tra le diverse commissioni degli istituti statali e paritari in modo che il loro numero massimo non superi la metà dei candidati interni. 4. PERCORSI DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE Tre sono i criteri fondamentali attraverso cui analizzare il capo III del Decreto, quello riguardante i percorso di istruzione e formazione professionale: 25 1) il rapporto tra unitarietà del secondo ciclo e differenziazione dei percorsi 2) il rapporto tra “percorsi” e “istituzioni” 3) il concetto di “livelli essenziali delle prestazioni”. 4.1. Rapporto tra unitarietà del secondo ciclo e differenziazione dei percorsi Circa il rapporto tra unitarietà del secondo ciclo e differenziazione dei per- corsi, il testo propende in prima istanza per una concezione unitaria dell’intero se- condo ciclo nella logica del sistema educativo più generale, come confermato dal chiaro riferimento dell’art. 1 in cui è presente l’espressione “in modo unitario”, an- che se nello stesso articolo si parla – coerentemente con quanto indicato nel testo della Legge n. 53/03 – di “sistemi” intendendo ciascuna delle due articolazioni dei percorsi liceali e di quelle di istruzione e formazione professionale. Ciò appare an- che dalla estensione a tutte le istituzioni del sistema dell’autonomia didattica, orga- nizzativa, finanziaria e di ricerca e sviluppo (art. 1, c. 4). Ancora, emerge con chia- rezza la “pari dignità” dei percorsi e la comune finalizzazione alla promozione educativa ed alla assicurazione agli studenti degli strumenti indispensabili per l’ap- prendimento lungo tutto l’arco della vita (c. 5). Vi sono anche riferimenti comuni circa importanti aspetti metodologici quali l’alternanza scuola-lavoro (c. 6), l’assicurazione della possibilità di cambiare scelta tra percorsi e indirizzi con conseguente adozione di iniziative didattiche opportune per il successo dei passaggi (c. 7), la certificazione dei crediti a seguito della fre- quenza con esito positivo di qualsiasi segmento e il riconoscimento di esperienze formative comunque esperite (c. 8). Inoltre emerge una comunanza in riferimento alla questione dell’accesso (c. 12) e alla continuità con riferimento al passaggio dal diploma di qualifica al diploma professionale di tecnico e da qui al diploma profes- sionale di tecnico superiore, realizzando in tal modo un “riallineamento” degli IFTS che divengono una componente della “filiera” verticale dell’offerta formativa (art. 20, c. 1). Sempre a proposito del disegno dell’offerta formativa, riguardo al- l’esame di Stato si riscontra una convergenza dei percorsi specie là dove si afferma che “i titoli e le qualifiche conseguiti al termine dei percorsi del sistema di istru- zione e formazione professionale di durata almeno quadriennale consentono di so- stenere l’esame di Stato, utile anche ai fini degli accessi all’università e all’alta for- mazione artistica, musicale e coreutica, previa frequenza di apposito corso an- nuale, realizzato con le università e con l’alta formazione artistica, musicale e co- reutica” (art. 15, c. 6), a dimostrazione che non si tratta di due percorsi separati, ma di due cammini con più punti di intersezione: l’accesso, i passaggi intermedi a qualsiasi punto del percorso, la possibilità di accedere dai percorsi IFP all’esame di Stato e la possibilità di accedere dopo il quarto anno dei percorsi liceali all’istru- zione e formazione tecnica superiore (la “ammissione al quinto anno dà inoltre accesso all’istruzione e formazione tecnica superiore”, art. 2, c. 5). Tutto quanto indicato milita a favore della preferenza dell’opzione unitaria o di pari dignità dei due sistemi; il riferimento invece alla distinzione emerge di con- 26 tro nel senso di una visione giuridica e metodologica del sistema di istruzione e formazione professionale. Giuridica, poiché esso appare collocato entro l’ambito di competenza esclusiva delle Regioni e Province autonome e quindi il riferimento del Decreto va alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, mentre per i percorsi liceali esso entra nel merito dell’ordinamento inteso in senso proprio. Si pone quindi un profilo di corresponsabilità paritaria dei due attori istituzionali, Stato e Enti locali, entro il sistema educativo di istruzione e formazione, esclu- dendo una sorta di “balcanizzazione” dei due ambiti in base alle aree di compe- tenza. Ma occorre rilevare l’urgenza di un forte dialogo interistituzionale a questo proposito, e la rinuncia da parte di ambedue i soggetti a comportamenti unilaterali che generino una situazione di fatto che conduca dal lato dello Stato ad una riedi- zione del principio di preminenza in chiave gerarchica e dal lato degli Enti locali ad una strutturazione di sistemi regionali a carattere neo-nazionalistico. Il primo pericolo potrebbe risultare concreto se venisse forzato il ruolo dello Stato nella definizione degli standard minimi relativi alle competenze (art. 18, c. 2) ed il ruolo dell’INVALSI come istituto di elaborazione degli strumenti di valuta- zione e di gestione dei dati riferiti ad ogni fattispecie di titolo rilasciato entro il sistema complessivo (art. 22, c. 1). Il secondo esito non pare molto astratto, se consideriamo la varietà ed anche la contraddittorietà delle intese realizzate in tema di percorsi sperimentali e delle nor- mative ed ancor più delle prassi regionali e delle Province autonome. La visione metodologica che specifica l’articolazione del sistema di istruzione e formazione professionale rispetto a quello liceale non appare direttamente, ma risulta dagli ampi spazi entro cui si collocheranno le “Indicazioni regionali”, un documento che ancora non esiste neppure in bozza. 4.2. Rapporto tra “percorsi” e “istituzioni” Circa il rapporto tra “percorsi” e “istituzioni”, va detto che il Decreto appare abbastanza preciso e innovativo; si tratta infatti di un punto decisivo per una ri- forma che pone al centro la personalizzazione dei percorsi, superando di fatto la rigidità delle prassi precedenti che concepivano lo studente come “risorsa“ del- l’istituzione tanto da essere collocato entro gruppi classe monolitici, salvo poche eccezioni 6. Questo punto merita un ulteriore approfondimento. La nuova norma riconosce l’autonomia delle istituzioni scolastiche e formative, ma non la considera come un fine a sé stante; infatti la finalizza a tre scopi prioritari: l’educazione dei giovani, il contesto territoriale inteso come patrimonio culturale, la qualità intesa come ten- denza al miglioramento e all’eccellenza. Il Decreto pertanto non istituisce in senso proprio le istituzioni, quanto i percorsi che in esse si svolgono; questi ultimi rap- 6 È il caso dei soggetti portatori di handicap, oltre che delle pratiche della formazione permanente. 27 presentano il modo in cui si assumono in carico le persone, se ne svelano le capa- cità ed i progetti, si delineano piani formativi personalizzati che puntano a trasfor- mare le loro potenzialità in vere e proprie competenze che le vedono come attori volitivi, autonomi e responsabili della vita sociale. Il capo III è intitolato “I percorsi di istruzione e formazione professionale” e tutto il testo si rifà a questa impostazione, mentre risulta decisiva la presenza delle istituzioni formative come soggetto di pari dignità rispetto alle istituzioni scolasti- che. È possibile che in questa prospettiva si possa giungere a modelli organizzativi differenti, con istituti che attivano un solo tipo di percorso, istituti che ne attivano di diversi tipi, e poi associazioni di vario genere che consentono di dar vita a reti integrate tra istituti scolastici e centri di formazione professionale sulla scorta di convergenze circa l’offerta formativa, le politiche di partnership, la ricerca dell’in- novazione tecnico organizzativa (Zelioli, 2005). Si aprono quindi ampie possibilità di lavoro per i dirigenti delle istituzioni che possono mettere in gioco le risorse del management (Benadusi, 2005) come pure quelle del governo territoriale del sistema (Vergani, 2005). 4.3. Concetto di “livelli essenziali delle prestazioni” Circa infine il concetto di “livelli essenziali delle prestazioni”, il Decreto pare scegliere una strada elencativa e non esplicativa. Ciò significa che il loro chiari- mento avviene attraverso l’elenco degli oggetti di cui sono costituiti, mentre manca un momento puntuale nel quale se ne dà una definizione precisa e program- matica. In ogni caso, si tratta di criteri che connotano le istituzioni scolastiche e formative e i percorsi che esse attivano, in quanto requisiti per l’accreditamento e l’attribuzione dell’autonomia (art. 15, c. 3). Il riferimento all’accreditamento ci fa capire che, quando il Decreto sarà operativo, occorrerà procedere ad una revisione dell’accreditamento degli organismi sulla base dei livelli essenziali indicati, in modo da correggere, in forma selettiva, l’eccessiva apertura delle Regioni e Pro- vince autonome ad una vastità di organismi di cui una parte ben difficilmente potrà dimostrare di possedere i requisiti che di seguito si specificano. Il primo elemento considerato come livello essenziale è costituito dalle carat- teristiche dell’offerta formativa (art. 16), intendendo con ciò alcuni criteri cui si debbono attenere gli organismi erogativi (ma anche le Regioni e Province auto- nome), e precisamente: il soddisfacimento della domanda di frequenza (conside- rando pure l’apprendistato), l’orientamento ed il tutorato, la continuità formativa, i tirocini e l’alternanza. Il secondo elemento riguarda l’orario minimo annuale (almeno 990 ore al- l’anno) e l’articolazione dei percorsi, prevedendo le tipologie triennale e quadrien- nale, specificando i tre differenti titoli che vengono rilasciati (art. 17). Il terzo elemento riguarda i percorsi stessi (art. 18), ancora sotto forma di cri- teri anche se ora in chiave più metodologica: la personalizzazione, il riferimento 28 alla necessità che gli studenti acquisiscano le competenze previste dal PECUP (viene qui introdotta la ripartizione per aree formative già vista nel documento su- gli standard formativi delle competenze di base; in tema di orario si indica la ne- cessità di destinare a tali aree “quote di orario idonee” pur senza specificarne la consistenza in ore, cosa che va apprezzata poiché diversamente si cade pur senza volerlo nella secolare tendenza alla separazione delle aree formative piuttosto che alla loro integrazione), l’insegnamento della religione cattolica, il riferimento a figure e profili professionali di differente livello. Si rimanda infine la definizione degli standard minimi formativi, relativi alle competenze indicate, ad un Accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni. Il quarto elemento si riferisce ai requisiti dei docenti (art. 19), dove si distin- gue tra “personale docente” che deve essere in possesso di abilitazione all’insegna- mento, ed “esperti” che debbono essere in possesso di documentata esperienza ma- turata per almeno cinque anni nel settore professionale di riferimento. Ciò con- sente di articolare le figure dei docenti e di variare l’utilizzo di personale interno ed esterno in una logica di flessibilità e di competenza. Il quinto elemento è costituito dal tema della valutazione e certificazione delle competenze (art. 20) dove si indica la necessità di una valutazione collegiale e di certificazione periodica e annuale, l’obbligo di rilascio a tutti gli studenti della cer- tificazione periodica e annuale delle competenze, oltre che della qualifica7 di ope- ratore professionale (percorso triennale), ovvero di diploma professionale di tec- nico (percorso almeno quadriennale) e di diploma professionale di tecnico supe- riore per gli IFTS, la necessaria presenza di docenti ed esperti nelle commissioni per gli esami, la registrazione delle competenze certificate sul “libretto formativo del cittadino”. Si fissa infine il vincolo della frequenza di almeno tre quarti della durata del percorso per poter accedere alla valutazione annuale e all’ammissione agli esami, anche se in questo caso non si fa esplicito riferimento alla possibilità di far valere crediti formativi pertinenti. Il sesto e ultimo elemento è riferito alle strutture ed ai relativi servizi (art. 21) rispetto a cui si richiede la previsione di organi di governo8, l’adeguatezza delle ca- pacità gestionali e della situazione economica, il rispetto dei contratti collettivi na- zionali di lavoro del personale dipendente, l’“accettazione del sistema dei controlli pubblici, la completezza dell’offerta formativa comprendente entrambe le tipologie dei percorsi triennali e quadriennali, lo svolgimento del corso annuale integrativo di preparazione all’esame di Stato, l’adeguatezza dei locali, l’adeguatezza della strumentazione didattica, l’adeguatezza tecnologica, la disponibilità9 di attrezza- ture e strumenti, la capacità di progettazione e realizzazione di stage e tirocini”. 7 In alcune parti – come già indicato – si parla anche a proposito della qualifica di “titolo” di qualifica, impostazione che pare più corretta dal punto di vista giuridico. 8 L’espressione, peraltro poco chiara, dovrebbe alludere alla presenza nelle istituzioni formative di figure giuridiche di responsabilità legale e gestionale, ma anche di “controllo/validazione sociale”. 9 Ovvero la concreta possibilità di accesso alle strutture. 29 Il capo III si conclude con il riferimento alla responsabilità del Servizio Na- zionale di Valutazione del Sistema Educativo di istruzione e formazione in tema di verifica circa il rispetto – nei percorsi formativi – dei livelli essenziali così definiti. Le istituzioni debbono pertanto fornire i dati richiesti al predetto Servizio, anche al fine della relazione annuale del Ministro (art. 22). 5. RACCORDO E CONTINUITÀ TRA IL PRIMO E IL SECONDO CICLO Il capo IV si riferisce alla continuità rispetto alle scuole medie ad indirizzo musicale, ed indica la possibilità dell’insegnamento dello strumento musicale (art. 23) tramite una quota aggiuntiva di ore rispetto alle 891 obbligatorie, inoltre alla diffusione della cultura musicale ed alla valorizzazione dei talenti (art. 24) tramite coinvolgimento di conservatori ed istituti musicali pareggiati. Ancora, si riferisce al raccordo tra i due cicli circa l’insegnamento dell’inglese e della seconda lingua comunitaria e della tecnologia10 (art. 25). Infine tratta dell’insegnamento delle scienze (art. 26). 6. NORME TRANSITORIE E FINALI Le norme transitorie e finali presentano quattro articoli molto importanti: 1) L’art. 27 tratta del passaggio al nuovo ordinamento che riguarda il primo anno dei percorsi a decorrere dall’anno scolastico 2007/2008; in tal modo il primo ciclo liceale completo si avrà con il completamento dell’anno scolastico 2010- 2011. Si fissa anche la dotazione organica del personale nella misura determi- nata per l’anno scolastico 2005/2006. I corsi avviati precedentemente vanno a conclusione normale e saranno gli ultimi del vecchio ordinamento. 2) Molto rilevante e innovativo rispetto alle versioni precedenti, è il principio di esclusività circa il rilascio dei titoli professionalizzanti da parte delle Regioni e Province autonome. 3) L’art. 28, in tema di gradualità nell’attuazione del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, ricomprende nei percorsi di diritto-dovere i primi tre anni degli istituti di istruzione secondaria superiore ed i percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale, dando così una valenza ordinamentale alle sperimentazioni che in tal modo si riconfermano come pratiche formative che hanno anticipato la riforma del sistema educativo e che fanno parte a pieno titolo del nuovo ordinamento. Ciò è ulteriormente avvalorato dall’indi- cazione secondo cui tali percorsi sperimentali sono oggetto di valutazione da parte del Servizio Nazionale di Valutazione oltre che di monitoraggio da parte dell’ISFOL. 10 Da intendere, se non andiamo errati, come tecnologia informatica. 30 4) L’art. 29 tratta delle Regioni a statuto speciale e Province autonome. 5) L’articolo 30 indica la copertura finanziaria. 6) Infine, è stato inserto un articolo (n. 31) che tratta delle norme finali e delle abrogazioni, colmando una lacuna che nelle precedenti versioni era evidente. 7. UNA SINTESI Dalla lettura del Decreto, emerge in primo luogo la conferma della funzione della scuola in ordine al ruolo educativo. Si tratta di uno sbocco importante, che merita un’adeguata segnalazione, visto che ci si è giunti attraverso un percorso che ha visto anche ambiguità e omissioni. Il ruolo educativo della scuola viene qualifi- cato nel perseguimento del “fine comune di promuovere l’educazione alla convi- venza civile, la crescita educativa, culturale e professionale dei giovani attraverso il sapere, il fare e l’agire, e la riflessione critica su di essi, nonché di sviluppare l’au- tonoma capacità di giudizio e l’esercizio della responsabilità personale e sociale cu- rando anche lo sviluppo delle conoscenze, abilità e competenze relative all’uso delle nuove tecnologie e la padronanza di una lingua europea, oltre all’italiano e al- l’inglese” (art. 1, c. 5). Anche se va segnalata la non citazione dei principi della cre- scita e della valorizzazione della persona umana, del rispetto dei ritmi dell’età evo- lutiva, dell’attenzione alle differenze e all’identità di ciascuno e della libertà di scelta educativa della famiglia nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori. In questo quadro, l’espressione “scuola” acquisisce una valenza universali- stica, e non coincide più con la “scuola di Stato”, semmai estende il suo significato allargandosi alle istituzioni formative che concorrono con pari dignità giuridica e sulla base del principio costituzionale dell’autonomia alla realizzazione del fine educativo sopra richiamato. In questo modo, si assiste al riconoscimento della na- tura fondamentalmente sociale del compito educativo, che diviene responsabilità della comunità rispetto alla quale le istituzioni erogative rappresentano strumenti di servizio. È questo il fondamento indispensabile per il riconoscimento del plura- lismo formativo che comporta il pieno riconoscimento delle prerogative ed in parti- colare dell’autonomia dei soggetti che sviluppano l’offerta formativa. La caratteri- stica fondamentale degli organismi risiede proprio nel loro essere competenti in tema di educazione, e ciò individua un profilo istituzionale, organizzativo, metodo- logico, tecnologico, ma soprattutto valoriale in quanto servizi che condividono una specifica deontologia che sovrintende alla cura del bene degli studenti. In forza di ciò si delinea il principio dell’autonomia, che porta con sé il venir meno della struttura piramidale del passato che faceva dell’istruzione un processo amministra- tivo regolato dall’alto. Ma va notato come, su questo punto, vi sia un decisivo avanzamento in tema di istruzione e formazione professionale, ma non in materia di parità scolastica su cui vi è grande reticenza. 31 Contrariamente a quanto si è letto e sentito nel corso del dibattito sulla ri- forma, emerge dal Decreto una sostanziale unitarietà dei percorsi del secondo ci- clo degli studi, nel senso che sia i percorsi liceali sia quelli dell’istruzione e della formazione professionale sono finalizzati all’educazione della persona, rispetto alla quale si impegnano in direzione di uno sviluppo integrale. Tale unitarietà rende il diritto-dovere una realtà più aperta ed avanzata che il vecchio “obbligo” non consentiva a causa della sua unilateralità. Si nota infatti l’aumento di corre- sponsabilità dei soggetti, dallo studente alla famiglia fino ai soggetti sociali, ed inoltre l’elevamento delle opportunità formative che, almeno sulla carta, disegnano un panorama di scelte molto più interessante di quello attualmente vigente, tali da corrispondere meglio, potenzialmente, alle esigenze di una realtà complessa quale quella in cui oggi viviamo. Ma la struttura dei percorsi che si prevedono propone un principio di diversifi- cazione che non si limita a quelli liceali e quelli di istruzione e formazione profes- sionale, ma investe anche gli stessi licei che paiono distinti in due categorie: i licei “generalisti” ed i licei “con indirizzo”. Questi ultimi appaiono un po’ come un ibrido tra i licei generalisti ed i percorsi di istruzione e formazione professionale, pur appartenendo di fatto ai licei. Questa distinzione potrebbe aprire la strada ad un equivoco tale da suscitare nelle famiglie e nei giovani, oltre che nelle imprese, at- tese che potranno essere facilmente deluse, ovvero l’idea che dai licei si possa uscire con una preparazione di natura tecnica e professionale, mentre in realtà si tratta di “curvature” dell’unica licealità in differenti ambiti di approfondimento dei contenuti teorici. Se si vorrà forzare tale impostazione generando nell’utenza e nei soggetti economici l’attesa infondata di percorsi liceali a carattere tecnico-profes- sionale, ciò porterà facilmente ad una situazione di disagio sia perché il percorso formativo non consente questo esito, sia perché i titoli rilasciati non hanno tale va- lenza. Se invece verrà delineato un sistema di offerta più chiaro e coerente con il disegno della riforma, sarà possibile orientare meglio l’utenza e consentire tutte le opportunità che tale disegno prevede. Un punto di grave carenza è rintracciabile nei percorsi dell’apprendistato e – anche se con minore rilievo – nella modalità dell’alternanza formativa. L’apprendi- stato in particolare rischia di essere il punto più fragile dell’intero secondo ciclo, e pare di cogliere in esso una diversa valenza giuridica in tema di assolvimento del diritto-dovere, visto che è finalizzato al conseguimento di “qualifiche professio- nali” che non sono veri e propri titoli di studio se si afferma che esse costituiscono crediti formativi per il proseguimento dei percorsi (art. 15, c. 7), diversamente dal “titolo di qualifica” che invece costituisce titolo per l’accesso al quarto anno del si- stema dell’istruzione e formazione professionale (art. 17, c. 1). A nostro parere, sa- rebbe preferibile responsabilizzare in tema di apprendistato le istituzioni formative accreditate in merito ai LEP, ed inoltre va fissato un numero minimo di ore forma- tive esterne annuali (450) e di anni di percorso (3) così da evitare che questo isti- tuto diventi una sorta di “uscita di sicurezza” facile e utile per coloro che volessero evadere legalmente dal diritto-dovere. 32 Risulta non chiara tutta una serie di questioni riguardanti l’effettiva autonomia delle istituzioni erogative che non può non riguardare anche la scelta del personale, e quindi il meccanismo del reclutamento, a carico del dirigente scolastico, che deve essere distinto e successivo a quello dell’abilitazione al fine di evitare quel- l’incardinamento automatico nei ruoli che a detta di molti sta alla base di molte storture del sistema della Pubblica istruzione. Inoltre si pone la questione delle ri- sorse, sia in termini di quantità che di equa distribuzione, tema che nel Decreto non è presente, mentre nel testo precedente vi era una indicazione molto limitata rispetto alle necessità della riforma. Dal punto di vista quantitativo, non si com- prende con quali calcoli e sulla base di quali scenari si è potuti giungere alle cifre – peraltro molto esigue – indicate nel Decreto. Ma il tema dell’equità risulta ancora più urgente, visto che il sistema dell’offerta formativa non risulta nella presente normativa preponderante su quello della domanda. Si tratta pertanto di dare vita ad un meccanismo finanziario che da un lato garantisca il rispetto delle opzioni dei giovani e delle loro famiglie, anche in coerenza con le effettive esigenze del terri- torio, e che dall’altro premi le istituzioni virtuose – quelle che sviluppano un mag- giore successo formativo anche in riferimento ad ingressi lungo il percorso di sog- getti portatori di crediti formativi significativi – e di contro sanzioni quelle che producono dispersione e disagio, si rifiutano di accogliere soggetti aventi diritto, impongono un’offerta rigida che riflette soprattutto le necessità del personale. Va segnalata infine la sostanziale omissione di alcuni temi che paiono invece fondamentali perché il disegno riformatore si esplichi in tutte le sue potenzialità, evitando che si disegni nel Paese una sorta di “vestito di Arlecchino” dove ogni Regione e Provincia autonoma sia legittimata a creare situazioni varie, unilaterali, financo bizzarre. Questi temi riguardano il ruolo delle istituzioni della Repubblica ed il modo di far fronte alla poliarchia di competenze delineata dalla stessa nuova norma costituzionale. Non si tratta di obblighi, quanto di comportamenti, e la let- tura dei modi in cui si sono mosse Regioni e Province autonome in questo periodo non dirada il pericolo di andare incontro ad un neo-centralismo degli Enti locali. 33 Ta v. 1 - O ra ri o co m pl es si vo d ei l ic ei L eg en da : * = In di ri zz o A rc hi te ttu ra , D es ig n, A m bi en te ** = In di ri zz o A ud io vi si vo . M ul tim ed ia , S ce no gr af ia (a ) = ne l p ri m o an no (b ) = ne l s ec on do a nn o (c ) = el ev at e a 99 o re p er g li st ud en ti ch e sc el go no le a tti vi tà e g li in se gn am en ti re la tiv i a i s et to ri f ac ol ta tiv i 34 Riferimenti bibliografici AA.VV., Modelli di governance per lo sviluppo del sistema istruzione-formazione-lavoro, Agenzia per la Formazione ed il Lavoro, Milano, 2005. 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LO SCENARIO DI RIFERIMENTO La Regione Emilia Romagna è fra quelle amministrazioni che da anni hanno posto al centro del dibattito fra gli operatori e gli attori del sistema di formazione professionale il tema della definizione di profili professionali di riferimento per la realizzazione degli interventi formativi e della elaborazione dei relativi standard. Pertanto, si riconosce al tema un ruolo strategico per garantire la rispondenza del sistema formativo alle esigenze del sistema produttivo del territorio; “le qualifiche (...) costituiscono comune riferimento per il mondo del lavoro, per il sistema dell’istruzione e della formazione” (DGR n. 902/2004). La recente approvazione della Legge regionale n. 12 del 25 giugno 2003, “Norme per l’uguaglianza delle opportunità di accesso al sapere, per ognuno e per tutto l’arco della vita, attraverso il rafforzamento dell’istruzione e della for- mazione professionale, anche in integrazione fra loro”, ha sottolineato il diritto dell’individuo alla certificazione delle competenze possedute, come strumento che ne facilita i processi di orientamento e di ingresso nel mondo del lavoro, oltre che di mobilità professionale in senso sia verticale che orizzontale. In questo quadro si colloca la recente definizione del Sistema Regionale delle Qualifiche (SRQ) realizzato “nelle more che a livello nazionale si compia il pro- cesso di definizione di standard condivisi per il riconoscimento di qualifiche nazio- nali”. Pertanto, la Regione non mette in discussione la definizione di un sistema nazionale di qualifiche, ed anzi nella richiamata Legge regionale n. 12/03 è stabi- lito l’impegno a concorrere alla definizione di “standard essenziali nazionali”, ma inquadra il processo avviato sul territorio per la definizione del SRQ in un contesto di assenza del dispositivo unificatore nazionale. Ovviamente, il modello che si viene definendo a livello territoriale si pone come riferimento e contributo impor- tante per la costituzione poi del sistema nazionale. Parallelamente, si avvia il processo di costruzione di un’offerta di istruzione e formazione professionale triennale per i giovani che devono assolvere il diritto-do- vere per almeno dodici anni, che si inserisce nel quadro della riforma Moratti e che 38 diventa il primo ambito di “esercizio” del SRQ, per la definizione degli standard professionali prima e poi formativi dei percorsi triennali per quanto riguarda le competenze tecnico-professionali. 2. L’ARCHITETTURA REGIONALE DEL SISTEMA DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE La Regione Emilia Romagna si pone come capofila di quel gruppo di Regioni che è alla ricerca di una “via alternativa” per la realizzazione del diritto-dovere al- l’istruzione e formazione nell’ambito di quel sistema di istruzione e formazione professionale che viene prefigurato dalla Legge di riforma del sistema educativo n. 53 del 2003 a partire dal completamento del ciclo primario. Infatti, la legge Moratti definisce per l’assolvimento del diritto-dovere di istru- zione e formazione un sistema autonomo, parallelo a quello dei licei, accessibile ai giovani che hanno completato il ciclo primario normalmente all’età di quattordici anni (che diventeranno tredici anni e mezzo quando sarà pienamente operativo l’anticipo a cinque anni e mezzo di età dell’ingresso a scuola); ovviamente si tratta di un sistema aperto, che consente il proseguimento verso l’alto verso i percorsi dell’istruzione e formazione tecnica superiore e salvaguarda la possibilità delle passerelle per gli eventuali rientri nel sistema dell’istruzione. Di contro, la Regione Emilia Romagna intende porre a fondamento della co- struzione di tale sistema di istruzione e formazione professionale la definizione di percorsi realizzati in integrazione fra strutture scolastiche e agenzie formative, almeno nel primo biennio. Questa scelta si inserisce nel solco della strategia regionale avviata già da qualche anno, che aveva reso la Regione Emilia Romagna una delle più attive nello sperimentare forme di integrazione nell’ambito dei percorsi della scuola se- condaria superiore per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione a 15 anni, in attua- zione di quanto previsto dalla riforma dei cicli operata dal Ministro Berlinguer nella precedente legislatura; ed è una scelta confermata nel più recente dibattito fra istituzioni, forze sociali e operatori a livello regionale e sancita con l’adozione della Legge regionale n. 12 del 25 giugno 2003. Infatti, la Legge regionale citata recita: “Art. 26: L’integrazione si realizza prioritariamente nell’obbligo formativo (…). Art. 27: Ai fini dell’assolvimento del- l’obbligo formativo, per consentire agli studenti che hanno concluso la scuola se- condaria di primo grado il consolidamento dei saperi di base necessari al prosegui- mento di qualunque percorso formativo ed una scelta consapevole fra l’istruzione e la formazione professionale, la Regione e le Province, anche sulla base di intese con l’amministrazione scolastica, sostengono le istituzioni scolastiche autonome che, a norma del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275 (Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 21 della L. 15 marzo 1997, n. 59), partecipano ad accordi stipulati 39 con gli organismi di formazione professionale accreditati per la definizione di cur- ricoli biennali integrati e articolati in struttura modulare fra l’istruzione e la forma- zione professionale, destinati agli alunni che frequentano il primo e il secondo anno dell’istruzione secondaria superiore”. La scelta della Regione Emilia Romagna, di impostare il costruendo sistema di istruzione e formazione professionale sulla realizzazione di percorsi integrati, nasce dal riconoscimento del ruolo dell’integrazione come strumento che può con- tribuire a migliorare la qualità del sistema formativo sul territorio, rinnovando e rinsaldando il rapporto tra istruzione e cultura del lavoro. L’integrazione fra l’istru- zione e la formazione professionale rappresenta inoltre la condizione per superare la frammentazione delle competenze istituzionali e dei ruoli sociali e per rimettere al centro la persona, con le sue caratteristiche e le sue esigenze, garantendone la crescita culturale e l’esercizio dei diritti fondamentali di cittadinanza. Nella prospettiva di un sistema formativo di qualità, che intende accompa- gnare tutti al successo formativo, il contrasto alla dispersione, all’abbandono e al “disagio” non si connota come un’azione di recupero, ma assume le caratteristiche di potenziamento delle capacità di scelta di ciascuno attraverso azioni sistematiche di orientamento; di progettazione di percorsi in grado di valorizzare le diverse atti- tudini e le diverse forme di intelligenza, nonché di tener conto dei diversi stili co- gnitivi; di realizzazione di processi di insegnamento/apprendimento descrivibili e valutabili. Pertanto, è su una proposta di architettura integrata dei percorsi che è stato poi impostato il Protocollo di intesa dell’8 ottobre 2003 fra Ministero dell’istruzione, università e ricerca, Ministero del lavoro e delle politiche sociali e Regione, siglato in seguito all’Accordo Stato–Regioni del 19 giugno 2003 per consentire l’avvio, a partire dall’anno scolastico 2003-04 e nelle more della definizione dei Decreti at- tuativi della Legge n. 53/03, di un’offerta sperimentale integrata di istruzione e for- mazione attraverso la realizzazione di percorsi formativi di durata triennale. E i percorsi di formazione iniziale realizzati in forma integrata fra scuola e formazione professionale sono al momento l’unica tipologia di offerta sulla quale si concentra l’interesse della Regione, nell’ambito di quel sistema di istruzione e formazione professionale di cui la Riforma Moratti prefigura la costituzione; ciò non significa che manchi la definizione di un’offerta professionalizzante di livello più elevato, ma che la definizione dei percorsi triennali di formazione iniziale al momento non appare inserita in una più ampia strategia di costruzione di una in- tera filiera professionalizzante, che preveda diversi livelli di uscita al consegui- mento della qualifica, del diploma, del diploma di formazione superiore, come av- viene in altre Regioni (si veda, ad esempio, il caso della Lombardia nel capitolo dedicato). Secondo quanto concordato nel Protocollo dell’ottobre 2003, “i percorsi trien- nali sono articolati in un primo biennio e in un successivo anno che conduce a qualifiche professionali riconosciute a livello nazionale (....). Tali percorsi consen- tono sia di potenziare le capacità di scelta sia di acquisire competenze di base e 40 competenze tecnico professionali, riconoscibili al termine di ogni anno al fine della prosecuzione sia nel percorso di istruzione sia nel percorso di formazione professionale”. Quindi, la scelta della Regione è di percorrere la strada dell’integrazione tra i sistemi dell’istruzione e della formazione, realizzando per i giovani soggetti ad ob- bligo formativo un’offerta che si avvale del contributo sinergico dei due sistemi, con i differenti apporti didattici e pedagogici. L’integrazione fra i soggetti forma- tivi consente, infatti, di rendere più flessibile l’offerta formativa e di favorire una scelta consapevole del percorso successivo fra quelli dell’istruzione e della forma- zione professionale, con l’obiettivo di assicurare il successo formativo di tutti i giovani; pertanto, i percorsi integrati si rivolgono a tutti gli studenti, anche se prio- ritariamente a quelli che “al termine del primo ciclo di studi manifestano l’esi- genza di ulteriori approfondimenti in ordine alla prosecuzione del proprio itinera- rio formativo e/o intendono rivolgersi (...) alla formazione professionale”, e pos- sono essere realizzati in tutti gli ordini e gli indirizzi di studio della scuola secon- daria superiore, nell’ambito delle ore di flessibilità didattica ed organizzativa di cui al DPR 275/1999 ed al D.M. 234/2000. Il Protocollo chiarisce poi le caratteristiche essenziali che i percorsi triennali devono possedere. Il percorso deve essere progettato congiuntamente, tenuto conto della pari di- gnità dei soggetti formativi dei due sistemi che agiscono in forma complementare nell’organizzazione dell’offerta e nella definizione delle modalità di svolgimento della didattica. Le istituzioni scolastiche e gli organismi di formazione professio- nale accreditati condividono metodologie e strumenti di valutazione e sono corre- sponsabili della verifica degli apprendimenti e della formalizzazione dei crediti per i passaggi da un sistema all’altro, nella prospettiva della prosecuzione del percorso formativo sia nell’istruzione sia nella formazione professionale. L’offerta formativa sperimentale, che si realizza nell’ambito della flessibilità didattica e organizzativa riconosciuta in relazione ai percorsi scolastici, si articola in un primo anno a forte valenza orientativa, che prevede modalità di supporto alle motivazioni ed alle scelte da svolgersi anche attraverso le opportunità offerte dalle visite guidate, dalla tecnica di simulazione di impresa, dall’osservazione in am- biente lavorativo, dalla diffusione della cultura del lavoro, nella prospettiva di va- lorizzare le relazioni con le imprese e con altri soggetti professionali ed istituzio- nali. Per quanto riguarda i contenuti, il primo anno contiene discipline e attività inerenti la formazione culturale generale, completate da attività specifiche di for- mazione professionalizzante. Nel secondo anno si prevede un ampliamento della funzione orientativa e pre- professionalizzante, nonché un approfondimento delle relazioni con il mondo del lavoro, attraverso la realizzazione di stage e di moduli di alternanza scuola-lavoro. Al termine del biennio gli studenti possono scegliere se continuare il proprio per- corso formativo nell’istruzione, conseguendo anche crediti spendibili nel sistema della formazione professionale - nel qual caso, qualora iscritti all’istruzione profes- 41 sionale di Stato, dopo il terzo anno conseguono il diploma di qualifica -, o rima- nere nella formazione professionale per conseguire un attestato di qualifica regio- nale, riconosciuto a livello nazionale, oltre a crediti spendibili per l’eventuale rien- tro nel sistema di istruzione. In ogni caso, le istituzioni scolastiche e gli organismi di formazione professio- nale accreditati che realizzano i percorsi integrati si impegnano a garantire, dopo il primo anno, il passaggio dall’uno all’altro sistema attraverso il riconoscimento dei crediti acquisiti. La progettazione modulare si propone come la scelta metodologica più idonea ad assicurare la certificazione di specifiche competenze, necessaria per favorire il riconoscimento dei crediti per un eventuale passaggio tra i sistemi dell’istruzione e della formazione. I moduli didattici sono riferiti alle competenze generali, con fun- zione prevalentemente formativa, alle aree di indirizzo/professionali, con funzione prevalentemente orientativa, ad interventi trasversali come rinforzo sul piano rela- zionale e socializzante, con particolare riferimento alla situazione di alunni che manifestano condizioni di disagio e di difficoltà. Il percorso va progettato e svolto tenendo conto dei bisogni formativi concre- tamente rilevati. L’azione formativa deve essere finalizzata a favorire la crescita personale e l’acquisizione degli elementi di conoscenza di sé, degli altri e del con- testo, necessari per compiere scelte consapevoli. In tutto il percorso è necessario assicurare un costante tutoraggio agli allievi, sia per quanto riguarda il sostegno al- l’apprendimento, sia per l’azione orientativa/ riorientativa, sia per la predisposi- zione del libretto formativo personale. Fra le altre azioni di accompagnamento vanno sviluppate in particolare iniziative di formazione congiunta dei docenti della scuola e degli operatori dell’organismo di formazione professionale coinvolti. 3. LINEE PER L’ATTUAZIONE DEL SISTEMA DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE PRO- FESSIONALE La sperimentazione dei percorsi integrati è stata avviata dalla Regione già dal- l’anno scolastico 2003-04, anche se solo in vista dell’annualità 2004-05 è stato pos- sibile progettare e attivare integralmente procedure adeguate per il nuovo sistema. Infatti, l’Accordo Stato-Regioni del 19 giugno 2003 è intervenuto nel momento in cui erano già state adottate le linee guida per gli interventi integrati per il succes- sivo anno 2003-04 e promosso un progetto per la realizzazione di percorsi forma- tivi integrati fra l’istruzione la formazione professionale con DGR 1052/2003. Il progetto nasce dalla volontà di anticipare alcuni contenuti della Legge n. 53/03 pur in mancanza dei decreti applicativi, senza scostamenti eccessivi da quanto finora realizzato nell’ambito del contesto della Legge 144/99 e del DPR 275/00. Del resto, viene contestualmente approvata la Legge regionale n. 12 del 2003 che sceglie la via dell’integrazione come strumento sul quale innestare le diverse proposte formative, in particolare per i giovani in obbligo formativo. 42 Il progetto dunque promuove genericamente la realizzazione di percorsi inte- grati fra l’istruzione e la formazione professionale rivolti in prima battuta agli alunni che, al termine della terza media, mostrino difficoltà o incertezza sulla scelta da operare nel proseguimento del percorso formativo, con l’obiettivo di con- sentire il successivo proseguimento in entrambi i canali del ciclo secondario e fa- vorendo il riconoscimento dei crediti. La proposta, co-progettata e co-gestita dalle due strutture formative, viene realizzata a valere sul 15% di flessibilità ricono- sciuta alle singole istituzioni scolastiche rispetto al curricolo nazionale. Le Pro- vince emanano i bandi per selezionare i progetti dei percorsi formativi integrati re- lativi all’anno scolastico 2003-2004 e costruiti in prospettiva biennale, nell’ambito di un percorso che, ai sensi della Legge n. 53/2003, dovrà svilupparsi per una durata complessiva almeno triennale. La prima delibera che recepisce e allo stesso tempo regolamenta i percorsi triennali alla luce dell’Accordo in Conferenza Stato Regioni del 19 giugno 2003 e del successivo Protocollo d’intesa della Regione Emilia Romagna con i Ministeri dell’istruzione e del lavoro, è la DGR n. 2049 dell’ottobre 2003, che definisce la tempistica e le modalità con cui le Province individueranno i soggetti attuatori in modo da avviare i percorsi dell’annualità 2004-05 parallelamente all’avvio del- l’anno scolastico. La delibera n. 2049/2003, riprendendo e specificando i contenuti del Proto- collo sottoscritto nel 2001 con l’Ufficio Scolastico Regionale, chiarisce l’articola- zione e le modalità di attuazione dei percorsi integrati da realizzarsi nel sistema di istruzione che, in sede di prima applicazione, verranno realizzati solamente negli istituti tecnici, negli istituti d’arte e istituti professionali, accordando una priorità per questi ultimi. I percorsi integrati hanno durata triennale e possono essere realizzati secondo diverse opzioni: 1) primo anno integrato nell’istruzione + due anni di formazione professionale; 2) biennio integrato nell’istruzione + un anno di formazione professionale; 3) percorso integrato sviluppato sull’intero triennio, ovvero fino a ricomprendere anche il terzo anno della scuola interessata, secondo quanto previsto dall’Ac- cordo approvato in Conferenza Unificata il 19 giugno 2003 e dal Protocollo siglato fra la Regione Emilia-Romagna ed i Ministeri dell’Istruzione e del La- voro dell’ 8 ottobre 2003. In tal caso il percorso integrato triennale garantisce anche il conseguimento della qualifica professionale regionale oltre che del diploma, ma tale offerta viene inserita più come ulteriore possibilità offerta che come tipologia sulla quale concentrare l’attenzione di scuole e strutture di formazione professionale. L’offerta di corsi integrati può essere rivolta a tutta una classe o attivata, du- rante il primo anno di scuola superiore, per gruppi di studenti interclassi, per azioni di didattica innovata e rimotivante caratterizzata da maggiore operatività e concre- 43 tezza, di rafforzamento delle competenze necessarie alla proficua prosecuzione del percorso formativo, di costruzione di passerelle verso altro indirizzo di studio o verso la formazione professionale. La durata annua del percorso integrato può variare da un minimo di 180 ore ad un massimo di 300 ore, secondo la quota di flessibilità possibile nei diversi ordini di scuole e nelle diverse annualità, ed è ponderabile nel corso del triennio. In con- siderazione della natura e delle finalità del percorso integrato, infatti, può essere opportuno prevedere una graduale intensificazione delle ore, coerente con gli obiettivi del progetto formativo. Nel caso della realizzazione dei percorsi integrati per gruppi di alunni la durata varia da 120 a 200 ore annue. In relazione all’offerta di percorsi integrati negli istituti tecnici e negli istituti d’arte, nell’ambito dei percorsi saranno previste apposite modalità per consentire il passaggio dei ragazzi che lo richiedano all’istruzione professionale o alla forma- zione professionale, affinché sia garantito per tutti il raggiungimento della quali- fica professionale. Inoltre, a tutti gli studenti che hanno positivamente superato il primo anno integrato nell’istruzione viene garantita la possibilità di passare: al se- condo anno della scuola frequentata, oppure al secondo anno del biennio integrato, oppure al primo anno della formazione professionale. Al termine del secondo anno, oltre alla promozione al terzo anno del corri- spondente percorso di istruzione, agli studenti verrà rilasciata una dichiarazione delle competenze acquisite, da far valere come credito per eventuali passaggi tra indirizzi, ordini e sistemi. Per l’anno 2004-05 tale offerta integrata non esaurisce l’offerta regionale per i giovani in età di obbligo formativo; permane un’offerta di percorsi realizzati esclu- sivamente nell’ambito della formazione professionale secondo due tipologie: per- corsi biennali strutturati, destinati a ragazzi di almeno 15-16 anni, che mirano al conseguimento di una qualifica, come da attuale sistema delle certificazioni; per- corsi intensivi, rivolti a giovani con età superiore ai 16 anni, che abbandonano il percorso scolastico e per i quali sia possibile un riconoscimento di crediti valido per il conseguimento di una qualifica. Successivamente alla definizione delle linee di programmazione per l’offerta per l’obbligo formativo per l’anno 2004-05, anche in seguito ai primi risultati delle azioni di monitoraggio e valutazione attivate sui progetti integrati realizzati nel- l’anno formativo 2003-04, si è ritenuto di tornare a ripensare le modalità di proget- tazione e realizzazione dei percorsi integrati, in particolare, per rendere più omoge- nea la struttura pedagogico-didattica dei percorsi e quindi di migliorare la qualità complessiva del sistema integrato. Con la DGR n. 902 del maggio 2004 è stato adottato un documento di “linee guida per la progettazione esecutiva dei progetti integrati per l’anno 2004-05”, che in larga parte riprende le caratteristiche essenziali dei progetti integrati già delibe- rate per la precedente annualità (DGR 1052/2003), le aggiorna alla luce dell’im- pianto metodologico e contenutistico elaborato dal Comitato scientifico regionale, recepisce e tiene conto anche del carattere nazionale della sperimentazione e di 44 quanto scaturito dall’Accordo raggiunto il 15 gennaio 2004 in sede di conferenza unificata in relazione alla determinazione degli standard minimi delle competenze di base. Pertanto, la delibera specifica che tali linee guida sono relative alla proget- tazione esecutiva sia del triennio 2004-2006 (di cui l’a.s. 2004-2005 rappresenta la prima annualità), sia del triennio 2003-2005 (di cui l’a.s. 2004-2005 rappresenta la seconda annualità). Con la ridefinizione delle linee guida per il 2004-05 (DGR 902/04) si torna a specificare la struttura dei percorsi integrati, facendo riferimento a percorsi trien- nali, che consentono di proseguire in entrambi i sistemi dell’istruzione e della for- mazione professionale anche al termine di ogni anno, con il riconoscimento dei cre- diti maturati. Pertanto, si superano le precedenti opzioni di percorsi di durata an- nuale o biennale, per ricondurre la durata a quanto previsto dalla Legge n. 53/2003 e dall’Accordo Stato-Regioni del giugno 2003. Tuttavia, al termine di ciascuna an- nualità ogni allievo può optare per il proseguimento nello stesso percorso integrato o in uno dei due percorsi dell’istruzione o della formazione professionale. Il percorso integrato può essere realizzato secondo le due modalità già prece- dentemente fissate: qualora i numeri lo consentano, il percorso coinvolge l’intera classe, ed è a questa modalità realizzativa che viene data priorità nella selezione dei progetti (tipologia A); se i numeri sono ridotti, è possibile realizzare percorsi integrati per gruppi di alunni che confluiscono in gruppi interclassi (tipologia B). Pertanto, per quanto riguarda la struttura generale dei percorsi integrati, le li- nee guida per il 2004-05 non si differenziano in maniera significativa con quanto previsto dalle linee guida per il 2003-04; il valore aggiunto sta nella specificazione di alcuni elementi relativi alla progettazione esecutiva dei percorsi integrati, come verrà meglio illustrato nel paragrafo che segue. 4. LA PROGETTAZIONE DEI PERCORSI INTEGRATI E LE QUALIFICHE DI RIFERIMENTO Le modalità di definizione del progetto esecutivo per i percorsi integrati a par- tire dall’anno 2004-05 sono state meglio chiarite attraverso l’elaborazione di una proposta di impianto metodologico e contenutistico del progetto integrato, messa a punto da un Comitato scientifico regionale - previsto dal Protocollo dell’8 ottobre 2003 e costituito con atto del Direttore Generale n. 13841 del 23/10/2003 - e suc- cessivamente presentata ai referenti delle amministrazioni provinciali, alla Confe- renza permanente per l’istruzione e la formazione e alla Commissione Regionale Tripartita. Tale proposta è poi confluita nel documento di “Linee guida per la progettazione esecutiva dei percorsi integrati per l’anno scolastico 2004/2005” (DGR 902/2004). Come già previsto dalla delibera di indirizzo per i percorsi dell’anno 2004-05 (DGR 2049/2003), le strutture di formazione professionale e gli istituti secondari che si candidano a gestire i percorsi integrati costituiscono un “Gruppo di pro- getto”, composto dai docenti dei due sistemi interessati alla progettazione esecu- 45 tiva ed allo svolgimento delle attività didattiche. Insieme elaborano un documento di intenti, che definisce le condizioni per la progettazione e realizzazione con- giunta dei percorsi, nel rispetto dei termini fissati dalla Legge regionale n. 12/2003, ed indica i criteri generali relativi a: 1) sede di svolgimento delle attività; 2) costituzione degli organi dell’integrazione; 3) modalità di progettazione didattica per moduli e UFC; 4) modalità di valutazione e certificazione degli esiti. Inoltre, il documento descrive l’articolazione del percorso proposto secondo le fattispecie possibili: primo anno integrato + due anni nella formazione professio- nale; due anni integrati + terzo anno nella formazione professionale; tre annualità realizzate in integrazione. I percorsi devono essere progettati con riferimento ad un elenco di qualifiche valide per l’offerta per i giovani in obbligo formativo, definito in allegato alla DGR 2049 del 2003. La delibera citata contiene solo un elenco di venti denomina- zioni di qualifica; con determina del Direttore generale n. 14272 del 31.10.2003 sono state approvate le schede descrittive dei contenuti minimi per ciascuna quali- fica. Infatti, in attesa che a livello nazionale vengano definiti standard formativi condivisi per il riconoscimento nazionale delle qualifiche, la Regione Emilia Ro- magna ha ritenuto di procedere ad una prima riclassificazione e definizione delle qualifiche conseguibili in obbligo formativo. La progettazione esecutiva deve esplicitare gli obiettivi formativi che l’istitu- zione scolastica e l’organismo di formazione professionale intendono raggiungere al termine del biennio o del triennio, articolati per macro aree e definiti in termini di competenze. Il Documento tecnico sugli standard formativi minimi delle competenze di base (approvato dalla Conferenza unificata Stato-Regioni-Autonomie locali il 15/01/04) viene assunto come riferimento obbligato per il biennio, in quanto il ri- spetto di tali standard rappresenta la condizione per il riconoscimento nazionale della qualifica. Per il terzo anno saranno individuati obiettivi di apprendimento e competenze che rappresentano lo sviluppo degli standard minimi previsti per il biennio. Per quanto riguarda invece le competenze relative all’area tecnico-professio- nalizzante, nelle more della definizione dei corrispondenti standard minimi nazio- nali i corrispondenti obiettivi formativi saranno individuati in relazione agli ordi- namenti dei diversi indirizzi di studio e tenendo conto della qualifica professionale regionale di riferimento, in coerenza con i contenuti della relativa scheda descrit- tiva delle unità di competenza. Il progetto didattico sarà articolato in “moduli”, intesi come aggregati di cono- scenze e attività che si formano e si compongono attorno ad un problema da risol- vere, ad una domanda a cui fornire una risposta in quanto particolarmente signifi- cativo/a in relazione al profilo formativo da perseguire. I moduli formativi sono 46 tendenzialmente interdisciplinari, salvo il caso in cui una specifica competenza di- sciplinare si ritiene acquisibile solo mantenendosi all’interno di quella stessa disci- plina. Anche all’interno del modulo formativo interdisciplinare è possibile preve- dere espansioni, generalizzazioni, teorizzazioni di singole discipline. Dovrà essere pertanto prevista, per ciascun modulo formativo in cui si articola la progettazione nelle diverse macro aree, la valutazione congiunta dei risultati rag- giunti in termini di competenze. Tale valutazione congiunta, le cui modalità an- dranno indicate nel progetto esecutivo, sarà espressa collegialmente dall’insieme dei docenti della scuola e della formazione professionale impegnati nell’attuazione del curricolo integrato. Essa sarà composta da due elementi costitutivi: una descrizione sintetica del- l’apprendimento realizzato; una valutazione del livello di competenze acquisite. In ogni momento in cui si svolga il confronto fra gli obiettivi raggiunti e di- chiarati e quelli attesi come standard minimo (scrutini intermedi e finali, passaggi tra indirizzi o sistemi) si evidenzieranno le eventuali necessità di recupero, in me- rito alle quali si potranno attivare interventi individualizzati, all’interno dello stesso percorso, mantenendo gli stessi obiettivi di esito, ma prevedendo modalità didattiche flessibili e diversificate che rispondano ai bisogni degli allievi. Con l’obiettivo di agevolare lo svolgimento dei percorsi integrati in maniera uniforme e condivisa su tutto il territorio regionale, la DGR n. 902/2004 si preoc- cupa di individuare gli organismi che, a diverso livello e con funzioni differenti, possono costituire riferimento univoco in tutti i percorsi approvati. A livello regionale, la sede della concertazione interistituzionale è rappresen- tata dalla Conferenza regionale per il sistema formativo, di cui alla L.R. 12/2003, mentre, per seguire gli aspetti operativi e il complessivo andamento della nuova offerta formativa rivolta ai ragazzi dai 14 ai 18 anni, è stato costituito il “Comitato scientifico regionale”. A livello provinciale agisce il “Team provinciale di sup- porto”, composto da un referente per l’istruzione, uno per la formazione professio- nale ed uno per la Provincia competente, con funzioni di sostegno per tutti i sog- getti e di raccordo con il Comitato scientifico regionale, con particolare riferimento alle azioni di monitoraggio. A livello di singolo percorso integrato, si prevede la costituzione di un “Gruppo di pilotaggio”, composto dai rappresentanti dei due soggetti formativi in convenzione, con la responsabilità di seguire tutti gli aspetti (amministrativi, finanziari, organizzativi, gestionali, ecc.) connessi alla realizza- zione del percorso integrato. Infine, viene definito un sistema di monitoraggio e valutazione dei percorsi in- tegrati articolato su diversi livelli (regionale, provinciale, di progetto) e per diffe- renti finalità. In particolare, al livello regionale le attività di monitoraggio e valuta- zione sono finalizzate a rilevare gli aspetti sistemici dell’integrazione fra istruzione e formazione professionale in relazione alle competenze istituzionali della Regione ed agli Accordi dalla stessa approvati in sede nazionale e locale. I dati del monito- raggio regionale inoltre contribuiscono allo svolgimento del monitoraggio nazio- nale dei risultati dei percorsi di istruzione e formazione. 47 Con delibera di giunta regionale n. 2634 del dicembre 2004, la Regione Emi- lia Romagna ha proceduto ad emanare le “condizioni e modalità per il consolida- mento dell’offerta di percorsi integrati nell’istruzione secondaria superiore”, con validità quadriennale a valere dall’anno scolastco 2005-06. L’esigenza di fondo che viene sottolineata è sempre quella di favorire l’uniformità della progettazione esecutiva, ma anche di procedere al consolidamento dell’offerta integrata nell’am- bito dei percorsi secondari, consolidamento che viene perseguito in più direzioni: consentendo l’ampliamento dei soggetti che realizzano i percorsi integrati, ri- aprendo i termini per la presentazione dei progetti; assicurando ai soggetti già fi- nanziati per l’anno 2004-05 la possibilità di avviare nuovi percorsi a partire dal- l’anno 2005-06; attraverso l’ampliamento al sistema dei licei della possibilità di realizzare percorsi integrati. In particolare, le esperienze di integrazione nei licei devono essere progettate per un’intera classe (tipologia A), avendo a riferimento le qualifiche professionali del sistema regionale. Vista la natura non immediatamente professionalizzante degli indirizzi liceali, la realizzazione di percorsi integrati con la formazione professionale presenta ca- ratteristiche fortemente sperimentali e necessita di una progettazione particolar- mente innovativa, oltre che di specifico monitoraggio. Pertanto, si intende limitare il numero delle iniziative da attivare e il processo di selezione delle proposte pro- gettuali viene riservato alla Regione stessa. Per i percorsi integrati dell’annualità 2005-06 le linee guida per la progetta- zione esecutiva sono state emanate con deliberazione n. 259 del 2005. Le linee guida si rifanno in larga parte a quelle definite nella precedente deliberazione n. 902/2004 per i percorsi dell’annualità 2004-05; le novità introdotte sono il frutto delle proposte avanzate dal Comitato scientifico regionale. Inoltre, le nuove linee guida aggiornano le indicazioni sulla base dell’accordo per la certificazione finale ed intermedia e il riconoscimento dei crediti formativi ai fini dei passaggi dai percorsi formativi ai percorsi scolastici e viceversa, sotto- scritto in Conferenza unificata del 28 ottobre 2004, tra il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, le Regioni, le Province Autonome di Trento e Bolzano, le Province, i Comuni e le Comunità montane. Infatti, il documento assume a riferimento per la certificazione finale della qualifica e intermedia delle competenze acquisite i modelli allegati all’Accordo citato. 5. IL SISTEMA REGIONALE DELLE QUALIFICHE : FINALITÀ, METODOLOGIA, PRO- CESSO DI DEFINIZIONE In seguito all’approvazione della Legge regionale n. 12 del 2003, “Norme per l’uguaglianza delle opportunità di accesso al sapere, per ognuno e per tutto l’arco della vita, attraverso il rafforzamento dell’istruzione e della formazione professio- nale, anche in integrazione fra loro”, la Regione Emilia Romagna ha avviato una 48 revisione del proprio sistema delle qualifiche professionali, con l’intento di valo- rizzare e ricondurre ad un impianto complessivo omogeneo le diverse esperienze e sperimentazioni condotte nel territorio. Allo stesso tempo il nuovo sistema regionale delle qualifiche (SRQ) viene in- teso come “modello di governance indispensabile per garantire l’integrazione tra le politiche dell’istruzione, della formazione e del lavoro, e la loro stretta intercon- nessione con le altre programmazioni settoriali, affinché le risorse umane diven- tino il cardine portante delle politiche di sviluppo economico e di coesione so- ciale” (del C.R. n. 612/2004). Infatti, il SRQ costituisce strumento di orientamento e di supporto alla pro- grammazione di un’offerta formativa di qualità; inoltre, esso è il frutto di un mo- dello di collaborazione istituzionale, concertazione e partecipazione sociale che è alla base del governo regionale. Ancora, il SRQ costituisce strumento per la promozione, la crescita del livello di istruzione e formazione di tutti i cittadini, lo sviluppo costante delle loro compe- tenze professionali, l’esercizio del diritto al lavoro e ad un lavoro qualificato. In- fatti, l’art. 5 della Legge regionale n. 12/2003 afferma che ogni “persona ha diritto ad ottenere il riconoscimento formale e la certificazione delle competenze acqui- site (…). A tal fine la Regione promuove accordi con le componenti del sistema formativo e con le parti sociali per la definizione di procedure per il riconosci- mento, la certificazione e l’individuazione degli ambiti di utilizzazione delle di- verse competenze, nonché per il riconoscimento delle competenze acquisite nel mondo del lavoro, utilizzabili come crediti per i percorsi formativi”. A partire quindi dal riconoscimento di tale diritto individuale e dall’attribu- zione alla Regione di tale compito, si è avviato un confronto ampio fra gli opera- tori del sistema e poi un processo di concertazione con le rappresentanze istituzio- nali volto a elaborare un sistema di qualifiche da porre a riferimento per la pro- grammazione regionale e provinciale degli interventi di formazione. In questo lavoro di definizione del SRQ si è tenuto conto delle precedenti ela- borazioni fatte a livello regionale, nel repertorio dei profili professionali, ma anche degli esiti delle diverse indagini sui fabbisogni realizzate a livello nazionale e regionale. Il lavoro è stato realizzato attraverso un ampio processo concertativo che ha visto il coinvolgimento degli attori del sistema regionale della formazione professionale, ma anche dell’istruzione e del lavoro. Questo processo è stato avviato contemporaneamente alla definizione della nuova offerta formativa dei percorsi integrati triennali. Ed il primo ambito nel quale tale sistema è stato utilizzato come riferimento per la progettazione dei per- corsi è proprio quello dell’offerta per l’assolvimento dell’obbligo formativo. Le tappe principali del processo che ha portato all’adozione delle qualifiche del SRQ (almeno, di alcune di esse) nell’ambito dei percorsi integrati sono già state precedentemente citate. La delibera n. 2049/2003, che ha specificato le linee guida per la progetta- zione dei percorsi triennali per il 2004-05, ha definito semplicemente l’elenco 49 delle qualifiche di riferimento per i percorsi dell’obbligo formativo, individuate sulla base delle esigenze espresse dal sistema economico-produttivo regionale; successivamente, con Determina del direttore generale n. 14272 del 2003 a cia- scuna delle qualifiche contenute in tale elenco è stata associata una scheda descrit- tiva dello standard professionale essenziale, ovvero delle unità di competenze che rappresentano gli elementi connotativi imprescindibili della figura professionale. Le tappe successive del processo di costruzione del SRQ, a partire da quelle definite per i percorsi dell’obbligo formativo, vedono in primo luogo la specifica- zione dell’impianto del sistema: con deliberazione n. 936 del 17 maggio 2004 la Regione ha approvato il documento “Il Sistema Regionale delle Qualifiche - orien- tamenti, metodologia, struttura”. Quindi, dopo un ulteriore percorso di verifica e validazione degli elaborati tecnici di descrizione dell’elenco delle qualifiche, com- prese le 20 qualifiche precedentemente definite per i percorsi dell’obbligo forma- tivo, svoltosi nei mesi da giugno a settembre 2004 nell’ambito di gruppi di esperti nominati dalla Commissione Regionale Tripartita e organizzati per aree professio- nali, si è pervenuti alla approvazione di un primo Repertorio delle qualifiche regio- nali. Tale Repertorio si compone di 85 qualifiche, afferenti a 24 aree professionali; per ciascuna qualifica vengono specificati gli standard professionali di riferimento per la progettazione dei percorsi (DGR 2212/2004). Ritenendo di dover assicurare anche la trasparenza e l’omogeneità dei percorsi formativi progettati in relazione alle singole qualifiche, in un’ottica di qualificazione dell’offerta di formazione professionale, dopo aver definito gli standard professio- nali delle qualifiche del sistema regionale, viene definito anche un impianto di stan- dard formativi coerenti con il sistema regionale delle qualifiche (DGR 265/2005). Tali standard formativi regolamentano gli aspetti strutturali essenziali dei percorsi. Il processo di costruzione del SRQ non si esaurisce nelle tappe e con i provve- dimenti ricordati, ma prosegue per una verifica continua degli standard prodotti e l’aggiornamento delle qualifiche che fanno parte del sistema. Pertanto, viene in primo luogo realizzata la ricognizione e la sistematizzazione della Formazione Re- golamentata: da tale lavoro scaturisce l’identificazione di nuovi “profili regola- mentati”. Inoltre, il processo di verifica e valutazione dell’impianto degli standard formativi con gli operatori del sistema della formazione professionale e le parti so- ciali fa emergere spunti di riflessione, che hanno portato ad una recente revisione del SRQ. Con DGR n. 788 del maggio 2005 il Repertorio delle qualifiche viene aggiornato con l’inserimento di nuove qualifiche, la modifica di alcune schede, la ridefinizione delle aree professionali. Il prossimo obiettivo posto dalla Regione per completare il SRQ, coerente- mente con quanto previsto dalla L.R. 12/2003, prevede la definizione del Sistema Regionale di Certificazione. A tal fine la Regione attiverà un percorso di concerta- zione che vedrà il coinvolgimento delle parti sociali per la definizione delle linee guida del sistema e per la progettazione delle procedure di attuazione; gli assunti di base per la definizione del sistema di certificazione saranno la trasparenza delle procedure e la sostenibilità economica ed operativa. 50 6. IL SISTEMA REGIONALE DELLE QUALIFICHE : CONTENUTI Il SRQ definisce un repertorio di figure professionali che caratterizzano il si- stema economico-produttivo regionale. È un sistema aperto, aggiornabile ed inte- grabile con modalità definite da una procedura sorgente (cfr. paragrafo 8), al fine di assicurare l’inserimento e l’adeguamento di qualifiche e dei relativi standard al- l’evoluzione dei processi produttivi e delle competenze richieste per operarvi. Le qualifiche sono descritte per standard professionali essenziali, ovvero unità di competenze che rappresentano gli elementi connotativi imprescindibili di una fi- gura professionale, in quanto individuano le principali competenze utili a svolgere le attività caratterizzanti la figura stessa. I diversi soggetti che fanno parte del si- stema formativo regionale avranno a riferimento il sistema regionale delle qualifi- che per aree, figure e unità di competenza professionali per la progettazione, la realizzazione e la valutazione dei percorsi formativi, come anche per la realizza- zione delle analisi sui fabbisogni formativi. Il SRQ si compone di tre documenti: 1) l’elenco delle qualifiche, che costituisce il “Repertorio delle qualifiche”; 2) la descrizione delle qualifiche attraverso “schede” che definiscono gli “standard professionali essenziali”; 3) la procedura per l’aggiornamento delle qualifiche, detta anche “procedura sorgente”. Le qualifiche che costituiscono il sistema regionale corrispondono a figure professionali del mercato del lavoro individuate tra quelle più innovative nell’am- bito dei sistemi produttivi più evoluti e tecnologicamente avanzati, e che si caratte- rizzano per essere “formabili” in percorsi di istruzione-formazione. Ogni qualifica corrisponde ad una figura professionale intesa come “insieme di ruoli lavorativi, operanti su processi simili e connotati da competenze professio- nali omogenee”. Pertanto, ogni qualifica fa riferimento ad una figura professionale “a banda larga”, ossia che nella realtà operativa del sistema produttivo può assu- mere una pluralità di configurazioni leggermente diverse. Le qualifiche si collocano nell’ambito di 26 aree professionali; un’area profes- sionale è un insieme di qualifiche/figure omogenee per macro-processi di riferi- mento e/o per competenze professionali caratteristiche. Tali qualifiche si collocano inoltre su più livelli, prefigurando la possibilità di uno sviluppo verticale di una de- terminata qualifica professionale: ai livelli iniziali è prevista sempre una qualifica di livello superiore alla quale tendere e sulla quale può intervenire il sistema for- mativo regionale. Le qualifiche sono costituite da “Unità di competenza” e descritte in termini di “Standard professionali minimi”. Le “Unità di competenza” sono “aggregati di capacità e conoscenze necessarie a svolgere insiemi di attività che producono un risultato osservabile e valutabile” e rappresentano gli elementi connotativi essenziali di una figura professionale. 51 Gli “Standard professionali essenziali” individuano, per le principali compe- tenze utili a svolgere le attività caratterizzanti la figura stessa, le specifiche relative al livello al quale occorre possedere una determinata competenza. Pertanto gli standard professionali costituiscono il riferimento per la certificazione del titolo di qualifica da parte della Regione, che viene registrato nel “Libretto formativo indi- viduale”. Accanto ad una certificazione complessiva del titolo di qualifica, è possi- bile rilasciare certificazioni parziali relative a singole unità di competenze. Le aree professionali e le qualifiche del Repertorio regionale individuate con DGR 788 del 2005 (che è il più recente documento di definizione del SRQ) non sono esaustive del sistema professionale della Regione Emilia Romagna; ci sono aree professionali e figure ad alta complessità professionale non ancora compiuta- mente indagate, ancorché significative per l’economia e il tessuto sociale regio- nale, che potranno essere segnalate e descritte in base alle modalità previste dalla procedura sorgente e successivamente verificate e validate in un percorso di condi- visione in analogia a quello condotto per la definizione dell’attuale sistema regio- nale delle qualifiche. Infatti, si riconosce la necessità di accompagnare con un monitoraggio co- stante la fase di avvio e di implementazione del SRQ, allo scopo di proporre gli eventuali adeguamenti e di effettuare una valutazione di impatto complessiva. 7. IL REPERTORIO DELLE QUALIFICHE Il Repertorio delle qualifiche è costituito dall’insieme delle figure professio- nali caratterizzanti il sistema produttivo del territorio, con attenzione a quelle più innovative. Si tratta di figure che si collocano a diversi livelli contrattuali, rappre- sentative di tutti i settori e comparti sui quali si realizza l’intervento formativo pubblico. Tali figure sono state individuate tenendo conto di tutti gli studi e le sperimen- tazioni realizzate sul territorio negli ultimi anni, dei risultati delle indagini dei fab- bisogni condotte a livello nazionale e territoriale, nonché di quanto prodotto in ma- teria di qualifiche a livello europeo. Inoltre, nell’individuazione delle qualifiche per il diritto-dovere all’istruzione e formazione si è tenuto conto anche delle qua- lifiche rilasciate dall’Istruzione professionale. La DGR 788 del 2005 ha ridefinito l’elenco delle figure che compongono il Repertorio regionale, modificando il primo elenco approvato con DGR 2212/2004; attualmente le 86 figure del Repertorio fanno capo alle seguenti 26 aree profes- sionali: 1) Amministrazione e controllo d’impresa 2) Approvvigionamento e gestione della produzione industriale 3) Assistenza sociale, sanitaria, socio-sanitaria 4) Autoriparazione 5) Costruzioni edili 52 6) Difesa e valorizzazione del territorio 7) Installazione impianti elettrici e termo-idraulici 8) Logistica industriale, del trasporto e spedizione 9) Marketing e vendite 10) Produzione agricola 11) Produzione artistica dello spettacolo 12) Produzione e distribuzione pasti 13) Produzione e manutenzione prodotti e beni artistici 14) Produzione multimediale 15) Progettazione e gestione del verde 16) Progettazione e produzione alimentare 17) Progettazione e produzione arredamenti in legno (standard e su misura) 18) Progettazione e produzione calzature in pelle 19) Progettazione e produzione grafica 20) Progettazione e produzione meccanica ed elettromeccanica 21) Progettazione e produzione tessile ed abbigliamento – confezione e maglieria 22) Progettazione ed erogazione servizi formativi ed orientativi 23) Promozione ed erogazione servizi turistici 24) Sviluppo e gestione del sistema qualità aziendale 25) Sviluppo e gestione sistemi informatici 26) Trattamento estetico e cura della persona Ad ogni area professionale fanno capo da una a sette qualifiche. Alla tavola 1, si riporta il primo Repertorio regionale delle qualifiche. Tav. 1 - Repertorio delle qualifiche professionali regionali REPERTORIO DELLE QUALIFICHE PROFESSIONALI REGIONALI AREA PROFESSIONALE Q UALIFICHE PROFESSIONALI operatore amministrativo-segretariale tecnico contabile tecnico amministrazione, finanza e controllo di gestione tecnico di programmazione della produzione industriale operatore socio-sanitario (OSS) mediatore interculturale animatore sociale operatore dell’autoriparazione operatore delle lavorazioni di carrozzeria operatore autronico dell’automobile operatore edile alle strutture operatore edile alle infrastrutture carpentiere tecnico di cantiere edile Amministrazione e controllo d’impresa Approvvigionamento e gestione della produzione industriale Assistenza sociale, sanitaria, socio-sanitaria Autoriparazione Costruzioni edili Segue 53 tecnico ambientale tecnico nella gestione di impianti di trattamento rifiuti urbani tecnico nella pianificazione del ciclo integrato rifiuti urbani tecnico nella programmazione delle risorse idriche tecnico nella programmazione delle risorse agroforestali installatore e manutentore impianti elettrici installatore e manutentore impianti termo-idraulici operatore di magazzino merci tecnico della logistica industriale tecnico di spedizione, trasporto e logistica tecnico delle vendite tecnico commerciale-marketing operatore del punto vendita tecnico della gestione del punto vendita operatore agricolo tecnico delle produzioni vegetali tecnico delle produzioni animali macchinista teatrale tecnico luci e suoni dello spettacolo dal vivo attore danzatore cantante operatore della ristorazione operatore della produzione pasti operatore della produzione di pasticceria tecnico dei servizi sala-banqueting operatore della ceramica artistica mosaicista grafico multimediale progettista di prodotti multimediali operatore del verde giardiniere tecnico del verde operatore agro-alimentare operatore delle lavorazioni lattiero-casearie operatore delle lavorazioni carni operatore di vinificazione operatore di panificio e pastificio progettista alimentare operatore del legno e dell’arredamento tecnico del legno/prototipista tecnologo delle produzioni arredamenti in legno operatore delle calzature modellista calzaturiero operatore grafico di stampa operatore grafico di post-stampa tecnico grafico di pre-stampa Difesa e valorizzazione del territorio Installazione impianti elettrici e termo-idraulici Logistica industriale, del trasporto e spedizione Marketing e vendite Produzione agricola Produzione artistica dello spettacolo Produzione e distribuzione pasti Produzione e manutenzione prodotti e beni artistici Produzione multimediale Progettazione e gestione del verde Progettazione e produzione alimentare Progettazione e produzione arredamenti in legno (standard e su misura) Progettazione e produzione calzature in pelle - modellista calzaturiero Progettazione e produzione grafica Segue Segue 54 Rispetto al primo Repertorio, quello approvato con DGR n. 2212/2004, il più recente provvedimento ha sancito alcune integrazioni e variazioni dettate dall’op- portunità di mantenere la coerenza complessiva: a) esplicitazione degli standard professionali per alcune figure precedentemente individuate ma non descritte; b) modifica della denominazione di alcune qualifiche e aree professionali per as- sicurare una maggiore coerenza complessiva: il “Ballerino” è stato ridenomi- nato Danzatore, l’area “Produzione arredamenti in legno (standard e su mi- sura)” è stata modificata in Progettazione e produzione arredamenti in legno (standard e su misura), il “Tecnologo delle lavorazioni del legno” è stato ride- nominato Tecnologo delle produzioni arredamenti in legno, il “Programmatore di produzione/approvvigionamenti”, originariamente nell’area meccanica, è stato ridenominato Tecnico di programmazione della produzione industriale e ricollocato nell’area di nuova istituzione Approvvigionamento e gestione della produzione industriale; costruttore su macchine utensili montatore meccanico di sistemi tecnologo di prodotto/processo nella meccanica disegnatore meccanico progettista meccanico operatore dell’abbigliamento operatore della maglieria tecnico della confezione capo-campione modellista dell’abbigliamento tecnico delle produzioni tessili-abbigliamento tecnico di campionario maglieria progettista moda orientatore operatore della promozione ed accoglienza turistica tecnico del marketing turistico tecnico dei servizi turistico-ricettivi tecnico dei servizi fieristico-congressuali tecnico dei servizi di animazione e del tempo libero gestore del sistema qualità aziendale tecnico informatico tecnico di reti informatiche analista programmatore operatore alle cure estetiche estetista acconciatore Progettazione e produzione meccanica ed elettromeccanica Progettazione e produzione tessile ed abbigliamento - confezione e maglieria Progettazione ed erogazione servizi formativi ed orientativi Promozione ed erogazione servizi turistici Sviluppo e gestione del sistema qualità aziendale Sviluppo e gestione sistemi informatici Trattamento estetico e cura della persona Segue 55 c) soppressione delle qualifiche di: “Conduttore di sistemi intergrati macchine utensili”, ‘Tecnico di maglieria capo-campione”, “Tecnico teatrale”, perché in sovrapposizione con competenze già ricomprese nelle altre qualifiche presenti nella medesima area. Nell’ambito di questo elenco, le qualifiche di riferimento per i percorsi del- l’obbligo formativo sono le seguenti: 1) Operatore agricolo (ex Operatore agricolo-ambientale); 2) Costruttore su macchine utensili (ex Operatore meccanico); 3) Montatore meccanico di siste- mi (ex Operatore meccatronico); 4) Operatore agro-alimentare; 5) Operatore dell’abbigliamento; 6) Operatore edile alle strutture; 7) Operatore edile alle infra- strutture; 8) Operatore del legno e dell’arredamento; 9) Operatore grafico di stampa (ex Operatore ai processi di stampa); 10) Operatore del punto vendita (ex Operatore delle vendite); 11) Operatore alle cure estetiche; 12) Operatore della ristorazione; 13) Operatore alla promozione e accoglienza turistica; 14) Operatore della ceramica artistica; 15) Operatore del verde; 16) Operatore amministrativo-se- gretariale; 17) Operatore di magazzino merci (ex Operatore alla gestione merci); 18) Operatore dell’autoriparazione; 19) Operatore all’installazione/manutenzione impianti elettrici; 20) Operatore all’installazione/manutenzione impianti termo- idraulici. Tra parentesi sono indicate le denominazioni che le stesse qualifiche avevano nell’ambito dell’elenco allegato alla prima delibera di linee guida per percorsi inte- grati 2004-05 (DGR 2049/03); insieme alle denominazioni, il processo di con- fronto territoriale ha portato anche a modifiche nella descrizione delle schede degli standard professionali, e non solo per le qualifiche di cui è cambiata la denomina- zione. Pertanto, il documento da prendere a riferimento per la determinazione delle qualifiche per i percorsi del diritto-dovere è la DGR 788 del 2005, che sostituisce la precedente Determina del Direttore generale n. 14272 del 31.10.2003. Per ciascuna delle 86 qualifiche individuate nel Repertorio regionale è stata elaborata una scheda descrittiva dello standard professionale essenziale di riferi- mento, concordata con esperti di settore individuati dalla Commissione Regionale Tripartita. Ogni scheda descrittiva dello standard professionale ha una struttura in tre parti. La prima parte della scheda corrisponde ad una “anagrafica” della figura pro- fessionale (cfr. tav. 2), che consente di individuare meglio la figura, attraverso i se- guenti elementi: una descrizione sintetica della attività principale cui è normal- mente preposta tale figura; l’indicazione dell’area professionale in cui la figura si colloca; il riferimento ai profili assimilabili o analoghi contenuti nei principali si- stemi di classificazione vigenti a livello nazionale ed internazionale (ISCO, ISTAT, Ministero del Lavoro) e individuati in esito alle principali indagini dei fabbisogni realizzate a livello nazionale (ISFOL: Repertorio delle professioni; indagini OBNF, ENFEA, EBNA, Excelsior). 56 È interessante notare che, mentre la prima versione di scheda descrittiva, ap- provata con Determina del Direttore generale n. 14272 del 31.10.2003 con riferi- mento alle venti qualifiche di riferimento dei percorsi per l’obbligo formativo, ri- portava in questa parte anagrafica anche il livello professionale della figura, nella più recente versione del Repertorio tale riferimento non c’è più. Per i percorsi del diritto-dovere all’istruzione e formazione, il livello professionale indicato era quello iniziale, contraddistinto dalla lettera “A”, corrispondente al 2° livello europeo. Nella seconda parte della scheda, la figura professionale trova una sua prima descrizione compiuta nelle unità di competenza che caratterizzano la figura (cfr. Tav. 2 - Scheda descrittiva della qualifica (prima parte) COSTRUTTORE SU MACCHINE UTENSILI DESCRIZIONE SINTETICA Il Costruttore su macchine utensili è in grado di lavorare pezzi meccanici, in conformità con i disegni di riferimento, avvalendosi di macchine utensili tradizionali, a controllo numerico computerizzato e centri di lavoro. AREA PROFESSIONALE Progettazione e produzione meccanica ed elettromeccanica PROFILI COLLEGATI – COLLEGABILI ALLA FIGURA Sistema di riferimento Denominazione Sistema classificatorio ISCO Sistema classificatorio ISTAT Sistema informativo EXCELSIOR Sistema di codifica professioni Ministero del Lavoro Repertorio delle professioni ISFOL Indagine nazionale sui fabbisogni formativi OBNF Indagine nazionale sui fabbisogni formativi nell’artigianato EBNA Indagine nazionale sui fabbisogni formativi nella Piccola e Media Industria Privata ENFEA 7222 Addetti alla costruzione di utensili e prodotti metallici 8211 Addetti alle macchine utensili: metalli 7.2.1.1. Operai addetti a macchine utensili automati- che e semiautomatiche industriali 4.04.06 Addetti alla costruzione di utensili e prodotti metallici 4.04.15 Addetti alle produzioni meccaniche e di pro- dotti in metallo 721100 Operatori di macchine utensili automatiche e semiautomatiche industriali Metalmeccanica • Operatore su macchine utensili Meccanica cod. 72 Costruttori su macchine utensili cod. 83 Operatori di produzione e servizi vari Metalmeccanico • Operaio specializzato polivalente Meccanica • Addetto alla produzione 57 tav. 3). Lo sforzo fatto è stato quello di individuare, per ogni figura, solo quelle competenze che possono dirsi “caratterizzanti” la figura stessa, riducendo il nu- mero di unità di competenza considerate alle quattro principali. Le unità di compe- tenza sono descritte attraverso conoscenze e abilità che presiedono alla capacità di tradurre in pratica una determinata competenza. Mentre le abilità, espresse in ter- mini di “essere capace di...”, sono direttamente correlate a ciascuna unità di com- petenza, le conoscenze costituscono una sorta di base comune all’esercizio di tutte le competenze della figura, per cui non esiste una correlazione biunivoca. Tav. 3 - Scheda descrittiva della qualifica (seconda parte) COSTRUTTORE SU MACCHINE UTENSILI UNITÀ CAPACITÀ CONOSCENZE DI COMPETENZA (essere in grado di) (conoscere) 1. Approntamento macchine utensili 2. Lavorazione pezzi in area meccanica 3. Controllo conformità pezzi in area meccanica 4. Gestione area di lavoro • riconoscere le macchine utensili (tradizionali, a controllo numerico computerizzato, centri di lavo- ro) da utilizzare per le diverse fasi di lavorazione • individuare la strumentazione da applicare alle macchine utensili (utensili, attrezzi presa pezzo, programmi, ecc.) • utilizzare procedure di impostazione dei parametri macchina o del programma a CN per le diverse la- vorazioni • applicare modalità di controllo degli utensili pre- settati con i dati di presetting • comprendere i disegni tecnici di pezzi da lavorare • distinguere le tipologie di lavorazioni da realizzare in relazione al pezzo da lavorare ed al materiale costruttivo • applicare le principali tecniche di lavorazione meccanica • riconoscere e prevenire i rischi per la sicurezza della propria persona e dell’ambiente di lavoro • identificare eventuali anomalie e non conformità di materiali grezzi e semilavorati • valutare la correttezza e l’efficienza del processo di lavorazione del pezzo meccanico • riconoscere ed utilizzare la strumentazione di mi- sura dei pezzi lavorati • valutare la conformità dei pezzi lavorati durante e al termine del processo di lavorazione • adottare le previste modalità di mantenimento in efficienza (pulitura, lubrificazione, ecc.) delle mac- chine utensili • riconoscere lo stato di funzionamento delle mac- chine utensili e proprie attrezzature • identificare il livello di usura e idoneità residua degli utensili valutandone le possibili modalità di ripristino • individuare interventi correttivi a fronte di ano- malie nell’area di lavoro ☞ I processi di lavorazione nell’area meccanica ☞ Principali materiali (ghise, acciai, ecc.) e relative carat- teristiche tecnologiche ☞ Le Macchine Utensili (MU) dalle tradizionali alle CNC: le parti componenti e la lo- ro funzione, il piano e lo spazio in cui operano ☞ Principali utensili e loro uti- lizzo ☞ Principali lavorazione su macchine utensili: foratura, tornitura, fresatura, alesatu- ra, rettificatura, ecc. ☞ Principali strumenti di mi- sura (calibri, micrometri, comparatori, ecc.) e relativi campi di applicazione ☞ Informatica applicata alle MU a CNC ☞ Principali norme del dise- gno tecnico: segni e simbo- li, convenzioni, scale e me- todi di rappresentazione ☞ La modulistica di riferimen- to: schede istruzioni, pro- grammi di produzione, schede controllo qualità ☞ Le norme ISO-9001 e rela- tive applicazioni in ambito manifatturiero-meccanico ☞ Le norme per l’igiene e la sicurezza dell’ambiente di lavoro 58 Infine, la terza parte della scheda riporta le “Indicazioni per la valutazione delle unità di competenza” (cfr. tav. 4), ossia per verificare il raggiungimento dello standard professionale essenziale precedentemente descritto attraverso le unità di competenza; per ogni unità individuata come caratterizzante la figura professionale vengono date le specifiche per valutare se quella competenza è posseduta oppure no, espresse in termini di: oggetto di osservazione, ossia l’attività su cui concen- trarsi nell’effettuazione della verifica; indicatori, ossia gli item rispetto ai quali va effettuata la valutazione in relazione all’oggetto di osservazione identificato; risul- tato atteso, ossia l’esito atteso, in relazione all’oggetto di osservazione individuato, come specificato dagli indicatori, per il riconoscimento della qualifica. La modalità indicata per la verifica del possesso della competenza è sempre la prova pratica in situazione; ed è effettivamente solo tale prova che è in grado di di- mostrare il possesso della competenza, almeno nella accezione con cui il termine viene usato nella formazione professionale. Tav. 4 - Scheda descrittiva della qualifica (terza parte) UNITÀ DI COMPETENZA 1. Approntamento macchine utensili 2. Lavorazione pezzi in area meccanica 3. Controllo conformità pezzi in area meccanica 4. Gestione area di lavoro MODALITÀRISULTATOATTESO Macchine predisposte e registrate per eseguire le lavorazioni Pezzo lavorato secondo le specifiche progettuali Pezzo lavorato rispondente agli standard di qualità previsti Macchine utensili funzionali e pulite INDICATORI ☞ montaggio delle attrezzature per le specifiche lavorazioni ☞ registrazione dei parametri macchina ☞ caricamento dell’eventuale programma di lavorazione ☞ effettuazione di test di prova funzionamento macchine ☞ lettura del disegno tecnico e della documentazione di lavorazione ☞ lavorazione del pezzo meccanico ☞ carico e scarico dei pezzi ☞ misurazione dei pezzi meccanici ☞ segnalazione e registrazione delle non conformità ☞ compilazione di eventuali schede di controllo qualità ☞ pulizia di macchinari, attrezzature e strumenti di misurazione ☞ segnalazione anomalie di funzionamento delle MU e relative attrezzature ☞ rilevazione e ripristino utensili usurati OGGETTO DI OSSERVAZIONE Le operazioni di approntamento delle macchine utensili Le operazioni di lavorazione di pezzi in area meccanica Le operazioni di controllo conformità dei pezzi in area meccanica Le operazioni di gestione dell’area di lavoro COSTRUTTORE SU MACCHINE UTENSILI INDICAZIONI PER LA VALUTAZIONE DELLE UNITÀ DI COMPETENZA Prova pratica in situazione 59 8. L A PROCEDURA SORGENTE La manutenzione di qualunque sistema di qualifiche è un elemento strategico per assicurare la rispondenza tra sistema formativo e sistema produttivo territo- riale, alla luce dei cambiamenti organizzativi e delle evoluzioni tecnologiche. Per questa ragione, tutti i sistemi di qualifiche consolidati dei principali partner euro- pei hanno definito procedure in grado di assicurare che l’aggiornamento dell’e- lenco delle qualifiche e degli standard avvenga ad intervalli regolari, o comunque nel momento in cui si determinano nuovi bisogni nell’ambito del sistema produt- tivo di riferimento. Nel modello della Regione Emilia Romagna la manutenzione del SRQ avviene attraverso una cosiddetta “procedura sorgente”, che dovrebbe avvenire a cadenza annuale e che presenta le seguenti caratteristiche: 1) possibilità di “proposizione diffusa” di nuove qualifiche, affidata a tutti gli at- tori strategici del territorio: Parti sociali, Enti bilaterali, Enti formativi, Istitu- zioni scolastiche, Università, Province, Regione, ecc.; 2) istruttoria tecnica sull’adozione delle proposte di nuove qualifiche svolta d’in- tesa con le Parti sociali sulla base di una procedura che verrà definita dalla Giunta Regionale; 3) validazione della proposta da parte di una Sottocommissione della Commis- sione Tripartita Regionale composta da esperti nominati dalle Parti sociali; 4) approvazione da parte della Giunta regionale, sentita la Commissione Tripar- tita e la Conferenza Regionale per il Sistema Formativo. È evidente che la procedura sorgente di manutenzione del SRQ si avvale di un altro strumento strategico, ossia le azioni di monitoraggio e valutazione che ven- gono attivate contestualmente all’adozione dei nuovi standard professionali, con l’obiettivo di misurarne l’adeguatezza ed efficacia. 9. G LI STANDARD FORMATIVI Per la qualificazione del sistema dell’offerta di formazione professionale, ac- canto al SRQ la Regione ha ritenuto di definire un impianto di standard formativi essenziali che possa assicurare trasparenza ed omogeneità a livello regionale. Infatti, se la definizione degli aspetti progettuali – quali i contenuti formativi, le metodologie didattiche, il programma, ecc. – attiene alla autonomia degli Enti di formazione, che la esercitano assicurando la necessaria diversificazione degli inter- venti formativi, dalle singole specificità ed esigenze della domanda/offerta for- mativa, l’autonomia progettuale degli Enti deve contemperarsi con la necessità di garantire il raggiungimento degli standard professionali delle qualifiche, come obiettivi formativi dei corsi, perché gli allievi conseguano la certificazione finale. 60 Pertanto, la Regione ha ritenuto di definire gli standard formativi essenziali dei percorsi, che ne regolano gli aspetti strutturali e sono da ritenersi prescrittivi delle modalità attuative degli interventi. Tali standard formativi riguardano “requi- siti d’accesso, durate complessive e relativa formazione teorica, esperienza pratica e stage” (DGR n. 2212 del 2004). Successivamente, nel corso del 2005, la Regione procederà alla definizione di procedure di valutazione e certificazione, di concerto con le Parti sociali. L’offerta formativa progettata con riferimento alle qualifiche del SRQ si concre- tizza in interventi che hanno diverse finalità e durata, in funzione delle differenti ti- pologie di partecipanti. Pertanto, gli standard formativi tengono conto di tale possibi- lità e sono differenziati in funzione delle caratteristiche diverse degli utenti. In una prima fase, gli standard formativi si riferiscono solo ai corsi che si collocano nel- l’ambito della formazione professionale; sono esclusi pertanto gli interventi che si svolgono in integrazione con altri soggetti formativi (Scuola ed Università) o che at- tengono all’Apprendistato, che saranno di prossima regolamentazione a partire dal quadro tracciato dalla legge per l’occupazione recentemente approvata (luglio 2005). La Delibera di G.R. n. 265 del 14 febbraio 2005 ha specificato “Orientamenti, metodologia e struttura” degli standard formativi (cfr. Allegato A alla DGR citata). Nel determinare gli standard formativi di ciascuna qualifica si è tenuto conto dei seguenti criteri: a) caratteristiche delle competenze delle qualifiche (ampiezza-profondità delle conoscenze; natura delle capacità; finalità complessivamente espresse dalle “Unità di competenza”); b) condizioni socio-professionali degli utenti: conoscenze e capacità posse- dute, età, luogo e condizioni di apprendimento, stato occupazionale, dove le conoscenze e capacità possedute rappresentano l’indicatore principale, mentre gli altri costituiscono elementi utili per la finalizzazione e l’organiz- zazione dell’offerta formativa; c) finalità assegnate agli interventi formativi dalla L.R. 12/03 e dai documenti di programmazione regionale. La definizione degli standard formativi in base ai criteri indicati determina una struttura dell’offerta formativa articolata in due tipologie di corsi sulla base della ti- pologia di qualifica (qualifica di accesso all’area professionale o qualifica di appro- fondimento rispetto all’area professionale), ciascuna segmentata in relazione alle caratteristiche dell’utenza (giovani che devono assolvere il diritto-dovere all’istru- zione e formazione, giovani che hanno assolto il diritto-dovere, adulti disoccupati, adulti occupati). Pertanto gli standard formativi vengono specificati come segue: 1) corsi finalizzati allo sviluppo di competenze relative a qualifiche “di accesso” all’area professionale, che possono essere efficacemente seguiti da persone che possiedono conoscenze-capacità generali, non specifiche rispetto all’area professionale. In questo caso, gli standard formativi essenziali prevedono una durata di: 61 a) 2 cicli di 900 ore, di cui una percentuale di stage variabile tra il 25%-35%, quando rivolti a giovani adolescenti che devono assolvere il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione; b) 600 ore, di cui una percentuale di stage variabile tra il 30%-40%, quando rivolto a giovani che hanno assolto il diritto-dovere all’istruzione e alla for- mazione; c) 600 ore, di cui una percentuale di stage, formazione in laboratorio (o co- munque in situazioni che riproducono processi e attività che si verificano nei contesti lavorativi), variabile tra il 30%-40%, quando rivolti ad adulti disoccupati; 2) corsi finalizzati allo sviluppo di competenze relative a qualifiche di “appro- fondimento tecnico/specializzazione” rispetto all’area professionale e che pos- sono essere efficacemente seguiti da persone già in possesso di conoscenze o capacità tali da facilitare il processo di apprendimento delle competenze pro- prie di una qualifica (conoscenze e capacità attinenti). In questo caso i corsi hanno una durata di: a) 500 ore, di cui una percentuale di stage variabile tra il 35%-45%, quando rivolto a giovani non occupati che hanno concluso un percorso di istru- zione-formazione con il conseguimento del relativo titolo finale; b) 300 ore, di cui una percentuale di stage, formazione in laboratorio (o co- munque in situazioni che riproducono processi e attività che si verificano nei contesti lavorativi), variabile tra il 20%-40%, per giovani/adulti occu- pati o disoccupati. La finalizzazione dei corsi rispetto a qualifiche di “approfondimento tecnico/specializzazione” per persone che hanno conoscenze o capacità pregresse attribuisce rilevanza alle competenze acquisite in precedenti percorsi scolastico- formativi o attraverso l’esperienza professionale; pertanto i titoli posseduti non co- stituiscono di per sé vincolo per l’accesso ai percorsi. Nei mesi di dicembre 2004 e gennaio 2005 si è realizzato il percorso di veri- fica e validazione degli elaborati tecnici di descrizione degli standard formativi essenziali delle qualifiche professionali, congiuntamente agli esperti designati dai componenti la Commissione Regionale Tripartita e dai soggetti formativi del si- stema regionale, organizzati in gruppi per aree professionali, come previsto dalla deliberazione n. 2212/04. Tale percorso ha prodotto standard formativi essenziali per ciascuna delle 86 qualifiche professionali del Repertorio regionale, adottati con le DGR 265/2005 e 788/2005. A titolo di esempio, si riporta lo standard formativo elaborato per la qualifica del “Costruttore su macchine utensili”, qualifica che è fra quelle di riferimento an- che per i percorsi per l’assolvimento del diritto-dovere (cfr. tav. 5). 62 Per quanto riguarda la manutenzione del sistema, la Regione stabilisce che in relazione ad ogni nuova qualifica che viene inserita nel Repertorio siano definiti i relativi standard formativi. Relativamente invece a qualifiche per le quali esistano specifiche norme regolamentari, si assumono gli standard formativi da queste defi- nite e si riportano nelle schede relative alle aree professionali corrispondenti. Per verificare la corrispondenza del SRQ e dei relativi standard formativi alle esigenze del sistema territoriale, la Regione ha varato un’azione di monitoraggio articolata in tre linee di intervento centrate su: 1) le qualifiche oggetto di formazione: l’obiettivo è produrre informazioni utili a supportare la diffusione della formazione a qualifica. Le informazioni da ac- Tav. 5 - Standard per la qualifica “Costruttore su macchine utensili” STANDARD relativi ai corsi finalizzati al conseguimento della Qualifica di “COSTRUTTORE SU MACCHINE UTENSILI” Date le caratteristiche delle sue competenze, questa qualifica può essere considerata “di ac- cesso all’area professionale”. Gli obiettivi formativi, costituiti dagli standard professionali, sono conseguibili da persone (sia giovani che adulte) non in possesso di conoscenze-capa- cità pregresse a cui questi corsi sono specificamente rivolti. In ogni caso, ai partecipanti in possesso di conoscenze-capacità che corrispondono a conte- nuti del corso, vengono riconosciuti i relativi crediti formativi. Può registrarsi il caso di persone, occupate o disoccupate, comunque già in possesso di com- petenze riferibili a una o più unità di competenze di questa qualifica e che intendono con- seguire la qualifica. In questo caso, il sistema di offerta può prevedere corsi finalizzati allo sviluppo delle competenze riferibili a specifiche “unità di competenze”. La qualifica può essere conseguita attraverso: • Corsi di 1.800 ore, articolati in 2 cicli della durata di 900 ore ciascuno Si tratta di corsi finalizzati allo sviluppo di competenze generali e professionali di adole- scenti che devono assolvere l’obbligo formativo. I corsi devono prevedere una quota di ore di stage che può oscillare dal 25 al 35% del monte ore complessivo. • Corsi di 600 ore Si tratta di corsi finalizzati alla professionalizzazione di giovani che hanno assolto l’obbligo formativo, non occupati al momento della realizzazione del corso. I corsi devono prevedere una quota di ore di stage che può oscillare dal 30 al 40% del monte ore complessivo. • Corsi di 600 ore Si tratta di corsi finalizzati alla professionalizzazione di adulti disoccupati. I corsi devono prevedere una quota di ore di formazione realizzate in stage, in laboratorio o comunque in situazioni che riproducono processi e attività che si verificano nei contesti lavorativi. Tale quota può oscillare dal 30 al 40% del monte ore complessivo. La durata definita è da intendersi massima: può diminuire in funzione delle caratteristiche dei partecipanti. Non può comunque essere inferiore alle 400 ore. 63 quisire riguardano pertanto le qualifiche formate, le qualifiche corrispondenti a figure che mancano nel Repertorio e che potrebbero essere formate, le qua- lifiche che sono presenti nel Repertorio ma non vengono formate, ecc.; 2) gli standard professionali definiti, al fine di produrre informazioni utili a sup- portare la realizzazione dei processi formativi volti al conseguimento delle qualifiche. Le informazioni da acquisire riguardano pertanto gli standard professionali delle diverse qualifiche e i relativi descrittori, per verificarne la funzionalità e l’adeguatezza ai fini della formazione; 3) gli standard formativi definiti, per assicurare l’efficacia degli interventi forma- tivi. Le informazioni da acquisire riguardano pertanto i criteri adottati per la definizione degli standard (correttezza, completezza, necessità di modifiche- integrazione, ecc.), gli standard relativi alle diverse qualifiche (destinatari, durata, articolazione), ecc. Documentazione regionale di riferimento Accordo del 19 febbraio 2004 tra la Regione Emilia-Romagna e l’Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia Romagna al fine di realizzare sul territorio regionale un’offerta formativa spe- rimentale di istruzione e di formazione professionale di cui all’Accordo del 8/10/2003. Deliberazione del Consiglio Regionale n. 612 del 26 ottobre 2004, “Linee di programmazione e indirizzi per il sistema formativo e per il lavoro - Biennio 2005/2006 ”. Deliberazione di Giunta Regionale n. 1052 del 9 giugno 2003, “Approvazione di un progetto re- gionale per la realizzazione di percorsi formativi integrati tra l’istruzione e la formazione professionale e relative linee guida per l’anno scolastico 2003-2004 ”. Deliberazione di Giunta Regionale n. 2049 del 20 ottobre 2003, “Approvazione modalità di se- lezione dei soggetti attuatori dell’offerta formativa rivolta ai ragazzi in obbligo formativo a partire dall’anno 2004-2005 ”. Deliberazione di Giunta Regionale n. 2212 del 10 novembre 2004, “Approvazione delle qualifi- che professionali in attuazione dell’art. 32, comma 1, lettera c, della l.r. 30 giugno 2003, n. 12 - 1° provvedimento ”. Deliberazione di Giunta Regionale n. 259 del 14 febbraio 2005, “Approvazione delle linee guida per la progettazione dei percorsi integrati”. Deliberazione di Giunta Regionale n. 2634 del 13 dicembre 2004, “Approvazione delle condi- zioni e delle modalità per il consolidamento dell’offerta di percorsi integrati nell’istru- zione superiore in Emilia Romagna (L.R. 12/2003, art. 27), a valere dall’a.s. 2005/2006 ”. Deliberazione di Giunta Regionale n. 265 del 14 febbraio 2005, “Approvazione degli standard dell’offerta formativa a qualifica e revisione di alcune tipologie di azione di cui alla deli- bera di G.R. n. 177/2003 ”. Deliberazione di Giunta Regionale n. 788 del 23 maggio 2005, “Approvazione delle qualifiche professionali e dei relativi standard formativi, di cui alle deliberazioni di G.R. n. 2212/04 e 265/05 - II provvedimento ”. Deliberazione di Giunta Regionale n. 902 del 10 maggio 2004, “Approvazione linee guida per la progettazione esecutiva dei percorsi integrati di istruzione e formazione per l’anno scolastico 2004/05 ”. 64 Deliberazione di Giunta Regionale n. 936 del 17 maggio 2004, “Il Sistema Regionale delle Qualifiche - orientamenti, metodologia, struttura”. Determina del Direttore generale n. 14272 del 31 ottobre 2003, “Adozione delle 20 schede de- scrittive delle qualifiche conseguibili in obbligo formativo di cui alla deliberazione della G.R. n. 2049/2003 ”. Legge regionale n. 12 del 25 giugno 2003, “Norme per l’uguaglianza delle opportunità di accesso al sapere, per ognuno e per tutto l’arco della vita, attraverso il rafforzamento del- l’istruzione e della formazione professionale, anche in integrazione fra loro”. Protocollo di intesa dell’8 ottobre 2003 stipulato fra la Regione Emilia Romagna, il Ministero dell’istruzione, università e ricerca e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali “Per la realizzazione dall’anno scolastico 2003/2004 di una offerta formativa sperimentale di istruzione e formazione professionale, nelle more dell’emanazione dei decreti legislativi di cui alla legge 28 marzo 2003, n. 53”. Sitografia essenziale www.regione.emilia-romagna.it www.regione.emilia-romagna.it/fr_delibere.htm www.form-azione.it www.scuolaer.it www.emiliaromagna.istruzione.it 65 Capitolo 3 Il modello lombardo per la costruzione di una filiera dell’istruzione e formazione professionale e il relativo repertorio Sandra D’AGOSTINO 1. LO SCENARIO DI RIFERIMENTO La Regione Lombardia è la prima fra le Regioni italiane ad aver accolto l’in- vito alla ridefinizione del modello di sistema della formazione professionale ini- ziale secondo la proposta – che doveva ancora tradursi in un testo normativo – del Ministro Moratti. Infatti, la prima sperimentazione è partita sulla base di un Proto- collo d’intesa con i competenti Ministeri dell’istruzione e del lavoro, siglato nel giugno 2002 (la “Legge Moratti”, come è noto, è stata approvata nel marzo 2003), cui hanno fatto seguito provvedimenti analoghi siglati nello stesso anno da altre cinque Regioni (Lazio, Molise, Piemonte, Puglia, Provincia di Trento). Pertanto, la prima annualità di sperimentazione dei nuovi percorsi della forma- zione professionale è partita con l’anno formativo 2002-03, concepita come labo- ratorio di verifica dell’ipotesi posta alla base della riforma, che prevede di trasfor- mare un’offerta formativa tradizionalmente orientata prevalentemente alla profes- sionalizzazione dei giovani, in un percorso che mira allo sviluppo globale della persona, in termini educativi e culturali oltre che professionali, di pari dignità con i percorsi scolastici. In realtà, il Protocollo d’intesa del giugno 2002 prevede un ampio ventaglio di tipologie di intervento, rivolte tanto all’utenza finale quanto al sistema ed ai suoi operatori. In particolare, l’art. 2 fa riferimento a “percorsi triennali sperimentali di formazione professionale, ed eventuali successivi percorsi collocati in un organico processo di sviluppo della formazione professionale superiore, da realizzarsi in strutture formative accreditate dalla Regione”. Pertanto, dalla sperimentazione di percorsi triennali realizzati nell’ambito del sistema di formazione professionale è nata prima una strategia per la costruzione del sistema di istruzione e formazione professionale al livello secondario, a partire dalla necessità di avvicinare le Istituzioni scolastiche e le strutture formative che costituiranno tale sistema, poi un modello di sviluppo che riguarda la costituzione di un sistema di istruzione e formazione professionale articolato su una pluralità di livelli. 66 Infatti, nel modello lombardo il sistema di istruzione e formazione professio- nale intende ricomprendere l’intera gamma degli interventi e delle attività della formazione professionale tradizionale (da quella iniziale, alla continua, all’appren- distato, ecc.), nonché tutti i percorsi di istruzione a carattere tecnico e professio- nale che permettono un immediato inserimento nel mondo del lavoro, collocandoli in una nuova prospettiva pienamente culturale ed educativa. Pertanto, il sistema rilascerà i seguenti titoli di studio sui diversi livelli di uscita: 1) qualifica di istruzione e formazione professionale (3 anni - II livello europeo ECTS); 2) diploma di istruzione e formazione professionale (4 anni - III livello); 3) diploma di istruzione e formazione professionale superiore (5-7 anni - IV li- vello); 4) diploma di alta formazione professionale (8-9 anni - V livello). I titoli di studio conseguiti al termine di percorsi almeno quadriennali consen- tiranno di sostenere l’esame di Stato, utile anche ai fini dell’accesso all’Università e all’alta formazione (artistica, musicale e coreutica), previa frequenza di un apposito corso annuale, secondo quanto previsto dalla stessa Legge n. 53 del 2003 (cfr. graf. 1). I titoli potranno inoltre essere conseguiti anche attraverso percorsi in apprendistato e secondo la modalità dell’alternanza. Graf. 1 - Sistema di istruzione e formazione Nell’ambito del sistema regionale di istruzione e formazione professionale saranno inoltre previsti: 67 a) corsi di specializzazione in rapporto ad ogni titolo del sistema; b) l’attestato di “abilitazione al lavoro”: certificato corrispondente al I livello europeo, comunque ad una qualifica di istruzione e formazione professionale, di cui rappresenta una componente definita in termini di crediti formativi; c) l’attestato di “patente di mestiere”: riconoscimento giuridico, acquisito a seguito di un positivo addestramento obbligatorio, che abilita all’esercizio del mestiere. In questo contesto di riforma, che va nel senso della costruzione di tutta la fi- liera dell’istruzione e formazione professionale, si inserisce l’attenzione alla defi- nizione di standard di riferimento, visti come strumento per elevare la qualità del sistema formativo. E l’avvio delle sperimentazioni dei percorsi triennali diventa l’occasione per la costruzione di tali standard a partire dal primo segmento della filiera, i percorsi triennali di formazione iniziale. 2. LA STRATEGIA REGIONALE PER L’INNOVAZIONE DEL SISTEMA ISTRUZIONE-F OR- MAZIONE UNIVERSITÀ L’approvazione della Legge regionale n. 1 del 2000, che ridefinisce l’attribu- zione delle competenze e delle deleghe in capo alla Regione, alle Province e ai Co- muni anche in materia di formazione professionale, introduce lo strumento del “Programma triennale” quale “ambito elettivo di definizione degli strumenti e delle modalità d’attuazione degli obiettivi afferenti al sistema formativo lombardo declinati nelle linee strategiche di azione del Programma Regionale di Sviluppo e nei successivi documenti di programmazione”. Il “Programma triennale della formazione professionale 2002-05”, il primo elaborato dopo l’approvazione della Legge di riordino delle autonomie, identifica la necessità di promuovere forme di sperimentazione finalizzate alla definizione di modelli di riferimento tra le linee di azione strategiche per elevare la qualità del si- stema e confrontarsi con la riforma Moratti ancora in discussione a livello nazio- nale. In particolare per l’utenza dell’obbligo formativo viene identificata la priorità di garantire un’offerta qualificata, coerente con specifici standard di qualità ed efficacia individuati in risposta alle esigenze del sistema produttivo locale. Su tali basi, in data 3 giugno 2002 viene stipulato un Protocollo d’intesa fra la Regione Lombardia, il Ministero dell’istruzione, università e ricerca e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali “per la sperimentazione di nuovi modelli nel si- stema di istruzione e formazione”. Con l’obiettivo di realizzare una efficace e mi- rata azione di prevenzione, contrasto e recupero dei fenomeni degli insuccessi, della dispersione e degli abbandoni, in attesa che la riforma Moratti in discussione al Parlamento venga definitivamente approvata, la Regione si impegna a “indivi- duare e predisporre modelli e percorsi di innovazione didattica, metodologica, orga- nizzativa che coinvolgano i sistemi dell’istruzione e della formazione professionale, realizzino forme d’interazione e di integrazione tra i due citati sistemi, valorizzino 68 la capacità di progettazione dei soggetti coinvolti, motivando all’apprendimento attraverso il fare e l’agire”. Tali interventi si concretizzeranno in percorsi che con- sentano l’assolvimento dell’obbligo scolastico e al tempo stesso l’acquisizione di conoscenze, capacità, abilità e competenze proprie della formazione professionale. Pertanto, il successivo Atto di indirizzo per il 2002-03 (DGR n. 9359/2002) inserisce, fra le tipologie di azioni rivolte ai giovani in obbligo formativo, la speri- mentazione di percorsi di durata triennale per il conseguimento della qualifica. A tali percorsi possono iscriversi ragazzi che abbiano completato la scuola media in- feriore; nell’ambito di essi è possibile assolvere l’ultimo anno dell’obbligo di istru- zione a quindici anni. La durata complessiva di tali percorsi varia da 3.000 a 3.600 ore complessive, articolate in una formazione d’aula (20-30% competenze di base; 5-15% competenze trasversali; 35-45% competenze tecnico professionali) e in una parte di stage che rappresenta una quota dal 10% al 40% del monte ore. Per il successivo anno formativo 2003-04, le “Linee di indirizzo” emanate a febbraio 2003 confermano la programmazione di percorsi triennali sperimentali volti al conseguimento della qualifica, strutturati esattamente come nell’annualità precedente, con una piccola eccezione: i percorsi si rivolgono a giovani che de- vono iscriversi comunque al primo anno della scuola secondaria superiore se non hanno ancora compiuto i 15 anni di età. La successiva approvazione della Legge n. 53 del 2003 richiede un ulteriore approfondimento della linea di intervento sui percorsi triennali. Con l’obiettivo di “realizzare un’offerta formativa stabile ed al contempo capace di adeguarsi alla massima rispondenza ai fabbisogni dell’utenza e dei territori di riferimento” viene emanata una nuova deliberazione di Giunta di “Integrazione alle Linee guida” (DGR n. 13084 del 2003). Oltre ad identificare interventi di adeguamento dei per- corsi biennali di qualifica – che continuano a sussistere per i giovani a partire dai 15 anni di età –, l’“Integrazione alle Linee guida” specifica una serie di requisiti e vincoli cui i percorsi sperimentali triennali dovranno uniformarsi, attinenti tanto all’ambito didattico quanto a quello organizzativo e gestionale. Dal punto di vista didattico, la sperimentale dei percorsi triennali di qualifica diventa anche uno strumento per l’elaborazione e implementazione di standard formativi, che possono rappresentare la base per la definizione del nuovo sistema regionale di standard. Pertanto, si forniscono minime indicazioni per l’elaborazione di tali standard, in linea anche con l’Accordo sottoscritto a livello nazionale fra le Regioni e le or- ganizzazioni sindacali dell’agosto 2002: i percorsi triennali di nuova attivazione dovranno privilegiare un profilo formativo di “area professionale” entro cui pro- gressivamente delineare i percorsi di indirizzo; ciò comporta l’adozione iniziale di denominazioni “ad ampio spettro” di cui si propone un primo elenco (cfr. tav. 1), mentre l’indirizzo verrà specificato in itinere (a partire dal secondo anno di spe- rimentazione) ed all’atto della prova di accertamento finale. Inoltre, i percorsi dovranno prevedere la modalità di prosecuzione in percorsi di istruzione e/o for- mazione superiore. 69 Le indicazioni metodologiche contenute nell’Integrazione alle linee guida per l’annualità 2003-04 sottolineano la necessità di improntare l’attività formativa ad una metodologia basata su compiti reali, privilegiando la didattica attiva, l’appren- dimento dall’esperienza anche tramite la realizzazione di tirocini/stage formativi. La definizione dei percorsi formativi dovrà altresì prevedere una componente di personalizzazione, tramite la quale consentire l’adattamento del percorso al sog- getto e l’attivazione di misure di accompagnamento. Infine, nell’ambito dei per- corsi dovrà essere obbligatoriamente adottato un modello di portfolio tramite il quale documentare la progressione dell’allievo in ogni fase del percorso. Dal punto di vista organizzativo-gestionale, la natura di sperimentazione siste- mica dell’iniziativa presuppone un impianto di obiettivi e vincoli altrettanto artico- lato. Innanzitutto i percorsi dovranno prevedere una attività di approfondita valuta- zione della sperimentazione, con particolare attenzione al modello di definizione degli standard formativi, di certificazione/riconoscimento dei crediti formativi e di riconoscimento dei titoli. Ed una forte attenzione è posta anche agli operatori, dal momento che la particolare valenza educativa e formativa di questi percorsi rende indispensabile l’utilizzo di personale che presenti requisiti di motivazione, prepa- razione ed esperienza coerenti con le necessità richieste dalla modalità formativa individuata. A tal fine, nell’ambito della sperimentazione vengono promossi inter- venti di qualificazione e formazione dei formatori implicati nella progettazione, realizzazione e valutazione dei servizi formativi secondo modalità che valorizzino l’esperienza intrapresa. Nel giugno 2003, l’Accordo quadro dei Ministeri dell’istruzione e del lavoro con le Regioni apre la strada alla sottoscrizione di singole intese. Il 25 settembre Tav. 1 - Proposta di classificazione delle aree professionali e di denominazione iniziale delle figure AREA PROFESSIONALE DENOMINAZIONE DELLE FIGURE 1 Agricola e ambientale Operatore agricolo ed ambientale 2 Alimentazione Operatore dell’alimentazione 3 Artigianato artistico Operatore di artigianato artistico 4 Aziendale e amministrativa Operatore di servizi di impresa 5 Chimica e biologica Operatore chimico e biologico 6 Commerciale e delle vendite Operatore commerciale 7 Edile e del territorio Operatore edile e del territorio 8 Elettrica e elettronica Operatore elettrico ed elettronico 9 Estetica Operatore estetico 10 Grafica e multimediale Operatore grafico 11 Legno ed arredamento Operatore del legno e dell’arredamento 12 Meccanica Operatore meccanico 13 Sanitaria Operatore sanitario 14 Sociale Operatore sociale 15 Tessile e moda Operatore dell’abbigliamento 16 Turistica ed alberghiera Operatore turistico ed alberghiero 70 2003 viene siglato il Protocollo per la Lombardia che definisce la strategia regio- nale per promuovere l’integrazione fra i sistemi dell’istruzione e formazione, in vista della costituzione di quel secondo sistema previsto dalla Legge Moratti. La strategia regionale per la costruzione del sistema dell’istruzione e for- mazione professionale si fonda su un’offerta formativa sperimentale che in prima battuta è articolata in due tipologie di percorsi: 1) percorsi triennali sperimentali di formazione professionale ed eventuali suc- cessivi percorsi collocati in un organico processo di sviluppo della formazione professionale superiore, da realizzarsi in strutture formative accreditate dalla Regione; 2) percorsi triennali sperimentali di formazione professionale ed eventuali suc- cessivi percorsi, collocati in un organico processo di sviluppo della forma- zione professionale superiore, da realizzarsi in Istituti tecnici e professionali individuati sulla base di criteri stabiliti d’intesa tra la Regione Lombardia e l’Ufficio scolastico regionale. In entrambi i casi, i percorsi prevedono il conseguimento di un titolo di quali- fica valido per l’assolvimento del diritto-dovere di istruzione e formazione fino ai diciotto anni e l’iscrizione ai Centri per l’impiego, nonché l’acquisizione di crediti ai fini dell’eventuale passaggio nel sistema dell’istruzione. Si viene così a deli- neare un modello “lombardo” di istruzione/formazione professionale che, distin- guendosi da quelli proposti in altre Regioni italiane, attiva percorsi sperimentali triennali affidandone lo sviluppo sia ai Centri di formazione professionale sia agli Istituti professionali e tecnici. 3. LE LINEE GUIDA PER LA SPERIMENTAZIONE 2004-05 E 2005-06 La definizione dell’Accordo territoriale fra Regione e Ufficio Scolastico solo alla fine del 2003 ha consentito l’avvio degli interventi sperimentali realizzati presso gli Istituti professionali e tecnici nel successivo anno formativo 2004-05. Pertanto, solo con la terza annualità di sperimentazione dei percorsi triennali per l’anno 2004-05 si avvia la fase di transizione verso l’attuazione di quel sistema di offerta coordinata e parallela, che viene prefigurato dalla strategia della Regione Lombardia come primo stadio nella costruzione del sistema dell’istruzione e for- mazione professionale. Lavorando in questa direzione, i vari documenti che specificano le linee guida per l’annualità di sperimentazione 2004-05 sottolineano l’obiettivo di rinsaldare i legami tra i diversi soggetti che opereranno nel sistema dell’istruzione e forma- zione professionale (DGR n. VII/16005 del gennaio 2004; DGR n. VII/17608 del maggio 2004). Pertanto, sia gli Istituti scolastici secondari, che i Centri e gli Enti di forma- zione professionale accreditati sono abilitati all’offerta di corsi di qualifica trien- 71 nali validi ai fini dell’espletamento del diritto-dovere all’istruzione e formazione per almeno 12 anni, purché garantiscano il rispetto di alcuni requisiti di natura strutturale/organizzativa e di natura professionale, che rappresentano uno sviluppo e allo stesso tempo una razionalizzazione di quanto prescritto già per le annualità precedenti di sperimentazione. Tali requisiti riguardano i seguenti ambiti: risorse umane; caratteristiche dei percorsi; risorse strutturali e tecnologiche; raccordo ter- ritoriale e con i servizi. Per quanto riguarda la dotazione di risorse umane che ogni struttura forma- tiva, Istituto scolastico o Centro di formazione professionale, deve assicurare, que- sta implica la disponibilità di alcune tra le seguenti figure professionali per cia- scuna classe/corso attivato di cui vengono precisati compiti e requisiti formativi e/o professionali richiesti. Le figure che ogni struttura deve avere disponibile sono: 1) almeno un docente/referente con compiti di coordinamento dell’équipe di for- matori e delle attività di progettazione, oltre che di tutoraggio del percorso. I requisiti formativi e/o professionali riguardano: laurea accompagnata da ulte- riore formazione specifica; laurea ed esperienza almeno biennale nel sistema di IFP; il diploma ed almeno cinque anni di esperienza nel sistema di IFP; l’abilitazione all’insegnamento in filosofia e scienze dell’educazione, oppure in una delle attuali classi di abilitazione umanistico-letterarie; 2) un docente-formatore per l’area “linguistico-espressiva e delle scienze umane” e un docente-formatore per l’area “matematico-scientifica”, che devono posse- dere o l’abilitazione per questo specifico gruppo disciplinare oppure il titolo di laurea o di diploma unito ad un certo numero di anni di esperienza profes- sionale (un anno per i laureati e cinque per i diplomati); 3) un docente-formatore delle tecnologie professionali che pure può essere un docente abilitato nel gruppo disciplinare specifico oppure un formatore con laurea ed esperienza almeno annuale nel settore o diploma ed almeno tre anni di esperienza, oppure un maestro professionista con almeno 10 anni di espe- rienza lavorativa congruente e professionalità riconosciuta e certificata. Le caratteristiche dei percorsi prevedono una durata triennale, con un numero minimo di ore pari a 3.150 sul triennio e a 1.050 ore per ogni annualità, ripartite in una quota comune obbligatoria di 891 ore annue ed una offerta formativa specifica di personalizzazione pari ad almeno 159 ore annue. Lo sviluppo del percorso segue una logica di approccio graduale alla professionalità, per cui il primo anno si carat- terizza per un’impostazione di orientamento attivo entro l’area professionale di rife- rimento. È a partire dal secondo anno che, accanto al rafforzamento delle cono- scenze, abilità, competenze e capacità personali del soggetto, si avvia lo sviluppo di specifiche competenze tecnico-professionali di figura e si realizzano attività di stage come supporto all’apprendimento. Il terzo anno mira al completamento formativo e all’autonomia della persona in riferimento al ruolo professionale in senso sia lavo- rativo sia pedagogico, in una visione integrale ed unitaria del processo formativo. 72 In sintesi, la ripartizione del monte ore per annualità e per area segue lo schema riportato alla tavola 2. Tav. 2 - Ripartizione monte ore AREE MONTE ORE 1° anno 2° anno 3° anno Totale Area linguistica e delle scienze umane 260 170 150 580 Area matematico-scientifica 220 160 130 510 Area tecnico-professionale 411 351 261 1.023 Area personalizzazione 159 159 159 477 Area stage – 210 350 560 Totale 1.050 1.050 1.050 3.150 Per garantire la riconoscibilità dei titoli di qualifica a livello nazionale, il “Do- cumento tecnico per la definizione degli standard formativi, di cui all’art. 4 del- l’Accordo quadro sancito in Conferenza Unificata il 19 giugno 2003” approvato dalla Conferenza Stato-Regioni il 15 gennaio 2004 viene assunto come riferimento per la definizione degli obiettivi di apprendimento dell’area delle competenze di base; per l’area professionalizzante i riferimenti sono il frutto delle sperimenta- zioni già realizzate negli anni formativi 2002-03 e 2003-04. Per quanto riguarda le risorse strutturali e tecnologiche, i locali in cui si svol- gono le attività dovranno essere in regola con le normative nazionali e regionali in materia di sicurezza e di igiene degli edifici; inoltre dovranno essere garantiti livelli minimi di dotazione tecnologica, declinati con appositi atti in relazione ai vari ambiti di attività. Infine, gli Istituti e i Centri dovranno operare in raccordo con tutti i soggetti impegnati nella definizione del sistema regionale di Istruzione e formazione pro- fessionale, in particolare assicurando la partecipazione di risorse umane qualificate alle commissioni istituite per la definizione degli standard formativi regionali, coordinate dalla Consulta Regionale standard formativi; inoltre, Centri ed Istituti dovranno operare in accordo con i servizi per il lavoro territoriali. A partire da un’offerta quantitativamente limitata a pochi corsi nelle prime due annualità di sperimentazione, si passa gradualmente ad attivare, per l’annualità 2004-05, 387 prime annualità, che pure coprono solo una parte delle richieste pro- venienti da famiglie e ragazzi. L’annualità 2004-05 è il terzo anno di sperimentazione e segna il momento di affrontare l’esame finale per quei giovani che hanno iniziato i corsi triennali nel 2002-03. Pertanto, nei primi mesi del 2005 sono state dettate le indicazioni ope- rative per lo svolgimento dell’esame, definendo anche il modello di certificazione regionale. Tali provvedimenti verranno analizzati in maniera più approfondita successivamente. 73 Per i corsi che invece prendono avvio nel 2005-06 vengono sostanzialmente confermate le precedenti “Linee guida”, segno che il modello sta progressivamente raggiungendo un sufficiente livello di consolidamento. Infatti, la DGR n. 20746/2005 ripropone le indicazioni della DGR n. 17608/2004, aggiornandole alla luce delle novità intervenute nel contesto nazionale e delle necessità di sviluppo “naturale” del sistema. Le nuove “Linee guida” tengono conto dell’Accordo raggiunto in Conferenza Unificata il 10 novembre 2004 relativo alla certificazione finale e intermedia e il riconoscimento dei crediti formativi; tale Accordo ha dato l’input per la defini- zione del modello regionale di certificazione di qualifica precedentemente citato. Inoltre, nel sottolineare la necessità di promuovere interventi di informazione, aggiornamento e supporto per gli operatori, come strumento per elevare la qualità del sistema, viene proposto come tema un approfondimento di quell’Accordo e delle sue implicazione per la progettazione degli interventi e la realizzazione degli esami. Le “Linee guida” confermano per il 2005-06 la tipologia di azioni ammissibili per gli interventi per i giovani in diritto-dovere e le caratteristiche dei percorsi. Vengono invece aggiornati i criteri relativi ai requisiti strutturali che devono posse- dere le strutture che erogano tali interventi alla luce di quanto prescritto dalla III fase di aggiornamento del modello lombardo di accreditamento. In particolare l’aggiornamento riguarda i requisiti relativi alla dotazione logistica, alla situazione economica della struttura e alla disponibilità di competenze professionali. Da ultimo, tenendo conto del fatto che una prima leva di giovani ha affrontato gli esami finali conseguendo una qualifica, si prevede di attivare un certo numero di percorsi di prosecuzione, corrispondenti al IV anno, destinati a coloro che inten- dono elevare il livello di qualificazione e possono successivamente scegliere di proseguire i percorsi o direttamente nell’ambito degli IFTS o, dopo aver frequen- tato un anno integrativo, iscrivendosi all’Università. Pertanto, prende gradual- mente forma il disegno originario della Regione, che prevede la costruzione di un’intera filiera dell’istruzione e formazione professionale, articolata in più livelli. Per quanto riguarda, invece, la partecipazione degli Istituti scolastici alla rea- lizzazione dei percorsi triennali di qualifica, sulla base dell’Accordo territoriale del dicembre 2003 con l’Ufficio regionale scolastico viene emanato nel gennaio 2004 un primo bando: gli Istituti professionali e tecnici sono invitati ad aderire alla prima fase della sperimentazione, relativa alla progettazione degli interventi. L’a- desione degli Istituti professionali e tecnici a questa prima fase non implica auto- maticamente la partecipazione alla fase operativa della sperimentazione, mentre la mancata partecipazione alla fase progettuale preclude la possibilità di aderire alla successiva fase di implementazione, prevista a partire dall’annualità 2004-05. 74 4. LA STRATEGIA REGIONALE PER LA DEFINIZIONE DEGLI STANDARD FORMATIVI Nel definire il “Programma triennale della formazione professionale 2002-05”, la Regione Lombardia nel novembre 2002 individuava alcuni obiettivi di migliora- mento per la qualificazione del sistema. Fra questi, occupa un posto significativo la definizione e implementazione di un sistema di standard formativi collegato ad un repertorio di competenze e qualifiche professionali, tale da consentire lo sviluppo di un sistema di certificazione delle competenze e di riconoscimento dei crediti condiviso da scuola, università, formazione professionale e mondo del lavoro. Il presupposto per la definizione di standard formativi, funzionali e caratteriz- zati in relazione alle diverse tipologie formative, è dunque la costruzione di un re- pertorio di profili e competenze, intese come insieme strutturato di conoscenze e di abilità di norma riferibili a specifiche figure professionali, relative ai diversi settori e processi produttivi. In questo modo, il “repertorio” può costituire un riferimento autorevole per la costruzione dell’offerta formativa e per la valutazione/certifica- zione delle competenze in un’ottica di armonizzazione nazionale ed europea. La Regione individua un iter per la costruzione del sistema regionale degli standard nel periodo di riferimento del “Programma triennale”, che prende le mosse dalla definizione dei nessi tra il repertorio di profili e competenze e le quali- fiche professionali e contrattuali, l’analisi dei fabbisogni professionali e formativi delle imprese, il repertorio dei percorsi formativi consolidati a livello regionale; quindi, si passa all’implementazione di standard minimi di competenze certifica- bili e capitalizzabili, riferibili a figure professionali o aree di attività, per la defini- zione di un repertorio regionale “aperto”, ossia soggetto a costante aggiornamento. Al fine di assicurare l’aggiornamento e l’integrazione incrementale del reper- torio in funzione dell’evoluzione delle professioni, nel “Programma triennale” si propone la costituzione di una apposita Commissione tecnica permanente, compo- sta da referenti della Regione Lombardia, delle Province, dei soggetti attuatori e delle rappresentanze delle Parti sociali. Tale Commissione ha il compito di assicu- rare l’integrazione con l’Istruzione, con i Centri per l’impiego e con gli organismi nazionali, regionali e provinciali responsabili dell’analisi dei fabbisogni formativi e della definizione di profili e qualifiche professionali. La Commissione proposta nel “Programma triennale” si è concretizzata nella Consulta Regionale degli Standard Formativi, costituita nel dicembre 2003, di cui si dirà più avanti. Con le “Linee guida per l’anno 2003-04”, la strategia della Regione Lombar- dia per la costruzione di un sistema di standard formativi compie un passo in avanti: viene adottato il modello metodologico proposto dal documento predispo- sto dal tavolo tecnico Regioni-rappresentanze sindacali nazionali di CGIL, CISL, UIL ed approvato in Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province auto- nome di Trento e Bolzano in data 1° agosto 2002. A partire dall’adozione di quel modello e quelle procedure per la definizione di un sistema di standard minimi 75 condivisi a livello nazionale, la Regione intende giungere alla costruzione di un sistema/repertorio regionale di profili/figure professionali descritti per competenze. La realizzazione di una ampia sperimentazione di percorsi triennali per il conseguimento della qualifica diviene l’opportunità per porre le basi per la costru- zione del sistema regionale di standard formativi nell’ambito di quello stesso pro- cesso. Infatti, la natura sperimentale dell’iniziativa la rende momento privilegiato di validazione, prosecuzione ed implementazione dell’elaborazione di standard formativi adeguati. I riferimenti metodologici sono il D.M. 174/01 e il citato accordo della Confe- renza Stato-Regioni del 1° agosto 2002; su queste basi vengono elaborate le indica- zioni per la strutturazione dei percorsi triennali, che “dovranno privilegiare un pro- filo formativo di ‘area professionale’ entro cui progressivamente delineare i per- corsi di indirizzo: ciò comporta l’adozione iniziale di denominazioni ‘ad ampio spettro’…, mentre l’indirizzo verrà specificato in itinere (a partire dal secondo anno) ed all’atto della prova di accertamento finale”. Il documento di integrazione alle “Linee guida per l’anno formativo 2003-04” riporta anche una prima proposta di classificazione delle aree professionali e di denominazione iniziale delle qualifi- che, frutto dell’esperienza maturata nella prima annualità di sperimentazione dei percorsi triennali di formazione iniziale. Il successivo Protocollo della Regione con i Ministeri dell’istruzione e del la- voro del giugno 2003 formalizza il collegamento fra sperimentazione dei percorsi triennali ed elaborazione degli standard. Infatti, il Protocollo sottolinea che i per- corsi triennali sperimentali devono essere progettati in riferimento agli standard ela- borati dalla “Consulta Regionale Standard” con l’obiettivo di “definire il modello ed implementare il repertorio regionale delle competenze e qualifiche professionali”. 5. IL “REPERTORIO DEI PROFILI, DELLE QUALIFICHE E DEI TITOLI PROFESSIONALI ” Il “Repertorio” intende recepire le nuove istanze della riforma del sistema di istruzione e formazione professionale, inserendo i nuovi percorsi di qualifica in un contesto organico di standard ed entro prospettive di filiera, secondo la prospettiva più generale adottata dalla Regione. Allo stesso tempo si vuole ripensare i profili professionali, alla luce sia delle nuove istanze cultuali ed educative che pone la riforma, che delle evoluzioni e specificità del sistema produttivo lombardo. Pertanto, per la costruzione del “Repertorio” si prevede: a) da un lato di ridefi- nire, in conformità con la natura del nuovo sistema di IFP, l’articolazione dei pro- fili in modo da configurare l’intera filiera formativa, distinguendo, per ciascuna comunità professionale, tre livelli di uscita: la qualifica di istruzione e formazione professionale (3° anno), il diploma di istruzione e formazione professionale (4° anno), il diploma di istruzione e formazione professionale superiore (5°, 6°, 7° anno); b) dall’altro di razionalizzare i titoli con l’intento di garantire una maggiore 76 uniformità e trasparenza delle certificazioni finali, superando la frammentazione e la contingenza che spesso hanno caratterizzato questa materia. Una prima bozza di “Repertorio”, dal carattere del tutto sperimentale, è stata messa a punto nel novembre 2003 sulla base delle indicazioni emerse dalla prima annualità di sperimentazione 2002-03 nell’ambito della formazione professionale. Nell’ambito del “Repertorio”, i profili sono articolati in aree/comunità profes- sionali. La distribuzione delle comunità professionali rappresenta una rielabora- zione della codifica ISFOL dei settori emersa nell’ambito di un gruppo di lavoro che aveva messo a punto un’ipotesi di standard formativi per i percorsi della mec- canica, su incarico del Ministero dell’istruzione. Un primo elenco era stato adottato dalla Regione già nell’ambito delle “Linee guida per i percorsi triennali per il 2003-04” del febbraio 2003, come riferimento per la progettazione degli interventi formativi. Rispetto alla prima formulazione, nel “Repertorio” del novembre 2003 alcune denominazioni vengono aggiornate (la denominazione “lavori d’ufficio”, ad es., è stata sostituita dalla dizione “servizi al- l’impresa”, ritenuta più estesa e attuale); altri settori vengono accorpati in un’unica comunità (è il caso dei settori “distribuzione commerciale” e “trasporti”, riaggre- gati nella comunità “commerciale, delle vendite e dei trasporti”; stessa logica è stata seguita per i settori “alberghiero-ristorazione” e “alimentare”, riaggregati nella comunità “alimentare, alberghiera e della ristorazione”). L’elenco completo delle 18 comunità professionali che caratterizzano il “Repertorio” è il seguente: 1) Area agricola 2) Area ambientale e delle energie 3) Area alimentare e ristorazione 4) Area artigianato artistico 5) Area servizi all’impresa 6) Area chimica e biologica 7) Area commerciale, delle vendite e dei trasporti 8) Area comunicazione e spettacolo 9) Area edile e del territorio Per ciascuna comunità viene elaborata una sintetica descrizione; quindi, ven- gono individuati i titoli in uscita ai diversi livelli prefigurati dal modello lombardo di sistema di istruzione e formazione professionale, ovvero le figure per le quali è previsto il rilascio di una qualifica professionale (percorsi triennali), quelle per il diploma professionale (4° anno dopo la qualifica) e per il diploma professionale superiore (da 1 a 3 anni dopo il diploma professionale). Pertanto, la struttura dei titoli è graduale e progressiva. Dopo ciascun titolo è possibile attivare corsi di specializzazione che approfon- discono uno o più aspetti tra quelli previsti nell’ambito della formazione al titolo. Le denominazioni dei titoli di Diploma Tecnico (per il 4° anno) ed ancor più di 10) Area elettrica ed elettronica 11) Area estetica 12) Area grafica multimediale 13) Area legno e arredamento 14) Area meccanica 15) Area sanitaria 16) Area sociale 17) Area tessile e moda 18) Area turistica 77 Diploma Tecnico Superiore (per il diploma professionale superiore) sono state inserite al fine di configurare correttamente la natura degli stessi percorsi triennali all’interno del nuovo sistema di Istruzione e formazione professionale; a differenza dei titoli di qualifica (già standardizzati) essi necessitano, quindi, di un lavoro di definizione più puntuale. I titoli in uscita prevedono una denominazione iniziale generalmente uguale alla denominazione della comunità/area professionale con la specifica “Operatore” (es. “Operatore dell’artigianato artistico”), più l’indicazione dell’indirizzo in uscita (es. “Ceramista”). Le qualifiche professionali riconosciute sono distinte in qualifiche standard (QS) e qualifiche in osservazione (QO). La denominazione di QO è stata utilizzata con diverse motivazioni: 1) verificare l’opportunità di un ulteriore accorpamento dei profili indicati in un unico indirizzo; 2) verificare l’effettiva spendibilità del titolo proposto, o perché non trova corri- spondenza nell’offerta esistente o perché legato a peculiarità territoriali troppo circoscritte; 3) verificare se esistono, in particolare rispetto ad alcuni settori, indicazioni vin- colanti sugli standard formativi da parte di altri soggetti istituzionali (Mini- steri, Assessorati, Organismi internazionali); 4) verificare la presenza di eventuali fattori ostativi, di natura normativa e con- trattuale, rispetto alle caratteristiche dell’utenza. Nella elaborazione del “Repertorio” si è tenuto conto dei principali repertori di riferimento nazionali e regionali. Per ciascun profilo considerato è stato previsto infatti un riconoscimento del titolo attraverso il confronto con alcuni tra i princi- pali sistemi di classificazione delle professioni o con i profili emersi dalle princi- pali indagini sui fabbisogni (ISTAT, Excelsior, OBNF, ISFOL, ISCO). Per i titoli successivi alla qualifica è stato previsto anche un confronto con altre due fonti: i percorsi dell’Istruzione tecnica e professionale e gli esiti di una ricerca IRER sui profili professionali regionali. Il “Repertorio” nasce in un contesto di costruzione di un sistema dell’istru- zione e formazione professionale a partire dai percorsi triennali iniziali. Pertanto, è sulle qualifiche conseguibili in esito a tali percorsi che si compie lo sforzo più ampio di definizione. Per le figure professionali di riferimento per i percorsi triennali è stata prevista anche una descrizione dei principali compiti che si ritiene debbano essere svolti alla fine del terzo anno relativamente a ciascun profilo codificato. Inoltre, viene in- dicata la collocazione organizzativa ossia il contesto aziendale in cui tale figura può operare. Di seguito si riporta l’elenco dei profili professionali previsti nell’ambito del “Repertorio”, articolati per aree professionali e per livelli (cfr. tav. 3). 78 Tav. 3 - Repertorio delle comunità e dei profili professionali per i percorsi di istruzione e formazione professionale 1. AGRICOLA Qualifica professionale Operatore/trice agricolo/a 1.1 Operatore/trice in floro-orto-frutticoltura, vivaismo e giardinaggio (QS) 1.2 Addetto/a all’allevamento (QS) Diploma professionale Tecnico agricolo Diploma professionale superiore Tecnico superiore delle produzioni vegetali Tecnico superiore delle produzioni animali 2. AMBIENTALE E DELLE ENERGIE Qualifica professionale Operatore/trice ambientale 2.1 Addetto ai servizi ecologici e ambientali Diploma professionale Tecnico ambientale Diploma professionale superiore Tecnico superiore per i sistemi di raccolta e smaltimento dei rifiuti Tecnico superiore per i sistemi idrici Tecnico superiore per il monitoraggio e la gestione del territorio e dell’ambiente 3. ALIMENTARE E RISTORAZIONE Qualifica professionale Operatore/trice dell’alimentazione 3.1 Addetto/a alla trasformazione degli alimenti (QS) Operatore/trice della ristorazione 3.2 Addetto/a alla panificazione e pasticceria (QS) 3.3 Operatore/trice di sala e bar (QS) 3.4 Aiuto cuoco (QS) Diploma professionale Tecnico dell’alimentazione Tecnico della ristorazione Diploma professionale superiore Tecnico superiore per la trasformazione degli alimenti Tecnico superiore per la ristorazione e la valorizzazione dei prodotti Cuoco 4. ARTIGIANATO ARTISTICO Qualifica professionale Operatore/trice dell’artigianato artistico 4.1 Ceramista (QS) 4.2 Addetto/a alle lavorazioni di oreficeria (QS) 4.3 Addetto/a alla lavorazione del vetro (QS) 4.4 Intagliatore/trice e scultore/trice in legno (QS) 4.5 Addetto/a alla lavorazione del marmo e dei metalli (QS) Diploma professionale Tecnico del restauro Tecnico dell’artigianato artistico Diploma professionale superiore Restauratore Tecnico superiore per l’artigianato artistico 79 5. SERVIZI ALL’IMPRESA Qualifica professionale 5.1. Operatore/trice dei servizi di impresa Diploma professionale Tecnico dei servizi d’impresa Diploma professionale superiore Tecnico superiore per l’amministrazione economico-finanziaria e per il controllo di gestione Tecnico superiore per la gestione della qualità Tecnico superiore per l’organizzazione e le risorse umane Tecnico superiore per lo sviluppo software 6. CHIMICA E BIOLOGICA Qualifica professionale Operatore/trice chimico/a e biologico/a 6.1 Addetto/a alla lavorazione delle materie plastiche (QS) 6.2 Addetto/a alle produzioni biologiche (QS) Diploma professionale Tecnico delle industrie chimiche Diploma professionale superiore Tecnico superiore per le produzioni chimiche Tecnico superiore per le produzioni biologiche Tecnico superiore per l’energia e la sicurezza 7. COMMERCIALE, DELLE VENDITE E DEI TRASPORTI Qualifica professionale Operatore/trice commerciale 7.1 Addetto/a alle vendite 7.2 Addetto/a alla ricezione e spedizione merci Diploma professionale Tecnico commerciale e delle vendite Tecnico dei trasporti Diploma professionale superiore Tecnico superiore commerciale, marketing e delle vendite Tecnico superiore della logistica integrata Tecnico superiore di approvvigionamento Tecnico superiore dei trasporti e della intermodalità Tecnico superiore nautico Tecnico superiore aeronautico 8. C OMUNICAZIONE E SPETTACOLO Qualifica professionale Operatore/trice dello spettacolo 8.1 Addetto/a audio/video (QS) Diploma professionale Tecnico dello spettacolo Tecnico della comunicazione Diploma professionale superiore Tecnico superiore per i sistemi di comunicazione Tecnico superiore per l’assistenza alla direzione di strutture per lo spettacolo 9. E DILE E DEL TERRITORIO Qualifica professionale Operatore/trice edile 9.1 Muratore intonacatore (QS) 9.2 Cementista carpentiere (QO) 9.3 Stuccatore/trice decoratore/trice (QO) 9.4 Piastrellista mosaicista (QO) 9.5 Addetto/a al recupero e al restauro edile (QO) 80 Diploma professionale Tecnico edile Diploma professionale superiore Tecnico superiore conduzione cantiere Tecnico superiore per il rilievo architettonico, la restituzione e la rappresentazione grafica Tecnico superiore per rilievi e strumentazioni di telerilevamento (G.P.S. – G.I.S.) 10. E LETTRICA E ELETTRONICA Qualifica professionale Operatore/trice elettrico/a e elettronico/a 10.1 Installatore manutentore impianti civili e industriali (QS) 10.2 Montatore manutentore elettro-meccanico (QS) 10.3 Installatore/manutentore elettrico in ambito informatico (QS) Diploma professionale Elettrotecnico Tecnico elettronico Tecnico delle telecomunicazioni Diploma professionale superiore Tecnico superiore di sistemi elettronici per la sicurezza Tecnico superiore di industrializzazione del prodotto e del processo elettrico ed elettronico Tecnico superiore di informatica industriale Tecnico superiore per le telecomunicazioni 11. ESTETICA Qualifica professionale Operatore/trice per le cure estetiche 11.1 Acconciatore/trice maschile e femminile (QS) 11.2 Estetista (QS) Diploma professionale Tecnico delle cure estetiche Diploma professionale superiore Tecnico superiore per le cure estetiche Tecnico superiore per l’assistenza alla direzione di strutture di cura estetica 12. GRAFICA MULTIMEDIALE Qualifica professionale Operatore/trice grafico/a 12.1 Addetto/a prestampa (QS) 12.2 Stampa offset (QS) 12.3 Legatoria /cartotecnica (QS) Diploma professionale Tecnico nelle arti grafiche Diploma professionale superiore Progettista grafico Tecnico superiore di industrializzazione del prodotto e del processo grafico Tecnico superiore per il multimedia e la comunicazione 81 13. LEGNO E ARREDAMENTO Qualifica professionale Operatore/trice del legno e dell’arredamento (QS) 13.1. Addetto/a alle lavorazioni di falegnameria (QS Diploma professionale Tecnico della lavorazione del legno Tecnico dell’arredamento Diploma professionale superiore Tecnico superiore di industrializzazione del prodotto e del processo del legno Tecnico superiore per l’arredamento 14. MECCANICA Qualifica professionale Operatore/trice meccanico/a 14.1 Operatore/trice alle macchine utensili (QS) 14.2 Montatore-manutentore meccanico (QS) 14.3 Saldocarpentiere (QS) 14.4 Termoidraulico (QS) 14.5 Meccanico d’auto (QS) 14.6 Addetto/a alle lavorazioni di occhiali e lenti oftalmiche (QO) Diploma professionale Tecnico meccanico Diploma professionale superiore Tecnico superiore di disegno e progettazione industriale Tecnico superiore di industrializzazione del prodotto e del processo meccanico Tecnico superiore di conduzione e manutenzione impianti 15. SANITARIA Qualifica professionale Operatore/trice dei servizi sanitari 15.1 Ausiliario socio-assistenziale (QO) 15.2 Addetto alle cure termali (QO) Diploma professionale Assistente sanitario Diploma professionale superiore Tecnico superore per i servizi sanitari Tecnico superiore per l’assistenza alla direzione di servizi sanitari 16. SOCIALE Qualifica professionale Operatore/trice dei servizi sociali 16.1 Ausiliario dei servizi sociali (QO) 16.2 Assistente per lo sport e tempo libero (QO) Diploma professionale Tecnico per i servizi sociali Tecnico dello sport e del tempo libero Diploma professionale superiore Educatore professionale Animatore Tecnico superiore per l’assistenza alla direzione di servizi sociali Tecnico superiore per l’assistenza alla direzione di strutture sportive e del tempo libero 82 Come detto, il “Repertorio” così costituito è solo un primo risultato di un la- voro in progress; successivamente sarà ulteriormente verificato e dettagliato con la descrizione dei profili, attraverso il lavoro della “Consulta Regionale Standard Formativi”. 6. LA “CONSULTA REGIONALE STANDARD FORMATIVI” Con Decreto n. 22660 del 19/12/2003 la Direzione Generale Formazione, Istruzione e Lavoro (DG FIL) della Regione Lombardia ha istituito la “Consulta regionale standard formativi”, quale organismo tecnico composto da referenti della Regione, degli Enti locali, delle Parti sociali, delle realtà formative e delle autono- mie scolastiche. Il ruolo della “Consulta” si inserisce nel quadro di rinnovamento del sistema formativo innescato dalla riforma Moratti, finalizzato alla costruzione di un si- stema di Istruzione e formazione professionale capace di ricomprendere una plura- lità di percorsi ed opportunità al fine di garantire il diritto del cittadino alla forma- zione in una prospettiva lifelong learning; ed è un quadro che richiama la necessità di realizzare un nuovo modello di governance, imperniato su un solido sistema di relazioni fra i diversi soggetti coinvolti: sistema educativo (scuola-università-for- mazione professionale) e mondo del lavoro. La costruzione di un tale sistema di relazioni necessita di strumenti condivisi di lettura e di classificazione della realtà del sistema produttivo locale, per fornire 17. TESSILE E MODA Qualifica professionale Operatore/trice dell’abbigliamento 17.1 Sarto/a e modellista (QS) 17.2 Addetto/a alle confezioni industriali (QS) 17.3 Tessitore/orditore (QS) Diploma professionale Tecnico tessile Tecnico dell’abbigliamento Diploma professionale superiore Tecnico superiore per la produzione tessile Tecnico superiore per la moda 18. T URISTICA Qualifica professionale Operatore/trice turistico/a 18.1 Addetto/a ai servizi turistici (QS) Diploma professionale Tecnico dei servizi turistici Diploma professionale superiore Tecnico superiore per l’assistenza alla direzione di servizi turistici Tecnico superiore per l’organizzazione e il marketing di turismo integrato Tecnico superiore per l’assistenza alla direzione di strutture ricettive 83 input chiari ed adeguati al sistema formativo. Pertanto, la “Consulta” è il soggetto che dovrà assicurare il supporto tecnico per l’elaborazione dei contenuti della ri- forma, per la qualificazione dell’offerta educativa e formativa del nuovo sistema di istruzione e formazione professionale lombardo, attraverso la predisposizione delle “Indicazioni regionali per i piani di studio personalizzati”. Si tratta di un’azione di ampio respiro, che comprende, oltre alla declinazione del nuovo sistema, la specificazione degli obiettivi generali e specifici del processo formativo, le modalità con cui procedere alla determinazione del portfolio delle competenze, dei criteri per il riconoscimento nazionale dei titoli e per la gestione dei crediti tramite i LARSA. Tale organismo opererà in connessione con gli altri tavoli istituzionali e tec- nici istituiti a livello regionale e nazionale, a partire dal “Tavolo scuola” istituito in seno alla stessa DG FIL e dal “Comitato paritetico di coordinamento” della speri- mentazione dei percorsi di formazione triennali. Pertanto, alla “Consulta” viene affidato il compito di provvedere a definire e implementare: 1) il modello di Repertorio regionale delle competenze e delle qua- lifiche professionali, a partire dalla realizzazione di un “Repertorio delle figure professionali” organizzate per aggregazioni in “aree” e sviluppate anche in consi- derazione di quanto già presente nei “Repertori” esistenti; 2) il sistema regionale di valutazione e certificazione delle competenze e dei titoli, in applicazione della Legge 53/03, con riferimento a quanto previsto dal DM 174/01, in linea con l’Ac- cordo quadro tra MIUR, MLS, Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano, Province, Comuni e Comunità montane del 19 giugno 2003. Nel costituire la “Consulta”, la Regione Lombardia dà una precisa definizione dell’espressione “Standard formativi minimi”, ritenendo che si riferisca fondamen- talmente a: 1) standard di erogazione del servizio relativi alle condizioni logistico- strutturali e professionali degli interventi formativi (standard di “accreditamento”); 2) standard relativi ai contenuti degli interventi formativi (o standard di “appren- dimento”). I primi afferiscono direttamente ai soggetti che erogano il servizio di istru- zione e formazione e riguardano l’esplicitazione di quell’insieme di condizioni or- ganizzative, gestionali e professionali, che determinano la misura minima di realiz- zazione dei livelli essenziali delle prestazioni, che ogni Istituto e Centro dell’istru- zione e formazione professionale è tenuto ad assicurare agli studenti e alle famiglie allo scopo di concretizzare il “Profilo educativo, culturale e professionale”, neces- sario per erogare un’istruzione e formazione professionale compatibile con il rico- noscimento nazionale ed europeo dei titoli rilasciati. Pertanto, tali standard sono definiti a livello nazionale e quindi uniformi per tutte le Regioni. La problematica degli standard formativi minimi, da questo punto di vista, viene ad intersecarsi con quella relativa all’evoluzione del sistema regionale di accreditamento. Gli standard relativi ai contenuti degli interventi consentono ai nuovi percorsi triennali di qualifica il riconoscimento a livello nazionale dei crediti, delle certifi- cazioni e dei titoli, anche ai fini dei passaggi tra i diversi percorsi formativi. 84 Un primo contributo di definizione di standard formativi minimi relativi alle competenze di base fa riferimento all’Accordo conseguito in Conferenza Unificata il 15-01-04. Per quanto riguarda la definizione degli standard formativi professionali, la Regione Lombardia è stata fra i promotori, insieme alle Regioni Piemonte, Toscana e Campania, del progetto interregionale “Descrizione e certificazione per competenze e famiglie professionali - standard minimi in una prospettiva di integrazione tra istruzione, formazione professionale e lavoro” che intende ela- borare un primo modello di riferimento per un sistema nazionale di standard di competenze. Pertanto, per la definizione del sistema di standard formativi centrati su com- petenze professionali, la “Consulta” terrà conto delle evoluzioni che si vanno defi- nendo a livello nazionale e allo stesso tempo si pone come soggetto atto a dare un contributo a tale processo, definendo un sistema lombardo di repertorio delle com- petenze e delle qualifiche e di sistema di certificazione e di riconoscimento dei cre- diti. Tale compito prende le mosse dalla condivisione della bozza di “Repertorio” del novembre 2003, elaborata nell’ambito delle prime annualità di sperimentazione dei percorsi triennali, con quanto prodotto nell’ambito dei tavoli tecnici costituiti dagli Istituti tecnici e professionali che hanno aderito alla sperimentazione. Infatti, la “Consulta” ha condiviso una metodologia di lavoro che vede la co- stituzione di “Commissioni tecniche per aree/comunità professionali”, definite in corrispondenza alle sedici aree individuate per la progettazione dei percorsi trien- nali nell’ambito delle “Integrazioni alle Linee di indirizzo per il 2003-04”. Tali commissioni tecniche saranno composte dai referenti dei diversi attori istituzionali e privati coinvolti nella filiera formazione-lavoro. 7. LA PROGETTAZIONE DEL COORDINAMENTO INTER ATS PER L’AREA PROFES- SIONALIZZANTE In attesa che la “Consulta regionale standard formativi” definisca il Repertorio regionale delle competenze e delle qualifiche professionali, i soggetti che realiz- zano i percorsi triennali di formazione professionale hanno elaborato una propria proposta, frutto della capitalizzazione e sistematizzazione delle esperienze prece- dentemente maturate. Tali soggetti hanno costituito un “Coordinamento inter ATS” che riunisce tutti gli Enti più rappresentativi del panorama lombardo della formazione professionale iniziale. Il “Coordinamento” ha presentato un progetto unitario, concordando pre- cedentemente una impostazione progettuale e metodologica in linea con le “Indi- cazioni” approvate dalla Regione nei diversi documenti. Nell’ambito del progetto, il “Coordinamento inter ATS” ha elaborato delle “Linee guida” per ciascuna delle aree professionali sulle quali si realizzano i percorsi sperimentali triennali, che rappresentano l’attuale riferimento per la progettazione. 85 Non si tratta quindi di un documento ufficiale, formalmente adottato dalla Re- gione Lombardia, ma di una proposta delle strutture formative che l’istituzione terri- toriale ha validato ai fini dell’avvio delle attività corsuali in attesa del “Repertorio regionale”; in questa sede, si illustrano tali “Linee guida” in considerazione dell’am- pio partenariato di operatori di cui sono espressione e del fatto che la stessa Regione ha formalmente dichiarato che la “Consulta” utilizzerà tali lavori come riferimento. Il progetto di sperimentazione condivide l’assunto che i livelli essenziali delle prestazioni consistano nella definizione: 1) del “Profilo educativo, culturale e pro- fessionale” dello studente al termine del ciclo secondario del sistema di istruzione e formazione professionale; 2) degli “obiettivi generali del processo formativo” e di “obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli allievi”, come indicato dal DPR 275/99. Spetta poi alle singole strutture formative che partecipano alla sperimentazione declinare tali “Indicazioni nazionali e regionali” in obiettivi formativi (OF), cioè in reali obiettivi formativi per i singoli allievi coinvolti. In attesa della definizione degli obiettivi generali e specifici a livello nazionale e regionale, il “Coordinamento delle ATS” che partecipano alla sperimentazione ha proceduto ad identificare autonomamente: 1) obiettivi di apprendimento educativi, culturali e professionali, descritti complessivamente per il triennio, in modo uguale per tutte le aree professionali, che sono stati successivamente raccordati con gli standard delle competenze di base definite dalla Conferenza Stato-Regioni nel gennaio 2004; 2) obiettivi specifici di apprendimento, declinati per le diverse aree professionali in relazione alla diversa articolazione annuale, ripartiti per aree for- mative e disciplinari. Il modello progettuale è imperniato su una forte collaborazione che deve svi- lupparsi fra gli operatori, sia al livello di gestione del singolo corso, sia al livello di “Coordinamento delle ATS”, per la definizione, arricchimento, implementazione dei diversi documenti di progettazione. Concretamente, tale modalità di lavoro si traduce nell’individuazione di quattro livelli di progettazione: 1) le linee guida di area; 2) i piani formativi di corso; 3) i piani formativi individuali; 4) le unità di apprendimento. Le “Linee guida di area” sono elaborate, per singole aree professionali, dal “Coordinamento delle ATS” e costituiscono il riferimento imprescindibile per la successiva progettazione del “Piano formativo di corso e individuale”. Tali “Linee guida” definiscono: a) gli “obiettivi di apprendimento educativi, culturali e professionali”; b) l’area professionale e le figure che sono comprese; c) gli “obiettivi specifici di apprendimento”, in termini di risultati di appren- dimento per aree disciplinari e per annualità formative; d) la sequenza logica delle unità di apprendimento; e) l’articolazione di alcune unità a titolo esemplificativo. 86 Le “Linee guida” hanno la struttura indicata alla tavola 4. Tav. 4 - Struttura delle “Linee guida” Descrizione Riporta: – la famiglia professionale che fa capo alla specifica area professionale utilizzando la formula “Operatore/trice” seguito dall’indicazione dell’area; – le singole figure professionali sviluppate nell’ambito della sperimentazione. Riporta gli obiettivi generali di apprendimento del triennio comuni a tutte le figure dell’area professionale, definiti in coerenza con il PECUP e l’Accordo Stato-Regioni del gennaio 2004. Riporta una breve descrizione della famiglia e dei compiti che accomunano l’area professionale, specificandone i contesti di inserimento; successivamente per le singole figure professionali vengono specificati i processi in cui agiscono, i compiti e le competenze. In coerenza con gli obiettivi di apprendimento educativi, culturali e professionali, si declinano gli obiettivi specifici, articolati per anno e in quattro aree: area linguistica e delle scienze umane, area storico-socio-economica, area matematico-scientifica, area tecnico-professionale; nell’ambito di ciascuna area gli obiettivi sono accorpati per discipline; per le aree “personalizzazione” e “stage” gli obiettivi sono declinati complessivamente. Nell’ambito dell’are tecnico-professionale gli obiettivi specifici sono differenziati per figura a partire dal 2° o dal 3° anno. Denominazione Copertina Obiettivi di apprendimento educativi, culturali e professionali Descrizione dell’area professionale e delle figure professionali Obiettivi specifici di apprendimento Scheda 0 1 2 3 Spetta poi all’équipe degli operatori della singola struttura formativa proget- tare, a partire dalle “Linee guida di area” e tenendo conto delle variabili locali del territorio di riferimento e soggettive dell’utenza, il “Piano formativo di corso” e i “Piani formativi individuali degli allievi”. L’unità didattica è la struttura minima del percorso, il dispositivo didattico at- traverso il quale gli obiettivi formativi si trasformano in competenze degli allievi. Alle “Linee guida” vengono allegate, a titolo dimostrativo, una descrizione esempli- ficativa dello sviluppo formativo in unità di apprendimento (UA) ed esempi di UA. Le singole UA sono dettagliate secondo i seguenti criteri: 1) Denominazione delle UA 2) Compito/risultato: è la specificazione del prodotto finale previsto, in termini di compito o di risultato; 3) Processi correlati: specifica le possibili correlazioni con aree/unità formative e i processi lavorativi connessi alla realizzazione del prodotto; 4) Obiettivi specifici di apprendimento che l’UA intende perseguire; 87 5) Metodologia e modalità di attuazione: indicazioni per la gestione dell’inter- vento (erogazione all’intero gruppo classe, per sottogruppi, a singoli utenti), figure e ruoli previsti; 6) Strumenti (schede, attrezzature, materiali); 7) Verifica e valutazione: modalità (criteri, tempi, ruoli) e strumenti per la valuta- zione annuale e finale del prodotto e degli apprendimenti. Per ognuna delle qualifiche in cui si articola la figura di riferimento, sono de- finiti specifici obiettivi di apprendimento nell’ambito dell’area tecnico-professio- nale, che possono partire dal primo o dal secondo anno del percorso e coprono in parte gli obiettivi dell’area tecnico-professionale stessa, secondo lo schema indi- cato alla tavola 5. Tav. 5 - Obiettivi specifici delle aree tecnico professionali Area Alimentare: – figure professionali: Aiuto cuoco; Addetto sala-bar; Panificatore/pasticcere; – gli obiettivi specifici dell’area tecnico-professionale vengono differenziati per le tre figure professionali a partire dal secondo anno del percorso Area del Commercio e vendite: – figure professionali: Addetto alle vendite; Addetto al magazzino; – gli obiettivi specifici dell’area tecnico-professionale vengono differenziati per figura professionale a partire dal primo anno del percorso Area Edile e del Territorio : – Figure professionali: Muratore intonacatore; Cementista carpentiere; Stuccatore decora- tore; Piastrellista mosaicista; Addetto al recupero e al restauro edile; – gli obiettivi specifici dell’area tecnico-professionale vengono differenziati per le figure professionali a partire dal secondo anno del percorso Area Elettrica Elettronica : – Figure professionali: Installatore manutentore di impianti elettrici civili ed industriali; Montatore manutentore elettromeccanico; Installatore manutentore elettronico in am- bito informatico; – Gli obiettivi specifici dell’area tecnico-professionale vengono differenziati per le figure professionali a partire dal secondo anno del percorso Area Estetica : – Figure professionali: Acconciatore maschile e femminile; Estetista; – Gli obiettivi specifici dell’area tecnico-professionale vengono differenziati per le figure professionali a partire dal primo anno del percorso Area Grafica multimediale: – Figure professionali: Operatore di stampa; Operatore di pre-stampa; Operatore di lega- toria - cartotecnica; – Gli obiettivi specifici dell’area tecnico-professionale vengono differenziati per le figure professionali a partire dal secondo anno del percorso Area Meccanica: – Figure professionali: Addetto alle macchine utensili; Saldatore; Termoidraulico; Mecca- nico d’auto; Addetto alla lavorazione di occhiali e lenti oftalmiche; – obiettivi specifici dell’area tecnico-professionale vengono differenziati per le figure professionali a partire dal primo anno del percorso Area Servizi all’impresa: – Prevista solo la figura professionale dell’Operatore ai servizi all’impresa. 88 8. L E INDICAZIONI PER GLI ESAMI DI QUALIFICA Dal momento che nella Regione Lombardia i percorsi triennali sperimentali di attuazione della Legge n. 53/03 sono stati avviati nell’anno formativo 2002-03, nel 2005 è sorta la necessità di definire le modalità per l’effettuazione dei primi esami per il conseguimento della qualifica finale. La Regione ha ritenuto di dover defi- nire in maniera unitaria le modalità per la realizzazione di tali esami, che riguar- dano anche i percorsi biennali di qualifica detti “riallineati”, ossia che sono stati adeguati agli obiettivi previsti per i percorsi triennali. Infatti, le Province hanno continuato a programmare un’offerta di percorsi biennale per i giovani in obbligo formativo, pur in presenza della sperimentazione. Pertanto, i percorsi biennali “riallineati” potranno concludersi con un esame di qualifica identico a quello previsto per i percorsi triennali, per consentire il rilascio del titolo di qualifica con valore nazionale e che consente l’assolvimento del di- ritto-dovere di istruzione e formazione. Per i restanti percorsi biennali “non rial- lineati”, l’esame finale e la qualifica rilasciata (e la relativa denominazione) non subiranno variazione rispetto a quelli tradizionali. Tale qualifica è valida per l’assolvimento dell’obbligo formativo, ma non del diritto-dovere di istruzione e formazione. Il titolo di qualifica rilasciato al termine dei percorsi triennali ha valenza na- zionale in quanto rispondente agli standard minimi di competenza fissati dall’Ac- cordo della Conferenza Unificata del 14 gennaio 2004. Si differenzia da quello tra- dizionale anche per la possibilità che offre agli allievi di iscriversi direttamente al quarto anno dei nuovi percorsi per il raggiungimento del diploma di Istruzione e formazione professionale ed anche al quarto anno dei percorsi di Istruzione con le modalità indicate nel citato Accordo del 28 ottobre 2004. In esito agli esami finali di qualifica, a tutti gli allievi verrà rilasciata anche una certificazione delle competenze acquisite, valida come credito e spendibile nei percorsi di istruzione e di istruzione e formazione professionale, secondo quanto previsto dall’Accordo raggiunto in sede di Conferenza Unificata in data 28 ottobre 2004. Per il superamento dell’esame è necessario conseguire un punteggio minimo di 60 crediti su 100 che possono essere conseguiti con le seguenti modalità: 1) 50 crediti vengono riconosciuti sulla base del percorso formativo personale dello studente e con un minimo di 30 punti si può essere ammessi all’esame; inoltre, per l’ammissione è necessario aver frequentato un minimo del 75% del monte ore totale del corso; 2) gli altri 50 punti sono attribuiti sulla base dell’esito dell’esame che è articolato in tre prove: a) una prova professionale, che consente di conseguire fino a 20 punti e che consiste in una simulazione che riguarda la realizzazione di almeno 3 com- piti relativi alla figura professionale specifica; le “Linee guida di settore”, 89 elaborate dal “Coordinamento delle ATS”, costituiranno il riferimento per la predisposizione delle prove; b) una prova scritta multidisciplinare, che consente di conseguire fino a 20 punti e ha l’obiettivo di verificare il conseguimento degli obiettivi previsti in relazione alle competenze di base; la prova è unica per tutti gli allievi e pertanto sarà elaborata dalla struttura regionale; c) un colloquio, che consente di conseguire fino a 10 punti, che sarà struttura- to sulla base di una presentazione precedentemente preparata dall’allievo. Le Commissioni d’esame sono costituite da 3 membri interni, un Presidente di Commissione di nomina regionale e, per gli esami relativi ad alcune aree pro- fessionali, anche da un Commissario aggiunto esperto di valutazione. Inoltre, le Commissioni d’esame possono essere integrate da esperti delle aree professionali, rappresentanti delle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori. La prima edizione degli esami finali che il conseguimento della qualifica prevista per l’anno 2005 si è tenuta nei mesi di giugno e luglio. Documentazione regionale di riferimento Accordo territoriale fra Regione Lombardia e Ufficio scolastico regionale del 10 dicembre 2003. DELIBERAZIONE DEL CONSIGLIO REGIONALE VII/0631 del 19 novembre 2002, “Programma triennale della formazione 2002-2005 della Regione Lombardia - DGR n. 12008 del 7 feb- braio 2003”. DELIBERAZIONE DI GIUNTA REGIONALE n. 13084 del 23 Maggio 2003, “Integrazione alle Linee di Indirizzo per la Formazione Professionale relative all’attivazione di Percorsi di Qualifica in Obbligo Formativo”. DELIBERAZIONE DI GIUNTA REGIONALE n. 7/12008 del 7 febbraio 2003, “Linee d’indirizzo e diret- tive per l’offerta formativa. Anno formativo 2003/2004 ”. DELIBERAZIONE DI GIUNTA REGIONALE n. 9359 del 14 giugno 2002, “Atto d’indirizzo dell’Offerta Formativa della Regione Lombardia. Anno formativo 2002-03”. DELIBERAZIONE DI GIUNTA REGIONALE n. VII/16005 16 gennaio 2004, “Definizione delle direttive dell’area 2 del piano triennale dell’offerta formativa: Diritto-Dovere di Istruzione e For- mazione per 12 anni” (anno formativo 2004-2005). DELIBERAZIONE DI GIUNTA REGIONALE n. VII/17608 21 maggio 2004 di approvazione delle “Linee di indirizzo per l’offerta di formazione professionale della Regione Lombardia per l’anno formativo 2004/2005 ” e del documento “Integrazione percorsi triennali speri- mentali – Area 2 A.F. 2004/2005 ”. DELIBERAZIONE DI GIUNTA REGIONALE n. VII/19867 del 16 dicembre 2004, “Criteri per l'accredi- tamento dei soggetti che erogano attività di formazione e orientamento - III Fase”. DELIBERAZIONE DI GIUNTA REGIONALE n. VII/20746 del 16 febbraio 2005, “Definizione Area 2 del piano triennale dell’offerta formativa – Diritto dovere di istruzione e formazione per 12 anni – (anno formativo 2005/2006) ”. 90 DIREZIONE GENERALE ISTRUZIONE, FORMAZIONE E LAVORO, “Indicazioni per gli esami di quali- fica triennali e biennali riallineati”; “Circolare per i Presidenti di Commissioni d’esame”. LEGGE REGIONALE 15 gennaio 1999 n. 1, “Politiche regionali del lavoro e dei servizi per l’impiego”. LEGGE REGIONALE 5 gennaio 2000 n. 1, “Riordino del sistema delle autonomie in Lombardia. Attuazione del D.lgs. 31 marzo 1998 n. 112 ”. Protocollo d’intesa fra Regione Lombardia, Ministero dell’istruzione, università e ricerca e Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 3 giugno 2002. Protocollo d’intesa sottoscritto il 25 settembre 2003 tra Regione Lombardia, Ministero del- l’istruzione, dell’università e della ricerca e Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Sitografia essenziale www.regione.lombardia.it http://formalavoro.regione.lombardia.it www.lombardia.istruzione.it www.spof.it 91 Capitolo 4 Il sistema di standard formativi a supporto delle sperimentazioni dei percorsi triennali nella Regione Piemonte Sandra D’AGOSTINO 1. LO SCENARIO DI RIFERIMENTO Negli ultimi anni, la Regione Piemonte ha mostrato un’attenzione costante alla problematica dell’elevamento della qualità del sistema di formazione attra- verso la definizione di un sistema di standard coerente con le esigenze del mondo del lavoro. Infatti, il processo di costruzione di un sistema di standard per la for- mazione professionale è stato avviato circa dieci anni fa, all’indomani dell’appro- vazione della Legge regionale sulla formazione professionale n. 63 del 1995, ed ha continuato a svilupparsi in questi anni a supporto della qualificazione di tutta l’offerta di formazione professionale, coinvolgendo in ampia misura gli operatori del sistema regionale che hanno portato il loro contributo nell’ambito di una mol- teplicità di tavoli tecnici. La sperimentazione dei percorsi triennali di formazione iniziale è nata sulla scia del dibattito sulla definizione della riforma Moratti, in seguito alla scelta fatta dalla Regione di anticipare i contenuti di quella riforma che doveva ancora essere definitivamente approvata dal Parlamento in modo da verificarne i modelli e le modalità attuative. E la scelta di sperimentare percorsi triennali di formazione non si è mai caratterizzata come offerta esclusiva nell’ambito dei percorsi per i giovani che devono assolvere il diritto-dovere, visto che accanto a tali percorsi hanno continuato a sussistere percorsi biennali e annuali, realizzati anche in integrazione con le Istituzioni scolastiche. Pertanto, l’esperienza della Regione Piemonte si differenzia da quella delle altre Regioni esaminate perché assomma due caratteristiche: 1) per quanto riguarda l’attivazione di percorsi sperimentali triennali, il Piemonte rientra in quel ristretto gruppo di Regioni che hanno avviato progetti speri- mentali sul nuovo modello di sistema formativo già nel 2002-03, ancora prima che venisse definitivamente approvata la Legge n. 53/03; 2) per quanto riguarda il sistema degli standard, il lavoro della Regione su questo ambito specifico è un lavoro di lunga data, che ha consentito di mettere a 92 punto un sistema molto sofisticato, capace di integrare l’analisi dei profili pro- fessionali, la costruzione dei percorsi formativi e la definizione delle prove di valutazione. La Regione Piemonte ha mantenuto un forte raccordo fra i due processi, fa- cendo in modo che il sistema degli standard supportasse la progettazione e ge- stione anche dei nuovi percorsi triennali. 2. LA SPERIMENTAZIONE DEL NUOVO SISTEMA DELL’ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE Come anticipato, mentre il testo di quella che sarebbe diventata la Legge n. 53 del 2003 era in discussione al Parlamento, la Regione Piemonte siglava, in data 24 luglio 2002, un Protocollo d’intesa con il Ministero dell’istruzione e il Ministero del lavoro “per la sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di istruzione e di formazione”. Il Protocollo nasce dall’esigenza di ampliare le tipologie dell’offerta formativa per i ragazzi in obbligo formativo, con l’obiettivo di prevenire il fenomeno degli insuccessi, della dispersione e degli abbandoni. A tal fine si vogliono progettare e sperimentare “modelli e percorsi di innovazione didattica, metodologica, organiz- zativa, che coinvolgano i sistemi dell’istruzione e della formazione professionale, realizzino forme di interazione e di integrazione tra i due citati sistemi, valorizzino la capacità di progettazione dei soggetti coinvolti, motivando all’apprendimento attraverso il fare e l’agire”. La sperimentazione, quindi, si pone l’obiettivo di anticipare i tempi dell’at- tuazione del nuovo modello di sistema formativo prefigurato dalla riforma Mo- ratti, per consentire di mettere a punto un’offerta sufficientemente collaudata e idonea a supportare i diversi interventi previsti nell’ambito del progetto di ri- forma che riguardano non solo i percorsi triennali. Infatti, il Protocollo fa riferi- mento alla sperimentazione dei percorsi di qualifica e “degli eventuali successivi percorsi, collocati in un organico processo di sviluppo della formazione professio- nale superiore”. Nell’ambito di tale sperimentazione un ruolo rilevante è affidato alla verifica di modalità per facilitare i passaggi tra i sistemi dell’istruzione e della formazione. Pertanto si definisce una prima iniziativa relativa alla “sperimentazione di percorsi, realizzati d’intesa fra Istituzioni scolastiche e Agenzie formative, che consentano l’assolvimento dell’obbligo scolastico e di acquisire una qualifica di formazione professionale”. Con successiva deliberazione della Giunta regionale n. 7-6831 del 31/07/02 viene varato il progetto di “Sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di Istru- zione e di Istruzione e Formazione Professionale” da avviare nell’anno scolastico formativo 2002-03, che recepisce i contenuti del Protocollo siglato con i Ministeri 93 dell’istruzione e del lavoro. Il nuovo intervento regionale si pone come integrativo rispetto a quelli già deliberati per i giovani in obbligo formativo per il triennio 2000-03 (Direttiva per il mercato del lavoro, anno formativo 2001/02). In quanto azione sperimentale, la titolarità del progetto resta in capo alla Regione. Il modello di percorso sottoposto a sperimentazione anticipa alcune delle ca- ratteristiche che saranno poi formalizzate nell’ambito dell’Accordo Stato Regioni del giugno 2003; si tratta, infatti, di percorsi triennali, che prevedono una durata di 1.200 ore per ciascuna annualità, che devono essere progettati “con riferimenti pre- cisi all’area delle conoscenze e delle competenze di base e trasversali” e in co- erenza con gli standard formativi regionali. Inoltre, tali percorsi devono consentire: 1) l’assolvimento dell’obbligo scolastico e l’acquisizione dell’idoneità al II anno della scuola secondaria superiore al termine del primo anno; 2) l’acquisizione di una qualifica professionale e l’idoneità al IV anno della scuola secondaria supe- riore al termine del triennio del percorso formativo. A tal fine, i percorsi sono rea- lizzati dalle Agenzie formative accreditate, anche in Associazioni temporanee con Istituzioni scolastiche. Dal punto di vista metodologico, la sperimentazione deve ispirarsi al criterio del successo formativo, deve essere cioè finalizzata ad assicurare ai giovani una proposta formativa dal carattere educativo, culturale e professionale che preveda risposte molteplici alle loro esigenze, in modo che ogni utente possa comunque ot- tenere un risultato soddisfacente in termini di conseguimento di una qualifica pro- fessionale; inoltre, nella realizzazione delle attività occorre fare ricorso ad una me- todologia formativa basata su compiti reali, didattica attiva, apprendimento dall’e- sperienza anche tramite stage formativi implementati in stretta collaborazione con le imprese del settore di riferimento; ancora, i percorsi devono prevedere una forte rilevanza orientativa, in modo da sviluppare nella persona la consapevolezza circa le proprie prerogative, il progetto personale, il percorso intrapreso. A conferma della finalità del processo attivato, la sperimentazione deve con- sentire di “giungere all’elaborazione di una proposta formativa validata, progres- siva e riproponibile, nell’ottica di contribuire alla costruzione del sistema di istru- zione e formazione, in particolare per quanto concerne l’identificazione dei “livelli essenziali delle prestazioni”. Come anticipato, la sperimentazione dei percorsi triennali ha visto il suo avvio nell’anno scolastico/formativo 2002-03, in seguito alla firma del Protocollo d’in- tesa con i Ministeri di riferimento, ed è stata riconfermata con modalità pressoché uguali per l’anno 2003-04, anche perché l’Accordo Stato Regioni del giugno 2003 e il nuovo Protocollo siglato dalla Regione con MIUR e MLPS sono intervenuti solo dopo che la programmazione degli interventi era stata deliberata. La nuova annualità di sperimentazione ha quindi mantenuto l’impostazione della precedente, con l’obiettivo di giungere al consolidamento di un sistema sufficientemente col- laudato e idoneo; anche per l’anno formativo/scolastico 2003-2004 la titolarità del progetto, in quanto azione sperimentale ai sensi della L.R. 44/2000, resta in capo alla Regione. 94 3. LA STRATEGIA REGIONALE PER I PERCORSI DEL DIRITTO- DOVERE In seguito all’Accordo quadro sancito in Conferenza unificata il 19 giugno 2003, che intende favorire un processo graduale di transizione nella costruzione del nuovo sistema educativo secondo quanto prefigurato dalla Legge 53/03, il 1° settembre 2003 la Regione Piemonte stipula un nuovo Protocollo d’intesa con il Ministero dell’istruzione, università e ricerca ed il Ministero del lavoro e delle po- litiche sociali, con l’obiettivo di garantire “un’offerta formativa in grado di soddi- sfare le esigenze delle ragazze, dei ragazzi e delle loro famiglie nel rispetto delle aspettative personali”. Tale offerta deve assicurare “il riconoscimento a livello nazionale dei crediti, delle certificazioni e dei titoli, anche ai fini dei passaggi dai percorsi dell’istruzione e formazione professionale ai percorsi del sistema dell’istruzione e viceversa”. Tenuto conto delle esperienze maturate dalla Regione Piemonte negli anni for- mativi 2002-03 e 2003-04, con la sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di Istruzione e formazione professionale e delle attività rivolte ai giovani in obbligo formativo, la Regione Piemonte con DGR 55-11901 del 2 marzo 2004 ha emanato una “Direttiva relativa alle attività formative sperimentali afferenti il diritto dovere di istruzione e formazione professionale” che intende coprire il periodo 2004-07. La nuova “Direttiva” nasce quindi in un contesto leggermente diverso da quello delle precedenti: 1) il nuovo Accordo quadro del giugno 2003 definisce al- cune caratteristiche minime che i percorsi triennali di formazione professionale de- vono avere per consentire un riconoscimento nazionale del titolo; pertanto, la nuova offerta si ispira alle finalità definite nell’ambito dell’Accordo quadro del giugno 2003, ma allo stesso tempo rimane in linea con le caratteristiche dei per- corsi sperimentali già avviati nella Regione Piemonte a partire dall’anno formativo 2002-03; 2) è venuta a scadenza la precedente direttiva sul mercato del lavoro 2001-02 che aveva regolamentato le ulteriori attività per i giovani in obbligo for- mativo, al di fuori di quelle sperimentali. Pertanto, la nuova direttiva è impostata su una strategia complessiva di intervento per la fascia d’età 15-18 anni. Secondo tale disposizione, a partire dall’anno scolastico/formativo 2004-05, viene varato un ventaglio di offerte nell’ambito del sistema di formazione profes- sionale, tale da rappresentare una risposta adeguata alle aspettative dei giovani e delle famiglie che manifestano la volontà di adempiere il diritto-dovere all’istru- zione e formazione nell’ambito del sistema della formazione professionale regio- nale. Seppure a carattere sperimentale, il ventaglio di offerte che viene previsto vuole comunque rappresentare un solido impianto su cui innestare un sistema funzionale ed efficiente da sviluppare in un ragionevole periodo temporale. Per quanto riguarda le caratteristiche dei percorsi, come anticipato vengono riconfermate quelle già individuate per le precedenti annualità di sperimentazione, con qualche ulteriore specifica: 1) per quanto riguarda gli standard di riferimento per la progettazione dei per- corsi, si acquisisce il documento approvato in sede di Conferenza Unificata 95 del gennaio 2004 relativo agli standard delle competenze di base, che diventa il riferimento; mentre per le competenze professionali il riferimento è agli standard regionali definiti nell’ambito del “Tavolo di progettazione”; 2) viene introdotto un nuovo strumento di personalizzazione dei percorsi, i labo- ratori per il recupero e il sostegno degli apprendimenti (LaRSA). Questi hanno essenzialmente le seguenti finalità: a) interna al percorso formativo per consentire ai soggetti più in difficoltà di mantenere i livelli di apprendimento, senza costringere l’intero gruppo classe a dannosi e controproducenti rallentamenti; b) esterna al percorso formativo per consentire i passaggi fra i sistemi e il recu- pero della dispersione scolastica/formativa, attraverso una funzione di rialli- neamento e inserimento in attività già avviate o specificatamente progettate. Tra gli obiettivi della “Direttiva” c’è la costruzione di una rete di LaRSA che supporti lo sviluppo del sistema dell’Istruzione e formazione professionale. La Direttiva della Regione Piemonte (DGR 55-11901 del 2 marzo 2004) è im- prontata ad assicurare un pluralismo dell’offerta per l’assolvimento del diritto-do- vere, come presupposto per favorire il successo formativo del più ampio numero di giovani che decide di abbandonare i percorsi del sistema di istruzione. Per cui si tiene conto, da un lato, dell’accordo raggiunto in sede di Conferenza Unificata del 19 giugno 2003 e delle indicazioni del Protocollo d’intesa con MIUR e MLPS per assicurare la graduale transizione al nuovo sistema prefigurato dalla Legge Mo- ratti, con l’attivazione dei nuovi percorsi di formazione iniziale triennali; dall’altra parte, si vuole riordinare la ricca offerta tradizionale di corsi biennali consolidata nel sistema formativo piemontese, tenendo presente che le caratteristiche dell’u- tenza che abbandona i percorsi scolastici richiedono anche la possibilità di com- piere scelte di breve periodo, perché si è già portatori di crediti maturati nell’am- bito di qualche anno di scuola superiore o semplicemente perché occorre priorita- riamente fare un lavoro di rimotivazione alla formazione per favorire la successiva partecipazione di questi giovani a percorsi biennali o triennali che possano far con- seguire una qualifica. Pertanto, viene prevista una articolazione dell’offerta forma- tiva in tre tipologie di azione: 1) Percorsi triennali di qualifica rispondenti al II livello ECTS ed elaborati in co- erenza con le indicazioni sui “livelli essenziali delle prestazioni” che saranno via via definite a livello nazionale. Data la dinamica di costante evoluzione che riguarda il set di “Indicazioni” nazionali e regionali, tali percorsi di durata triennale, per complessive 3.600 ore, dovranno essere progettati ed implemen- tati in maniera flessibile, così da consentirne il progressivo adattamento alle specificazioni tecniche attualmente in elaborazione (cfr. tav. 1). La realizzazione di tali percorsi si incardina negli art. 2 e 3 dell’Intesa siglata da Regione Piemonte, MIUR e MLPS in data 1 settembre 2003. Sono pertanto da favorire le azioni svolte in sinergia con le Istituzioni scolastiche. 96 2) Percorsi biennali di qualifica, che si inseriscono nella linea dell’offerta re- gionale tradizionale per renderla rispondente ai nuovi dettati normativi ed ai rinnovati fabbisogni dell’utenza. Tali percorsi sono rivolti di norma a giovani che abbiano frequentato almeno un anno di scuola superiore, o a giovani in possesso di crediti formativi acquisiti in esperienze diverse (lavoro, percorso destrutturato, ecc.), o maturati attraverso un passaggio nei LaRSA. 3) Percorsi annuali destrutturati, di introduzione ai processi produttivi, che rila- sciano attestazione di frequenza e non certificazione di qualifica, che hanno come finalità principale l’educazione e la formazione dell’allievo che, per ca- ratteristiche personali o socio-economiche, non trova nei percorsi più classici una risposta adeguata alle sue esigenze. La salvaguardia di tale fascia di atti- vità è pertanto prioritaria al fine di prevenire i fenomeni di evasione e/o dis- persione che un’offerta rigidamente preordinata sarebbe destinata a provocare. Tali percorsi, in via prioritaria, sono propedeutici al reingresso dei soggetti nella formazione professionale, nell’apprendistato o nella scuola. La generazione di un’offerta formativa che deve sempre più assumere carat- tere ordinamentale e quindi connotarsi come qualificata, stabile e riconoscibile, ri- chiede l’individuazione di percorsi e modalità di assegnazione delle attività che provvedano ad innovare le tradizionali procedure di bando a favore di un più pre- gnante ruolo programmatorio della Regione e delle Province. In quest’ottica, una delle poche novità della nuova annualità di sperimentazione 2004-05 è l’attribu- zione alle Province di un ruolo significativo nell’ambito della programmazione e gestione degli interventi. Per quanto riguarda le caratteristiche dei soggetti che si candidano a realizzare gli interventi formativi, questi, oltre ad essere accreditati per la macrotipologia specifica per l’obbligo formativo, devono essere accreditati anche per: l’orienta- Attività formative Triennale 2004/2005 Accoglienza / Accompagnamento iniziale 45 Accompagnamento in itinere 90 Accompagnamento finale 35 Recuperi e approfondimenti / Contestualizzazione e adeguamento al target 280 Competenze di base 1.160 Competenze trasversali 100 Competenze professionali comuni 70 Competenze professionali specifiche 1.385 Stage / Tirocinio 400 Esame finale e prove intermedie 35 Totali 3.600 Tav. 1 - Suddivisione oraria delle attività formative consigliata 97 mento (macroarea formazione orientativa); le metodologie innovative; il lavoro di équipe ; il sostegno all’utenza. Inoltre, al fine di garantire il progressivo consolidamento dell’offerta regio- nale, si ritiene necessaria l’individuazione di ulteriori criteri selettivi/qualificanti relativi a: laboratori (disponibilità, esclusiva o condivisa con altri corsi finanziati presso la stessa sede, di uno o più laboratori adeguati alle caratteristiche tematiche e didattiche del corso e specificati nei bandi provinciali); personale (disporre di risorse umane in possesso di specifiche competenze per l’esercizio di ruoli di governo del processo formativo, sulla base di quanto previsto dalla normativa vigente, ivi compresa quella contrattuale). Per la progettazione dei percorsi di qualifica, i profili di riferimento sono quelli indicati nel seguente schema, che è allegato alla Direttiva 2004-07 (cfr. tav. 2). Tav. 2 - Settori, comparti, macro ambiti di attività, profili Segue 98 Per il nuovo anno formativo 2005-06, la scelta operata dalla Regione Pie- monte già nel dicembre 2004 è quella di confermare sostanzialmente l’impianto previsto per il triennio e reiterare le attività, con le tre opzioni di offerta: percorsi triennali e biennali e percorsi annuali destrutturati di introduzione ai processi pro- duttivi. Nel rendere disponibili i “modelli” per la reiterazione delle attività forma- tive per il diritto-dovere si sottolinea il carattere di sperimentalità dell’offerta sia per quanto riguarda la progettazione che la realizzazione, pertanto, vengono intro- dotte alcune novità: 1) in relazione ai profili di riferimento, vengono introdotti nuovi profili in osser- vazione: “Operatore meccanico ed elettronico del motoveicolo”, nel comparto dei servizi, e “Operatore dell’abbigliamento - Confezioni artigianali”, nel comparto del tessile-abbigliamento; 2) in relazione agli standard, alcuni profili standard sono stati “evoluti” a cura delle commissioni di comparto, modificandone i riferimenti per la progettazione in termini di “attività”, “azioni”, “argomenti” e “focus”, specifiche che verranno Segue 99 chiarite nel seguito. In particolare i profili “evoluti” sono i seguenti: “Operatore meccanico - Montatore manutentore”, “Operatore meccanico - Costruttore su M.U.”, “Operatore dell’alimentazione - Panificatore pasticcere”, “Operatore servizi ristorativi - Cucina”, “Operatore servizi ristorativi - Sala/Bar”; 3) in relazione alle caratteristiche dei percorsi, si specifica una durata oraria delle diverse componenti non più solo complessiva, ma anche per le singole annua- lità. La suddivisione del monte ore delle competenze di base nelle quattro aree (dei linguaggi, tecnologica, scientifica, storico socio economica) rimane affi- data alla proposta della singola Agenzia formativa. In particolare, per i corsi triennali la suddivisione oraria suggerita è quella indicata alla tavola 3. Tav. 3 - Suddivisione oraria Attività formative 1° anno 2° anno 3° anno Totale Accoglienza / Accompagnamento iniziale 35 5 5 45 Accompagnamento in itinere 40 30 20 90 Accompagnamento finale – – 35 35 Recuperi e approfondimenti / Contestualizzazione e adeguamento al target 100 95 85 280 Competenze di base 520 385 255 1160 Competenze trasversali 50 30 20 100 Competenze professionali comuni 15 5 3 70 Competenze professionali specifiche 440 510 435 1385 Stage / Tirocinio – 120 280 400 Esame finale – – 35 35 Totali 1200 1200 1200 3600 4. IL SISTEMA PIEMONTESE DI STANDARD FORMATIVI La Regione Piemonte è fra quelle Amministrazioni che con più continuità si è occupata del tema della definizione di standard formativi per i percorsi della for- mazione professionale, a partire proprio dai corsi di primo livello che già nei primi anni Novanta sono stati strutturati secondo la logica delle fasce di qualifiche, for- malizzandone anche i curricula e le modalità di effettuazione delle prove finali. In linea con quanto previsto dalla Legge regionale sulla formazione professionale (Legge regionale n. 63 del 1995), i risultati di quel processo di definizione erano stati formalizzati dalla Regione Piemonte in un primo provvedimento regolamen- tare, la DGR n. 183 del 16/10/95, “Deliberazione standard formativi”, che rappre- senta la sintesi del lavoro svolto in una prima fase per giungere ad una descrizione omogenea delle qualifiche 1. 1 I materiali prodotti nell’ambito di quel lavoro di definizione di standard formativi sono stati pubblicati a cura della Regione Piemonte, Direzione regionale formazione professionale - lavoro, in un volume dal titolo “Standard Formativi”. 100 Il sistema piemontese degli standard nasce con l’obiettivo di armonizzare i contenuti e i risultati dei percorsi formativi che si realizzano sul territorio, in modo da omogeneizzare i titoli di qualifica rilasciati. Pertanto, per ciascun profilo profes- sionale entrato a far parte del repertorio regionale, è stata definita una scheda de- scrittiva del percorso formativo, che individua le competenze che devono essere acquisite al termine del percorso. Secondo l’impostazione della deliberazione ci- tata, infatti, gli standard formativi consistono in “schede descrittive di qualifiche” composte dai seguenti elementi: a) frontespizio, con denominazione della qualifica; b) parte 1: descrizione dei requisiti di ammissione; c) parte 2: descrizione degli obiettivi generali dell’iter formativo in termini di: descrizione del “sapere” e del “saper fare”, o eventuale “saper essere”; descri- zione del profilo professionale; descrizione degli strumenti utilizzati nell’iter formativo; specificazione dello stage; sintesi per la guida all’orientamento; d) parte 3: descrizione della verifica finale in termini di abilità e competenze che si vanno a verificare e di modalità di effettuazione della verifica. Queste parti sono definite nei contenuti dall’Assessorato alla Formazione Pro- fessionale e sono quindi prescrittive nei contenuti; per realizzare gli interventi for- mativi le agenzie devono anche descrivere la struttura didattica della valutazione ex ante e il percorso formativo modulare, con l’eventuale richiesta di deroga. Il sistema non è rigido, perché consente comunque, dietro autorizzazione, l’at- tivazione di corsi per i quali non sono stati definiti standard formativi e rispetto ai quali vengono individuate le modalità di valutazione degli apprendimenti e rilascio del titolo. Infatti, nel sistema regionale le qualifiche e le specializzazioni vengono articolate in tre gruppi: qualifiche standardizzate, qualifiche in osservazione e qualifiche nuove o sperimentali. Le qualifiche standardizzate sono quelle definitivamente validate dal sistema regionale a seguito di una lunga fase di sperimentazione e per le quali sono quindi definiti gli obiettivi, i contenuti, gli strumenti, i requisiti d’ingresso, le ore (con una possibile variazione del 10% in più o in meno) e la tipologia di prova finale. Tutti questi elementi hanno carattere prescrittivo per gli Enti che intendono realizzare interventi formativi; deroghe sono ammesse - in presenza di idonei prerequisiti - esclusivamente per quanto riguarda il monte ore corso e i requisiti di accesso. Le qualifiche in osservazione fanno riferimento ad attività formative già realiz- zate, ma la cui documentazione è ancora in corso di valutazione da parte delle Com- missioni regionali per verificare sovrapposizioni e quindi possibilità di accorpa- mento con qualifiche già standardizzate e più in generale la coerenza della proposta di standard con il sistema e con l’output da raggiungere negli interventi corsuali. In generale, le denominazione delle qualifiche, nonché la determinazione delle stesse come qualifiche “standard” o “in osservazione”, sono strettamente correlate ai risultati annuali emersi dal monitoraggio dei fabbisogni professionali delle aziende. 101 Infine, le qualifiche nuove sono quelle proposte per la prima volta dai soggetti che si candidano a gestire interventi corsuali; pertanto, sulla loro ammissibilità si decide in sede di istruttoria tecnica della proposta progettuale. Pertanto, le Regione ha provveduto a elaborare e mantenere aggiornato un “elenco di denominazioni”, in cui sono riportate tutte le qualifiche standard e in osservazione rilasciate dal sistema di formazione professionale. Tale elenco costi- tuisce il “Repertorio regionale delle qualifiche”. Nel “Repertorio” le qualifiche sono raggruppate in sei settori (industria, artigianato, terziario, turistico alberghiero, agricoltura, socio sanitario e pubblica amministrazione), a loro volta articolati in comparti e per livello di competenza (addetto, operatore, tecnico, ecc.). Inoltre, ad una stessa qualifica possono essere associati diversi indirizzi. A partire da tale quadro regolamentare è stato avviato un complesso lavoro di costruzione degli standard formativi, coordinato dagli uffici dell’Amministrazione regionale, che ha istituito un apposito settore “Standard formativi” nell’ambito del- l’Assessorato di competenza, che si è avvalso del supporto di tutto il sistema regio- nale della formazione professionale coinvolto in appositi tavoli tecnici e che ha consentito di individuare e descrivere le figure professionali di riferimento per la definizione dell’offerta, specificando obiettivi e contenuti dei corsi e le modalità di verifica degli apprendimenti. La stessa DGR n. 183 del 1995 ha subito numerose modifiche nel corso di questi anni per tenere il passo con l’evoluzione maturata nell’ambito dei tavoli tecnici, che hanno consentito di elaborare un materiale sempre più ricco e definito. 5. L’EVOLUZIONE DEL SISTEMA PIEMONTESE DI STANDARD FORMATIVI L’accento sempre più marcato nel dibattito tecnico-politico verso l’integra- zione dei sistemi dell’istruzione, formazione professionale e lavoro, e le evoluzioni dei sistemi in altri Paesi europei, hanno imposto gradualmente il passaggio concet- tuale da un sistema centrato sulla definizione di standard formativi, come previsto dalla Legge regionale n. 63 del 1995 e dalla DGR n. 183 del 1995, ad un sistema di certificazione delle competenze e di riconoscimento dei crediti, quale strumento per “rendere certe”, ovvero definite, classificate e riconosciute, in maniera e con linguaggio condiviso tra tutti i sistemi, le competenze acquisite dall’individuo. La nuova centralità della “competenza”, come elemento di riferimento per la progettazione dei percorsi formativi e per la certificazione delle acquisizioni matu- rate non solo nelle esperienze formali, informali e non formali, ha via via portato a modificare il quadro concettuale di riferimento per il sistema piemontese, prefigu- rando la necessità di una revisione complessiva della deliberazione sugli standard formativi. È infatti in via di elaborazione un nuovo testo che dovrà acquisire le innovazioni maturate nel sistema regionale e nel contempo tenere presente l’evo- luzione del contesto istituzionale a livello nazionale. 102 Come accennato, il nuovo modello regionale è imperniato sul concetto di “competenza”, laddove con questo termine si fa riferimento a: 1) la combinazione di capacità, supportate da saperi, e atte ad attivare strategie tecniche e comportamentali, 2) posseduti dal soggetto in un determinato ambito di riferimento e ad un deter- minato livello; competenze, ambiti di riferimento e livelli sono definiti per convenzione e con il proposito di identificare le “unità base di competenza” in cui può essere articolata e su cui si fonda l’esercizio di una professione e dei diritti di cittadinanza; 3) riconoscibili e certificabili sulla base del riferimento ad un quadro generale di classificazione delle competenze assunto a livello regionale, con un elevato grado di coerenza con analoghi strumenti adottati in altre Regioni, oltre che a livello nazionale ed europeo; 4) che possono essere conseguiti durante percorsi formativi di ogni tipo, nella vita sociale ed in quella professionale. Alla base di tale modello, c’è una definizione del termine “competenze” quali descrizioni linguistiche che un osservatore (riconosciuto a sua volta “competente”) utilizza per elencare le attività che uno o più soggetti hanno saputo e/o potuto svol- gere nel conseguire un risultato atteso. Le competenze si attivano/acquisiscono in una serie di “attività”, declinate in azioni, anche loro supportate da saperi e definite per livelli, riferiti al grado di auto- nomia nello svolgimento delle medesime. Lo schema di riferimento per coniugare attività e competenze è costituito da una matrice, che risponde alle due domande: “cosa fa” un soggetto e “come fa a fare quello che fa”. La prima domanda trova ri- sposta nella elencazione in verticale (o sull’asse delle ordinate in una rappresenta- zione cartesiana) delle attività, articolate in azioni; la seconda domanda chiama in causa le competenze necessarie a svolgere quelle determinate attività, declinate in capacità, che vengono invece evidenziate in orizzontale, sull’asse delle ascisse. Il termine “capacità” sta ad indicare quell’insieme, non solo di saperi, ma anche di strategie e quant’altro, che rende “capaci di…” fare qualcosa. L’incrocio delle due dimensioni consente di leggere il “Profilo professionale”, correlando il concetto di competenza ad una fare operativo. La funzione della matrice è molteplice: 1) definire le attività in termini di azioni, osservabili dall’esterno, e le compe- tenze come un mix , che definisce le strategie che ogni persona attiva e che sono trasferibili, in contesti analoghi, con adeguato aggiornamento e riconte- stualizzazione; 2) definire agevolmente i sei livelli europei di certificazione tramite gli incroci compatibili tra livelli di competenze e livelli di attività; 103 3) attestare le attività da parte del datore di lavoro, con i diversi gradi di autono- mia, per una successiva ricostruzione, da parte di tecnici esperti, delle compe- tenze sottese, attestabili direttamente o a seguito di specifiche prove mirate. La declinazione delle competenze in capacità e delle attività in azioni permette anche una certificazione parziale (di capacità riferite alle competenze e di azioni ri- ferite ad attività) che consente di riconoscere anche acquisizioni parziali maturate in segmenti di percorso, anche se non viene raggiunto in pieno il risultato atteso o completato il percorso; permette di tenere conto delle evoluzioni del sistema pro- duttivo e quindi di futuri aggiornamenti, sia in termini di attività che in termini di competenze. I singoli incroci tra competenze ed attività costituiscono le “unità di compe- tenza” (UC). Una costante del sistema degli standard formativi piemontesi è la costituzione di banche dati nell’ambito delle quali organizzare i numerosi materiali che ven- gono via via raccolti ed esaminati dalle varie commissioni tecniche. La prima banca dati di riferimento è stata il sistema S.INF.O.D. (Sistema Informativo per l’Orientamento e la Didattica) che, oltre alle descrizioni degli standard delle quali- fiche, contiene una banca dati dei prodotti formativi, che possono costituire un supporto per le ulteriori progettazioni formative. Il S.INF.O.D. (e le altre banche dati successive) nasce anche con l’obiettivo di rappresentare un supporto sia per le Amministrazioni regionali e provinciali in fase di istruttoria per l’ammissibilità della qualifica richiesta e della congruità del piano formativo proposto, sia come strumento informativo e orientativo di secondo livello per l’utenza e per le aziende. Per l’implementazione del sistema è previsto che tutti i progetti formativi e i materiali didattici realizzati confluiscano in S.INF.O.D. Recentemente, il S.INF.O.D. è stato inglobato nel sistema “Collegamenti”, che è un database multifunzione disponibile per tutti gli operatori del sistema piemon- tese attraverso la rete internet (quanto prima dovrebbe essere reso accessibile a tutti gli utenti), che si articola in una pluralità di archivi e strumenti: 1) la descrizione dei profili per attività e competenze secondo la matrice prece- dentemente illustrata, nel database “Profili”. Per esplicitare le attività e le competenze viene anche utilizzato il vettore “argomenti”, che consente di chiarirne il contenuto espresso in termini di “conoscenze di riferimento”. Inol- tre, i “focus” servono come base per la valutazione allo scopo di definire il peso dei diversi elementi; 2) “Percorsi” è lo strumento dedicato alla visualizzazione e alla progettazione dei percorsi formativi per unità formative. I percorsi delineano l’iter specifico con cui ci si propone di raggiungere l’obiettivo formativo. Ad uno stesso profilo, o ad una stessa competenza, ci si può arrivare tramite percorsi diversi. Nei percorsi formativi si aggiungono, alle competenze tecnico professionali che descrivono il profilo professionale, anche tutte quelle competenze di base e trasversali necessarie a supportare il profilo medesimo; 104 3) la parte “Valutazioni” serve per predisporre le prove per le diverse competenze e per l’acquisizione della qualifica; quindi, consente di erogare questionari, ma anche di costruire ed erogare griglie di osservazione (anche per valutazioni durante le simulazioni), di calcolare automaticamente i punteggi assegnati per ciascuna prova, di somministrare direttamente e/o supportare la somministra- zione delle prove. Il set di database è completato con “LIBRA”, che è il sistema amministrativo per la gestione della formazione professionale, che contiene tutti i dati (esclusi quelli relativi alla definizione dei profili, progettazione didattica dei percorsi for- mativi ed all’erogazione delle prove) relativi agli operatori, ai corsi, alla costitu- zione delle commissioni di esame e agli allievi. Infine, il motore “Competenze” è una specifica applicazione dell’interazione dei diversi sistemi, che consente, a partire dal nominativo dell’allievo, di rico- struire tutte le certificazioni possedute, di raffrontarle con i “Profili” in “Collega- menti” e di rilasciare un’attestazione complessiva riferita ad uno o più profili. Tutti gli archivi descritti contengono i materiali elaborati sulla base del mo- dello di standard di formativi formalizzato dalla DGR n. 183 del 1995 e successi- vamente ridefinito sulla base del concetto di competenza. Gli sviluppi più recenti del sistema degli standard piemontesi prevedono, a partire dal lavoro già svolto: la progressiva validazione concertata con le Parti sociali, le Province e, quando ne- cessario, con altri assessorati o istituzioni dei profili già immessi nel sistema; l’ac- corpamento delle qualifiche in profili di riferimento, visto che il modello nazionale che dovrà essere costruito sarà impostato su una classificazione articolata in fami- glie professionali, eventualmente raggruppate per aree professionali, all’interno di ciascuna delle quali sono individuate una serie di figure professionali “a banda larga”, delineate in una logica di anticipazione dei fabbisogni professionali nel medio periodo, anche tenendo conto delle rilevazioni e delle analisi effettuate in materia dagli Organismi bilaterali. 6. LA DESCRIZIONE DEI “PROFILI” E IL “PORTOLANO” Il database “Profili” contenuto nel sistema integrato “Collegamenti” riporta quindi l’insieme dei profili professionali di riferimento per l’organizzazione degli interventi di formazione professionale, ripartiti in qualifiche standard e in osser- vazione (ovviamente, le qualifiche nuove non sono ancora inserite nel sistema). Ciascun profilo professionale viene descritto attraverso le seguenti sei schede tra loro collegate, definite secondo la metodologia precedentemente descritta: 1) la prima scheda contiene gli elementi principali per identificare il “profilo” (settore, comparto, indirizzo, livello formativo), con una breve descrizione delle attività principali svolte dalla figure elaborate per le attività di orienta- mento, l’indicazione se è stata predisposta e inserita nell’apposito archivio 105 collegato la prova finale di valutazione, e alcune variabili che indicano lo “stato” del profilo rispetto al sistema regionale, compreso l’anno di edizione; 2) la seconda è la scheda “competenze”, che evidenzia le competenze (ossia, il saper fare) associate al profilo e necessarie per ricoprire il dato ruolo profes- sionale, elencate e descritte in termini di capacità; 3) segue la scheda “attività” che descrive cosa fa una data figura professionale; ogni attività è articolata in azioni; 4) la successiva scheda “argomenti” riprende le competenze e le attività già elen- cate nelle due schede precedenti ed associa a ciascuna le conoscenze necessa- rie, espresse talora in termini di “materie”, che costituiscono un’indicazione specifica per la progettazione dei percorsi; 5) la scheda “focus” serve a fornire le indicazioni principali per l’attività di valu- tazione: a partire dalle attività e competenze che caratterizzano la figura profes- sionale, in questa scheda si identificano i “pesi” dei vari oggetti di valutazione; 6) infine, la scheda “matrice” mette in corrispondenza le competenze e le attività, consentendo di cogliere le molteplici relazioni che esistono fra le stesse che non sono mai di natura biunivoca; quindi, una stessa competenza consente di svolgere più attività, e allo stesso modo una attività necessita di una pluralità di competenze. Il database “Profili” è dunque una sorta di “Repertorio regionale”, che ha la caratteristica di essere realizzato in formato di archivio elettronico, che consente di cogliere meglio i molteplici nessi esistenti fra gli elementi descrittivi dei singoli profili. Inoltre, l’insieme delle descrizioni delle figure professionali costituisce la base per la costruzione di un ulteriore strumento, caratteristico del sistema piemon- tese e che non ha uguali nelle altre Regioni: il Portolano dei profili professionali. Il “Portolano” è uno strumento che tenta allo stesso tempo di leggere in ma- niera sequenziale le informazioni già contenute nel data base “Profili”, riportando ad esempio l’elenco delle figure professionali descritte, ripartite per settore e com- parto, e di evidenziare i collegamenti che esistono tra i diversi profili; ad esempio, il “Portolano” riporta l’elenco di tutte le competenze o attività descritte nel data- base con i profili cui sono associate, oppure fa un’analisi dei verbi che vengono utilizzati nella descrizione delle competenze e delle capacità evidenziando le ricor- renze. Quindi si propone un’analisi dei verbi utilizzati, con l’obiettivo di presen- tare le correlazioni fra gli stessi e costruire delle scale che identifichino il diverso livello di possesso di una data competenza. Dalla breve descrizione fatta, che si riferisce all’edizione 2003 del “Porto- lano”, si deduce che lo stesso si configura come uno strumento utile, più che alla progettazione dei percorsi di formazione, soprattutto ad approfondire la relazione fra figura professionale/attività/competenze che può consentire di migliorare la ca- pacità del sistema di standard di fungere da interfaccia tra mondo della formazione e sistema produttivo. 106 Alla tavola 5, si riporta l’elenco dei profili professionali descritti nel “Porto- lano” 2003, che è stato sostanzialmente riconfermato per il 2004, salvo la modifica di alcune denominazioni di qualifica e in particolare quelle dei percorsi di forma- zione iniziale di cui è stato precedentemente fornito l’elenco. Tav. 5 - Elenchi dei profili professionali 107 Segue 108 Segue 109 Documentazione regionale di riferimento Accordo territoriale del 22 ottobre 2003 fra Regione Piemonte Direzione Formazione Profes- sionale-Lavoro e Ufficio Scolastico Regionale del Piemonte. Deliberazione della Giunta Regionale n. 183 del 16 ottobre 1995, “Deliberazione standard formativi”. Deliberazione della Giunta Regionale n. 43-14477 del 29 dicembre 2004, “Direttiva relativa attività formative sperimentali afferenti diritto dovere di istruzione e formazione profes- sionale periodo 2004/2007. Parziale modifica della DGR 55-11901 del 02/03/04 e pro- grammazione attività 2005/06. Spesa prevista di Euro 71.940.000,00 ”. Deliberazione della Giunta Regionale n. 7-6831 del 31 luglio 2002, “Sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di Istruzione e di Istruzione e Formazione Professionale. Anno Scola- stico/Formativo 2002/03”. Deliberazione della Giunta Regionale n° 55-11901 del 2 marzo 2004, “ Attività formative speri- mentali afferenti il diritto-dovere di istruzione e formazione professionale per il periodo 2004-2007 ”. Determinazione n. 231 del 2 aprile 2004 recante “Linee guida per la creazione di un percorso formativo tramite le procedure on-line Sinfod – Collegamenti ”. Determinazione n. 278 del 9 aprile 2003, “Sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di Istruzione e di Istruzione e Formazione Professionale. Anno Scolastico/Formativo 2003/04 ”. Determinazione n. 506 del 5 luglio 2005, “Modelli per la reiterazione delle attività formative sperimentali approvate dalle Province e riferite al Diritto/Dovere di Istruzione e Forma- zione professionale, di cui alla DGR 55-11901 del 02/03/04 - Anno formativo 2005/2006 ”. Determinazione n. 744 del 12 ottobre 2004 recante “Indicazioni operative per la progettazione di dettaglio relativa ai Percorsi Formativi riferiti alla Direttiva Attività Formative speri- mentali Diritto/Dovere di Istruzione e Formazione Professionale”. Intesa tra la Regione Piemonte, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 1 settembre 2003. Legge regionale n. 63 del 1995, “Disciplina delle attività di formazione e orientamento pro- fessionale”. Protocollo d’intesa fra Regione Piemonte, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 24 luglio 2002. Sitografia essenziale http://arianna.consiglioregionale.piemonte.it www.collegamenti.org www.regione.piemonte.it www.piemonte.istruzione.it www.irrepiemonte.it 111 Capitolo 5 I percorsi della formazione iniziale e le competenze da conseguire nella Provincia Autonoma di Trento Sandra D’AGOSTINO 1. LO SCENARIO DI RIFERIMENTO Nella Provincia Autonoma di Trento, in virtù della più ampia area di compe- tenza in materia di istruzione di cui l’istituzione territoriale ha sempre goduto nei confronti delle altre Regioni a statuto ordinario, si è venuta disegnando con gli anni un’offerta della formazione iniziale post-obbligo dalle caratteristiche del tutto peculiari. Infatti, la mancanza di un’offerta di istruzione professionale statale ha consentito un forte radicamento della formazione professionale sul territorio che rappresenta uno strumento strategico per la costruzione delle nuove professiona- lità. Sulla formazione professionale iniziale si è quindi concentrato un forte inte- resse e un conseguente forte investimento, sia da parte della struttura provinciale che da parte delle imprese. È da questo interesse che è nata già nel 1993, molto prima che nelle altre Re- gioni, la proposta di costruire percorsi di formazione iniziale di durata triennale, così come sono nati i Protocolli d’intesa con il Ministero dell’istruzione che determinano le modalità per il passaggio al terzo anno degli Istituti tecnici per i giovani che hanno completato il secondo anno delle attività di formazione professionale di base. I cambiamenti del quadro normativo in materia di istruzione, prima con l’ele- vamento dell’obbligo di istruzione fino al quindicesimo anno di età, poi con l’in- troduzione dell’obbligo formativo e ancora con la nuova definizione del diritto-do- vere all’istruzione e formazione, hanno rappresentato un primo stimolo per una ul- teriore definizione del sistema adeguata a tener conto delle innovazioni legislative. Secondo una pratica già sperimentata nel passato, il processo di rinnovamento della formazione professionale iniziale ha visto un ampio coinvolgimento degli attori locali e in particolare delle imprese, chiamate a pronunciarsi sull’efficacia dei percorsi e la spendibilità delle qualifiche rilasciate, e ad avanzare proposte per il loro miglioramento. Dal confronto fra le nuove esigenze del sistema produttivo locale e le rinnovate indicazioni nazionali per l’architettura del sistema educativo, nasce il progetto di in- novazione della formazione professionale iniziale trentina, realizzato prima in forma sperimentale sulla base di un Protocollo d’intesa con il Ministero dell’istru- zione siglato il 12 giugno 2002 e poi formalizzato con Delibera di Giunta n. 336 del 112 14 febbraio 2003. Il progetto ha i suoi punti di forza nell’avvio di due importanti iniziative: 1) la definizione di nuovi percorsi triennali; 2) la sperimentazione di un quarto anno in alternanza, come modalità per i qualificati di conseguire una ulte- riore specializzazione in grado di facilitare l’inserimento nel mercato del lavoro. È in relazione alla qualificazione dei percorsi di formazione iniziale che si è sviluppato un sistema di “standard”, che si caratterizza per essere strettamente le- gato all’impianto e all’articolazione degli stessi percorsi triennali. 2. LA NUOVA PROPOSTA PER I PERCORSI DI FORMAZIONE INIZIALE Il progetto di innovazione del sistema della formazione professionale iniziale trentina è la risposta del territorio provinciale al mutato contesto nazionale che, con l’ampliamento dell’obbligo di istruzione fino al quindicesimo anno di età e l’introduzione dell’obbligo formativo, prevede una nuova configurazione per la formazione professionale iniziale; in coerenza con il mutato quadro economico e sociale e in linea con gli indirizzi europei, si fa pressante l’esigenza di assumere tra le finalità di tali percorsi lo sviluppo di competenze di cittadinanza e di favorire e valorizzare, accanto alla qualificazione professionale, la crescita personale, cultu- rale e sociale della persona. Inoltre, il modello di riforma del sistema nazionale dell’istruzione e forma- zione previsto dalla Legge 53/03 prefigura la costituzione di un sistema autonomo dell’istruzione e formazione professionale, alternativo al sistema dei licei nell’am- bito del secondo ciclo; tale sistema supera il limite tradizionale della formazione professionale, ossia di prevedere percorsi “a vicolo chiuso”, in quanto è costruito secondo un’ottica di filiera, che al termine del percorso formativo del secondo ci- clo prevede la possibilità di accedere all’Istruzione e formazione tecnica superiore e, nel caso di percorsi di durata almeno quadriennale, la possibilità di sostenere l’esame di Stato utile anche ai fini dell’accesso all’università, previa la frequenza di un apposito corso annuale, realizzato d’intesa con l’università. Il progetto di innovazione si inserisce in un quadro dell’offerta di formazione iniziale che sul territorio provinciale presenta le seguenti caratteristiche: una confi- gurazione del percorso di formazione professionale iniziale, articolato su un trien- nio già dal 1996, come sistema che consente l’assolvimento dell’obbligo scolastico a quindici anni (L.P. n. 3 del 2001) e dell’obbligo formativo; la presenza di nuove opportunità d’integrazione di questo sistema con altri sistemi formativi, offerte dal Protocollo d’intesa fra Provincia di Trento e Ministero dell’istruzione, e con i sistemi locali. Le motivazioni poste alla base del progetto di riforma risiedono nei seguenti fattori: 1) la richiesta di una risposta più coerente ai fabbisogni del contesto produttivo provinciale e di una maggiore continuità tra la formazione professionale ini- ziale e quella permanente; 113 2) la richiesta di fornire risposte più mirate alle esigenze formative e di pro- fessionalizzazione degli allievi e delle loro famiglie, ampliando per quanto possibile le opportunità di sviluppo formativo, in una logica di rete articolata territorialmente; 3) la necessità di assicurare una più elevata qualità del prodotto formativo nel- l’ambito dell’offerta di formazione iniziale. Anticipando per molti aspetti i contenuti della riforma, mentre il testo di quella che diverrà la Legge n. 53/2003 è ancora in discussione alle Camere, nel giugno del 2002 il Ministero dell’istruzione e la Provincia Autonoma di Trento sti- pulano un Protocollo d’intesa che dà il via ad una sperimentazione ampia che coin- volge il sistema formativo nel ciclo primario e secondario. In particolare, per quanto riguarda il sistema di istruzione e formazione professionale, il Protocollo consente alle Istituzioni scolastiche di avviare progetti e iniziative sperimentali e di ricerca in merito ai seguenti aspetti: a. organizzazione dell’istruzione tecnica e professionale con un’articolazione interna che consenta il passaggio da un indirizzo all’altro tramite la certificazione dei crediti; b. integrazione tra l’istruzione, la formazione professionale e il lavoro mediante lo stru- mento delle “passerelle” …; c. passaggio al quarto anno dell’istruzione per gli allievi della formazione professionale che risultano qualificati e hanno superato il colloquio volto ad effettuare un bilancio dei livelli di apprendimento già documentati nella cartella personale (portfolio) creata per ciascun allievo, secondo la metodologia di valutazione adottata nel per- corso della formazione professionale, nonché volto alla rilevazione di un giudizio di orientamento che valuti positivamente la possibile scelta di passaggio dell’alunno; d. individuazione delle modalità di svolgimento del colloquio con il coinvolgimento sia dei docenti dell’istituto di istruzione sia dei docenti del centro di formazione pro- fessionale. Quindi, l’intesa con il Ministero dell’istruzione va a rafforzare l’intervento della Provincia di Trento e l’investimento sul sistema di formazione professionale iniziale, che vuole diventare un sistema autonomo ma di pari dignità rispetto al sistema dei licei al livello secondario, capace di consentire e supportare i passag- gi tra i sistemi, nel solco di quanto va prefigurando la riforma Moratti. Inoltre, il Protocollo dà il via alla progettazione e realizzazione di percorsi di alternanza scuola-lavoro. Le sperimentazioni hanno inizio a settembre del 2002 e con successiva Deli- bera di Giunta n. 336 del 14 febbraio 2003 la Provincia Autonoma di Trento approva il “Progetto di Innovazione della Formazione Professionale Iniziale Trentina”. Il progetto non si pone in una posizione di rottura rispetto all’offerta esistente, ma si inserisce in una linea di continuità. Pertanto, viene confermata l’artico- lazione triennale dei percorsi e la strutturazione che vede un avvicinamento graduale, per tappe successive, all’acquisizione della qualifica, passando per una formazione con orientamento al macro-settore e poi alla famiglia professionale. 114 Il progetto di rinnovamento viene elaborato anche a partire dai risultati di una precedente indagine sulla spendibilità professionale delle qualifiche rilasciate dalla formazione iniziale e recepisce le richieste di aggiornamento dei percorsi di quali- fica avanzate dalle imprese. In particolare, nella riforma del sistema si tiene conto di due aspetti: 1) l’importanza crescente della dimensione della “formazione alla cittadinanza”, in aggiunta a quella della “formazione alla professionalità”, in con- seguenza del mutato quadro economico e sociale, dell’affermarsi di nuovi modelli organizzativi e del lavoro nonché dei recenti indirizzi nazionali ed europei; 2) l’e- sigenza di rispondere alle aspettative sempre più diffuse tra i giovani e le loro fa- miglie riguardo all’inserimento in percorsi formativi che offrano la possibilità di passaggi, dunque di riorientamento delle scelte fatte senza particolari preclusioni (la “reversibilità delle scelte”). Il nuovo percorso triennale di qualifica, pertanto, oltre a promuovere la quali- ficazione professionale dei giovani, vuole favorire e accompagnare la loro crescita personale, culturale e sociale, in un’ottica di sviluppo di competenze di cittadi- nanza e di formazione integrale della persona. La nuova configurazione favorisce una preparazione professionale che, co- erentemente ai fabbisogni provenienti dal mondo produttivo e del lavoro locali, si fonda su una consistente base culturale, linguistica, storica-economica-sociale, scientifica, oltre che tecnologica, di operatività nei processi lavorativi e di gestione delle tecniche e delle metodologie proprie di ogni qualifica con un adeguato livello di autonomia. L’integrazione fra “formazione della persona e del cittadino” e “formazione del lavoratore” è condizione necessaria sia per garantire una più elevata qualità del risultato professionale sia per agevolare le transizioni, orizzontali e verticali, nel sistema educativo. Gli elementi di innovazione dei percorsi si elaborano a partire dalle seguenti direttrici: 1) avvicinamento alla qualifica per tappe successive: i percorsi formativi si carat- terizzano per un approccio alla professionalità di tipo graduale, che rafforza la valenza orientativa non solo del primo anno, ma lungo l’intero triennio; ciò comporta uno sviluppo del percorso a polivalenza progressivamente decre- scente dal macrosettore, alla famiglia professionale, alla qualifica; 2) diversa progressione rispetto al precedente percorso degli ambiti disciplinari, sempre articolati secondo un’area culturale ed un’area professionale e sistema- ticamente integrati fra loro sia sotto il profilo contenutistico che metodologico, con lo sviluppo dell’area culturale anche nel terzo anno. Con l’approvazione definita della Legge n. 53/03, il Protocollo d’intesa con il Ministero dell’istruzione viene integrato e in parte modificato, per adeguarlo al nuovo testo normativo; ai sensi dell’integrazione al Protocollo d’intesa tra Mini- stero dell’istruzione e la Provincia Autonoma di Trento del 12 giugno 2002, sotto- 115 scritta il 29 luglio 2003, il triennio della formazione professionale provinciale è ri- conosciuto come percorso sperimentale di istruzione e formazione professionale, nelle more dell’emanazione dei Decreti legislativi di cui alla Legge 53/2003, di cui all’Accordo quadro Stato - Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano del 19 giugno 2003. Parallelamente, anche il progetto di innovazione viene adeguato al nuovo testo normativo e alle successive regolamentazioni: viene prima sancito il riferimento agli standard delle competenze di base definite in sede di Conferenza Unificata il 15 gennaio 2004, quindi viene adottato uno specifico “Profilo educativo, culturale e professionale” (PECUP) dell’allievo alla fine del percorso triennale provinciale. Il processo di integrazione fra sistema dell’istruzione e sistema della forma- zione professionale segna un’ulteriore tappa significativa nel corso del 2005. Con Legge provinciale n. 5 del 2005 si stabilisce che la gestione delle attività di forma- zione professionale di base venga affidata a istituti con personalità giuridica e autonomia didattica, amministrativa, organizzativa e finanziaria uguale a quella riconosciuta alle istituzioni scolastiche provinciali a carattere statale. A tal fine, la Provincia può istituire fino a tre istituti di formazione professionale autonomi con lo scopo di progettare e prestare l’offerta di formazione professionale prevista dal programma provinciale di attività di formazione professionale. La concreta e puntuale disciplina dei tempi e delle modalità di attuazione dell’articolo è stata effettuata con successivo regolamento provinciale (DGP n. 1541 del 2005). 3. L’ARTICOLAZIONE DEI PERCORSI DELLA FORMAZIONE INIZIALE Si è già detto che i percorsi della formazione professionale iniziale si artico- lano su tre annualità, caratterizzate da un approccio progressivo alla qualifica, che prevede nel primo anno la scelta di un settore fortemente polivalente, nel secondo anno di una famiglia di qualifiche professionali e solo nel terzo anno di una quali- fica professionale specifica. Questo modello di articolazione dei percorsi sottin- tende anche un modello di articolazione degli standard di competenze, almeno per le qualifiche conseguibili attraverso i percorsi del diritto-dovere all’istruzione e formazione. Nel primo anno, i percorsi offrono la possibilità di conseguire competenze po- livalenti, orientate ad un macrosettore quale prima area professionale con cui l’al- lievo socializza, per elaborare il proprio progetto formativo attraverso una scelta consapevole. Pertanto, gli insegnamenti hanno le finalità di consolidamento cultu- rale, di propedeuticità, di orientamento e di polivalenza. L’orario (1.100 ore annue) è pressoché egualmente suddiviso tra un’area della formazione culturale, articolata in un’area della cultura e società ed un’area delle conoscenze scientifiche nonché gli insegnamenti di educazione fisica e di reli- gione, e un’area della formazione professionale, che comprende l’area dell’orienta- mento professionale. 116 I macrosettori di riferimento sono otto: 1) industria e artigianato 5) grafico 2) alberghiero e ristorazione 6) abbigliamento 3) terziario 7) agricoltura e ambiente 4) servizi alla persona 8) legno Nel secondo anno, i percorsi si articolano, a partire dal macrosettore di riferi- mento, in una o più famiglie professionali, che si contraddistinguono per un ambito professionale distintivo e peculiare, riconducibile ad uno specifico macrosettore e declinabile in una o più qualifiche ; la partecipazione a un percorso che ricade in una data famiglia professionale persegue il progressivo avvicinamento alla scelta della qualifica finale e non preclude un eventuale “passaggio accompagnato” ad altre famiglie. Le famiglie professionali previste sono undici: 1) abbigliamento 7) legno 2) agricoltura e ambiente 8) meccanica 3) alberghiera e ristorazione 9) servizi alla persona 4) edile 10) termoidraulica 5) elettrico-elettronica 11) terziario 6) grafica Per quanto riguarda l’articolazione oraria (1.100 ore annue), il peso dell’area culturale risulta leggermente inferiore e pari indicativamente al 40% delle ore pre- viste a beneficio dell’area professionale, che dal 50% passa a circa il 60% del monte ore complessivo. A conclusione del secondo anno, l’allievo sceglie una determinata qualifica professionale tra quelle previste dalla famiglia professionale frequentata. Per i ma- crosettori costituiti da un’unica famiglia, laddove emergesse un chiaro indirizzo di scelta da parte dell’allievo rispetto ad una specifica qualifica già all’inizio e/o nella prima parte dell’anno, è possibile l’istituzione da parte del Centro di formazione professionale di “gruppi di interesse” attraverso i quali viene offerta all’allievo la possibilità di svolgere la pratica professionale (tecnologia e processi operativi) atti- nente alla qualifica d’interesse (“percorso a qualifica prevalente”). La partecipa- zione a gruppi di interesse non preclude comunque eventuali possibili “riorienta- menti guidati” rispetto alla scelta della qualifica finale. Il terzo è l’anno in cui si consegue la qualifica professionale, come esito del percorso formativo intrapreso. Le dieci famiglie professionali si articolano in venti qualifiche professionali, alcune già individuate e dettagliate, altre in corso di definizione. Rispetto alla articolazione oraria (1.100 ore annue), vi è da sottolineare lo svi- luppo dell’area culturale con un arco temporale dedicato pari al 35% delle ore pre- viste, mentre l’area professionale prevede un arco temporale del 65% circa. Nel- 117 l’area professionale è inclusa la realizzazione di uno stage formativo in azienda che rimane sostanzialmente invariato per le diverse qualifiche intorno al 20% del monte ore complessivo. Il terzo anno si conclude con l’esame per il conseguimento della qualifica pro- fessionale, che è riconosciuta a livello nazionale e corrisponde al livello 2 della classificazione europea dei livelli di attività professionale, ovvero fa riferimento ad attività che prevedono l’utilizzo di strumenti e tecniche, consistenti in un lavoro esecutivo, che può essere autonomo nei limiti delle tecniche ad esso inerenti. Uno dei più importanti aspetti che debbono essere rimarcati rispetto alla nuova configurazione del percorso triennale della formazione iniziale è che si tratta di un percorso “aperto”. Infatti, mediante percorsi costruiti ad hoc da parte dei singoli Centri di formazione professionale per “accompagnare” e “assistere” gli allievi in transizione, è possibile: a) cambiare percorso all’interno del sistema della formazione professionale iniziale: da un macrosettore ad un altro, da una famiglia professionale ad un’altra, da una qualifica professionale ad un’altra; b) passare “orizzontalmente” dal sistema della formazione professionale iniziale al sistema dell’istruzione secondaria di secondo grado, e viceversa, durante la frequenza del primo e del secondo anno (Protocollo d’intesa stipulato tra la Provincia Autonoma di Trento e il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca nel giugno 2002); c) transitare “verticalmente”, dopo il conseguimento della qualifica, al si- stema dell’istruzione secondaria di secondo grado, in base a quanto sancito dal Protocollo sopracitato. Per l’anno formativo 2003/04 la transizione al sistema dell’istruzione dal sistema della formazione professionale riguarda i passaggi: 1) all’istruzione professionale per le qualifiche dei macrosettori terziario, alber- ghiero e della ristorazione, abbigliamento; 2) all’indirizzo grafico dell’istruzione tecnica per le qualifiche del macrosettore grafico; 3) all’indirizzo del liceo delle scienze sociali per le qualifiche del macrosettore dei servizi alla persona. Con l’annualità formativa 2005-06 si prefigura la possibilità di sperimentare il passaggio al quinto anno dei percorsi del sistema dell’istruzione anche degli allievi che hanno conseguito il diploma nell’ambito del sistema di formazione profes- sionale frequentando i percorsi del quarto anno. 4. L’ANNO DI FORMAZIONE IN ALTERNANZA SUCCESSIVO ALLA QUALIFICA Nell’ambito del Protocollo d’intesa del giugno 2002 il Ministero dell’istru- zione e la Provincia di Trento concordano sulla possibilità di progettare e realiz- zare interventi di alternanza scuola-lavoro, coinvolgendo il sistema delle imprese. Il progetto di istituire un quarto anno dei percorsi di formazione iniziale realizzato 118 in alternanza nasce come risposta ad una esigenza, manifestata dalle imprese del territorio, di aumentare il grado di professionalizzazione dei formati dei percorsi della formazione iniziale, senza però rinunciare a quell’insieme di competenze di base e trasversali che avevano in precedenza portato ad un arricchimento e quindi ad una modifica del curricolo delle tre annualità necessarie per il conseguimento della qualifica. Da questa esigenza, in linea con quanto si va definendo nell’ambito della ri- forma Moratti, la Provincia di Trento vara una sperimentazione basata sull’avvio di alcuni “corsi pilota” (sette, con il coinvolgimento di 70 allievi e 65 imprese), a partire dall’anno formativo 2003-04 presso i CFP e rispetto ad alcuni ambiti di spe- cializzazione. Sulla base dei risultati della prima sperimentazione, con il nuovo anno 2004-05, la Provincia decide di ampliare questa tipologia di offerta; tale am- pliamento si pone nella logica di delineare nel sistema della formazione professio- nale iniziale un percorso educativo graduale e continuo, dai 14 ai 18 anni, che con- senta all’allievo di conseguire, in corrispondenza di due differenti livelli di inter- vento/acquisizione, i seguenti titoli: l’attestato di qualifica professionale al termine del triennio e il diploma provinciale di formazione professionale al termine del percorso quadriennale. Inoltre, l’analisi dell’andamento degli interventi pilota consente di definire alcune modalità organizzative e caratteristiche progettuali dei percorsi in alternanza. Il quarto anno in alternanza si configura come un percorso aggiuntivo rispetto a eventuali iniziative formative post-qualifica, che persegue l’obiettivo generale di fornire ai partecipanti un’opportunità di ulteriore specializzazione legata a specifi- che esigenze del mercato del lavoro, contribuendo all’ulteriore crescita personale e professionale dei qualificati. In termini di metodologia formativa, il percorso si fonda su una forte integrazione della formazione in azienda con quella svolta presso il CFP, secondo un proseguo in “alternanza” dell’azione formativa. L’alternanza formativa è un’esperienza che non ha base contrattuale, ma che vede i soggetti in formazione come allievi iscritti nel sistema formativo provinciale (la responsabilità è dunque solo del CFP) e che si pone come metodologia didattica innovativa per l’acquisizione di competenze professionali riferite ad ambiti e pro- cessi lavorativi rispetto ai quali l’efficacia di apprendimento dipende dal contatto forte con il contesto lavorativo. Pertanto, le aziende partner per lo svolgimento della formazione nel contesto lavorativo devono avere adeguate caratteristiche per essere considerate “imprese formative”, ossia individuate sulla base della significa- tività dei contesti aziendali sotto il profilo delle competenze da acquisire e sul fatto che siano particolarmente innovativi (in termini di processo, di prodotto, di mer- cati, di tecnologie impiegate, di sviluppo organizzativo, ecc.). Laddove gli obiettivi generali e specifici del percorso comprovino la necessità e la valenza di un per- corso multi-esperienziale, possono essere previste esperienze formative in più aziende per lo stesso allievo. Le aziende partner possono essere collocate anche al di fuori del territorio provinciale e/o all’estero. Inoltre, i periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro possono essere svolti anche in imprese simulate. La 119 piena attuazione dell’alternanza formativa implica un approccio metodologico-pro- gettuale peculiare del quarto anno di diploma, che deve essere basato sui seguenti principi-guida: 1) presenza di una formazione unitaria riferita alle aree tecnico-professionali di riferimento, che trova poi declinazione e/o sviluppo in vari ambiti individuati dalla partnership di progetto (secondo una struttura a “pettine”); 2) l’impostazione del modello operativo deve tenere conto che il criterio fonda- mentale di riferimento è rappresentato dal percorso individuale dell’allievo; 3) l’impianto progettuale nel suo complesso si deve basare su una metodologia attiva, valorizzando l’esperienza come entità centrale del processo di appren- dimento; 4) la formazione nel CFP, da una parte, e nell’ambiente lavorativo, dall’altra, non sono da intendersi come aree educativo-formative del percorso a sé stanti, ma fortemente correlate e integrate negli obiettivi e negli stili apprenditivi. Alla tavola 1, si presentano le aree tecnico-professionali di riferimento per i quarti anni volti al conseguimento del diploma provinciale di formazione pro- fessionale, gli ambiti prioritari di sviluppo delle aree e le qualifiche coerenti per l’accesso al corso. Tav. 1 - Qualifiche di accesso, aree e ambiti per il quarto anno Segue 120 Per quanto riguarda l’impegno previsto, tale opportunità formativa prevede un percorso che ha una durata massima di 1.100 ore, con un tempo di formazione in azienda compreso tra un minimo del 40% e un massimo del 50% della durata com- plessiva del corso. A conclusione del percorso formativo in alternanza è previsto il rilascio di un Diploma professionale provinciale a seguito del superamento di un esame finale che, in ogni caso, terrà conto sia del percorso formativo realizzato nel CFP che nell’impresa. Segue 121 Con Delibera della Giunta provinciale n. 2389 del 15 ottobre 2004 sono state definite le 14 denominazioni dei diplomi che si conseguono in esito ai percorsi del quarto anno in alternanza e che corrispondono al terzo livello ECTS, in quanto ri- feriti ad un’attività di natura tecnica, che può comportare gradi di autonomia e re- sponsabilità rispetto anche ad attività di programmazione o coordinamento. Infatti, la denominazione dei diplomi rilasciati contiene la specificazione del livello della figura e dell’area di riferimento (es.: “Diploma provinciale di formazione profes- sionale di Tecnico Agricolo”). La stessa Delibera ha anche approvato le modalità ed i criteri per la defini- zione dell’esame e della valutazione finale, il modello di diploma di formazione professionale e del relativo allegato, stabilendo che la compilazione avviene a cura e sotto la responsabilità del CFP presso il quale si è svolto l’esame. La strategia perseguita dalla Provincia di Trento per il rinnovamento del si- stema di formazione iniziale nell’ambito dello scenario tracciato dalla Legge n. 53/03 porta ad una modifica della Legge provinciale sulla formazione professio- nale del 1987: con Legge provinciale n. 5 del 2005 si prevede l’istituzione di per- corsi di alta formazione professionale, che permettano lo sviluppo di figure profes- sionali dotate di preparazione mirata in grado di svolgere un’attività professionale con elevate competenze tecnico - scientifiche. Tali percorsi, che valorizzano la metodologia dell’alternanza tra ambito for- mativo e lavorativo, hanno durata massima triennale e si concludono con il rilascio di un diploma che attesta l’acquisizione di competenze di alta formazione. L’ac- cesso è consentito ai giovani in possesso di titolo o qualifica professionale di du- rata quadriennale nonché agli studenti ammessi almeno al quinto anno di scuola secondaria di secondo grado. La Provincia affida la gestione delle attività di alta formazione agli Enti di istruzione e formazione professionale, nonché ai soggetti convenzionati indicati dalla legge sulla formazione professionale. Il diploma di alta formazione professionale al momento ha validità esclusiva- mente a livello provinciale e solo a seguito della più compiuta attuazione della ri- forma dell’ordinamento in materia di istruzione e formazione potrà trovare ricono- scimento e spendibilità anche in ambito più ampio, attraverso specifici accordi con il livello nazionale. Pertanto, quella della Provincia di Trento si configura come una sperimentazione che vuole precorrere l’istituzionalizzazione in modo genera- lizzato di nuovi percorsi e modelli di alta formazione. 5. IL PROCESSO DI COSTRUZIONE DEGLI STANDARD DI RIFERIMENTO PER I PER- CORSI DI FORMAZIONE INIZIALE Parallelamente alla definizione del progetto di innovazione dei percorsi della formazione professionale iniziale trentina e nelle diverse fasi di rielaborazione del progetto si sviluppa una attenzione costante alla definizione degli obiettivi di tali percorsi, che vengono espressi in termini di competenze finali, ovvero di esiti da 122 raggiungere al termine di ciascuna annualità. Pertanto, il sistema di standard non nasce come strumento autonomo dalla tipologia di offerta formativa di riferimento, ma si sviluppa proprio a supporto del progetto di innovazione dei percorsi di for- mazione iniziale. Dunque, il suo “respiro” non è globale, ossia non si pone come riferimento l’intero mercato del lavoro, ma esclusivamente le qualifiche consegui- bili attraverso i percorsi triennali di base. Il sistema di standard ricalca la struttura ad albero dei percorsi. Infatti, in am- bito territoriale sono state definite le competenze che devono essere conseguite da- gli allievi al termine di ciascuna annualità dei percorsi, secondo un modello tarato sulla suddivisione per macrosettore, famiglie e qualifiche professionali. Pertanto, il sistema attualmente vigente di “standard” definiti per tali percorsi è in realtà il risultato di un’accumulazione progressiva di esperienze, riflessioni, ri- elaborazioni. Tale processo si è avviato con la definizione del sistema delle qualifi- che della formazione iniziale per la prima riforma del 1996, successivamente sotto- posto a verifica e quindi a ridefinizione attraverso un ampio coinvolgimento degli attori del territorio. Infatti, la Provincia ha promosso un progetto di analisi della spendibilità delle qualifiche rilasciate dalla formazione iniziale, che si è articolato in più fasi. In primo luogo, sulla base dei dati forniti dall’Osservatorio del mercato del la- voro in relazione agli esiti occupazionali dei qualificati del 1997 e 1998 a diciotto mesi dal conseguimento del titolo, è stato definito il quadro settoriale e territoriale della spendibilità occupazionale e professionale delle qualifiche introdotte in esito alla riforma del 1996. Quindi, attraverso la composizione di 24 panel settoriali - secondo una metodologia già sperimentata con successo proprio in occasione della riforma del 1996 - sono stati sottoposti a verifica i punti di forza e di debolezza delle qualifiche esistenti e gli eventuali ambiti non coperti. In complesso, le im- prese che hanno partecipato ai lavori che si sono tenuti nel corso del 2000, sono state circa 100, tutte appartenenti al territorio provinciale, che hanno operato in si- nergia anche con formatori e direttori dei CFP. Infatti, i panel sono stati svolti presso gli stessi CFP in cui sono attivati i percorsi di qualifica, individuando gene- ralmente quella struttura formativa che insiste sul territorio che mostra le maggiori criticità o anche reiterati su più territori. Le aziende coinvolte sono state scelte fra quelle che hanno accolto in tirocinio i ragazzi che partecipano ai percorsi o li hanno successivamente assunti. Questo ampio lavoro di consultazione ha consentito di mettere in luce le esigen- ze di rinnovamento delle qualifiche offerte nell’ambito del sistema della formazione iniziale; i sopravvenuti processi di riforma a livello nazionale hanno portato ulteriori stimoli ad un processo di rinnovamento sul quale il territorio si stava già muovendo. Le qualifiche individuate nell’ambito della riforma del 1996 erano le seguenti: 1) Operatore meccanico su macchine e impianti automatizzati; 2) Operatore impiantista - produzione di carpenteria metallica; 3) Impiantista elettrico; 4) Operatore elettronico; 123 5) Elettromeccanico - riparatore di autoveicoli; 6) Termoidraulico; 7) Operatore professionale edile; 8) Operatore del settore legno; 9) Operatore abbigliamento; 10) Qualifiche del macrosettore grafico: Operatore di prestampa; Operatore di stampa; 11) Operatore ai servizi amministrativi e di segreteria; 12) Operatore alle vendite; 13) Qualifiche del macrosettore alberghiero e della ristorazione: Operatore ai servizi di ristorazione; Operatore ai servizi di sala-bar; Operatore ai servizi di ricevimento; 14) Parrucchiere; 15) Estetista Per ciascuna di tali qualifiche era stata predisposta una “presentazione”, com- posta da una “descrizione sintetica” della/e attività principali svolta/e dalla figura in questione e da un elenco di “conoscenze richieste” e “capacità attese” in esito ai percorsi della FP di base. Il processo descritto, con l’analisi dei risultati delle indagini sugli esiti occupa- zionali e dei panel, ha evidenziato soprattutto la necessità di aumentare il livello di competenza professionale in uscita degli allievi. L’aumento dell’area delle compe- tenze comuni, pur considerato necessario, ha ridotto lo spazio per la formazione professionalizzante, mentre le imprese dichiarano sempre più la scarsa disponibi- lità ad assumere giovani non in grado di essere immediatamente inseriti nel pro- cesso e produttivi. Da questa esigenza è nata l’idea sulla proposta di coinvolgere i giovani già qualificati in un quarto anno di specializzazione da realizzare in alternanza, con una quota significativa di ore trascorse in azienda con l’obiettivo di aumentarne la competenza professionale. 6. LE COMPETENZE FINALI DEI PERCORSI DELLA FORMAZIONE INIZIALE Nel progetto di innovazione della formazione professionale trentina vengono sostanzialmente riproposte le qualifiche già in uso dal 1996, con qualche modifica che va soprattutto nel senso della ridenominazione di alcune figure. Infatti, per quanto riguarda gli standard attualmente vigenti, il primo provvedimento di defini- zione è la deliberazione della Giunta provinciale n. 2198 del 31 agosto 2000; si tratta degli standard relativi alle competenze finali del primo anno per i primi otto macrosettori che sono stati sottoposti a sperimentazione (industria e artigianato; al- berghiero e ristorazione; terziario; servizi alla persona; grafico; abbigliamento; agricoltura e ambiente; legno). Tali standard assumono la “competenza” quale riferimento comune all’intero percorso formativo, che consente in prospettiva, attraverso la certificazione ed il pro- cesso di riconoscimento dei crediti tra sistemi, il passaggio interno al sistema della formazione professionale e tra i diversi sistemi. Le competenze individuate sono arti- colate secondo le due aree o dimensioni formative, l’area culturale e l’area professio- 124 nale, e per gli insegnamenti previsti all’interno delle due aree, ovvero all’interno del- l’area o dimensione formativa culturale secondo gli insegnamenti di lingua italiana, lingua straniera, studi storico-economico-sociali e matematica, all’interno dell’area o dimensione formativa professionale secondo gli insegnamenti di scienze, linguaggi e comunicazione, modelli organizzativi, tecnologie e processi operativi. Per ciascuna area e ciascun insegnamento vengono definite le competenze da raggiungere a conclusione di ogni anno espresse in termini di “obiettivi”. Dal mo- mento che tali obiettivi non vengono esplicitati ulteriormente, in termini di indicatori o di livelli minimi o di criteri di valutazione, si deve ritenere improprio l’utilizzo del termine “standard” che pure viene usato nel presente contributo solo per ragioni di brevità. Gli stessi documenti normativi utilizzano esclusivamente l’espressione “com- petenze finali”, in riferimento agli obiettivi dei percorsi della formazione iniziale. Il secondo set di standard viene invece approvato con delibera di Giunta pro- vinciale n. 2300 del 19 settembre 2003. Il provvedimento definisce le competenze finali del primo anno per quanto riguarda i nuovi macrosettori istituiti (“agricoltura e ambiente” e “legno”) e le competenze finali del secondo anno per quanto ri- guarda 10 famiglie professionali. Inoltre, vengono riconsiderate le aree rispetto alle quali ricomporre gli insegnamenti, facendo riferimento alla nuova ripartizione delle aree che prevede un peso corrispondente indicativamente intorno al 50% delle ore previste sia per quanto riguarda l’area culturale, sia per quanto riguarda l’area professionale. Conseguentemente l’area culturale comprende, rispetto al pre- cedente impianto, l’area della cultura e società e delle conoscenze scientifiche non- ché gli insegnamenti di educazione fisica e di religione, e l’area professionale comprende l’area dell’orientamento professionale. Nell’area professionale sono stati inoltre accorpati in un unico insegnamento “scienze” i precedenti insegna- menti di scienze e di scienze applicate e le relative competenze. Le competenze generali finali sono definite in modo tale da risultare: a) analo- ghe nel primo e nel secondo anno, qualora le stesse identifichino livelli più elevati di competenza rispetto a quelle del primo anno soprattutto con riferimento agli in- segnamenti dell’area culturale. In questo caso i diversi livelli devono essere atten- tamente definiti nella programmazione formativa da parte dei Centri di formazione professionale; b) diverse nel primo e nel secondo anno, qualora le stesse identifi- chino competenze con connotati distintivi nel primo anno e nel secondo anno. Le competenze generali finali individuate costituiscono il riferimento fonda- mentale per la programmazione formativa da parte dei CFP attraverso la loro decli- nazione in competenze specifiche nell’ambito della programmazione formativa; esse vengono applicate e verificate in forma sperimentale, in attesa della defini- zione delle disposizioni ministeriali circa gli standard minimi previsti dall’articolo 7, comma 1, punto c) della Legge 53/2003. Il quadro degli interventi di definizione delle competenze finali dei percorsi della formazione iniziale è completato con l’emanazione della Delibera di Giunta n. 2333 dello scorso 8 ottobre 2004 che recepisce gli standard delle competenze di base previsti dall’Accordo del 15 gennaio dello stesso anno. In particolare, il prov- 125 vedimento definisce le declinazioni nazionali degli standard minimi relativi alle competenze di base, da sperimentare nell’ambito degli insegnamenti di lingua ita- liana, studi storico economico sociali, matematica, lingua straniera e scienze. Per quest’ultimo insegnamento le declinazioni nazionali sono state integrate con una coniugazione specifica a livello provinciale. Allo stesso tempo, la DGP 2333/2004 definisce il profilo educativo, culturale e professionale (PECUP) dello studente al termine del percorso formativo di quali- fica professionale, le 18 figure professionali di riferimento per le qualifiche e le re- lative competenze finali generali del terzo anno per gli insegnamenti dell’area pro- fessionale che non fanno riferimento agli standard minimi relativi alle competenze di base. Inoltre, il provvedimento adotta le competenze finali generali del secondo anno per la famiglia professionale “agricoltura e ambiente”. Lo schema risultante di articolazione del sistema delle qualifiche, conside- rando anche i relativi macrosettori e famiglie professionali, è quello rappresentato nella tabella seguente ed adottato dalla Provincia con Delibera di Giunta dello scorso 8 ottobre 2004 (DGP 2333/04). Tav. 2 - Schema di articolazione del sistema delle qualifiche del progetto di innovazione della FPI trentina 126 La definizione delle figure professionali di riferimento per il conseguimento dei titoli di qualifica è avvenuta attraverso un percorso di lavoro realizzato da gruppi di docenti indirizzati e coordinati dal Servizio Formazione Professionale, che ha preso avvio e si è sviluppato nel più ampio contesto del progetto di innova- zione della formazione professionale iniziale (di base) trentina, degli orientamenti emersi dal nuovo progetto di riorganizzazione del comparto educativo e formativo della Provincia Autonoma di Trento e della riforma nazionale in atto. Questo percorso ha portato all’elaborazione e verifica con i referenti designati dalle diverse Associazioni imprenditoriali di 18 figure professionali, che hanno co- stituito, accanto alla definizione del profilo educativo, culturale e professionale (PECUP) del triennio, il riferimento per la progettazione delle competenze del terzo anno per il conseguimento della qualifica. Le figure professionali di riferi- mento per le qualifiche professionali individuate danno luogo a figure polivalenti, dotate di competenze operative a largo spettro e di base, che possono successiva- mente – in una evoluzione verticale o orizzontale delle stesse (quarto anno di di- ploma professionale o specializzazioni post-qualifica) – trovare “curvature” verso particolari applicazioni di processo e/o di prodotto/servizio. In particolare, la continuità formativa dopo il triennio iniziale (di base) per lo sviluppo verticale oppure orizzontale della figura professionale secondo un’ottica di filiera formativa trova nella definizione delle singole figure professionali di rife- rimento una specifica indicazione per quanto concerne le opportunità formative successive alla qualifica già in essere e/o prevedibili. Di conseguenza, l’imposta- zione generale della figura di riferimento della qualifica professionale è stata for- mulata attribuendo a questo livello di intervento/acquisizione (la tipologia e il li- vello di competenze raggiunti all’uscita dal triennio) la connotazione di “livello base” sul quale innestare successivamente coerenti e/o particolari sviluppi delle applicazioni del processo di lavoro e/o specifiche tipologie di prodotto/servizio correlate alle qualifiche rilasciate. Con l’approvazione del “Programma annuale delle attività per la formazione professionale 2005-06” (DGP 1333 del 2005) è stata definita anche la qualifica di destinazione del percorso del macrosettore “Agricoltura e ambiente”, che si com- pone di un’unica famiglia professionale “Agricoltura e Ambiente” e consente di conseguire la qualifica di “Operatore/trice alle lavorazioni agricole”. Nel settore della qualifica si è invece ritenuto di procedere ad un accorpamento delle quali- fiche precedentemente individuate nell’“Operatore/trice grafico”. Pertanto, il numero complessivo delle qualifiche acquisibili nell’ambito dei percorsi iniziali rimane pari a 18. 7. IL REPERTORIO DELLE FIGURE PROFESSIONALI Una descrizione completa delle figure professionali cui fanno riferimento le qualifiche che si conseguono al termine dei percorsi triennali di formazione profes- 127 sionale di base è contenuta in una sorta di “Repertorio”, deliberato dalla Giunta provinciale lo scorso 8 ottobre 2004. Ciascuna figura professionale di riferimento per le 18 qualifiche acquisibili al termine dei percorsi di formazione iniziale viene descritta sulla base di molteplici indicatori riportati in una scheda. La prima parte della scheda riporta una descrizione della figura professionale in relazione a: a) la “specificazione” in forma sintetica delle principali attività che svolge; b) la “collocazione organizzativa” che esplicita le relazioni di tale figura con il contesto organizzativo e con gli altri soggetti che operano nell’impresa con riferimento alle principali attività che svolge. La seconda parte della scheda identifica le competenze e le risorse/capacità personali di cui ha bisogno il soggetto che intende svolgere quel dato ruolo pro- fessionale. Le competenze descritte sono quelle “connotative centrali di qualifica”, ossia quelle che necessariamente devono essere possedute, anche se nelle realtà produt- tive ad una data figura professionale possono essere associate anche altre compe- tenze. Inoltre, le competenze sono articolate in: 1) competenze professionali, a loro volta suddivise in: competenze “strumentali tecniche”, “strumentali concettuali”, “organizzative”, “relazionali” e “strategi- che”. Questa terminologia è ripresa dall’indagine sull’analisi dei fabbisogni realizzata dall’Ente Bilaterale Nazionale per l’Artigianato; ed infatti il territo- rio trentino è caratterizzato dalla presenza di imprese di piccola dimensione; 2) competenze di base, articolate sulla falsariga della suddivisione in aree operata nell’ambito del documento sugli standard minimi delle competenze di base approvate dalla Conferenza unificata nel gennaio 2004, ossia in: competenze di base attinenti all’area dei linguaggi, all’area scientifica, all’area tecnolo- gica, all’area storico-socio-economica. La terza parte completa la descrizione della figura professionale mettendo in evidenza la sua collocazione nell’ambito del sistema formativo e delle principali classificazioni delle attività; infatti, la figura professionale viene descritta in ter- mini di: 1) “evoluzione professionale prossima”, ossia quali sono i principali cambia- menti attesi a breve in relazione alle tecnologie che la figura utilizza e quindi alle competenze di cui necessita; 2) “opportunità formative dopo il conseguimento della qualifica” per uno svi- luppo verticale del percorso, in relazione alla possibilità di partecipare ai per- corsi di specializzazione/perfezionamento post-qualifica o del quarto anno in alternanza con il conseguimento del diploma professionale, in relazione alla partecipazione a percorsi per conseguire abilitazioni all’esercizio della profes- sione autonoma, in relazione al rientro nei percorsi dell’istruzione secondaria superiore, in particolare degli Istituti tecnici ma non solo; 128 3) inquadramento della figura rispetto a diversi sistemi di classificazione delle attività, quali l’ATECO 2002 (classificazione delle attività economiche) e la classificazione europea dei livelli di attività professionale. 8. G LI ESAMI PER IL CONSEGUIMENTO DELLA QUALIFICA E DEL DIPLOMA A completamento del processo di definizione degli standard di competenza per i percorsi della formazione iniziale di base, nel 2004-05 la Giunta provinciale ha definito il modello di scheda personale di valutazione per il primo, il secondo ed terzo anno e le modalità per la definizione delle prove d’esame e della valuta- zione finale per lo svolgimento degli esami di qualifica e di diploma professionale. Sulla base di una proposta formulata da un gruppo di esperti della commis- sione per la definizione dell’impianto dell’obbligo formativo e condivisa mediante appositi incontri con i direttori degli Enti e dei Centri di formazione professionale, è stata elaborata una scheda personale di valutazione per il primo, il secondo e il terzo anno, approvata con DGP n. 175 del 2005. La scheda riporta per singolo quadrimestre il giudizio conseguito negli inse- gnamenti specifici di ciascuna area, oltre ad una valutazione complessiva per l’area culturale e per l’area professionale; inoltre, si riporta il giudizio relativo all’espe- rienza di partecipazione allo stage e osservazioni su partecipazione, comporta- mento, motivazione e interesse professionale mostrati dall’allievo. La valutazione finale viene espressa in termini di: a) giudizio di orientamento per la prosecuzione del percorso, che contempla anche la possibilità di indirizzare l’allievo verso di- verse famiglie/qualifiche professionali o anche ai passaggi nel sistema dell’istru- zione o dell’apprendistato; b) di valutazione sintetica finale, corrispondente ad un giudizio di ottimo, buono, sufficiente, incerto (che prevede un’attività di consoli- damento) e insufficiente; c) di risultato finale, in termini di promozione alla classe successiva o di ammissione all’esame di qualifica. A seguito dell’Accordo raggiunto in sede di Conferenza Unificata nella seduta del 28 ottobre 2004 relativamente alla certificazione e al riconoscimento dei crediti formativi, si è ritenuto di adottare il modello per la certificazione della qualifica e di dettare nuove norme per lo svolgimento degli esami, più adeguate a tenere conto della nuova configurazione della formazione professionale iniziale. Pertanto, con DGP n. 1144 del 2005 è stato approvato il documento: “Esame di qualifica pro- fessionale. Requisiti di ammissione, durata e struttura dell’esame, modalità di computo del punteggio di valutazione complessiva”. Gli allievi vengono ammessi all’esame sulla base del risultato finale espresso sulla scheda di valutazione. L’esame per il conseguimento della qualifica consiste in una prova pratica, nel cui ambito può aver luogo anche una prova scritta o scritto-grafica, e in un colloquio. La durata della prova pratica, compresa l’eventuale prova scritta, non dovrà essere superiore a 20 ore. Le prove pratiche e le eventuali prove scritte, definite per 129 ciascuna qualifica a livello provinciale e uguali per tutti i Centri di formazione, hanno come obiettivo la verifica della preparazione dei candidati in riferimento alla capacità di produrre un certo risultato professionalmente rilevante (compo- nente di processo e procedurale) e alla qualità del risultato ottenuto (componente di prodotto). Il colloquio non consiste in un’interrogazione di tipo “nozionistico”, ma è fi- nalizzato a verificare la capacità di riflessione sulla propria esperienza formativa e di acquisizione di una propria identità professionale nonché la qualità delle aspira- zioni lavorative e di continuità formativa dopo il conseguimento della qualifica. Pertanto, la conduzione del colloquio è affidata alla Commissione d’esame, anche se la Provincia ha elaborato una traccia di suggerimenti per gli esaminatori. La valutazione complessiva finale è espressa in centesimi. Al computo finale contribuiscono vari elementi di valutazione ai quali è associato un punteggio mas- simo secondo la seguente distribuzione: 1) un massimo di 55 punti per la valutazione dell’intero percorso formativo anche attraverso gli elementi contenuti nel portfolio; 2) un massimo di 45 punti per la valutazione dell’esame di qualifica, ai quali contribuiscono la prova pratica e l’eventuale prova scritta o scritto-grafica per un massimo di 30 punti e il colloquio per un massimo di 15 punti. Il punteggio minimo per il conseguimento della qualifica è di 60 centesimi. Alle prove di accertamento dell’idoneità per il conseguimento della qualifica professionale sono ammessi candidati privatisti secondo le norme previste dalla Legge provinciale sulla formazione professionale. I candidati privatisti devono sostenere, in aggiunta alle prove previste per i candidati interni, una o più prove integrative con l’obiettivo di accertare il pos- sesso delle competenze connotative della figura professionale di riferimento della qualifica e delle relative competenze professionali e di base previste dagli standard formativi minimi nazionali di cui all’Accordo Stato-Regioni del 15 gennaio 2004 e dei programmi di insegnamento dell’intero percorso formativo triennale. I candi- dati privatisti avranno inoltre l’opportunità di riflettere criticamente sulle espe- rienze formative e lavorative pregresse. Su questi elementi di valutazioni sono assegnati i 55 punti che per i candidati interni vengono attribuiti sulla base del precedente percorso formativo. Infine, la deliberazione n. 2389 del 2004 ha definito le modalità e i criteri per la realizzazione dell’esame e per la formulazione della valutazione finale per il conseguimento del diploma provinciale di formazione professionale. Gli allievi che hanno frequentato almeno il 70% del percorso formativo del quarto anno e che abbiano ottenuto almeno cinquanta punti degli ottanta previsti sono ammessi all’esame per il conseguimento del diploma provinciale di forma- zione professionale. La valutazione del percorso è formulata dal “team di progetto” composto dai docenti del corso, dal tutor/referente del corso e da uno o più tutor 130 aziendali designati dalla partnership di progetto. Il “team di progetto” perviene alla valutazione del percorso analizzando il portfolio, inteso come raccolta signifi- cativa della documentazione relativa al percorso effettuato dall’allievo sia presso l’azienda sia presso il CFP. L’esame finale consiste in un colloquio volto a verificare la preparazione dell’allievo in termini di riflessione sull’esperienza formativa, acquisizione di un’identità professionale e aspirazioni lavorative. Durante il colloquio, l’allievo, utilizzando il portfolio, sottolinea le competenze acquisite, ne illustra le specificità e le ricadute sulla propria professionalità anche dal punto di vista della spendibilità nel mercato del lavoro, rappresentando le proprie aspettative e aspirazioni anche nell’ottica di un’ulteriore crescita attraverso la formazione permanente. La valutazione finale per il superamento dell’esame è espressa in centesimi; i punti sono attribuiti secondo l’articolazione seguente: 1) 80% valutazione dell’intero percorso formativo attraverso gli elementi conte- nuti nel portfolio; 2) 20% valutazione dell’esame. Il punteggio minimo per il conseguimento del diploma è di sessanta centesimi. La Commissione esaminatrice è composta da un funzionario provinciale o un esperto nell’area di riferimento del diploma con funzione di presidente; il respon- sabile del Centro di formazione professionale o un docente suo delegato; il tutor/coordinatore del percorso formativo; un rappresentante delle aziende compo- nenti la partnership di progetto designato dalla stessa; un tutor aziendale designato dalla partnership di progetto tra quelli che hanno seguito gli allievi in formazione presso l’azienda. In fase di sperimentazione del IV anno nella formazione professionale iniziale (di base), non possono essere ammessi all’esame finale candidati privatisti. Documentazione provinciale di riferimento Deliberazione della Giunta Provinciale n 1516 del 2 luglio 2004, “Programma annuale per le attività formative 2004-2005 ”. Deliberazione della Giunta Provinciale n. 1144 del 1° giugno 2005, “ Criteri per la definizione delle prove d’esame e della valutazione finale, nell’ambito degli esami di qualifica profes- sionale e adozione di un nuovo modello di attestato di qualifica professionale (art. 9 della L.P. 03.09.1987, n. 21) ”. Deliberazione della Giunta Provinciale n. 1333 del 24 giugno 2005, “Legge provinciale 3.09.1987, n. 21: approvazione Programma annuale delle attività per la formazione pro- fessionale 2005-2006 ”. Deliberazione della Giunta Provinciale n. 1541 del 22 luglio 2005, “Approvazione dello schema di regolamento concernente la disciplina degli istituti di formazione professionale provin- ciali (art. 10 della legge provinciale 3 settembre 1987 n. 21) ”. 131 Deliberazione della Giunta Provinciale n. 1667 del 19 luglio 2002, “Legge provinciale 3.09.1987, n. 21: Programma annuale delle attività per la formazione professionale 2002/03”. Deliberazione della Giunta Provinciale n. 175 del 4 febbraio 2005, “Approvazione del modello di scheda personale di valutazione per il primo, il secondo ed terzo anno della formazione iniziale (di base)”. Deliberazione della Giunta Provinciale n. 2300 del 19 settembre 2003, “Definizione delle com- petenze finali della formazione professionale iniziale (di base) relative al primo anno - area professionale dei macrosettori “agricoltura e ambiente”, “legno” e dimensione orientativa - e al secondo anno - area culturale e professionale -, degli indirizzi per la pro- grammazione formativa e del relativo orario degli insegnamenti”. Deliberazione della Giunta Provinciale n. 2333 dell’8 ottobre 2004, “Definizione per la forma- zione professionale iniziale (di base) del profilo educativo culturale e professionale (PE- CUP), delle figure professionali di riferimento per le qualifiche, delle competenze finali re- lative al terzo anno - area culturale e professionale -, al secondo anno - area professionale della famiglia professionale “agricoltura e ambiente”- del primo secondo e terzo anno dell’insegnamento di educazione fisica, degli indirizzi per la programmazione formativa e del relativo orario degli insegnamenti”. Deliberazione della Giunta Provinciale n. 2389 del 15 ottobre 2004, “Individuazione dei diplomi provinciali di formazione professionale. Composizione della commissione d’esame. Moda- lità e criteri per la definizione dell’esame e della valutazione finale. Adozione del modello di diploma provinciale di formazione professionale e del relativo allegato (art. 12 della L.P. 7/2004 di modifica ed integrazione dell’art. 9 della L.P. 21/1987) ”. Deliberazione della Giunta Provinciale n. 2548 del 18 ottobre 2002, “Approvazione dell’atto recante ‘Indirizzi alle istituzioni scolastiche del Trentino per l’attuazione del progetto di sperimentazione’ licenziato dal gruppo di lavoro costituito ai sensi dell’articolo 4 del pro- tocollo d’intesa siglato a Roma in data 12 giugno 2002 tra il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e Provincia autonoma di Trento”. Deliberazione della Giunta Provinciale n. 336 del 14 febbraio 2003, “Approvazione del progetto di innovazione del sistema della formazione professionale iniziale trentina. Legge pro- vinciale 3.09.1987, n. 21 ”. Integrazione al Protocollo d’intesa del 12 giugno 2002 tra il Ministero dell’istruzione, dell’uni- versità e della ricerca e la Provincia Autonoma di Trento sottoscritto il 29 luglio 2003. Legge provinciale n. 5 del 15 marzo 2005 recante “Disposizioni urgenti in materia di istruzione e formazione”. Protocollo d’intesa tra la Provincia Autonoma di Trento e il Ministero dell’istruzione, dell’uni- versità e della ricerca, sottoscritto a Roma il 12 giugno 2002. Sitografia essenziale www.provincia.tn.it www.provincia.tn.it/giunta/delibere www.provincia.tn.it/addestram/ 133 Capitolo 6 I nuovi percorsi di Istruzione e Formazione professionale e la sperimentazione in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Provincia di Trento Gianni MASCIO 1. PREMESSA Il cambiamento in atto dell’assetto dei sistemi dell’Istruzione e formazione professionale introdotto dalla riforma del Titolo V della Costituzione e dalla Legge 28 marzo 2003, n. 53, nato da una diffusa coscienza circa la necessità di garantire al singolo cittadino l’effettivo esercizio del diritto-dovere di istruzione e forma- zione, a partire dal corrente anno, ultimamente, ha chiaramente messo in evidenza la necessità che sia possibile ai giovani di fruire dei diritti di istruzione e forma- zione in modo da entrare a far parte a pieno titolo della “società cognitiva” di cui tutti, ormai, si fanno promotori, indistintamente dagli orientamenti politici. D’altra parte è altrettanto vero che in attesa dei definitivi Decreti attuativi, da parte del soggetto istituzionale, i governi regionali e delle Regioni autonome hanno dato segno di una certa divergenza metodologica nel mettere in atto percorsi sperimentali, evidenziando una potenziale frammentazione del sistema con possi- bili conseguenze per i giovani interessati, le loro famiglie, ma anche per il sistema sociale ed economico. Indubbiamente il cuore della riforma in atto è costituito dalla centralità dei bi- sogni formativi del soggetto in apprendimento. Un soggetto che, contrariamente a quanto è previsto dagli ordinamenti vigenti, non è considerato solo in quanto desti- natario di una preparazione agli studi universitari, come nel caso dei licei, o all’e- sercizio di una qualche professione intermedia, come nel caso degli istituti profes- sionali e tecnici, ma come “persona” che, attraverso l’esperienza della conoscenza e dell’approfondimento del patrimonio culturale accumulato dalla umanità nel corso dei millenni, può essere messo in grado di sviluppare al meglio le proprie potenzialità intellettuali ed operative. Pertanto il sistema educativo di istruzione e formazione è chiamato a farsi ca- rico di una formazione più ampia e complessiva, utilizzando a questo scopo lo strumento insostituibile della istruzione, a cui si assegna il compito di arricchire la personalità di strumenti (espressivi, metodologici, critici) spendibili in una grande varietà di situazioni. 134 I nuovi percorsi di istruzione e formazione professionale, frutto della riforma, nascono come espressione dell’esigenza, individuale e sociale, di maggior cultura e di più elevata qualità intellettuale dei cittadini, suggeriti proprio a partire dalla rico- gnizione dei nuovi bisogni di istruzione e formazione suscitati dal mondo contem- poraneo; determinato da un necessario e generalizzato possesso di efficaci strumenti cognitivi, di comunicazione, di espressione e nella graduale acquisizione, da parte di quanti più individui è possibile, di metodi di indagine idonei a comprendere e giudi- care realtà complesse, in rapida e costante evoluzione, quali sono appunto quelle con cui siamo chiamati a misurarci, ed ancora più lo saranno le giovani generazioni. Realtà queste, c’è da aggiungere, che influenzano in misura molto rilevante anche l’economia, i modi di produzione, l’organizzazione del lavoro, e che per- tanto risultano decisive anche ai fini dell’inserimento nella vita attiva, per il quale non basta più il semplice possesso delle nozioni e delle tecniche proprie di una de- terminata pratica professionale, quale si configurava nel momento in cui il giovane accedeva alla scuola secondaria superiore, o ne usciva con una qualifica o un diploma in tasca. Questa constatazione di fondo ha consentito di superare motivatamente, e non per scelta ideologica, il precedente assetto ordinamentale della scuola. 2. LA RIFORMA Da ciò che si è potuto constatare analizzando la sperimentazione messa in atto nelle quattro Regioni prese in esame, nonostante la diversità sia di approccio che nell’effettiva messa in pratica della sperimentazione, si può trovare un aspetto significativo che accomuna le attività realizzate. Il sistema che ne emerge propone un modello di comunità di studenti, famiglie e docenti, che sappia formare i ragazzi prima di tutto come persone, sviluppando essenzialmente una funzione educativa. Ciò che viene proposto è un patto tra la scuola e la famiglia che consente di formare identità individuali forti, persone dotate di capacità critiche, coscienze libere legate ai valori del rispetto umano, della solidarietà, della giustizia. Il disegno del cambiamento è ispirato ad una visione europea dell’educazione e della formazione; è un progetto che intende rafforzare una scuola fortemente ra- dicata in un’identità nazionale solida e condivisa, capace di valorizzare le tradi- zioni locali che sono un’inesauribile risorsa per partecipare a pieno titolo al pro- cesso di integrazione delle culture, dei saperi e delle professioni, avviato in questi anni tra i diversi Paesi dell’Unione Europea. Tale sistema ha l’obiettivo di arricchire le offerte formative nei percorsi di ap- prendimento, con una gamma di scelte più ampia e più personalizzata, offrendo, tra l’altro, lo studio e la pratica delle lingue e dell’informatica, stage e tirocini in realtà culturali, sociali e produttive in Italia o all’estero, con l’acquisizione di titoli e certificazioni spendibili come crediti scolastici e formativi in Italia e in Europa. 135 È in questo quadro che si sta evolvendo la questione del consolidamento del sistema educativo nel suo complesso. Si tratta di un obiettivo perseguito attraverso l’innalzamento della qualità globale del sistema, in particolare tramite la valorizza- zione dell’intreccio (e la relativa saldatura didattica) tra l’itinerario dell’istruzione, orientato soprattutto verso la teoria, e l’itinerario della formazione, che guarda invece in prevalenza alla prassi e al fare consapevole. Un simile rafforzamento parte dalle specificità che caratterizzano positiva- mente il sistema dell’istruzione e formazione professionale e gli conferiscono una specifica identità, soprattutto il forte radicamento nel territorio di riferimento, a par- tire dalla conoscenza delle sue caratteristiche e delle sue peculiari esigenze ai fini della crescita economica e dello sviluppo sociale e culturale, la messa in campo di un apprendimento centrato su esperienze concrete e cooperative, legate agli am- bienti e all’organizzazione del lavoro, il legame diretto con la cultura tecnica e pro- fessionale, la flessibilità e la costante apertura all’innovazione e all’aggiornamento. Questi sono gli aspetti, a tuttora, più qualificanti, anche se si evidenzia che oc- correrà procedere ad un rafforzamento globale dell’identità del sottosistema dell’i- struzione e formazione professionale, e puntare a una più adeguata definizione dei suoi tratti caratterizzanti, quali l’accreditamento dei soggetti e l’individuazione delle tipologie formative, dei profili professionali, delle qualifiche e delle certifica- zioni di competenza. Ciò anche al fine di realizzare concretamente il principio della pari dignità fra sistema dell’istruzione e sistema dell’istruzione e formazione professionale. In questa prospettiva, una prima misura da assumere è la costituzione di un reale sistema di valutazione, condiviso da tutti e reciprocamente riconosciuto, dei crediti conseguiti nell’uno e nell’altro percorso, in modo da non lasciare al livello di semplice principio la continuità e la permeabilità tra istruzione e formazione. Per rispondere a tali esigenze e finalità il sistema di valutazione deve essere frutto di accordi, promossi dalle Regioni, tra e con tutte le componenti del sistema formativo e le Parti sociali, e sulla base di parametri generali di carattere nazio- nale, in modo che si arrivi alla definizione di procedure comuni per il riconosci- mento, la certificazione e l’individuazione degli ambiti di utilizzazione delle di- verse competenze acquisite. Infatti, ciò che caratterizza la sperimentazione in queste quattro Regioni, alla luce delle proposte operative della riforma, è la modalità con cui si mette in atto il processo formativo circa le competenze, come struttura portante di un sistema di conoscenze e abilità, che rileva una specifica organizzazione interna. Il rapporto tra conoscenza e organizzazione è uno degli aspetti che caratterizza la ricerca scientifica e tecnologica, che non è un’attività casuale o spontanea, bensì un complesso di azioni programmato, organizzato e realizzato in condizioni di effi- cienza e di efficacia caratterizzato da un elevato grado di coordinamento e di interdi- pendenza. Infatti la sistematica creazione ed applicazione delle conoscenze richiede una forte integrazione di competenze provenienti da soggetti, individuali e collettivi, diversi ed esige inoltre una continua e profonda revisione dell’organizzazione. 136 La diffusione e il radicamento delle conoscenze richiede l’intervento e la me- diazione di strutture sociali e culturali più o meno organizzate: la religione; la fa- miglia; la rappresentazione della conoscenza e l’immagine della scienza tipiche di un determinato periodo storico tende, in ogni fase del suo sviluppo, a fornire un modello di problemi e soluzioni accettabili da parte di tutti coloro che praticano un certo campo di ricerca; e soprattutto, la scuola, che costituisce la tradizione cultu- rale, le dà forma, la perpetua e trasmette i contenuti che ogni sistema sociale consi- dera fondamentali. In questo quadro si evidenzia l’esigenza di incardinare le conoscenze e le abi- lità di ciascuno su competenze di base ben definite, organizzate in modo da diven- tare un insieme strutturato, dove la questione dell’identità, come consapevolezza dell’appartenere e dell’appartenersi, ne viene esaltata e diventa l’obiettivo primario del processo formativo. Così il sistema formativo che ne emerge è un sistema in grado di fornire solidi punti di riferimento che consentano di orientarsi all’interno del flusso continuo dell’informazione, senza rinunciare a porsi in una prospettiva di organizzazione del sapere e delle conoscenze, che dia frutto ad un insieme strutturato, senza cui non esiste cultura, soprattutto professionale. 2.1. L’ambito “scuola” Partendo da questi presupposti, ciò che emerge in merito, sono alcune priorità che presuppongono degli inevitabili punti di accordo e strategie realistiche comuni. Il primo è il concetto di “scuola dell’obbligo”, che ha una sua forte connota- zione storica e pedagogica, non va certo rinnegato, ma è oggi insufficiente ad indi- care il conseguimento di un livello di istruzione e di formazione secondo i bisogni di una persona che vive rendendosi conto nella nostra società, naturalmente il con- cetto “diritto-dovere all’istruzione e alla formazione” include quello di scuola del- l’obbligo, reinterpretando il diritto costituzionale all’istruzione alla luce dei tempi e dell’evoluzione della scienza e della tecnologia, e sviluppando un sistema con- creto di norme (a cui peraltro si lavora già da tempo) che persegua l’obiettivo del successo formativo per tutti i giovani. Infatti la Legge delega introduce nel sistema elementi di flessibilità, fissando l’obiettivo da raggiungere (12 anni di istruzione e formazione per tutti o comunque fino all’ottenimento di una qualifica) piuttosto che l’età. Le potenzialità di svi- luppo positivo della riforma a cui stanno facendo seguito provvedimenti legislativi abbastanza coerenti e concreti, sono confortati da una sperimentazione diffusa, con chiari obiettivi, tempi e funzioni. Da questa sperimentazione sta emergendo un reale processo di valorizzazione del percorso di istruzione e formazione professionale, dove non trova spazio una concezione riduttiva della formazione professionale, intesa come destinata ai ragazzi che “non ce la fanno”. 137 Qualsiasi livello dell’istruzione e formazione professionale (di tre, quattro, cinque o più anni) viene considerato come diverso ma non inferiore rispetto al- l’istruzione generale liceale prima e universitaria dopo, e sembra in grado di ga- rantire una solida formazione di base. A questo scopo, sarebbe bene evidenziare con la diffusione di “buone prati- che”, e nello stesso tempo, moltiplicare, le situazioni di eccellenza nel sistema del- l’istruzione e formazione professionale, con massicci investimenti (le scuole più belle, gli insegnanti più capaci e meglio pagati, gli accordi di programma territo- riali più vantaggiosi e ricchi). In prospettiva, e con il consolidamento dell’istru- zione e formazione professionale superiore, non dovrebbe sembrare impossibile pensare ad uno spostamento di tutto il settore tecnologico in un unico percorso, articolato al suo interno. La messa in evidenza del successo formativo sta facendo sì che si sposti l’at- tenzione su quel 30% e oltre di giovani che non arriva a conseguire un titolo supe- riore all’obbligo: questi sono i veri destinatari del cambiamento, i giovani che at- tualmente stanno fuori dal sistema educativo, e immediatamente dopo quelli che stanno dentro, a cui si devono fare proposte valide. A questo scopo sono diventate essenziali le esperienze di orientamento, in grado di potenziare l’interazione con la comunità in cui questi giovani vivono. Inoltre le sperimentazioni in atto stanno dimostrando come l’organizzazione del lavoro in ogni parte del sistema educativo viene man mano modificata con l’in- troduzione sistematica delle tecnologie dell’informazione, incentivando i metodi che consentono il superamento della lezione frontale e fanno centro sull’apprendi- mento motivato, riformando i piani di studio con una più decisa sottolineatura del principio “insegnare ad apprendere”, affrontando la questione delle diverse “edu- cazioni”, sia opponendosi alla richiesta che la scuola risolva ogni problema e fac- cia di tutto un po’, con il chiaro rischio di un sovraccarico funzionale, sia tenendo presente che alcune tematiche fondamentali non possono essere tralasciate e de- vono essere comuni a tutti: ad esempio l’ambiente, la salute, l’educazione alla cit- tadinanza, che non sono “materie” e non devono diventarlo; infine si è ampiamente sperimentata la necessità di ampliare e curare la trasmissione di competenze non cognitive. Nello stesso tempo il sistema scolastico sta cercando di affrontare in modo or- ganico la “questione docente”, dal punto di vista della formazione permanente e in servizio, della carriera, del reclutamento e del rapporto con le scuole, accompa- gnato da serie di stime quantitative, da un programma di riconversione, ma anche di incentivazione dei giovani. Il collegamento con la scuola da un lato, e con le università dall’altro, non può e non deve più essere approssimativo e casuale. Ciò implica la necessità di affrontare e risolvere il problema dei livelli inter- medi, dal duplice punto di vista del ruolo che assumono i livelli regionali (Dire- zioni regionali, IRRE) nella triangolazione fra scuole, territorio e Stato, e delle funzioni centrali di supporto all’innovazione svolte negli enti nazionali (la valuta- zione nell’Invalsi, la formazione e la ricerca nell’Indire, ecc.). 138 Anche il tema del sistema informativo può essere compreso sotto questa di- zione, e riguarda pure la valorizzazione e la diffusione delle buone pratiche realiz- zate nelle singole scuole e nelle reti di scuole. Infine, è necessario sviluppare le premesse contenute nella Legge 62/2000 sulla parità scolastica, facendo crescere il sistema nazionale dell’istruzione e della formazione composto di scuole autonome e scuole paritarie, in una prospettiva di valorizzazione del capitale sociale del territorio e delle famiglie. 2.2. L’ambito “formazione professionale” Per comprendere correttamente il senso e le caratteristiche del ciclo seconda- rio e la sua distinzione in due percorsi formativi, bisogna considerare la Legge 53/2003 nella continuità di un cammino legislativo che ha avuto nella riforma del Titolo V della Costituzione il suo atto più rilevante. La valenza di questa norma è di enorme interesse perché, specie in riferimento al ciclo secondario, supera la tradizionale distinzione, presente nell’originario lin- guaggio della Costituzione, tra “scuola”, da un lato, e “istruzione artigiana e pro- fessionale” dall’altro, una forma di classificazione che rifletteva una impostazione culturale elitaria e discriminante dal punto di vista culturale e sociale, proponendo di contro una nuova classificazione dell’offerta definita da due entità: 1) da un lato l’“istruzione” che corrisponde all’istruzione inferiore ed alla com- ponente non professionalizzante dell’istruzione superiore; 2) dall’altro l’“istruzione e formazione professionale” (Istituti tecnici, Istituti professionali, ma pure i Centri di formazione professionale regionale). Si tratta di un cambiamento profondo che consente di delineare un ambito di intervento regionale a carattere esclusivo, che comprende le attività relative al di- ritto-dovere di istruzione e formazione (per 12 anni di studi) comprendendo pure la formazione superiore. Tale disegno è completato dalla Legge 53/03 attraverso la definizione di un “sistema educativo di istruzione e di formazione” dal carattere fortemente promo- zionale e basato sulla personalizzazione dei percorsi formativi, per “favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell’età evo- lutiva, delle differenze e dell’identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori, in coerenza con il principio di autonomia delle istituzioni scolastiche e secondo i principi sanciti dalla Costituzione” (art. 1). Tutto ciò riguarda i concetti di obbligo scolastico e di obbligo formativo ri- compresi e rifondati entro la nozione di diritto-dovere all’istruzione e alla forma- zione per almeno dodici anni o al conseguimento di una qualifica entro il diciotte- simo anno di età. Da questo punto di partenza risulta fondamentale la presenza nel secondo ci- clo di due percorsi distinti, il percorso liceale e il percorso dell’istruzione e della 139 formazione professionale, questo ultimo dotato di natura pedagogica, identità cur- ricolare e fisionomia istituzionale, abilitato a rilasciare titoli di studio progressivi corrispondenti a standard concertati e riconosciuti in sede nazionale, in grado di offrire un itinerario graduale e continuo di pari dignità culturale ed educativa rispetto al percorso liceale. Il disegno complessivo che ne emerge evidenzia un salto di qualità rispetto alla realtà esistente, che segnala l’avvio di un processo di riforma impegnativo e allo stesso tempo di non facile accoglienza da parte di attori che hanno visto nel tempo diversi progetti riformatori falliti prima ancora di essere approvati e che di fronte a tale quadro finora hanno espresso dello scetticismo unitamente ad una certa fatalità. Oggi sembra concretizzarsi una significativa attenzione ai percorsi di istru- zione e formazione professionale quale componente rilevante, di pari dignità ri- spetto ai licei, in direzione di un sistema in grado di valorizzare le risorse umane, innalzare i livelli di conoscenze e competenze innovative, così da poter adeguata- mente rispondere alla sfida economica e tecnologica posta dalla globalizzazione. Questo però non può ridursi solo ad una prospettiva economicistica: occorre svi- luppare processi formativi in grado di dotare le persone di una moderna cultura che superi la visione illuministica dell’enciclopedismo e della “testa piena” di nozioni, per una nuova concezione che mira piuttosto ad una persona in grado di cogliere le connessioni tra saperi, di porsi di fronte alla realtà in una prospettiva attiva, in grado di apprendere continuamente e creativamente dall’esperienza, generatrice di un’ovvia pedagogia del “fare”. Il riferimento al nuovo Titolo V della Costituzione sta permettendo di deli- neare un sistema di istruzione e formazione professionale sulla base di una nuova classificazione dell’offerta definita da una ripartizione non più basata sulla univo- cità del concetto di “scuola”, e neppure sul concetto di “ciclo formativo di base” (che non corrisponde più al vecchio concetto di “obbligo di istruzione”, che è ora- mai di 12 anni, da considerare comprensivo dell’istruzione e formazione professio- nale), bensì sul criterio che sta alla base del carattere dei percorsi; percorsi forma- tivi sia a carattere di “istruzione” nel senso che forniscono ai giovani una visione culturale con cui poter successivamente completare gli studi in sede universitaria o di formazione superiore, sia a carattere “professionalizzante”, ovvero che mirano a dotare la persona di tutta quella serie di competenze tali da consentirle di acquisire titoli coerenti con profili corrispondenti a ruoli riconosciuti nel mondo del lavoro. Questi due percorsi si innestano su di una fase di scolarità comune a tutti: il pri- mo ciclo, che, nel disegno della Legge 53/2003, comprende la scuola primaria della durata di cinque anni e la scuola secondaria di primo grado della durata di tre anni. Il fatto che i percorsi a carattere professionalizzante siano di competenza esclusiva delle Regioni e delle Province autonome si spiega a partire dalla carat- terizzazione territoriale del mercato del lavoro e quindi dall’individuazione della Regione come soggetto in grado di programmare l’offerta formativa professiona- lizzante in modo più puntuale e coerente con le caratteristiche locali. 140 Tale programmazione è coerente con il profilo in uscita delineato da docu- menti nazionali di orientamento, in primo luogo il “Profilo educativo culturale e professionale”, che indicano quali esiti educativi ci si aspetta di ottenere al termine del ciclo di riferimento, e che, relativamente alla formazione secondaria, possono fornire misure capaci di garantire la coerenza interna e la confrontabilità dei titoli e delle qualifiche professionali di differente livello. La programmazione inoltre ga- rantisce che i titoli e le qualifiche professionali di differente livello siano coerenti con gli obiettivi specifici di apprendimento e quindi confrontabili tra di loro, assi- curando la spendibilità nazionale dei titoli professionali conseguiti all’esito dei percorsi formativi, come pure gli eventuali passaggi entro i percorsi formativi e tra questi ed i percorsi scolastici, e viceversa. Non si tratta di una questione formale, ma dell’effettiva risposta al diritto di istruzione e formazione che appartiene ad ogni cittadino e che si giustifica alla luce del principio di equità e di giustizia educativa. Un moderno sistema educativo di istruzione e formazione professionale, che sia in grado di realizzare il diritto-dovere di istruzione e formazione, come appare dalle sperimentazioni in atto, inizia dalla consapevolezza dei cambiamenti interve- nuti, e tuttora in corso, nel rapporto fra Stato nazionale e Regioni così come sono stati definiti dalla riforma costituzionale del 2001 e come vengono via via precisati dalle ulteriori modifiche di cui si sta occupando il parlamento. Tali cambiamenti comportano l’attribuzione alle Regioni di poteri reali in ordine alla organizzazione scolastica e alla gestione degli istituti scolastici e di formazione. Il sistema dell’istruzione e formazione professionale, similmente al sistema dei licei, presenta un carattere educativo e di pari dignità culturale; esso non è assi- milabile assolutamente alla prospettiva addestrativa tipica dell’impostazione del precedente sistema, ridisegnando così un nuovo quadro rispetto all’esistente, tanto da rendere inservibili espressioni come “formazione professionale”, “istruzione professionale” o “istruzione tecnica” che non indicano più oggetti giuridici ed or- ganizzativi ben delineati a fronte di un quadro normativo radicalmente ridisegnato dal combinato della nuova Costituzione e dalla Legge 53/2003. Le sperimentazioni in atto nelle tre Regioni e Provincia di Trento analizzate, affrontano, quasi nella loro totalità, questo quadro in trasformazione - ed in parti- colare l’elaborazione dei Decreti attuativi della Legge 53/2003 - alla luce di una visione generale della natura dei percorsi di istruzione e formazione professionale, andando oltre quel dibattito rappresentato dai tentativi, per lo più ideologici, pro- venienti da più parti di far prevalere sull’interesse generale i più diversi e contra- stanti interessi esistenti all’interno del mondo della scuola e della formazione. Tali tentativi hanno prodotto soprattutto l’indicazione degli otto licei con rela- tivi preannunciati indirizzi, che sembrano configurare un quadro di sostanziale conferma della situazione attuale, solo con una diversa denominazione. Pertanto appare opportuno evitare la proliferazione degli indirizzi, soprattutto per quei licei, come il tecnologico, l’economico e l’artistico, in cui si corre il ri- schio di non cogliere l’alternativa all’insegnamento ex cathedra offerta dal nuovo 141 sistema della formazione e dell’istruzione professionale, adeguatamente riqualifi- cato in tempi che saranno, probabilmente, medio-lunghi, e a partire proprio dalle Regioni che da tempo evidenziano esperienze di livello europeo. L’analisi realizzata ci indica che si può procedere per trasformazioni graduali, avendo chiaro l’obiettivo finale, che è quello di evitare l’ulteriore degrado di en- trambi i sistemi di istruzione e di formazione, con il perdurare di ambiti tuttora consistenti di non efficacia ed efficienza. Infatti c’è da tener conto del bene non di una o dell’altra parte politica, ma dei nostri giovani e con loro dell’intero Paese. La riforma del sistema educativo, che di fatto si aspetta da sessanta anni, non è ulteriormente rinviabile né per motivi di schieramento politico, né per assecondare gli interessi di una delle parti in gioco che, necessariamente, nel processo riforma- tore avverte il pericolo di una perdita di potere o di sicurezza, cercando di cogliere l’occasione rappresentata dalla messa a punto dei Decreti attuativi della Legge 53/2003 specie quando presentano proposte ispirate al principio di realtà, ma non per questo con obiettivi di basso profilo. La normativa che si sta delineando ha creato un significativo punto di non ri- torno circa la particolare visione culturale del sistema formativo italiano, data dalla tendenza a concepire “cultura” solo ciò che viene fornito dalla scuola, mentre ogni riferimento al lavoro è visto al più come “pratica” attribuendo a tale termine tutto il significato svalutante che si può intuire dall’espressione utilizzata. Questa modalità concettuale è una delle cause delle scarsa “produttività” del sistema italiano se comparato a quello dei Paesi con cui ci confrontiamo sul piano istituzionale, sociale ed economico, ed in particolare della grave piaga dell’“insuc- cesso formativo”, mentre circa il 55% degli adulti svolge attività lavorative lontane dal percorso di studio completato. In effetti si tratta di una questione sociale, relativa ai diritti dei cittadini ed in definitiva alla dignità di ogni persona che si immette nel sistema formativo. I diritti formativi rappresentano la possibilità concreta da parte di ogni persona di accedere a servizi che consentano di accrescere il proprio valore sociale in modo coerente con le proprie caratteristiche e volontà, al fine di inserirsi in modo soddi- sfacente nella realtà sociale ed economica, a partire dalla possibilità di accedere ad un vero servizio di orientamento, in modo da poter scegliere fra opzioni alternative ed equivalenti, vedendosi riconosciuto il proprio bagaglio personale, traducibile in “crediti” corrispondenti, che ognuno può far valere entro un piano formativo effet- tivamente personalizzato, senza dimenticare la continuità formativa. Ogni cammino formativo deve poter essere aperto a sviluppi successivi, po- tenzialmente fino ai livelli più elevati. In particolare, deve essere consentito a tutti - sia nella fase iniziale della propria vita sia nell’età adulta (anche in costanza di rapporto di lavoro) - di poter accedere ad un percorso che apra la possibilità di giungere fino ai livelli più elevati di competenza; che renda sempre possibile una reversibilità delle scelte; questo per garantire a tutti la possibilità di scegliere il proprio percorso a partire dal progetto personale, di ottenere un sostegno adeguato 142 alla trasformazione delle proprie potenzialità in competenze, a partire dalla consi- derazione dell’istruzione e formazione quali strumenti al servizio di tutti i cittadini. Le attività messe in atto dalle Regioni analizzate hanno come comune deno- minatore la prospettiva di attuare, comunque, una riforma di tutti e per tutti, col proporsi di alcuni criteri ispiratori delle scelte applicative del sistema disegnato dalla nuova normativa. Il primo criterio è quello di prendere sicuramente sul serio la nuova defini- zione dei poteri fra Stato e Regioni. Poiché a queste ultime andrà l’organizzazione scolastica e la gestione degli Istituti scolastici e di formazione (salva l’autonomia delle Istituzioni scolastiche), la programmazione dell’offerta formativa deve essere realmente affidata a loro definendo sulla base delle esigenze censite sul territorio quantità e natura delle Istituzioni scolastiche e formative. In effetti le Regioni devono vedersi affidate in una logica di programmazione tutte le Istituzioni scolastiche e formative e, sulla base delle norme generali, che per tutti verranno dal soggetto istituzionale centrale, organizzarle e gestirle, e tale affidamento non può non operare che nella logica della sussidiarietà e, quindi, dell’autonomia delle Istituzioni scolastiche. Di conseguenza, è possibile creare le condizioni per cui titolari del rapporto di lavoro debbono essere progressivamente i dirigenti scolastici e formativi, in modo tale che possano permettere un reale sviluppo di organismi di istruzione e forma- zione moderni, organici, dotati di capacità strategica e della necessaria responsa- bilità nell’indirizzo e nella gestione delle risorse, comprese quelle umane. Un altro criterio, sicuramente emerso in questi anni di sperimentazione, è la significativa attenzione alla caratterizzazione dei due percorsi ed in particolare alla qualificazione del sistema degli Istituti di istruzione e di formazione professionale. Questo sta richiedendo da un lato di non moltiplicare gli indirizzi nel sistema dei licei, poiché da ciò deriverebbe una sorta di sdoppiamento della medesima offerta formativa, e dall’altro di sviluppare un progetto didattico e culturale che valorizzi lo specifico dei due sistemi rendendo possibile un effettivo salto di qualità generale. In effetti si sta evidenziando un significativo sviluppo sia sul piano quantita- tivo sia su quello qualitativo del sistema dell’istruzione e della formazione profes- sionale, caratterizzandolo per grandi linee legate alla mappa delle più rilevanti “co- munità professionali” ed evitando sia la tendenza alla eccessiva specializzazione dei profili professionali sia la creazione di un dualismo tra le cosiddette “cultura generale” e “cultura specialistica”, facendo emergere una vera e propria cultura del lavoro e della professionalità. In questo modo si sta proponendo ai giovani la possibilità di scegliere davvero tra due offerte formative equivalenti, e di poter contare con altrettanta certezza su un efficace sistema che assicuri e garantisca, come peraltro scritto nella Legge 53/2003, i passaggi tra i due sistemi e verso l’istruzione e formazione superiore e l’università. Questo rende possibile il superamento dell’obiezione a riguardo della scelta precoce, del cosiddetto sistema di IFP e consente di sviluppare effettiva- 143 mente proposte educative e culturali di pari dignità, che consentono a tutti di acce- dere ai diversi livelli dell’offerta formativa complessiva. Da ciò sta derivando la consapevolezza, sia negli operatori che nei soggetti istituzionali, di evitare di trasferire nel nuovo quadro le attuali strutture che ero- gano formazione con lievi modifiche superficiali, scegliendo, invece, la strada della costruzione di un nuovo quadro del sistema educativo complessivo basato su una chiara programmazione e su una precisa scansione di responsabilità e di tempi. Per questo sarebbe bene che il governo nazionale, nel disegnare un passaggio ai decreti applicativi alla luce di una prospettiva univoca, raccolga sì il necessario consenso, ma eviti di concedere pezzi della riforma ai vari poteri oggi mobilitati in una logica di mera garanzia della conservazione dell’esistente. Da parte loro, le Regioni e la Provincia esaminate effettivamente sembrano sforzarsi di non svolgere solamente il ruolo di chi trascrive l’offerta formativa esistente, scegliendo più opportunamente la strada della formulazione di criteri di razionalità e di coerenza in relazione alle principali tendenze dello sviluppo del proprio territorio, in modo da delineare così i requisiti di un cambiamento a cui non ci si può più sottrarre. La credibilità dei percorsi del sistema dell’istruzione e formazione professio- nale, quale alternativa ai percorsi liceali, deve poter contare su risorse adeguate, ma soprattutto non deve avere duplicazioni nei percorsi liceali. L’istruzione e formazione deve poter contare su percorsi di sistema, quindi strutturali e non contingenti, che consentano sia l’acquisizione di competenze im- mediatamente spendibili sul mercato del lavoro sia l’acquisizione di competenze utilizzabili in percorsi ulteriori di istruzione e formazione professionale superiore, o anche nell’università, in modo da garantire, con appositi interventi, eventuali passaggi dentro il sistema e tra questo e quello liceale, realizzando così, effettiva- mente, un cammino di formazione della persona umana, che valorizzi il lavoro e le professioni, caratterizzato non dalla incomunicabilità con altri percorsi ed altri sbocchi, ma al contrario dalla sua qualità intrinseca largamente maturata dalla attuale esperienza delle filiere tecniche e professionali che oggi sono ancora con- finate all’interno del sistema di istruzione. L’esperienza, generalizzabile in tutte e quattro le Regioni analizzate, ci mostra che il sistema si costruisce dal basso, ovvero convincendo i giovani e le rispettive famiglie circa la validità dell’offerta, ma anche dall’alto, disegnando un sistema di offerta che sia effettivamente in grado di sviluppare una strategia di qualità, in rife- rimento particolare alla formazione superiore, delineando (abbastanza diffusa- mente) nell’ambito dei territori regionali e provinciali, una mappa dell’offerta for- mativa che, a partire dalle specifiche vocazioni del sistema economico, prevede un disegno di percorsi organici, completi, orientati all’eccellenza formativa, nell’am- bito di intese esplicite con l’università, le imprese, i sindacati e le loro associa- zioni, a partire dalle esperienze di lettura dei fabbisogni maturate negli ultimi anni. A tale proposito, nelle sperimentazioni in atto si è cercato di mirare ad una pe- dagogia della personalizzazione, sulla base del criterio metodologico fondamentale 144 della centralità dell’allievo e del suo successo formativo, al fine di assicurare ai giovani una proposta formativa dal carattere educativo, culturale e professionale che preveda risposte molteplici alle loro esigenze, in modo che ogni utente possa trasformare le proprie capacità, attitudini, atteggiamenti, risorse e vocazione, in vere e proprie competenze. Questo ha, di fatto, richiesto una metodologia formativa basata sulla didattica attiva e sull’apprendimento dall’esperienza, cioè su compiti reali, grazie soprat- tutto alle esperienze di alternanza scuola-lavoro in collaborazione con le imprese di riferimento, e all’uso della didattica di laboratorio rispetto a quella di aula. Nelle esperienze di alternanza, i momenti in azienda hanno assunto il carattere di vere e proprie occasioni di apprendimento e acquisizione di competenze, cono- scenze e abilità, con l’ausilio di piani formativi personalizzati. Per raggiungere questi obiettivi generalmente è stata proficua la relazione con- sapevole e sistematica tra le imprese e le organizzazioni che le rappresentano, e gli organismi di istruzione e di formazione, soprattutto in ambito locale. Tale collaborazione ha richiesto la conferma, e dove necessario, un’accelera- zione di un cambiamento culturale, del resto già in atto da tempo, per cui da un lato il mondo della formazione fa definitivamente cadere alcuni datati pregiudizi verso il sistema delle imprese, e dall’altro le imprese, che da tempo si dichiarano favorevoli all’alternanza, hanno ottenuto che questa sia stata anche introdotta nella normativa. Così le imprese stanno accettando di farsi carico, insieme alla comunità locali e alle agenzie formative, di un impegno rilevante, che sempre più richiede una disponibilità nuova ed un investimento non tanto economico quanto nel tempo e nelle risorse immateriali e tecnologiche. L’ultima considerazione riguarda il fatto che spesso nelle sperimentazioni in atto dei percorsi di istruzione e formazione professionale si stanno sviluppando ini- ziative in grado di assicurare il successo formativo anche a persone che presentano situazioni problematiche, con la finalità di recuperare e sviluppare l’apprendimento in discipline e attività previste nel piano di studi degli istituti di istruzione; col consentire il passaggio da un percorso all’altro; attraverso lo sviluppo di interventi mirati di riorientamento, arricchimento delle competenze professionali, accompa- gnamento all’inserimento lavorativo con un sostegno formativo ad hoc. Da qui la necessità di dotare il sistema di una serie di opportunità ulteriori che non sono da intendere come alternative ai percorsi lunghi strutturati, né come un ri- torno alla visione “assistenziale” di una parte del sistema nei confronti dell’altra par- te, ma nella predisposizione di elementi di flessibilità della istruzione e formazione professionale in corrispondenza di particolari tipologie o situazioni dell’utenza. In questo senso, si è cercato, pur nei limiti della sperimentazione, di assicurare ai giovani un’offerta integrale che renda possibile una prospettiva formativa aperta, flessibile, centrata sulle persone, in grado di creare circolarità tra forma- zione iniziale e formazione lungo tutto il corso della vita, in una logica che coin- volga i diversi soggetti della vita civile, sociale ed economica. 145 Per fare ciò, la prospettiva su cui si è cercato di operare è quella non già auto- centrata sull’Istituto, quanto quella della rete formativa che sta richiedendo una modalità cooperativa tra diversi soggetti in un disegno di un unico sistema. Una scelta simile comporta due conseguenze importantissime: la messa a punto di un percorso di orientamento interno al primo ciclo di istruzione e paral- lelo agli anni del secondo ciclo e l’attivazione di strutture di monitoraggio operanti sul territorio per leggere i fabbisogni del mercato e le aspirazioni dei giovani e delle famiglie. Tali azioni richiedono la responsabilità delle Regioni e allo stesso tempo la realizzazione di reti di sostegno all’innovazione del sistema tutto. Uno sforzo particolare va rivolto all’azione culturale all’interno dei processi d’istruzione e formazione professionale, in quanto nel nostro Paese ci si è sempre divisi tra chi difende la “cultura” contro la pratica, e chi crede solo nell’attività concreta relegando la cultura al ruolo di un processo che ruba tempo. Educare oggi vuol dire dedicare la massima cura ai giovani, ma anche assicu- rarsi che tutti i soggetti coinvolti in questa esperienza (genitori, insegnanti, impren- ditori, amministratori della cosa pubblica) apprendano il senso della pedagogia dell’esperienza. Infine ciò che di fatto emerge dalle sperimentazioni è la necessità, e allo stesso tempo, la possibilità dell’apprendimento in tutto l’arco della vita. Tra i criteri cui riferire le scelte da fare da parte dal soggetto istituzionale, ha una specifica impor- tanza il fatto che i nuovi sistemi dell’istruzione e della formazione professionale siano finalizzati all’apprendimento lungo tutto il corso della vita. Le dinamiche in atto nell’educazione degli adulti appartenenti al comparto dell’istruzione (centri territoriali per la formazione permanente e corsi serali negli istituti scolastici superiori) e nella formazione continua promossa dalle Regioni se- gnalano, così come la presenza di lavoratori occupati tra gli iscritti ai corsi di istru- zione e formazione tecnica superiore (IFTS), il crescente interesse di quote ampie di popolazione adulta, anche in condizione lavorativa, ad un investimento forma- tivo finalizzato allo sviluppo, e non solo all’adattamento o aggiornamento delle proprie competenze culturali e professionali. Vi è inoltre da considerare la condizione di autentica emergenza formativa in cui si trovano settori consistenti di popolazione, anche le fasce di età più giovani, spesso prive delle competenze alfabetiche fondamentali. Infatti l’esercizio del diritto soggettivo, e nel contempo civile e sociale, alla formazione, introdotto nel nostro ordinamento con la Legge 53/2000 (artt. 5-6), ri- chiede d’altra parte, oltre allo sviluppo di misure di promozione e di appositi dis- positivi di sostegno al rientro in formazione in età adulta, anche la predisposizione di tipologie di offerta adeguate alla specificità dell’utenza: per flessibilità organiz- zativa, sistemi di certificazione delle competenze, modularità curricolare, servizi di orientamento, strumentazione metodologico-didattica specialistica; modalità queste che timidamente, ma significativamente, si evidenziano già nelle speri- mentazioni in atto nelle quattro Regioni analizzate. 146 3. IL MODELLO OPERATIVO E LE FINALITÀ FORMATIVE La sperimentazione attuata nelle tre Regioni e nella Provincia di Trento ha evidenziato modalità e processi articolati, ma anche differenti, di interventi pur facendo emergere alcuni criteri operativi comuni. La scuola è già stata trasformata profondamente dall’entrata in vigore dell’au- tonomia delle istituzioni scolastiche e di più lo sarà dall’attuazione del Titolo V della Costituzione e dalla introduzione delle ulteriori riforme costituzionali, la cosiddetta devolution e le ulteriori modifiche del Titolo V. Essa si sta sempre più pensando, nonostante alcune resistenze sia ideologiche che strumentali, come un sistema allargato e sempre più integrato, in quanto, di fatto, esiste una situazione di movimento all’interno del mondo della scuola reale che non si limita a percepire le trasformazioni in corso, ma le sta metabolizzando e incomincia a trasformarle in criteri per l’azione. Presentiamo di seguito una riflessione comparativa sui quattro modelli di speri- mentazione delle Regioni e della Provincia oggetto del presente studio, sulla base di alcune variabili che abbiamo scelto per la loro capacità interpretativa delle espe- rienze indicate: 1) logica di sistema; 2) modello formativo; 3) valorizzazione della cultura del lavoro; 4) eguaglianza di opportunità; 5) valutazione; 6) strategia di rete. 1) La logica di sistema REGIONE LOGICA DI SISTEMA Lombardia La necessità di definire un nuovo quadro di regole in materia di formazione professionale è stata espressa ai vari livelli legislativi con interventi che di volta in volta hanno affrontato i singoli aspetti di questo tema così complesso ed articolato. Le Leggi regionali in materia di formazione professionale hanno svolto la fun- zione di inquadrare l’articolazione territoriale regionale del sistema della for- mazione professionale, vista anche l’esigenza di individuare standard minimi nazionali di funzionamento delle strutture formative, che hanno poi portato alla declinazione delle discipline regionali dell’accreditamento. In Lombardia ciò ha coinciso anche con la definizione di un “Piano triennale della formazione professionale” che ha introdotto, insieme alle norme sull’ac- creditamento, altre novità e modalità di organizzazione e finanziamento del sistema regionale della formazione professionale. Infatti dall’anno formativo 2001-2002 è stato abrogato il “Piano annuale della Formazione Professionale” gestito dalle Province che erogavano i finanziamen- ti della Regione agli Enti facenti parte del sistema di Convenzione della stessa Regione, per passare ad un sistema di bandi pubblici accessibili agli Enti accre- ditati, gestiti in parte dalla Regione e in parte dalle Province. Le evoluzioni normative, soprattutto quelle in materia di formazione e istru- zione, hanno permesso di ridisegnare il panorama di riferimento, chiedendo ai vari attori dei sistemi di ripensare il ruolo ed il compito che sono tenuti a svol- gere ed anche le modalità con cui lo stesso viene svolto. Inoltre la L.R. 1/2000 ha ridisegnato il panorama delle competenze tra Regione 147 e Province, proponendo che a livello regionale stia la gestione del raccordo tra la definizione degli indirizzi e la pianificazione generale, mentre la program- mazione attuativa si attesti su un livello provinciale. Questo ha in primo luogo comportato il trasferimento alle Province dei CFP a precedente titolarità regionale, cui hanno seguito gradualmente le deleghe in materia di formazione e istruzione. La titolarità dal 2002 di CFP propri e la titolarità di deleghe hanno richiesto al- le Province di riconsiderare il proprio ruolo, salvaguardando primariamente la funzione di programmazione e controllo, ma avendo una particolare attenzione alle strutture formative, in particolare quelle pubbliche, presenti sul territorio. Infatti la riqualificazione e il sostegno delle strutture formative è risultato esse- re uno degli obiettivi del Fondo Sociale Europeo 2000-2006, che ha destinato la misura C1 all. “Adeguamento del sistema della Formazione Professionale”, che considera il sistema nella doppia accezione di Enti erogatori di servizi e di strut- ture di governo che debbano essere supportate e qualificate. La Regione Lombardia, inoltre, nel “Piano triennale della formazione profes- sionale” ha inserito un’azione specifica rivolta alle strutture formative pubbliche e recentemente ha divulgato un documento sul riordino dei CFP pubblici. L’avvio di azioni sperimentali di istruzione e formazione professionale con il coinvolgimento sia di CFP sia di istituti scolastici prelude ad una nuova Legge regionale del sistema educativo e delle politiche del lavoro. Emilia La normativa regionale, conseguente alle direttive nazionali in materia di oc- Romagna cupazione e mercato del lavoro, con il Decreto legislativo n. 276/2003, ha previsto: – l’identificazione di un unico regime di autorizzazione per i soggetti che svol- gono attività di somministrazione di lavoro, intermediazione, ricerca e sele- zione del personale, supporto alla ricollocazione professionale e l’istituzione di un apposito albo delle Agenzie per il lavoro; – la definizione dei principi generali per la definizione dei regimi di accredita- mento regionali degli operatori pubblici o privati che forniscono servizi al la- voro nell’ambito dei sistemi territoriali di riferimento; – la definizione dei principi e criteri direttivi per la realizzazione della borsa continua del lavoro e l’articolazione dei servizi in un livello nazionale, fina- lizzato alla definizione degli standard tecnici e delle informazioni che per- mettano efficacia e trasparenza nel processo di incontro tra domanda e offer- ta di lavoro, e in un livello regionale che realizzi effettivamente l’integrazio- ne dei sistemi pubblici e privati presenti sul territorio; – l’identificazione delle forme di coordinamento e raccordo tra gli operatori, pubblici o privati, al fine di garantire l’inserimento o il reinserimento nel mer- cato del lavoro dei lavoratori svantaggiati, attraverso politiche attive e di work fare; in particolare il Decreto ha previsto per le suddette categorie programmi specifici gestiti dalle Agenzie di somministrazione che stipulano convenzioni con gli operatori pubblici e incentivi per le aziende che affidano commesse a cooperative sociali nelle quali sono occupati lavoratori svantaggiati. Pertanto per quanto riguarda il sistema educativo/formativo a livello regionale è stata emanata la L.R. 12/2003 sul sistema formativo integrato che individua, qua- le strategia per garantire successo e pari opportunità formative, il rafforzamen- to della qualità del sistema e l’ampliamento dell’offerta di percorsi integrati. L’obiettivo principale della Legge regionale è quello di garantire l’eguaglianza delle opportunità di accesso al sapere per ognuno e per tutto l’arco della vita co- me elemento di sviluppo personale e sociale. Per i ragazzi e le ragazze della Re- gione l’obiettivo è quello di pervenire ad un diploma di istruzione superiore o ad una qualifica professionale, elevando le loro conoscenze e competenze, stru- menti fondamentali per il pieno esercizio dei diritti di cittadinanza e per una vi- ta professionale soddisfacente. Più in generale, la Legge intende promuovere un sistema di istruzione e formazione per tutti e per tutto l’arco della vita, per la necessità di aggiornare i saperi e le competenze necessarie nell’ambito della società della conoscenza. Per conseguire tale finalità, il provvedimento legislativo disciplina il sistema formativo nel territorio regionale e lo definisce come insieme di attività e rela- zioni che i soggetti dell’istruzione, della formazione professionale e dell’educa- zione degli adulti attuano ed instaurano tra loro nell’esercizio dei rispettivi com- piti istituzionali e partendo dalle esigenze delle persone. La Legge pone quale principio ordinatore delle innovazioni da introdurre nel sistema formativo regionale la promozione del sistema formativo integrato fondato su: – maggiore qualificazione dell’offerta formativa; – personalizzazione e differenziazione dei percorsi; – valorizzazione dell’autonomia dei soggetti del sistema formativo in una logi- ca di collaborazione istituzionale e di integrazione di percorsi. Piemonte La modifica del Titolo V della Costituzione, conclusasi nel corso del 2001, ha dato avvio ad un nuovo processo di ripartizione di poteri e funzioni tra gli livel- li dello Stato, sulla base del principio di sussidiarietà. Le normative regionali di settore, varate negli anni successivi, hanno riguardato tanto la sfera dell’istru- zione, che quella della formazione professionale, e recependo tali indicazioni, hanno ulteriormente incrementato le competenze ed il ruolo rivestiti dal livello regionale. A tal fine la Regione ha perseguito per tempo un piano politico diretto a pro- muovere iniziative e progetti che valorizzino il protagonismo dei giovani, il lo- ro impegno nella ricerca e nella realizzazione di una società più solidale, nella certezza che il sostegno a progetti di educazione alla cittadinanza, alla solida- rietà, al dialogo, all’impegno responsabile e solidale, allo sviluppo della inter- culturalità, costituisca uno strumento sociale efficace di promozione di stili di vita positivi e di prevenzione primaria del disagio giovanile. La promozione della ricognizione delle esigenze formative, lo sviluppo della re- lativa offerta sul territorio e il supporto alle istituzioni scolastiche autonome, prevedono, tra le finalità della scuola, la valorizzazione e il rafforzamento delle attitudini all’interazione sociale; l’educazione ai princìpi fondamentali della convivenza civile; la promozione di stili di vita positivi e solidali, l’organiz- zazione e l’accrescimento, anche attraverso l’approfondimento nelle tecnologie informatiche, delle conoscenze e delle abilità, anche in relazione alla tradizione culturale e alla evoluzione sociale, culturale e scientifica nella realtà con- temporanea. Pertanto tale sistema si fonda sulla centralità dei processi e dei percorsi di for- mazione, in una logica di interazione tra le attività educative e culturali; attra- verso un ampliamento e qualificazione dell’offerta formativa, in coerenza con gli obiettivi generali ed educativi dei diversi tipi di studio e in relazione alle esi- genze del contesto culturale, sociale ed economico dei singoli territori; in modo da favorire l’integrazione e lo scambio di esperienze e di sperimentazioni tra il sistema scolastico ed il sistema formativo del Piemonte. Le linee fondamentali dello sviluppo di tale sistema integrato si possono così riassumere: 148 – sperimentazione di percorsi triennali di qualifica e degli eventuali successivi percorsi, collocati in un organico processo di sviluppo della formazione pro- fessionale superiore; – articolazione dei percorsi sperimentali in piani di studio e modelli organizza- tivi tesi a consolidare le competenze di base, anche nell’ottica di passaggio fra i sistemi, ad agevolare la costruzione di un progetto di vita, alla cono- scenza del mondo del lavoro; – programmazione congiunta di progetti in alternanza scuola-lavoro finalizzati ad un’offerta personalizzata; – realizzazione di stages per allievi e docenti presso Enti, Associazioni e Isti- tuzioni coinvolti in progetti e programmi promossi dalla Regione Piemonte; – sviluppo di percorsi e laboratori di sperimentazione formativa; – individuazione di modalità di accompagnamento, monitoraggio e valutazione di tale sperimentazione – partecipazione a finanziamenti nazionali ed a programmi promossi dal- l’Unione Europea; – scambi culturali e progetti per l’integrazione europea; – realizzazione di un sistema di certificazione delle acquisizioni anche matura- te in esperienze lavorative e al riconoscimento di crediti formativi, in con- cordanza con l’implementando sistema regionale di certificazione delle competenze, attraverso la messa in opera di percorsi, realizzati d’intesa fra Istituzioni scolastiche e Agenzie formative, al fine dell’assolvimento del- l’obbligo scolastico e dell’acquisizione della qualifica professionale. Provincia La Provincia di Trento sulla problematica educazione/formazione da tempo ha di Trento incominciato a delineare un sistema formativo provinciale che si fonda sul principio di unitarietà, riconoscendo le peculiarità dell’istruzione e della for- mazione professionale nonché dell’alta formazione professionale, anche in re- lazione agli specifici strumenti e metodologie, per educare, istruire e formare le giovani generazioni come persone, cittadini e futuri lavoratori, ai fini dello sviluppo economico e sociale della comunità, nel rispetto dell’ambiente e delle esigenze di una crescita sostenibile. A tal fine, si sono sperimentati progetti e percorsi in grado di far acquisire competenze e sviluppare capacità affinché le giovani generazioni esprimano una presenza consapevole ed attiva nella so- cietà europea integrata e una professionalità idonea alla partecipazione al mer- cato internazionale del lavoro, attraverso l’educazione permanente sia nell’am- bito dell’istruzione che della formazione per garantire l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita sviluppando nuove competenze della persona per la piena partecipazione alla vita sociale e lavorativa, e per mezzo di una forma- zione professionale, in grado di valorizzare le competenze riconosciute e svi- luppare le metodologie acquisite. Pertanto il sistema provinciale di Istruzione e formazione professionale che sta nascendo dalla sperimentazione si può sintetizzare come un sistema integrato che mette in evidenza e promuove un progetto di innovazione della Formazione professionale iniziale facendo riferimento: – al nuovo quadro di riforma del sistema scolastico-formativo nazionale; – alle rapide trasformazioni nei modelli organizzativi e del lavoro; – alle disposizioni ed agli orientamenti europei in tema di istruzione e for- mazione. Infatti si è trattato dello sviluppo di un progetto formativo attraverso un nuovo percorso triennale di qualifica che promuove, accanto alla qualificazione pro- 149 150 Da parte di tutti gli attori in campo, lentamente, sta maturando la convinzione che, data la complessità della vita sociale e lavorativa dei nostri giorni e di quelli futuri, sia sempre più necessario, e non dilazionabile, un sistema graduale e conti- nuo di formazione, interconnesso con il sistema altrettanto graduale e continuo dell’istruzione, collegati entrambi con percorsi flessibili di formazione continua e ricorrente. Il primo compito che viene affidato al soggetto istituzionale, si può dire che sia quello di: 1) armonizzare i sistemi educativi e arrestare lo spreco di risorse umane, attra- verso lo svecchiamento dei contenuti e la ridefinizione di nuove e più funzio- nali metodologie didattiche, 2) realizzare un sistema formativo integrato, fra scuole statali e non statali, fra istruzione generale e formazione professionale, per rispondere a quell’obiet- tivo principale, cardine della riforma: 3) maturare persone in grado di inserirsi in modo attivo e flessibile nella società e in quel mercato del lavoro che l’innovazione tecnologica ha oggi prodotto. fessionale, la crescita personale, culturale e sociale dei giovani, in un’ottica di formazione integrale della persona. Assicurando un continuum tra la “formazione del cittadino” e la “formazione del lavoratore”, il nuovo percorso: – favorisce una preparazione professionale adeguata ai fabbisogni espressi dal mondo produttivo del lavoro; – garantisce la possibilità di passaggio accompagnato all’interno del sistema della formazione professionale e verso i percorsi scolastici dell’istruzione secondaria di secondo grado. L’area della formazione culturale si estende a tutto il triennio, integrandosi sistematicamente, sia sotto il profilo contenutistico che metodologico, con l’area professionale. Viene così garantita una solida preparazione professio- nale, fondata: – su una consistente base culturale, linguistica, storico-economica-sociale, scientifica, tecnologica; – sulla padronanza di competenze tecniche e professionali; – sulla capacità di gestire in autonomia le competenze acquisite durante il percorso formativo. Il nuovo triennio è articolato in tappe di avvicinamento progressivo alla quali- fica, consentendo agli allievi: – al momento dell’iscrizione al primo anno, la scelta di uno dei sette ma- crosettori, quale prima ampia area professionale su cui orientare il proprio progetto formativo; – a conclusione del primo anno, la scelta di una delle dieci famiglie profes- sionali, che hanno in comune un ambito professionale distinto e peculiare; – a conclusione del secondo anno, la scelta della specifica qualifica pro- fessionale. È assicurata la possibilità di cambiare in forma assistita il percorso formativo intrapreso nonché di transitare a percorsi scolastici dell’istruzione secondaria di secondo grado. 151 La riforma prevista dalla Legge n. 53 del 28 marzo 2003 affermando che il si- stema dell’istruzione liceale e il sistema dell’istruzione e formazione professionale dovranno dare a tutti una solida cultura generale e una preparazione specifica per l’ingresso nel mercato del lavoro o per il proseguimento degli studi nell’università o nella formazione superiore, con crescenti possibilità di passaggio dall’uno all’al- tro sistema, e soprattutto con la possibilità di proseguire in un percorso qualificato di istruzione superiore tecnica e professionale, ha posto le basi per un cambia- mento di mentalità nel futuro sistema educativo che si sta sperimentando. L’esito che già si può intravedere nelle sperimentazioni analizzate è che l’inte- grazione non nasce dalla ricomposizione di segmenti formativi sparsi tra i vari am- biti di intervento, ma è frutto di un lavoro fin dall’inizio in un’ottica di sistema che valorizzi tutte le componenti: liceale, di istruzione e formazione, scuola ed extra- scuola, statale e non statale. Questo è incominciato ad accadere in quanto si è potuta superare, anche se in parte, quella mentalità della conservazione, che è trasversale alle appartenenze ideologiche, e spesso si esprime in parte nel rifiuto della “cultura utile”, poiché le attività sviluppate sembrano dimostrare che la scuola non è un luogo dove si trasmettono esclusivamente i saperi consolidati dalla tradizione. 2) Il modello formativo REGIONE MODELLO FORMATIVO Lombardia La bozza di “disegno di legge” presentata dalla Regione Lombardia durante l’EXPO della Fiera di Milano dell’ultima settimana di aprile dall’Assessore Alberto Guglielmo (FI) non si limita solo al sistema dell’Istruzione e Forma- zione Professionale, ma include i percorsi triennali sperimentati in questi due ultimi anni che prevedono, a conclusione, la qualifica professionale. Tale bozza assume come principio generale che non ci sia una scuola statale da una parte e una scuola regionale dall’altra indipendenti e contrapposte; la divisione riguarda piuttosto i compiti: obiettivi, saperi e competenze, standard nazionali propri dello Stato; programmazione dell’OF, organizzazione e gestione della IeFP come prerogative delle Regioni (su quest’ultima la legislazione è esclu- siva); quindi, non più Istruzione liceale, tecnica e professionale allo Stato, e la FP alle Regioni. La Legge prevede invece che le risorse degli IT e degli IP confluiscano in un unico sistema che garantisce quattro diversi titoli di diverso livello: – qualifica professionale di secondo livello (3 anni) – diploma professionale (4 anni) – diploma professionale superiore (da 5 a 7 anni) – diploma di alta formazione che dovrà garantire una formazione universitaria professionale (8-9 anni); caratterizza il sistema la possibilità di passaggio al sistema statale di istruzione (e viceversa) attraverso i LARSA. La Legge mira in buona sostanza a costituire dei veri e propri centri politec- nici, costituiti da reti di scuole tecniche e professionali per la gestione coordi- nata sul territorio dei diversi percorsi, compresi quelli degli IFTS. 152 Attraverso uno sviluppo di un articolato sistema professionale a base regionale, al quale si collegherebbero anche percorsi quinquennali di tipo liceale (tecno- logico ed economico) ma senza articolazioni interne la Regione Lombardia colloca l’istruzione tecnica e professionale nel sistema regionale di istruzione e formazione. Emilia Nell’ambito delle sperimentazioni regionali circa i nuovi percorsi integrati del- Romagna l’istruzione e della formazione professionale, l’esperienza dell’Emilia Roma- gna, attraverso la Legge regionale n. 12 del 30 giugno 2003, sicuramente pro- pone un modello originale d’integrazione scuola-formazione. Il punto di partenza di tale Legge è l’obiettivo di elevare progressivamente il numero di ragazze e ragazzi che, al compiere del diciottesimo anno di età, pos- siedano o un diploma di scuola media superiore o una qualifica professionale. Già oggi la Regione Emilia Romagna ha livelli di dispersione scolastica al 10% circa, cioè a circa un terzo del tasso di dispersione nazionale che è al 30%: si può fare di più. In particolare, la Regione Emilia Romagna, sulla base delle competenze affida- tele dalla Costituzione, si occupa dell’offerta educativa e ha definito il sistema formativo sul territorio regionale quale insieme delle azioni e delle relazioni che i soggetti operanti nel campo dell’istruzione e della formazione, dell’orien- tamento e della transizione al lavoro, instaurano tra loro per arricchire e quali- ficare l’offerta formativa e consentire che le competenze acquisite in un settore o ambito possano essere trasferite in altri settori o ambiti. Il tutto si basa sul concetto d’integrazione, che tende a valorizzare il sapere e il saper fare, all’interno di tutti i percorsi formativi, superando l’idea gentiliana secondo la quale la vera cultura è separata dalla pratica. Per questo nella Legge si propone un biennio formativo integrato, secondo un positivo intreccio di istruzione e formazione professionale, di sapere e saper fare. In pratica, a se- conda dell’indirizzo prescelto, questo biennio contiene insegnamenti di cultura generale e una quota di materia più professionalizzanti. In questo modo, i ra- gazzi che si indirizzano verso una scuola più tradizionale avranno già dal primo anno materie più professionalizzanti, e soprattutto modalità d’insegna- mento più innovative, più improntate a un sapere pratico piuttosto che teorico, questo fino ai sedici anni, poi è possibile frequentare un anno di formazione professionale al termine del quale si ottiene una prima qualifica. Tale principio dell’integrazione non si ferma qui, ma prosegue anche nel post- diploma: in questo senso ci sono esperienze interessanti di istruzione e forma- zione tecnica integrate e progettate congiuntamente tra università, autonomie scolastiche, Enti di formazione e imprese, che formano figure professionali di alto livello. Inoltre è prevista una modalità d’integrazione anche dopo l’univer- sità, che si concretizza in master post-laurea progettati insieme da università, Enti di formazione, imprese. Questo modello d’integrazione potrà poi interes- sare anche l’educazione degli adulti. Oggi la modalità con cui la Regione sta attuando la sperimentazione dell’innal- zamento dell’obbligo formativo si può così sintetizzare: – il 1° anno ha una forte valenza orientativa; – il 2° anno prevede un ampliamento della funzione orientativo-professiona- lizzante e un approfondimento delle relazioni con il mondo del lavoro attra- verso stage e moduli di alternanza scuola-lavoro; – al termine del biennio gli studenti possono scegliere se continuare nell’istru- zione o nella formazione professionale conseguendo crediti spendibili in entrambi i sistemi; 153 – al termine del terzo anno, se compiuto in un istituto scolastico, gli studenti conseguono il diploma di qualifica, se svolto nella formazione professionale conseguono un attestato di qualifica regionale, riconosciuto però a livello nazionale, oltre a crediti spendibili per un eventuale rientro nel sistema del- l’istruzione. Rimane fermo il principio che al termine di ogni anno è garantito agli allievi il passaggio dall’uno all’altro sistema. Piemonte La sperimentazione attuata in Regione ci mostra un sistema educativo forma- tivo centrato sul principio della personalizzazione e del successo formativo, anche per prevenire e contrastare la dispersione scolastica e formativa. L’of- ferta formativa sperimentale di istruzione e formazione professionale è mirata, pertanto, ad assicurare ai giovani, in possesso del diploma di licenza media, l’accesso a percorsi formativi di durata triennale, che consentano loro: – di potenziare le capacità di scelta; – di acquisire competenze di base e competenze tecnico professionali anche al fine dei passaggi tra i sistemi formativi; – di conseguire un attestato di qualifica ai sensi delle vigenti Leggi regionali. I modelli sperimentali che coinvolgono l’istruzione e la formazione professio- nale sono caratterizzati da percorsi triennali di formazione professionale fina- lizzati al conseguimento di un attestato di qualifica professionale previsto dalla normativa vigente in materia di formazione professionale, valido per l’iscri- zione ai Centri per l’impiego, nonché all’acquisizione di crediti per l’eventuale rientro nel sistema di istruzione. Tali percorsi: – hanno una durata triennale e possono interessare più settori produttivi; – prevedono discipline ed attività attinenti sia alla formazione culturale gene- rale sia alle aree professionali; – consentono all’allievo di continuare il proprio percorso formativo attraverso passaggi e rientri fra l’istruzione e la formazione professionale e viceversa, prevedendo il riconoscimento dei crediti, delle certificazioni e dei titoli, acquisiti nella scuola, nella formazione e nell’apprendistato, – individuano le modalità di accompagnamento, monitoraggio e valutazione. Tutto ciò in un’ottica di integrazione tra Agenzie formative e Istituzioni scola- stiche interessate attraverso progettazione e realizzazione dei percorsi forma- tivi sperimentali, riorganizzazione delle attività educative e didattiche, al fine sia di potenziare le capacità di scelta degli allievi sia di consentire loro l’acqui- sizione di nuove competenze anche spendibili nel mondo del lavoro o per l’eventuale rientro nel sistema d’istruzione. La reciproca e necessaria collaborazione tra Agenzie formative e Istituti scola- stici, si è realizzata mediante specifici accordi tra i soggetti interessati. Pertanto le caratteristiche fondamentali del nuovo “sistema di Istruzione e For- mazione Professionale”, emergono dall’integrazione dei vari sub-sistemi (for- mali, non formali e informali) che oggi intervengono nel campo dell’educa- zione/formazione, grazie anche all’adozione di un modello formativo costruito intorno all’idea guida di “competenza”, la flessibilità dei percorsi, il riconosci- mento di crediti formativi sulla base di standard minimi concertati sia a livello locale che nazionale. Tale modello ha, di fatto, implicita l’introduzione di elementi di forte innova- zione, sia sul piano strutturale che sul piano metodologico-didattico. 154 Provincia Il sistema educativo/formativo trentino è stato ridisegnato con la nuova rete di Trento delle istituzioni scolastiche e formative a garanzia di un forte legame con il territorio. L’elevamento dell’obbligo scolastico, introdotto dalla Legge n. 9 del 1999, e disciplinato anche dall’articolo 48 della Legge provinciale n. 3 del 2001, in Provincia di Trento è assolto anche con la frequenza ai corsi di qualifica dei Centri di formazione professionale. Questa scelta ha aumentato di fatto la differenziazione dell’offerta formativa a garanzia di una lotta più efficace alla dispersione scolastica. L’ultimo rapporto del comitato provinciale di valutazione del sistema scola- stico e formativo, “Oltre la qualità diffusa”, delinea un quadro positivo del li- vello di formazione erogata che però non può essere ritenuto sufficiente perché vi sono ancora margini abbondanti di crescita e di sviluppo. L’impegno è di aumentare la qualità del servizio e i livelli di scolarizzazione fin qui raggiunti. L’ampliamento degli spazi di innovazione previsti dal regolamento provinciale dell’autonomia delle istituzioni educative è una strategia atta a creare un clima positivo per la qualificazione dell’azione dei singoli operatori e per elevare la qualità dell’offerta formativa a garanzia di un successo formativo diffuso. A tal fine, il sistema di Istruzione e Formazione Professionale ha sperimentato: – una configurazione del percorso di formazione professionale iniziale (arti- colato su un triennio già dal 1996), come sistema che consente l’assolvi- mento dell’obbligo; – la realizzazione di una effettiva integrazione tra l’istruzione, la formazione professionale e il lavoro mediante lo strumento delle “passerelle” attuato in base a quanto stabilito dalla deliberazione della Giunta provinciale n. 6925 del 1999 sul riconoscimento dei crediti acquisiti nei diversi contesti forma- tivi (dell’istruzione, della formazione professionale e del lavoro); – il passaggio al quarto anno dell’istruzione professionale per gli allievi della formazione professionale che risultano qualificati e hanno superato il collo- quio volto ad effettuare un bilancio dei livelli di apprendimento già docu- mentati nella cartella personale (portfolio) creata per ciascun allievo, se- condo la metodologia di valutazione adottata nel percorso della formazione professionale, nonché volto alla rilevazione di un giudizio di orientamento che valuti positivamente la possibile scelta di passaggio dell’allievo; – l’attivazione, ovvero, di un quarto anno in alternanza, configurato come un percorso aggiuntivo rispetto a eventuali iniziative formative post-qualifica, che persegue l’obiettivo generale di fornire ai partecipanti un’opportunità di ulteriore specializzazione legata a specifiche esigenze del mercato del la- voro, contribuendo all’ulteriore crescita personale e professionale dei qua- lificati, con il rilascio di un Diploma professionale provinciale a seguito del superamento di un esame finale che, in ogni caso, terrà conto sia del per- corso formativo realizzato nel CFP che nell’impresa. 155 3) La valorizzazione della cultura del lavoro REGIONE VALORIZZAZIONE DELLA CULTURA DEL LAVORO Lombardia La formazione professionale ha già di per sé un grande valore, dare cioè una ri- sposta adeguata ad uno dei bisogni fondamentali dell’uomo: il lavoro. Oggi in una realtà come quella lombarda, caratterizzata da una costante inno- vazione ed evoluzione dell’economia, del lavoro e della finanza, è diventato fondamentale realizzare un vero sistema integrato tra formazione scolastica, professionale, universitaria e mondo del lavoro. Una nuova organizzazione per creare un sistema educativo valido e moderno, capace di contribuire ad aumen- tare l’occupazione nella Regione. Un sistema in cui sono garantiti standard di qualità di livello europeo e una formazione adeguata per il lavoratore ancor prima che questi esca dal ciclo produttivo. Per contrastare l’abbandono scolastico è stata avviata una specifica politica, anche attraverso il Fondo Sociale Europeo, individuando particolari azioni di intervento, non solo per contrastare l’abbandono scolastico, ma anche per elevare i livelli di scolarizzazione. Infatti attraverso l’integrazione tra scuola, università, formazione professionale e lavoro si sta riformando il sistema educativo nel suo complesso, col porre al centro una nuova e forte cultura del lavoro nell’offerta educativo-formativa. Tutta la sperimentazione infatti si è basata sul presupposto del valore culturale del lavoro, che non solo costituisce una dotazione di conoscenze ed abilità, ma rappresenta una prospettiva di fondo, che si rapporta alla personalità dell’al- lievo consentendogli di sviluppare al meglio le sue potenzialità in un conteso di apprendimento, specie quello laboratoriale, connotato da una cultura che valorizza il fare dandogli la stessa dignità tecnico didattica del sapere. Nella sperimentazione, pertanto, l’organizzazione dei percorsi didattici ha avuto come criterio guida lo sviluppo integrale della persona e la maturazione dell’allievo all’interno di una cultura professionale e sociale che ha assunto il lavoro all’interno di un quadro di riferimenti valoriali culturali, sociali ed etici e non meramente strumentali o funzionali, attingendo ad una visione organica unitaria dell’uomo e della realtà. Emilia Dalla prospettiva dell’integrazione, la sperimentazione ha valorizzato il sapere Romagna e il saper fare, all’interno di tutti i percorsi formativi, superando quell’idea se- condo la quale la vera cultura è separata dalla pratica. Uno dei limiti della scuola, in generale, infatti, è di avere troppo poco valorizzato la cultura del la- voro, che non va scambiata per addestramento professionale – insomma, non è imparare lo strumento – ma è la capacità di applicare le conoscenze. La stragrande maggioranza dei allievi non ha la minima idea di cosa sia il la- voro, quali siano le relazioni che vi si instaurano, i diritti e i doveri a esso con- nessi. Tra l’altro questa visione costituisce un vincolo e una discriminazione per tutti quei ragazzi che faticano di più a seguire un eventuale modello teo- rico-cattedratico, infatti se l’insegnamento è standard – solo di tipo teorico-cat- tedratico – il rischio di dispersione aumenta. Certo, in Emilia Romagna la si- tuazione non è questa, il rischio di dispersione è più basso, le famiglie sosten- gono di più i ragazzi nel percorso di studio. Riguardo al tema dell’apprendimento di una vera e propria cultura del lavoro, la Legge prevede che dal primo biennio delle superiori, ovvero nel biennio in- tegrato, è possibile svolgere tirocini, o anche stage all’estero, nell’ambito di un percorso di istruzione che consenta anche l’apprendimento di saperi teorici di 156 base. L’alternanza scuola-lavoro si configura, nella Legge regionale, come una metodologia didattica da inserire in ogni percorso formativo, perché ogni ra- gazzo apprenda cos’è il mondo del lavoro, le sue relazioni, le sue dinamiche. Nello stesso tempo, perché accada questa cultura del lavoro la Regione, in ac- cordo con le Parti sociali, ha definito i requisiti che le “imprese formative” ov- vero quelle che, potendo diventare sede di formazione, devono possedere. Tali requisiti riguardano l’eccellenza dei risultati ottenuti nella gestione aziendale, la propensione al miglioramento continuo e alla valorizzazione delle risorse umane, la disponibilità di personale di supporto all’apprendimento, la dota- zione di tecnologie e metodologie avanzate. Friuli La complessità che ha investito la società regionale ha la sua matrice nel rap- Venezia porto dialettico tra innovazione e tradizione. La sperimentazione del sistema di Giulia Istruzione e Formazione Professionale ha inteso promuovere fortemente una cultura del lavoro come strumento di interpretazione dei molteplici cambiamenti intervenuti nella società, nelle relazioni umane e nella trasmissione del sapere. La valorizzazione della cultura del lavoro è una tappa fondamentale in tutti i percorsi di formazione ed educazione, poiché pone le basi del senso di apparte- nenza ad una comunità e rinsalda i legami sociali. La sperimentazione del sistema formativo come percorso significativo ed effi- cace per il mondo del lavoro non ha diminuito né ridotto gli aspetti culturali, tecnici sociale delle diverse fasi di apprendimento. Questo ha permesso di assi- curare per un verso ai giovani di poter scegliere davvero tra due offerte forma- tive equivalenti, ed in secondo luogo di poter contare con altrettanta certezza su un efficace sistema che assicuri e garantisca, come peraltro è scritto nella Legge 53/2003, i passaggi tra i due sistemi, verso l’istruzione e formazione superiore e l’università. Ciò rende di fatto superata l’obiezione circa la canalizzazione precoce, e con- sente peraltro di sviluppare effettivamente proposte educative e culturali di pari dignità che consentano a ciascuno potenzialmente di accedere ai diversi livelli dell’offerta formativa complessiva. Così è stato possibile proporre una cultura del lavoro che ha avuto come esito: – centralità dell’utente, – garanzia di possibilità di accesso a tutti, – gradi dell’istruzione e della formazione professionale, – pari dignità fra i sistemi, – innalzamento della qualità e dell’innovazione complessiva, – riduzione della dispersione scolastica, – raccordo fra obbligo formativo e lifelong learning mettendo in primo piano indirizzi generali attorno ai quali si sta costruendo un modello innovativo in grado di valorizzare le esperienze di eccellenza già ma- turate anche attraverso un ruolo di regia che si accompagna ad un efficace mo- nitoraggio delle esigenze del mercato e della qualità delle proposte formative attuate. Provincia La sperimentazione in trentino ha inteso fondare il sistema educativo provin- di Trento ciale sul principio di unitarietà tra cultura e lavoro, riconoscendo le peculiarità dell’istruzione e della formazione professionale nell’educare, istruire e formare le giovani generazioni come persone, cittadini e futuri lavoratori, ai fini dello sviluppo economico e sociale della comunità, nel rispetto dell’ambiente e delle esigenze di una crescita sostenibile; permettendo ai giovani di acquisire com- petenze e sviluppare capacità affinché esprimano una presenza consapevole ed 157 Giustamente ci sono altri ambiti capaci di introdurre nell’esperienza dei ra- gazzi riflessioni significative, che rispondano alla loro esigenza di significato e di costruzione dell’identità, stimolando il loro desiderio di apprendere e di organiz- zare il sapere intorno a problemi riconosciuti non solo soggettivamente importanti; attraverso il metodo del potenziamento dell’approccio per progetti che è tipico del- l’autonomia e della formazione professionale, fino a costruire un piano dell’offerta formativa condiviso dall’intera comunità formativa, insegnanti, studenti e genitori. L’autonomia ha fatto emergere i problemi, ma la sperimentazione ha anche trovato le risposte, in integrazione con altri ambienti. A tale proposito vale un esempio per tutte: le imprese, in alcune sperimentazioni, hanno realmente acqui- sito la convinzione che la collaborazione con il sistema formativo non è solo un metodo, ma è diventata una proposta di contenuti formativi di pari dignità con la stessa scuola. attiva nella società europea integrata e una professionalità idonea alla parteci- pazione al mercato internazionale del lavoro, garantendo a tutti: – il raggiungimento dei livelli essenziali delle prestazioni – l’esercizio del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione per almeno dodici anni. Tutto ciò ha come conseguenza la legittimazione delle formazione professio- nale ad una pari dignità culturale, educativa e professionale, per il rinnova- mento della metodologia e della didattica, che non può più rappresentare una spartizione tra percorsi formativi, ma appartiene ad ogni percorso sia dell’istru- zione che della formazione (e dell’apprendistato). Infatti la persistente mentalità, che finora ha privilegiato il sapere ed il cono- scere al posto del fare e delle abilità relative per assolvere un compito, por- tando in primo piano la conoscenza logica astratta, ha comunque avuto una serie di conseguenze: – una precompressione negativa degli allievi che mal si adattano ai percorsi della scuola (basti pensare al fenomeno della dispersione!) – una valutazione negativa dei percorsi che non seguono la logica della lezione frontale – un’incomprensione di principio del percorso conoscitivo competente che, partendo da un bisogno o da un’attesa, tematizza un problema, ne scopre una teoria esplicativa, controlla se funziona e perviene ad una prestazione competente di soddisfazione del bisogno in forme sempre limitate, fallibili, ma pur sempre perfettibili. Un processo conoscitivo così descritto nasce da una visione di una cultura del lavoro che è in grado di promuovere tutta una serie di metodologie e percorsi per pervenire ai medesimi risultati, migliorabili, nessuno dei quali ha maggior diritto, se non quello di seguire lo sviluppo evolutivo del singolo allievo. Pertanto le azioni formative riguardanti le competenze si sviluppano in per- corsi caratterizzati da equivalente valenza formativa tra discipline e attività inerenti la formazione generale e culturale e discipline professionalizzanti; ciò, allo scopo di consolidare ed elevare il livello culturale degli allievi, requisito fondamentale per conseguire una professionalità in grado di adattarsi ai rapidi mutamenti che caratterizzano i processi produttivi in atto. 158 Il cambiamento in atto nel mondo del lavoro (superamento delle metodiche tayloristiche e del post-fordismo, la globalizzazione dei mercati, l’informatizza- zione diffusa e pervasiva, ecc.) ha disegnato una serie di processi di innovazione che investono in profondità il tradizionale modo di lavorare, facendo emergere, ai vari livelli della struttura occupazionale, la necessità di un soggetto/lavoratore più qualificato, più autonomo, più intraprendente. Per formare tale soggetto è stato necessario puntare su un’interazione sempre più efficace tra studio e lavoro, fra scuola e impresa, mondi che le società tradizio- nali, inclusa la società industriale, avevano invece configurato come entità separate e per lo più distanti, iniziando così a discutere anche all’interno del sistema educa- tivo di una correlazione tra educazione ed economia, una correlazione necessaria- mente reciproca, che si sta basando non solo sull’adattamento della scuola ai biso- gni dell’economia ma anche viceversa. La sperimentazione realizzata nelle quattro Regioni ha riproposto in primo piano la possibilità di un superamento della tradizionale frattura, finora esistente, fra studio e lavoro e divenire paradigmatica al sistema tutto di innovazione. Il nostro sistema educativo, infatti, per lungo tempo ha assolto principalmente un ruolo di legittimazione delle disuguaglianze sociali, ma può, a sua volta, diven- tare capace di innovazione, ovvero saper ripensare e ristrutturare i modi tradizio- nali con cui opera. In questa logica, possibile, di “integrazione”, l’intreccio e l’alternanza di espe- rienze di aula, di laboratorio e di vera e propria attività lavorativa condotta in si- tuazione di apprendistato o di tirocinio, possono essere requisiti fondamentali del curricolo formativo, come lo è diventato lo sforzo di non fermarsi alle conoscenze, ma si è cercato di tradurle in competenze, attraverso la realizzazione di pratiche rilevanti sul piano sia sociale sia culturale. Per cui la logica dell’integrazione è risultata significativa fra istruzione gene- rale, da un lato, e istruzione e formazione professionale, dall’altro, mettendo in ri- lievo che la formazione alla professionalità non può essere un principio educativo di secondo piano, relegato a percorsi formativi culturalmente impoveriti, rifugio degli studenti espulsi per inadeguatezza dai percorsi formativi più significativi. Di fatto si è rivalutata l’istruzione e formazione professionale, dandole un più ampio spessore culturale, pur mantenendone come specificità un stretto legame con il lavoro, per raccordarla in vario modo alla formazione generale, tanto da la- sciare aperte il più possibile le scelte dei giovani, fino a definire un percorso for- mativo che risulta come un processo non inferiore all’istruzione liceale ma equiva- lente nella sua diversità, allineandosi così ad una tendenza generale riscontrabile in quasi tutti i Paesi “avanzati”, come unica strategia possibile per evitare che possa accadere un sempre possibile progressivo svuotamento dell’istruzione e forma- zione professionale a favore dell’istruzione liceale. 159 4) Eguaglianza di opportunità REGIONE EGUAGLIANZA DI OPPORTUNITÀ Lombardia La modalità dell’offerta formativa, nell’ambito del diritto-dovere di istruzione e formazione, permette di verificare come sia centrale la possibilità di un’ugua- glianza delle opportunità formative tra i due sistemi; infatti le attività si arti- colano in: – percorsi triennali e biennali (per quindicenni con crediti formativi) erogati dalle strutture formative accreditate; – percorsi triennali erogati da Istituti tecnici ed Istituti professionali; – percorsi destrutturati per soggetti posti in condizioni di particolare difficoltà denominati anche LaRSA (Laboratori per il recupero e lo sviluppo degli apprendimenti). Tutto ciò con un forte coinvolgimento delle Istituzioni scolastiche nell’ambito del nuovi sistema di Istruzione e formazione professionale, in una logica di of- ferta pluralistica e di pari dignità, sulla base di un’integrazione di sistema assi- curata dalla Regione stessa tramite misure di sostegno ed accompagnamento. La parità delle opportunità si evidenzia così grazie anche ad una metodologia formativa basata sulla didattica attiva e sull’apprendimento dall’esperienza, ovvero su compiti reali anche – a partire dai 15 anni di età – tramite tiroci- nio/stage formativo in stretta collaborazione con le imprese in cui opera la comunità professionale di riferimento, risultando, così, prevalente la didattica di laboratorio rispetto a quella di aula, in modo da valorizzare significativa- mente i processi formativi del sistema di IFP; dove, tuttavia nell’ottica dell’in- tegrazione, il percorso ha una rilevanza orientativa, in modo da sviluppare nel- la persona la consapevolezza circa le proprie prerogative, il progetto personale, il percorso intrapreso. Emilia L’idea portante della sperimentazione finora attuata in Regione, secondo le Romagna indicazioni della Legge regionale, che privilegia, soprattutto inizialmente, l’in- tegrazione scolastica piuttosto che articolare il sistema della formazione profes- sionale, garantendogli pari opportunità con quello scolastico, è quella dell’inte- grazione delle azioni, ovvero dell’utilizzo della formazione professionale come strumento per il sostegno dei percorsi scolastici più problematici. Ultimamente però tale modalità operativa è stata moderata rispetto alla versione originaria della Legge, visto che il titolo della stessa reca in forma definitiva “Norme per l’uguaglianza delle opportunità di accesso al sapere, per ognuno e per tutto l’arco della vita, attraverso il rafforzamento dell’istruzione e della formazione professionale, anche in integrazione tra loro”. La Legge mira a consentire l’effettivo esercizio dei diritti formativi e del lavo- ro, al sostegno e alla valorizzazione dell’autonomia dei soggetti e la qualifica- zione ed il rafforzamento dell’offerta formativa, per renderla più rispondente alle differenze e alle identità di ciascuno e più rispettosa dei ritmi di appren- dimento, favorendone l’articolazione nell’intero territorio regionale, con atten- zione alle aree deboli ed alla montagna. Questo anche tramite la valorizzazione della cultura del lavoro, la promozione di percorsi caratterizzati dall’intreccio fra apprendimenti teorici ed applicazioni pratiche (art. 2, 3° comma). Così viene riconosciuta l’autonomia e la pari dignità dell’istruzione e della formazione professionale, quali componenti essenziali del sistema formativo: 160 essa mira alla integrazione delle politiche ed all’interazione tra i soggetti ope- ranti nel sistema. Di fatto, comunque, l’offerta formativa regionale prevede una forte enfasi per i “percorsi integrati” tra l’istruzione e la formazione professionale, giustificata a partire dalla necessità di definire una base di riferimento per il reciproco rico- noscimento dei crediti e per reali possibilità di passaggio da un sistema all’altro al fine di favorire il completamento e l’arricchimento dei percorsi formativi per tutti. L’integrazione si realizza sostanzialmente nel biennio dell’obbligo formativo, ma anche nell’istruzione e formazione tecnica superiore, nei percorsi universi- tari, anche post laurea e nell’educazione degli adulti; al termine del biennio, gli studenti scelgono se proseguire l’obbligo formativo, anche attraverso percorsi integrati, nell’istruzione, nella formazione professionale o nell’esercizio del- l’apprendistato. Piemonte La sperimentazione in atto nella Regione ha messo in evidenza sia dei percorsi integrati che percorsi in interazione, originando così un sistema che valorizza la formazione professionale assicurandole le stesse opportunità dei percorsi scola- stici. Infatti le attività si realizzano nella gestione comune di parti didatticamen- te significative del percorso nell’ambito di un piano formativo unitario organi- co coordinato. La possibilità di integrare le competenze dei due sistemi in un unico percorso potrà prevedere parimenti l’attivazione di una serie di attività quali l’analisi delle qualifiche e degli indirizzi scolastici per matching, lo svi- luppo di moduli integrativi per i passaggi (LaRSA - Laboratori di recupero e svi- luppo degli apprendimenti), l’analisi dei processi di lavoro e delle figure pro- fessionali (per riprogettazione UdA), l’attività di docenza e utilizzo delle risor- se didattiche “incrociata”, sulla base delle competenze specifiche e delle attitu- dini dei partner, le codocenze su specifiche attività, formazione congiunta di formatori/docenti finalizzata a sostenere l’introduzione delle UdA. Nello stesso tempo, si sono sperimentati dei percorsi che hanno privilegiato un insieme di attività congiunte (progettazione didattica, valutazione, definizione dei crediti e delle modalità di passaggio, utilizzo congiunto e/o scambio di at- trezzature, materiali didattici, laboratori, promozione di attività seminariali e/o di aggiornamento) che non si concretizzano nella gestione comune di parti didatticamente significative. In questo modo la struttura e l’articolazione dei percorsi dipende in larga misu- ra dal livello di integrazione o di interazione prescelto, o privilegiando la co- progettazione di alcune UdA e la conseguente previsione della relativa certifi- cazione dei crediti, spendibili da parte dell’allievo al momento dell’eventuale passaggio da un sistema all’altro, o articolando un sistema di comparazione dei crediti formativi in grado di permettere il passaggio (automatico o con recuperi già definiti e noti al momento dell’avvio del percorso e ratificati all’interno della citata intesa) alla seconda annualità oltre che del percorso di provenienza, anche di quello appartenente all’altro sistema. Provincia La sperimentazione provinciale in merito alla problematica dell’uguaglianza di di Trento opportunità tra scuola e formazione ha inteso: – favorire e sostenere l’educazione permanente sia nell’ambito dell’istruzione che della formazione per garantire l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita sviluppando nuove competenze della persona per la piena partecipazione alla vita sociale e lavorativa; – migliorare l’insegnamento e l’apprendimento al fine di perseguire lo svilup- po umano, culturale, sociale e professionale degli studenti, in un’ottica di in- 161 Dalla sperimentazione è emersa un’ulteriore problematica, quella valutativa, in quanto è stato necessario confrontarsi con il fatto che una delle funzioni princi- pali che le varie articolazioni dell’Amministrazione pubblica stanno assumendo, nello stesso momento in cui allentano il proprio controllo diretto sul funziona- mento delle organizzazioni scolastiche concedendo loro un’autonomia organizza- tiva e gestionale, è proprio quella di predisporre meccanismi di valutazione del- l’operato di tali istituzioni. Questo ha portato gli operatori, le famiglie e i soggetti istituzionali a pensare e riflettere sulla qualità nella realizzazione dei processi formativi. Tale attenzione nell’ambito della formazione professionale non ha potuto non tener conto dei pro- blemi connessi all’equità dei sistemi educativi e formativi. Un sistema scolastico senza equità, dove si determinino forme ingiuste di sele- zione, discriminazione e squilibrio a danno delle classi sociali, dei gruppi etnici e delle aree territoriali svantaggiate finisce per essere senza qualità nel suo insieme, tegrazione e relazione con gli altri e con la comunità, nel quadro dell’integra- zione europea e della cooperazione internazionale, favorendo il pluralismo culturale e la libertà di insegnamento; – promuovere l’attivazione di specifici servizi e iniziative volti al sostegno e all’integrazione degli studenti disabili, in stato di disagio, o in particolari si- tuazioni di difficoltà, al fine di assicurare le migliori condizioni di crescita personale; – promuovere la specificità della formazione professionale, valorizzando le competenze riconosciute e sviluppando le metodologie acquisite, nell’ottica del rafforzamento e del miglioramento dell’offerta di formazione, nell’ambi- to degli obiettivi individuati dal sistema educativo. Pertanto gli strumenti, i metodi e i processi sperimentati con un numero sempre crescente di giovani non possono non avere la caratteristica di essere funziona- li ad una molteplicità di finalità ideali e pratiche, che devono trovare nel singo- lo soggetto una sintesi equilibrata che egli possa estrinsecare, e a cui possa ri- correre, in tutti i momenti e in tutte le manifestazioni della vita, anche le più in- time e private. Non solo, dunque, preparazione all’esercizio di una attività pro- fessionale e di lavoro, esposta anch’essa, per altro, a trasformazioni che tendo- no ad accentuare i contenuti scientifici, riducendo progressivamente la rilevan- za dei dati derivanti o dalla semplice esperienza o dalla formazione di tecniche da applicare acriticamente, in modo sovente ripetitivo, ma concorso, attraverso il sapere ed il saper fare, alla maturazione di soggetti capaci di autonome deci- sioni, in tutti i campi del vivere civile e della esistenza individuale. La minor preoccupazione di subordinare, fin dall’inizio del percorso formativo, i processi di istruzione alla conquista di una ben precisa competenza profes- sionale, spesso di tipo accentuatamente specialistico, ha consentito al sistema provinciale di assumere come criteri essenziali di riferimento, nella progetta- zione dei percorsi formativi, i tre principi dell’ “integralità”, cioè della apertura di ogni formazione alle più significative componenti della conoscenza e della espressione umana; dell’equilibrio tra le diverse componenti culturali e for- mative; dell’orientatività di ogni esperienza di studio (che nella costruzione del curricolo si traduce anche nel graduale avvio di approfondimenti settoriali diversificati). 162 ovvero offre dei servizi di qualità solo a giovani che si trovano, senza loro merito, a fruire di condizioni socio-economiche e culturali di vantaggio. Tale sistema per- metterebbe così l’estendersi della conflittualità e della sfiducia nelle istituzioni anziché porsi come uno strumento di coesione sociale. Ben si sa che il sistema educativo italiano presenta carenze significative, an- che nel confronto internazionale per ciò che riguarda la formazione dei “soggetti più deboli”, basterebbe ricordare che oltre il 30% di una classe di età esce dalla scuola senza aver acquisito nessuna qualifica professionale o titolo di studio secon- dario-superiore, e ciò in conseguenza di un tasso di dispersione che rimane ancora troppo elevato. Inoltre, un giovane su 15 non raggiunge nemmeno la licenza me- dia, condannandosi così ad uno stato di dequalificazione destinata a incidere in modo pesante sul futuro lavorativo e, più ampiamente, sociale. Tutto ciò è aggravato dal fatto che l’influenza dell’origine sociale dei giovani (occupazione e livello di istruzione dei genitori) sull’accesso alla scuola secondaria superiore, la scelta dell’indirizzo di studi e il conseguimento del diploma, è deter- minante, e, da tempo, è un dato significativo e costante negli anni. Nella quattro Regioni, prese in esame, si è intravisto che, nonostante le inevi- tabili e dovute differenze, la realizzazione della riforma, con la reale attuazione del percorso di “Istruzione e formazione professionale”, è in grado di perseguire una maggiore eguaglianza di opportunità nella carriera scolastica senza, peraltro, peg- giorare, ma, al contrario, migliorando i livelli di qualità complessivi. Da ciò che si è detto risulta abbastanza chiaro come la sperimentazione attuata ha favorito il potenziamento del sistema educativo tutto, col fare proprio l’obiet- tivo di perseguire l’innalzamento della qualità globale del sistema, tramite la valo- rizzazione dell’intreccio, e il relativo legame didattico, tra il percorso dell’istru- zione, orientato soprattutto verso la teoria, e quello della formazione, che riguarda invece in prevalenza la prassi e il fare consapevole. Un simile rafforzamento è partito dalle specificità che caratterizzano positiva- mente il sistema dell’istruzione e formazione professionale e gli conferiscono una specifica identità, ovvero il forte radicamento nel territorio di riferimento, a partire dalla conoscenza delle sue caratteristiche e delle sue peculiari esigenze ai fini della crescita e dello sviluppo sociale, economico e culturale. Ciò ha fatto sì che l’attenzione progettuale e realizzativa della sperimentazione sia stata orientata nella messa in opera di un apprendimento centrato su esperienze concrete e cooperative, legato agli ambienti e all’organizzazione del lavoro, alla cul- tura tecnica e professionale, flessibile e aperta all’innovazione e all’aggiornamento. Questi sono i criteri e le modalità per rispondere a quelle finalità generali che permetterebbero di procedere ad un rafforzamento globale dell’identità del sottosi- stema dell’istruzione e formazione professionale, e di far emergere i suoi tratti ca- ratterizzanti, quali l’accreditamento dei soggetti, l’individuazione delle tipologie formative, dei profili professionali, delle qualifiche e della certificazione delle competenze, riuscendo così a realizzare, di fatto, il principio della pari dignità fra sistema dell’istruzione e sistema dell’istruzione e formazione professionale. 163 5) Valutazione REGIONE VALUTAZIONE Lombardia Il sistema di valutazione della sperimentazione ha il suo fulcro nella verifica della personalizzazione del percorso formativo e di conseguenza sul suo prin- cipale strumento valutativo, ovvero il portfolio delle competenze, che per- mette di considerare in modo unitario i vari aspetti del processo formativo dell’allievo: – la dimensione orientativa, quella valutativa, la riflessione critica personale, il contributo dei vari soggetti coinvolti. Il portfolio delle competenze, in tal senso, rappresenta lo strumento unitario che consente agli operatori, all’allievo e alle famiglie di gestire e documentare tale processo. Questo dà modo di operare una “valutazione autentica” ovvero la verifica di un approccio tipico di un apprendimento significativo che riflette l’esperienza di apprendimento reale. Lo scopo di tale approccio valutativo è quello di coinvolgere gli allievi in compiti che richiedono di applicare le cono- scenze nelle esperienze del mondo reale. Pertanto la valutazione che ne deriva supera la concezione tradizionale di veri- fica del grado di apprendimento dell’allievo, sulla scorta di criteri valutativi centrati sulla metodologia della trasmissione delle conoscenze tipicamente no- zionistica, per mettere in atto una valutazione che prevede una verifica non solo di ciò che l’allievo sa, ma anche di ciò che sa fare con quello che sa, fon- data su una serie di prestazioni reali e adeguate all’apprendimento che risulta così significativo, riflettendo le esperienze formative effettivamente svolte. Infine tale valutazione è finalizzata alla gestione, riconoscimento e certifica- zione dei crediti formativi corrispondenti all’obbligo scolastico e dell’even- tuale prosecuzione degli studi ai fini del conseguimento del diploma di scuola secondaria superiore. Emilia La sperimentazione dei percorsi formativi integrati realizzati è stata accompa- Romagna gnata da un’efficace regolamentazione nei dispositivi di valutazione e conse- guente certificazione, per dare conto del processo integrato di pianificazione e progettazione anche e soprattutto nelle attestazioni rilasciate ai partecipanti, che ne costituiscono lo strumento di comunicazione tra i sub-sistemi; in pratica un documento di interpretazione al fine di inferire il livello raggiunto nelle competenze oggetto di apprendimento. Questo ha compreso pure l’adozione del portfolio delle competenze indivi- duali, in grado di documentare concretamente i progressi dell’allievo e la storia del suo impegno, evidenziandone le competenze acquisite ed inoltre il loro valore in termini di crediti formativi. Tale dispositivo è stato realizzato per consentire una valutazione “autentica” di taglio fortemente formativo. I percorsi integrati hanno infatti la necessità di non limitarsi a certificare esclu- sivamente la partecipazione con esito positivo ad un percorso formativo, ma di mettere in valore quanto un soggetto ha appreso attraverso lo sviluppo di percorsi formativi realizzati componendo segmenti significativi di esperienze di apprendimento all’interno dei diversi contesti (l’istruzione, la formazione, il lavoro). Pertanto la valutazione delle competenze acquisite viene affidata ai gestori delle singole filiere formative, fermo restando che l’esito di tale va- lutazione è finalizzata al riconoscimento e certificazione delle competenze, in quanto: 164 – ogni persona ha diritto ad ottenere il riconoscimento formale e la certifica- zione delle competenze comunque acquisite, riconoscimento che può essere utilizzato per conseguire un diploma, una qualifica professionale o altro ti- tolo riconosciuto, anche in ottemperanza alle disposizioni comunitarie; – titolari del potere di riconoscimento e certificazione sono i soggetti del si- stema formativo integrato; – la Regione promuove accordi con le componenti del sistema formativo inte- grato e con le parti sociali per la definizione di procedure condivise per il ri- conoscimento, la certificazione e l’individuazione degli ambiti di spendibi- lità delle diverse competenze; – le certificazione conseguite sono iscritte nel “portfolio delle competenze”, che raccoglie anche gli attestati di frequenza in esito a percorsi dell’educa- zione non formale ed i crediti formativi comunque acquisiti. Piemonte Il sistema di valutazione emerso dalla sperimentazione attuata ha reso possibile una significativa riflessione sulle potenzialità della valutazione formativa parti- colarmente in ambito laboratoriale, evidenziando quali cambiamenti comporta a livello di metodologia di insegnamento e definizione del curricolo l’atten- zione alla valutazione formativa e l’analisi di alcuni strumenti/metodologie di valutazione formativa, per verificare le condizioni di applicabilità di tali meto- dologie in percorsi di classe e per la certificazione delle competenze. La sperimentazione si è sviluppata in modo tale da consentire la messa in evi- denza di esperienze anche differenziate, pur se sottoposte ad un dispositivo di monitoraggio e di valutazione in grado di: – correggere i limiti della valutazione tradizionale del profitto, non solo of- frendo una prospettiva diversa da cui vedere l’apprendimento ma anche sug- gerendo strumenti diversi per accertarlo. Per realizzare questi obiettivi, nell’attività valutativa si è utilizzata l’integra- zione di varie strategie, come quelle scritte (portfolio, rubriche, ecc.), visive (osservazione diretta durante lo svolgersi della prestazione e durante lo svi- luppo della conoscenza), e orali (colloquio insegnante-studente) per racco- gliere le necessarie informazioni. Essa ha avuto luogo durante il processo di istruzione piuttosto che dopo, e ha fornito risultati più diretti che hanno aiutato gli insegnanti a perfezionare il loro percorso educativo. È servita a controllare costantemente il progresso de- gli allievi al fine di adattare meglio l’istruzione. Infine, per ciò che riguarda l’aspetto tecnico della valutazione, in Regione si è sperimentato un sistema informatizzato, per una reale semplificazione della ge- stione di merito e di conformità di tutte le prove, delle modalità di predisposi- zione, approvazione, raccolta e acquisizione da parte delle Province e conse- guentemente delle Agenzie, delle prove finali di qualifica (“Prove complessive di valutazione”) da utilizzarsi per lo svolgimento degli esami finali di qualifica e specializzazione; attraverso la predisposizione di “Linee guida alla realizza- zione delle prove complessive di valutazione” per la creazione, validazione, erogazione, valutazione delle prove al fine del rilascio delle certificazioni finali per competenze e alla loro archiviazione; sperimentando inoltre l’utilizzo del software “Valutazioni”, come indicato nelle “Linee guida alla realizzazione delle prove complessive di valutazione” a supporto e per la gestione delle fasi esplicitamente previste dalle stesse e dei software “Libra” e “Sinfod” attestati per il rilascio delle certificazioni finali. 165 Provincia Con la Legge provinciale 9.11.1990 n. 29 la Provincia autonoma di Trento ha di Trento dettato norme in materia di autonomia delle scuole, degli organi collegiali e di- ritto allo studio, e l’art. 7 della stessa Legge prevede l’istituzione di un Comi- tato di valutazione del sistema scolastico e formativo. Tale Comitato ha realizzato un modello per l’attività di autovalutazione carat- terizzato da: una forte integrazione della valutazione nei processi decisionali, organizzativi e di autonomia delle istituzioni scolastiche. Nel dettaglio si tiene conto dei seguenti principi: – integrazione della valutazione nel processo decisionale della scuola; – integrazione della valutazione interna con la valutazione esterna; – integrazione dell’analisi quantitativa con l’analisi qualitativa; – integrazione della valutazione con gli altri adempimenti previsti nel quadro dell’autonomia scolastica; – integrazione della valutazione nell’organizzazione della scuola; – integrazione del processo tecnico della valutazione (che va affidato ad un gruppo permanente individuato dalla scuola) con l’analisi svolta da tutti gli operatori della scuola; – integrazione delle diverse tecniche e modalità di raccolta dell’informazione ai fini valutativi; – integrazione dell’analisi del prodotto scolastico con quella dei fattori che lo generano, ovvero le risorse dedicate ed i processi condotti nel contesto asse- gnato; – integrazione, nell’attività di valutazione, del sostegno al processo decisio- nale ed alla gestione strategica con l’obiettivo della trasparenza e della ren- dicontazione sul funzionamento della scuola; – separazione dei ruoli di chi gestisce il processo di valutazione e di chi gesti- sce la scuola: i soggetti incaricati di condurre il processo di valutazione non devono cadere nell’errore di considerarsi essi stessi come soggetti “deci- sori”. Il loro compito è quello di organizzare l’attività di valutazione, non di indirizzare l’unità scolastica. Per quanto riguarda la formazione professionale, il Comitato ha richiesto uno specifico raccordo con il gruppo di lavoro per lo sviluppo dell’innovazione della formazione professionale iniziale per l’acquisizione dei dati e delle infor- mazioni istituzionali esistenti circa i livelli di apprendimento dei frequentanti i corsi di formazione professionale iniziale e l’individuazione di un dispositivo di verifica degli apprendimenti che risulti applicabile al sistema della forma- zione professionale e, per quanto possibile, compatibile con le prove già impie- gate nel sistema dell’istruzione secondaria. Al fine dell’individuazione di tali dispositivi di verifica applicabili al sistema della formazione professionale, il soggetto istituzionale ha utilizzato la colla- borazione dell’Istituto di Didattica dell’Università Salesiana di Roma per dare attuazione all’attività di valutazione prevista, quale azione di sviluppo e mi- glioramento del sistema formativo. Tale collaborazione ha previsto uno studio di fattibilità per la valutazione degli apprendimenti della formazione professionale mediante la elaborazione e vali- dazione di strumenti e metodi di rilevazione delle competenze, in particolare delle conoscenze e delle abilità, in coerenza con la normativa in atto, e tenendo conto delle specifiche finalità formative. 166 A tal fine è necessario accelerare i tempi per la definizione di un sistema di valutazione, riconosciuto e condiviso, dei crediti conseguiti nell’uno e nell’altro percorso, in modo da non lasciare al livello di semplice principio la continuità e la permeabilità tra istruzione e formazione. Per rispondere a tali esigenze e finalità, il sistema di valutazione non può non essere frutto di accordi, promossi dalle Regioni, tra e con tutte le componenti del sistema formativo e le Parti sociali, e sulla base di parametri generali di carattere nazionale, in modo da arrivare ad una definizione di procedure comuni per il rico- noscimento, la certificazione e l’individuazione degli ambiti di utilizzazione delle diverse competenze. L’esperienza sviluppata, oltre che a mettere in evidenza un maggiore e mi- gliore raccordo tra istruzione e formazione, ha fatto diventare abbastanza abituali termini quali “competenza” e “capacità”. È abbastanza facile da capire il senso e la portata di autentica rivoluzione con- cettuale che si sta realizzando con l’adozione di questi termini, riconoscendone come finalità l’idea di trasferibilità di qualcosa di definito, il credito, così il ter- mine “competenza” è associato ad un autentico cambiamento della prospettiva della formazione, nell’ottica di una sempre maggiore personalizzazione dei servizi erogati, centrata sulla negoziazione del contratto formativo: la competenza, dun- que, si definisce per la sua caratteristica di rappresentazione anche in altri contesti, e quindi per la sua trasferibilità. Infatti oggi l’identità delle tecnologie, in particolare di quelle dell’informa- zione e della comunicazione, e dell’apparato produttivo basato su di esse, presup- pone proprio una competenza così intesa. In particolare lo studio ha previsto: – la rilevazione degli apprendimenti, delle conoscenze e abilità nell’area lin- guistica - italiano e nell’area matematica in entrata, mentre al termine del se- condo anno la rilevazione comprenderà l’italiano, la matematica, la lingua straniera e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione; – il confronto dei livelli di apprendimento in entrata con quelli conseguiti nello stesso ambito di conoscenze ed abilità dopo due anni di formazione - guadagno formativo ottenuto nel periodo -; – l’elaborazione e validazione dei test al fine di conoscere le abilità iniziali e le potenzialità di apprendimento che siano coerenti con il contesto educativo e formativo del sistema; – l’applicazione delle prove ad un campione di soggetti i cui risultati ottenuti verranno rielaborati al fine della definizione del campione; – l’applicazione del campione finale alla generalità; – la elaborazione, interpretazione e rappresentazione dei dati raccolti, i cui risultati saranno comunicati e raccolti in un manuale di applicazione. 167 6) La strategia di rete REGIONE STRATEGIA DI RETE Lombardia Le Leggi regionali in materia di formazione professionale hanno svolto la fun- zione di inquadrare l’articolazione territoriale regionale del sistema della for- mazione professionale. In Lombardia ciò ha coinciso anche con la definizione di un “Piano triennale della formazione professionale” che ha introdotto, in- sieme alle norme sull’accreditamento, altre novità e modalità di organizzazione e finanziamento del sistema regionale della formazione professionale. Le evoluzioni normative, soprattutto quelle in materia di formazione e istru- zione quali l’art. 68 della Legge 144/99 (introduzione dell’obbligo formativo) e la Legge 53/2003 (legge Moratti) ridisegnano il panorama di riferimento e chiedono ai vari attori dei sistemi di ripensare il ruolo ed il compito che sono tenuti a svolgere ed anche le modalità con cui lo stesso viene svolto. Inoltre la L.R. 1/2000 ha ridisegnato il panorama delle competenze tra Regione e Province, proponendo che a livello regionale stia la gestione del raccordo tra la definizione e gli indirizzi e la pianificazione generale, mentre la programma- zione attuativa si attesti su un livello provinciale. Ciò ha in primo luogo comportato il trasferimento alle Province dei CFT a pre- cedente titolarità regionale, cui sono seguite gradualmente le deleghe in mate- ria di formazione e istruzione. La riqualificazione e il sostegno delle strutture formative, in modo da far na- scere una rete di soggetti in grado di offrire un servizio formativo significativo e mirato, è stato uno degli obiettivi del Fondo Sociale Europeo 2000-2006, che ha destinato la misura C1 all’adeguamento del sistema della formazione professionale. In particolare in questa realizzazione della rete i nodi periferici si sono ritrovati nell’urgenza di garantire: – l’esternalizzazione della funzione gestionale, per ovviare al doppio ruolo di programmazione e gestione; – far emergere la competitività dei CFT pubblici e valorizzare quelli privati. In tale contesto si è inserito a pieno titolo la realizzazione di un sistema di go- verno, al fine di rafforzare le funzioni di programmazione locale, sviluppando azioni rivolte alla rete degli Enti pubblici e privati che erogano formazione professionale per supportarne il processo di riqualificazione e rafforzarne la competitività. Il nuovo sistema di IFP che le varie riforme hanno delineato ha richiesto la costruzione e il governo della rete dell’offerta formativa, vale a dire la rea- lizzazione di un sistema di relazioni, dove esistono dei nodi depositari di alcune funzioni, che acquistano significato in quanto si rapportano ad altri nodi della rete. Tale sistema, che ora incomincia ad essere in grado di autoregolamentarsi, viene condiviso dal programmatore locale, al fine anche di favorire l’integra- zione più complessiva con la rete dei servizi per l’impiego e gli altri attori sia sociali che economici del territorio. Emilia Un sistema territoriale dell’istruzione e della formazione non si configura sol- Romagna tanto come funzione decentrata del sistema nazionale, ma si struttura in attua- zione delle scelte politiche del potere locale e si sviluppa mediante la con- vergenza e la collaborazione dei vari attori. 168 Perciò lo sviluppo della territorialità dei servizi è una scelta politica e fun- zionale a: – garantire la presenza dei servizi sul territorio o promuovere lo sviluppo delle potenzialità di quest’ultimo mediante le politiche di gestione dei servizi; – coprire la domanda individuale e collettiva di istruzione o perseguire una strategia di qualificazione della domanda, in relazione con le dinamiche del mercato del lavoro; – prescrivere natura, caratteristiche e contenuti dei servizi o favorire la con- vergenza di soggetti autonomi, con identità e interessi diversi, su un progetto condiviso di sviluppo del sistema di rete. Il sistema formativo in Emilia Romagna pertanto si configura come una rispo- sta alla domanda di servizi e la pluralità delle risorse (strutturali, tecnologiche e professionali) necessarie per produrre risposte corrispondenti è caratterizzata dalla complessità e configura il sistema di IFP come un ambito d’integrazione di reti di soggetti e servizi. La definizione degli indirizzi di politica territoriale dei servizi formativi non si è limitata ad esprimere un orientamento: ma ne ha definito le priorità, ha fatto convergere su di esse le risorse, ne ha fissato gli standard (di risultato e di processo). La realizzazione della rete ha permesso di incanalare una serie di flussi deci- sionali e informativi, così come lo scambio di risorse (tecnologiche e profes- sionali) tra soggetti diversi, che hanno finito per rappresentare il volano per il miglioramento del sistema pur essendo portatori di diverse culture organizza- tive e professionali. Lo sviluppo della rete dei soggetti del sistema di IFP da un lato ha favorito la collaborazione di soggetti diversi in funzione di un migliore conseguimento da parte di ciascuno di essi dei propri obiettivi (è il caso ad esempio del contri- buto del contesto produttivo alla definizione dei curricula formativi) dall’altro ha permesso la produzione di servizi che nessuno dei soggetti potrebbe garan- tire (o avrebbe grosse difficoltà a garantire) da solo (è il caso delle azioni per il recupero della disabilità e del disagio). In tal modo, la rete è diventata uno strumento di partecipazione, di condivi- sione delle responsabilità, di distribuzione dei compiti per la produzione dei servizi formativi. Ma come per ogni rete, l’esercizio di un ruolo paritario tra i diversi soggetti è stato possibile in quanto il funzionamento della rete è stato disciplinato da una forte azione di governo. La funzione di governo della rete è stata decisiva e svolta, a volte in un modo fin troppo autorevole, da chi ha, da sempre, ricoperto un ruolo primario nella programmazione della configu- razione e dello sviluppo sul territorio dei servizi dell’istruzione e della forma- zione professionale. Piemonte La dinamica di rete presente nel sistema del Piemonte prevede due tappe ri- levanti: – La prima, quella attualmente in corso, risponde alla necessità di delineare un sistema di organismi erogativi - Istituti scolastici e Centri di formazione pro- fessionale - che condividono i presupposti dei percorsi sperimentali e si dis- pongono a creare le condizioni di un sistema autenticamente integrato, tra- mite una varietà di opzioni che vanno dall’interazione all’integrazione dei percorsi, fino anche ad iniziative di orientamento e di prevenzione e recu- pero della dispersione e del disagio adolescenziale e giovanile. È propria di questa tappa la tendenza a creare un modello condiviso e riconoscibile di 169 progettazione, gestione del processo di apprendimento e di valutazione e certificazione. In ciò la Regione esprime istanze comuni anche ad altre realtà territoriali. – La seconda, di cui si stanno ponendo in questa fase le necessarie condizioni di natura normativa ed organizzativa, oltre che di consenso tra gli attori co- involti, mira ad aggregare gli organismi erogativi – partendo dai Centri di formazione professionale che sono oggi nella piena possibilità di effettuare questo cambiamento – entro associazioni che li possano rappresentare unita- riamente, secondo una prospettiva che enfatizza la condivisione dei criteri di fondo e delle opzioni metodologiche del processo di rinnovamento pedago- gico ed organizzativo che si sta delineando. Si tratta di una forma della ten- denza alla creazione di poli formativi che mira alla razionalizzazione del si- stema, alla creazione di legami stabili e continuativi tra Regione ed organi- smi formativi, alla creazione di “comunità di pratiche” in grado di superare la frammentazione e l’isolamento del passato. È una prospettiva che può creare difficoltà nel momento in cui venga concepita come una omologa- zione, ma potrà avere un esito positivo se verrà intesa come un modo per creare “comunanza” tra soggetti diversi, in una logica di maggiore scambio e cooperazione tra gli organismi, alla luce di una strategia condivisa di me- dio-lungo periodo. Provincia La strategia di rete vede innanzitutto un ruolo rilevante della stessa Ammini- di Trento strazione provinciale che svolge non solo un’opera di regolazione del sistema, ma si pone anche come soggetto di stimolo e di sostegno all’innovazione dando vita a coordinamenti e gruppi di lavoro sostenuti sia sul piano metodolo- gico, sia su quello delle risorse organizzative e finanziarie. Da tale attività emerge anche la forte tensione verso la valorizzazione delle di- verse proposte formative, da un lato, e la creazione di un spazio di interazione e di integrazione di sistema fra i vari attori, dall’altro. Un impegno rilevante si coglie nella gestione dei passaggi o “passerelle” che vede coinvolti tutti gli organismi del sistema secondario. Dal 1995, sono possi- bili i passaggi dalla FP agli Istituti tecnici; una commissione paritetica (preside e insegnate IP + direttore e insegnante FP) valutano la motivazione dell’allievo mediante un incontro; vi si aggiungono poi il parere del consiglio di classe e un colloquio con l’allievo stesso. Vi sono poi passerelle tra FP e IP mediante un percorso di raccordo con relativo riconoscimento di crediti. In questo caso è indispensabile che l’allievo prima di ottenere la qualifica statale consegua l’at- testato di qualifica nella FP. Per accedere all’esame è necessaria la frequenza al percorso di raccordo. Infine si riscontrano le passerelle al 1° anno nei primi due mesi di scuola tra FP e IP e viceversa (passerella orizzontale); gli allievi hanno la possibilità du- rante i primi due mesi di scuola di passare tra i due sistemi, in quanto è previ- sto in forma automatica mediante il rilascio di un nulla osta. Tutto ciò avviene tramite un forte impegno istituzionale della Provincia e dei suoi organismi e delle istituzioni formative; ne è prova l’esistenza di più stru- menti di governo dei processi di passaggio, ed in particolare: – Protocollo d’intesa del 1995 (per ITI) – Protocollo d’intesa del 1996 per tutti gli Istituti Tecnici – Protocollo d’intesa PAT-MIUR (2002) e successiva integrazione (2003). 170 La caratteristica fondamentale di quella che oggi viene chiamata la “società della conoscenza” consiste nel mettere quanto più possibile e nel modo più rapido ed efficiente in comunicazione persone o gruppi di persone e di considerare le competenze tecniche come risultati che emergono e vengono sviluppati nell’am- bito di un processo di interazione e di condivisione all’interno di sottogruppi e di reti di cooperazione. Questa impostazione sta influenzando lo stesso modello di in- novazione, che non viene più visto come processo lineare che avanza per passi ben definiti, ma come un modello secondo il quale le idee innovative possono prove- nire da diverse parti e si affacciano con tanto maggiore facilità e ricchezza quanto più queste parti sono messe in comunicazione reciproca. Allora il problema della convergenza tra le intelligenze, le conoscenze e le pratiche di soggetti individuali differenti verso un quadro di premesse, orienta- menti, valori comuni diventa così in grado di favorire una diffusa coesione sociale e una più stabile ed efficace incidenza dei rapporti di partnership e delle relazioni di collaborazione e di codecisione tra i diversi soggetti che intervengono nell’at- tuazione della riforma. Questa convergenza mostra non solo il linguaggio, ma anche il pensiero come strumenti finalizzati e tesi alla costruzione di uno sfondo il più possibile condiviso tra soggetti che partono da punti di vista magari profondamente diversi, ma che operano all’interno di “comunità di pratiche”. Ciò che oggi usualmente definiamo le “best practics”, non possono in alcun modo svilupparsi e dispiegare le loro po- tenzialità se non con il riferimento concreto a una comunità della quale siano espressione, per cui il problema dell’esistenza di soggetti, caratterizzati da un’iden- tità ben precisa, da un uso diverso del linguaggio e da uno spiccato senso di appar- tenenza, diventa centrale e significativo. Per tali motivi il “fenomeno rete” ha una forte incidenza sulla didattica e le sue implicazioni organizzative specie sotto forma di possibilità di nuove intera- zioni sociali, dentro e fuori il sistema educativo. Le esperienze realizzate nelle quatto Regioni per questo hanno avuto come fi- nalità principali la promozione di reti in grado di influire in forme e gradi diversi sui processi di insegnamento/apprendimento a partire da specifiche configurazione territoriali. Per cui reti così fatte, via via si sono determinate come: a) mezzo, in grado di ampliare le possibilità di accesso all’informazione e alla conoscenza, in modo da rendere possibili ed accessibili percorsi formativi, mettendo a disposizione ampli archivi e fonti di documentazione; b) luogo, in cui è possibile progettare e costruire ambienti per realizzare processi di apprendimento, alternativi rispetto a quelli usuali, e sperimentare modelli di insegnamento che non si esauriscano nell’ambito lezione, studio individuale ed esercitazione, sostenuto dalle abituali forme di verifica (interrogazione, compito in classe, test, ecc.); 171 c) modello, di un processo di insegnamento/apprendimento non come un sem- plice percorso di trasferimento/acquisizione di conoscenze date e apprendi- mento di regole e concetti che descrivono il mondo e la realtà circostante; ma l’esperienza della conoscenza come un processo di costruzione collettivo, so- ciale, ritenendo che l’unica forma di apprendimento la partecipazione attiva a tale processo e la capacità di uso dei risultati acquisiti, sotto forma di attitu- dine/competenza ad affrontare e risolvere problemi reali. Il nesso tra la rete e la didattica così ha potuto realizzare quella funzione cen- trale e preminente circa la possibilità di discussione, confronto, collaborazione tra i membri di una comunità partecipe di un processo: la rete quale veicolo di un mo- dello di apprendimento considerato, soprattutto, come appartenenza a una comu- nità, come risultato di una pratica all’interno di quest’ultima e come partecipazione al processo collettivo di costruzione della conoscenza. Così, la finalizzazione delle competenze alla trasferibilità rimanda a una spe- cifica organizzazione interna di tutti i diversi segmenti del nuovo sistema del- l’ “Istruzione e formazione professionale”. Il rapporto tra conoscenza e organizzazione non è un’attività casuale o sponta- nea, bensì un complesso di azioni programmato, organizzato e realizzato in condi- zioni di efficienza e di efficacia caratterizzato da un elevato grado di coordina- mento e di interdipendenza. La sistematica creazione ed applicazione delle conoscenze richiede una forte integrazione di competenze provenienti da soggetti, individuali e collettivi, diversi ed esige inoltre una continua e profonda revisione dell’organizzazione. Nello stesso tempo il lavoro progettuale e la relativa messa in opera delle atti- vità formative hanno avvalorato che la diffusione e il radicamento delle cono- scenze richiede soprattutto l’intervento e la mediazione di strutture sociali e cultu- rali più o meno organizzate del territorio in cui si è operato: la rappresentazione della conoscenza e l’immagine della scienza tipiche di un determinato periodo sto- rico tende a fornire un modello di problemi e soluzioni accettabili da parte di tutti coloro che nel sistema formativo, di fatto, per questo, in grado di dargli forma, tra- smettendone i contenuti che ogni sistema sociale considera fondamentali. Di contro bisogna constatare che l’odierna libertà di accesso all’informazione da parte di tutti rischia di provocare la diluizione e la perdita del senso della co- municazione. La massa dei messaggi e dei dati scambiati rende più arduo valutarne la qua- lità, permettendo al curioso di sostituire l’importante e, di fronte all’ampliarsi delle possibilità, nella scelta finisce con l’incidere sempre di più il caso. Alla luce dell’esperienza svolta è apparso chiaramente che è compito del si- stema educativo di istruzione e formazione, così come è possibile realizzare a par- tire dalla riforma in atto, di fornire solidi punti di riferimenti che consentano di orientarsi all’interno del flusso continuo dell’informazione. 172 Tale sistema certamente è in grado di porsi in una prospettiva di organizza- zione del sapere e delle conoscenze, che porti le persone ad una vera padronanza culturale, ovvero verso quell’insieme strutturato senza cui non esiste cultura e, in particolar modo, cultura professionale. 4. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE Da tutto ciò che si è detto precedentemente si può affermare che l’esperienza formativa si caratterizza con il fatto di aver bisogno di tempi più o meno lunghi per operare un cambiamento significativo e durevole, attraverso uno sguardo attento ai bisogni di tutta la società civile, in quanto spesso i soli pareri dei tecnici, o gli inte- ressi dei politici, o le sollecitazioni dei mass media sono quasi sempre abbastanza riduttivi. Un sistema educativo/formativo in grado di collocare al centro la persona, con la varietà dei suoi bisogni e dei suoi interessi, deve necessariamente appartenere a tutti, parlare a tutti, contare per tutti. Un sistema educativo/formativo che si pone al servizio della persona può essere in grado di affrontare le contraddizioni del no- stro tempo come una sfida. È possibile difendere una cultura unitaria e complessa, ma si può farlo solo se si hanno delle finalità e degli obiettivi comuni. La sperimentazione attuata nelle tre Regioni e nella Provincia di Trento sta av- valorando il criterio che un Paese civile, il quale intende tenere il passo con lo svi- luppo non solo economico, non può più dilazionare la messa in opera di un sistema educativo di istruzione e formazione capace di rispondere alla domanda di forma- zione delle persone e della società civile nelle sue varie componenti, dalle imprese al sistema politico, dalle comunità locali alle famiglie. Tale sistema, pur nell’attuale discontinuità delle sue forme organizzative e della sua qualità, ha bisogno di essere riformato in modo globale, recuperando sì i valori della tradizione, ma con una chiara consapevolezza di quanto la società sia cambiata, con l’articolare, programmare e gestire una diversa domanda di formazione. Sulla scorta dell’esperienza attuata è possibile individuare dei punti che sono di interesse per tutti, in modo da auspicare, per il bene comune dei giovani, un accordo di massima che valga fino all’attuazione competa della riforma. Il sistema educativo che emerge tende ad una qualità diffusa, in quanto si stanno sperimentando percorsi con la finalità di un miglioramento continuo dei processi educativi e formativi, garantendo l’obiettivo del successo formativo nella forme più adatta a ciascuna persona, anche l’eccellenza per i migliori, grazie alla valorizzazione e alla pari dignità dei diversi percorsi, che non si ottiene abbas- sando demagogicamente la difficoltà dei percorsi tradizionali, ma garantendo la qualità nella diversità. La riforma che può dare vita a un sistema di qualità è necessariamente una ri- forma capace di sviluppare i valori della tradizione e di accogliere i suggerimenti 173 che vengono da un sistema educativo in grado di creare cultura e di far proprie le indicazioni che vengono dal sistema produttivo e dalla società civile: una sistema in cui l’autonomia non è confuso e velleitario bisogno di novità, ma esercizio con- sapevole della responsabilità educativa, e la partecipazione non è una delega rasse- gnata o disinteressata, ma valorizzazione delle potenzialità educative delle fami- glie, delle imprese, delle comunità locali. Perché la riforma si realizzi e cresca diventa necessario garantire un quadro di consapevolezze e di consensi da parte sia degli “addetti ai lavori” che delle fami- glie e della pubblica opinione in generale, che devono essere messi nelle condi- zioni di condividerne le profonde ragioni culturali, accogliendo le esigenze di in- novazione culturale che emergono da questi ambiti, dove un ruolo significativo viene attribuito alle tecnologie, da intendersi come risorse per ampliare e differen- ziare le prospettive sul sapere e come occasione per ripensare i meccanismi del- l’organizzazione del lavoro all’interno del sistema educativo/formativo tutto. 175 Capitolo 7 Un bilancio sulla problematica Dario NICOLI 1. VALORE DELL’IMPEGNO SPERIMENTALE Il primo elemento che emerge dalla ricerca concerne la rilevanza dei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale come impegno che consente di mettere in gioco le risorse del sistema entro un’ipotesi complessiva – pedago- gica ed organizzativa – di rinnovamento delle pratiche proprie della formazione professionale tradizionale. Questa era centrata sulla visione propria della Legge quadro in materia di for- mazione professionale n. 845/78 dove si afferma all’articolo 1 che “La Repubblica promuove la formazione e l’elevazione professionale in attuazione degli articoli 3, 4, 35 e 38 della Costituzione, al fine di rendere effettivo il diritto al lavoro e alla sua libera scelta e di favorire la crescita della personalità dei lavoratori attraverso l’ac- quisizione di una cultura professionale. La formazione professionale, strumento della politica attiva del lavoro, si svolge nel quadro degli obiettivi della programma- zione economica e tende a favorire l’occupazione, la produzione e l’evoluzione del- l’organizzazione del lavoro in armonia con il progresso scientifico e tecnologico”. Questa impostazione che considera la formazione professionale come una so- luzione di “serie B” per ragazzi che non presentino una intelligenza tale da consen- tire loro di affrontare i percorsi della “vera” scuola trova un riscontro generale sia nel sistema educativo, sia nel mondo culturale e professionale in genere, con solo poche voci contrarie (Giugni, 1987; Bocca, 1998). Emerge uno scolasticismo di fondo che viene indicato raramente come un pro- blema e non come un dato di fatto per così dire “naturale” del nostro sistema (Chiosso, 2002). Si tratta di un’impostazione che rimane stabile nel tempo, nonostante le sem- pre più critiche performance della scuola italiana. Infatti, il tema della riforma del sistema di formazione professionale viene demandato all’articolo 17 della Legge 196/97, recante significativamente “Norme in materia di promozione dell’occupa- zione”, dove emerge di nuovo la concezione già indicata nella 845/78 ovvero la “valorizzazione della formazione professionale quale strumento per migliorare la qualità dell’offerta di lavoro, elevare le capacità competitive del sistema produt- tivo, in particolare con riferimento alle medie e piccole imprese e alle imprese arti- giane e incrementare l’occupazione, attraverso attività di formazione professionale 176 caratterizzate da moduli flessibili, adeguati alle diverse realtà produttive locali nonché di promozione e aggiornamento professionale degli imprenditori, dei lavo- ratori autonomi, dei soci di cooperative, secondo modalità adeguate alle loro rispettive specifiche esigenze”. È quindi merito del processo riformatore, ed in particolare della Legge 3/2001 di riforma costituzionale che attribuisce competenza esclusiva alle Regioni in ma- teria di istruzione e formazione professionale, e della Legge 53/03 e relativi De- creti che attuano tale innovazione costituzionale entro un quadro ordinamentale nuovo, di aver prodotto una svolta epocale in tema di cultura del lavoro e di pari dignità dei percorsi formativi. Tale svolta viene assunta anche dagli osservatori più attenti come un fattore di forte rilevanza per il rinnovamento del sistema nella sua totalità e non solo come riforma del solo comparto professionalizzante. Risulta infatti evidente la forza della visione tradizionale che peraltro ha por- tato gli Istituti tecnici e gli stessi Istituti professionali a divenire una sorta di ibrido a metà strada tra liceizzazione e professionalizzazione, con la conseguenza di ap- pesantire i percorsi formativi e nel contempo di abbassare le mete di riferimento sia nell’un campo sia nell’altro. Il disegno riformatore complessivo presenta un maggiore ventaglio di oppor- tunità formative – di pari dignità e tra di loro equivalenti ai fini del perseguimento delle mete proprie del PECUP ovvero del diritto-dovere di istruzione e formazione – che si propongono al giovane specie dopo la conclusione del primo ciclo degli studi, e che consente potenzialmente una maggiore corrispondenza con le diffe- renti caratteristiche cognitive, ma anche sociali dello stesso. È paradossale come diversi osservatori, invece di cogliere nel disegno di ri- forma la presenza di un principio di unificazione culturale – sancito anche dall’esi- stenza di un unico profilo educativo culturale e professionale per il secondo ciclo degli studi – parlino invece di ritorno alla divisione in classi/ceti sociali tipica della situazione precedente alla creazione della scuola media unificata. E non si com- prende come tali tesi possano essere sostenute, vista la loro totale infondatezza in relazione alla Legge 53/2003 e ai materiali che via via vengono elaborati in sede di applicazione della stessa. In realtà, la riforma propone un modello culturale di tipo olografico, e nel contempo avanza una prospettiva educativa aperta al contesto so- ciale, quindi non autoreferenziale. Tutta l’impostazione metodologica obbedisce al principio della sintesi e dell’ologramma: in particolare, gli obiettivi specifici di apprendimento (conoscenze e abilità interdisciplinari e disciplinari) non sono mai richiusi su se stessi, ma generano sempre un complesso e continuo rimando al tutto in un percorso basato su unità di apprendimento mirate a compiti e prodotti utili e dotati di senso. Lo stesso disegno punta alla centralità della competenza, ovvero quella carat- teristica della persona, mediante la quale essa è in grado di affrontare efficace- mente un’area di problemi connessi ad un particolare ruolo o funzione. La persona competente è in grado di mobilitare le risorse possedute (capacità, conoscenze, abilità) al fine di condurre ad una sua soluzione un compito-problema. La compe- 177 tenza non è pertanto riducibile né a un sapere, né a ciò che si è acquisito con la for- mazione. Essa è una dotazione del soggetto umano in un contesto definito e ne rea- lizza le potenzialità valorizzando le risorse, ovvero il suo equipaggiamento perso- nale (conoscenze, abilità savoir-fare, attitudini, esperienze, ecc.) e quello che de- riva dall’ambiente in cui vive (reti di rapporti umani, strumenti, banche dati, ecc.). La “capacità di combinare queste risorse è la competenza di una persona di co- struire le competenze che le sono necessarie. Si tratta di una capacità molto com- plessa, una sorta di ‘scatola nera’ difficilmente accessibile e si trova nel cuore del- l’autonomia di un individuo” (Le Boterf, 1998, 173). Progettare per competenze significa coinvolgere la realtà nel processo educativo, mettere in gioco i saperi in quanto patrimonio utile e dotato di senso, rintracciare i legami che sussistono tra la realtà con i problemi e le sfide ed il patrimonio di cui l’istituzione scolastica è por- tatrice. È convinzione diffusa che le conoscenze non possano essere ricondotte uni- camente a materie, discipline o aree culturali. Da ciò consegue che compito della scuola non è trasmettere le nozioni, quanto consentire nell’alunno la formazione di un metodo che gli consenta una “conoscenza pertinente, quella capace di collocare ogni informazione nel proprio contesto e se possibile nell’insieme in cui si in- scrive. Si può anche dire che la conoscenza progredisce principalmente non con la sofisticazione, la formalizzazione e l’astrazione, ma con la capacità di contestua- lizzare e di globalizzare” (Morin, 2000, 8). Il valore dell’impegno sperimentale emerge quindi in tutta la sua importanza, anche se non sempre le soluzioni adottate appaiono all’altezza delle aspettative. 2. DUE MODELLI EMERGENTI L’analisi delle prassi sperimentali pone in evidenza a grandi linee l’esistenza di due modelli di fondo, con soluzioni intermedie tra i due: a) Il modello che per semplificare chiamiamo integrale o “puro” (Nicoli, 2004) esprime una varietà di soluzioni adottate da vari organismi ed istituzioni anche non di ispirazione cristiana, e che consiste in un modello organico di percorsi strutturati, in prospettiva verticale o di filiera formativa, basato sui tre livelli della struttura del lavoro e delle professioni (qualificato, tecnico, tecnico supe- riore/quadro) con enfasi sul diploma di tecnico professionale. Diversi sono i casi in cui si applica, tra cui emergono le regioni del Nord Italia: Piemonte, Lombardia (i cui materiali sono stati privilegiati nell’analisi successiva), Ve- neto, Liguria, Friuli Venezia Giulia, ma anche Sardegna e in parte Sicilia. b) Il modello che – sempre in forma semplificativa – chiamiamo integrato e che consiste nella elaborazione di un cammino per moduli formativi strutturati in modo da individuare con chiarezza e distinzione l’area culturale di compe- tenza della scuola e l’area tecnico-professionale di competenza dei Centri di formazione professionale. Il caso istituzionale emblematico di tale modello 178 cui ci riferiamo è quello della Regione Emilia Romagna – a cui facciamo rife- rimento per l’analisi successiva – cui va associata l’Umbria, e per certi versi anche la Toscana e la Campania. Esistono, come abbiamo detto, anche altre versioni intermedie, che corrispon- dono in sostanza ad una attenuazione del carattere esclusivo della soluzione inte- grale attraverso il coinvolgimento delle scuole su aree formative di natura culturale di base senza peraltro stravolgere l’impianto di fondo basato su unità di apprendi- mento, specie interdisciplinari, e su piani formativi personalizzati: è il caso del Friuli Venezia Giulia e di alcune Province come quella di Torino. Già questo dato circa le soluzioni miste dimostra che il primo modello appare più flessibile del secondo, e quindi dimostra una maggiore profondità progettuale che sui adatta a varie soluzioni organizzative, mentre il secondo risulta più rigido ed emerge non già come vero e proprio modello, ma come una soluzione organiz- zativa peculiare. Vi è anche il modello della Provincia di Trento, ma esso appare per consi- stenza, metodologie, e processi organizzativi molto affine alla prospettiva del primo modello, anche se molti sarebbero gli spunti emergenti dalla realtà trentina che da sempre costituisce un laboratorio di grande ricchezza in materia di percorsi formativi (Frisanco, 2005). Ma andiamo con ordine. Innanzitutto occorre esplicitare una seri di questioni tramite le quali analizzare i due modelli e giungere a qualche considerazione conclu- siva e prospettiva avvalorata dall’analisi. Si propongono le seguenti perché si ritiene colgano gli aspetti centrali di una proposta di istruzione e formazione professionale: 1) riferimento alla cultura del lavoro ed alle finalità educative, culturali e pro- fessionali 2) modello di rappresentazione della professionalità 3) modello didattico-formativo e relazione tra area culturale ed area profes- sionale 4) soluzioni organizzative 5) esiti in termini di risposte ai fabbisogni degli utenti e del contesto 6) valorizzazione dell’autonomia degli organismi e della loro competenza edu- cativa. 2.1. Il modello integrale (o “puro”) 1) Riferimento alla cultura del lavoro ed alle finalità educative, culturali e professionali Nella prospettiva da cui emerge il modello integrale, la formazione è stretta- mente connessa alla struttura del lavoro intesa come ambito simbolico, operativo e relazionale nel quale si sviluppa l’attività umana come dinamica di “creazione so- ciale”. Il lavoro, in particolare il tipo di lavoro emergente dall’attuale dinamica so- 179 ciale ed economica, è portatore di una “formatività” implicita che va innanzitutto riconosciuta e poi valorizzata verso la massima promozione delle risorse umane. Il riferimento prioritario in tema di metodologie va al PECUP, disponibile in forma pressoché definitiva come allegato alle varie bozze del Decreto sul secondo ciclo degli studi, già a partire dalla fine del 2003, ovvero al documento che indica le mete educative, culturali e professionali dell’intero secondo ciclo degli studi. Ciò a garanzia della unitarietà del sistema e del superamento della scissione delete- ria tra “cultura accademica” e “cultura operativa”. Questa opzione esclude quindi che la formazione abbia una struttura esclusivamente tecnico-pratica, come pure esclude la giustapposizione tra tali abilità e le conoscenze della cosiddetta area culturale comune. Nel quadro tracciato dal Profilo educativo, culturale e professionale dello stu- dente alla fine del secondo ciclo di istruzione e di formazione, di cui all’art. 2, comma h, della Legge 28 marzo 2003 n. 53, ogni singola tipologia dei percorsi educativi del sistema dell’istruzione e formazione professionale promuove la tra- sformazione delle capacità degli studenti in competenze personali, acquisendo in tal modo l’insieme delle conoscenze e delle abilità culturali, sociali e professionali previste dal suo specifico piano di studi. Il sistema di IFP, di conseguenza, rappre- senta una modalità, di pari dignità rispetto a quella dei percorsi liceali, per la piena maturazione della persona, entro una prospettiva metodologica fondata sulla consi- derazione del lavoro come giacimento educativo, culturale e didattico privilegiato, dal quale trarre esperienze formative che possano stimolare l’assunzione di respon- sabilità degli studenti in rapporto a “compiti di realtà”, affrontando e risolvendo i quali essi possano acquisire competenze e nel contempo conoscenze (sapere) ed abilità (saper fare). In tal modo, si delinea l’unità di un processo formativo, nel quale teoria e pra- tica si richiamano continuamente, e l’unità di un processo di maturazione perso- nale, nel quale ogni giovane potrà esprimere la propria originalità e inventiva, coerentemente con le proprie attitudini e la propria vocazione. La cultura del lavoro viene considerata come un “bacino culturale” in grado di consentire al giovane – a partire da realtà concrete connesse al lavoro umano – di cogliere il legame che intercorre tra compiti reali, processi tecnologici, aspetti scientifici, elementi della cultura linguistica, della storia, delle scienze umane, della cittadinanza attiva. Con ciò si intende la struttura olistica del sapere, caratte- rizzata dal principio “il tutto nelle parti, le parti nel tutto”, oltre al suo corollario: “il tutto è maggiore della somma delle parti”. L’istruzione e formazione professio- nale è strettamente connessa alla struttura del lavoro intesa come ambito simbo- lico, operativo e relazionale nel quale si sviluppa l’attività umana come dinamica di creazione sociale. Ciò comporta la necessità di delineare i modi del rapporto tra formazione e lavoro. Il lavoro, in particolare il tipo di lavoro emergente dall’at- tuale dinamica sociale ed economica (post-tayloristica e post-burocratica), è porta- tore di una “formatività” implicita che va innanzitutto riconosciuta e poi valoriz- zata verso la massima promozione delle risorse umane. 180 2) Modello di rappresentazione della professionalità La struttura della realtà professionale viene delineata attraverso le comunità o aree professionali che indicano aggregati di figure che condividono la stessa cul- tura del lavoro e quindi i compiti tipici, le tecnologie ed i processi, i percorsi di formazione. La prospettiva formativa è fondata non sullo specialismo, ma sulla cultura del lavoro. Ciò significa mirare essenzialmente a figure riferite ad aree pro- fessionali di ampia aggregazione, sostenendo quindi una prospettiva finalizzata alla riflessione critica sul sapere, sul fare e sull’agire, allo sviluppo dell’autonoma capacità di giudizio e l’esercizio della responsabilità personale e sociale. Tale im- postazione è alternativa alla prospettiva che concepisce il lavoro come insieme di attività pratiche e ritiene che formare significa “montare” le parti di un individuo. Essa infatti propone una visione culturale ed olistica del lavoro ed inoltre una visione educativa della formazione. In tal senso le competenze identificano non tanto una dotazione data una volta per tutte e predefinita, quanto una disposizione particolare del soggetto ad essere protagonista della cultura del lavoro come partecipazione responsabile e dotata di senso ad un’esperienza di crescita personale e collettiva nell’ambito delle realtà di riferimento. Ciò consente anche di modulare lungo il percorso le figure professio- nali entro l’ambito di riferimento, anche in forma plurima entro lo stesso gruppo classe, in modo da corrispondere meglio alle necessità ed opportunità di un sistema economico e lavorativo-professionale. La logica delle competenze deve inoltre spingere ad una formazione più ampia e più ricca della qualifica o del lavoro scelto, superando la prospettiva specialistica in modo che la persona sia consape- vole delle trasformazioni e delle necessarie nuove acquisizioni che consentano di essere protagonisti di uno scenario professionale fortemente dinamico. L’area professionale così intesa supera la classificazione per settori economici e merceologici, come pure quella per titoli di studio. Prevalgono entro ogni area professionale le figure polivalenti, che condividono una quota consistente di com- petenze; ciò riflette un’opzione di fondo che attribuisce al sistema educativo il compito di formare i requisiti fondamentali della cultura del lavoro e delle profes- sioni, senza cadere nell’astrattezza e nel genericismo dell’apprendimento. Quando necessario, la figura professionale polivalente viene articolata in un numero essen- ziale di figure di indirizzo, tramite l’indicazione dei fattori (competenze, cono- scenze ed abilità) ulteriori rispetto a quelli previsti nell’ambito polivalente. Ciò consente di concepire i processi del sistema di istruzione e formazione professio- nale come un percorso sempre aperto, che favorisce la ridondanza delle acquisi- zioni in rapporto specialmente all’evoluzione del cammino di crescita professio- nale, ma anche in riferimento alle diverse possibilità di transizione tra una figura e l’altra, tra un’area e l’altra. 181 3) Modello didattico-formativo e relazione tra area culturale ed area profes- sionale La metodologia formativa è fortemente basata sulla didattica attiva e sull’ap- prendimento dall’esperienza, centrata sulle competenze e sul profilo educativo, culturale e professionale del destinatario. Ciò porta a realizzare il più possibile la- boratori di apprendimento (personali, sociali, professionali) specificati in compiti reali che richiedono una integrazione delle diverse discipline o aree formative co- involte. Questo al fine di dar vita ad un approccio amichevole che valorizza l’espe- rienza dei giovani e conduce in modo induttivo verso traguardi di sapere soddisfa- centi orientati a compiti concreti, valutati sulla base di specifici prodotti. Vengono pertanto individuate nell’ambito professionale e nella vita quotidiana e sociale dei giovani delle situazioni di apprendimento reali e stimolanti in rap- porto al profilo educativo, culturale e professionale di riferimento; in tal modo il processo si sviluppa mediante unità di apprendimento definite contestualmente dall’équipe dei docenti-formatori sulla base di una traccia o proposta di massima che può prendere la forma di una guida per l’elaborazione dei piani formativi per- sonalizzati. Le unità di apprendimento non sono unità didattiche (che si riferiscono alle conoscenze ed alle abilità) né moduli formativi (ripartizioni astratte del per- corso formativo), bensì rappresentano attività centrate su compiti reali rispetto ai quali i docenti forniscono il proprio contributo in coerenza con le loro finalità, il prodotto atteso, le conoscenze e le abilità mobilitate. I formatori sono chiamati a impegnarsi a mirare l’azione educativa in riferi- mento ad obiettivi formativi significativi e motivanti per gli allievi, nella forma dei “Piani personalizzati degli studi” che ogni gruppo docente è chiamato a realizzare strutturandoli in “Unità di apprendimento”. In ingresso ed in itinere debbono es- sere realizzate azioni di riconoscimento dei crediti formativi comunque acquisiti, in via formale, informale e non formale. Ciò richiede l‘adozione, nell’ambito dei percorsi, del portfolio/libretto formativo tramite il quale documentare la progres- sione dell’allievo in ogni fase, consentendogli di svolgere un ruolo di corresponsa- bilità nella conduzione del processo formativo che lo riguarda. 4) Soluzioni organizzative Il modello che presentiamo prevede una ampia serie di soluzioni organizzative per ciò che concerne l’offerta formativa e la sua articolazione: a) Da un lato troviamo i percorsi istituzionali a tempo pieno che si definiscono sulla base di una sequenza che nella logica passo passo della sperimentazione procede ovviamente di anno in anno, mentre nella prospettiva ordinaria mira alla centralità del diploma professionale ovvero al quadriennio. Il quarto anno risulta quindi in questa prima fase un completamento del percorso triennale, anche se la prospettiva cui si tende non è quella compositiva (3+1) bensì quella tesa a fornire a tutti i destinatari un’offerta formativa organica a carat- 182 tere quadriennale, fatta salva la libertà di ciascuno di uscire dai percorsi con la qualifica di IFP. Ciò può dar vita a gruppi di allievi che differenziano le loro esperienze formative in vista di esiti definiti. Nel caso della Lombardia, i per- corsi istituzionali a tempo pieno vedono sia i Centri di formazione professio- nale sia gli Istituti tecnici e professionali che svolgono questa offerta speri- mentale sulla base di accordi ad hoc e nell’ambito dell’autonomia scolastica. b) Dall’altro troviamo altre opportunità formative di tipo destrutturato, ovvero basate su una progressione maggiormente costruttiva che delinea passi pro- gressivi centrati sulle capacità e possibilità delle persone, specie quelle poste in particolari situazioni di difficoltà, tendendo ad accrescere il proprio baga- glio di conoscenze, abilità e competenze e mirando sia idealmente sia concre- tamente ad un completamento formativo che preveda il diploma di IFP. c) Sono da segnalare anche le possibilità di interazione tra Centri di formazione professionale e scuole, queste ultime coinvolte specie per l’area culturale di base, anche se la titolarità risulta sempre dei Centri di formazione professio- nale, quindi garantendo una conduzione non scolastica del percorso formativo specie per la didattica e la valutazione. In generale, emerge una varietà di soluzioni organizzative, che prevedono l’azione sia di CFP sia di scuole ed anche l’interazione ovvero la collaborazione dei primi con le Istituzioni scolastiche là dove è sollecitato il loro coinvolgimento specie nelle docenze riferite all’area culturale. 5) Esiti in termini di risposte ai fabbisogni degli utenti e del contesto Circa questo punto, abbiamo a disposizione una serie di monitoraggi effettuati nell’ambito delle sperimentazioni nazionali, oltre al monitoraggio svolto da CIOFS/FP e CNOS-FAP in tema di iniziative collocate in varie realtà nazionali. Innanzitutto vi è la ricerca-azione di supporto alla sperimentazione della for- mazione professionale iniziale secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP realiz- zato in base all’art. 68 della Legge 144/99 sull’obbligo formativo, quello che può essere considerato il prototipo del successivo modello sperimentale (Malizia - Ni- coli - Pieroni, 2002). In sintesi, l’analisi dei percorsi vede emergere innanzitutto il progressivo successo dell’iniziativa (confermato poi dai dati degli anni successivi). La grande maggioranza degli iscritti al 1° anno della sperimentazione (70.1% e 68.1%) si trovava in una situazione di difficoltà dal punto di vista scolastico in quanto semplicemente “prosciolti dall’obbligo”: non hanno cioè conseguito la pro- mozione al secondo anno della scuola secondaria superiore e si sono potuti iscri- vere alla FPI perché al compimento del quindicesimo anno di età hanno dimostrato di aver osservato per almeno 9 anni le norme sull’obbligo scolastico. Neppure un quinto degli allievi (18 e 19.1%) si trovava nella condizione di “obbligo adempiuto”, cioè ha conseguito la promozione al secondo anno della su- periore. Il leggero calo nel biennio del primo gruppo e il lieve aumento del se- 183 condo non offrono un fondamento adeguato per poter parlare di un cambiamento sostanziale nel tempo dell’andamento dei dati. In sintesi, nonostante gli sforzi compiuti per porre su un piede di parità il sot- tosistema di istruzione e quello di formazione, la FP continua a essere considerata un canale di serie B sia perché, per effetto della modalità con cui è avvenuta l’ele- vazione dell’obbligo scolastico, la secondaria superiore ha assunto il monopolio dell’orientamento del post-obbligo e cerca di trattenere tutti gli studenti che la fre- quentano tranne i marginali, sia in quanto non è ancora cambiata nell’immaginario collettivo la percezione della FP. Il fenomeno dell’abbandono è inferiore al 10% dei casi, nel 1° anno, e al 5%, nel 2° anno. Le cifre non sono drammatiche e sono nettamente inferiori ai dati de- gli Istituti tecnici e soprattutto degli Istituti professionali, ma rimangono significa- tive e devono spingere a trovare le strategie per rendere solo fisiologiche le uscite prima della conclusione. In ogni caso, l’andamento complessivo dei flussi, in particolare per quanto ri- guarda il rapporto allievi ritirati/aggiunti, permette di attribuire alla sperimenta- zione un indubitabile successo in quanto le perdite, a lungo andare, si sono ridotte già a partire dal 2° anno, mentre, nel 1° della seconda sperimentazione, oltre alla diminuzione delle perdite, sono contemporaneamente aumentati, rispetto al 1° anno della prima sperimentazione, i soggetti che si sono aggiunti. Dal punto di vista metodologico, emerge una buona predisposizione degli or- ganismi formativi verso una prospettiva pedagogica orientata alla personalizza- zione dei percorsi formativi, con un approccio che privilegia la valorizzazione delle modalità attive quali il laboratorio, i compiti reali e non raramente le simula- zioni e i casi di studio. Soprattutto l’analisi delle prassi pedagogiche e didattiche rivela una ricchezza di intenti e una concentrazione di risorse in direzione di una metodologia completa, organica, ancorata ad un’impostazione educativa, culturale e professionale esplicita. Questo significa che gli organismi indagati – appartenenti alla tradizione “educativo-professionale” – si sono trovati molto a loro agio nel cogliere l’opportunità dell’obbligo formativo al fine di rilanciare la loro proposta formativa. In secondo luogo vi è la ricerca ISFOL (Allulli - Nicoli - Magatti, 2003) da cui emerge una diffusa valutazione positiva, da parte degli studenti, dell’offerta complessiva dei Centri di formazione professionale interessati dalla ricerca. La formazione professionale, nella visione che ne comunicano i destinatari, sembra svolgere già oggi, in buona misura, una pluralità di funzioni educative, formative e di integrazione sociale (che a volte assumono la forma, soprattutto nelle Regioni meridionali ed insulari del Paese, della “re-integrazione” in un contesto di “pari grado”, dal quale il frequente insuccesso scontato nel percorso scolastico prece- dente può avere generato il rischio di una pericolosa uscita o auto-esclusione). Stando ai giudizi degli studenti, il sistema della formazione professionale si sta quindi indirizzando progressivamente verso una fisionomia più simile a quella che le riforme degli ultimi anni le hanno gradualmente attribuito. Rimane centrale, 184 e si ritiene vada ulteriormente adeguata e perfezionata, la funzione di raccordo esercitata dai Centri di formazione professionale tra studenti e mondo del lavoro, accompagnata da una particolare attenzione alle caratteristiche del sistema econo- mico del territorio nel quale il Centro si trova ad operare. Particolare attenzione è stata data nel corso dell’indagine all’utilizzo delle metodologie che hanno consentito una maggiore flessibilizzazione dei percorsi ed una migliore personalizzazione degli interventi. L’orientamento e le metodologie attive rappresentano due passaggi fondamentali di una strategia della formazione professionale rivolta alla individualizzazione e personalizzazione dell’attività for- mativa rispetto alle caratteristiche dell’individuo ed alle modalità con cui si pone/porrà di fronte al mondo del lavoro. L’orientamento svolge una funzione portante per consentire alla persona di es- sere soggetto attivo nella costruzione e realizzazione del proprio progetto perso- nale/professionale. Le metodologie attive permettono di rispondere alla crescente eterogeneità dei target, dei bisogni, delle caratteristiche psico-sociali degli utenti, alla luce di una condizione giovanile sempre più variegata per tipologia di compor- tamenti e atteggiamenti verso il lavoro. Circa i percorsi sperimentali triennali, disponiamo di vari monitoraggi specie per il Veneto, la Lombardia, il Piemonte e la Liguria da cui emerge una crescita progressiva di iscritti, un risultato formativo mediamente superiore a quello di rife- rimento (istruzione tecnica e professionale), una forte continuità nei percorsi ed una soddisfazione piena dei vari attori, con indicazione di talune criticità nel rap- porto tra area culturale ed area tecnico-laboratoriale (dove gli allievi vorrebbero una maggiore intensità di quest’ultima) e nella disponibilità di risorse per la piena personalizzazione dei percorsi. Si presentano alcune riflessioni provenienti dal monitoraggio della Regione Liguria, quello che appare più sistematico e puntuale e che vede coinvolta l’Uni- versità di Genova (Nicoli - Palumbo - Malizia, 2005) da cui emerge un quadro va- lutativo sostanzialmente positivo, anche se in presenza di alcune difficoltà, in parte dovute ad aspetti problematici propri di una situazione sperimentale – e quindi tra- sversali a tutti i progetti analizzati – e in parte riconducibili a specifiche situazioni. I punti di forza sono indicati nei seguenti: a) Équipe didattiche allargate e pluridisciplinari, con attenzione alla dimensione globale dell’allievo/a b) Rete sociale consolidata con particolare riferimento al rapporto con il sistema produttivo locale e all’attivazione di sinergie positive con alcuni servizi sociali territoriali per la gestione dei casi più problematici c) Attenzione costante alla gestione del rapporto con le famiglie d) Dispositivi interni di monitoraggio del progetto sperimentale, rivolto sia ai corsisti sia alle famiglie, con riferimento a tutti gli ambiti dell’attività presso il Centro 185 e) Valutazione di gradimento molto alta da parte del campione di allievi/e incon- trati, con particolare riferimento all’autovalutazione degli apprendimenti, ai docenti e alla soddisfazione complessiva f) Gestione dell’accoglienza e attenzione all’orientamento in itinere g) Implementazione di alcune strategie di personalizzazione (e individualizza- zione) del percorso formativo sia attraverso i LaRSA, sia nell’attività didattica ordinaria. Le indicazioni di miglioramento sono: a) Sviluppare la metodologia di progettazione per unità di apprendimento, par- tendo dall’identificazione di compiti reali e attraverso un’integrazione tra le attività d’aula e di laboratorio b) Stabilizzare e consolidare il rapporto con i docenti esterni, favorendo un mag- gior coinvolgimento nella fase di progettazione delle unità di apprendimento, anche attraverso un potenziamento dei momenti di raccordo/coordinamento didattico extra aula c) Programmare momenti di formazione congiunta e di condivisione dell’im- pianto della sperimentazione e della riforma, soprattutto con i docenti prove- nienti dalla scuola d) Migliorare, per alcuni casi, la collocazione logistica e organizzativa delle atti- vità formative e) Ridefinire, là dove esiste, il rapporto con la scuola, in modo da favorire una reale condivisione della progettazione e realizzazione del percorso formativo, e più in generale un maggior coordinamento delle attività f) Consolidare, là dove ancora non sia stato fatto, uno strumento interno di mo- nitoraggio della crescita dell’allievo/a g) Sviluppare il tema della “valutazione autentica”, con particolare riferimento all’adozione di un portfolio/libretto formativo. In definitiva, sia pure con differenze territoriali e contestuali, il movimento della sperimentazione secondo l’approccio integrale o puro sembra sostenuto dal successo sia dal punto di vista degli apprendimenti e del gradimento, sia da quello metodologico e organizzativo. 6) Valorizzazione dell’autonomia degli organismi e della loro competenza edu- cativa Uno degli esiti più rilevanti di un progetto sperimentale consiste nella valoriz- zazione della vocazione educativa e formativa degli organismi e lo stimolo all’e- sercizio pieno delle competenze proprie dell’autonomia ovvero quelle didattiche e quelle organizzative. 186 Il modello integrale o puro si è concentrato prevalentemente sui Centri di for- mazione professionale, da questo punto di vista si può sostenere che esso esprime in modo evidente la capacità progettuale degli organismi che ha saputo procedere attraverso due tappe successive: i percorsi sperimentali per quindicenni a seguito della Legge 9/99 che elevava l’obbligo scolastico di un anno, ed i percorsi speri- mentali tri-quadriennali prevalentemente per quattordicenni. Ne emerge una chiara visione educativa e culturale dei processi formativi, anche se nelle prassi didattiche il maggiore risultato si rileva nell’ambito della personalizzazione mentre l’attività didattica vede ancora una fase intermedia tra le pratiche “dualistiche” (cultura da un lato, tecnologia e laboratorio professionale dall’altro) e la nuova impostazione olistica, basta su unità di apprendimento interdisciplinari e inter-aree formative. Un punto rilevante riguarda le istituzioni scolastiche. Le analisi mostrano che in buona parte le attività di interazione si svolgono in modo positivo secondo un approccio formativo e non scolasticistico, mentre merita certamente un accenno l’esperienza degli Istituti tecnici e professionali lombardi che sono ora al secondo anno di sperimentazione con esiti parziali che sono considerati anch’essi media- mente positivi, ma su cui occorrerà svolgere analisi più approfondite. 2.2. Il modello integrato 1) Riferimento alla cultura del lavoro ed alle finalità educative, culturali e pro- fessionali I percorsi integrati di istruzione e formazione hanno la finalità di migliorare la qualità del complessivo sistema formativo, rinnovando e rinsaldando il rapporto tra formazione generale e cultura del lavoro. Il perseguimento di tale finalità, fondata sull’arricchimento dell’offerta utilizzando le potenzialità insite nei due sistemi (quel- lo logico-sistematico, più diffuso nella scuola, e quello empirico-problematico, che più caratterizza la formazione professionale), ha richiesto l’attuazione di un impian- to pedagogico-didattico nel quale conoscenze, azioni e comportamenti sono intrec- ciati per promuovere lo sviluppo delle capacità del giovane, che diviene protagonista della costruzione del proprio apprendimento anche mediante la valorizzazione dei ca- ratteri tipici dell’esperienza: empatia, comunicazione, coinvolgimento, operatività. L’integrazione fra l’istruzione e la formazione professionale è stata intesa al- tresì la condizione per superare la frammentazione delle competenze istituzionali e dei ruoli sociali e per rimettere al centro la persona con le sue caratteristiche e le sue esigenze, garantendone la crescita culturale e l’esercizio dei diritti fondamen- tali di cittadinanza. In tale contesto, l’integrazione è stata concepita in chiave progettuale non come giustapposizione di area culturale ed area tecnica-professionale, ma come occasione per introdurre forti elementi di innovazione formativa ed esprimere al meglio tutto il suo potenziale se si sviluppa nel territorio un’ampia azione di colla- borazione fra le autonomie istituzionali e funzionali, con particolare riferimento ai 187 soggetti dei sistemi formativi interessati ai percorsi integrati. In tal modo, attra- verso la creazione di una virtuale “comunità” territoriale, risultano infatti favoriti gli scambi di esperienze, i confronti su punti critici e su possibili soluzioni da con- dividere, l’arricchimento reciproco, la crescita professionale, la qualificazione del complessivo sistema formativo locale, facendo assumere all’integrazione fra istru- zione e formazione professionale, con il contributo di tutte le risorse disponibili, i tratti di positiva strategia di sviluppo locale. Nella prospettiva di un sistema formativo di qualità, che intende accompa- gnare tutti al successo formativo, il contrasto alla dispersione, all’abbandono e al “disagio” non si connota come un’azione di recupero, ma assume le caratteristiche di potenziamento delle capacità di scelta di ciascuno attraverso azioni sistematiche di orientamento, di progettazione di percorsi in grado di valorizzare le diverse atti- tudini e le diverse forme di intelligenza, nonché di tener conto dei diversi stili co- gnitivi, di realizzazione di processi di insegnamento/apprendimento descrivibili e valutabili. La lotta alle disuguaglianze e la valorizzazione delle differenze si realiz- zano, infatti, favorendo scelte consapevoli e coerenti con gli interessi e le attitudini di ciascuno ed assicurando modalità di passaggio tra indirizzi e sistemi. Il modello emiliano-romagnolo non fa alcun riferimento alle mete educative, culturali e professionali proprie del PECUP, sia pure disponibile in bozza. Il riferi- mento reale pare quindi essere una rappresentazione della cittadinanza che è costi- tuita dalla somma di componenti professionali, culturali e di educazione civica. L’aspetto educativo risulta pertanto accessorio e non pienamente centrale nel pro- cesso di progettazione. 2) Modello di rappresentazione della professionalità La qualifica professionale è un titolo formale espresso in competenze profes- sionali che viene attribuita al singolo al termine di un percorso formativo. Tale qualifica mette in evidenza e garantisce il possesso, da parte della persona, di tutte le competenze che la compongono. La Regione Emilia Romagna dispone di un proprio “Sistema Regionale delle Qualifiche” (SRQ) formato da 85 qualifiche professionali rilasciate secondo una procedura regolamentata dalla Regione stessa. Nel repertorio, le qualifiche/figure sono aggregate per aree professionali, ovvero per insiemi di qualifiche/figure omo- genee per macroprocessi di riferimento e/o per competenze professionali caratteri- stiche. Il SRQ prevede una descrizione di ogni qualifica in termini di standard pro- fessionali essenziali ed una specifica procedura sorgente per l’aggiornamento e la manutenzione del repertorio. La procedura sorgente garantisce l’aggiornamento e l’inserimento di nuove qualifiche e dei relativi standard professionali al fine di as- sicurarne l’adeguamento all’evoluzione dei processi produttivi e delle competenze richieste per operarvi; tale procedura consente l’adeguamento della programma- zione di un’offerta formativa di qualità, a sostegno dei processi di sviluppo econo- mico e di innovazione del territorio regionale. 188 La qualifica può anche essere acquisita attraverso la somma di certificazioni parziali, ottenibili in percorsi di apprendimento diversi e in momenti diversi della propria vita. In tal modo si intende consentire di misurare, capitalizzare e spendere i risultati di un processo di apprendimento nei sistemi dell’istruzione, della forma- zione e del lavoro. La certificazione si differenzia dalle altre forme di attestazione per il grado di formalità e ufficialità che la contraddistingue, per testimoniare in modo “certo” il possesso di date competenze. È indispensabile infatti che le proce- dure di valutazione, documentazione e registrazione delle competenze definite dalla Regione siano applicate con rigore da tutti soggetti coinvolti nel processo di certificazione. 3) Modello didattico-formativo e relazione tra area culturale ed area profes- sionale Gli obiettivi pedagogici del modello emiliano-romagnolo sono: a) Ampliamento e diversificazione dell’offerta formativa, nell’ottica di un pro- getto elaborato e condiviso su un determinato territorio (rapporto tra qualità del progetto locale e identità del “modello” regionale). Rispetto alla “quota” di curricolo regionale, la Regione ha fatto la scelta di investire fortemente sulle autonomie scolastiche e quindi sui partenariati con gli Enti di formazione. b) Riorganizzazione epistemologica e metodologica dei percorsi formativi, che ricerchino i “nuclei fondanti” delle cose da apprendere, indichino le compe- tenze in uscita da conseguire, anche attraverso idonee misurazioni finalizzate al riconoscimento dei crediti, in relazione agli standard nazionali e regionali, si impegnino in una forte innovazione didattica per valorizzare una pluralità di apprendimenti e di “ambienti formativi”. c) Forte investimento sull’azione orientativa del percorso, soprattutto nel bien- nio, in collegamento stretto con la scuola precedente. Gli obiettivi professionali sono: a) L’autonomia professionale e la flessibilità organizzativa sono indispensabili per il successo del percorso e la progressiva crescita del sistema. b) La strategia della “ricerca-azione” rappresenta il filo conduttore per sviluppare la cooperazione professionale tra i due settori (confronto tra le rispettive cul- ture professionali, individuazione congiunta dei bisogni formativi e defini- zione degli obiettivi e competenze), per migliorare progressivamente l’azione didattica, per valorizzare l’aspetto “produttivo” e non solo riproduttivo dell’at- tività docente e formativa. c) Implementazione “territoriale”, a raggio progressivamente più ampio, del si- stema attraverso il “monitoraggio”, la documentazione, il confronto sul piano scientifico ed esperienziale. 189 La scelta organizzativa e gestionale della progettazione si è concentrata su uno schema per moduli formativi così da facilitare l’identificazione delle mete forma- tive intermedie in grado di fornire il senso del percorso che si sta compiendo e di rendere lo stesso più flessibile e governabile in relazione alle esigenze di adatta- mento che si rendessero necessarie in corso d’opera. I moduli formativi sono tendenzialmente interdisciplinari, salvo il caso in cui una specifica competenza disciplinare si è ritenuta acquisibile solo mantenendosi all’interno di quella stessa disciplina. Anche all’interno del modulo formativo in- terdisciplinare è possibile prevedere espansioni, generalizzazioni, teorizzazioni di singole discipline. Le competenze che connotano gli obiettivi formativi di un modulo formativo sono declinate in linea generale sui processi che consentono di apprendere; per rea- lizzare un apprendimento reale, ogni allievo deve attivare specifici processi (le sue capacità di apprendere): pertanto, per descrivere in fase progettuale un apprendi- mento, occorre identificare le attività che, alla fine dell’insegnamento, permettono di osservare se e a che livello, lo studente sa utilizzare/esprimere tali processi. Ad ogni conoscenza sono correlate le abilità che ciascun allievo deve dimo- strare di aver acquisito per poter dichiarare che ha appreso. In questo modo, pur as- sumendo gli stessi standard formativi per tutti gli allievi di una classe, si permette a ciascuno di evidenziare un apprendimento differenziato in relazione a personali livelli di impiego dei processi di apprendimento. La conoscenza è messa in campo come la risorsa che l’insegnamento utilizza per sviluppare (arricchire) la capacità dell’allievo di produrre iniziativa propria, a livello intellettuale, psicologico, manuale, corporeo, ecc. L’incremento di tale ca- pacità, espressa da specifici livelli di abilità, rende visibile, in sede di progetta- zione, e valutabile, in sede di realizzazione, il risultato atteso ed effettivamente prodotto da ogni allievo come risposta alla sollecitazione didattica ricevuta. Questo avviene sempre, qualunque sia l’area disciplinare nella quale si opera, per cui tutte le discipline e le attività del curricolo concorrono a rendere ogni allievo protagoni- sta dell’apprendimento realizzato. Ciò conferisce unitarietà a tutto l’insegnamento rivolto allo stesso gruppo di allievi impegnati sul medesimo percorso formativo, dal momento che tutti i docenti, della scuola e della formazione professionale, assumono come riferimento i processi di apprendimento degli allievi e su questi costruiscono la progettazione didattica e il sistema di valutazione. Tale strategia permette inoltre di individuare, lungo il cammino formativo, gli eventuali punti deboli nella preparazione di un allievo, ovvero le capacità che ha difficoltà ad attivare, e di organizzare specifici interventi volti ad irrobustire tali specifiche capacità, dimostratesi carenti. La strutture modulare è distinta in tre livelli: formazione generale; formazione specialistica; formazione trasversale. La formazione generale comprende le seguenti aree: area comunicazione e linguaggi; area storica, giuridica, economica, sociale; area scientifica e tecno- logica. 190 La formazione di indirizzo comprende le aree proprie della cultura e della pra- tica professionale. La formazione trasversale comprende i seguenti ambiti: funzione tutoriale; progetto benessere; educazioni; visite guidate. Il modulo didattico viene costruito sulla base di una griglia che distingue il percorso in obiettivi, competenze, metodologie e valutazione, avendo come riferi- mento i livelli cognitivo, operativo, relazionale, metacognitivo. Occorre qui precisare cosa si intende, in senso operativo, per integrazione. Essa è un’opzione che coinvolge tutto il percorso formativo. La progettazione ese- cutiva, pertanto, riguarda l’intero curricolo. La progettazione dei percorsi integrati tra l’istruzione e la formazione professionale è elaborata in modo da permettere agli allievi di raggiungere, alla fine di ciascun anno scolastico, un livello di ap- prendimento che consenta la promozione alla classe successiva e, contemporanea- mente, l’attestazione di crediti formativi spendibili per ottenere, di norma in tre anni, la qualifica scelta come riferimento. Conseguentemente, l’integrazione non viene interpretata come un’opzione da proporre a chi ha difficoltà a scuola, ma come una modalità formativa mediante la quale tutti imparano meglio e di più. Due sono i prodotti attesi dalla progettazione esecutiva: 1) l’individuazione degli obiettivi formativi da raggiungere alla fine del secondo anno, calibrati su in- dirizzi di studio-qualifiche e declinati per macro aree; 2) la definizione degli obiet- tivi formativi intermedi da raggiungere dopo il primo anno e l’individuazione di massima dei percorsi didattici per raggiungerli. Gli obiettivi formativi sono costituiti, per tutte le discipline e per l’intero cur- ricolo formativo di ciascun anno, dall’apprendimento degli allievi espresso dalle competenze (conoscenze/abilità) da acquisire. I due elementi che connotano le competenze sono le conoscenze e le abilità. Queste rendono osservabile e valuta- bile cosa/come ogni allievo ha appreso. Le abilità individuano il risultato del pro- cesso che ogni allievo attiva per utilizzare nuove conoscenze ed esperienze in fun- zione dell’arricchimento dell’iniziativa personale. In questa prospettiva di lavoro, l’apprendere una nuova conoscenza non è inteso come fine a se stesso, ma diventa opportunità per sviluppare le capacità individuali. Le competenze acquisite costituiscono la base su cui fondare la valutazione dell’apprendimento degli allievi e, per chi vorrà sperimentarlo, la certificazione dei crediti. La valutazione è unica ed è collegialmente espressa. Essa è composta da: – valutazione dei livelli di apprendimento realizzato; – valutazione del grado di raggiungimento degli obiettivi formativi raggiunti. È prevista una pagella, che contiene i “voti” attribuiti e c’è una scheda (da al- legare alla pagella) che contiene la “lista” di tutte le competenze acquisite. L’attri- buzione dei voti nella pagella deriva dalla valutazione delle competenze acquisite e del modo con cui l’allievo le ha apprese. Ciò che rileva, didatticamente parlando, è come una conoscenza diventa abilità in ciascun allievo, ovvero come una nuova 191 conoscenza, o una nuova esperienza proposta riesce ad incrementare in ciascun allievo le sue capacità di sviluppare iniziativa. La progettazione è consapevole dei rischi della scelta modulare. Infatti si af- ferma che la modularità non deve essere intesa come segmentazione di un percorso funzionale o finalizzata a trattare compiutamente un argomento, o a far acquisire una determinata abilità professionalizzante, ma come aggregato di conoscenze e attività che si forma e si compone attorno ad un problema da risolvere, ad una domanda a cui fornire una risposta in quanto particolarmente significativo/a in relazione al profilo formativo da perseguire. Obiettivo dell’insegnamento diventa l’attivazione delle capacità di apprendere di ogni allievo e ciò permetterà di ottenere risultati che, pur fondandosi sulle stesse conoscenze e attività, si differenzieranno in relazione al differente combinarsi delle capacità di apprendere di ciascun allievo. La conoscenza è messa in campo come la risorsa che l’insegnamento utilizza per sviluppare (arricchire) la capacità dell’allievo di produrre iniziativa propria, a livello intellettuale, psicologico, manuale, corporeo, ecc. L’incremento di tale ca- pacità, espressa da specifici livelli di abilità, rende visibile, in sede di progetta- zione, e valutabile, in sede di realizzazione, il risultato atteso ed effettivamente prodotto da ogni allievo come risposta alla sollecitazione didattica dell’insegna- mento. E ciò avviene sempre, qualunque sia l’area disciplinare nella quale si opera, per cui tutte le discipline e le attività del curricolo concorrono a rendere ogni al- lievo protagonista dell’apprendimento realizzato. Ciò conferisce unitarietà a tutto l’insegnamento rivolto allo stesso gruppo di allievi impegnati sul medesimo per- corso formativo, dal momento che tutti gli insegnanti, della scuola e della forma- zione professionale, assumono come riferimento i processi di apprendimento degli allievi e su questi elaborano la progettazione didattica ed il sistema di valutazione. Una siffatta modularità permette di individuare lungo il cammino formativo gli eventuali punti deboli nella preparazione di un allievo, ovvero le capacità che egli ha difficoltà ad attivare e di organizzare azioni di recupero che non sono necessa- riamente la ripetizione del modulo, o di parti di esso, ma la programmazione di at- tività funzionali ad irrobustire quella specifica capacità dimostratasi carente. Ogni domanda/problema da cui prende avvio l’aggregazione modulare diventa il titolo di un “modulo” e il centro da cui dipanare la trama delle attività di insegnamento da svolgere da parte di ogni insegnante, da cui fa derivare la scelta dei tempi da dedi- care a tali attività, la individuazione e la programmazione delle risorse da impie- gare in modo da arrivare a fornire una risposta/soluzione organica e completa. È in un contesto di questo tipo che trova possibilità di esprimersi la singola di- sciplina, che diventa risorsa importante per concorrere a fornire la risposta/solu- zione attesa. Questo modo di procedere implica che in sede di progettazione si de- dichi una particolare attenzione sia all’obiettivo formativo sia ai soggetti che de- vono realizzarlo, per cui il terreno sul quale muoversi non è più quello astratto delle conoscenze o empirico dell’attività professionale, ma è ancorato alla realtà (alla vita reale in cui vivono gli allievi e gli insegnati), perché è ovvio che, da un 192 punto di vista didattico, più le domande poste coinvolgono gli allievi, più si partirà col piede giusto per motivarli/coinvolgerli. Va segnalato, per ultimo, il mancato riferimento nei vari documenti progettuali al piano formativo personalizzato ed in generale al principio della personalizza- zione, come pure al portfolio delle risorse e delle competenze degli allievi. Si tratta di un aspetto che non favorisce certo l’intenzione “integrativa” del curricolo se- condo il principio, peraltro indicato, della centralità della persona dell’allievo e della rilevanza dei compiti/problema nella costruzione del percorso e nella fase de- cisiva – della valutazione degli apprendimenti e degli altri esiti. Proprio il tema della valutazione evidenzia il massimo scostamento della metodologia rispetto alle mete ed ai criteri annunciati all’avvio della progettazione dei percorsi integrati. 4) Soluzioni organizzative La Regione Emilia Romagna prevede che tutti i giovani dopo la terza media proseguano nella scuola superiore, dove possono frequentare – in alternativa al tra- dizionale percorso scolastico – anche percorsi integrati con la formazione profes- sionale. Si tratta di percorsi – attivati a partire dall’anno scolastico 2004-2005 nelle scuole professionali, tecniche e negli istituti d’arte – caratterizzati dall’alternanza di attività teoriche e attività pratiche progettate e realizzate dalla scuola superiore in collaborazione con la formazione professionale, capaci di coniugare il sapere, come conoscenza culturale di base, con il saper fare, come applicazione concreta dei contenuti appresi e come primo approccio alla cultura del mondo del lavoro. Al termine del primo anno di frequenza di un percorso integrato, lo studente ha la possibilità di ripensare la propria scelta, decidendo per il secondo anno di iscriversi ai corsi di istruzione tradizionale, continuare un percorso integrato, o de- dicarsi totalmente alla formazione professionale per l’assolvimento dell’obbligo formativo (anche se la Legge regionale dà priorità alla scelta del biennio integrato come opzione educativa portatrice di valore aggiunto per la persona). Questa modalità “aperta” nelle tre direzioni (integrazione, istruzione, forma- zione), sarà possibile anche negli anni successivi. In sostanza, con l’iscrizione a scuola, saranno possibili 5 possibilità: a) il percorso di istruzione tradizionale (di cinque anni con conseguimento del diploma) b) il biennio integrato con rientro, al termine del biennio, nell’istruzione fino al diploma c) un anno integrato seguito da due anni di formazione (con conseguimento di qualifica professionale) d) il biennio integrato seguito da un anno di formazione (con conseguimento di qualifica professionale) e) un biennio integrato seguito da un terzo anno integrato (con conseguimento di qualifica professionale o di crediti formativi). 193 I percorsi integrati sono proposti agli alunni che frequentano la scuola media ed alle loro famiglie per favorire la maturazione di scelte consapevoli, nell’ottica di un orientamento concepito essenzialmente come un processo evolutivo. Essi hanno durata triennale e consentono di proseguire in entrambi i sistemi dell’istru- zione e della formazione professionale con il riconoscimento dei crediti maturati, anche al termine di ogni anno. Gli iscritti al primo anno dei percorsi integrati per l’anno scolastico 2004/2005 sono rappresentati dagli alunni, in possesso della licenza media, che ne abbiano fatto richiesta. Ciò pone il problema del numero e delle relative classi. Qualora i numeri lo consentano, il percorso integrato coinvolge l’intera classe. È inoltre pos- sibile realizzare percorsi integrati per gruppi di alunni che ne abbiano fatto richie- sta, ma per i quali non sia stato possibile formare una classe. Gli alunni che nell’anno scolastico 2003/2004 hanno concluso con esito posi- tivo la frequenza del primo anno dei percorsi integrati, e non hanno richiesto di passare ai percorsi tradizionali di istruzione o a quelli della formazione profes- sionale, sono iscritti al secondo anno dei percorsi integrati. Al termine del biennio gli studenti possono scegliere se continuare il proprio percorso nell’istruzione tradizionale o integrata, oppure nel sistema di formazione professionale regionale, attraverso il riconoscimento dei crediti maturati. Gli stu- denti che proseguono nei percorsi integrati negli Istituti professionali o d’arte, al termine del terzo anno, conseguiranno il corrispondente diploma di qualifica sta- tale e, qualora ve ne siano le condizioni, la qualifica professionale regionale. In quest’ultimo caso, le modalità di svolgimento degli esami e la composizione delle commissioni verranno definite congiuntamente dalla Regione Emilia Romagna e dall’Ufficio Scolastico Regionale. Nel caso di percorsi integrati realizzati negli Istituti tecnici, al termine del secondo anno, oltre alla promozione al terzo anno del corrispondente percorso di istruzione, agli studenti verrà rilasciata una dichiara- zione delle competenze acquisite, da far valere come credito per eventuali passaggi tra indirizzi, ordini e sistemi. L’ordinamento sembra costruito sulla normativa dell’obbligo formativo, men- tre non si parla di diritto-dovere. Anche il riferimento alla “qualifica professionale regionale” evidenzia l’assenza di un riferimento alla normativa in itinere per ciò che concerne i titoli di studio e l’assolvimento del diritto-dovere. 5) Esiti in termini di risposte ai fabbisogni degli utenti e del contesto Circa questo punto, occorre fare riferimento a dati risultanti da monitoraggi rigorosi. È a disposizione il testo “Analisi dati monitoraggio percorsi integrati 2003-04 ” realizzato dall’Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia Romagna di cui riportiamo alcuni elementi rilevanti. Si premette che non si possono considerare particolarmente attendibili molti dei dati raccolti per la loro disomogeneità, visto che si riferiscono sia a corsi di tipo A, riguardanti un’intera classe, che hanno visto l’inizio dell’attività tra settem- 194 bre e novembre 2003, sia corsi di tipo B, riguardanti studenti in difficoltà prove- nienti da numerose classi che hanno avuto inizio tra gennaio e marzo 2004. Si pos- sono ugualmente abbozzare alcune riflessioni sull’esperienza dei 72 percorsi inte- grati che si sono svolti presso Istituzioni di istruzione secondaria superiore nella Regione Emilia Romagna nell’anno scolastico 2003-04. I dati macro riferiti alla media regionale sui promossi dicono che le classi prime degli Istituti coinvolti nella sperimentazione dei percorsi intergrati non rag- giungono lo standard di successo previsto come meta da raggiungere entro il 2010 dalla Conferenza di Lisbona, ovvero l’85% di promossi. Infatti il livello attuale di successo raggiunge il 74,4% nei percorsi tradizionali tra i 5.855 iscritti nei percorsi tradizionali negli Istituti coinvolti nella sperimentazione ed il 71,8% nei percorsi integrati tra i 1.932 iscritti. Questi dati obbligano a procedere lungo la via dell’innovazione cogliendo problematiche e segnali positivi, visto che la difficoltà riguarda sia i percorsi tra- dizionali che quelli integrati, se si escludono alcune eccezioni che si collocano a livelli pari o superiori alla media regionale. Gli studenti degli integrati sono rimasti a scuola fino alla fine, anche con un risultato negativo certo; questa affermazione è dimostrata dal maggior numero di bocciati nel caso di minor “dispersione” in corso d’anno. Qualcosa, di diverso, ha trattenuto i ragazzi a scuola nei percorsi integrati, ma “qualcosa” di immutato, li ha poi “bocciati”. Il diverso potrebbero essere le situa- zioni di apprendimento proposte dalla formazione professionale, l’immutato po- trebbe essere il modo di valutare tipico della scuola. Passando ad osservare a livello macro le scelte dei promossi al secondo anno prevale nettamente la continuità nei percorsi scelti, tradizionali od integrati, se questi ultimi hanno visto attivato il secondo anno. In caso di insuccesso, invece, mentre gli allievi dei corsi tradizionali restano nell’Istituto nella misura media del 54%, con picchi che vanno dal 29% al 77%, gli studenti degli integrati fuggono dall’integrazione: solo il 12% si riscrive ai percorsi integrati, preferendo il tradizio- nale dello stesso Istituto nel 37% dei casi. Questo è un segnale di sfiducia: sarebbe interessante conoscerne il perché. Gli altri allievi respinti fanno altre scelte in mi- sura pari sia per i tradizionali che per gli integrati, cambiando indirizzo ed istituto. È significativo che quasi nessuno dei non promossi nei percorsi tradizionali si iscriva agli integrati proposti dal medesimo Istituto, che potrebbero offrire un di- verso ambiente di apprendimento. Forse si ritiene che la didattica non cambi tra l’uno e l’altro percorso, preferendo cambiare ambiente, identificando l’insuccesso con l’Istituzione scolastica. Dall’altra parte, per i respinti degli integrati, non si sceglie la formazione pro- fessionale: la “scottatura” indirizza altrove, forse non cogliendo le diverse opportu- nità formative, oppure questo è il segno della criticità dei processi di riorienta- mento. Le famiglie o i ragazzi stessi non arrivano ad essere consapevoli delle loro potenzialità e mantengono scelte tradizionali, accettate acriticamente come miglior soluzione rispetto ad un’esperienza innovativa. 195 Passando, ora, all’analisi dell’andamento dei singoli progetti si possono indi- viduare anche elementi molto positivi. La concentrazione dei risultati negativi negli Istituti professionali per l’indu- stria e l’artigianato segnala un’indubbia criticità dei piani di studi di questi istituti, che non incontra l’utenza che vi si rivolge, in settori dove la ricerca di manodopera non è soddisfatta. Proprio in questi Istituti dovrebbe cambiare la valutazione, te- nendo conto dei livelli di partenza degli allievi e della loro inclinazione al settore di pertinenza. Si segnala un ultimo gruppo dove si evidenzia il fallimento del percorso inte- grato rispetto al buon andamento dei percorsi tradizionali. I progetti segnalati sono stati individuati per la maggior differenza tra la percentuale di promossi nell’inte- grato rispetto a quella del tradizionale. 6) Valorizzazione dell’autonomia degli organismi e della loro competenza edu- cativa L’offerta di percorsi integrati di istruzione e formazione fa parte del “Piano dell’offerta formativa” innanzitutto delle scuole coinvolte e, pertanto, impegna l’i- niziativa e la responsabilità delle singole istituzioni scolastiche e, in secondo luogo, gli organismi di formazione professionale loro partner. L’attuazione di tali percorsi rientra nell’esercizio dell’autonomia delle istitu- zioni scolastiche, autonomia che “si sostanzia nella progettazione e nella realizza- zione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle ca- ratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istru- zione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento” (art. 1, comma 2, DPR 275/1999, “Regolamento sull’autonomia delle istituzioni scolastiche”). L’elaborazione dei progetti integrati coinvolge l’intero curricolo scolastico, la cui determinazione deve tenere conto “delle diverse esigenze formative degli alunni concretamente rilevate, della necessità di garantire efficaci azioni di conti- nuità e di orientamento, delle esigenze e delle attese espresse dalle famiglie, dagli Enti locali, dai contesti sociali, culturali ed economici del territorio. Agli studenti e alle famiglie possono essere offerte possibilità di opzione” (art. 8, comma 4, del citato DPR 275/1999). Anche la collocazione dell’integrazione tra istruzione e formazione professio- nale all’interno del curricolo e del corso di studi scelto trova formale riconosci- mento nel Regolamento sull’autonomia: “Il curricolo della singola istituzione sco- lastica, definito anche attraverso un’integrazione tra sistemi formativi sulla base di accordi con le Regioni e gli Enti locali, negli ambiti previsti dagli articoli 138 e 139 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 può essere personalizzato in re- 196 lazione ad azioni, progetti o accordi internazionali (…). L’adozione di nuove scelte curricolari o la variazione di scelte già effettuate deve tenere conto delle at- tese degli studenti e delle famiglie in rapporto alla conclusione del corso di studi prescelto” (art. 8, commi 5 e 6). Nello specifico, la riorganizzazione dei percorsi scolastici richiesta dall’inte- grazione con la formazione professionale trova formale riconoscimento nel Rego- lamento sui curricoli nell’autonomia, emanato con il DM 26 giugno 2000, n. 234, all’art. 2, Obiettivi specifici di apprendimento: “Nell’ambito dei curricoli di cui al- l’articolo 1 ciascuna istituzione scolastica, può riorganizzare, in sede di elabora- zione del piano dell’offerta formativa, i propri percorsi didattici secondo modalità fondate su obiettivi formativi specifici di apprendimento e competenze degli alunni, valorizzando l’introduzione di nuove metodologie didattiche, anche attra- verso il ricorso alle tecnologie multimediali (...). Al termine dell’anno scolastico ogni istituzione scolastica valuta gli effetti degli interventi di cui al comma 1, che devono tendere al miglioramento dell’insegnamento e dell’apprendimento al fine di far conseguire a ciascun alunno livelli di preparazione adeguati al raggiungi- mento dei gradi più elevati dell’istruzione ed all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro”. I percorsi integrati impegnano così in modo diseguale i soggetti dei sistemi dell’istruzione e della formazione professionale: il percorso integrato fa parte so- stanziale del “Piano dell’offerta formativa” scolastica cui i ragazzi sono formal- mente iscritti. Ciò è confermato dal fatto che l’elaborazione e la approvazione del percorso integrato impegnano pertanto, a norma dell’art. 3 del Regolamento sul- l’autonomia, il Collegio dei docenti ed il Consiglio d’istituto dell’istituzione scola- stica interessata. È pur vero che, nonostante questo impianto condizionante la formazione pro- fessionale, per favorire un coinvolgimento paritetico dell’istituzione scolastica e dell’organismo di formazione professionale si è imposto che il progetto esecutivo del percorso integrato venga elaborato dal “Gruppo di progetto”, composto da in- segnanti della scuola e da operatori della formazione professionale. La composi- zione di questo “Gruppo di progetto” deve essere tale da assicurare che, per cia- scuna macro area del curricolo integrato, siano coinvolti docenti dei due sistemi. Al fine di dare continuità alla realizzazione dei percorsi integrati, si è disposto che nella progettazione esecutiva sia coinvolto il maggior numero possibile di docenti del consiglio di classe che ha attuato i percorsi medesimi, allargato alla partecipa- zione degli operatori dell’organismo di formazione professionale. Appare con evidenza come, sul piano giuridico ed organizzativo, prevalga il soggetto scolastico su quello formativo-professionale, mentre sul piano progettuale vi sia un maggiore intento paritario tra le due componenti. Ma la criticità degli esiti e dei passi successivi al primo anno dei ragazzi iscritti ponga in evidenza come in tema di valutazione il modello preveda una riproposizione delle prassi tradizionali scolastiche che non riescono a cogliere ed apprezzare le innovazioni poste in atte dal modello stesso. 197 Da questo punto di vista, il modello integrato appare evidentemente basato su una discriminazione circa la considerazione dell’autonomia degli organismi e della loro competenza in tema di sistema educativo di istruzione e formazione. Infatti, l’obbligatorietà nel proseguire gli studi esclusivamente nelle istituzioni scolastiche, ancorché integrate, crea una “dispari dignità” dalla quale traspare, talvolta in modo esplicito, la mancata considerazione della competenza della formazione profes- sionale nello svolgere percorsi aventi finalità pienamente educative, culturali e professionali. 3. UNA RIFLESSIONE COMPARATIVA Il quadro presentato ci consente di svolgere alcune riflessioni di sintesi sull’in- tero movimento sperimentale. Va ricordato come i percorsi integrati – molto più numerosi e articolati – siano più recenti di quelli integrali, ragione per cui i dati a disposizione sono differenti e paiono più ricchi e rilevanti per la tipologia integrale. Inoltre, per poter avere dati comparabili con metodologie omogenee occorrerà attendere gli esiti del lavoro complessivo di monitoraggio svolto dall’ISFOL. Ma i dati oggi disponibili evidenziano come il modello integrale o puro pre- senti una maggiore consistenza metodologica ed organizzativa e mediamente con- duca ad esiti più positivi rispetto al modello integrato. Da dati ISFOL parziali, emerge come il modello formativo puro presenta la migliore capacità di contenere l’abbandono, cui segue il modello di formazione professionale mista (puro con elementi di integrazione) ed infine l’integrazione che presenta il livello più basso di successo specie nel passaggio dal primo al se- condo anno. È questo un elemento molto rilevante da considerare, confermato anche dai monitoraggi qui citati, che rende l’idea di una difficoltà del modello integrato da distinguersi da quello scolastico tradizionale. Ciò, probabilmente, per la rigidità della sua impostazione, che lo rende in sostanza una sorta di sotto-prodotto scola- stico con talune integrazioni del metodo formativo-professionale che però non giungono a modificare il modo tradizionale della valutazione. In questo quadro, i ragazzi dopo il primo anno sembrano preferire il modello tradizionale organico piuttosto che quello integrato che appare penalizzante dal punto di vista delle valu- tazioni finali. Siamo quindi di fronte al nodo vero dell’impianto che stiamo analizzando: il modello integrato, sia pure motivato da una serie ampia e condivisibile di finalità e di criteri metodologici, finisce per perdere gran parte di queste potenzialità inten- zionali proprio per il fatto di appoggiarsi decisamente alla cultura ed alla gestione scolastica, che risulta essere l’ostacolo prevalente per dare vita ad un approccio formativo veramente innovativo e nel contempo organico. L’utilizzo della forma- zione professionale come supporto e correzione a carattere tecnico-pratico del cur- 198 ricolo tradizionale non riesce – nonostante le intenzioni – né a innestare cultura formativa nel corpo scolastico né a dare vita ad una progettualità propria, auto- noma e – appunto – integrale. La scelta dell’integrazione intesa come sottomissione della formazione profes- sionale al primato della scuola è quindi ostacolo al perseguimento degli stessi obiettivi che l’opzione integrata si è posta. Da tale contraddizione si può uscire in modo proficuo per i ragazzi e per le istituzioni scolastiche e formative solamente se si elimina la rigidità organizzativa del modello e si consente, sulla base di indi- cazioni unitarie, di sviluppare una pluralità di percorsi che ponga in atto modelli organizzativi e pedagogici veramente differenti sia pure di pari dignità. In so- stanza, se si accetta il principio di un autentico pluralismo formativo. In linea generale, va inoltre ricordato, con ISFOL (2004), come le esperienze realizzate in questi anni nella sperimentazione di nuovi percorsi di istruzione e for- mazione professionale rappresentino una sfida per tutti i soggetti coinvolti, a partire dalle Amministrazione regionali e provinciali e dagli Uffici scolastici regionali. Per rendere più autentica e sistematica l’interazione tra le diverse istituzioni formative sarà dunque necessario lavorare sulla capacità dei sistemi di dialogare in modo tale da rendere coerenti e condivise le modalità di progettazione, gli approcci, gli obiettivi, le metodologie e gli strumenti didattici, affinché la rela- zione tra le due parti, lontana dall’esprimersi nella mera combinazione o semplice scambio di elementi e procedure, comporti un lavoro fattivo e condiviso a tutti i livelli e i cui risultati diventino un unico patrimonio comune. Ma questo dialogo tra sistemi non può essere utilizzato come pretesto per ne- gare la possibilità dell’espressione nel sistema educativo di una pluralità di ap- procci e modelli, innanzitutto quello formativo che mira alla didattica attiva per compiti reali e sulla personalizzazione dei percorsi. È proprio la presenza del mo- dello integrale o puro che interrompe l’omologazione delle pratiche scolastiche e introduce elementi di cambiamento di cui tutto il sistema ha estremo bisogno, al fine di uscire dallo stato di stallo attuale le cui performance negative non possono essere nascoste sotto il velo della diatriba ideologica. A fronte delle attuali dinamiche politiche e sindacali, va ricordato con forza che il motivo dell’esistenza di un sistema educativo sta nel suo carattere di servizi a favore della gioventù e quindi della società intera. I giovani debbono essere la prima preoccupazione di tutti gli operatori ed i primi valutatori della bontà del- l’offerta formativa. 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Struttura dei percorsi nella dinamica unitarietà/diversificazione . . . . . . 9 1.3. Profilo dei soggetti che sviluppano l’offerta formativa ed il tema del pluralismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 1.4. Ruolo delle istituzioni della Repubblica e la poliarchia di competenze . . 11 2. Aspetti generali relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione ; e formazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 3. Percorsi liceali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 4. Percorsi di istruzione e formazione professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 4.1. Rapporto tra unitarietà del secondo ciclo e differenziazione dei percorsi 25 4.2. Rapporto tra “percorsi” e “istituzioni” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 4.3. Concetto di “livelli essenziali delle prestazioni” . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 5. Raccordo e continuità tra il primo e il secondo ciclo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 6. Norme transitorie e finali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 7. Una sisntesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 Capitolo 2 Emilia Romagna: il sistema regionale delle qualifiche per la progettazione dei percorsi integrati di istruzione e formazione (S. D’Agostino) 1. Lo scenario di riferimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 2. L’architettura regionale del sistema di istruzione e formazione professionale . 38 3. Linee per l’attuazione del sistema di istruzione e formazione professionale . . 41 4. La progettazione dei percorsi integrati e le qualifiche di riferimento . . . . . . . 44 5. Il Sistema regionale delle qualifiche: finalità, metodologia, processo di definizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 6. Il Sistema regionale delle qualifiche: contenuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 7. Il repertorio delle qualifiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 202 8. La procedura sorgente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 9. Gli standard formativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 Capitolo 3 Il modello lombardo per la costruzione di una filiera dell’istruzione e formazione professionale e il relativo repertorio (S. D’Agostino) 1. Lo scenario di riferimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 2. La strategia regionale per l’innovazione del sistema istruzione-formazione università . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 3. Linee guida per la sperimentazione 2004-05 e 2005-06 . . . . . . . . . . . . . . . . . 70 4. La strategia regionale per la definizione degli standard formativi . . . . . . . . . . 74 5. Il “Repertorio dei profili, delle qualifiche e dei titoli professionali” . . . . . . . . 75 6. La “Consulta regionale standard formativi” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82 7. La progettazione del coordinamento interATS per l’area professionalizzante . 84 8. Le indicazioni per gli esami di qualifica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88 Capitolo 4 Il sistema di standard formativi a supporto delle sperimentazioni dei percorsi triennali nella Regione Piemonte (S. D’Agostino) 1. Lo scenario di riferimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 2. La sperimentazione del nuovo sistema dell’istruzione e formazione profes- sionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92 3. La strategia regionale per i percorsi del diritto-dovere . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94 4. Il sistema piemontese di standard formativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 5. L’evoluzione del sistema piemontese di standard formativi . . . . . . . . . . . . . . 101 6. La descrizione dei “Profili” e il “Portolano” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104 Capitolo 5 I percorsi della formazione iniziale e le competenze da conseguire nella Provincia Autonoma di Trento (S. D’Agostino) 1. Lo scenario di riferimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111 2. La nuova proposta per i percorsi di formazione iniziale . . . . . . . . . . . . . . . . . 112 3. L’articolazione dei percorsi della formazione iniziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 4. L’anno di formazione in alternanza successivo alla qualifica . . . . . . . . . . . . . 117 5. Il processo di costruzione degli standard di riferimento per i percorsi di for- mazione iniziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121 6. Le competenze finali dei percorsi della formazione iniziale . . . . . . . . . . . . . . 123 7. Il repertorio delle figure professionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 126 8. Gli esami per il conseguimento della qualifica e del diploma . . . . . . . . . . . . . 128 203 Capitolo 6 I nuovi percorsi di istruzione e formazione professionale e la sperimentazione in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Provincia di Trento (G. Mascio) 1. Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 2. La riforma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 134 2.1. L’ambito “scuola” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 136 2.2. L’ambito “formazione professionale” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138 3. Il modello operativo e le finalità formative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 146 4. Osservazioni conclusive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 172 Capitolo 7 Un bilancio sulla problematica (D. Nicoli) 1. Valore dell’impegno sperimentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175 2. Due modelli emergenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177 2.1. Il modello integrale (o “puro”) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 178 2.2. Il modello integrato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 186 3. Una riflessione comparativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 197 Indice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 201 205 Pubblicazioni 2002-2005 nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “Studi, progetti, esperienze per una nuova formazione professionale” 1. Nella sezione “studi” 1) CIOFS/FP (a cura di), Atti del XV seminario di formazione europea. Il sistema dell’istru- zione e formazione professionale nel contesto della riforma. Significato e percorsi, 2004 2) CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVI seminario di formazione europea. La formazione profes- sionale fino alla formazione superiore. Per uno sviluppo in verticale di pari dignità, 2005 3) CIOFS/FP (a cura di), La formazione professionale per lo sviluppo del territorio. Atti del seminario di formazione europea, Castel Brando (Treviso), 9 - 11 settembre 2002, 2003 4) CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di riforme, 2004 5) MALIZIA G. - D. NICOLI - V. PIERONI (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimen- tazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 6) MALIZIA G. - V. PIERONI (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow - up, 2003 7) MALIZIA G. (coord.) - D. ANTONIETTI - M. TONINI (a cura di), Le parole chiave della forma- zione professionale, 2004 8) RUTA G., Etica della persona e del lavoro , 2004 9) PIERONI V. - G. MALIZIA, Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. Linee guida per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005 2. Nella sezione “progetti” 10) ASSOCIAZIONE CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), L’accoglienza nei percorsi formativo- orientativi. Un approccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 11) ASSOCIAZIONE CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), Le competenze orientative. Un approccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 12) BECCIU M. - A.R. COLASANTI, La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, 2003 13) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi perso- nalizzati. Comunità professionale alimentazione, 2004 14) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi perso- nalizzati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 15) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi perso- nalizzati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 16) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi perso- nalizzati. Comunità professionale estetica, 2004 17) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi perso- nalizzati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 18) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi perso- nalizzati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 206 19) CIOFS/FP (a cura di), Un modello per la gestione dei servizi di orientamento, 2003 20) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi perso- nalizzati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 21) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi perso- nalizzati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 22) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi perso- nalizzati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 23) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi perso- nalizzati. Comunità professionale meccanica, 2004 24) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi perso- nalizzati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 25) CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2003 26) COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di im- presa. Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP, s.d. 27) FONTANA S. - G. TACCONI - M. VISENTIN, Etica e deontologia dell’operatore della FP , 2003 28) GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo, 2003 29) MARSILI E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente, 2003 30) NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 31) NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 32) TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003 33) VALENTE L. - D. ANTONIETTI, Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi, 2003 34) NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 35) VALENTE L. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005 36) POLACEK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 37) CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professio- nale. Percorsi triennali di Istruzione e Formazione Professionale, 2005 3. Nella sezione “esperienze” 38) CNOS-FAP Piemonte (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 39) CNOS-FAP Piemonte (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagna- mento in itinere, 2003 40) CNOS-FAP Piemonte (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagna- mento finale, 2003 41) CNOS-FAP Piemonte (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 42) TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordinatore delle attività educative del CFP, 2005 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@pcn.net Ottobre 2005

Percorsi/progetti formativi "destrutturati". Linee guida per l'inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati

Autore: 
Vittorio Pieroni - Guglielmo Malizia
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2005
Numero pagine: 
307
A cura di Vittorio PIERONI - Guglielmo MALIZIA con la collaborazione di Alessandra FELICE - Marcella PULINO - Daniela ANTONIETTI CENTRO NAZIONALE OPERE SALESIANE FORMAZIONE AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE Federazione CNOS-FAP Sede Nazionale Percorsi/progetti formativi “destrutturati” Linee guida per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati Hanno collaborato: Vittorio PIERONI Università Pontificia Salesiana (Roma) Guglielmo MALIZIA Università Pontificia Salesiana (Roma) Alessandra FELICE Responsabile dell’Osservatorio sull’inclusione sociale dell’ISFOL Marcella PULINO Collaboratrice ISFOL - Regioni Daniela ANTONIETTI Sede Nazionale CNOS-FAP Mario TONINI Presidente Federazione CNOS-FAP 3 PRESENTAZIONE I giovani e le famiglie italiane mostrano di preferire, in maniera crescente, la scuola secondaria superiore e l’università; scelte alternative (apprendistato, forma- zione professionale iniziale) si attestano su percentuali molto contenute. È pressoché unanime la sottolineatura di questa tendenza negli studi o nei rap- porti più recenti: Se la piena scolarità è ormai diffusa in tutto il ciclo dell’obbligo, anche nella secondaria di II grado il trend crescente sembra essere confermato e addirittura rafforzato, nonostante l’abolizione della legge sull’innalzamento dell’obbligo scolastico: il valore dell’indicatore passa, infatti, dal 91,5% del 2002/2003 al 94% dell’anno successivo (Rapporto CENSIS, 2004, 141). Il complessivo grado di partecipazione della popolazione italiana alle attività del sistema educativo e formativo è in crescita ormai da oltre un decennio, soprattutto grazie ad un in- tenso processo di scolarizzazione delle generazioni più giovani avviatosi all’inizio degli anni Novanta. Negli ultimi anni, inoltre, il processo riformatore culminato con l’introdu- zione del diritto - dovere ad istruzione o formazione sino al compimento del diciottesimo anno di età ha ulteriormente accresciuto, tra i giovani, il numero di quanti permangono nei canali formativi (Rapporto ISFOL, 2004, 215-216). L’organizzazione di una offerta di tali dimensioni, tuttavia, sta mostrando oggi i suoi aspetti positivi ma anche i suoi limiti. Il CNEL ha tracciato nel corrente anno un’ampia fotografia di cui riportiamo la parte introduttiva: Pur muovendosi da una posizione di ritardo rispetto al resto dell’Unione, l’Italia non ha conseguito tutti i risultati che ci si poteva aspettare ed è tra i paesi che hanno fatto meno progressi nello sviluppare la Strategia di Lisbona. Ne danno conto i parametri prescelti sulle tematiche dell’istruzione e della formazione: la dispersione scolastica raggiunge il 24% dei giovani; solo il 73% completa almeno l’istruzione secondaria superiore; la per- centuale di allievi con competenze di base insufficienti è tra le più elevate; la quota di adulti interessati da azioni di formazione permanente è meno della metà della media UE attuale, circa 1/3 di quella (CNEL, Educazione e formazione, aprile 2005, 4). Ma, oltre alla dispersione scolastica, il calo nelle competenze di base, la scarsa formazione permanente, c’è ancora un gruppo di adolescenti e giovani che è fuori di ogni sistema formativo: si tratta di un “3,4% di 15-24enni che, ancora nel 2003, risulta possedere al massimo la licenza elementare. Si tratta, in valori assoluti, di circa 220.000 giovani inseriti in situazioni di estremo disagio sociale ed econo- mico, terreno fertile per fenomeni di devianza giovanile per lo più concentrati in specifiche aree del Paese” (Rapporto ISFOL, 2004, 222). 4 Noi riteniamo che i primi destinatari di ogni riforma educativa siano innanzi- tutto i giovani che stanno fuori del sistema e, immediatamente dopo, quelli che stanno dentro, per i quali si devono fare proposte valide. La presente pubblicazione delinea una proposta specifica per questi giovani che “stanno fuori”, giovani che non si incontrano tra i banchi di scuola, destinatari classificati per lo più come “ra- gazzi difficili”, come soggetti che “abitano il disagio” in modo permanente. L’o- biettivo del “successo formativo” obbliga ogni educatore a scommettere anche su questi giovani, per accompagnarli nel faticoso cammino della costruzione di un progetto di vita. Il sistema della formazione professionale, dotatasi nel tempo di proposte fles- sibili e personalizzate che valorizzano l’esperienza concreta e l’intelligenza pra- tica, può essere un aiuto prezioso per la vittoria di questa scommessa. La Sede Nazionale CNOS-FAP affida questo volume alla Federazione, augu- randosi che anche questa fatica possa essere di aiuto a tutti gli operatori che quoti- dianamente si misurano con le difficoltà della didattica e della motivazione all’ap- prendere, consapevoli che, prima di ogni legge, è il loro impegno a dare attuazione al processo riformatore. Mario Tonini (Presidente CNOS-FAP) 5 INTRODUZIONE L’appartenenza a certe condizioni sociali, come il basso livello di scolarità e/o di qualificazione, lo scarso rendimento scolastico, la disoccupazione, il lavoro pre- cario, le difficoltà di inserimento lavorativo e/o lo scarso rendimento produttivo, la instabilità familiare, le cattive condizioni di vita, lo stato precario di salute…, pos- sono diventare un veicolo di immissione in un processo di emarginazione e costi- tuiscono quindi un vero e proprio rischio di esclusione sociale. Si tratta dei cosiddetti “ragazzi difficili” e/o di soggetti che “abitano il dis- agio” in modo permanente. Lavorare “con” (e non semplicemente “per”) loro si- gnifica ricostruire la storia attraverso cui un individuo giunge ad una mancata o in- completa e il più delle volte alienante costruzione del “sé” sulla base di esperienze negative/penalizzanti che lo hanno cortocircuitato entro un sistema di marginalità e di disagio, con inevitabile ricaduta su manifesti comportamenti a rischio di esclu- sione sociale dai sistemi educativi di istruzione e di formazione e dall’inserimento nella vita attiva. Siamo quindi di fronte a gruppi particolarmente vulnerabili a causa dall’accu- mularsi di condizioni di svantaggio che ostacolano l’accesso alle pari opportunità formative e ad una cittadinanza attiva. I loro componenti sono soggetti che in ge- nere si caratterizzano per l’appartenenza a fasce svantaggiate quanto all’età, al sesso, alla classe sociale, agli studi e alla salute fisica e mentale. La risalita, e/o l’avvio di un percorso ri-educativo avverrà conseguentemente al momento in cui l’interessato, attivando e/o facendo pur sempre leva sulle pro- prie “potenzialità”, le dirige verso “bersagli” in funzione costruttiva, anziché di- struttiva. Tutto questo comporta una diversa ristrutturazione del “sé”, la cui modi- fica a sua volta è il prodotto di “esperienze altre/alternative”. Una proposta formativa, dal carattere flessibile e fortemente personalizzato, che valorizzi l’esperienza concreta e che sia centrata sull’acquisizione di cono- scenze, capacità e competenze utili e sull’attribuzione di senso agli apprendi- menti proposti, sembra quindi essere particolarmente valida per soggetti che pre- sentano modalità di apprendimento che privilegiano l’intelligenza pratica e che, dopo un’esperienza di fallimento e/o di abbandono, si rivolgono al sistema di istruzione e di formazione professionale per usufruire di una ulteriore occasione educativa. Tutto questo viene favorito dalle varie opportunità che l’educando incontra, fa proprie, valorizza lungo il percorso della propria maturazione. Pertanto la “perso- nalizzazione” rappresenta l’approccio educativo più adeguato nel rilevare le capa- cità peculiari di ciascuno e nel condurre l’individuo a “capitalizzare” le proprie 6 performance. Le scelte professionali vengono in tal modo elaborate lungo un pro- cesso evolutivo segnato da stadi progressivi, a loro volta caratterizzati da compiti che l’individuo cercherà di assolvere di volta in volta, al fine di pervenire a scelte soddisfacenti per sé e per la società. In questo modo il percorso educativo-formativo viene ad acquisire un signifi- cato nuovo, in quanto pone il soggetto in una situazione di impegno personale, dove si sviluppano esperienze di vita che consentono un cammino di nuova iden- tità. Ne consegue che, nell’indirizzare nei confronti di questi soggetti difficili/ svantaggiati un’offerta formativa personalizzata e finalizzata ad obiettivi di recu- pero delle capacità personali per l’inclusione/re-inserimento nella vita attiva, la strategia non può essere legata a modelli tradizionali ma dovrà caratterizzarsi piut- tosto come “processo di accompagnamento” adeguato alle peculiari condizioni dei destinatari, quali: la elaborazione di un progetto di vita e professionale il più possi- bile realistico, la congruenza tra motivazioni, capacità e attitudini degli utenti, il ri- corso a metodologie di insegnamento/apprendimento appropriate, l’adozione di strategie atte a favorire l’inclusione socio-professionale. Siamo perciò di fronte a un problema educativo che richiede di elaborare per- corsi formativi e meccanismi di sostegno ad hoc. Questi soggetti non possono es- sere “imbrigliati” in un unico progetto/itinerario educativo; nei loro confronti oc- corre una proposta personalizzata e soprattutto stimolante, che parta dai loro inte- ressi ed innesti una prospettiva formativa per tappe progressive, così da evitare il rischio di formalismi burocratici e tecnicistici, tipici di un’offerta dal forte carat- tere stigmatizzante. Una risposta in tal senso potrebbe venire appunto dai cosid- detti “percorsi destrutturati”. Questi ultimi mirano alla prevenzione e al recupero rispetto alle diverse forme del disagio sociale, ossia sono rivolti a dare ulteriori opportunità ad utenti con par- ticolari caratteristiche di difficoltà. La loro natura risponde a ciò che nei Paesi del- l’UE viene definita come “seconda chance” in tema di diritti formativi, ossia un in- sieme integrato e coerente di spazi/interventi formativi volti a favorire, attraverso esperienze di accoglienza, orientamento e accompagnamento, la crescita integrale di soggetti che in qualche modo non hanno potuto usufruire della “prima opportu- nità”. La premessa dalla quale partire per promuovere progetti territoriali per l’inclu- sione di categorie di giovani svantaggiati è di rendere trasparente la caratteristica di “processo” che devono avere. I progetti non si presentano più come un assem- blaggio di moduli statici e separati, dalla durata limitata e con rigidi obiettivi e ri- sorse umane e finanziarie definite prima ancora del loro avvio. Quest’approccio tradizionale viene trasformato in una impostazione più flessibile, con obiettivi in- termedi che si realizzano in quanto parti di un processo che accetta la revisione delle attività, all’interno del quale la mobilitazione degli attori locali può intro- durre varianti al percorso disegnato e dove il monitoraggio e l’autovalutazione di- 7 vengono parti necessarie dell’offerta per affiancare e sostenere l’apertura agli input che provengono dal territorio. Di conseguenza i principi a cui si ispira il lavoro formativo mediante il ricorso ad interventi “destrutturati” possono essere così elencati: 1) integrazione e coinvolgimento di tutti gli attori nella progettazione, gestione e realizzazione delle azioni durante l’intero svolgimento dell’intervento; 2) flessibilità a 360 gradi, ossia superamento dell’offerta standardizzata e sequen- ziale dei saperi per l’adozione dei seguenti criteri: personalizzazione del pro- getto formativo, numero utenti, tempi di ingresso e uscita, luoghi formativi, scel- ta degli strumenti, livelli di apprendimento, distribuzione per tappe/fasi; 3) alternanza, intesa come interfaccia tra formazione e lavoro e come principio in grado di sviluppare la mentalità della formazione continua e di creare condizio- ni per la (ri)motivazione; 4) presenza di un’équipe di progetto per assicurare la congruenza tra gli obiettivi e la programmazione didattica e verificare l’efficacia/efficienza del percorso for- mativo; 5) previsione di ruoli professionali differenziati al fine di garantire le “buone pras- si” lungo le diverse fasi del percorso formativo innovativo; 6) presenza di servizi di supporto quali: informazione, orientamento, counseling, accompagnamento; 7) utilizzo di metodologie didattiche interattive nella logica del principio “learning by doing” (esperienze dirette, accompagnamento individualizzato, lavori di grup- po, esercitazioni in laboratorio, stage in azienda…). A loro volta i principali obiettivi sottesi alla promozione e realizzazione di percorsi/progetti “destrutturati” possono essere sintetizzati nei seguenti parametri: promuovere percorsi finalizzati a nuove opportunità formative e rivolti diretta- mente a giovani usciti dai normali canali del diritto-dovere all’istruzione e alla for- mazione; offrire supporti al territorio per la gestione di interventi rivolti ad affron- tare le nuove povertà culturali e formative di giovani in difficoltà, in una prospet- tiva di prevenzione dalla dispersione e di lotta all’esclusione sociale; stabilire con- venzioni e collaborazioni operative dando vita a reti territoriali di supporto ad azioni formativo-educative adeguate a giovani in difficoltà. Ma chi sono i veri destinatari di questi progetti? Le categorie di utenti oggetto di interventi formativi cosiddetti “destrutturati” sono composte da soggetti che vi- vono condizioni di difficoltà soggettiva ed oggettiva, spesso in rapporto di causa- effetto, quali: uno stato di diffusa demotivazione nei confronti delle scelte sia edu- cativo-formative che professionali-lavorative; lo stazionamento in condizioni di non ruolo e/o il rifiuto ad assumerlo; il prolungamento dell’adolescenza per allon- tanarsi da ogni condizione di impegno. In pratica si ha a che fare con giovani “erratici”, che transitano da una condi- zione all’altra (da studenti a inoccupati e/o da occupati a disoccupati), ma difficil- 8 mente investono in modo convinto in una precisa direzione. Più in particolare si caratterizzano per essere giovani: – che hanno abbandonato gli studi; – che vivono gravi situazioni a livello di integrazione sociale e lavorativa (con particolare riferimento agli immigrati extracomunitari); – che stazionano in corsie preferenziali caratterizzate da “non-ruolo” e/o dal rinvio delle scelte o dall’allontanamento da sé di ogni condizione di impegno personale/comunitario/sociale; – in crisi di identità e/o con una personalità labile, inclini all’uso di sostanze stu- pefacenti; – con comportamenti “borderline”, che hanno o hanno avuto o che potrebbero avere a che fare con la giustizia. Passando ad analizzare i contenuti del presente lavoro, l’obiettivo primario consisteva nel verificare cosa è stato realizzato e/o cosa si dovrebbe realizzare, quali sono le “buone pratiche” per lavorare con queste particolari categorie di gio- vani svantaggiati, al fine di una loro inclusione e/o re-inserimento nel sistema edu- cativo, sociale e produttivo con la finalità ultima di verificare quanto scritto nelle “Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale”1. A tale scopo si è proceduto in una doppia dire- zione: 1) analizzare anzitutto le iniziative e/o i progetti d’intervento formativo-profes- sionalizzante, mirati al recupero dello svantaggio di certe categorie a rischio di esclusione; 2) elaborare delle linee-guida a sostegno di un modello di “buone prassi” da met- tere a punto nel promuovere un’offerta formativa adeguata all’inclusione socio-professionale di queste categorie. A questo riguardo il rapporto di ricerca si compone di 5 capitoli, suddivisi in tre distinte parti. La prima sezione serve ad introdurre la problematica. Attraverso il capitolo 1 (a cura di V. Pieroni e G. Malizia) si è cercato di “entrare nella personalità” del ra- gazzo difficile nel tentativo di comprendere la sua “visione della realtà”, per pas- sare conseguentemente a ricostruire un insieme di linee pedagogico-metodologiche e delle relative strategie per lavorare “con” queste particolari categorie di soggetti svantaggiati. La seconda parte è prettamente pratica, di ricerca sul campo in quanto si sof- 1 D. NICOLI (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, Roma, CIOFS/FP e CNOS-FAP, 2004, pp. 67-70 e 287-332. 9 ferma ad analizzare da vicino i progetti che sono già stati realizzati attraverso un’offerta formativa mirata all’inclusione dei giovani svantaggiati: – nel capitolo 2 (a cura di V. Pieroni, M. Pulino e D. Antonietti) sono stati presi in considerazione in prima istanza 11 progetti “destrutturati” promossi da ini- ziative comunitarie e scelti tra quelli ritenuti più significativi; l’analisi pro- segue prendendo in considerazione un progetto del CNOS-FAP e 2 progetti di altri Enti che hanno fatto da apripista per questa tipologia d’intervento; – nel capitolo 3 (a cura di A. Felice e V. Pieroni) sono stati riportati i risultati di una ricerca sul campo effettuata attraverso tre “laboratori progettuali” su al- trettante categorie di giovani svantaggiati (immigrati, tossicodipendenti e sog- getti a rischio di esclusione dal sistema di istruzione e formazione). La terza parte è dedicata completamente alla ricostruzione di un modello di “buone prassi” a sostegno di progetti “destrutturati” mirati all’inclusione forma- tivo-lavorativa dei giovani svantaggiati: – attraverso il capitolo 4 (a cura di V. Pieroni) vengono riassunte e sintetizzate le “buone prassi” emerse dall’analisi dei progetti presi in esame e dai risultati dell’indagine sul campo mediante i tre “laboratori progettuali”; – mentre nel capitolo 5 (a cura di V. Pieroni e G. Malizia), conclusivo, è stato compiuto un lavoro di raccolta delle “buone prassi” emerse dall’insieme delle diverse fasi sottese al lavoro di ricerca, al fine di ricostruire un “modello pi- lota” da mettere a sistema per la promozione di progetti “destrutturati”. Seguono un’appendice, con le griglie di valutazione dei progetti comunitari e i relativi grafici, e la bibliografia generale della ricerca. Il rapporto è stato curato da V. Pieroni e G. Malizia. G. Malizia ha anche diretto la ricerca a cui ha partecipato, oltre agli autori dei vari capitoli dello studio, anche M. Tonini. Parte prima LINEE PEDAGOGICO-METODOLOGICHE PER LAVORARE CON I “RAGAZZI DIFFICILI” 13 Capitolo 1 “Ragazzi difficili”: misure a sostegno/accompagnamento1 Vittorio PIERONI - Guglielmo MALIZIA2 Interpretare il fenomeno dei “ragazzi difficili” e/o che “abitano il disagio” in modo permanente significa ricostruire la storia attraverso cui un individuo giunge ad una mancata o incompleta e il più delle volte alienante costruzione del “sé” sulla base di esperienze negative/penalizzanti che lo hanno cortocircuitato entro un sistema di marginalità e di disagio, con inevitabile ricaduta su manifesti comporta- menti a rischio di esclusione sociale dai sistemi educativi di istruzione e di forma- zione e dall’inserimento nella vita attiva. I principali sintomi di questa errata costruzione del “sé” vanno individuati: a) in una percezione dilagante del “non-senso della vita” che pervade il quoti- diano di questi ragazzi e li porta a non considerarsi protagonisti nella costru- zione di un proprio progetto di vita; b) in una mancanza di significato di ciò che si fa, che, pertanto, si esaurisce nel “qui e ora” e che al tempo stesso fa sentire “sganciati” da qualsiasi vincolo d’impegno nei confronti del contesto circostante; c) in un aperto rifiuto a “essere se stessi”, coniugato ad un contestuale lasciarsi andare ad un fatalismo devastante che talora viene compensato nella ricerca di senso in azioni auto o etero-distruttive. Questo fatalismo, espressione di un arresto nello sviluppo della maturazione della coscienza di sé, spesso si coniuga ad una non accettazione/rifiuto di sé, che conseguentemente si traduce in una mancanza di fiducia in se stessi e nelle proprie “risorse”; questa assenza di prospettive di trasformazione del “sé” contribuisce a sua volta ad alimentare ulteriormente il circuito dell’alienazione. Un tale atteggiamento di resa è all’origine inoltre di fenomeni di “dipendenza” nei confronti di persone (il gruppo dei pari), di sostanze (stupefacenti) o di azioni cui viene delegata l’attribuzione di senso. A questa tipologia di “risposte” possono essere ricondotti i comportamenti di chi, organizzando la propria percezione di sé e 1 In questo capitolo vengono ripresi i contenuti elaborati dello stesso autore in: R. MION - V. PIE- RONI, Ragazzi difficili. Misure a sostegno/accompagnamento, Ortona, Piano di Zona n. 26, 2002. 2 Alla stesura di questo capitolo hanno collaborato: Vittorio Pieroni che ha steso i paragrafi 1, 2 e 3; Guglielmo Malizia che ha redatto il paragrafo 4. 14 della realtà circostante intorno alla mancanza di una via d’uscita in se stesso e nel proprio sistema di significato, lasciano che siano gli altri a fare l’uso che vogliono della propria persona; oppure è il soggetto stesso a farsi autore di azioni volte a di- mostrare la convivenza con un atteggiamento nichilista (sentirsi una “nullità”) o, all’opposto, intende dimostrare il “ti faccio vedere chi sono io” attraverso azioni distruttive. Con questi ragazzi deprivati del proprio “sé” e/o con un “sé” svalutato e dele- gato, l’“oggetto” privilegiato dell’intervento ri-educativo non riguarda in prima istanza il comportamento antisociale “tout court” ma piuttosto “quel sé” che di conseguenza sta all’origine del comportamento distruttivo. Non si tratta infatti di rieducare semplicemente il comportamento, quanto piuttosto di condurre il ragazzo verso una progressiva rivalutazione del proprio sé, così da rivisitare il suo modo di interpretare se stesso e la realtà circostante. Il suo comportamento muterà di conse- guenza. La risalita, e/o l’avvio del percorso ri-educativo avverrà conseguentemente al momento in cui il soggetto, attivando e/o facendo pur sempre leva sulle proprie “potenzialità”, le dirige verso “bersagli” in funzione costruttiva, anziché distrut- tiva. Tutto questo comporta una diversa ristrutturazione del “sé”, la cui modifica a sua volta è il prodotto di “esperienze altre/alternative”. 1. COSA SIGNIFICA LAVORARE CON I “RAGAZZI DIFFICILI” Ma cosa significa in realtà ri-educare “ragazzi difficili”? Il processo ri-educa- tivo di soggetti con comportamenti antisociali/devianti è in realtà un “percorso-a- tappe”, che richiede l’attivazione di peculiari strategie senza le quali difficilmente si riportano successi. Anzitutto bisogna partire dal presupposto secondo cui un comportamento anti- sociale e/o a rischio scaturisce: a) da una rappresentazione negativa che il soggetto ha dell’altro, del “diverso-da- sé” e del mondo circostante; b) tale rappresentazione a sua volta ha radici e/o trae sostegno da una mancata maturazione/costruzione del proprio “sé”; c) la quale incide negativamente sulla valutazione dell’“io” (nullità, senso di fal- limento, deficit di significato esistenziale…); d) a sua volta questo “vuoto di identità” spesso induce a delegare il proprio “io” al gruppo/branco e, quindi, anche la responsabilità delle azioni distruttive con- seguenti; è da qui, appunto, che prendono origine i comportamenti antiso- ciali/devianti. Per un soggetto che, provenendo da un percorso di svantaggio, è già stato “bollato” da giudizi negativi (da parte di insegnanti, genitori, mondo adulto, 15 mondo del lavoro…), il processo ri-educativo non potrà di conseguenza avere inizio dal tentativo di cambiare “a priori” il suo comportamento in quanto, non avendo ancora modificato il proprio “sé”, continuerà ad interpretare in maniera di- struttiva anche i diversi componenti e l’attività stessa della famiglia/comunità/con- testo di appartenenza Ne consegue che il processo ri-educativo dovrà compiere, come prima tappa, un percorso a ritroso. Ossia è necessario che “l’educatore”3 sappia mettersi dal punto di vista del ragazzo per cercare di capire anzitutto “come” egli legge/inter- preta la realtà circostante, al fine di arrivare poi a ricostruire la “sua storia”, quella riferita ad una mancata e/o ad una incompiuta strutturazione del “sé”. La mancanza di senso della vita e lo sganciamento da progetti di lunga-ampia gittata lo portano infatti a “dare senso” unicamente a quelle azioni con cui interpreta, “qui-e-ora” e in funzione auto/eterolesiva, il mondo circostante, ossia tutto ciò che è “diverso- da-sé”. Aiutare un ragazzo difficile a modificare il proprio comportamento antisociale significa quindi tralasciare inizialmente di prendere in considerazione tale compor- tamento, per concentrarsi unicamente sul tentativo di comprendere la sua visione della realtà e l’intenzionalità sottesa alla sua attuazione. Una volta individuato il disturbo in questa sfera della soggettività, sarà compito dell’educatore provocare una progressiva trasformazione di quella visione della realtà e una rivisitazione e ristrutturazione dell’attività intenzionale. Assumere nei confronti del ragazzo difficile questa prospettiva conoscitiva si- gnifica compiere un tentativo di penetrazione nella soggettività sua propria, di comprensione della sua situazionalità e del senso che lui le ha dato. Per l’educatore si tratta cioè di mettersi dal suo punto di vista e di “osservare” il suo mondo spo- gliandosi del proprio modo di pensare e delle proprie convinzioni (“entropatia”). Un intervento ri-educativo quindi non può che partire dalla conoscenza dei fattori motivazionali che hanno dato senso all’intenzionalità del ragazzo, così da poter in- teragire offrendogli prospettive/esperienze diverse. Nel presente caso l’entropatia non implica affatto l’annullamento della distanza critica da parte dell’educatore nei confronti della visione che il ragazzo ha del mondo, ma piuttosto la sospensione momentanea dei suoi schemi interpretativi. Ri-educare in questi casi non è lo stesso che educare, ma significa procedere ad una profonda trasformazione della visione del mondo del ragazzo: del suo modo di intendere se stesso e di interpretare gli altri e le cose, del suo modo di mettersi in relazione con queste realtà e di procedere conseguentemente alla scelta dei suoi comportamenti e atteggiamenti. Un ragazzo difficile infatti ha avuto modo di elaborare un proprio vissuto, di sedimentarlo e di arricchirlo di successive strati- ficazioni che gli hanno permesso di consolidare una propria visione del mondo. 3 Facciamo presente una volta per tutte che sotto il termine “educatore” sono comprese tutte quelle figure che a vario titolo hanno a che fare con attività educativo-formative. 16 Dover rimettere in gioco tutto questo, rivedere e modificare le proprie convinzioni, il proprio modo di percepire se stesso e gli altri non sarà quindi un compito facile, soprattutto quando queste convinzioni sono introiettate, diventando dei veri e propri meccanismi di difesa. Ne consegue che l’intervento ri-educativo non potrà mai cominciare da una messa in crisi delle esperienze pregresse del ragazzo, tanto più se caricate di giu- dizi negativi (dei familiari, degli insegnanti, del mondo adulto e talora anche della giustizia minorile…). Si tratta invece di sfruttare quegli aspetti della personalità del ragazzo che possono essere valorizzati, portandolo a fare esperienze nuove e diverse, capaci di aprirgli “altri” orizzonti, al punto da produrre su di lui quell’“ef- fetto disorientante” che può provocare un ripensamento, una revisione critica del proprio passato e attivare energie in funzione di nuovi interessi. 2. I “FONDAMENTALI” DI UN PERCORSO RI-EDUCATIVO L’obiettivo del lavoro ri-educativo nei confronti di ragazzi difficili è essenzial- mente quello di provocare nel ragazzo la costruzione di un nuovo “sé”, ossia una modificazione del sistema di significato con cui interpreta la sua visione del mondo, per acquisire nuovi modelli in grado di ri-orientare il proprio comporta- mento. La dilatazione e la diversificazione del campo di esperienze costituiscono il vettore privilegiato per ricostruire una diversa visione del mondo e, di conse- guenza, per effettuare un cambiamento modificando il proprio comportamento e ri- elaborando un nuovo sistema di significato e/o una nuova disposizione verso la realtà. Per raggiungere questo obiettivo egli ha bisogno di sperimentare concreta- mente i vantaggi di un diverso modo di rapportarsi con se stesso e di relazionarsi con gli altri. Man mano che le nuove esperienze incideranno nel modificare la vi- sione del proprio “sé” contribuendo ad elevare il livello di autostima, diminuirà parallelamente l’atteggiamento a pensarsi incapace di autoprogettarsi, per cui il ra- gazzo-problema sarà sempre meno soggetto a scivolare in forme di dipendenza; contemporaneamente aumenterà il bisogno di sentirsi protagonista della propria esistenza. La dimostrazione di questa progressiva maturazione si avrà quando il ra- gazzo pretenderà che gli vengano affidate responsabilità di sempre maggior livello, proiettate verso obiettivi che oltrepassano la quotidianità degli eventi. Un ulteriore fattore-spia viene anche dal superamento della relazione “transfe- rale” con l’educatore: man mano che il ragazzo matura un senso di autonomia e di autostima la dipendenza emotiva e cognitiva dall’educatore tenderà inevitabil- mente ad affievolirsi fino a trasformarsi in una relazione competitiva alla pari. Spetta all’educatore a sua volta favorire questo processo costruendo le condizioni per una relazione simmetrica, dove al ragazzo viene riconosciuta la propria pro- spettiva critica anche nei confronti delle proposte stesse dell’educatore. Lo scopo 17 di questa strategia sarà quello di condurre il ragazzo a riconoscersi come portatore di un punto di vista personale la cui validità dipende dal fatto che esso diventi ac- cettabile e condivisibile anche dagli altri. Un tale cambiamento non comporta semplicemente il superamento di un’atti- vità intenzionale disfunzionale, ma implica l’assunzione del ragazzo come prota- gonista del processo di ristrutturazione della sua visione del mondo e della riorga- nizzazione della sua attività intenzionale. In definitiva significa quindi ricono- scergli la possibilità di poter realizzare un effettivo cambiamento. Se infatti l’inter- vento dell’educatore si risolvesse in un meccanismo di pura esposizione passiva ad un trattamento ri-educativo, quali garanzie si darebbero che al di fuori di quel con- testo (ad esempio, al momento di reinserirsi in una realtà fatta di componenti dis- turbanti) quel ragazzo non subirebbe di nuovo le cattive suggestioni di un tempo? Il punto di arrivo dunque è quello in cui il ragazzo è “costruttore attivo” del pro- prio “sé” e della sua visione del mondo e, conseguentemente, del suo comporta- mento. A sua volta la traduzione operativa di questo riconoscimento del ragazzo come protagonista della ri-costruzione del proprio “sé” implica una particolare gestione pedagogica del processo di cambiamento. L’acquisizione di un nuovo sistema di significato è frutto di una produzione autonoma provocata dalle esperienze interve- nute nella relazione educativa. Per far sì che il ragazzo diventi protagonista attivo del proprio cambiamento l’educatore deve quindi proporre strategie orientate a perturbare lo status quo, offrendo provocazioni mirate a far leva su processi autori- generativi. In altri termini, più che offrirgli giudizi/valutazioni sui comportamenti pregressi, l’educatore dovrò essere in grado di suggerire/proporre esperienze e pro- vocazioni mirate a ripensare la realtà attuale, passata e futura alla luce di nuove modalità di approccio, facendo emergere nuovi sistemi di significato. Ma anche di fronte ad un ragazzo che ha consolidato un nuovo punto di vista su se stesso e sulla realtà circostante, maturando una distanza critica rispetto al suo passato, scatta prima o poi l’interrogativo sul suo futuro: cosa farà della sua vita? Come investirà le nuove risorse scaturite dal cambiamento? In questo caso l’educatore, piuttosto che riempire di proposte il futuro del ra- gazzo al fine di sottrarlo al confronto con il senso di vuoto/smarrimento, dovrà as- sumere un atteggiamento di accettazione dell’“insicurezza” e di apertura al possi- bile, consapevole del fatto che le scelte con cui il ragazzo riempirà il suo futuro di- penderanno dall’elaborazione personale scaturita lungo gli interventi ri-educativi. Mentre il voler in qualche modo intervenire in queste scelte da parte dell’educatore significa invaderlo, far riprecipitare il ragazzo in uno stadio di dipendenza, sot- traendo terreno a quella fiducia in se stesso che egli nel frattempo si era faticosa- mente ricostruita. Quello che non deve mancare, invece, è il processo di progres- sivo accompagnamento da mettere in atto anche durante questa fase. Ci sono però alcune condizioni affinché questa scelta autonoma risulti effetti- vamente perseguibile: il ragazzo deve possedere una rappresentazione il più possi- 18 bile realistica delle proprie capacità e limiti e del contesto in cui opererà le proprie scelte. Dal canto suo l’educatore, non più figura di attaccamento ma ancora figura di riferimento, dovrà “accompagnarlo” fornendogli non tanto suggerimenti con- creti ma piuttosto un aiuto per individuare limiti e potenzialità. In questo periodo di transizione è necessario che il ragazzo possa ancora contare su una relazione si- gnificativa con l’educatore. In altre parole il contributo effettivo che l’educatore potrà dare, consisterà nel creare continuità tra ciò che il ragazzo sperimenta lungo il processo ri-educativo e ciò che sperimenterà/realizzerà al di fuori, nella vita attiva, quando potrà fare affi- damento solo su se stesso. Per ottenere questi risultati l’educatore dovrà saper mettere in atto tutta una serie di strategie: a) mettersi anzitutto dal punto di vista del ragazzo, per “osservare” il suo mondo senza emettere giudizi/valutazioni; b) partire dalla conoscenza dei fattori motivazionali che nelle esperienze pre- gresse hanno “dato senso” (purtroppo nella direzione sbagliata) all’intenziona- lità del ragazzo; c) offrire contemporaneamente punti di vista diversi ed esperienze alternative fi- nalizzate a dare un senso e/o a trasformare quel modo che ha il ragazzo di per- cepire se stesso e di interpretare la realtà, sfruttando gli aspetti della sua perso- nalità che possono essere meglio valorizzati; d) “credere” nelle potenzialità di cambiamento del ragazzo, riconoscendogli apertamente la possibilità di poterlo effettuare; e) far sì che il ragazzo diventi protagonista attivo del proprio cambiamento pro- ponendo strategie orientate a perturbare lo status quo e offrendo conseguente- mente provocazioni mirate a far leva su processi autorigenerativi; ossia, mentre per un verso l’educatore deve evitare il più possibile di dare giudizi/valutazioni sui comportamenti pregressi del ragazzo, al tempo stesso deve essere in grado di suggerire/proporre esperienze e provocazioni mirate a ripensare la realtà attuale, passata e futura alla luce di nuove modalità di ap- proccio, facendo emergere sempre nuovi sistemi di significato. 3. ALLA RICERCA DI “BUONE PRASSI” PER LAVORARE CON I “RAGAZZI DIFFICILI” Per la messa in opera di un qualsiasi progetto si richiede anzitutto di indivi- duare e, conseguentemente, di impostare l’intervento su alcune “condizioni” che fanno da fondamento all’intero impianto, ossia: 1) la committenza: “chi” propone e/o promuove l’intervento; nel presente caso si dovrà trattare anzitutto di un progetto a carattere “sistemico”, ossia coordinato e condiviso tra più parti interagenti tra Enti promotori e gestori: Amministra- 19 zione locale, Servizi socio-assistenziali, Istruzione e Formazione Professio- nale, Enti pubblici e privati, associazioni, parrocchie...; 2) la gestione: “chi” è deputato a realizzare il progetto; 3) il target: a “chi” e a “quanti” è destinato; 4) i risultati attesi: “che cosa” si vuole realizzare in rapporto agli obiettivi presta- biliti; 5) le “risorse” disponibili: “quante” e “di che tipo”; coerentemente alla presenza di un apparato sistemico di riferimento, anche le risorse su cui fare affida- mento dovranno essere, di conseguenza, di tipo “polivalente” (umane, finan- ziarie, strutturali, professionali…) ed “inter-servizio” (tra più realtà interve- nienti); 6) il collocamento del progetto nello spazio/tempo: “quando” (durata nel tempo distribuita per fasi) e “dove” (spazi e strutture in cui calare concretamente l’in- tervento a livello operativo); 7) il sistema di verifiche: “chi” fa le verifiche, “che cosa” verificare, “quando” è necessario fare le verifiche, “come” effettuare le verifiche. 3.1. La struttura portante di un “modello di servizio di qualità” Un “servizio di qualità” potrà essere effettivamente tale, infatti, se sottoposto ad una serie di “buone prassi” su cui impostare l’intervento, le quali a loro volta dovranno essere sottoposte a verifiche attraverso valutazioni relative ai seguenti passaggi-chiave: 1) progettazione; 2) iter processuale; 3) risultati conseguiti; 4) divulgazione/socializzazione delle “buone prassi”. Qui di seguito riportiamo quindi alcune linee-guida, in parte prese a prestito dalle “buone prassi” di altri contesti4, ma in parte appositamente rielaborate in modo da impostare l’intervento con i minori a rischio sulla base di studi e di espe- rienze maturate e consolidate. 3.1.1. L’impostazione del progetto Comporta la messa in atto di un ampio ventaglio di azioni che costituiscono il “sistema fondante” di un progetto, per cui già durante la fase programmatoria oc- corre tener conto di tutti i possibili fattori intervenienti, ossia del fenomeno su cui si vuole intervenire, delle “attese” rispetto al cambiamento prefigurato, dei destina- tari del progetto, delle “risorse” disponibili, delle metodologie d’intervento e del sistema di valutazione da attuare a garanzia dei risultati conseguiti. 4 Cfr. C. BARALDI - M. COLETTI (a cura di), Linee guida per la prevenzione delle tossicodipen- denze, Milano, Angeli, 2001. 20 3.1.1.1. Analisi del fenomeno L’analisi del fenomeno risponde all’obiettivo di individuare nel territorio in osservazione: a) quali problemi si intendono affrontare attraverso l’attuazione del progetto; b) quale e quanta è la popolazione interessata da questi problemi nell’area geo- grafica in osservazione; c) quali sono i principali fattori di rischio che coinvolgono i soggetti-attori a li- vello: - psicologico; - sanitario; - socio-relazionale; - criminologico-comportamentale; d) quali sono i problemi che la comunità locale subisce e/o deve affrontare, in termini di “danno” al territorio: - psicologico (di immagine…); - sociale (qualità della vita relazionale del luogo…); - ambientale (vandalismi, distruttività...); - economico (prestazioni di nuovi servizi…). 3.1.1.2. Analisi della domanda di contesto e apertura alla partecipazione L’analisi della domanda di contesto e apertura alla partecipazione richiede di stabilire: a) la “fattibilità” del progetto che si intende attuare; b) chi sono i committenti; c) chi sono i finanziatori; d) da chi è composta la commissione responsabile del progetto (rappresentanti di quali Enti); e) a chi è stata affidata la responsabilità della sua progettazione e realizzazione; f) chi collabora al progetto (quali altri gruppi sociali del territorio sono coinvolti: strutture analoghe, Enti, altri servizi, associazioni…); g) questa collaborazione prevede di poter “lavorare-in-rete”? h) qual è la mappa delle “risorse” disponibili, in termini di: - risorse umane (professionalità, ruoli e competenze degli operatori…); - investimenti finanziari (pubblici, privati, per quanto tempo, per quanti utenti…); - spazi/infrastrutture; i) in quale rapporto stanno Enti promotori/finanziatori, gruppi coinvolti nella realizzazione del progetto e risorse disponibili. 3.1.1.3. Modelli/metodologie di riferimento Riguardo a modelli/metodologie di riferimento, occorre indicare: 21 a) quale interpretazione viene data al problema che si intende affrontare; su quali ipotesi è fondata questa interpretazione; b) quale metodologia si intende applicare al modello interpretativo adottato e a quali fonti fa riferimento; c) quali sono gli obiettivi generali del progetto (prevenire, cambiare, promuo- vere…); d) quali sono invece gli obiettivi specifici che si intendono conseguire attraverso l’applicazione del modello; e) come è stata pianificata l’attività: il progetto è stato strutturato per tempi/fasi a breve/medio/lungo termine? f) quali sono i risultati attesi; g) come si prevede di verificare il rapporto tra gli obiettivi programmati ed i ri- sultati realizzati (metodi, strumenti per le verifiche…). 3.1.1.4. Destinatari del progetto Riguardo i destinatari del progetto, comporta di stabilire a priori: a) da chi è composto il target degli utenti (caratteristiche, composizione nume- rica…); b) quali sono i fattori per la loro selezione; c) quali sono le prerogative per il loro inserimento nel progetto; d) quali sono le modalità per contattarli, reclutarli, motivarli; e) quali sono gli obiettivi specifici che si intendono conseguire, per quanto ri- guarda: - la prevenzione nei confronti dei comportamenti (a rischio di devianza…); - le “competenze” di personalità da migliorare (autostima, attitudini…); - i cambiamenti negli atteggiamenti/comportamenti. 3.1.1.5. “Risorse umano-formative” Per svolgere l’intervento occorre poter disporre di: a) personale appositamente formato (età, titolo di studio, esperienze pre- gresse…); b) formazione specifica da offrire in ingresso; c) presenza di doti/qualità ad hoc (vocazione ad educare, a stare con i ragazzi…); d) criteri per selezionare gli operatori; e) processi di formazione da offrire in itinere. 3.1.1.6. Pianificazione della valutazione Va pianificata la valutazione da applicare: a) al progetto nel suo complesso: - ex-ante; - in itinere; - ex-post; - follow up (a distanza di tempo); 22 b) alle diverse componenti sottese alla realizzazione del processo, relativamente: - agli utenti; - agli operatori; - al programma; - alle metodologie d’intervento utilizzate; - alle attività svolte; - alla adeguatezza delle “risorse” utilizzate; - alla funzionalità dell’organizzazione; c) ai risultati conseguiti, in riferimento: - agli obiettivi di volta in volta realizzati in rapporto alle diverse fasi/tempi in cui è strutturato il progetto (a breve/medio/lungo termine); - alla coerenza tra metodi ed obiettivi conseguiti; - al rapporto costi-benefici; - alle reazioni/impatto che ha avuto sui destinatari; - al sistema di efficienza/efficacia nel rapporto risultati attesi/conseguiti; d) alle procedure di verifica, in merito a: - chi valuta; - che cosa si vuole valutare (variabili, indicatori…); - come si intende valutare (metodi, strumenti di osservazione…). 3.1.2. La valutazione dell’iter processuale Per verificare se l’esecuzione del progetto si svolge in modo adeguato in rife- rimento agli obiettivi prefissati bisognerà misurare il grado di coerenza con le me- todologie/strategie adottate e, nel caso in cui si dovessero cogliere dei limiti nel- l’attuazione, il sistema di verifica dovrà servire a reimpostare l’intervento (indi- cando “come”, dove, quando…). Per cui, nel sottoporre a verifica il processo sarà di primaria importanza tener conto soprattutto delle sue modalità di realizzazione, dei destinatari e degli esiti del programma su questi ultimi. 3.1.2.1. Modalità di realizzazione dell’intervento Il sistema di verifica dovrà indicare se: 1) gli obiettivi (a breve/medio/lungo termine) pianificati per l’intervento sono stati raggiunti: - completamente - solo in parte: Æ indicare gli scostamenti 2) le risorse individuate per la realizzazione dell’intervento sono risultate effi- caci/efficienti: - completamente - solo in parte: Æ indicare gli scostamenti 3) le metodologie pianificate per l’intervento sono stati applicate: - completamente - solo in parte: Æ indicare gli scostamenti 23 4) gli strumenti programmati per l’intervento sono stati utilizzati: - completamente - solo in parte: Æ indicare gli scostamenti 5) l’organizzazione dell’intervento è risultata adeguata agli obiettivi prefissati: - completamente - solo in parte: Æ indicare gli scostamenti 6) la congruenza tra la pianificazione e l’attuazione dell’intervento, è risultata: - completa - parziale: Æ indicare gli scostamenti 3.1.2.2. Valutazione delle azioni sui destinatari Il sistema di verifica dovrà indicare se: 1) gli utenti coinvolti nell’intervento corrispondono a quelli pianificati nel pro- getto: - completamente - solo in parte: Æ indicare perché e le caratteristiche dei nuovi aggiunti 2) le modalità di reclutamento sono state rispettate: - completamente - solo in parte: Æ indicare perché e le modifiche aggiunte 3) le motivazioni dei destinatari sono risultate coerenti agli obiettivi del progetto 3.1.2.3. Valutazione degli esiti sui destinatari Occorre riportare: 1) quanti erano i destinatari all’inizio del programma e quanti hanno portato a termine il programma; 2) di questi ultimi, quanti sono risultati positivi e su quanti il programma si è ri- velato inadeguato/inefficace; 3) quale spiegazione viene data degli eventuali effetti negativi emersi; 4) quali sono le motivazioni di coloro che si sono ritirati e/o non sono riusciti a portare a termine il programma (indicare anche le caratteristiche socio-demo- grafiche…); 5) se coloro che hanno portato a termine il programma possono essere conside- rati “rappresentativi” di un particolare gruppo/popolazione e in base a che cosa (indicare anche qui le caratteristiche socio-demografiche…); 6) se il programma d’intervento si è dimostrato efficace nei confronti dei destina- tari per quanto riguarda: - le motivazioni a partecipare attivamente alla sua realizzazione; - la modifica degli atteggiamenti/comportamenti (indicare in che modo e fino a che punto); - l’acquisizione di capacità personali (indicare quali e in che modo); - il modo di rapportarsi al contesto socio-relazionale di riferimento (comu- nità, famiglia, amici…). 24 3.1.3. La valutazione del programma nel suo complesso È necessario verificare: 1) se il programma d’intervento nel suo complesso: - sta bene così; - va modificato/riprogettato (del tutto, in parte…); 2) chi e quanti hanno partecipato ai processi di valutazione; 3) se la valutazione dei risultati è stata realizzata attraverso: - la verifica delle ipotesi; - la descrizione degli eventi; - la somministrazione di questionari, test; 4) quali sono complessivamente i punti di forza e di debolezza del programma; 5) se il programma ha subito modifiche e, in tal caso, quante, di che tipo, che im- patto hanno avuto sull’andamento generale dell’intervento; 6) quali suggerimenti si possono dare per modificare/migliorare il programma o eventualmente realizzare ulteriori protocolli di valutazione; 7) come le informazioni raccolte sugli utenti sono state utilizzate (archiviazione, banca dati…); 8) se è possibile confrontare i risultati ottenuti con quelli di altri interventi ana- loghi; 9) se i risultati ottenuti sono riconducibili alle “buone prassi”. 3.1.4. La divulgazione dei risultati Occorre indicare: 1) se era previsto un piano per la divulgazione dei risultati e se è stato realizzato; 2) se i risultati ottenuti sono estendibili/applicabili anche ad altri contesti e di che tipo; 3) chi dovrebbe venire a conoscenza dei risultati ottenuti dal progetto; 4) a quale tipo di informazioni sono interessati i diversi destinatari della divulga- zione; 5) quali forme di comunicazione si pensa di utilizzare per la divulgazione dei ri- sultati (convegni/seminari di studio, pubblicazioni scritte, processi informa- tici/multimediali…); 3.2. La messa in atto di adeguate strategie d’intervento Le strategie da adottare per la realizzazione di un modello di servizio di qua- lità a favore di categorie di giovani svantaggiati e/o a rischio di esclusione/emargi- nazione sociale vanno individuate essenzialmente: 1) nella selezione, nella formazione e nella “professionalità” degli educatori; 2) nel cambio della cultura nella promozione e realizzazione degli interventi; 3) nel cambio della cultura sottesa alle politiche formative per soggetti a rischio di esclusione. 25 3.2.1. La selezione, la formazione e la “professionalità” degli educatori Stando sempre nell’ottica di un prodotto di qualità, affinché si dia una certa garanzia di realizzazione e/o di continuità nell’avviare progetti preventivo-(ri)edu- cativi per ragazzi difficili, una delle strategie da mettere in atto sin dall’inizio sta nella capacità di fare una buona selezione degli operatori. Il “motore”, il nucleo propulsivo/operativo di un intervento ri-educativo è co- stituito infatti dagli educatori. La vita di un progetto d’intervento ruota attorno alla loro presenza ed i risultati attesi ed effettivamente conseguiti dipendono stretta- mente da una loro peculiare selezione in funzione del ruolo da assolvere e dalla qualità della formazione ricevuta (all’inizio ed in itinere) nel mettere a profitto le proprie doti e competenze. Vediamo anzitutto chi sono e sulla base di quali “qua- lità professionali” i fattori possono essere selezionati. 3.2.1.1. La selezione degli educatori Per operare all’interno di interventi/progetti ri-educativi occorre poter disporre di un ampio ventaglio di presenze a carattere polivalente: a) animatori/operatori che consentono l’avvistamento, l’avvicinamento, il con- tatto, l’accompagnamento e il coinvolgimento di soggetti appartenenti a gruppi informali, al fine di costruire relazioni significative e di effettuare una costante presenza nei luoghi abituali dove essi si ritrovano; b) psicologi e pedagogisti, per la promozione di attività formative iniziali e in iti- nere e per fornire momenti di orientamento, accompagnamento e sostegno du- rante le attività di recupero; c) insegnanti/formatori/tutor impegnati nella promozione di programmi rieduca- tivi e/o di prevenzione delle problematiche del disagio (sociale, formativo, di inserimento nella vita attiva…), da realizzare – in diverse modalità, luoghi e tempi – con le scuole, i Centri professionali, le amministrazioni locali, le fa- miglie, i servizi e le varie associazioni del territorio. Per la loro selezione si dovrebbe tener conto: a) delle caratteristiche legate al contesto operativo in cui vanno ad inserirsi (sesso ed età degli utenti, inquadramento, rischi, ambito di autonomia opera- tiva…); b) delle caratteristiche legate all’équipe degli operatori (clima interno, inclina- zione a collaborare/lavorare in gruppo, condivisione dell’esperienza…); c) della condivisione della cultura dell’organizzazione (obiettivi, metodologie, strumenti operativi…); d) dell’accettazione dei ruoli/compiti nei quali ognuno sarà coinvolto. Successivamente, prima di passare all’affidamento del ruolo e/o delle man- sioni/compiti si renderà necessario tradurre i selettori riportati sopra in “requisiti di personalità”: competenze, abilità, attitudini, capacità comunicative/relazionali, 26 equilibrio, affidabilità, assunzione di responsabilità…, che serviranno a comporre il profilo del “candidato ideale”. Riportiamo qui di seguito una serie di “qualità selettive” mirate a ricostruire il profilo dell’“educatore ideale”: 1) equilibrio emotivo; 2) empatia, capacità comunicative e relazionali; 3) competenze di ruolo/professionali; 4) assunzione di responsabilità; 5) condivisione della cultura sottesa al progetto (obiettivi, metodologie, stru- menti operativi…); 6) trasparenza, chiarezza, obiettività di giudizio/valutazione; 7) mentalità aperta/flessibile al cambiamento; 8) mentalizzazione/predisposizione a saper lavorare in équipe e/o in una “cultura sistemica”; 9) saper stare “CON” i ragazzi e non lavorare semplicemente “per” o “su” di loro; 10) avere un atteggiamento empatico tale da permettere un’accoglienza incondi- zionata, libera da pregiudizi rispetto alla “storia” di ciascuno; 11) arrivare a sviluppare un rapporto di “reciprocazione”, in modo che ognuno ri- esca a sua volta a produrre un “dare” grazie al fatto di aver ricevuto; 12) possedere una chiara visione della “qualità” delle proprie motivazioni a lavo- rare con ragazzi difficili (al fine di evitare la presenza nell’équipe di persone che hanno bisogno di sentirsi dei “salvatori” o, viceversa, di quelle persone che, avendo esse stesse dei problemi, pensano di risolverli prendendosi cura degli altri); 13) conoscenza delle dinamiche personali ed interpersonali/di gruppo che inevita- bilmente si provocano quando si lavora in équipe; 14) predisposizione a lavorare ad un progetto formativo con una mentalità aperta alla collaborazione, flessibile, capace di rimettere in discussione il proprio operato sottoponendolo a continue verifiche; 15) disponibilità a farsi guidare da un supervisore che funzioni da contenitore delle emozioni sperimentate e come punto di riferimento delle proprie scelte operative; 16) capacità di pensare il proprio lavoro “in modo sistemico”, diffidando di affi- darsi alla propria volontà o al proprio intuito o al bisogno di rendersi utile ma facendo piuttosto costante riferimento, nel proprio modo di operare, all’équipe degli operatori; 17) saper fare ricorso alle “risorse” peculiari del contesto di appartenenza (comu- nità, famiglia, istituzioni, cultura…) attraverso un lavoro sistemico volto a co- struire con le varie parti in causa rapporti basati sulla fiducia e sulla volontà di trovare soluzioni condivise; 18) sapersi mettere costantemente in causa circa il “come fare”, “come riuscire a comunicare/relazionarsi” rispetto al minore, alla famiglia, al contesto ambien- 27 tale, alle altre figure professionali coinvolte, agli altri servizi, alle altre istitu- zioni; 19) essere non un semplice “esecutore” di una prestazione professionale, ma far diventare creativo, autoresponsabilizzante e costruttivo il proprio apporto al- l’interno dell’équipe operativa; 20) curare l’aggiornamento/apprendimento di sempre nuove funzioni, contenuti e tecniche specialistiche; 22) promuovere un lavoro costante di riflessione/feed-back sulle proprie attività in termini di concetti, di metodologie, di rielaborazione dei propri metodi e com- petenze, delle proprie “rappresentazioni di sé in quanto educatore” e di veri- fiche finalizzate alla “risposta”; 23) fungere da centro di smistamento e punto di coagulo delle “risorse” disponi- bili del territorio, per trasformarle in energie nuove e qualificate in modo da costituire una task-force permanente a servizio della prevenzione, delle poli- tiche giovanili e della lotta al disagio del territorio. Contestualmente alle qualità suindicate occorre verificare il modo stesso in cui si collocano gli operatori all’interno del progetto d’intervento. Un tale modo di collocarsi va visto in una duplice direzione: sia analizzando il modo di rapportarsi con i ragazzi che esaminando la “mentalità” con cui svolgere il proprio lavoro. Nel primo caso, per costruire un efficace rapporto con ragazzi difficili l’opera- tore deve poter disporre di alcuni atteggiamenti fondamentali: a) saper stare “con” i ragazzi e non lavorare “su” di loro; b) avere un atteggiamento empatico tale da permettere un’accoglienza incondi- zionata, libera da pregiudizi rispetto alla “storia” di ciascuno; c) nell’interazione arrivare a sviluppare un rapporto di “reciprocazione”, tra il “dare” agli altri ed il “saper ricevere” dagli altri. In secondo luogo, nell’esaminare la “mentalità” operativa occorre tener conto: a) di una valutazione attenta delle caratteristiche di personalità di ciascun opera- tore e della “qualità” delle sue motivazioni: si deve evitare con estrema cura l’ingresso nell’équipe di persone che hanno bisogno di sentirsi dei “salvatori” o, viceversa, di quelle persone che, avendo esse stesse dei problemi, pensano di risolverli prendendosi cura degli altri; b) della conoscenza delle dinamiche personali ed interpersonali/di gruppo che inevitabilmente si provocano quando si lavora in équipe; c) della predisposizione a lavorare ad un progetto formativo con una mentalità aperta alla collaborazione, flessibile, capace di rimettere in discussione il pro- prio operato sottoponendolo a continue verifiche; d) della disponibilità a farsi guidare da un supervisore che funzioni da conteni- tore delle emozioni sperimentate e come punto di riferimento delle sue scelte operative; 28 e) della capacità di pensare il proprio lavoro “in modo sistemico”, diffidando di affidarsi alla propria volontà o al proprio intuito o al bisogno di rendersi utile, ma piuttosto facendo costante riferimento ad un gruppo di supervisione per valutare il proprio operato; f) del saper fare ricorso alle “risorse” peculiari del contesto di appartenenza (co- munità, famiglia, istituzioni, cultura…) attraverso un lavoro sistemico volto a costruire con le varie parti in causa rapporti basati sulla fiducia e sulla volontà di trovare soluzioni condivise. Infine, in un servizio di qualità è sottinteso che, come tutto ciò che contribuisce alla realizzazione di un “prodotto” (nel presente caso tradotto in “buone prassi”), co- sì anche gli operatori siano a loro volta soggetti ad essere valutati (nonostante che pre- valga generalmente una certa ritrosia a farlo…). In realtà una valutazione svolta in modo corretto è un dovere in qualsiasi tipo di prestazione d’opera, in quanto permette di ricevere un feed-back sul proprio operato alternativo all’autoreferenzialità (riferi- ta non solo all’individuo ma anche al gruppo/struttura di appartenenza). I vantaggi di questo sistema, riguardano: – la trasparenza/chiarezza/obiettività di giudizio, in quanto effettuato in pub- blico, con la partecipazione di tutti i componenti e rispettiva chiarificazione delle interpretazioni; – la centratura sul compito, distinguendo tra quello che l’educatore “è” e quello che “fa”; – l’assunzione di responsabilità nei confronti del proprio operato; – la partecipazione/coinvolgimento nell’identificarsi in modo costruttivo con l’ambiente ove presta l’opera; – la dinamicità nel saper coniugare gli obiettivi pregressi a quelli in itinere che fanno parte delle tappe successive. 3.2.1.2. La formazione dei formatori L’adozione di questa strategia viene messa in stretto rapporto di causa-effetto con l’esigenza di adottare criteri selettivi, in quanto agisce sulla sua principale ri- sorsa, quella umana-professionale, per adeguarla/rafforzarla rispetto al bisogno di flessibilità/innovazione. Con l’evolversi/complessificarsi dei fenomeni legati ai contesti della socializ- zazione primaria e secondaria, anche la personalità in formazione dei minori ri- sente ovviamente delle problematiche sottese, con particolare riferimento a sempre nuove e più complesse forme di devianza. Tutto questo comporta una crescente flessibilità e continui ri-adattamenti riferiti non solo alle tipologie di servizi da atti- vare ex-novo e/o ristrutturare ma anche ai ruoli professionali e relative competenze degli operatori. Come tale, la formazione dei formatori rappresenta una compo- nente organizzativa di base mirata a definire le caratteristiche degli interventi e di coloro che li attuano. Tuttavia per formazione non si intende solo aggiornamento e apprendimento 29 di nuove funzioni, contenuti e tecniche specialistiche, ma anche un lavoro costante di riflessione/feed-back sulle proprie attività in termini di concetti, di metodologie e di verifiche finalizzate alla “risposta” da dare di volta in volta lungo l’intervento. Si tratta di risposte a sfide poste dalla complessità/variabilità del fenomeno del dis- agio e dell’emarginazione e che richiede di mettersi costantemente in causa circa il “che fare” e soprattutto “come” riuscire a comunicare/relazionarsi rispetto al gio- vane oggetto d’attenzione, alla famiglia, al contesto ambientale, alle altre figure professionali coinvolte, agli altri servizi, alle altre istituzioni. Nel lavoro formativo dell’operatore è importante quindi che sia presente la di- mensione della “ricerca”; che si provochi cioè un atteggiamento di costante con- fronto con gli aspetti etici della propria attività, nel tentativo di rielaborare metodi, competenze e “rappresentazioni di sé” in quanto educatore. Il processo di formazione continua a sua volta richiama all’aspetto della valu- tazione per rendere conto del lavoro svolto, dei processi messi in atto e dei risultati conseguiti. Tutto questo rimanda a problemi di carattere culturale (il senso del “che fare”) e metodologico (“come fare”), che nel processo formativo devono essere og- getto di continua ri-elaborazione e di costante applicazione di strumenti ad hoc. Occorre guardare quindi alla formazione di un educatore come ad un percorso di lungo periodo che si sviluppa in più fasi/tempi5. 1) Anzitutto deve possedere una adeguata formazione di base. Essa ha come obiettivo l’acquisizione dei quadri culturali di riferimento e degli strumenti opera- tivi coerenti con il programma d’intervento per svolgere le funzioni di programma- zione, progettazione, gestione, implementazione e valutazione dei processi forma- tivi. Durante questa fase (dalla durata variabile, rapportabile a curricoli di varia en- tità – diplomi post-secondaria, laurea…) l’educatore, per poter essere in condi- zione di saper interpretare e sistematizzare i fenomeni sui quali occorre intervenire, deve poter acquisire nozioni di diverse discipline, integrandole con approcci meto- dologico-strumentali e con esperienze pratiche (tirocini). Ciò richiede un ampio bagaglio di competenze, che fanno capo in particolare: a) alle teorie del processo formativo, che servono a comprendere le dinamiche che regolano il cambiamento e lo sviluppo intellettuale dell’individuo; b) alle discipline sociologiche e antropologiche per l’interpretazione del disagio minorile/giovanile e per comprendere i fattori sociali e culturali che caratteriz- zano le realtà su cui interviene l’educatore; c) alle discipline psicologiche, per sviluppare la capacità di lettura/interpreta- zione dei comportamenti individuali e delle dinamiche interpersonali e di gruppo; 5 Per la descrizione di queste fasi si è fatto riferimento a P. FEDERIGHI, La formazione degli ope- ratori sociali di strada e gli sbocchi di lavoro: la committenza, il profilo professionale, le compe- tenze, in P. OREFICE (a cura di), L’operatore sociale di strada. Professione e formazione, Pisa, ed. ETS, 2000, pp. 54-55. 30 d) alle discipline pedagogico-metodologiche, da applicare al contesto operativo di riferimento, in particolare per quanto riguarda la gestione: - di azioni formative mirate agli apprendimenti (programmazione delle atti- vità…); - di servizi alla persona (supporto, accompagnamento, consulenza, orienta- mento, motivazioni, informazione…); - del lavoro a livello territoriale (sviluppo delle reti sociali, contatti con le fa- miglie, scuole, associazioni, Enti locali, programmazione territoriale…). 2) Quindi una formazione in itinere (aggiornamento permanente). Rappre- senta l’ambito formativo di specializzazione dell’operatore e consiste nell’orga- nizzazione di itinerari di approfondimento, applicabili sia al piano culturale che a quello metodologico-pedagogico. Questo tipo di formazione ha una durata limi- tata nel tempo (giornate/periodi di studio, incontri di fine settimana…), sebbene richieda ripetuti/frequenti richiami lungo l’intero arco di tempo operativo e sia vista soprattutto in funzione di integrazione/consolidamento della formazione di base; la riflessione critica sulle esperienze pregresse/maturate dovrebbe portare infatti, attraverso incontri con esperti, a rielaborare l’intervento educativo indivi- duando sempre nuovi significati, metodologie, percorsi di lavoro coordinati nel tempo. 3) Inoltre la disponibilità ad assoggettarsi a processi di supervisione/accom- pagnamento: da un lato servono a fare da contenitore delle problematiche di natura emotivo-relazionale che possono incidere negativamente sul rapporto che l’opera- tore ha con i ragazzi e dall’altra fanno da supporto alla pratica professionale in quanto permettono di monitorare costantemente il proprio lavoro, rivisitare i signi- ficati e gli orientamenti, rielaborare le prassi. 4) Possesso di peculiari doti/abilità personali. Lungo questo articolato per- corso di formazione, le qualità più richieste all’educatore per operare con gruppi di (pre)adolescenti caratterizzati da particolari condizioni di svantaggio possono es- sere raggruppate sostanzialmente secondo alcune tipologie di fondo: a) competenze legate alle qualità personali e agli atteggiamenti: - umiltà, intesa come consapevolezza di non poter agire da solo in ambiti complessi; - capacità di stimolare/promuovere la ricerca di soluzioni, anziché offrire so- luzioni preconfezionate; - un buon bagaglio di sani principi, motivazioni, valori; - capacità di accettare impotenza e frustrazioni e di saper convivere con in- certezze e dubbi; - accoglienza incondizionata della “storia di vita” personale di ciascuno e del gruppo; - atteggiamento senza pregiudizi nei confronti della capacità di ciascuno di ricostruire la propria vita; 31 b) competenze legate all’area delle abilità cognitivo-operative: - capacità di ascolto; - analisi/interpretazione della realtà degli adolescenti; - empatia; - comunicazione/dialogo nella relazione; - promozione di un clima cooperativo; - progettazione e gestione delle attività in forma concertativa; - lavoro in équipe attraverso il confronto, il rinforzo reciproco, lo scambio di esperienze. L’educatore definisce infatti il proprio ruolo anche attraverso una “rete” di re- lazioni con i differenti attori del tessuto sociale del territorio (Enti, istituzioni, ser- vizi, associazioni, gruppi formali ed informali…), nel tentativo di fare da ponte/mediare i contatti tra la comunità ed i differenti soggetti territoriali e al tempo stesso per la ricerca di opportunità e risorse accessibili. Il processo di formazione dei formatori si sviluppa così come un continuum tra il modello trasmissivo-alimentativo di conoscenze ed il modello improntato alla dimensione della ricerca come produzione di saperi originali/innovativi, passando attraverso un percorso che privilegia l’elaborazione delle esperienze grazie ad atti- vità di confronto e di socializzazione tra le differenti parti in causa. A sua volta il setting di lavoro dell’educatore richiede di procedere con una certa flessibilità lungo l’itinerario formativo, in quanto esso comprende contributi informativi, momenti di concettualizzazione e sistematizzazione delle esperienze e conseguente disponibilità a rielaborarle. Il paradigma di riferimento è una conce- zione della formazione come restituzione delle capacità di produrre pensiero crea- tivo/innovativo rispetto alle proprie concezioni, stili e modalità/metodologie di azione. Questa attenzione a sviluppare, nel campo formativo, processi di ricerca, permette agli educatori di ricollocarsi cognitivamente e metodologicamente ri- spetto al ruolo che svolgono e alle competenze che esso richiede. Tutto questo per- mette di mettere a frutto le competenze di volta in volta acquisite, nell’ambito dei differenti campi/livelli a cui l’operatore è chiamato a collocarsi. All’interno di questa ottica d’intervento non è più concepibile un educatore in- teso come un semplice “esecutore” di una prestazione professionale, ma la sua pre- senza diventa “creativa” nell’organizzare di volta in volta i processi comunica- tivi/interattivi tra le differenti “risorse” (individuali, collettive, istituzionali…) e nell’adattarsi alle differenti personalità (e relativi bisogni) dei soggetti-problema. Quindi fra gli obiettivi centrali del sistema di formazione degli educatori non vi è soltanto la specializzazione nella propria funzione, ma occorre trasmettere/far ac- quisire quella “flessibilità professionale” che lo rende capace di utilizzare nel pro- prio ambito operativo conoscenze, competenze ed esperienze provenienti da altre funzioni e la disponibilità a comunicare a sua volta ad altri contesti le diverse ac- quisizioni ed i risultati della propria professionalità. 32 La verifica degli interventi e la formazione permanente degli educatori rappre- sentano dunque due dimensioni fondamentali per attribuire agli interventi ri-educa- tivi un minimo di garanzia rispetto ai problemi che presenta lavorare con “sog- getti-a-rischio”. 3.2.1.3. Il bagaglio di strategie ad hoc necessario per lavorare con ragazzi difficili Oltre alle qualità elencate precedentemente occorre che l’educatore per lavo- rare con i ragazzi difficili sappia affinare le proprie strategie e competenze umano- professionali proporzionalmente all’elevarsi del livello di problematicità delle nuove generazioni che si affacciano sulla scena sociale. Un ragazzo difficile è spesso il prodotto di una relazione ”difficile” con il mondo adulto. Da qui l’esigenza che durante la relazione educativa egli possa spe- rimentare un adulto diverso da tutti gli altri con cui finora ha avuto a che fare. Ora affinché il ragazzo possa cambiare atteggiamento, una delle caratteristiche priori- tarie è la “disponibilità”: è il terreno su cui fondare la costruzione di una trama di fiducia e di accettazione reciproca. “Accettando” il ragazzo, qualunque sia stato il suo comportamento, l’educatore gli invia un metamessaggio che gli farà compren- dere la sua disponibilità a “scommettere” su di lui, tralasciando sanzioni e giudizi penalizzanti. In altre parole viene implicato un processo di identificazione proiet- tiva: l’accettazione del ragazzo così come è comporta un’attribuzione di valore e di competenza, un riconoscimento di lui come soggetto degno di rispetto. È facendo leva su questa posizione di rispetto e di fiducia che probabilmente il ragazzo ri- sponderà conformemente a quella proiezione positiva. Al tempo stesso occorre stare in guardia, perché il ragazzo prima o poi metterà inevitabilmente alla prova l’atteggiamento di disponibilità dell’educatore, in quanto egli ha bisogno di valutare le reali intenzioni di quest’ultimo e l’efficacia nel tempo del suo lavoro; quindi i comportamenti indisponenti che metterà in atto, certi suoi modi di fare provocatori spesso non sono altro che delle precise strategie per mettere alla prova la tenuta dell’educatore, per vedere fino a che punto sia “convincente” il suo lavoro ri-educativo. Dal canto suo l’educatore deve prendere atto che essere sfidati in questi casi significa essere riconosciuti da parte del ragazzo come degni interlocutori e, quindi, essere accreditati della capacità di accettare la sfida e di superarla. Ed è proprio in queste circostanze che egli è chiamato a dimostrare la credibilità neces- saria perché il ragazzo possa accordargli la sua “sfida”. Tutto questo richiede all’e- ducatore una notevole abilità a sapersi controllare di fronte a queste strategie pro- vocatorie intuendo il metamessaggio sotteso al comportamento del ragazzo. L’oscillazione inversa del rapporto consiste nell’evitare di cadere nella “trap- pola del salvatore”. L’educatore deve badare bene a non “conquistarsi” il ragazzo tessendo una trama di complicità: cedere all’ansia di diventare simpatico seguendo la via dello scherzo, della facile confidenza, della strizzatina d’occhio induce il ra- 33 gazzo a considerare l’educatore un adulto “manipolabile”, disponibile al compro- messo e, di conseguenza, una figura “ambigua” come tante altre già incontrate lungo il percorso del disagio e che in vario modo hanno contribuito a creare le con- dizioni per diventare un soggetto difficile. L’atteggiamento pedagogico di disponibilità deve dunque prevedere delle so- glie che permettano di mantenere quella “distanza strategica” che in parte spetta al ragazzo coprire (“come” e “quando” dipende da ciascuno) affinché possa fare anche lui la propria parte, al fine di raggiungere un’autentica accettazione reci- proca. L’efficacia dell’azione educativa, infatti, scaturisce essenzialmente dal saper “vivere CON” il ragazzo; in questi casi l’educatore deve saper mettere costante- mente in gioco la propria figura, il proprio modo di agire (metodologie, stra- tegie…) e di comunicare (empatia, linguaggio…). Tutto questo comporta di posse- dere un bagaglio di “10 fondamentali competenze specifiche”, ossia6: 1) la capacità “empatica”: l’empatia richiede un assetto recettivo (saper inter- pretare e accogliere al tempo stesso il “mondo dell’altro”) che permette di va- lutare il significato “emotivo” che ha per l’altro l’esperienza; nel caso in que- stione, l’empatia permette di fare da filtro nel veicolare la partecipazione emo- tiva del minore al sistema di trattamento ri-educativo, senza tuttavia perdere di mira il contesto normativo in cui si sta operando; tali competenze gli operatori le acquistano attraverso periodici richiami a corsi di formazione, finalizzati a perfezionare sempre più la professionalità abbinata a specifici ruoli che rico- prono; 2) la disponibilità: è il terreno su cui si gioca la costruzione di una trama di fi- ducia e di accettazione reciproca; accettando il ragazzo, qualunque sia stato il suo comportamento, l’educatore gli invia un metamessaggio che gli farà com- prendere la sua disponibilità a “scommettere” su di lui evitando giudizi pena- lizzanti; 3) l’ascolto: è quella strategia di base che include tutte le altre finalizzate a facili- tare l’accesso dell’utente al rapporto con l’educatore, consentendo l’elabora- zione di un bisogno; per arrivare a questo è necessario che almeno inizial- mente egli riduca al minimo la presenza di norme o vincoli che possono bloc- care o interferire nel rapporto e che si collochi contemporaneamente nella po- sizione di chi è disponibile ad accogliere e ad ascoltare; 4) l’informazione/orientamento: comporta di saper offrire al minore elementi co- noscitivi della sua persona dando informazioni adeguate circa le sue risorse/capacità, affinché impari a dirottarle verso le scelte da farsi, proget- tando così il proprio futuro; 6 Cfr. al riguardo L. REGOLIOSI, La strada come luogo educativo. Orientamenti pedagogici sul lavoro di strada, Milano, Unicopli, 2000, pp. 205ss. 34 5) la consultazione: occorre costruire uno spazio di ascolto che permetta al ra- gazzo la riflessione sulle proprie esperienze e, conseguentemente, la rielabora- zione del proprio disagio interiore, fino al riconoscimento delle proprie poten- zialità/risorse/capacità, da utilizzare successivamente per affrontare autonoma- mente difficoltà, problemi e scelte di vita; 6) l’accompagnamento: nel gestire l’equilibrio tra la necessità di dare sostegno ed il progressivo conseguimento dell’autonomia, l’accompagnamento occupa una fase intermedia finalizzata all’aumento dell’autostima e alla promozione del protagonismo del soggetto in trattamento; questa funzione consiste nell’of- ferta da parte dell’educatore di un supporto formativo fatto di condivisione del percorso, di affiancamento dell’adolescente nella “quotidianità” del suo modo di fare e di pensare, e di sostegno/promozione della sua progettualità; 7) l’accudimento: risponde alla presa in carico dei bisogni più immediati dell’u- tente; le parole-chiave e/o le strategie da utilizzare, sono: accoglienza, em- patia, attesa; tutto questo può essere ottenuto attraverso un processo di “reci- procazione”, inteso come costruzione da entrambe le parti di rapporti signifi- cativi caratterizzati da prossimità, continuità e condivisione, a sua volta pro- dotti da processi sia di inculturazione (l’educatore che si introduce nella cul- tura dell’utente) che di acculturazione (l’utente che si introduce nella cultura dell’operatore); 8) l’interiorizzazione delle regole: per arrivare a questo stadio è necessario che l’educatore sappia trovare un giusto equilibrio tra la promozione nei ragazzi di momenti/processi di elaborazione partecipata delle regole che essi stessi si sono date (attraverso la negoziazione/concertazione tra le differenti parti in causa) e al tempo stesso la garanzia che esse vengano applicate ed accet- tate; 9) la promozione della socializzazione: significa portare il minore a saper gestire esperienze collettive atte a stimolare l’incontro, lo scambio, il confronto, la partecipazione attiva, il sorgere di forme di protagonismo, la promozione di attività autorganizzate/autogestionali; in tutti questi casi il ruolo direttivo del- l’operatore deve cessare per assumere quello promozionale e di accompagna- mento; 10) la promozione di capacità/abilità: si realizza sviluppando in ciascuno le poten- zialità individuali e di gruppo stimolandone la progettualità; per ottenere questo c’è bisogno di mettere i minori alla prova facendo sperimentare loro differenti esperienze e forme espressive in altrettanti diversificati settori (crea- tivo, relazionale, organizzativo/gestionale, espressivo…). 3.2.2. Cambio di cultura nella promozione e realizzazione degli interventi ri-edu- cativi Il cambiamento, affinché possa essere considerato tale nello stile di vita dei ra- gazzi difficili, richiede la messa in atto di adeguate azioni, quali: 35 1) l’adozione di percorsi flessibili a tappe; 2) la messa a punto di un progetto educativo personalizzato; 3) una metodologia di lavoro a dimensione sistemica; 4) un sistema di verifica “ermeneutico”. 3.2.2.1. Un percorso flessibile e a tappe nella programmazione dell’intervento ri-educativo All’inizio del suo percorso ri-educativo la chiave di lettura di cui è in pos- sesso un ragazzo-problema (le circostanze in cui si sono verificati certi comporta- menti, le situazioni di vita che ha vissuto…) e/o gli schemi di cui dispone nell’in- terpretare la realtà circostante rimangono gli stessi del passato. In nome di che cosa, infatti, egli dovrebbe assumere un distacco critico nei confronti del vissuto precedente? Ne consegue che il percorso di “risalita” non potrà essere dato affatto per scontato, ed anche quando ciò potrà verificarsi avverrà sempre attraverso alcune fasi evolutive, di cui i principali passaggi, sono: 1) La conoscenza del ragazzo. Di fronte ad un ragazzo a vario titolo definito “difficile”, la prima preoccupazione dell’educatore dovrà essere quella di giungere a comprenderlo il più possibile in tutta la sua complessità, metten- dosi dal suo punto di vista e cercando di guardare il mondo con i suoi occhi per cogliere la particolare visione che egli ha dello stesso, il suo modo alterato di interpretarlo e di rapportarsi con la realtà. Non si tratta di fare delle valuta- zioni ma di “percepire” piuttosto come questo insieme di convinzioni siano vissute dal ragazzo, quali pensieri elabora su di sé e sugli altri. La visione del mondo del ragazzo costituisce il suo quadro motivazionale, ed è a partire da questa visione che egli agisce ed è sempre conoscendo questa visione che l’e- ducatore può comprendere il perché del suo agire. Quindi all’inizio gli atteg- giamenti prevalenti da parte dell’educatore devono fare capo essenzialmente all’osservazione partecipata (appunto, un “vivere CON”) e alla comprensione, in funzione interattiva: più osserva e più i dati personali del ragazzo (che in genere si presentano disaggregati) si trasformano in un disegno coerente, por- tatore di senso. Pertanto, a livello operativo: a) bisognerà partire anzitutto dal ricostruire il vissuto soggettivo, l’identità, l’immagine di sé del minore, oltrepassando quella visione che lo riduce esclusivamente all’attuale ruolo di soggetto “difficile/svantaggiato”; b) congiuntamente occorrerà prendere in considerazione la “rete relazionale” in cui egli è inserito (in famiglia, a scuola, nel gruppo dei pari, nel tempo libero…), così da rendere più facilmente “leggibili” i suoi vissuti (e conse- guenti azioni) e poter individuare contemporaneamente le “risorse” reali e potenziali di cui dispone per re-indirizzarle a fini ri-educativi; c) soltanto a questo punto, ossia dopo aver ricostruito l’“habitus” della perso- nalità del minore e l’“habitat” entro cui essa si è evoluta lungo la socializ- 36 zazione primaria e secondaria, è possibile scendere sul piano dell’analisi delle azioni per le quali il minore è oggetto d’intervento, al fine di far emergere quei metamessaggi che il soggetto ha inteso comunicare come sottofondo alla sua sfida di identità e che ha veicolato successivamente at- traverso comportamenti trasgressivi e/o auto/etero distruttivi. 2) La destrutturazione degli schemi mentali/comportamentali. Il vero e proprio intervento ri-educativo comincia dopo l’osservazione. Passando sul piano di- rettamente trattamentale, occorre saper provocare azioni o forme di comunica- zione volte a superare quegli atteggiamenti e schemi comportamentali antiso- ciali rimasti fissati nell’“intenzionalità” del ragazzo. La strategia di fondo con- sisterà nel fargli vivere tutta una serie di esperienze nuove e sollecitanti a cui attribuire un “senso” diverso da quelle precedenti, fino ad arrivare a ripensarle criticamente. 3) La ristrutturazione di una “diversa” visione del mondo. Il momento della “ri- salita” lungo il percorso ri-educativo avviene quando il ragazzo, avendo avuto occasioni per scoprirsi responsabile delle proprie scelte e della neces- sità di rapportarle al contesto sociale di riferimento (il gruppo, la famiglia, il mondo degli adulti…) fa proprio questo atteggiamento. È arrivato quindi il momento della ri-appropriazione del “sé” e di un nuovo modo di (re)interpre- tare la realtà. La chiave di volta per giungere a questo momento sta nella “ri- strutturazione dell’intenzionalità”, ossia in un cambiamento profondo degli schemi di significato con cui il ragazzo si dirige verso l’extra-sé. Questo ro- vesciamento di prospettiva ed il concomitante adeguamento ad un nuovo modo di “collocarsi” nel sociale è la condizione per un ripensamento critico delle passate esperienze. In questa fase il compito dell’educatore è centrale nel guidare il ragazzo a prendere consapevolezza del progressivo cambia- mento in atto. 3.2.2.2. La messa a punto di un progetto educativo personalizzato Il progetto educativo personalizzato rappresenta l’assetto teorico su cui scor- rono le varie tappe del processo ri-educativo e al tempo stesso costituisce lo stru- mento principe utilizzato nel rispondere al criterio di “personalizzazione” degli in- terventi. Attraverso la sua messa a punto vengono precisati: 1) gli obiettivi ri-educativi del servizio; 2) la tipologia degli utenti (sesso, fascia d’età, problematiche di cui sono porta- tori…); 3) la metodologia di lavoro e le professionalità coinvolte; 4) le prestazioni offerte; 5) le modalità di rapporto con la comunità locale, i suoi servizi, le sue istituzioni (sistemi formativi e occupazionali, enti locali, servizi …). Così, mentre il progetto generale rappresenta la “carta d’identità” del servizio, il progetto educativo individuale puntualizza le varie fasi/livelli del percorso ri- 37 educativo di ciascun utente. Personalizzare l’intervento ri-educativo significa per- tanto delineare la specifica traiettoria di crescita di ogni singolo utente in funzione dei bisogni, degli obiettivi e dei cambiamenti attesi. Per la sua elaborazione si ri- chiede quindi di individuare: a) i bisogni educativi del singolo soggetto-problema: la loro identificazione ri- chiede all’équipe degli operatori un’attenta e permanente analisi della do- manda; b) gli obiettivi, il sistema di valutazione e di verifiche: ai bisogni mutevoli si co- niugano obiettivi collocabili in una prospettiva progettuale di tipo evolutivo, capace cioè di ridefinirsi in itinere; momenti-chiave di questo processo sa- ranno le verifiche, riconducibili di volta in volta e/o passo dopo passo ai se- guenti interrogativi: - sta cambiando il minore? - se sta cambiando: in che cosa? - quanto di questo cambiamento va nella direzione del progetto personaliz- zato e quanto invece se ne discosta? in quest’ultimo caso, perché? - si rende necessario rivedere/ridefinire tale progetto? c) una programmazione individualizzata degli interventi: costituisce l’assetto teorico-pratico su cui scorre il progetto personalizzato; ossia, la programma- zione serve a definire le diverse tappe, distribuite lungo un asse temporale, funzionali alla risocializzazione del soggetto dal punto di vista formativo-va- loriale, scolastico-professionale, relazionale (famiglia, amici, mondo degli adulti…). La realizzazione di un progetto educativo personalizzato comporta quindi le seguenti caratteristiche: 1) la sua messa a punto è finalizzata a: - migliorare le dinamiche comportamentali; - rinforzare le funzioni intrapsichiche; - migliorare le problematiche socio-relazionali; - ottimizzare la relazione intra/extra-familiare; 2) è fatto di comportamenti oggettivamente osservabili che consentono di valu- tare se un ragazzo sta realizzando alcuni obiettivi intermedi oppure se ne sta allontanando, e che riguardano: - i rapporti con la famiglia; - le capacità relazionali; - i processi di socializzazione all’interno come all’esterno della comunità; - la cura di sé; - la valorizzazione del sé e delle proprie capacità; - il rispetto delle regole; - il controllo dell’aggressività; - l’acquisto di nuove abilità cognitive e di attitudini comportamentali. 38 3.2.2.3. Una metodologia di lavoro a dimensione sistemica Tale metodologia, affinché possa considerarsi sistemica, richiede una doppia struttura: 1) il saper lavorare in équipe; 2) la formazione della “rete”. 3.2.2.3.1. Il lavoro in équipe Selezione, formazione e professionalità investita nell’assolvimento del ruolo degli educatori a loro volta hanno l’epicentro nella capacità di saper lavorare in équipe. In una qualsiasi attività d’intervento questa metodologia di lavoro, infatti, fonda e al tempo stesso garantisce la condivisione di obiettivi e metodi tra i diversi attori in interazione. Lavorare in équipe non significa ridimensionare le competenze individuali cercando l’uniformità ad ogni costo, ma sta ad indicare piuttosto la presenza al suo interno di una piattaforma comunicativa e di interazione tra ruoli e compe- tenze diversificate, mirate ad arricchire il bagaglio metodologico-pedagogico che fa capo alle strategie da cui attinge la comunità nell’insieme delle attività d’intervento. In quest’ottica anche una buona iniziativa promossa dal singolo, se non viene condivisa dal gruppo degli educatori, non potrà passare per “buona prassi”. Il soggetto da ri-educare infatti ha il diritto di vivere in un contesto fatto di scelte che non sono il frutto dell’estemporaneità di un singolo educatore ma piuttosto il prodotto della condivisione di tutte le parti in causa. L’impresa di ge- stire “in comunione” tale contesto, per quanto possa sembrare ardua e com- plessa, in realtà rappresenta il “cuore”, il centro propulsore di un intervento ri- educativo. Viceversa, l’educatore dall’approccio tipico del “salvatore-complice” (“ti curo io”, “a te ci penso solo io”…) dovrà fare molta attenzione ai “rischi” che provoca l’adozione di un tale atteggiamento per le ripercussioni che avrà inevita- bilmente nei confronti della relazione tra il soggetto in trattamento e gli altri ope- ratori. Non è difficile che si verifichi infatti che il ragazzo-problema diventi ostaggio delle rivalità fra operatori che non sanno rendere compatibile il loro ap- proccio personale con la dinamica d’équipe nel suo insieme. Al contrario, il la- voro di gruppo serve proprio, da una parte, a mediare il controllo dell’affettività del singolo operatore nel suo porsi come “salvatore” di fronte al caso e, dall’altra, a garantire che i risultati ottenuti siano il prodotto dell’intervento dell’équipe nel suo complesso. Tutto questo mentre per un verso farà da preventivo nei confronti delle ine- vitabili forme di burn-out a cui va incontro chi lavora con soggetti difficili, al tempo stesso contribuirà a cambiare la “cultura” degli interventi, orientandola verso quella dimensione “sistemica” mirata a coinvolgere tutti nel problema e ad assumere ciascuno le proprie responsabilità nell’organizzazione degli inter- venti. 39 3.2.2.3.2. La formazione della rete Lavorare in forma sistemica significa considerare il “contesto” di riferimento dell’azione preventivo-(ri)educativa come ambito complessivo dell’intervento. In tal senso l’intervento si caratterizza come un “agire collettivo” teso a liberare il “potenziale umano” all’interno di una determinata comunità territoriale. Alla base di questa logica d’intervento c’è l’obiettivo di avviare attività di scambio socializ- zanti, finalizzate alla crescita della sensibilità verso i problemi della collettività e, quindi, alla promozione della “cittadinanza attiva” di tutti i suoi membri, che con- seguentemente avranno una sicura ricaduta sulla “qualità della vita” del territorio. L’obiettivo ultimo di tali interventi consisterà quindi nella produzione collet- tiva di nuovi legami sociali basati sull’autopromozione comunitaria quale modello di prevenzione primaria. Pertanto il progetto d’intervento andrà organizzato per ri- spondere a tre bisogni fondamentali: a) essere punto di orientamento per la comunità locale in vista della promozione di attività ri-educative del territorio; b) attivare percorsi formativi per operatori del territorio affinché facciano da “filtro” (mediatori) nel comunicare/negoziare con le istituzioni, arrivando a costruire una rete sistemica inter-agenzie/inter-servizio; c) sviluppare sul territorio una cultura formativa per incidere sulle condizioni e sugli stili di vita delle nuove generazioni attraverso azioni socio-(ri)educative. Tutto questo dovrebbe indurre la comunità locale a fungere da centro di smi- stamento e punto di coagulo di tutte le “risorse” disponibili del territorio, per tra- sformarle in energie nuove e qualificate in modo da costituire una task-force per- manente a servizio della prevenzione, delle politiche formative e della lotta al dis- agio presente nel territorio. Contestualmente viene rivoluzionata anche la stessa metodologia d’intervento, che diventa così prettamente di tipo “partecipativo” (azioni “CON” e non più azioni “su”). Concretamente tale metodologia si articola in alcuni passaggi fonda- mentali: a) conoscenza del territorio mediante la mappatura dei gruppi formali e informali (e relativi luoghi di ritrovo) che rappresentano il target di riferimento; ossia, monitorare tanto quei giovani che socializzano attraverso i canali formali delle agenzie socio-educative, che quelli del “sommerso giovanile” che non entrano facilmente in questi circuiti aggregativi; b) costruzione di una “rete sociale” allargata alle differenti agenzie pubbliche/private del territorio; c) messa a disposizione di spazi/infrastrutture per momenti di incontro/confronto formativi e di animazione socio-culturale-ricreazionale, il cui obiettivo ultimo sia quello del coinvolgimento personale nel “farsi carico”/autoresponsabiliz- zarsi della qualità della vita e dei rapporti sociali del territorio. Inoltre questa metodologia dovrà prevedere azioni mirate a: 40 - fornire informazione e formazione alle famiglie affinché siano sostenute nel loro compito educativo; - creare un osservatorio periferico sul fenomeno giovanile, possibilmente collegato ad altri osservatori su scala regionale/nazionale e finalizzato a raccogliere dati e informazioni utili a costruire nel tempo interventi inte- grati con altri servizi presenti nel territorio; - predisporre servizi per i giovani con caratteristiche di integrazione, compe- tenza e flessibilità. Il modello a cui si ispira l’intero progetto è quello della “rete preventiva”, in- tesa quale laboratorio sperimentale in cui giocano un ruolo attivo tutte le istitu- zioni pubbliche e private del territorio: l’ente locale, la scuola, i centri professio- nali, i servizi socio-sanitari, la chiesa, l’associazionismo, le famiglie… In questo scenario operativo una parte determinante spetta all’ente locale, il cui compito fondamentale è quello di fare da regia nel progettare e quindi saper coordinare gli interventi. 3.2.2.4. Un sistema di verifica “ermeneutico” Serve a convalidare o meno l’intervento secondo la logica delle “buone prassi” e, nel fare ciò, si richiede di adottare tutta una serie di parametri di fondo: 1) “chi” valuta: solitamente a questa attività sono deputati essenzialmente gli stessi educatori che operano all’interno della comunità; tuttavia per evitare il rischio che la valutazione risulti autoreferenziale sarebbe consigliabile che anche altri contribuiscano a dare una visione a “360 gradi” dei risultati conse- guiti: in tal caso un contributo determinante viene dal far partecipare a questa attività anche soggetti esterni; 2) “che cosa” si intende valutare: gli utenti ma anche gli stessi educatori, la fun- zionalità dell’organizzazione e del programma, gli obiettivi conseguiti in rap- porto alle diverse fasi/tempi in cui è strutturato il progetto, l’adeguatezza delle risorse utilizzate, le metodologie attivate in coerenza con gli obiettivi da con- seguire, il sistema di efficacia/efficienza nel rapporto tra i risultati attesi e quelli effettivamente conseguiti, il rapporto costi-benefici; 3) “quando” valutare: ex-ante, ossia fin dalla fase programmatoria del progetto, per verificarne la fattibilità; in itinere, ossia lungo le differenti fasi in cui è strutturato il programma della comunità; ex-post, al termine del percorso ri- educativo di ciascun utente e in seguito, a distanza di tempo (follow up), nel suo inserimento nella società e nella vita attiva; 4) “come” valutare: esistono varie modalità e strumenti di rilevamento (questio- nari, test, osservazione partecipata…)7. 7 In appendice vengono riportate alcune schede già sperimentate per valutare progetti formativi a sostegno dell’inclusione lavorativa di giovani svantaggiati a rischio di esclusione. 41 4. UNA NUOVA CULTURA DELLE POLITICHE FORMATIVE EUROPEE E NAZIONALI Le misure a sostegno dei ragazzi difficile trovano attualmente un quadro di ri- ferimento più adeguato che nel passato per le politiche formative sia a livello eu- ropeo che italiano. Incominciamo con il richiamare gli orientamenti rilevanti ri- scontrabili nell’UE. 4.1. Le tendenze nell’Unione Europea Anzitutto, va sottolineato che il Libro Bianco su istruzione e formazione della commissione Europea dichiara che la “scuola rimane lo strumento insostituibile dello sviluppo personale e dell’inserimento sociale di ogni individuo” […]., perché “la qualità dell’istruzione e della formazione è diventata essenziale per la competi- tività dell’Unione Europea e per il mantenimento del suo modello sociale”8. In par- ticolare esso propone cinque finalità irrinunciabili per la scuola e la formazione europea: – incoraggiare l’acquisizione di nuove conoscenze; – avvicinare la scuola all’impresa; – lottare contro l’esclusione; – promuovere la conoscenza di tre lingue comunitarie; – porre sul piano di parità investimenti materiali e quelli formativi. In altre parole, tale documento incrementa quelle che sono, in fondo, le linee di tendenza a livello europeo: – la politica dell’alternanza scuola-lavoro, andando oltre un modello puramente “scuolacentrico”; – l’introduzione di sistemi integrati tra scuola, formazione, aziende, territorio, agenzie educative delle comunità locali, politica formativa nazionale e inter- nazionale; – lo sviluppo della formazione continua, dopo ed insieme con la prima istru- zione di base, con le possibilità di qualificazione nella e in parallelo alla scuola secondaria, e con le opportunità di specializzazione post-secondaria; – il raccordo della formazione con le politiche di sviluppo locale, nazionale e in- ternazionale. 4.1.1. Le sfide e gli obiettivi Di fronte alle sfide della società dell’informazione, il Consiglio dell’UE ha adottato per i prossimi dieci anni un programma articolato di obiettivi concreti e 8 E. CRESSON - P. FLYNN, Insegnare e apprendere. Verso la società conoscitiva, Bruxelles, Com- missione Europea, 1996, pp. 49-51. 42 strategici9. Ci limitiamo a richiamare quelli che possono essere significativi per il nostro tema dei ragazzi difficili. In primo luogo si tratta di migliorare la qualità e l’efficacia dei sistemi di istruzione e di formazione in modo da consentire a tutte le persone di realizzare il loro potenziale in qualità di cittadini e di rendere i sistemi sociali più competitivi e dinamici. Più specificamente, la prevenzione dell’esclusione sociale deve prendere le mosse proprio dalla realizzazione di questo impegno perché è provato che la probabilità di cadere nella emarginazione è notevolmente superiore tra quanti sono privi di una preparazione e di qualifiche adeguate. In positivo rispetto al superamento della emarginazione, un altro obiettivo af- ferma che il processo di apprendimento va mirato a sostenere la cittadinanza attiva e le pari opportunità. Ciò significa promuovere la partecipazione delle persone a tutti gli aspetti della vita sociale ed economica con particolare riguardo all’occupa- bilità. L’impegno in questione richiede a monte che tutti i cittadini possiedano co- noscenze, competenze e capacità adeguate e aggiornate per contribuire allo svi- luppo proprio e del Paese. Nella stessa linea si pongono gli obiettivi di facilitare l’accesso a tutti i si- stemi di istruzione e di formazione lungo l’intero arco della vita e di consentirlo in un ambiente di apprendimento aperto. I sistemi dovranno essere completi e co- erenti, attraenti per i giovani e gli adulti e dovranno prevedere strategie che supe- rino gli impedimenti tradizionali tra le offerte formali e quelle non formali e infor- mali. In proposito, bisognerà assicurare una istruzione e formazione di base di qua- lità elevata, destinata a tutti, dalla prima infanzia in poi. Strettamente connesso con le priorità appena ricordate è l’impegno a miglio- rare l’istruzione iniziale e la formazione professionale degli insegnanti/formatori. In proposito va sottolineata la funzione centrale che essi svolgono nel motivare gli studenti/allievi e determinarne il successo. Le loro conoscenze e capacità devono corrispondere ai cambiamenti in atto nei bisogni formativi, nelle attese e nella do- manda che emergono dal basso della nostre società. Si richiede anche un adegua- mento della loro preparazione alla eterogeneità crescente dei gruppi sociali. I mutamenti che l’introduzione delle tecnologie dell’informazione e della co- municazione sta portando nel modo con cui le persone pensano, lavorano e vivono, giustificano un altro degli obiettivo proposti dal Consiglio dell’UE e cioè quello di garantire a tutti l’accesso alle nuove tecnologie. Questo significa dotare degli stru- menti necessari le scuole e i centri di formazione, coinvolgere gli insegnanti e i formatori, assicurando loro una adeguata preparazione, rendere possibile l’utilizza- zione delle reti e delle risorse esistenti a tutti gli interessati. 9 CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA, Gli obiettivi dei sistemi di istruzione e formazione. Rela- zione del 14/02/01, in “Docete”, 56 (2001), n. 9, pp. 439-452; cfr. anche COMMISSIONE DELLE COMU- NITÀ EUROPEE, Realizzare uno spazio europeo dell’apprendimento permanente. Comunicazione della Commissione, Bruxelles, COM(2001) 678 definitivo, 21.11.2001. 43 Un altro obiettivo consiste nello sviluppare le capacità per la società della co- noscenza. Passando maggiormente nello specifico, bisognerà puntare a rafforzare l’alfabetizzazione di base e a consentire a tutti di acquisirne un livello operativo adeguato perché qui risiede la chiave di volta di tutte le successive capacità di ap- prendimento e dell’occupabilità. Un altro sotto-obiettivo è dato dall’aggiorna- mento della definizione delle competenze di base (professionali, tecniche, sociali e personali) per adeguarlo alle trasformazioni in atto. Tra di esse la più significativa è la capacità di apprendimento in quanto è decisiva per la realizzazione di un ap- prendimento coestensivo a tutto l’arco della vita. Per questo in uno degli obiettivi successivi si chiede di rendere l’apprendimento più attraente. Tre obiettivi mirano a combattere ogni forma di autoreferenzialità del sistema di istruzione e di formazione. Pertanto, questo si dovrà aprire al mondo esterno, agli influssi di altre parti della società a livello locale, nazionale e internazionale. Lo esigono l’accresciuta mobilità professionale e geografica degli individui, anche al di là delle frontiere di ciascun Paese, all’interno e tra società che sono sempre più multiculturali. In particolare, bisognerà rafforzare i collegamenti con il mondo del lavoro, cercando di cogliere tutte le opportunità in termini di motivazione degli studenti/allievi e di miglioramento dell’efficacia dei processi di insegnamento-ap- prendimento. In questa linea si raccomanda di sviluppare lo spirito di impresa nel senso che l’istruzione e la formazione dovrebbero trasmettere le competenze ne- cessarie per avviare e mandare avanti una azienda. 4.1.2. Le strategie a livello macrostrutturale Più in particolare vanno sottolineate alcune strategie di fondo: la politica del- l’alternanza; l’integrazione e la diversificazione dei sistemi; il raccordo con lo svi- luppo locale. 1) L’intreccio tra istruzione, formazione e lavoro L’alternanza consiste nella possibilità di spezzare la sequenza dell’educazione in diversi tempi – in modo da rinviare parte o parti della istruzione e della forma- zione a un momento successivo al periodo della giovinezza – e di alternare mo- menti di studio e di lavoro. Scendendo più nel dettaglio, quali strategie concrete vengono suggerite per realizzare l’alternanza? A livello di contenuti andrebbero fornite sia le competenze specifiche per svolgere un lavoro, sia una formazione po- livalente che permetta all’utente tanto di continuare la sua carriera nel settore pre- scelto, quanto di adattarsi al cambio rapido della tecnologia e dell’organizzazione del lavoro. La formazione dovrà essere fondata su una pedagogia che si qualifichi per il recupero delle potenzialità educative del lavoro in azienda, per la partecipa- zione attiva degli utenti al processo di insegnamento/apprendimento, per la pro- grammazione per obiettivi, per l’organizzazione dell’offerta formativa per unità di apprendimento, per la previsione di itinerari educativi flessibili. La partecipazione delle imprese è componente essenziale dell’alternanza; in mancanza non si può parlare di tale strategia. Recentemente si è registrato un gra- 44 duale avvicinamento tra i sistemi di istruzione e di formazione e il mondo impren- ditoriale: nei primi è sempre più sentita l’esigenza di offrire una preparazione che faciliti l’inserimento occupazionale, mentre nel secondo cresce la convinzione della centralità dell’istruzione e della formazione per lo sviluppo delle imprese. In particolare la formazione viene considerata come un investimento strategico, mi- rato a rendere competitive le risorse umane di fronte alle sfide che emergono dal- l’introduzione delle nuove tecnologie dell’informazione e dalla globalizzazione. Da questo punto di vista, il problema principale consiste nel trasformare le aziende in vere agenzie di formazione: infatti, non una qualsiasi esperienza di lavoro nel- l’impresa possiede valenza educativa. 2) Integrazione e diversificazione dei sistemi: la nuova formazione professionale Il modello dominante di sviluppo dell’educazione in molti Paesi europei, fino a tutto il ‘60, si può definire come “scuolacentrico”, nel senso che in seguito a una lunga evoluzione risalente all’inizio di questo secolo la scuola aveva assunto un ruolo predominante nei processi formativi rispetto ad altre situazioni educative. A partire dagli anni ‘70 si è andata affermando una nuova strategia macrostrutturale, il “policentrismo”. Lo sviluppo integrale dell’uomo richiede il coinvolgimento lungo l’intero arco della vita, oltre che della scuola, di tutte le agenzie educative in una posizione di pari dignità formativa, anche se ciascuna di esse interverrà in tempi e forme diverse secondo la propria natura, la propria metodologia e i propri mezzi. Inoltre, accanto allo Stato, tutti i gruppi, le associazioni, i sindacati, le co- munità locali e i corpi intermedi devono assumere e realizzare la responsabilità educativa che compete a ciascuno di loro. Si può così rilevare sempre più chiaramente la transizione in atto da un si- stema centrato unicamente sulla struttura scolastica ad uno policentrico (tipico delle società post-industriali). Nei Paesi industrializzati il sistema non è più costi- tuito infatti solo da scuole, ma tende a presentarsi come una struttura sistemica complessa e differenziata di istituzioni e agenzie diverse, un sistema integrato. Ac- canto alla scuola qualificata da un progetto educativo, le diverse agenzie assicure- rebbero gli altri tipi di formazione, soprattutto la preparazione immediata alla vita lavorativa e le opportunità della “seconda chance”. L’integrazione dovrebbe essere al servizio di una maggiore flessibilità. I si- stemi di istruzione e di formazione dovrebbero assicurare l’opportunità di accesso in tutte le fasi, dalla prima infanzia fino all’età adulta. Va inoltre facilitato il pas- saggio degli studenti/allievi tanto orizzontalmente che verticalmente, da un livello all’altro del medesimo istituto/centro, da un istituto/centro all’altro, dall’istruzione alla formazione, da un tipo di educazione all’altro, o dalla vita attiva allo studio e viceversa. Inoltre, tutti i percorsi dovrebbero permettere di accedere all’istruzione e formazione superiore e ulteriore. Va sottolineato che l’integrazione non significa omogeneizzazione ma diversi- ficazione entro un quadro di offerte tra loro coordinate. In questo senso la forma- 45 zione professionale non viene più concepita nella gran parte di Paesi europei come un addestramento finalizzato esclusivamente all’insegnamento di destrezze ma- nuali, né la distinzione con l’istruzione è vista nel fatto che questa si focalizza nel- l’acquisizione di saperi in qualche misura astratti rispetto al contesto, mentre quella si occupa della loro realizzazione nel mercato del lavoro o nel fatto che l’oggetto è differente, essendo la cultura del lavoro quello proprio della formazione professionale, perché anche la scuola si interessa di cultura del lavoro. La forma- zione professionale non è qualcosa di marginale o di terminale, ma rappresenta un principio pedagogico capace di rispondere alle esigenze del pieno sviluppo della persona secondo un approccio specifico fondato sull’esperienza reale e sulla rifles- sione in ordine alla prassi che permette di intervenire nel processo di costruzione dell’identità personale. Questo tuttavia non significa che sia la stessa cosa dell’i- struzione: conoscere con l’obiettivo principale di agire, costruire e produrre non può essere confuso con il conoscere e agire con l’intento prioritario di conoscere. 3) Il raccordo con lo sviluppo locale Negli ultimi anni è aumentata la consapevolezza dell’importanza della istru- zione e della formazione come strumento per lo sviluppo locale. L’innalzamento dei livelli di istruzione perseguito da tutti i Paesi più avanzati e la diffusione delle pratiche di formazione continua hanno infatti reso più evidente il rapporto esistente tra politiche formative e sviluppo industriale. Tale rapporto, spesso negato o igno- rato nel corso degli anni ‘70, diventa determinante nel nuovo scenario competitivo internazionale in cui la creazione di nuova occupazione si accompagna a fenomeni sempre più complessi, come il superamento del modello di produzione fordista, la diversa relazione temporale tra formazione e lavoro, l’aumento della componente femminile del mercato del lavoro. 4.1.3. Le strategie a livello microstrutturale La soluzione dei problemi della transizione dalla scuola al lavoro è stata ricer- cata anche sul piano micro, cioè a livello dell’educazione vera e propria sia negli aspetti organizzativi sia per ciò che riguarda finalità, contenuti e metodi dell’istru- zione e della formazione. Anche in questo caso ci limitiamo a richiamare le stra- tegie più significative per il problema in esame. 1) La riorganizzazione strutturale Possiamo osservare due tendenze nuove più rilevanti a questo livello: il diritto per tutti a una formazione prolungata; l’integrazione e la diversificazione nella scuola secondaria. a) Il diritto a una istruzione e a una formazione prolungata per tutti i giovani Anzitutto nei Paesi dell’UE si registra una tendenza interessante al supera- mento del concetto stesso di obbligo scolastico, che pure dal punto di vista storico ha esercitato una funzione essenziale nel passaggio da una scuola per pochi a una 46 per tutti, ma che al presente sembra costituire piuttosto un impedimento alla piena realizzazione dei diritti di cittadinanza. In una società complessa come l’attuale, la focalizzazione scolasticistica perde di senso perché ciò che conta è il risultato e la sua qualità e non i percorsi con cui si ottengono che possono essere i più vari. Inoltre, l’istruzione e la formazione, prima che dei doveri, sono dei diritti della per- sona e vanno assicurati a tutti in modo pieno. Pertanto, le varie istituzioni che le garantiscono devono operare in rete, in una prospettiva di solidarietà cooperativa piuttosto che come alternative tra loro escludentisi. Si capiscono allora le ragioni per cui l’orientamento che tende a diffondersi nei vari Stati membri vada nel senso di riconoscere un diritto per ciascun giovane a una istruzione e formazione prolungata. La ragione principale consiste nel fatto che l’inserimento nella società esige in tutti i campi un livello di conoscenze e di competenze accresciute rispetto al passato. Questa strada può assicurare ai giovani quell’ampia preparazione di base idonea a promuovere la crescita personale, l’o- rientamento, la prosecuzione degli studi, l’inserimento nell’attività lavorativa e la partecipazione responsabile alla vita democratica. In particolare, i giovani che su- bito dopo il completamento dell’obbligo vogliono inserirsi nel mondo dell’occupa- zione vengono aiutati nella ricerca del lavoro attraverso i contratti di apprendistato e sostenuti nell’esercizio del mestiere da un completamento a tempo parziale della formazione culturale e professionale. b) Integrazione e diversificazione a livello di istruzione e formazione secondaria Il diritto a una istruzione e formazione prolungata per tutti i giovani si traduce sul piano strutturale in una serie di orientamenti fondamentali. Anzitutto, la scuola secondaria deve essere una scuola aperta a tutti, che offre a ciascuno le opportunità più ampie di apprendere, che evita gli sbocchi senza uscita verso livelli superiori, che in tutte le “filiere” conserva elementi essenziali comuni, che consente di rettifi- care le proprie scelte in itinere e che prevede ponti o moduli di collegamento tra i vari indirizzi. Inoltre, si raccomanda di assicurare la trasparenza e la semplicità delle strutture, una definizione chiara della identità delle opzioni e degli indirizzi, l’indicazione di sbocchi reali e realistici. Il punto più delicato è quello che riguarda la realizzazione di un mix di inte- grazione e di diversificazione. Per quanto riguarda la prima è essenziale realizzare due tipi di integrazione. Anzitutto tra diversi livelli del sistema e in particolare fra la istruzione e la formazione secondaria e l’università. Una seconda forma va at- tuata all’interno della stessa scuola secondaria tra i cicli, le sezioni e le classi, com- battendo la frammentazione mediante la definizione di aree comuni di conoscenze e di competenze, la garanzia della compatibilità dei metodi e la preparazione di progetti unitari di istituto. Da questo punto di vista è anche importante un rinnova- mento dei programmi dell’istruzione secondaria che preveda un’associazione stretta fra la pratica e la teoria. Al tempo stesso, la diversificazione dovrà essere la più ampia nel senso che 47 l’istruzione e la formazione potranno essere a tempo pieno o a tempo parziale, e generale, tecnica o professionale anche se questa distinzione tende a perdere d’im- portanza, e dovrà coinvolgere oltre alla scuola, la formazione professionale e le di- verse agenzie di socializzazione interessate. Nel contesto di tale differenziazione si tende ad assicurare un sistema adeguato di passerelle tra i vari indirizzi. Un problema che si pone a questo riguardo in molti Paesi europei è costituito infatti dalla percentuale consistente di insuccessi scolastici nella scuola secondaria. Non tutti i giovani sono motivati a frequentare una scolarità lunga di tipo generale e in certi Paesi, soprattutto di forte immigrazione, il tasso di insuccesso può rag- giungere un terzo degli iscritti. La diversificazione è probabilmente l’unica via di uscita sul piano strutturale: in altre parole deve rimanere il diritto a una istruzione e formazione prolungata, ma le forme possono essere varie. Quello che è impor- tante è evitare di imporre gli stessi standard, obiettivi, contenuti, metodi a tutti, in- dipendentemente dalle abilità e dalle attese di ciascuno. 2) L’innovazione pedagogica e organizzativa A livello finalistico, culturale e didattico vanno richiamati come rilevanti per la soluzione del problema dei ragazzi difficili orientamenti generali quali: il nuovo ruolo dell’insegnante/formatore; la formazione al lavoro, la personalizzazione del- l’insegnamento, e l’orientamento scolastico e professionale. a) Il nuovo ruolo dell’insegnante/formatore Nella società cognitiva, la trasmissione delle conoscenze da parte del do- cente/formatore perde di priorità a motivo dell’apporto molto significativo che può essere offerto dalle nuove tecnologie dell’informazione, mentre l’insegnante è chiamato sempre di più a svolgere un ruolo di mediazione tra l’educando e le in- formazioni per aiutare quest’ultimo a integrarle in un quadro sistematico di cono- scenze. La sua funzione consiste più nel formare la personalità degli allievi e nel- l’aprire l’accesso al mondo reale che non nel trasmettere nozioni programmate, più nel fare da guida alle fonti che non nell’essere lui stesso fonte o trasmettitore di co- noscenze. L’azione dell’insegnante/formatore dovrebbe spaziare dalla progettazione, alla programmazione, alla docenza, allo svolgimento di compiti tutoriali nei confronti di singoli studenti o di gruppi, alla valutazione continua dei processi di insegna- mento-apprendimento, alla messa in opera e all’adeguamento di programmi e me- todi, all’inserimento in attività di ricerca-azione. Egli è chiamato a intervenire sempre più in profondità e ampiezza nei settori parascolastici, extrascolastici e del- l’orientamento. Nell’esercizio dell’attività educativa deve essere disponibile a rap- porti più partecipativi e collaborativi con gli altri docenti, con gli allievi, con i ge- nitori e con gli altri membri della comunità. In definitiva, il profilo del docente si sta trasformando in un sistema complesso di finalità, obiettivi, ruoli, compiti e con- tenuti, che richiede una nuova articolazione di funzioni e di figure professionali. Essendo visto per un verso come mediatore e per altro verso come stimolatore 48 dell’apprendimento (ed in tal senso educatore ed orientatore), l’insegnante/forma- tore rimane la “chiave di volta” dell’intero sistema di istruzione e di formazione. Per questo resta importante pensare in modo adeguato alla sua prima formazione professionale, al suo reclutamento, al suo aggiornamento, alla sua immagine pub- blica, al suo statuto giuridico-economico. In particolare, il Consiglio dell’UE in- siste sulla necessità che la loro preparazione sia orientata al futuro10. Inoltre, se in- segnanti e formatori sono chiamati sempre più a svolgere la funzione di un tutor che guida gli studenti/allievi nel loro percorso formativo individuale, essi dovreb- bero essere preparati a motivarli non soltanto ad acquisire i saperi, le competenze e gli atteggiamenti di cui hanno bisogno nella loro vita professionale, ma anche ad assumersi la responsabilità del proprio apprendimento. b) La formazione al lavoro La ricaduta principale sulla formazione delle tendenze evidenziate in campo occupazionale consiste in una domanda indirizzata al sistema educativo di svilup- pare l’attitudine al lavoro e all’attività, domanda che va considerata in stretta con- nessione con il bisogno di cultura generale. A questo scopo sarà necessario fornire ai giovani una combinazione equilibrata di conoscenze di base, di competenze tec- niche e di atteggiamenti sociali11. Come si è accennato sopra, il Consiglio dell’UE del 2001 sottolinea in proposito la necessità di ripensare le competenze di base per adattarle alla evoluzione della società e di stimolarne lo sviluppo lungo tutto l’arco della vita con particolare riguardo alla capacità di apprendimento. Le conoscenze di base forniscono le fondamenta della formazione al lavoro. In proposito l’educazione di base dovrà raggiungere un giusto equilibrio tra la tra- smissione di informazioni e l’acquisizione delle competenze metodologiche che consentono di imparare da soli: è scontato che al presente bisogna puntare soprat- tutto sul potenziamento di queste ultime. Un’altra insistenza riguarda la lettura, la scrittura e il calcolo in quanto sono capacità che svolgono un ruolo centrale nella lotta per eliminare l’insuccesso scolastico. Secondo il Libro Bianco, a cui si è fatto più volte riferimento, l’insegnamento delle lingue dovrebbe iniziare precocemente fin dalla scuola materna e portare all’apprendimento di almeno due lingue straniere durante il percorso scolastico. Le nuove tecnologie dell’informazione hanno profondamente inciso sulle competenze tecniche e hanno portato in primo piano le cosiddette competenze chiave che si trovano al fondamento di parecchie professioni. In tale ottica diviene essenziale una introduzione generalizzata alle nuove tecnologie dell’informazione. Non vanno però trascurate competenze di grande qualità che, pur non essendo col- legate ai settori di punta o di recente affermazione, tuttavia rientrano nella tradi- zione di comparti industriali ancora molto efficaci. 10 CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA, o.c. 11 E. CRESSON - P. FLYNN, o.c. 49 Tra gli atteggiamenti sociali assumono oggi particolare rilevanza le capacità relazionali, il comportamento sul lavoro, la capacità di cooperare e di lavorare in gruppo, la creatività e la ricerca della qualità. Nella costruzione della attitudine al lavoro è centrale il ruolo dello stesso soggetto. È lui il protagonista primo della propria formazione al lavoro in quanto spetta a lui di combinare le varie compo- nenti e farle sviluppare. Inoltre, egli è chiamato a integrare le competenze tra- smesse dalle strutture formali con quelle apprese sul lavoro. c) La personalizzazione dei percorsi formativi Una delle strategie fondamentali per cercare di risolvere il problema della dis- persione principalmente consiste nell’offerta di percorsi personalizzati dentro e fuori la scuola e la formazione, gestiti dal corpo docente sotto la sua responsabilità diretta, al di fuori di una regolamentazione uniforme su tutto il territorio nazionale. Si è infatti osservato che il fattore decisivo è il clima della classe, la sua dimen- sione e la qualità degli insegnanti. Sul piano didattico la scelta si è incentrata sulla personalizzazione. Oggi ciò viene ulteriormente enfatizzato a seguito delle oppor- tunità offerte dalle nuove tecnologie di formazione aperta e a distanza. In questo contesto è essenziale diminuire gli insuccessi, intervenendo sulle loro cause. Da questo punto di vista la cura delle motivazioni dei singoli e l’offerta di una varietà di opportunità di apprendimento costituiscono occasioni fondamen- tali di crescita. Bisognerà pertanto fornire mezzi di sostegno individuale, garantire la disponibilità di incentivi per incoraggiare i giovani a considerare lo studio come una valida alternativa al lavoro e sviluppare sistemi di convalida dell’esperienza professionale a favore di quanti passano dal mercato del lavoro alla istruzione o alla formazione. d) L’orientamento Ci limitiamo a riportare un testo dell’UE. “In tale contesto, è necessario adat- tare un nuovo metodo che preveda l’orientamento come un servizio accessibile a tutti in permanenza, senza più distinguere tra orientamento scolastico, professio- nale e personale, e si rivolga a una pubblico nuovo. Vivere e lavorare nella società della conoscenza richiede cittadini attivi che vogliono gestire autonomamente il loro percorso personale e professionale. Ciò significa che tali servizi devono essere non più centrati sull’offerta, bensì sulla domanda, focalizzando l’interesse sui bi- sogni e le esigenze degli utenti. Il compito dell’orientatore consiste in questo caso nell’accompagnare le persone in questo viaggio individuale attraverso la vita, mo- tivandole, fornendo a loro informazioni pertinenti e facilitandone la scelta”12. e) I risultati del programma “Youthstart” Tra i programmi realizzata dall’UE durante gli anni ’90 per combattere la disoccupazione è quello più vicino alle problematiche affrontate in questa 12 COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE, o.c., p. 4. 50 ricerca13. Probabilmente il risultato più importante dell’iniziativa va ricercato nella elaborazione del cosiddetto “comprehensive pathway approach” o “approccio fon- dato su un percorso integrato” (= CPA) su cui è opportuno spendere qualche parola in più14. Il suo principale merito consiste nell’assicurare un progetto di interventi globale e coerente che affronta il complesso dei problemi professionali, personali e sociali sottostanti alla situazione di disagio dei giovani. Il CPA è un approccio centrato sulla persona che si articola in quattro stadi: “engagement” (impegno), “empowerment” (responsabilizzazione), “learning” (ap- prendimento) e “integration” (integrazione) e “follow-up” (seguito). La prima fase è mirata a introdurre il giovane nel percorso integrato e si articola, a sua volta, nei seguenti momenti principali: anzitutto si tratta di stabilire un contatto iniziale con il soggetto; segue un periodo di acclimatamento o adattamento; si procede poi alla definizione sulla base di comuni intendimenti degli obiettivi da realizzare attra- verso una specie di contratto tra gli utenti e gli operatori del progetto. Tale impo- stazione esige di avvicinare direttamente i drop-out o quanti sono a rischio di ab- bandono e di provvedere a che i servizi utili siano realmente a loro disposizione: in altre parole si adotta un approccio preventivo. La seconda fase della responsabilizzazione è finalizzata a fornire al giovane i mezzi e in particolare la fiducia in sé necessari per divenire il protagonista del pro- prio recupero. Più in particolare vengono svolte le seguenti attività: si offre un orientamento e un sostegno iniziale che deve sboccare nella formulazione di un progetto individuale di azione; vengono effettuati interventi per accrescere la fi- ducia e l’autostima; inoltre, è fornita una gamma di opzioni tra le quali l’utente è chiamato ad esercitare la sua scelta; viene anche offerto ulteriore orientamento che è richiesto per identificare i bisogni personali, sociali e professionali dei soggetti. La fase dell’apprendimento comprende la trasmissione di tutte le competenze necessarie per inserirsi in maniera soddisfacente nel mercato del lavoro. Si tratta di organizzare tutte quelle attività che consentano al giovane di acquisire i vari tipi di abilità di cui abbisogna per svolgere un’occupazione: quindi si dovranno prevedere una formazione culturale e professionale di base, la preparazione in un lavoro spe- cifico, forme di addestramento sul lavoro, esperienze di lavoro guidato. Nella fase dell’integrazione e del seguito si intende garantire un inserimento stabile dei giovani nel sistema produttivo anche dopo la conclusione del progetto a cui hanno partecipato. Un primo passo consiste nell’essere posti nella condizione di assumere un’attività lavorativa, cioè di intraprendere un lavoro dipendente o au- tonomo o di svolgere del volontariato. A sua volta, il seguito consiste in un so- 13 L’initiative emploi. “De la planification à l’action”. Rapport spécial n. 2, Bruxelles, Commis- sion Européenne, avril 1995; Nuove opportunità di occupazione per i giovani. Occupazione - Youth- start - Rapporto Speciale, Bruxelles, Commissione europea, Marzo 1997. 14 The Comprehensive Pathway Approach, Brussels, Europs, December 1997. Youthstart Confe- rence Report 1997, Stockholm, The Swedish European Programme Office - Education, Training and Competence Development, 1998. 51 stegno dato al giovane per conservare la sua indipendenza economica, appena rag- giunta, e per adattarsi ai continui cambiamenti del mondo del lavoro e della so- cietà. 4.2. La Legge delega 53/2003 (Riforma Moratti) La Legge parte da una definizione alta delle mete della riforma che si fonda sulla centralità della persona che apprende e sul rispetto dei ritmi dell’età evolutiva e delle differenze e dell’identità di ciascuno15. Ciò deve avvenire nel quadro dei rapporti tra scuola e genitori che vengono definiti con il termine pregnante di co- operazione. In proposito va sottolineata una novità molto significativa che è costi- tuita dal riferimento alla centralità che assumono le scelte educative della famiglia. La riforma assume in modo pieno il nuovo scenario normativo che si è creato con la Legge costituzionale 3/2001. In altre parole, essa recepisce il passaggio da un modello centralistico e gerarchico fondato sulle esclusive prerogative dello Stato ad uno poliarchico che fa interagire in maniera integrata tre diverse compe- tenze: quella dello Stato, quella delle Regioni e degli Enti territoriali e quella delle istituzioni scolastiche autonome. È un processo che parte da lontano ma che trova un punto di arrivo nel nuovo dettato costituzionale. In base a questo, come si sa, lo Stato ha competenza esclu- siva per quanto riguarda le norme generali sull’istruzione e i livelli essenziali delle prestazioni; lo Stato e le Regioni hanno competenza concorrente sull’istruzione, fatta salva l’autonomia delle scuole; a loro volta le Regioni hanno competenza esclusiva sull’istruzione e sulla formazione professionale. Il motivo della riforma va ricercato nella volontà del Costituente che Stato e Regioni, da una parte, e Re- gioni ed Enti territoriali, insieme alle istituzioni scolastiche, dall’altra, cooperino insieme e, pur nel rispetto delle competenze proprie di ciascuno, definiscano una politica formativa al servizio dei giovani e delle famiglie che risponda alle esi- genze del territorio e al tempo stesso non perda unitarietà e coordinamento. Un altro salto di qualità consiste nell’assicurare a ognuno il diritto all’istru- zione e alla formazione, per almeno 12 anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età. In altre parole, la Legge si muove nella linea della tendenza che è emersa recentemente in Europa al superamento del concetto stesso di obbligo scolastico e di cui si è parlato sopra. Tutto ciò avviene nel quadro della promozione dell’apprendimento in tutto l’arco della vita, nel senso che, come sottolineato dal rapporto Delors, al centro non c’è più il processo di insegnamento e il docente, ma l’alunno e l’esigenza di renderlo capace di autoformazione. E l’intervento riguarda tanto le dimensioni dia- cronica (l’intera esistenza) e sincronica (il formale, il non formale e l’informale), 15 G. MALIZIA, La legge 53/2000 nel quadro della storia della riforma scolastica in Italia, in corso di pubblicazione presso FrancoAngeli. 52 quanto la promozione di tutta la persona, perché dovrà favorire non solo la forma- zione culturale, professionale ed emozionale, ma anche quella spirituale e morale e lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla co- munità nazionale ed alla civiltà europea. In tutto il sistema educativo di istruzione e di formazione i piani di studio si organizzano intorno a un nucleo fondamentale, omogeneo su base nazionale, che rispecchia la cultura, le tradizioni e l’identità nazionale. In aggiunta, è prevista una quota riservata alle Regioni, relativa agli aspetti di loro interesse specifico, anche in collegamento con le realtà locali. In queste disposizioni trova compimento un’altra trasformazione significativa del nostro sistema educativo di istruzione e di formazione. La Riforma Berlinguer/De Mauro aveva già realizzato il passaggio dalla logica dei programmi a quella del curricolo, cioè dalla centralità del Mini- stero alla progettualità della scuola e dei docenti; la Legge delega Moratti porta in primo piano il principio della personale responsabilità educativa degli alunni e delle famiglie mediante l’introduzione dei piani di studio personalizzati. I piani di studio personalizzati segnano una svolta di mentalità, il riconosci- mento effettivo della centralità dell’allievo. Ovviamente non vengono aboliti i va- lori e vincoli nazionali che tutti devono osservare e che lo Stato ha il dovere costi- tuzionale di indicare. Rimane anche il principio della progettualità della scuola e dei docenti che devono delineare itinerari educativi, ma viene affermata con deci- sione l’idea della personale responsabilità educativa degli allievi, dei genitori e del contesto territoriale nello sceglierli, nel percorrerli e soprattutto nel costruirli in- sieme, in un dialogo costante. Nell’attuazione dei piani di studio personalizzati svolgono un ruolo essen- ziale il docente coordinatore-tutor e l’articolazione dell’attività di apprendimento in momenti di gruppo-classe e di gruppo-laboratorio.Venendo ai particolari, gli allievi, nel numero richiesto per formare una classe, sono affidati alle cure di un tutor che insieme ai colleghi, nel quadro del piano dell’offerta formativa e te- nendo conto dei vincoli e delle risorse presenti nelle indicazioni nazionali, pro- getta un’organizzazione del percorso formativo, fondato su due modalità: quella che fa perno sul gruppo-classe, cioè su un numero consistente di alunni chiamati a svolgere insieme attività prevalentemente omogenee e unitarie e quella centrata sui laboratori, nella quale i ragazzi lavorano, invece, in gruppi di livello, di com- pito ed elettivi. I coordinatori-tutor predispongono la valutazione nel portfolio in cooperazione con i docenti dei laboratori e anche con i genitori e con i medesimi allievi. Il sistema educativo di istruzione e di formazione si articola nella scuola del- l’infanzia, in un primo ciclo che comprende la scuola primaria e la scuola secon- daria di primo grado, e in un secondo ciclo di cui fanno parte il sistema dei licei e quello dell’istruzione e della formazione professionale. Nel secondo ciclo, quello che qui interessa maggiormente analizzare, dovrà essere data un’attenzione costante alla crescita educativa, culturale e professionale 53 dei giovani attraverso il sapere, il fare e l’agire e la riflessione critica su di essi. Quanto ai licei, sono confermati gli assi culturali tradizionali, classico, scientifico e artistico; al tempo stesso ne nascono dei nuovi, economico, tecnologico, musi- cale, linguistico, delle scienze umane. Essi hanno durata quinquennale: l’attività didattica si sviluppa in due periodi biennali e in un quinto anno che prioritaria- mente completa il percorso disciplinare e prevede inoltre l’approfondimento delle conoscenze e delle abilità caratterizzanti il profilo educativo, culturale e professio- nale del corso di studi. Si concludono con un esame di Stato il cui superamento rappresenta titolo necessario per l’accesso all’università. Ferma restando la competenza regionale, il sistema dell’istruzione e della for- mazione professionale realizza profili educativi, culturali e professionali ai quali conseguono titoli e qualifiche professionali di differente livello, valevoli su tutto il territorio nazionale se rispondenti ai livelli essenziali di prestazione definiti su base nazionale. Inoltre, i giovani che seguono questi percorsi non soltanto si vedranno garantita anno dopo anno una passerella per trasferirsi nei licei, ma avranno anche modo di proseguire dopo i quattro anni per un quinto, un sesto e un settimo anno, così da acquisire una qualifica professionale superiore. Potranno altresì disporre di un quinto anno per affrontare l’esame di Stato per l’iscrizione all’università. In ogni caso, da un sistema all’altro sono sempre possibili passaggi interni. Dopo i 15 anni sia i diplomi che le qualifiche possono essere conseguiti in alternanza scuola- lavoro o attraverso l’apprendistato. Uno degli aspetti più discussi della riforma Moratti riguardo al tema che a noi interessa qui riguarda la scelta a 14 anni tra scuola e formazione professionale. A nostro parere, invece, molte sono le ragioni che militano a favore di questa impo- stazione della Legge16. Anzitutto, la psicologia evolutiva ha messo in risalto come lo stadio 10-14 anni costituisca una fase della vita con una sua identità specifica, nella quale matura progressivamente la capacità di scelta consapevole. Inoltre, non va dimenticato che allo stato attuale i drop-out della terza media sono oltre 35.000 ogni anno e certamente non si potrebbe pensare di obbligarli per altri due anni ad un percorso scolastico. L’indagine effettuata dall’ISTAT in occasione degli Stati Generali mette in evidenza come la gran parte dei genitori e dei docenti e oltre il 40% degli studenti sono d’accordo con la scelta dei due percorsi a 14 anni. Da ul- timo, le ricerche sull’attuazione del nuovo obbligo di istruzione stanno ponendo in risalto che la Legge n. 9/1999 ha gravemente danneggiato gli adolescenti, soprat- tutto i più svantaggiati e in difficoltà, obbligandoli ad iscriversi ad una scuola che li costringe a un parcheggio di un anno o li tiene lontano dalla formazione profes- sionale, sebbene l’obiettivo della Legge 30/2000 fosse quello di introdurre un ca- 16 Rapporto del Gruppo Ristretto di Lavoro costituito con D.M. N. 672 del 18 luglio 2001, «An- nali dell’Istruzione», vol. XLVII (2002), n.1/2, pp. 3-176; G. MALIZIA - D. NICOLI - V. PIERONI (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della formazione professionale iniziale secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, Roma, CIOFS/FP e CNOS-FAP, 2002. 54 nale paritario di formazione professionale per togliere l’Italia dalla posizione di fa- nalino di coda in cui si trova a questo proposito. Anche l’iniziativa di introdurre un percorso graduale e continuo di forma- zione professionale parallelo a quello scolastico e universitario dai 14 ai 21 anni, che porta all’acquisizione di qualifiche e titoli, è in piena linea con le tendenze più diffuse e avanzate del nostro continente come abbiamo messo in evidenza sopra. Indubbiamente è questo uno degli aspetti della Riforma Moratti più significativi per il tema in esame. A questo proposito, va sottolineato che accanto ai percorsi strutturati sono previste altre opportunità che permettono di soddisfare specifiche esigenze degli allievi: tali percorsi destrutturati o di seconda chance devono assi- curare il conseguimento di una qualifica entro i 18 anni e sono finalizzati anche alla prevenzione o al recupero di forme di disagio e di esclusione sociale. Pertanto, la Legge Moratti interrompe una deriva delle politiche di riforma della secondaria superiore che ha dominato la scena dal 1971 al 2001 e che si ba- sava su quattro pilastri: una concezione del lavoro non bisognoso di istruzione/for- mazione, l’educatività come caratteristica esclusiva della scuola, la natura “ospe- daliera” della formazione professionale, la dissociazione tra cultura e professiona- lità. Essa supera, invece, la tradizionale gerarchizzazione e separatezza tra sistema dei licei e sistema dell’istruzione e della formazione professionale; evita ogni con- fusione tra i due, affermandone la pari dignità culturale; e riscopre la cultura del la- voro e delle professioni17. Concludiamo, ribadendo i principi in base ai quali va costruito il sistema di istruzione e di formazione professionale per poter corrispondere allo spirito della Riforma Moratti18. Il nuovo canale dovrebbe possedere rispetto ai licei una pecu- liare metodologia formativa basata su compiti reali, una vera didattica attiva, fon- data sull’apprendimento dall’esperienza anche tramite tirocinio/stage formativo in stretta collaborazione con le imprese del settore di riferimento. Inoltre, gli dovrà essere assicurata rilevanza orientativa, in modo da sviluppare nell’allievo la consa- pevolezza circa le sue prerogative, il progetto personale, il percorso intrapreso, comprese quindi le capacità personali quali la consapevolezza di sé, la comunica- zione e la relazione con gli altri, la disposizione all’autonomia, alla responsabilità e alla soluzione dei problemi, il rispetto delle regole organizzative, la disposizione ad apprendere dall’esperienza. Carattere fondamentale della metodologia da adot- tare è una forte integrazione tra le dimensioni del sapere, saper fare, saper agire e saper essere, al fine di favorire una chiara circolarità tra pratica e teoria, tra attività operativa e attività di riflessione sui significati dell’agire, mentre ogni sapere teo- rico dovrà trovare continuo collegamento e applicazione in azioni concrete. 17 G. BERTAGNA, Gli indirizzi del Liceo, le abitudini del passato le possibili novità della Riforma Moratti, in “Nuova Secondaria”, XX (2003), n. 10, pp. 22-32. 18 G. MALIZIA, Conclusioni della sessione del mattino. Atti del Seminario “Istruzione e Forma- zione Professionale verso un canale unitario”. Roma, 29 ottobre 2002, in “Notiziario dell’Ufficio Nazionale per l’Educazione, la Scuola e l’Università”, 28 (2003), pp. 218-220. Parte seconda LE ESPERIENZE: ANALISI E VALUTAZIONE DI ATTIVITÀ / PROGETTI PER L’INCLUSIONE DI GIOVANI SVANTAGGIATI 57 Capitolo 2 Analisi e valutazione di progetti di recupero e inserimento di giovani a rischio di esclusione Vittorio PIERONI - Marcella PULINO - Daniela ANTONIETTI1 In questo capitolo vengono analizzati e riportati i risultati di una serie di progetti “destrutturati”, scelti tra quelli più significativi in base alla tipologia dei beneficiari oggetto della presente indagine ed alle “buone prassi” adottate, a loro volta suddivi- si tra quelli comunitari, quelli realizzati dentro il CNOS-FAP ed altri che hanno fat- to da modello nella realizzazione di attività formative a favore di giovani svantaggiati. 1. I PROGETTI COMUNITARI In questa sezione muoveremo dal quadro generale di riferimento per poi pas- sare all’esame dei singoli progetti. 1.1. L’approccio globale centrato sulla persona e griglie di verifica La partecipazione dei giovani all’istruzione, alla formazione e all’occupazione può essere condizionata da ostacoli e svantaggi di varia natura. I giovani che hanno difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro necessi- tano di un quadro coerente ed integrato di misure di sostegno che tengano conto dei loro bisogni individuali e che li aiutino a superare le barriere professionali e personali che ostacolano il loro ingresso nel mondo del lavoro (cfr. graf. 1). In “Unlocking young people’s potential” (Iniziative Comunitarie Adapt e Oc- cupazione, Collana Innovazione, n. 2) viene presentato come auspicabile un per- corso globale nell’inserimento socio-lavorativo di giovani portatori di varie forme di svantaggio, quali target di riferimento dell’iniziativa Youthstart, in base alle esperienze che in tale ambito sono state portate a termine con risultati consolanti. Un percorso globale, un modello di offerta che affronta le barriere e soddisfa i bi- sogni dei destinatari in modo globale ed integrato, sembra essere pertanto la chiave di successo, dei nuovi percorsi di inserimento e da qui si è pertanto partiti nella elaborazione della griglia di verifica delle caratteristiche di eccellenza dei progetti 1 Alla stesura di questo capitolo hanno collaborato: Marcella Pulino, analizzando i progetti ri- portati nel paragrafo 1; Daniela Antonietti, quello del paragrafo 2; e Vittorio Pieroni, esaminando quelli del paragrafo 3 e curando la stesura dell’intero capitolo. 58 Graf. 1 - Fasi di un approccio globale centrato sulla persona COINVOLGIMENTO • Presa di contatto con il giovane • Integrazione e acclimatizzazione INSERIMENTO- ACCOMPAGNAMENTO • Occupazione • Attività produttive • Aiuto allo sviluppo nell’occupazione FORMAZIONE • Competenze di base • Competenze sociali • Competenze professionali • Stage in impresa • Tecniche di ricerca di impiego • Apprendistato RESPONSABILIZZAZIONE • Bilancio individuale • Definizione degli obiettivi finali • Confidenza/autostima • Orientamento e assistenza iniziale • Sviluppo di un piano di azione • Consiglio e sostegno • Ostacoli da superare • Scelte • Valutazione delle opzioni APPROCCIO CENTRATO SULLA PERSONA 59 destinati ad utenze in difficoltà, che in questo lavoro si propone e viene utilizzata quale strumento di indagine. La griglia nella forma originale in cui è stata elaborata, viene riportata in Ap- pendice, alla tavola 1, e comprende i singoli indicatori individuati come protogno- mici di un percorso globale. Tuttavia, ai progetti presi in analisi essa è stata appli- cata nella sua versione ridotta, a causa delle scarse informazioni ottenute sui sin- goli progetti2. 1) Prima fase: “Coinvolgimento” a) Questa fase comprende: - i primi contatti con il giovane; - un periodo di “integrazione” e di “acclimatizzazione”; - un bilancio iniziale in vista della definizione di obiettivi realistici. b) Attività della fase: - si realizzano attività di reclutamento proattivo e strategie di riassestamento. c) Indicazioni per le attività di coinvolgimento: - le attività di integrazione e di acclimatizzazione includono generalmente attività sociali e di intrattenimento, finalizzate ad incoraggiare la partecipa- zione dei giovani; - per favorire il coinvolgimento e per incoraggiare la partecipazione hanno un peso significativo le azioni di motivazione; - per i giovani disoccupati è inoltre importante la definizione chiara di un settore professionale o di uno sbocco professionale. d) Interventi necessari per la costruzione di questa fase: - creazione di una rete tra i settori informali e del volontariato e i settori for- mali/ufficiali; - attivazione di figure di accompagnamento affinché il giovane abbia un so- stegno individuale continuo e collegato al lavoro ufficiale degli operatori. e) Indicatori di impatto Gli indicatori di riuscita di questo livello sono: - il grado di interazione tra i giovani e le organizzazioni che li aiutano; - l’interazione positiva e lo sviluppo di contatti tra giovani e adulti; - la volontà dei giovani di essere coinvolti; - la presa di coscienza dell’importanza delle attività; - l’essere aperti e onesti con le persone che lavorano per loro; - l’aumento della motivazione. 2) Seconda fase: “Responsabilizzazione” Questa fase si riferisce alle attività che danno ai giovani gli strumenti e la fi- ducia necessari per controllare i propri percorsi. 2 Cfr. Appendice, tavola 2. 60 a) Le attività della fase: - lo sviluppo di meccanismi di consiglio e sostegno durevoli e interattivi, anche grazie all’impiego di figure di accompagnamento; - la partecipazione dei giovani come partner attivi e responsabili, capaci di individuare il proprio obiettivo e le tappe necessarie per raggiungerlo; - l’elaborazione di un piano di azione formale, predisposto con la partecipa- zione dei giovani; - la risposta al problema dell’immagine negativa di sé e della mancanza di autostima, attraverso azioni innovative che offrano strumenti che permet- tono di essere coscienti delle loro competenze e capacità; - l’organizzazione di sedute individuali e di riunioni di gruppo per rimettere in questione e valutare le attitudini e chiarire i progressi realizzati; - l’integrazione della valutazione continua durante le fasi del percorso, in particolare sedute di feed-back per rafforzare l’accettazione di un cambia- mento di valori e atteggiamenti; - l’integrazione di attività di orientamento e supporto parallelamente alla for- mazione, con un approccio che associa forme ufficiali e informali di orien- tamento. b) Gli indicatori di impatto Gli indicatori di riuscita per il giovane sono: - la capacità di sviluppare e gestire il proprio piano di azione; - la capacità e volontà di scegliere delle opzioni e operare delle scelte; - la capacità di individuare e valutare le tappe del proprio percorso. Per l’organizzazione e l’ambiente l’indicatore di riuscita è il rafforzamento della rete di strutture di sostegno del giovane. 3) Terza fase: “Formazione” In questa fase viene contemplato il trasferimento diretto di competenze e di saper fare ai giovani. Essa riguarda l’insieme di attività di apprendimento che aiu- tano il giovane ad acquisire competenze generali e professionali, quali: – le competenze di base; – le competenze “chiave”; – le competenze specialistiche, attraverso la formazione professionale o in im- presa. a) Le strategie della formazione: - associazione di formazione professionale e non professionale in un ap- proccio globale che tenga conto anche delle competenze più generali; - accento sulle competenze trasferibili in diversi settori del mondo del la- voro; - insegnamento individualizzato, adattato al singolo: questo comporta un bi- lancio preliminare che permette di definire la natura delle attività di forma- zione e i metodi; 61 - utilizzo di metodi di insegnamento e formazione adattati al gruppo bersa- glio; - formazione che offra qualifiche utili nel mondo del lavoro; - attività scelte anche sulla base del loro “interesse” sociale, che coinvolgono il tessuto sociale (stage pratici…). b) Indicatori di impatto La riuscita si misura in base a: - le nuove competenze e atteggiamenti utili che i giovani hanno acquisito; - gli indicatori intermedi, che includono l’acquisizione dell’attitudine allo studio, all’analisi, alla programmazione e alla valutazione della loro situa- zione personale; - la motivazione allo studio; - l’esito positivo degli stage in impresa; - la realizzazione in azienda di percorsi formativi personalizzati che rispon- dano ai bisogni dei giovani. 4) Quarta fase: “Inserimento e accompagnamento” Questa fase è strettamente collegata alle due precedenti (responsabilizzazione, formazione) in quanto l’interazione del giovane nella definizione e nell’attuazione del percorso di lavoro è fondamentale. In questa fase i giovani possono cogliere delle possibilità di lavoro. Lo scopo finale è l’autonomia del giovane. L’accompa- gnamento è importante per garantire che i giovani provvedano ai propri bisogni, in particolare nelle prime fasi critiche di (re)inserimento nell’impiego. a) Strategie: - assistenza regolare sul luogo di lavoro, di consiglieri di orientamento di impresa, monitorando gli sviluppi del giovane e mantenendo con lui rap- porti formali ma anche informali; - associazione di elementi sociali e professionali che permetta di rispettare i bisogni dei giovani anche nell’espletamento di compiti professionali. b) Attività: - possibilità di intraprendere attività diverse per permettere al giovane di sperimentare le proprie competenze professionali e stabilire relazioni con gli imprenditori; - monitoraggio continuo dei giovani attraverso questionari, riunioni e altre attività di accompagnamento o di organizzazione del tempo libero; - sostegno nell’impresa con incontri di monitoraggio. c) Indicatori di impatto L’obiettivo è di allontanare il giovane da una cultura di non partecipazione. Sono pertanto indicatori importanti di successo: - il lavoro; - la partecipazione ad attività sociali; - il volontariato. 62 1.2. I progetti presi in analisi Nella presente indagine sono stati presi in esame 11 progetti, selezionati dall’i- niziativa comunitaria “Occupazione e valorizzazione delle risorse umane”, YOUTHSTART II fase e INTEGRA II fase. Di essi 7 presentano anche la scheda di monitoraggio e quindi possono essere ritenuti a tutti gli effetti delle buone prassi. Il gruppo comprende: 1) 4 progetti con target giovani a rischio: “OPERA”, “Peppino Girella”, “Polli- cino”, “YES”; 2) 1 progetto a target misto giovani a rischio/genitori di giovani a rischio: “La scuola della seconda opportunità”; 3) 3 progetti con target giovani tossicodipendenti ed ex-tossicodipendenti: “Leo Young”, “Alle sorgenti”, “Nuove fantasie per il tessile”; 4) 3 progetti a target misto che comprendono giovani immigrati: “Spaziomu- sica”, “Davide contro Golia”, “AIRONE”. Tutti i progetti fanno parte della II fase dell’iniziativa comunitaria “Occupa- zione e Valorizzazione delle risorse umane” e si collocano temporalmente nel 1997/1999. I progetti interessano le seguenti Regioni del territorio nazionale: DENOMINAZIONE PROGETTO REGIONE OPERA PIEMONTE Peppino Girella CAMPANIA Leo Young Pollicino SICILIA Davide contro golia YES EMILIA ROMAGNA La scuola della seconda opportunità LAZIO Alle sorgenti SARDEGNA Nuove fantasie per il tessile TOSCANA Spaziomusica AIRONE PIEMONTE 1.2.1. Progetti con target: “giovani a rischio” In questa sezione prendiamo in esame i progetti: “OPERA”, “Peppino Gi- rella”, “Pollicino”, “YES”. 1.2.1.1. Progetto OPERA Del progetto OPERA (“Opportunità Per Ragazzi A Rischio”) presentiamo una tavola riassuntiva di alcuni dati, una descrizione e alcuni dati del monitoraggio. 63 2) Descrizione del progetto OPERA A) Obiettivi – Il progetto intende sperimentare un sistema di orientamento in- tegrato basato sulla logica della “seconda opportunità”. Scopo dell’intervento è fornire ad un gruppo di giovani a rischio, con bassa scolarità e residenti in quartieri in declino industriale, l’opportunità di recupero della personalità e di inserimento occupazionale. Utilizzando i servizi del Centro per la seconda opportunità i benefi- ciari otterranno l’inserimento lavorativo sia come lavoratori autonomi, sia come dipendenti, sia come soci di cooperativa. I soggetti più maturi si presteranno come peer tutor dei nuovi giovani inseriti nella struttura. B) Attività – Il progetto prende avvio con la creazione di una rete locale di enti di formazione, associazioni di volontariato, operatori di scuole, famiglie e società esperte di metodologie; seguirà l’implementazione di un sistema di orientamento già sviluppato nella prima fase dell’iniziativa. I beneficiari, accolti presso il Centro del- la seconda opportunità, progetteranno un percorso individualizzato di formazione e di sviluppo di skill tecniche ed applicative e mediante un apposito software verrà ef- fettuato il bilancio delle competenze. Successivamente verranno formati gli agenti di cambiamento addetti alla gestione di una serie di laboratori protetti, mentre i bene- ficiari seguiranno moduli di formazione professionale in cantieri/scuole nel settore delle costruzioni. Con l’aiuto dei tutor aziendali e degli operatori i giovani saranno poi impegnati nella creazione di una cooperativa che gestirà parte dei laboratori. In- fine è prevista la costruzione di un laboratorio protetto gestito dalla cooperativa per l’inserimento di quei giovani che non siano stati impegnati presso aziende. C) Prodotti – Software per la costruzione di un percorso individuale; pubblica- zione finale sulla metodologia per l’orientamento, la formazione e l’inserimento 1) Dati sul progetto OPERA DATI SUL PROGETTO Codice progetto 0420/E2/Y/R (YOUTHSTART) Tipologia Regionale (Piemonte) Promotore Immaginazione e lavoro S.C. a.r.l. [Ente privato- ente di formazione/ istruzione, via XX settembre 22, 10121 Torino, tel 011/5620017- fax 011/5623033; e-mail: immalav@mbox.vol.itReferente: Cristiana Poggio] Attuatore Immaginazione e lavoro S.C. a.r.l. Gruppi bersaglio 30 giovani a bassa scolarità, 10 giovani di regioni industriali in declino,10 minori a rischio Agenti di 5 consulenti, 10 formatori; 5 insegnanti sistemi di istruzione; cambiamento 5 operatori sistemi di orientamento; 1 rappresentante delle parti sociali Asse B Budget complessivo L. 1.311.002.420 Durata 24 mesi 64 lavorativo; dispense per la formazione dei formatori e dei giovani; “Foglio” perio- dico di informazione destinato agli enti e agli attori coinvolti. D) Attività transnazionali – Il progetto transnazionale mira a creare percorsi in- novativi destinati alla formazione e all’orientamento dei giovani verso il mondo del lavoro (processi di transizione alla vita attiva). I partner scambieranno i software elaborati da ciascun ente e le metodologie di inserimento lavorativo con l’obiettivo di attivare un sito internet come foro di dialogo tra i partner e di trasformare la part- nership in una rete permanente aperta alla adesioni di altri organismi europei. 3) Monitoraggio del progetto OPERA La scheda che riassume la valutazione del progetto è riportata in appendice (Tav. 3). A) Contenuto del progetto – Il progetto OPERA nasce da uno scambio di esperienze tra enti associati del progetto alla rete nazionale Consorzio Scuole La- voro, cui aderisce il promotore, e trae spunto dall’esperienza maturata da un partner spagnolo nell’ambito del progetto multiregionale Youthstart di prima fase “Sofia Giovani” di cui Immaginazione Lavoro è stato ente attuatore nella Regione Piemonte. L’idea mutuata dall’esperienza dell’organismo spagnolo, e divenuta il punto di partenza del progetto OPERA, è stata quella di impegnare i giovani desti- natari dell’intervento (50 giovani a rischio) su un task, ovvero di responsabilizzarli mediante l’affidamento di un “compito”, che, nel caso specifico, è consistito nella ristrutturazione di un edificio. B) Obiettivo del progetto – Obiettivo specifico del progetto OPERA era di fa- vorire l’inserimento lavorativo, possibilmente in condizione protetta, di giovani a rischio mediante la creazione di un Centro della Seconda Opportunità (CSO) per ragazzi svantaggiati residenti nella città di Torino e attraverso la sperimentazione di un percorso personalizzato di orientamento e preparazione al lavoro in quattro diversi settori. Per conseguire l’obiettivo programmato sono stati realizzati i seguenti step operativi: a) Attivazione della rete di partner locali, cui hanno aderito enti di formazione, associazioni di volontariato, enti locali, istituti scolastici, imprese ed associa- zioni. b) Promozione dell’intervento, volta da un lato ad informare i giovani circa le opportunità offerte dal progetto e, dall’altro, a sensibilizzare gli attori chiave. c) Accoglienza e primo orientamento dei giovani destinatari: sono consistiti in colloqui informativo-conoscitivi e presentazioni dell’intervento a più riprese. d) Implementazione di un sistema di orientamento mutuato dall’esperienza del progetto “Sofia”, ispirato al modello francese di bilancio di competenze, ed adattato al gruppo bersaglio Youthstart. L’applicazione del modello, che con- 65 siste in un pacchetto di 12 ore sul bilancio di competenze corredato da un’a- zione di orientamento iniziale, sia personalizzato sia attraverso un desk infor- mativo, oltre a permettere agli operatori di conoscere i destinatari fin dall’i- nizio del progetto e a favorire nei ragazzi lo sviluppo di un atteggiamento at- tivo e responsabile rispetto alla progettazione del proprio futuro, è risultata fondamentale per la definizione di percorsi personalizzati. e) Progettazione e realizzazione di un software che consenta di elaborare per- corsi di formazione/inserimento individualizzati. In particolare, lo strumento permette di stilare un portafoglio di competenze specifico per ogni benefi- ciario. f) Formazione in alternanza dei destinatari finali finalizzata all’acquisizione di competenze di base e trasversali nonché alle abilità tecniche specifiche. g) Attivazione di 4 laboratori protetti per la ristrutturazione dell’edificio di Piazza Fontanesi. Sottesa all’azione vi era l’idea di rimotivare/responsabiliz- zare i giovani assegnando loro un compito concreto, un task specifico. Opera- tivamente, tutti i beneficiari finali, affiancati da artigiani ed esperti di forma- zione, hanno partecipato a rotazione ai laboratori (settori della ristorazione, serre, impiantistica, manutenzione) in modo da poter operare, in un secondo momento, una scelta consapevole sul tipo di attività da intraprendere. All’in- terno della palazzina ristrutturata è stato attivato il Centro della Seconda Op- portunità (CSO) che integra i seguenti servizi: sportelli di orientamento per l’accoglienza dei giovani utenti e l’accompagnamento nella scelta del proprio progetto professionale; laboratori tecnici/artigianali dedicati ad attività forma- tive e pre-lavorative; promozione di attività culturali (laboratori musicali e per la realizzazione di audiovisivi); promozione di iniziative sportive; attivazione di laboratori d’impresa. h) Informazioni offerte al “target group”: presso il CSO è stato allestita una sala dotata di un centro di documentazione sulla domanda/offerta di lavoro nella prima cintura di Torino e di personale specializzato nei colloqui individuali di orientamento. i) Accompagnamento nel tempo libero: è stata configurata come un’attività con- tinuativa che si è sostanziata nell’organizzazione di momenti di svago/socia- lizzazione, finalizzati ad una conoscenza più approfondita dei destinatari. j) Orientamento sui servizi del territorio: si è trattato di un’attività a carattere volutamente ludico, organizzata sotto forma di caccia al tesoro, che ha consen- tito ai partecipanti di acquisire familiarità con le strutture esistenti e con la modulistica adottata da queste. k) Formazione di operatori per l’inserimento lavorativo: si occuperanno dell’ac- compagnamento dei beneficiari della creazione di società cooperative. Tale at- tività di formazione è mirata da un lato a rinforzare competenze attinenti agli aspetti organizzativi e gestionali e, dall’altro, a sviluppare la conoscenza ope- rativa di tecniche di cooperative learning. 66 l) Creazione di una cooperativa operante nel settore dell’artigianato e/o dei ser- vizi alle imprese che gestisca un laboratorio protetto. C) La strategia di rete – La rete dei partner locali risulta numerosa e ben as- sortita: sono rappresentate le realtà del mondo della scuola, della formazione pro- fessionale, dell’associazionismo, delle parti sociali, del mondo imprenditoriale, e quindi riflettono lo sforzo d’integrazione tra i sistemi della scuola/formazione pro- fessionale/lavoro che anima il progetto. In dettaglio, i partner che hanno aderito formalmente alla rete locale sono: a) l’Assessorato alla cultura del Comune di Torino, che ha collaborato alla pro- gettazione dell’intervento e alle attività di sensibilizzazione del territorio; b) l’Assessorato ai servizi sociali del Comune di Torino, che ha offerto un ap- porto significativo promuovendo azioni di informazione e sensibilizzazione della cittadinanza; c) il Centro di solidarietà Zaccheo, che mediante i suoi 3 sportelli di orienta- mento ha segnalato casi e offerto sostegno nella fase di prima accoglienza dei giovani nel CSO; d) il consorzio Cosvifor, che svolge un ruolo strategico per gli inserimenti lavo- rativi dei beneficiari finali fornendo accesso ad una nutrita rete di imprese; e) la Cooperativa “Il portico”, la quale ha progettato percorsi personalizzati d’in- serimento ed ha accompagnato i beneficiari nel tempo libero, oltre a segnalare nominativi di potenziali destinatari dell’intervento; f) Federcultura, che ha svolto un’azione di formazione dei formatori incentrata sulla metodologia del cooperative learning; g) IAL-CISL, che ha favorito lo scambio di informazioni e metodologie inerenti i temi della FO e dell’orientamento del target giovanile; h) la cooperativa ICI Arca, che ha effettuato una serie di docenze nel laboratorio elettrico ed ha offerto la propria disponibilità per l’assunzione dei giovani be- neficiari; i) Irecoop che, oltre a curare la progettazione dei moduli formativi e le docenze, è stata impegnata nella costituzione dell’associazione cooperativa; j) Italia Forma, che ha contribuito in fase di progettazione con la metodologia del “compito”, un marchio di proprietà dell’impresa; k) la Parrocchia Santa Giulia, che ha segnalato casi al promotore ed ha svolto at- tività di accompagnamento nel tempo libero dei ragazzi; l) il Provveditorato agli studi di Torino, il quale ha segnalato casi di abbandono scolastico, oltre ad occuparsi del monitoraggio del fenomeno della dispersione scolastica; m) Sinapsi, che ha offerto la propria disponibilità per l’inserimento lavorativo di alcuni giovani; n) l’Ufficio San Paolo, agenzia di sviluppo locale dipendente dal San Paolo, che ha offerto contributi a fondo perduto e borse di formazione-lavoro per soggetti svantaggiati. 67 Oltre ai suddetti partner, che hanno aderito formalmente alla rete locale, il pro- getto ha ottenuto la collaborazione dell’Ufficio Immigrati e della Caritas per il re- clutamento dei giovani nonché dell’Università di Torino – Dipartimento di Scienze Sociali – per la valutazione finale delle sperimentazioni. Inoltre, in corso d’opera, la rete locale si è arricchita di nuovi partner: l’Uf- ficio dei minori stranieri, le comunità Madian e Aurora, il centro di prima acco- glienza “Andrea”, il Sermig. Dal punto di vista organizzativo, il partenariato è stato caratterizzato da una strategia di collaborazione/interscambio di tipo informale, basata su rapporti bila- terali e soprattutto personalizzati. Il partenariato, inoltre, non ha seguito una pro- grammazione rigida. D) Il valore aggiunto della transnazionalità – La rete transnazionale è com- posta da organismi pubblici e privati, italiani ed europei: Ayuntamento de Lorca (Spagna); Fundacion Mujeres (Spagna); Association Parcours (Francia); Isforcoop Sardegna; Cooperativa Agrifoglio. La collaborazione è stata focalizzata principalmente sull’identificazione di buone prassi sviluppate in ambito nazionale, sull’allestimento di un sito web sulla messa a punto di un logo comune, sullo scambio di materiali e metodologie sulle tematiche afferenti l’orientamento e l’inserimento occupazionale di un target gio- vanile. È proprio alle attività di scambio che si ascrive il valore aggiunto della di- mensione transnazionale. In particolare, il plusvalore si ravvisa nella definizione di metodologie comuni per l’orientamento dei giovani (processi di transizione alla vita attiva) basati sul know-how di ogni partner. Questo patrimonio di conoscenze rimarrà a disposizione dei partecipanti grazie al sito web. Infine i partner hanno inteso stilare uno statuto per la creazione di una rete permanente, anche in vista della prossima iniziativa Equal. E) Mainstreaming e sostenibilità – Tra le varie iniziative realizzate dall’ente promotore, quella che sembra poter garantire meglio la stabilità dei servizi erogati nonché ricadute significative sul territorio è la creazione di un’Associazione di agenzie formative piemontesi (ASFOP -Associazione per lo sviluppo della forma- zione e dell’orientamento in Piemonte) nella quale far confluire il know-how delle agenzie aderenti, al fine di accrescere la loro incisività e dunque la possibilità di ottenere finanziamenti. In secondo luogo, per garantire la sostenibilità finanziaria del progetto, il pro- motore ha adottato una strategia “a puzzle”, vale a dire puntando l’attenzione su una gamma diversificata di potenziali committenze/finanziamenti e lavorando, da un lato, alla ricerca di uno sponsor e, dall’altro, all’ottenimento di borse lavoro erogate ad hoc dall’Ufficio Pio San Paolo. Per quanto riguarda l’impatto della sperimentazione, allo stato attuale sono ipotizzabili tre livelli di mainstreaming: 68 a) Adozione stabile del modello da parte del promotore: le acquisizioni ottenute con il progetto potranno essere particolarmente valorizzate se la cooperativa “Immaginazione e Lavoro” riuscirà ad entrare nel già richiamato network eu- ropeo dei CSO. b) Riproduzione di segmenti dell’intervento in altri contesti territoriali: appare deter- minante, in tal senso, il rapporto di collaborazione continuativo con il Consorzio Scuola Lavoro, in particolare nell’ambito del progetto multiregionale “Sofia II’”. c) Adeguamento delle politiche formative alle sperimentazioni in atto. A fronte dell’innalzamento dell’obbligo scolastico a quindici anni, e dunque della temu- ta perdita da parte delle agenzie formative di un’importante fetta di mercato, già nel patto territoriale di Torino si è pensato di destinare una quota parte dei fon- di regionali ad interventi diversi dalla formazione di primo livello. F) Il contributo innovativo del progetto – Il Centro della Seconda Opportunità costituisce un luogo aperto di aggregazione giovanile senza precedenti nella città di Torino, che si ispira a 14 esperienze analoghe realizzate a livello comunitario. In particolare, il sistema/dispositivo implementato con il progetto OPERA presenta i seguenti elementi di innovatività: a) Adotta una nuova metodologia di orientamento personale e professionale, ideata nell’ambito del progetto Youthstart di prima fase (“Sofia giovani”) ed attualmente in fase di sperimentazione e diffusione in 15 regioni attraverso il progetto “Sofia II’”. b) Utilizza la metodologia del cooperative learning che favorisce lo sviluppo nei destinatari di una cultura lavorativa basata sull’assunzione di responsabilità personale e sul lavoro di squadra. c) Prevede l’accompagnamento dei giovani anche durante il tempo libero. d) Sperimenta un sistema di alternanza che prevede i seguenti step: orientamento, validazione e rafforzamento delle competenze, inserimento in stage e ritorno in formazione. e) Adotta il metodo didattico del “compito”, basato sul coinvolgimento attivo del beneficiario con il docente/educatore in funzione del raggiungimento di un obiet- tivo specifico – nella fattispecie la ristrutturazione di uno stabile – che si sia ri- velato adeguato al profilo del target group. Sebbene la metodologia del task ab- bia addirittura un marchio registrato, la sua applicazione è inedita sia rispetto al gruppo bersaglio sia nel settore della formazione professionale in genere. f) Consente l’accesso alle attività di orientamento/formazione/inserimento lavo- rativo in qualsiasi momento dell’anno. g) Prevede il coinvolgimento dei nuclei familiari nelle attività di orientamento. h) Crea laboratori protetti, gestiti da una cooperativa, che consentiranno un inse- rimento graduale dei giovani nella realtà produttiva. i) Coinvolge direttamente le aziende – formando anche dei tutor aziendali – nello sviluppo di opportunità lavorative concrete per i destinatari. 69 1.2.1.2. Progetto “Peppino Girella” Del progetto “Peppino Girella” presentiamo una tavola riassuntiva di alcuni dati, una descrizione e alcuni dati del monitoraggio. 1) Dati sul progetto “Peppino Girella” DATI SUL PROGETTO Codice progetto IO4S/E2/Y/R (YOUTHSTART) Tipologia Regionale (Campania) Promotore CNCA [Ente privato-associazione ed organismo no profit, ente di volontariato, Via Vallescura, 47, 63010 Capodarco di Fermo (AP); Tel. 0734/678404-Fax 0734/676236; e-mail: cnca.europa@sapienza.it; Referente: Giuliano Bartolomei.] Attuatore idem Gruppi bersaglio 90 minori a rischio Asse C Budget complessivo L.1.800.000.000 Durata 28 mesi 2) Descrizione del progetto “Peppino Girella” A) Obiettivi – Scopo generale del progetto è fronteggiare la bassa qualificazione professionale di un gruppo di giovani di quartieri di Napoli ad elevato tasso di crimi- nalità, fornendo loro una formazione individualizzata che li renda capaci di affronta- re le attuali condizioni di precariato del mondo del lavoro. L’obiettivo è trovare degli spazi nel tessuto produttivo locale – soprattutto fra le piccole imprese artigiane e di servizio – per realizzare degli inserimenti protetti che potranno divenire occasioni di una successiva assunzione, attraverso contratti di apprendistato, a part-time o a tem- po determinato. Un altro obiettivo del progetto è sperimentare un modello di inter- vento duraturo e trasferibile, che preveda l’integrazione dell’offerta formativa con dispositivi di reinserimento e inserimento lavorativo. Ciò si realizzerà in aree sotto- poste da anni a processi di riqualificazione edilizia e urbanistica in cui è prevista la crescita delle opportunità mercato per le imprese legate alla manutenzione del patri- monio edilizio, alla produzione di prodotti artigianali e di servizi alla popolazione. B) Attività – Al reclutamento dei ragazzi, condotto da educatori territoriali e assistenti sociali in strada e nei luoghi di ritrovo abituali, si è inteso accompagnare un’attività di sostegno alle loro famiglie, attraverso il raccordo con i servizi pub- blici territoriali. Ha fatto seguito un percorso di formazione e di tirocinio con tuto- raggio individualizzato, affiancato da un dispositivo di transizione costituito dalle attività dello sportello di pre-orientamento, dalla formazione in aula di tipo labora- toriale e dal reinserimento con tirocini in aziende. C) Prodotti – Brochure documentativi per i ragazzi; guida per gli educatori in- terni e per i tutor in azienda. 70 D) Attività transnazionale – Obiettivo dell’attività transnazionale è contribuire all’innovazione delle varie attività nazionali di prevenzione e rimozione del dis- agio socio-economico dei minori svantaggiati, confrontando le singole esperienze e sperimentando nuovi approcci, anche a livello transnazionale. Si prevedono scambi di operatori e formatori per stage all’estero e si intendono elaborare nuove metodologie e strumenti di intervento a favore del gruppo bersaglio, nonché stan- dard comuni e criteri di valutazione delle azioni progettuali a livello nazionale e transnazionale. Si intende inoltre realizzare una banca dati europea sulle migliori prassi per favorire l’entrata nella vita attiva dei giovani Youthstart. Partner comuni- tari: Francia, Portogallo, Grecia. 3) Monitoraggio del progetto “Peppino Girella” La scheda che riassume la valutazione del progetto è riportata in appendice (Tav. 4). A) Il contenuto del progetto – Il progetto si proponeva di sperimentare un mo- dello d’intervento, il dispositivo passerella, in grado di tradurre la condizione di disoccupazione “particolare” in cui si trovano i giovani destinatari (minori a ri- schio) a causa di carenze insite nella loro stessa offerta di lavoro, a uno status di disoccupazione “normale”, dove le difficoltà d’inserimento lavorativo sono impu- tabili ad un deficit nella domanda. L’idea è quella di agire sul deficit di pre-condi- zioni per l’accesso nel mercato del lavoro che caratterizza i ragazzi dell’area dei Quartieri Spagnoli di Napoli, sulla base del principio dell’“offerta attiva”, speri- mentando cioè contenuti e metodologie che muovono dal ragazzo e che sono in grado di svilupparne la capacità di imparare ad apprendere. L’intervento si è articolato in: a) quattro corsi di formazione rivolti a 90 destinatari finali; le attività didattiche – incentrate sulle attività di laboratorio (foto, legno, informatica e catering) – erano finalizzate allo sviluppo di capacità, atteggiamenti e attitudini, soprat- tutto di “imparare ad apprendere”; b) tirocini o stage di preinserimento retribuiti in piccole imprese artigianali, atti- vati dopo 2-3 mesi di formazione d’aula, al termine dei quali i ragazzi acquisi- ranno la qualifica di “operaio comune del settore manifatturiero servizi”; c) tirocini di “svezzamento”, ossia forme di tutoring individualizzato da parte di educatori extra-aziendali per gli allievi assunti dalle aziende dove hanno svolto lo stage; in questo modo l’attività di accompagnamento/sostegno ai ra- gazzi è proseguita anche ad inserimento lavorativo avvenuto. Trasversalmente viene condotta un’attività di orientamento, diluita e interna alle misure educative di base, strutturata in: a) azioni di “educazione territoriale”, rivolta ai singoli e ai gruppi informali di ra- gazzi, durante i quali gli educatori “agganciano” e sostengono i ragazzi, an- dandoli a “recuperare” nel caso di abbandono delle attività; 71 b) servizio sociale territoriale, ovvero sostegno costante alle famiglie dei minori, in raccordo con i servizi sociali di zona; tutoraggio socio-educativo attraverso colloqui individualizzati durante le fasi di formazione, inserimento e “svezza- mento”. La settimana-tipo di ciascun ragazzo prevedeva 12 ore di aula-laboratorio (gruppi di 20 allievi); 20 ore di tirocinio in botteghe artigiane - settori pelletteria, vetro artistico, restauro, tappezzeria, ristorazione o presso negozi di parrucchiere o estetista; 1-2 ore di colloquio/orientamento individualizzato. I servizi di orienta- mento sono stati erogati tramite sportelli attivati presso le due sedi operative del progetto (Associazione Quartieri Spagnoli e Associazione Don Bosco). B) La strategia di rete – Il progetto poggia su una vasta e consolidata rete di at- tori locali composta oltre che dalle Associazioni Quartieri Spagnoli e Don Bosco, da: a) il Comune di Napoli che gestisce, attraverso l’iniziativa URBAN, uno spor- tello di orientamento ai servizi territoriali sito nei Quartieri Spagnoli, e che ha fatto da “filtro” tra la prima domanda di informazioni, spesso mal posta e “inespressa” e i servizi sociali competenti; b) la “Società per l’imprenditoria Giovanile”, che ha fornito un contributo in ter- mini di consulenza e osservazione del dispositivo sperimentato; c) la Confederazione Nazionale degli Artigiani, che ha facilitato il contatto con le imprese artigiane e contribuito alla promozione e diffusione del dispositivo passerella presso altre imprese; ha inoltre collaborato all’elaborazione della modulistica relativa ai contratti di apprendistato; d) il Coordinamento tecnico dell’équipe dei servizi dell’area Quartieri Spagnoli, che ha coordinato le attività di orientamento e accompagnamento condotte dagli assistenti sociali e dagli educatori di strada parallelamente alle attività formative; e) le Imprese artigiane, che hanno offerto agli allievi l’opportunità di svolgere un’esperienza formativa in un contesto protetto, e, a fronte di un monte ore raggiunto, di far acquisire loro una qualifica professionale; f) le scuole della città, che hanno collaborato all’individuazione dei potenziali utenti delle attività progettuali; g) il consultorio dell’Università Cattolica, che ha svolto un’attività di educazione sessuale per i ragazzi, orientandoli ai servizi medico-sanitari competenti. C) Il valore aggiunto della transnazionalità – Obiettivo della rete transnazio- nale – composta dall’Association Vivre (Francia), dall’ Associacao de Desenvolvi- mento Dao, Lafoes e Alto Paiva (Portogallo), dal Thessalian Association Mental Health Care and Rehabilitation (Grecia) e dal CNCA – era lo sviluppo di una me- todologia comune d’intervento a favore dei minori svantaggiati. In tale prospettiva, gli incontri transnazionali sono stati centrati sullo studio delle strategie e della modalità d’intervento sui minori adottate da ciascun partner nel territorio di appartenenza, al fine di verificarne la trasferibilità negli altri con- testi territoriali. 72 I risultati degli scambi transnazionali sono stati capitalizzati e diffusi tramite un report finale. D) Mainsteaming e sostenibilità – Le prospettive di sostenibilità dell’inter- vento sono legate essenzialmente: a) all’ottenimento, da parte dell’Associazione, di una commessa nell’ambito del- l’iniziativa URBAN, per la creazione di uno “Sportello lavoro” che offrirà una gamma di servizi analoghi a quelli erogati nell’ambito del progetto Youthstart, così da capitalizzarne, proseguirne e ampliarne le attività. Il nuovo sportello potrebbe inoltre offrire occasioni di lavoro interinale (Manpower e Adecco hanno dato disponibilità di risorse per il desk) per un massimo di 250 ore, sulla base di un’idea mutuata da un partner francese; b) alla diffusione dell’intervento presso le imprese e le botteghe cittadine, cui è stata rivolta un’intensa attività di sensibilizzazione, che potrebbero favorire gli inserimenti lavorativi dei ragazzi e garantirne in tal modo la stabilità. Si segnala, inoltre, che è in corso di definizione con l’Istituto Tecnico Com- merciale “Serra” un progetto per la sperimentazione di un anno scolastico “inter- medio” per i ragazzi in uscita dalla scuola media. Durante l’anno i ragazzi, regolar- mente iscritti a scuola, riprodurrebbero nei laboratori dell’ Associazione l’espe- rienza del progetto “Peppino Girella”, accumulando dei crediti formativi e verifi- cando la loro predisposizione verso una formazione di tipo scolastico o verso un’attività professionale. E) Il contributo innovativo del progetto – Il progetto appare innovativo poiché si fonda su una nuova strategia d’intervento del multidimensionale, operante, nel- l’ambito di un’azione di sistema volta a riqualificare il tessuto urbano dell’area dei Quartieri Spagnoli, sia sul versante della prevenzione sia su quello della “cura” delle cause dell’emarginazione: l’idea è quella di agire sul deficit di precondizioni che caratterizza i destinatari dell’intervento sulla base del principio dell’“offerta at- tiva”, sperimentando cioè contenuti e metodologie che muovono dal ragazzo svi- luppandone la capacità di imparare ad apprendere. In particolare si propone un modello, il dispositivo passerella, che coordina i diversi segmenti del percorso di inserimento socio-lavorativo: a) “reclutamento” dei ragazzi attraverso un’attività educativa territoriale, prefor- mazione nei laboratori, stage in botteghe artigiane e inserimento nelle stesse con contratti di apprendistato; b) affiancandoli, lungo tutto l’iter, a momenti di orientamento e sostegno indivi- dualizzato; c) affiancamento che prosegue, attraverso il tirocinio di svezzamento, anche dopo l’inserimento lavorativo, mediante l’attività di educatori che forniscono ai ragazzi la formazione aggiuntiva anche a livello di competenze di base di cui l’apprendista ha bisogno. 73 Particolarmente interessante risulta anche il rapporto con le famiglie dei mi- nori, in costante contatto con gli assistenti sociali e con gli educatori territoriali, cui spesso viene delegata in toto la funzione educativa. Infine, altrettanto significativo appare il coinvolgimento attivo delle aziende, sia a livello di azioni di sensibilizzazione e consulenza sulle possibili forme di in- serimento lavorativo presso i titolari, sia a livello di scambio di metodologie for- mative tra gli stessi, nonché degli educatori in relazione al tipo di formazione di cui necessitano i giovani svantaggiati. 1.2.1.3. Progetto “Pollicino” Del progetto “Pollicino” (“Percorsi di integrazione socio-lavorativa per adole- scenti a rischio di esclusione sociale”) presentiamo una tavola riassuntiva di alcuni dati, una descrizione e alcuni dati del monitoraggio. 1) Dati sul progetto “Pollicino” DATI SUL PROGETTO Codice progetto 2072/E2/Y/R (YOUTHSTART) Tipologia Regionale (Sicilia) Promotore Ministero di Grazia e Giustizia. Centro per la Giustizia Minorile di Palermo [Ente pubblico- Amministrazione od Ente pubblico nazionale; Complesso Malaspina, via Principe di Palagonia, 135, 90145, Palermo; tel. 091/225916- fax: 091/6826763; Referente: Rosalba Salerno] Attuatore Consorzio A.T.I. “Pollicino” [Ente privato - Consorzio di imprese, via Paolo Balsamo,1, 90018 Termini Imerese (PA); tel 091/8113328- fax 091/8113328; e-mail: doncalabria@cascino.neomedia.it; Referente: Antonio Gasparini] Gruppi bersaglio 28 minori a rischio Agenti di 15 dirigenti di imprese no-profit; 10 formatori; 16 insegnanti di cambiamento sistemi di istruzione; 20 operatori sociali Asse A Budget complessivo L. 1.434.195.000 Durata 20 mesi 2) Descrizione del progetto “Pollicino” A) Obiettivi – Il progetto ha inteso creare un modello di sistema che integri iniziative educative di istruzione, di formazione professionale e di inserimento la- vorativo di giovani attraverso l’attivazione di due comunità semiresidenziali, la in- troduzione di nuove figure professionali di operatori sociali e la creazione di op- portunità lavorative per minori a rischio di esclusione. B) Attività – L’intervento muove dalla realizzazione di una ricerca nell’area socio-educativa ed in quella imprenditoriale per la definizione del modello da spe- rimentare, e dall’attivazione della rete locale di supporto. Contestualmente sono state implementate alcune azioni formative a favore di gruppi di operatori per la 74 qualificazione, quali formatori, tutor, educatori di comunità per adolescenti a ri- schio di esclusione sociale e dirigenti di impresa sociale non profit. Gli operatori sono stati inseriti in due comunità semiresidenziali nell’ambito delle quali è stato sperimentato un percorso per la formazione di giovani del gruppo bersaglio in qua- lità di “Operatori polivalenti nel campo dei servizi turistico-ambientali”, e per l’in- serimento lavorativo attraverso la creazione di due imprese sociali e il colloca- mento presso artigiani e/o aziende del settore. La creazione d’impresa ha usufruito di un’azione di incubazione presso le comunità, mentre gli inserimenti dei singoli sono stati supportati da tutor aziendali. Ad integrazione delle attività era prevista la realizzazione sia di un’azione formativa per l’aggiornamento di alcuni insegnanti sia di corsi per lavoratori, mirati a giovani a rischio al fine di attivare offerte per il conseguimento del titolo di licenza media in classi di giovani formate da alcuni be- neficiari del progetto e da altri minori a rischio segnalati dai servizi sociali. C) Prodotti – Pubblicazione con allegato un duplicativo multimediale, per la diffusione e la riproducibilità dell’esperienza e del modello sperimentato. Pagine web di informazione sul progetto. D) Attività transnazionale – Il progetto transnazionale ha come obiettivi il confronto tra le diverse metodologie e strategie di intervento nel settore della for- mazione, l’individuazione e la promozione di pratiche di eccellenza, la realizza- zione di scambi di informazioni e materiali per l’orientamento e la formazione, l’organizzazione di seminari tematici, la conduzione di studi e ricerche, lo sviluppo di metodologie comuni, la produzione di un video sull’esperienza, la creazione di un sito internet per la comunicazione fra i partner e per la diffusione nel partena- riato dei risultati (partner comunitari: Irlanda, Italia, Regno Unito, Spagna). 3) Monitoraggio del progetto “Pollicino” La scheda che riassume la valutazione del progetto è riportata in appendice (Tav. 5). A) Il contenuto del progetto – Il progetto Youthstart “Pollicino” si rivolge a giovani ad alto rischio di esclusione segnalati dai servizi territoriali partner del progetto con l’obiettivo di sperimentare un percorso di accompagnamento all’inte- grazione socio-professionale che parte dalle opportunità lavorative offerte dal mer- cato del lavoro locale. La logica dell’intervento è quella di “creare le condizioni” affinché il giovane venga integrato gradualmente nel sistema sociale e produttivo attraverso la messa in campo di azioni che incidono su quei contesti che assumono una forte rilevanza nella determinazione di uno stato di disagio, ma che viceversa possono assumere una valenza sia curativa – rispetto alla situazione di disagio in cui versano i desti- natari al momento dell’avvio del progetto – sia preventiva di uno stato di margina- lità definitiva. Il progetto si è sviluppato a partire da un centro di aggregazione gio- vanile già operante sul territorio (TAU e Opera Don Calabria) frequentato da gio- 75 vani residenti in quartieri limitrofi, molti dei quali versano in stato di marginalità sociale. È in seno a questi centri di aggregazione che si è venuta formando una nuova comunità semiresidenziale (la comunità “Pollicino”) che rappresenta quel sottosistema a cui è interessata la sperimentazione. Incidere su di esso significava, in ultima istanza, creare le condizioni per influire culturalmente su un gruppo più esteso di destinatari e dunque sul Centro di aggregazione. Al fine di garantire un impatto significativo e duraturo sui destinatari finali, il progetto ha previsto una serie di azioni di sostegno alla rete di relazioni affettive e amicali quali: a) azioni di sostegno alle famiglie, che si sono concretizzate in momenti di in- contro – soprattutto al sorgere di eventuali difficoltà nel percorso di reinseri- mento del giovane – e nella negoziazione/condivisione con le famiglie dei progetti individuali di reinserimento; b) azioni di sostegno alla rete amicale che hanno interessato i “gruppi di riferi- mento” dei ragazzi (fidanzati, amici…); c) azioni di sostegno per il conseguimento della licenza media inferiore (“Polli- cino a scuola”), rivolte ai ragazzi usciti prematuramente dal circuito scola- stico, basate sul loro inserimento in classi serali e sull’utilizzo di metodi e strumenti sperimentali e alternativi a quelli istituzionali. La strategia di intervento sui destinatari finali ha previsto: a) la costruzione di piani di inserimento individualizzati in una logica di presa in carico dell’utente e pertanto concordati con il destinatario e ritarati sulla base dei colloqui periodici con gli operatori; b) la costruzione del piano individuale, la quale è stata preliminarmente suppor- tata anche dalle valutazioni dei docenti sui fabbisogni di ciascun giovane; c) un’attività formativa, successiva all’orientamento, finalizzata alla formazione del profilo di “Operatore polivalente nel campo dei servizi turistico-ambien- tali” strutturata in due fasi: “Professionalizzazione di base”, volta a stimolare nei giovani l’acquisizione di una maggiore consapevolezza di sé, l’attivazione di processi di empowerment, l’avvio di percorsi di gruppo relativi alla vita di comunità, alla cooperazione, alla socializzazione e allo sviluppo del territorio, e l’acquisizione di saperi/linguaggi di base necessari alla formazione profes- sionale in ambito turistico-ambientale; “Professionalizzazione individualiz- zata”, progettata e realizzata sulla base dei risultati conseguiti da ciascun al- lievo, che si è articolata in rapporto a una dimensione teorica professionaliz- zante, a una dimensione pratica (centrata sull’attivazione di stage aziendali) e a una sociale, in grado cioè di coinvolgere i giovani destinatari nelle attività di animazione del Centro e del territorio; d) azioni di sostegno all’inserimento lavorativo; a questo riguardo sono stati pre- visti ulteriori periodi di stage aziendale e formazione specifica sulla creazione e gestione d’impresa; per quanti intendevano indirizzarsi verso il lavoro di- pendente, lo stage assolveva al compito di stabilizzare il rapporto impresa-ra- 76 gazzo e definire gli aspetti contrattuali necessari all’assunzione; per i giovani interessati invece alla creazione d’impresa, gli stage aziendali venivano af- fiancati da una attività di laboratorio – realizzata in comune con gli operatori coinvolti nel corso di formazione per “Dirigenti di impresa non profit-Agenti di sviluppo di Comunità” – finalizzata alla elaborazione dei progetti di im- presa; il risultato di tale attività è stata l’attivazione di imprese miste da parte dei giovani e degli operatori. La strategia dei percorsi individualizzati ha previsto un investimento forma- tivo e/o di aggiornamento degli operatori, dei formatori e degli insegnanti coinvolti nella sperimentazione, al fine di sviluppare le competenze necessarie alla realizza- zione della stessa, e dunque: a) un Corso di formazione professionale per “Educatori di comunità per adole- scenti a rischio di esclusione sociale” e per “Dirigenti di Impresa Non Profit - Agenti di sviluppo locale”; b) attività di formazione dei formatori; c) attività di aggiornamento per insegnanti della scuola media inferiore. B) La strategia di rete – Il progetto ha potuto contare su una rete di partner estremamente ampia che si è arricchita ulteriormente nel corso dell’intervento. I contributi dei diversi partner possono essere sintetizzati come segue: il Centro Studi “Don Calabria” di Verona ha partecipato al gruppo di pilotaggio ed al coordi- namento dell’attività di valutazione; il Centro di Formazione del Personale per la Giustizia Minorile del Ministero di Grazia e Giustizia (Messina) ha collaborato al- l’azione di formazione continua degli educatori delle comunità ed alla rielabora- zione del materiale prodotto ai fini della costruzione del modello d’intervento del progetto; il Provveditorato agli Studi di Palermo ha contribuito alla realizzazione del corso di aggiornamento per gli insegnanti, mentre le scuole del territorio hanno collaborato alla realizzazione del sottoprogetto “Pollicino a Scuola” e all’indivi- duazione dei destinatari; il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Palermo ha collaborato alle attività di ricerca e di formazione degli operatori, alla defini- zione dei profili dei ragazzi ed alla elaborazione del modello derivante dal pro- getto; l’Istituto “Pedro Arrupe” ha partecipato alla definizione del modello; la Co- operativa “Noncello Formazione”, la società “Metao” e la “IG” hanno contribuito alla progettazione e realizzazione del corso di “Dirigenti di impresa non profit” ed alla elaborazione dei progetti di attivazione d’Impresa; la Cooperativa “Impresa a Rete” ha fornito un supporto per l’implementazione dell’impresa erogatrice di “servizi logistici”; il Comune di Palermo attraverso il Servizio Sociale Professio- nale di area ha offerto un sostegno alle attività della comunità; lo stesso Comune inoltre ha dato la disponibilità, attraverso alcuni assessorati (Attività sociali, Atti- vità produttive, Cultura e lavori Pubblici) per la definizione di un progetto nel Parco della Zisa per l’inserimento dei destinatari del Progetto Pollicino; il Comune di Termini Imerese si è impegnato nel sostegno alle attività della Comunità attra- 77 verso il Servizio Sociale Professionale di area; la Provincia di Palermo ha fornito un contributo di carattere finanziario; l’Azienda Sanitaria Locale ha contribuito con proprie segnalazioni al reperimento dei giovani ed ha partecipato all’orienta- mento dei ragazzi; la Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni e il Tribunale dei minori di Palermo hanno partecipato con i propri magistrati al- l’attività di formazione degli operatori, agli incontri di scambio transnazionali e alle attività di diffusione, nonché alla validazione del modello derivante dal pro- getto; il Comune di Trabia ha partecipato all’azione formativa come sede di tiro- cini; la Confartigianato e il CNA hanno contribuito all’individuazione delle im- prese sede di stage. C) Il valore aggiunto della transnazionalità – Obiettivo del progetto transna- zionale era la comparazione delle modalità d’intervento dei progetti nazionali dei partner (Irish Congress of Trade Union, Manchester City Council e Ayuntamento de Punta Umbria) in relazione a cinque temi concordati (ricerche e metodologie di lavoro con i giovani; formazione formatori; mainstreaming e disseminazione; atti- vità imprenditoriali e inserimento lavorativo; valutazione) al fine di individuare e trasferire le migliori prassi. Il lavoro di comparazione, analisi e individuazione di buone pratiche, svolto in seno a workshop tematici di due giorni ospitati a turno dai partner e coordinato da un partner per ciascun tema, ha portato alla produzione di una pubblicazione finale (“Metodologie di intervento con giovani a rischio di esclusione sociale”, con testo in italiano, inglese e spagnolo) che offre una visione sinottica dei modelli di intervento, utilizzati ed utilizzabili in contesti similari. Nel complesso, le attività transnazionali hanno prodotto un valore aggiunto soprattutto in termini di diffusione di buone prassi. L’esperienza del Manchester City Council è stata riprodotta nell’ambito del progetto “Pollicino” attraverso la sperimentazione nella sede di Palermo del tutoraggio individualizzato per singolo giovane (un operatore con compiti di mentoring per ogni ragazzo). Inoltre l’espe- rienza britannica è stata portata come esempio nell’ambito del corso per insegnanti coinvolti nelle attività di scolarizzazione per lavoratori. Sul fronte opposto, l’espe- rienza di “Pollicino a scuola” ha trovato similitudini in un progetto di scolarizza- zione parallela per giovani avviato dal partner inglese. D) Mainstreaming e sostenibilità – Il progetto ha già evidenziato alcuni risul- tati significativi in termini di mainstreaming e si ritiene che ulteriori ricadute po- tranno essere determinate dalle attività di raccordo con le Istituzioni. In particolare: a) è attualmente allo studio un Protocollo d’intesa tra Centro di Giustizia Mino- rile, Provveditorato agli Studi, EELL e A.T.I. “Pollicino” per la ripetizione nel prossimo anno scolastico e la “messa a regime” dell’esperienza di “Pollicino a scuola”. Inoltre, grazie al successo dell’iniziativa, è stato possibile avviare nelle due aree nuovi corsi basati sull’esperienza e le metodologie “Pollicino”; b) è stato attivato un secondo tavolo di lavoro con l’Assessorato Regionale alla FP per rafforzare il collegamento fra gli interventi sui giovani a rischio. Inoltre 78 il confronto con l’Assessorato ha portato all’inserimento nel POR di speci- fiche misure a favore della promozione dell’inserimento lavorativo dei minori a rischio; c) a livello comunale si sta tentando di inserire la sperimentazione e le modalità di lavoro in rete sviluppate nell’ambito dell’attività ordinaria dei servizi so- ciali; d) sulla scorta della sperimentazione, il Coordinatore dell’Osservatorio provin- ciale sulla dispersione scolastica ha presentato al Ministero della Pubblica Istruzione delle proposte di modifica dei decreti sui centri EDA e sugli inter- venti per la dispersione scolastica; e) il Centro per la Giustizia Minorile e la Procura della Repubblica presso il Tri- bunale per i minorenni stanno studiando modalità di adeguamento dei propri servizi sulla base delle metodologie di lavoro sperimentate dal progetto; inoltre, la Scuola di Formazione del Personale per la Giustizia Minorile del MGG di Messina intende elaborare, a partire dalla sperimentazione condotta, un modello per la formazione degli operatori da utilizzare nei propri interventi di formazione; infine il Centro per la Giustizia Minorile di Palermo ha presen- tato due progetti “Leonardo da Vinci” che implementano alcune ipotesi di ri- cerca e sperimentazione innescate attraverso il progetto “Pollicino”; f) il Ser.T. di Termini Imerese ed alcuni Comuni dell’area della Madonie hanno avviato contatti con il progetto “Pollicino” al fine di utilizzare il modello spe- rimentato per azioni da attivare nell’ambito di Agenda 2000; g) i risultati di “Pollicino” rientreranno nell’ambito di un modulo specifico sui minori a rischio attivato dalla “Scuola di specializzazione in Psicologia giuri- dica” dell’Università di Palermo; tale integrazione dell’esperienza all’interno della programmazione didattica potrebbe proseguire anche negli anni futuri. Sul lato della sostenibilità relativa all’occupazione del target group va sottoli- neato come molte delle aziende che hanno ospitato i tirocini formativi hanno espresso la volontà di procedere all’assunzione dei giovani. Per quanto riguarda la sostenibilità delle imprese, è in corso un’intensa attività di confronto con Istituzioni ed altri attori locali. Sul fronte istituzionale si sta lavo- rando ad un accordo di programma con il Comune di Palermo e la Sovrintendenza del Parco della Zisa per la definizione di un progetto di “economia sociale” struttu- rato sull’area del Parco, nell’ambito del quale il CGM si fa promotore di imprese sociali. Inoltre sono stati avviati contatti con una società di trasporti per l’acquisi- zione di subappalti di piccoli trasporti nel territorio e per la fornitura di tutoraggio ad una delle nascenti imprese. E) Il contributo innovativo del progetto – Gli elementi maggiormente innova- tivi del progetto si riscontrano: a) nella messa in rete dei servizi sul territorio sin dalla fase di progettazione del- l’intervento; 79 b) nella sperimentazione di metodologie innovative per la formazione in alter- nanza, nella quale vengono particolarmente valorizzate le attività pratiche e la costruzione di piani individuali negoziati con i giovani, verificati e ritarati in itinere; c) nella presa in carico globale del ragazzo attraverso un’attività di sostegno psi- cologico e il supporto e il dialogo continuativo con le famiglie e gruppi di rife- rimento dei ragazzi; d) nella sperimentazione di un nuovo modello di Comunità per minori, in cui si legano l’esperienza formativa e quella di comunità; quest’ultima diviene al tempo stesso incubatore d’impresa e nell’ambito della stessa viene altresì ge- stita la formazione dei giovani; e) nei nuovi profili professionali formati; f) nella scolarizzazione dei giovani grazie alla sperimentazione di un nuovo mo- dello di “corsi serali per lavoratori” specificamente rivolto a minori. 1.2.1.4. Progetto YES Del progetto YES (Young Enterprise Solutions) presentiamo una tavola rias- suntiva di alcuni dati, una descrizione e alcuni dati del monitoraggio. 1) Dati sul progetto YES DATI SUL PROGETTO Codice progetto 0767/E2/Y/R (YOUTHSTART) Tipologia Regionale (Emilia Romagna) Promotore Comune di Bologna [Ente pubblico- Amministrazione od Ente pubblico locale-, piazza di Porta Maggiore, 2, 40123, Bologna, tel. 051/554141, fax 051/550406, e-mail: ossepid@comune.bologna.it, Referente: Vincenzo Castelli] Attuatore C.E.F.A.L. Bologna [Ente privato, ente di formazione/istruzione, via Lame, 118, 40122 Bologna, tel. 051/479752, fax 051/479941, e-mail: cefal@cefal.it, Referente: Giovanni Zonin] Gruppi bersaglio 4 giovani a bassa scolarità, 20 giovani in carico ai servizi sociali Agenti di 3 consulenti, 5 formatori, 10 operatori sociali cambiamento Asse C Budget complessivo L. 800.000.000 Durata 20 mesi 2) Descrizione del progetto YES A) Obiettivi – Il progetto ha inteso favorire la qualificazione e l’inserimento lavorativo di giovani svantaggiati attraverso la creazione di un’impresa di trans- izione al lavoro nel settore del verde ornamentale, della ristorazione veloce e dello snack-bar, integrando il momento formativo presso centri specializzati con l’im- pegno del lavoro in impresa, secondo un sistema flessibile di orientamento e/o for- 80 mazione al lavoro, di inserimento lavorativo e, parallelamente, di orientamento formativo in alternanza, di tipo personalizzato e flessibile. B) Attività – Il progetto si articola in molteplici attività strettamente connesse tra loro: dopo una fase di analisi sulla normativa vigente in Italia per consentire l’avvio dell’impresa di transizione al lavoro, sono stati realizzati seminari di ap- profondimento e confronto con le altre esperienze di transizione al lavoro, diretti in particolare agli operatori e ai formatori. Successivamente è stata avviata un’im- presa di transizione al lavoro nel settore del verde ornamentale, della ristorazione veloce e dello snack-bar e sono stati attivati due corsi di orientamento al lavoro per tutti i ragazzi ed uno di formazione in alternanza per la cura del verde. I ragazzi sono stati poi inseriti in un’impresa e contemporaneamente sono stati attivati i la- boratori “open” di orientamento formativo, con una fase finale di bilancio e certifi- cazione delle competenze complessivamente acquisite; nella parte conclusiva sono stati attivati i servizi di consulenza e di tutoraggio per l’inserimento professionale nel mercato del lavoro dipendente, del lavoro autonomo e per la creazione di im- presa, ed in ultimo è stata realizzata un’attività di diffusione delle informazioni sul modello sperimentato. C) Prodotti – Video-documentari sulle attività svolte dai ragazzi e sulle varie fasi del modello formativo sperimentato ed un documento di sintesi della ricerca condotta sul modello di impresa di transizione e sul modello metodologico/peda- gogico adottato nell’arco dell’intero progetto. D) Attività transnazionale – La componente transnazionale del progetto pre- vedeva lo scambio e il trasferimento di informazioni e materiali tra i partner, una fase di formazione all’estero per gli agenti di cambiamento e operatori sociali, l’or- ganizzazione di seminari e convegni e lo sviluppo congiunto di seminari e metodo- logie formative e di strumenti di valutazione dei risultati. 3) Monitoraggio del progetto YES La scheda che riassume la valutazione del progetto è riportata in appendice (Tav. 6). A) Il contenuto del progetto – Il progetto YES, promosso dall’Assessorato alle Politiche Sociali del Comune di Bologna e realizzato dal C.E.F.A.L., si rivolge a 24 adolescenti appartenenti a contesti socioculturali generalmente problematici che han- no concluso a fatica il percorso di scolarizzazione obbligatoria e si trovano al di fuo- ri di qualsiasi “cultura professionale”; tutti sono in carico ai Servizi Sociali o segna- lati da essi, in alcuni casi, con l’intero nucleo familiare; alcuni di loro sono sottopo- sti a misure alternative alla detenzione o inseriti in comunità alloggio per minori. Il progetto YES si concretizza nella sperimentazione di un nuovo modello di inserimento nel mondo del lavoro attraverso un’impresa di transizione ispirata al modello francese delle “entreprises d’insertion”, il cui obiettivo ultimo è, appunto, l’inserimento dei propri beneficiari in aziende ordinarie del mercato. 81 L’inserimento avviene attraverso un “progetto globale personalizzato” che in- clude orientamento iniziale di gruppo, lavoro in impresa regolato da formale con- tratto part-time e formazione in alternanza. L’aspetto più significativo e più inno- vativo del progetto YES è rappresentato dunque dalla sperimentazione del modello di impresa di transizione la cui organizzazione, non essendo contemplata dalla nor- mativa italiana, è definita da un regolamento interno. In particolare l’impresa creata dal progetto, denominata “It2”, si è costituita sotto forma di cooperativa so- ciale a responsabilità limitata di tipo misto. I settori nei quali essa opera sono lo snack bar, la ristorazione, il catering, la manutenzione di parchi e giardini ed i ser- vizi di “editino”. L’impresa non gode di alcun sostegno diretto al reddito, ma retri- buisce i lavoratori con i ricavi delle proprie attività. Il percorso in “It2” consente ai giovani di sperimentarsi in situazioni produttive e di seguire contemporaneamente percorsi di formazione personalizzati. I ragazzi entrano nella cooperativa per un periodo medio di sei mesi. In alternanza al lavoro part-time da essi svolto vengono formati, all’interno di “Laboratori Open”, a speci- fiche competenze in modo da facilitarne l’“espulsione” verso attività autonome del mercato aperto e da favorire il turn over nell’impresa di transizione. L’obiettivo del progetto e della cooperativa “It2” non è quindi di creare posti di lavoro protetti, ben- sì quello di favorire la transizione dei giovani lavoratori verso attività autonome le- gate all’economia di mercato, laddove l’innovazione consiste nel creare una struttu- ra produttiva stabile e competitiva in settori con forte possibilità di sviluppo, che svolga il duplice ruolo di produrre reddito e di formare figure professionali compe- tenti, con una forte attenzione verso coloro che incontrano maggiori difficoltà. B) La strategia di rete – Gli organismi locali coinvolti nel progetto YES sono: l’Assessorato all’Ambiente e al Settore Economia e Lavoro del Comune di Bo- logna; l’Assessorato alla Formazione Professionale della Provincia di Bologna; la ASL; il Centro per la Giustizia Minorile; l’Università di Bologna - Facoltà di Scienze della Formazione; la Confcooperative; il Consorzio Interprovinciale Co- operative Agricole; la Cooperativa sociale “Il Melograno”. La strategia della condivisione e dello scambio di esperienze che ha rappre- sentato un elemento di forza del rapporto tra promotore ed attuatore appare egual- mente essenziale nella costituzione e nella metodologia di lavoro della rete di at- tori locali. La scelta dei partner locali da coinvolgere nelle attività progettuali mirava: a) a rappresentare compiutamente il territorio nella persona delle istituzioni e del privato sociale; b) a garantire il supporto scientifico alla messa a punto del modello per la tran- sizione al lavoro; c) a promuovere una corretta impostazione imprenditoriale dell’impresa di tran- sizione affinché questa possa costruirsi uno spazio di mercato come prospet- tiva di sopravvivenza economica al termine del progetto YES. 82 C) Il valore aggiunto della transnazionalità – Ai fini della rielaborazione del modello francese delle “entreprises d’insertion”, ha assunto particolare rilevanza la presenza, nella rete transnazionale, della Regione France Comté (in qualità di partner passivo) con la quale è stato sottoscritto un accordo con l’obiettivo di valu- tare a fondo il modello dell’impresa di transizione, studiarne il funzionamento, ca- pirne le dinamiche interne ed esterne, trarne gli spunti necessari per estendere ed approfondire le metodologie di formazione/accompagnamento dei giovani nell’im- presa. Un’ulteriore caratteristica essenziale della rete transnazionale è l’elevato nu- mero di partner italiani: il loro rapporto si è formalizzato nella costituzione di una rete estesa (la rete YES) i cui membri sono portatori di iniziative simili, in altre re- gioni, sempre ispirate al modello delle “entreprises d’insertion” francesi. Nel complesso, comunque, il partenariato era costituito da organismi pubblici e privati che condividevano metodologie, e soprattutto approcci comuni alle pro- blematiche del gruppo bersaglio: CEFA Basse-Sambra (Belgio), Conseil Regional de France Comté (Francia), FIRST (Francia), Royal Borough of Kingston upon Thames (Regno Unito), Fundación Penascal (Spagna), Associazione CNOS-FAP Abruzzo, Sardegna e Veneto, consorzio Pro.Form. Le attività transnazionali si sono concretizzate principalmente in incontri con- giunti finalizzati ad una più approfondita conoscenza e comprensione del contesto socioeconomico e del sistema educativo/formativo dei singoli Paesi e dei progetti nazionali dei partner. Particolare attenzione, in questa sede, è stata rivolta alla let- tura degli obiettivi dei progetti, all’analisi delle metodologie adottate e degli stru- menti sviluppati, nonché all’esame dei problemi incontrati e delle soluzioni adot- tate. Inoltre, in occasione di uno degli incontri è stato costituito un Gruppo Edito- riale Europeo incaricato di elaborare e realizzare il “prodotto” comune della rete, un sito web dedicato all’esperienza europea dei partner di PROJET, comprendente approfondimenti relativi al gruppo bersaglio, alle innovazioni prodotte nei diversi Paesi, ai problemi incontrati e alle soluzioni individuate e alle prospettive che si intravedono per il futuro. D) Mainstreaming e sostenibilità – L’impresa di transizione è a tutti gli effetti un’entità autonoma che opera sul mercato come ogni altra azienda: essa non gode di alcun sostegno diretto al reddito, ma retribuisce i lavoratori con i ricavi delle proprie attività. Pertanto è necessario, affinché il modello pedagogico formativo/insertivo da essa proposto funzioni e che la produzione tenga il passo del mercato. L’impresa è già in grado di relazionarsi alla pari con il C.E.F.A.L., ente attuatore del progetto, per la promozione congiunta di progetti integrati di in- serimento socio-lavorativo attraverso le risorse che localmente sono messe a dis- posizione dal Comune, dalla Provincia e dalla Regione Emilia Romagna, anche in attuazione delle disposizioni in materia di apprendistato e tirocinio. Nell’ambito del progetto sono già state realizzate diverse iniziative per garantire la sostenibilità economica dell’impresa di transizione: 83 a) è stata stipulata una convenzione per l’erogazione, da parte di “It2”, di servizi di manutenzione del verde nel territorio provinciale di Bologna; ulteriori con- tratti sono stati conclusi con società private; b) la Cooperativa ha rilevato un’attività di bar-pasticceria sita a Bologna; c) l’Assessorato alle Attività Produttive del Comune di Bologna ha approvato, nel quadro del Progetto “MAMBO”, una richiesta di contributo a fondo per- duto della cooperativa “It2” per il conseguimento degli obiettivi sociali ed im- prenditoriali nel biennio 1999-2000. Per quanto attiene all’impatto dell’inter- vento, le direttive regionali in tema di formazione professionale sulla scorta della sperimentazione hanno già recepito le esigenze di maggiore flessibilità e di personalizzazione delle azioni di transizione al lavoro, in particolare quelle rivolte ai soggetti svantaggiati. L’ultimo nodo da sciogliere per garantire un futuro alle imprese di transizione è l’emanazione, a livello nazionale, di una normativa che ne disciplini la forma giuridica ed il funzionamento. In tal senso, la creazione della Rete Nazionale YES ha risposto, e risponde, all’o- biettivo di favorire la “legittimazione” istituzionale dell’impresa di transizione come nuova tipologia di cooperativa sociale. E) Il contributo innovativo del progetto – Consiste innanzitutto nella messa a punto di un nuovo sistema di transizione attiva al lavoro basato sull’impresa di transizione, tipologia di impresa non contemplata dalla normativa italiana e attual- mente disciplinata da un regolamento interno. In tale contesto la struttura produt- tiva svolge il duplice ruolo di produrre reddito e formare figure professionali com- petenti, con una forte attenzione verso chi incontra maggiori difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro. Il carattere innovativo del progetto YES è dato anche dalla metodologia adot- tata per la formazione che, puntando sullo sviluppo personale dei singoli a partire dalle caratteristiche, dalle potenzialità e dalle esperienze pregresse di ognuno, si basa sullo studio e sulla definizione, per ciascun ragazzo, di un “progetto persona- lizzato” che integra formazione e lavoro dosandoli sulla base delle esigenze del singolo; questa metodologia consente una maggiore flessibilità e soprattutto la possibilità di attivare una risposta “puntuale” rispetto all’emergere del bisogno. In- fine, un ulteriore elemento di innovatività risiede nel favorire il turn over all’in- terno di “It2” e del progetto, “espellendo” i ragazzi “più capaci” verso imprese del mercato aperto, a differenza di quanto avviene di regola nelle imprese profit nelle quali si ravvisa una tendenza a “trattenere” i lavoratori migliori. 1.2.2. Progetto con target misto: “minori a rischio/genitori di minori a rischio” Del progetto “La scuola della seconda opportunità - Orientamento socio-pro- fessionale per i minori a rischio” presentiamo una tavola riassuntiva di alcuni dati, una descrizione e alcuni dati del monitoraggio. 84 2) Descrizione del progetto “La scuola della seconda opportunità” A) Obiettivi – Obiettivo del progetto era la creazione e sperimentazione di un modello di inserimento lavorativo e sociale dei giovani a rischio attraverso un percorso di ricostruzione delle relazioni interpersonali, rivolto anche alle famiglie di apparte- nenza dei ragazzi, tramite interventi terapeutici, di counselling e di formazione. B) Attività – Le azioni progettuali sono realizzate a diversi livelli, a seconda dei relativi destinatari: un primo livello (azioni rivolte ai ragazzi) comprende il bi- lancio delle competenze, l’orientamento, l’attivazione del percorso di seconda op- portunità di scolarizzazione, l’accompagnamento all’integrazione sociale ed al la- voro, programmi di inserimento lavorativo. Un secondo livello (azioni rivolte alle famiglie) prevede un sostegno sociale. Un terzo livello (azioni rivolte agli opera- tori) include un’analisi dei fenomeni di devianza, una mappatura dei servizi e dei modelli utilizzati e seminari per la progettazione di percorsi di inserimento sociale e lavorativo. Un quarto livello prevede infine azioni di orientamento e di forma- zione per gli operatori del progetto. C) Prodotti – Prodotti audiovisivi; pubblicazione sulle dinamiche del feno- meno della devianza giovanile; pubblicazioni sulle metodologie di risposta, sugli interventi realizzati e sulla sperimentazione realizzata nel progetto pagina web. D) Attività transnazionale – Il progetto prevede la realizzazione di scambi e confronti fra le diverse metodologie e strategie di intervento nel settore della for- mazione degli operatori che lavorano con i giovani a rischio e la costruzione di un modello applicabile nei diversi Paesi partner (Germania e Grecia), finalizzato al 1) Dati sul progetto “La scuola della seconda opportunità” DATI SUL PROGETTO Codice progetto 0616/E21YIR (YOUTHSTART) Tipologia Regionale (Lazio ) Promotore ARCI Nuova Associazione -Comitato provinciale di Roma [Ente privato-Associazione e Organismo no profit, Ente di volontariato; via dei Monti di Pietralata, 16, 00157 Roma; tel. 06/4180369-fax 06/4181093; e-mail: roma.arci@tin.it; Referente: Maurizio Saggion] Attuatore Arcisolidarietà di Roma [via dei Monti di Pietralata, 16, 00157 Roma tel. 06/41609230-fax 06/41609232; e-mail roma.arci@tin.it; Referente: Stefania Sebasti] Gruppi bersaglio 40 genitori minori; 20 minori a rischio Agenti di 40 familiari dei minori; 10 insegnanti sistemi di istruzione; cambiamento 5 Operatori sistemi di formazione; 5 Operatori sistemi di orientamento; 15 Operatori sociali Asse A Budget complessivo L. 1.842.180.000 Durata 30 mesi 85 reinserimento sociale e scolastico, all’orientamento e formazione professionale dei minori a rischio, alla formazione dei formatori ed operatori sociali. 3) Monitoraggio del progetto “La scuola della seconda opportunità” La scheda che riassume la valutazione del progetto è riportata in appendice (Tav. 7). A) Il contenuto del progetto – Il progetto era finalizzato al recupero dei ra- gazzi in condizione di disagio sociale attraverso la loro partecipazione ad attività di gruppo di tipo ricreativo ed educativo, durante le quali essi acquisivano le com- petenze di base utili a sostenere l’esame di terza media. Un percorso di orienta- mento al lavoro mirava inoltre a sviluppare negli utenti capacità relazionali con l’ambiente esterno, rinforzando la loro capacità di proiettarsi verso il futuro sulla base delle proprie aspirazioni, desideri e capacità. La strategia progettuale considera come elemento portante per il successo del- l’intervento lo sviluppo nel ragazzo della consapevolezza delle proprie capacità, con il duplice obiettivo di facilitare il processo d’interazione con gli altri e di con- durlo ad una positiva visione di se stesso come attore del proprio destino sociale e professionale. Sul piano motivazionale risulta determinante anche la partecipa- zione dei ragazzi alle attività di gruppo (ludiche, sportive e culturali) all’interno del Centro Studi per il Terzo Settore dell’Arcisolidarietà: il confronto con coetanei inseriti in realtà diverse offre loro la percezione di essere partecipi di un cammino realizzato insieme ad altri, permettendo loro di superare quella sensazione di soli- tudine spesso causa di sconforto e demotivazione. Infine, fondamentali per la buona riuscita del percorso risultano gli incontri con le famiglie e con la rete “amicale” dei ragazzi realizzati dagli operatori, tal- volta alla presenza degli assistenti dei servizi sociali; il maggiore ostacolo all’inte- grazione dei ragazzi è infatti spesso costituito proprio dall’ambiente sociale e fami- liare che li circonda. L’iter progettuale è stato avviato con la realizzazione di un’a- zione di formazione per gli operatori strutturata in due parti: la prima relativa alle metodologie di approccio al target e all’offerta di servizi presenti sul territorio, la seconda relativa alle metodologie del percorso pedagogico/educativo da realizzare ed alla progettazione metodologica dell’intervento. Parallelamente è stata condotta un’attività di ricerca finalizzata a realizzare una mappatura dei percorsi di inserimento offerti dal territorio, a sistematizzare l’iter proposto all’interno del progetto e ad autovalutare il modello, con particolare attenzione all’aspetto della metodologia didattica. A livello di beneficiari finali il progetto ha inteso sperimentare un percorso formativo/orientativo/motivazionale finalizzato al conseguimento della licenza media o, per coloro che ne erano già in possesso, all’inserimento occupazionale. In estrema sintesi, il percorso sperimentato si è strutturato in: a) fase dell’accoglienza primaria (contatto con il minore, strutturazione di una ipotesi sul percorso all’interno del Centro e stipula di un patto formativo); 86 b) fase formativa finalizzata all’acquisizione del diploma di terza media (acquisi- zione di conoscenze afferenti alle aree linguistico-espressiva, logico-matema- tica, storico-sociale ) da parte dei ragazzi che devono ancora conseguire tale titolo, attraverso attività formative (i laboratori ed altre attività pratiche) svolte in maniera fortemente partecipativa; c) fase formativa finalizzata all’inserimento lavorativo (per i ragazzi già in pos- sesso del diploma di terza media), articolata in attività di orientamento al la- voro attraverso incontri individuali e attività di gruppo; d) partecipazione, in comune con i ragazzi del gruppo scuola, alla attività dei la- boratori; e) strutturazione di un progetto di sviluppo delle competenze tecniche dei ragazzi attraverso lo stage in azienda, l’inserimento nei percorsi formativi o l’inseri- mento in borse lavoro. B) La strategia di rete – In dettaglio, gli attori che hanno aderito al progetto sono: i Servizi Sociali delle Circoscrizioni e del Ministero della Giustizia, i quali hanno inviato alcuni dei ragazzi che avevano in carico; il Ministero della Pubblica Istruzione, che ha messo a disposizione del Centro un insegnante per un anno; il Centro Territoriale Permanente, con il quale sono stati concordati dei programmi individuali per i ragazzi che dovevano sostenere l’esame di terza media; il Centro inoltre si è occupato di accreditare percorsi per ragazzi a partire dai 15 anni; l’Uni- versità La Sapienza di Roma che ha partecipato, con alcuni esperti, alle attività di ricerca, alla valutazione dell’intervento e alla formazione degli operatori. Il lavoro di rete ha portato, da un lato, allo sviluppo di una modalità di lavoro concertata tra gli assistenti sociali del penale e del civile e, dall’altro, alla restaura- zione dei rapporti tra il ragazzo ed i propri gruppi di riferimento. C) Il valore aggiunto della transnazionalità – Il partenariato transnazionale, oltre che dall’ARCI Nuova Associazione, era composto da un organismo tedesco, la Postdam University for Applied Sciences ed un organismo greco, il KETHEA- Therapy Centre for Dependent Individuals. Il primo sperimentava, in ambito na- zionale, un intervento a favore degli operatori, mentre il progetto del partner greco si rivolgeva ai ragazzi con problemi legati prevalentemente all’uso di sostanze stu- pefacenti. Obiettivo del progetto transnazionale Ephebus era la realizzazione di scambi e confronti tra le diverse metodologie e strategie d’intervento nel settore della for- mazione degli operatori che lavorano con i giovani a rischio, al fine di costruire un modello trasferibile e applicabile nei Paesi partner finalizzato al reinserimento so- ciale e scolastico, all’orientamento ed alla formazione professionale dei minori a rischio, alla formazione di formatori ed operatori sociali. A tale scopo, il lavoro transnazionale si è concretizzato essenzialmente nello scambio di esperienze tra gli operatori realizzatisi in differenti occasioni di in- contro nei tre Paesi. 87 D) Mainstreaming e sostenibilità – A fini di una sostenibilità dei benefici previ- sti sono state stipulate convenzioni con il Ministero di Grazia e Giustizia e con le Cir- coscrizioni. Il Protocollo di intesa firmato con il 4° Centro Territoriale (afferente al- la V circoscrizione) prevede la condivisione dell’impostazione del progetto educati- vo e l’articolazione di specifici patti formativi. Ciò ha reso possibile certificare il percorso svolto dai ragazzi nell’ambito del Centro per la Seconda Opportunità crea- to dal progetto Youthstart e, per tali giovani, sostenere l’esame di terza media. Il pro- tocollo ha permesso inoltre di integrare i servizi offerti dal Centro per la Seconda Op- portunità con il ruolo istituzionale svolto dal Centro Territoriale. Il Centro Arcisoli- darietà infatti risulta in grado di motivare e di coinvolgere ragazzi che non si acco- sterebbero certamente al Centro Territoriale, andando a coprire quell’area di disagio giovanile che rimarrebbe altrimenti al di fuori di tutti i circuiti scolastico-formativi. Questo sistema di integrazione tra servizi pubblici e privati potrebbe essere messo a regime attraverso ulteriori Protocolli di intesa con altri Centri Territoriali. E) Il contributo innovativo del progetto – Il progetto presenta diversi aspetti innovativi: a) l’importanza attribuita nel percorso alle capacità relazionali dei ragazzi, con particolare attenzione allo sviluppo del senso di rispetto nei confronti degli altri e della consapevolezza delle proprie capacità; b) il lavoro svolto dallo staff progettuale sui gruppi di riferimento dei ragazzi, la famiglia e la rete amicale, con l’obiettivo di creare le condizioni per l’integra- zione dei ragazzi; c) l’acquisizione e il potenziamento delle capacità e competenze di lavoro di gruppo attraverso il momento dello svago; d) la nuova procedura attivata per il sostenimento dell’esame di terza media: il Mini- stero della Pubblica Istruzione ha infatti creato dei Centri Territoriali Permanenti per l’Istruzione e la Formazione degli Adulti con i quali è stato possibile concordare, sulla base di un Protocollo di intesa, un programma individuale per i ragazzi; e) la sperimentazione, sui ragazzi che non sostenevano l’esame, di programmi individualizzati, elaborati con gli operatori, finalizzati al reinserimento nei cir- cuiti dell’istruzione (scuola secondaria) o all’inserimento lavorativo; f) la modalità di lavoro “aperta” adottata nel percorso formativo/orientativo/mo- tivazionale dei ragazzi, nella quale non sussisteva una rigida separazione tra le ore di formazione e quelle di orientamento. 1.2.3. Progetti con target: “giovani tossicodipendenti ed ex-tossicodipenti” In questa sezione presentiamo i progetti: “Leo Young”, “Alle sorgenti”, “Nuove fantasie per il tessile”. 1.2.3.1. Progetto “Leo Young” Del progetto “Leo Young” presentiamo una tavola riassuntiva di alcuni dati e una descrizione. 88 2) Descrizione del progetto “Leo Young” A) Obiettivi – Il progetto intendeva promuovere l’inserimento occupazionale di 15 giovani ex-tossicodipendenti, formandoli sulle tecniche di utilizzo di pitture decorative ad acqua e delle antiche decorazioni a stucco, encausto, stencil, marzo- lino. L’attività formativa era corredata da un percorso educativo-formativo dei gio- vani, supportato da un programma di sostegno ai minori coinvolti e alle famiglie di origine mediante l’intervento di tutors e mentori che accompagnavano il loro pro- cesso di crescita individuale e di maturazione professionale. B) Attività – Era prevista inizialmente un’attività di analisi sul territorio rela- tiva alla situazione occupazionale e allo stato di disagio socio-economico e fami- liare degli ex-tossicodipendenti, cui faceva seguito la formazione del gruppo bersa- glio. Era prevista quindi la realizzazione di azioni di accompagnamento al lavoro, finalizzate all’inserimento dei ragazzi formati all’interno dell’impresa partner con contratto di formazione lavoro. Infine veniva previsto un soggiorno, suddiviso in due periodi della durata di 15 giorni, in grado di offrire al gruppo bersaglio mo- menti ludico-ricreativi integrati con attività sportive e teatrali, al fine di incentivare la partecipazione attiva degli stessi alla nuova esperienza formativa e lavorativa. C) Prodotti – Documenti per la pubblicizzazione e diffusione dell’iniziativa; supporti didattici per la conoscenza delle tecniche e dei materiali per la pittura e la decorazione di interni ed esterni con l’utilizzo di prodotti innovativi ed ecologici; realizzazione di “Decor Centers”. D) Attività transnazionale – Il progetto transnazionale prevedeva lo scambio di modelli pedagogici presso formatori e operatori sociali, l’attivazione di una pro- cedura comune di valutazione dei modelli creati e lo stage all’estero per i giovani coinvolti nell’intervento. Partner Comunitari: Francia e Germania. 1) Dati sul progetto “Leo Young” DATI SUL PROGETTO Codice progetto I1655/E2/Y/R (YOUTHSTART) Tipologia Regionale (Campania) Promotore Ente privato- Associazione e organismo no profit, Ente di volontariato,Via Molara 2, 80031 Brusciano (NA); tel 0823/336745, fax 0823/336062; mail: leoamici@cisea.it; Referente: Maria Rosaria Nardi, Rosa Asciune Attuatore idem Gruppi bersaglio 15 giovani ex-tossicodipendenti Agenti di 2 formatori; 3 insegnanti di sistemi di istruzione; 3 operatori sociali cambiamento Asse C Budget complessivo L. 951.490.000 Durata 30 mesi 89 3) Valutazione del progetto “Leo Young” La scheda che riassume la valutazione del progetto è riportata in appendice (Tav. 8). 1.2.3.2. Progetto “Alle sorgenti” Del progetto “Alle sorgenti” presentiamo una tavola riassuntiva di alcuni dati e una descrizione. 2) Descrizione del progetto “Alle sorgenti” A) Obiettivi – Il progetto mirava al reinserimento socio-lavorativo di tossico- dipenendenti ed ex- tossicodipendenti mediante la creazione e la gestione di una cooperativa per la produzione, trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli biologici. B) Attività – Il progetto prevedeva la realizzazione di due corsi di formazione riservati complessivamente a 12 tossicodipendenti ed ex-tossicodipendenti e fina- lizzati all’acquisizione di competenze in materia, rispettivamente di produzione agricola biologica e di marketing e contabilità aziendale. La costituzione di una co- operativa per la produzione, trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli biologici, era preceduta da una fase di orientamento per i destinatari del- l’intervento e supportata da un’azione di consulenza e assistenza nella fase di start- up. Inoltre è stata realizzata una ricerca-studio sulla realtà socio-economica del ter- ritorio e sui bisogni degli ex-tossicodipendenti. Il quadro generale veniva comple- tato dall’attività di autovalutazione che interessava tutto l’iter progettuale ed era effettuata con il ricorso a risorse interne ed esterne. C) Prodotti – Dispense, videocassette, pacchetti didattici, produzione agricola biologica (prodotti frutticoli, orticoli, olivicoli, vitivinicoli). 1) Dati sul progetto “Alle sorgenti” DATI SUL PROGETTO Codice progetto 2733/E2/I/R (INTEGRA) Tipologia Regionale (Sardegna) Promotore Centro di ascolto Madonna del Rosario di Villacidro, Ente privato - Associazione e organismo no-profit-Ente di volontariato, Via Nazionale 51, 09039 Villacidro (CA), tel. 070/9314326, fax 070/9329787, Referente: Angelo Pittau Attuatore ENAP SARDEGNA Ente privato- Ente di formazione/istruzione; via Mazzini 3, 09013, Carbonia (CA), Tel. 0781/64937-674798, Fax 0781/62368, Referente: Giovanni Maria Lai Gruppi bersaglio 12 tossicodipendenti ed ex-tossicodipendenti Asse C Budget complessivo L. 830.450.000 Durata 24 mesi 90 D) Attività transnazionale – In ambito transnazionale erano previsti scambi di informazioni, conferenze e seminari congiunti finalizzati alla divulgazione delle metodologie e degli strumenti utilizzati in azioni comuni. Stage all’estero consenti- vano ai beneficiari dell’intervento di sviluppare più ampie capacità professionali grazie al confronto con realtà lavorative diverse. Inoltre sono stati realizzati pro- dotti commerciali con caratteristiche comuni in termini di qualità, confeziona- mento e sistema di distribuzione, nonché una ricerca congiunta per il migliora- mento dei sistemi di produzione, l’ottimizzazione delle risorse disponibili e l’am- pliamento del mercato. Partner Comunitari: Francia e Germania. 3) Valutazione del progetto “Alle sorgenti” La scheda che riassume la valutazione del progetto è riportata in appendice (Tav. 9). 1.2.3.3. Progetto “Nuove fantasie per il tessile” Del progetto “Nuove fantasie per il tessile - Progetto di formazione professio- nale per creatori di fantasie per tessuti” presentiamo una tavola riassuntiva di al- cuni dati e una descrizione. 1) Dati sul progetto “Nuove fantasie per il tessile” DATI SUL PROGETTO Codice progetto 2309/E2/I/R (INTEGRA) Tipologia Regionale (Sardegna) Promotore Ente Ipogea Formazione Professionale - Ente privato - Ente di formazione/istruzione, via Traversa 1° Duca di Genova 2, 09134 Cagliari-Pirri, tel. 070/568056, Referente: G.B. Massidda, V. Angius, 7 Attuatore idem Gruppi bersaglio 15 giovani ex-tossicodipendenti Asse A Budget complessivo L. 1.212.560.000 Durata 24 mesi 2) Descrizione del progetto “Nuove fantasie per il tessile” A) Obiettivi – Il progetto mirava a facilitare il reinserimento sociale e lavora- tivo di tossicodipendenti ed ex-tossicodipendenti attraverso l’acquisizione di com- petenze specifiche nel settore tessile spendibili sia nel mercato del lavoro dipen- dente che mediante l’avvio di attività autonome. B) Attività – Il progetto si sostanzia nella realizzazione di attività formative de- stinate a 15 tossicodipendenti ed ex-tossicodipendenti, finalizzata alla creazione di una figura professionale in grado di utilizzare sia le tecniche tradizionali del disegno di fantasie tessili che le tecnologie d’avanguardia (informatica, geometria frattale). Parallelamente si prevedeva di realizzare una ricerca di mercato sulla base della 91 quale ritarare la struttura e i contenuti del corso. Dopo il periodo di formazione i de- stinatari dell’intervento potevano beneficiare di servizi di affiancamento per l’in- gresso nel mercato del lavoro dipendente e/o di accompagnamento per la creazione di un’impresa in grado di offrire un servizio “on line” su internet per la realizza- zione, la catalogazione e la diffusione di standard pittorici innovativi. Per la diffu- sione dei risultati dell’intervento si è fatto ricorso all’utilizzo di supporti multime- diali, alla stampa specializzata, nonché all’organizzazione di fiere e mostre mercato. C) Prodotti – Lavori tessili, CD- ROM, sito internet contenente la descrizione dei migliori lavori. D) Attività transnazionale – Parte delle attività transnazionali programmate avevano carattere bilaterale: in particolare, lo sviluppo di una indagine di mercato sullo stato del settore tessile, lo scambio di operatori sociali e di formatori e lo svi- luppo di prodotti congiunti per la formazione (testo comune sulle metodologie di insegnamento/apprendimento) e l’orientamento (banca dati sulle opportunità di la- voro per il gruppo bersaglio) interessavano principalmente il partner irlandese. Tutti i partner invece sono stati coinvolti nelle attività di scambio e nella realizza- zione di un documento comune, riassuntivo dell’esperienza del progetto. Partner comunitari: Belgio e Irlanda. 3) Valutazione del progetto “Nuove fantasie per il tessile” La scheda che riassume la valutazione del progetto è riportata in appendice (Tav. 10). 1.2.4. Progetti con target: “giovani immigrati” In questa sezione presentiamo i progetti: “Spaziomusica”, “Davide contro Golia”, “AIRONE”. 1.2.4.1. Progetto “Spaziomusica” Del progetto “Spaziomusica” presentiamo una tavola riassuntiva di alcuni dati, una descrizione e alcuni dati del monitoraggio. 1) Dati sul progetto “Spaziomusica” DATI SUL PROGETTO Codice progetto 2582/E2/Y/R (YOUTHSTART) Tipologia Regionale (Toscana) Promotore Comune di Prato - Circoscrizione Sud [Ente pubblico - Amministrazione o Ente Pubblico locale, via Roma 276, 50047 Prato (Po) tel. 0574/631105-fax 0574/631000; e-mail: a.ricci@mbox.xomune.prato.it; Referente: Alessandro Ricci] Attuatore idem Gruppi bersaglio 148 giovani a bassa scolarità; 10 giovani immigrati; 2 giovani nomadi Agenti di 10 operatori sistemi di orientamento; 10 operatori sociali cambiamento 92 2) Descrizione del progetto “Spaziomusica” A) Obiettivi – Obiettivo del progetto era di favorire l’inserimento professio- nale di ragazzi con svantaggio sociale nel settore musicale e dello spettacolo, pro- muovendo un collegamento tra gli attori locali impegnati nell’orientamento e nella formazione, le associazioni giovanili e le realtà produttive locali che operano nel settore della musica e del teatro. A tal fine è stato sperimentato un percorso di orientamento e pre-formazione basati sulla metodologia della simulazione e sullo stage, per sviluppare sia capacità imprenditoriali, sia competenze tecniche speci- fiche nel settore della produzione musicale e dei servizi ausiliari per l’allestimento di concerti, eventi teatrali e aggregativi in genere. B) Attività – Nella fase iniziale del progetto è stata condotta una ricerca sulle nuove professionalità nel settore musicale e dello spettacolo ed un’analisi di mer- cato in tale comparto a livello locale, per valutare le opportunità professionali per i giovani beneficiari del progetto. In seguito è stata realizzata una fase di pre-orien- tamento per l’autovalutazione e lo sviluppo della progettualità individuale, seguita da un percorso di orientamento specifico, o pre-formazione, comprendente stage in imprese e strutture che lavorano nel settore musicale e dello spettacolo. Il progetto prevedeva inoltre un percorso formativo destinato agli operatori sociali, operatori dell’orientamento e tutor aziendali e l’attivazione di un servizio di consulenza e sostegno all’inserimento lavorativo di 20 giovani del gruppo bersaglio, nonché una fase finale di divulgazione delle esperienze condotte. C) Prodotti – Pubblicazione di sintesi dei risultati della ricognizione sulle nuove professionalità nel settore musicale e dello spettacolo e dell’analisi del mer- cato in tale settore a livello locale. D) Attività transnazionale – In ambito transnazionale le attività del progetto hanno riguardato lo scambio di esperienze, di metodi e di conoscenze per miglio- rare la comprensione dei problemi legati alle istituzioni non profit. In particolare era previsto lo scambio di informazioni e materiali, l’organizzazione di conferenze e seminari congiunti, la formazione di formatori e di personale per lo sviluppo di metodologie e percorsi formativi mediante l’uso della telematica e in relazione ad eventuali prospettive occupazionali dei giovani. Inoltre erano comprese attività di ricerca e lo sviluppo di prodotti e servizi. Partner comunitari: Finlandia, Porto- gallo, Regno Unito, Irlanda. 3) Monitoraggio del progetto “Spaziomusica” La scheda che riassume la valutazione del progetto è riportata in appendice (Tav. 11). Asse A Budget complessivo L. 1.573.000.000 Durata 24 mesi 93 A) Il contenuto del progetto – Il progetto “Spaziomusica” si è rivolto ad un target di ragazzi (giovani del progetto a bassa scolarità, immigrati e nomadi) pro- venienti da un’area in declino industriale e di potenziale riconversione economica, aprendo nuove possibilità occupazionali nel settore della musica e dello spettacolo. L’intervento è stato concepito come un iter organico che, attraverso le fasi di ri- cerca, formazione degli operatori e sviluppo di interventi specifici diretti ai giovani beneficiari e al territorio, ha promosso la creazione di attività imprenditoriali o l’inserimento nel mercato del lavoro dipendente. Il primo step del progetto è stata la formazione di 20 operatori e di 15 tutor aziendali, preparati per sostenere il percorso formativo dei giovani ed il funziona- mento dei laboratori di orientamento professionale. Gli operatori dell’orientamento sono stati coinvolti anche nella fase di reclutamento del target, alla quale hanno collaborato anche gli Istituti scolastici, le cooperative e le associazioni che lavo- rano con i giovani o che si occupano di svantaggio sociale. La ricerca ed il contatto con i giovani destinatari sono avvenuti, inoltre, direttamente nei luoghi di aggrega- zione e presso i circoli giovanili del territorio. A partire da tale strategia, le infor- mazioni relative al progetto sono state in seguito diffuse attraverso la radio e gli sportelli Informagiovani del territorio. I giovani selezionati sono stati inseriti in un percorso di orientamento formati- vo caratterizzato da una fase orientativa di tipo pratico, basata sull’attivazione di 6 laboratori (laboratorio “Video”; laboratorio “Musica dal vivo”; laboratorio “Produ- zione e vendita di CD”; laboratorio “Organizzazione e gestione di eventi e spettaco- li”; laboratorio “Conduzione radiofonica”; laboratorio “Produzione radiofonica”) della durata di circa una settimana ciascuno, volti a far “assaggiare” ai ragazzi diverse professioni legate al mondo dello spettacolo, coinvolgendoli nella realizzazione fi- nale di prodotti, in eventi teatrali di gruppo, in trasmissioni radiofoniche, ecc. Alla sperimentazione nei laboratori è seguita una seconda fase (realizzata at- traverso colloqui e bilancio di competenze) in cui è stata messa a fuoco la possibile scelta professionale dei giovani e durante la quale i ragazzi hanno effettuato uno stage di tre mesi in strutture del territorio operanti nel campo dello spettacolo e della musica. La strutturazione del percorso di orientamento formativo e l’indivi- duazione delle strutture presso le quali i ragazzi hanno svolto lo stage si sono av- valse dei risultati di una ricerca sulle professioni nel settore della musica e dello spettacolo visti come nuovi bacini occupazionali. La ricerca ha altresì fotografato i fabbisogni formativi e le caratteristiche del mercato del lavoro locale. Il percorso progettuale è stato completato dall’inserimento professionale dei ragazzi, realizzato mediante la creazione di impresa o attraverso l’inserimento nel mercato del lavoro dipendente. B) La strategia di rete – La partecipazione dei partner locali al progetto si è sviluppata in particolare nell’area gestionale (l’Istituto Professionale “F. Datini” si è preso carico della rendicontazione) e nell’area programmatica e contenutistica 94 (Teatro di Piazza e d’Occasione, “Laboratorio 9”, “Radio Insieme”, “Controradio”, “Teatro della Limonaia”) afferente ai laboratori di orientamento. Nello specifico, i contributi dei diversi attori locali possono essere sinteticamente descritti come segue: a) gli Istituti scolastici hanno contribuito al reperimento dei destinatari, fornendo anche i nominativi di alcuni ragazzi che avevano interrotto gli studi, e alla dif- fusione delle informazione relative al progetto; inoltre l’Istituto Professionale “F. Datini” si è reso disponibile ad effettuare la rendicontazione delle spese progettuali; b) i Centri di formazione professionali, locali oltre ad offrire la disponibilità di alcuni dei loro operatori, hanno seguito l’intero iter progettuale al fine di inse- rire nei loro corsi quei ragazzi che, terminata la fase di orientamento, avessero scelto percorsi alternativi a quelli proposti nell’ambito di “Spaziomusica”; c) le imprese (cooperative e società operanti nel settore della musica e dello spet- tacolo) sono state coinvolte nella gestione e nella conduzione dei laboratori ed hanno accolto i ragazzi in stage offrendo, inoltre, la loro disponibilità per gli inserimenti lavorativi e per la gestione della costituenda struttura “Spaziomu- sica”, destinata all’organizzazione ed all’allestimento di spettacoli e concerti; d) la Regione Toscana ha aderito al progetto attraverso l’Assessorato alla Cul- tura, che ha contribuito alla divulgazione dei risultati ed alla pubblicazione e diffusione della ricerca, nonché mediante l’Assessorato alla Formazione Pro- fessionale, che ha avanzato la proposta di riproporre le sperimentazioni con- dotte nell’ambito di “Spaziomusica” nella prossima programmazione regio- nale. C) Il valore aggiunto della transnazionalità – Il confronto tra le metodologie e le pratiche adottate dai partner (Comune di Prato, Livestuoreen Setlementi Ry, Fin- landia; Teatro do Nordeste-Centro Dramatico do Viana, Portogallo; Devon County Council East Devon Social Services Department, Regno Unito; Kerry Diocesan Youth Service, Irlanda; più due partner passivi di Svezia e Austria) ha costituito un valido stimolo al miglioramento e all’innovazione della metodologia di orienta- mento sviluppata nel progetto “Spaziomusica”. In questa prospettiva, particolar- mente importanti sono risultati i contributi del partner inglese e di quello finlan- dese che, nell’ambito del progetto Youthstart ADVANCE, avevano sviluppato un modello di orientamento riconosciuto a livello europeo. Inoltre, dall’esperienza transnazionale sono stati tratti suggerimenti utili per la definizione della modalità di approccio ai beneficiari. La realizzazione dei seminari congiunti dei due gruppi di lavoro transnazionali (gruppo di gestione e gruppo di controllo e valutazione) ha reso possibile la defini- zione di una strategia comune per il consolidamento dei risultati e la diffusione della metodologia sviluppata. In particolare, obiettivo comune è stata la creazione dell’“European Network for Local Actions against Social Exclusion”, una rete per 95 lo scambio d’informazioni e buone prassi su base permanente, nella prospettiva di una futura progettazione congiunta. L’esperienza del partner inglese (creazione di una rete locale tra le agenzie formative e i servizi per i giovani) ha costituito un esempio significativo ed un utile riferimento nella realizzazione della strategia di rete locale. Un ulteriore valore aggiunto della dimensione transnazionale si rintraccia nei rapporti bilaterali instaurati con il partner portoghese i cui risultati sono stati: la de- finizione congiunta di nuovi profili professionali e percorsi formativi nel settore delle arti performative e la creazione delle basi per la costituzione di una rete eu- ropea finalizzata allo sviluppo di tali professioni. Per quanto riguarda il contributo del progetto italiano alla partnership, esso si ravvisa soprattutto nell’apporto di co- spicue risorse e di professionalità specifiche per l’attività di valutazione, che ha contribuito in modo significativo allo sviluppo di un sistema di valutazione co- mune in ambito transnazionale. Inoltre il progetto italiano ha assunto un ruolo di mediazione culturale e di facilitazione nella comunicazione tra i partner e nella creazione di concrete occasioni di collaborazione e confronto, opportunamente programmate in base all’evoluzione delle diverse fasi del progetto transnazionale. D) Mainstreaming e sostenibilità – La formazione, nell’ambito del progetto, di orientatori provenienti dai servizi rivolti ai giovani, già operanti sul territorio, rap- presenta un valore aggiunto per la comunità locale e segnatamente per il gruppo bersaglio. Le competenze specifiche di cui questi soggetti sono portatori sono state ulteriormente definite e potenziate con il loro impegno nella fase pratica della for- mazione in alternanza e dell’accompagnamento. In secondo luogo i risultati della ricerca potranno consentire agli enti locali ed alla Regione di consolidare la propria conoscenza sulle opportunità offerte dal set- tore della musica e dello spettacolo e di valutarne in modo preciso l’impatto occu- pazionale, con conseguente ricaduta nell’ambito della programmazione degli inter- venti di formazione professionale. Inoltre il Comune di Prato ha presentato un progetto alla Regione Toscana, de- nominato “Antenna Musicale”, che propone un modello di inserimento e di ac- compagnamento al lavoro dei giovani nel settore della musica e dello spettacolo che rappresenta, nella sostanza, una rielaborazione dell’esperienza maturata con “Spaziomusica”. Anche la presentazione di un progetto Leonardo sui temi della formazione in questo campo costituisce un’importante occasione di prosecuzione e di consolida- mento dei risultati raggiunti con “Spaziomusica”, sia per quanto riguarda le moda- lità di certificazione delle competenze acquisite dai destinatari, sia per la possibi- lità di attivare scambi con Paesi che stanno attuando progetti analoghi. Infine per quanto attiene alla sostenibilità degli inserimenti lavorativi dei de- stinatari finali, determinante risulta l’attivazione della Struttura Spaziomusica, che potrà fornire ulteriori opportunità d’inserimento nel campo musicale. 96 E) Il contributo innovativo del progetto – Il contenuto innovativo del progetto è riconducibile ai seguenti risultati: a) definizione e sperimentazione di un modello di orientamento basato sulla si- mulazione, attraverso il coinvolgimento attivo del gruppo bersaglio in labora- tori gestiti in collaborazione con le imprese del territorio; b) creazione di nuovi profili professionali e di opportunità lavorative in un set- tore, quello della musica e dello spettacolo, incluso tra i nuovi bacini di im- piego; c) attivazione di partnership tra i servizi locali per i giovani e gli enti pubblici e privati, nel settore della musica e dello spettacolo; d) elaborazione di metodologie di attrazione e avvicinamento del target group in- novative rispetto alle consuete modalità di reclutamento; e) costituzione, anche grazie alle attività di promozione realizzate dall’ente ge- store del progetto, di un organismo di coordinamento di tutti i soggetti che, a vario titolo, si occupano di giovani e di situazioni di svantaggio sociale nella Provincia di Prato (enti parrocchiali, circoli ricreativi, cooperative sociali, enti pubblici e privati, ecc.). Tale organismo, denominato “Il Pentolone”, si ri- unisce periodicamente ed è stato prezioso per far conoscere il progetto, per re- cepire informazioni sul mondo giovanile e per contattare e reclutare i destina- tari dell’intervento; f) coinvolgimento attivo del mondo imprenditoriale in un settore, quello della musica cosiddetta “non colta” e dello spettacolo, da sempre lasciato ai mar- gini. 1.2.4.2. Progetto “Davide contro Golia” Del progetto “Davide contro Golia” presentiamo una tavola riassuntiva di al- cuni dati, una descrizione e alcuni dati del monitoraggio. 1) Dati sul progetto “Davide contro Golia” DATI SUL PROGETTO Codice progetto 2238/E2/Y/R (YOUTHSTART) Tipologia Regionale (Sicilia) Promotore Ass. di volontariato “Laboratorio Zen Insieme”. [Ente privato - Associazione e organismo no profit, Ente di volontariato. Via Gabriele D’Annunzio, 52, 90144 Palermo; tel. 091/ 30 46 96 - fax 091/ 30 46 96; e-mail: elefer@neomedia.it; Referente: Ferdinando Siringo] Attuatore A.T.I. fra Associazione di Volontariato Zen Insieme, Panormedil, Cooperativa Retablo, Associazione Pentagono. [Ente privato, consorzio di imprese Via Gabriele D’Annunzio, 52, 90144 Palermo; tel. 091/ 30 46 96-fax 091/ 30 46 96; e-mail: elefer@neomedia.it; Referente: Ferdinando Siringo] 97 2) Descrizione del progetto “Davide contro Golia” A) Obiettivi – Il progetto ha inteso garantire l’inserimento occupazionale in forma autonoma o subordinata di un gruppo di giovani, residenti nel territorio del quartiere Zen di Palermo, attraverso la costituzione di microimprese e/o coopera- tive nel settore edilizio. B) Attività – L’intervento è stato introdotto da azioni di informazione e sensi- bilizzazione del territorio e da seminari di coordinamento per operatori dei sistemi nel territorio di attuazione al fine di rafforzare il lavoro integrato di rete. Conte- stualmente è stata realizzata una ricerca per la rilevazione del fabbisogno forma- tivo, delle potenzialità del gruppo bersaglio e delle opportunità occupazionali a li- vello cittadino nel settore del recupero edilizio e per l’elaborazione di metodologie formative. Ha fatto seguito un’attività formativa condotta a 4 livelli: a) migliora- mento delle competenze e della metodologia formativa dei formatori; b) acquisi- zione di abilità informatiche per operatori di sportello da parte di operatori e gio- vani del quartiere; c) acquisizione di abilità informatiche da parte di operatori del sociale, al fine di rafforzarne la capacità di informazione sociale e orientamento; d) formazione di un gruppo di giovani volta alla qualificazione di professioni quali “Scalpellino”, “Selciatore”, “Pavimentatore”. L’ultimo percorso formativo, svolto principalmente attraverso attività pratiche, simulazione di cantiere e pratica in can- tieri, era finalizzato alla creazione di una microimpresa, all’avvio di attività auto- nome o all’inserimento lavorativo presso imprese del settore degli allievi. L’inseri- mento lavorativo e la creazione di impresa sono state supportate da consulenza e tutoraggio e facilitate da un’attività di promozione dei giovani presso imprese e possibili committenti. Inoltre sono stati creati uno sportello di orientamento ed in- formazione sullo sviluppo locale, l’accesso al mercato del lavoro e la formazione Gruppi bersaglio - 54 giovani a bassa scolarità - 2 giovani appartenenti a famiglie monoparentali - 135 giovani di zone urbane svantaggiate - 10 giovani ex detenuti - 15 giovani ex-tossicodipendenti - 8 giovani immigrati - 100 minori a rischio Agenti di - 5 Agenti di sviluppo locale cambiamento - 10 Cooperatori sociali - 15 Formatori - 20 Insegnanti sistemi di istruzione - 15 Membri di organizzazioni di volontariato - 5 Operatori sistemi di formazione - 8 Operatori sistemi di orientamento - 12 Operatori sociali - 10 Rappresentanti parti sociali Asse B Budget complessivo L. 1.234.236.250 Durata 24 mesi 98 (dotato di una banca dati informatizzata e collegamenti telematici), gestito dagli operatori precedentemente formati, ed un Centro cittadino di documentazione sul Terzo Settore. Infine è stata prevista la realizzazione di attività di sostegno per l’in- tegrazione scolastica (per il conseguimento del diploma di terza media) ed il so- stegno sociale alle famiglie in difficoltà. C) Prodotti – Interventi di restauro eseguiti dai giovani in attività di cantiere; banca dati multimediale contenente una raccolta legislativa e supporti per il lavoro di “help desk”; materiali illustrativi, schede tematiche e documentazione audiovi- siva sul progetto; studio sulle metodologie formative per giovani svantaggiati. D) Attività transnazionale – Obiettivo del progetto transnazionale era la ri- strutturazione dei metodi di formazione professionale su base modulare, al fine di migliorare la qualificazione dei beneficiari e di indirizzare questi ultimi verso la formazione continua. È stato effettuato un confronto sulle metodologie innovative riguardo alla struttura e ai contenuti della formazione, con l’obiettivo di legare quest’ultima alle esigenze del mercato del lavoro ed i bisogni formativi ai profili, di rilevare i bisogni dei giovani e di elaborare metodi innovativi per promuovere presso le imprese la cultura della formazione, per sviluppare modelli di curricula e programmi educativi e formativi e per realizzare un quadro dei percorsi formativi in modo da adeguarli ai differenti gruppi bersaglio. È stata prevista infine la realiz- zazione di scambi di staff, attività di formazione dei formatori, produzione di ma- teriale informativo (report finale e bollettini periodici) e seminari comuni. 3) Monitoraggio del progetto “Davide contro Golia” La scheda che riassume la valutazione del progetto è riportata in appendice (Tav. 12). A) Il contenuto del progetto – Il progetto intendeva garantire l’inserimento oc- cupazionale di un gruppo di giovani residenti nel quartiere Zen di Palermo, in forma subordinata o attraverso la costituzione di microimprese e/o cooperative operanti nel settore edilizio. La sperimentazione è stata avviata con la realizzazione di una ricerca, con- dotta anche in collaborazione con i partner transnazionali, finalizzata all’identifica- zione dei fabbisogni formativi e delle potenzialità del gruppo bersaglio nonché al confronto dei modelli di formazione professionale per giovani drop-out sviluppati negli altri Paesi europei. I destinatari del progetto (24 ragazzi a bassa scolarità, di età compresa tra i 14 ed i 19 anni) hanno beneficiato di un intervento formativo “multi-skill”, volto al- l’acquisizione di tre qualifiche professionali – scalpellino, selciatore e pavimenta- tore – quasi scomparse ma molto richieste dal mercato del lavoro locale. I profili professionali in uscita sono stati individuati attraverso un’analisi del mercato del lavoro locale. Contestualmente il progetto ha previsto due interventi formativi destinati agli 99 operatori: l’uno finalizzato all’acquisizione di competenze utili alla gestione dell’in- tervento (motivazione, gestione gruppi), l’altro volto all’acquisizione di quelle cono- scenze informatiche necessarie per una corretta gestione dei servizi implementati. Il momento centrale dell’intervento ha coinciso con l’attivazione di due strut- ture di informazione-orientamento rivolte rispettivamente ai giovani che intendono inserirsi nel mercato del lavoro dipendente ed a quelli indirizzati verso la “job creation”. La prima struttura è uno sportello di informazione-orientamento che offre una molteplicità di servizi: informazione sulla domanda ed offerta di lavoro, orienta- mento scolastico-formativo, orientamento professionale, consulenza per la stesura del curriculum vitae e per i colloqui di lavoro, iscrizione nelle liste di colloca- mento. Lo sportello, oltre ad essere dotato di una propria banca dati, è collegato con diversi siti Internet per la ricerca/offerta di lavoro ed è in rete con la banca dati dell’Agenzia Regionale per l’Impiego e con l’Ufficio di Collocamento. La seconda struttura, denominata “Centro cittadino di documentazione sul Terzo Settore”, funge da luogo di raccolta di materiale informativo sul settore non profit e sulla cooperazione sociale. Il Centro rappresenta un importante punto di informazione per gli attori economici (in particolare le cooperative), le associa- zioni, gli operatori ed i giovani indirizzati verso l’avvio di un’attività autonoma, nonché uno strumento per la promozione dell’impresa non profit. La fase di inserimento lavorativo ha preso il via nell’ultima parte della forma- zione. I giovani indirizzati verso il lavoro dipendente hanno beneficiato di un ser- vizio di orientamento, consulenza e promozione sul mercato del lavoro attraverso l’individuazione di imprese interessate ad assumere i ragazzi. I giovani orientati verso la creazione d’impresa hanno invece fruito di un servizio di consulenza e tu- toraggio, in collaborazione con il gruppo giovani dell’Associazione Costruttori Edili, volto a facilitare l’ingresso delle neo imprese nel mercato. B) La strategia di rete – Quasi tutti i partner locali sono stati coinvolti nel pro- getto sin dalla fase di pianificazione contribuendo all’analisi dei fabbisogni del ter- ritorio ed alla definizione degli obiettivi e delle metodologie d’intervento. In corso d’opera, il partenariato si è consolidato e si è arricchito di ulteriori adesioni. In sintesi, i contributi dei singoli partner locali alla sperimentazione sono stati i seguenti: a) l’Agenzia regionale per l’impiego ha messo a disposizione dello sportello di orientamento, la propria banca dati sulle opportunità formative e lavorative, ed ha fornito un supporto tecnico al collegamento telematico fra lo sportello e l’Agenzia; inoltre, l’Agenzia si è impegnata ad inserire nella propria banca dati le informazioni riguardanti i giovani formati dal progetto, al fine di facili- tarne l’inserimento lavorativo; b) il Comune di Palermo, che ha aderito al progetto attraverso gli operatori del Servizio Sociale Territoriale, ha contribuito al reperimento dei destinatari, alla 100 promozione dello Sportello informativo presso i giovani, alle attività di orien- tamento (attraverso contributi professionali sulle metodologie di approccio e di colloquio con i ragazzi), alle attività di sostegno alle famiglie dei giovani, alla pubblicizzazione dell’intervento; inoltre ha offerto sostegno logistico al progetto ospitando provvisoriamente presso i propri locali lo sportello infor- mativo creato e supportando il promotore nella fase di concertazione con lo IACP per l’assegnazione dei locali definitivi; c) la ASL (Centro di neuropsichiatria infantile) ha contribuito al progetto per la parte di sostegno psicologico ai giovani attraverso il consultorio familiare di zona e fornendo un proprio esperto; d) l’Associazione dei costruttori edili di Palermo ha collaborato all’individua- zione delle figure professionali da formare e all’analisi del mercato del lavoro locale; si è impegnata a sostenere l’inserimento lavorativo dei giovani nel set- tore e la relativa sperimentazione di modalità innovative presso propri soci; ha offerto contributi professionali per la trattazione delle problematiche forma- tive; ha supportato l’ingresso nel mercato del lavoro locale delle imprese av- viate dai giovani fornendo consulenza e tutoraggio; e) i sindacati (settore edile di CGIL, CISL e UIL) hanno fornito un supporto alle attività di inserimento in azienda; f) le associazioni non profit hanno svolto un ruolo importante nel contatto e nel reclutamento dei giovani e hanno partecipato con i propri operatori alle azioni di recupero per giovani con ritardi di scolarizzazione; g) le scuole, oltre a contribuire all’individuazione dei destinatari, hanno parteci- pato alle attività di istruzione ed hanno fornito le proprie strutture per ospitare incontri informativi e riunioni del gruppo di coordinamento locale; h) l’Osservatorio territoriale sulla dispersione scolastica ha partecipato alle atti- vità di sostegno scolastico coordinando il rapporto scuola-promotore e met- tendo a disposizione un proprio operatore; i) gli enti di ricerca e le Università hanno contribuito alla diffusione dei risultati mettendo a disposizione la propria banca dati ed i propri locali per seminari ri- volti agli operatori sociali. C) Il valore aggiunto della transnazionalità – La collaborazione transnazio- nale è stata finalizzata ad analizzare i diversi aspetti (strutturazione organizzativa e metodologie) legati all’introduzione di un sistema modulare negli interventi di for- mazione professionale. L’iniziativa è nata dal bisogno avvertito da uno dei partner, il Ministero dell’Educazione del Belgio fiammingo, di riformare in tal senso il pro- prio sistema di formazione professionale. I lavori sono stati condotti attraverso due sottogruppi su: a) “I cambiamenti organizzativi derivanti dall’introduzione di un sistema modu- lare e il ruolo del docente, il ruolo del discente e il mondo esterno” (Ministere van de Vlaamse Gemeenschap. Departement Onderwijs - Belgio; Rotherham 101 College of Arts and Technology - Regno Unito; Horsens Tekniske Skole -Da- nimarca; SOLLT - Paesi Bassi); b) “Aspetti sociali, comunicazionali e tecnici della formazione per giovani svan- taggiati” (Kibble Education and Care Centre - Regno Unito; Zukunftsbau GmbH - Germania; Associazione di volontariato Laboratorio Zen Insieme). Prodotto delle attività transnazionali è stato un manuale sulle nuove metodo- logie di formazione modulare, sul loro impatto sulle organizzazioni e sui sistemi formativi e sull’efficacia nei confronti dei soggetti svantaggiati. La pubblicazione, comprensiva di strumenti operativi ad uso degli operatori, è stata realizzata con il contributo di tutti i partner, ciascuno dei quali si è preso carico dell’elaborazione di singole parti del lavoro finale. I risultati del lavoro transnazionale saranno utilizzati a livello nazionale per avviare un confronto con le autorità regionali sull’introduzione della modularità nella formazione professionale. Inoltre, in termini operativi, la collaborazione transnazionale ha già prodotto effetti sul progetto “Davide contro Golia”, sia sull’impostazione didattica del corso di formazione, sia sulla ricerca-studio sulle metodologie formative. D) Mainstreaming e sostenibilità – Diversi sono i fattori che sembrano poter garantire la stabilità dei benefici e la sostenibilità a favore dei giovani coinvolti. In primo luogo, i profili professionali formati rispondono ad una forte domanda del mercato del lavoro locale nel settore dell’edilizia e, si ritiene, saranno impiegati nei numerosi interventi di recupero dei centri storici programmati sul territorio. A ciò si aggiunga la disponibilità di alcune imprese dell’Associazione Costruttori ad in- serire stabilmente alcuni dei giovani formati e la disponibilità del gruppo giovani della stessa Associazione a tutorare le attività imprenditoriali promosse dai ragazzi al fine di facilitarne l’ingresso nel mercato del lavoro locale. Con riferimento allo Sportello, sono stati presi contatti con il Comune di Pa- lermo, la Provincia ed il Banco di Sicilia al fine di reperire finanziamenti atti a ga- rantire la continuità del servizio. Si sta inoltre cercando di collegare lo sportello al progetto Zen del Comune. Per quanto attiene all’impatto della sperimentazione, l’intervento sembra poter garantire diversi livelli di mainstreaming. In primo luogo, il Comune di Palermo (Assessorato all’urbanistica) ha ema- nato una direttiva che obbliga i propri Uffici a introdurre nei capitolati speciali d’appalto e nelle convenzioni inerenti interventi edilizi nel Centro storico l’utilizzo esclusivo, da parte delle ditte affidatarie, di personale qualificato presso centri di formazione professionale specializzati; questo consente ai giovani del progetto, e comunque a tutti i giovani che escono da percorsi di formazione professionale nel settore, di avere opportunità lavorative di notevole interesse. A livello regionale, invece, sulla scia dei risultati della cooperazione transna- zionale, il promotore intende attivare un tavolo di confronto con la Regione sulle 102 problematiche relative all’introduzione della modularità nella formazione profes- sionale. In secondo luogo, l’Associazione di Volontariato Laboratorio Zen Insieme, la Scuola media “L. Sciascia” e l’Osservatorio sulla dispersione scolastica del quar- tiere S. Filippo Neri hanno sottoscritto un Protocollo di intesa che sancisce un rap- porto di collaborazione per le attività di sostegno scolastico svolte all’interno del progetto e ipotizza la realizzazione di nuove iniziative simili in futuro per affron- tare il problema dell’assolvimento dell’obbligo scolastico da parte di giovani in difficoltà sociale. Infine, il modello sperimentato sarà ripreso dall’Ente Scuola Edile Panor- medil, che ha espresso la volontà di adottare nelle sue future attività formative con giovani svantaggiati una formazione a carattere modulare e azioni stabili di so- stegno psico-sociale; lo stesso ente promotore è intenzionato a proporre un inter- vento di formazione-inserimento lavorativo nel settore della manutenzione del verde all’interno del quartiere Zen. E) Il contributo innovativo del progetto – Il contributo innovativo dell’inter- vento è ascrivibile principalmente: a) alla sperimentazione di un intervento integrato di formazione e inserimento la- vorativo nuovo per il contesto territoriale di riferimento; b) all’attivazione di nuove forme di collaborazione fra diversi attori locali (ser- vizi, scuole, associazioni, ecc.) e allo sviluppo di una progettualità comune in- torno a obiettivi definiti; c) alla creazione di servizi nuovi per il territorio, quali lo sportello di informa- zione ed orientamento ed il Centro di documentazione sul Terzo Settore, ri- volti ad un pubblico più ampio del target Youthstart; d) alla sperimentazione di nuove metodologie formative, con ampio ricorso al- l’alternanza e alla pratica in cantiere, cui si affianca l’attivazione di misure di sostegno psicologico e sociale dei giovani; e) alle figure professionali formate, con il recupero e l’aggiornamento, a partire da un’attenta analisi dei fabbisogni del mercato del lavoro locale, che ha por- tato alla ripresa di mestieri pressoché scomparsi ma che, in considerazione dell’avvio di progetti di recupero dei centri storici, si ritiene potranno essere molto richiesti nell’immediato futuro. 1.2.4.3. Progetto “AIRONE” Del progetto “AIRONE - Accompagnamento, Inserimento, Rimotivazione, Occupazione, NEtwork” presentiamo una tavola riassuntiva di alcuni dati e una descrizione. La scheda che riassume la valutazione del progetto è riportata in ap- pendice (Tav. 13). 103 2) Descrizione del progetto “AIRONE” A) Obiettivi – Il progetto ha inteso favorire l’integrazione socio-lavorativa di 100 giovani svantaggiati sviluppando un metodo di inserimento professionale ba- sato sulla collaborazione dei servizi disponibili a livello locale. A tal fine è stata costituita una équipe di lavoro composta da CILO, AUSL, enti territoriali (pub- blici) e CFP, PMI (enti privati) che organizzerà percorsi di formazione in alter- nanza e di accompagnamento personalizzato per i giovani beneficiari. B) Attività – Il progetto si articolava in fasi che prevedevano: una ricogni- zione sulla popolazione giovanile e un’analisi del fenomeno della dispersione sco- lastica, seguita dall’individuazione di possibili spazi occupazionali, con partico- lare attenzione ai settori dell’artigianato e del commercio; l’attivazione di percorsi formativi mirati in alternanza, corredati da percorsi di accompagnamento persona- lizzato (corsi modulari, bilancio delle competenze…); inserimenti lavorativi pro- tetti o sperimentali in stage o mediante borse lavoro. Sia nella fase formativa, sia in quella di inserimento lavorativo i beneficiari erano seguiti da tutor apposita- mente formati nell’ambito del progetto. Al termine dell’esperienza di inserimento lavorativo è stata realizzata un’azione di ricerca con finalità occupazionali per i 100 giovani e, contestualmente, si è creata una banca dati territoriale per stage, ti- rocini, placement al fine di promuovere azioni di sostegno alle famiglie e ai gio- vani. C) Prodotti – Banca dati relativa a offerte di lavoro delle aziende. 1) Dati sul progetto “AIRONE” DATI SUL PROGETTO Codice progetto 0125/E2/Y/R (YOUTHSTART) Tipologia Regionale (Piemonte) Promotore Comune di Pinerolo - Ente pubblico - Amministrazione od Ente pubblico locale, P.zza V. Veneto 1, 10064 Pinerolo (TO), tel.0121/36111, fax. 0121/374285 Referente: Antonio Bruno Attuatore CONSORZIO PER LA FORMAZIONE, L’INNOVAZIONE E LA QUALITÀ, Ente privato-Consorzio di imprese, via P. Regis, 34, 10064 Pinerolo (TO), tel. 0121/76675, fax. 0121/374289, Referenti: Corrado Formento, Anna Lagiard Gruppi bersaglio - 60 giovani a bassa scolarità - 5 giovani appartenenti a nuclei monoparentali - 2 giovani ex-detenuti - 2 giovani ex-tossicodipendenti - 10 giovani immigrati - 5 giovani nomadi - 15 minori a rischio Asse A Budget complessivo L. 1.404.990.000 Durata 30 mesi 104 D) Attività transnazionale – Le attività transnazionali miravano allo sviluppo di una metodologia di analisi e di ricerca comune, finalizzata all’inserimento socio-occupazionale di giovani appartenenti alle fasce deboli della popolazione. Oltre a scambiare informazioni e materiali sui target, è stata effettuata un’attività di ricerca congiunta per elaborare tale metodologia, nonché la formazione con- giunta del personale. Partner comunitari: Paesi Bassi e Regno Unito. 1.3. Breve sintesi conclusiva sui progetti comunitari I progetti analizzati mostrano una diversa presenza degli indicatori del nostro strumento, individuati per fase in base al target group cui si rivolgono. I progetti con target “giovani a rischio” mostrano un’attenzione a tutti gli indi- catori individuati per fase, eccezion fatta per le attività di socializzazione e intratte- nimento previste nella prima fase (“coinvolgimento”), la cui presenza si rileva solo in due progetti su quattro. Per quanto riguarda i progetti a target “giovani tossicodipendenti ed ex-tossi- codipendenti”, nella fase di coinvolgimento solo un progetto su tre presenta tutti gli indicatori previsti; una maggior presenza degli indicatori si riscontra poi nelle azioni di motivazione e nella definizione chiara di uno sbocco professionale. Per quanto riguarda la fase di responsabilizzazione, gli indicatori sono mediamente presenti; nella fase di formazione si dà particolare attenzione allo sviluppo di com- petenze trasferibili in vari settori del mondo del lavoro; gli altri indicatori sono pressoché assenti; infine nella fase di inserimento e accompagnamento si fa più at- tenzione all’assistenza sul luogo di lavoro e al monitoraggio della persona, mentre gli altri indicatori sono poco rappresentati. I progetti con target misto, tra cui gli “immigrati”, presentano nella fase di co- involgimento una maggiore attenzione alla creazione di reti formali e informali e all’attivazione di figure di accompagnamento per il target group; anche qui si presta poca attenzione alle attività di socializzazione e intrattenimento; gli indica- tori della fase di responsabilizzazione sono tutti presenti e quelli delle ultime due fasi si possono ritenere mediamente presenti. 2. I PROGETTI REALIZZATI DAL CNOS-FAP Nell’ambito degli interventi formativi rivolti alle cosiddette “fasce deboli”, at- tivati all’interno della Federazione CNOS-FAP, analizziamo un progetto realizzato dal CFP di Torino Valdocco destinato ad adolescenti “a rischio”: “Costruttore ser- ramenti in alluminio” 3. 3 All’interno del CNOS-FAP i progetti a favore dei giovani a rischio di esclusione sono nume- rosi, tuttavia è possibile ricondurli ad un unico modello a cui in genere ci si è rifatti nell’organizzare queste tipologie d’intervento. 105 La descrizione si articola in tre punti: una presentazione sintetica della scheda elaborata per l’analisi dei progetti raccolti, una descrizione del progetto preso in esa- me (facendo già un primo parallelo con le voci previste dalla scheda); una valutazione del progetto alla luce dei parametri scelti per l’analisi (scheda di riferimento). 2.1. La griglia di lettura La griglia in base alla quale viene letto il progetto prevede 4 macroaree: coin- volgimento, responsabilizzazione, formazione, inserimento e accompagnamento. Ciascuna di queste macroaree è a sua volta articolata in una serie di descrittori, come indicato di seguito. 1) Coinvolgimento: a) attività sociali e di intrattenimento; b) definizione chiara di un settore lavorativo e di uno sbocco professionale; c) creazione di una rete tra settori formali/ufficiali e settori informali; d) attivazione del tutor quale figura di coinvolgimento. 2) Responsabilizzazione: a) sviluppo di meccanismi di consiglio e sostegno; b) presenza di un piano di azione formale, elaborato con la partecipazione dei destinatari; c) azioni che offrano strumenti per rendere i giovani consapevoli delle loro competenze e capacità. 3) Formazione: a) sviluppo di attività di formazione professionale e non professionale in un approccio globale; b) sviluppo di competenze trasferibili in diversi settori del mondo del lavoro; c) insegnamento individualizzato, previo bilancio preliminare di competenze; d) utilizzo di metodi di insegnamento adattati al gruppo bersaglio e ai risultati del bilancio di competenze; e) attività scelte anche sulla base del loro “interesse” sociale che cioè coinvol- gano il tessuto sociale. 4) Inserimento e accompagnamento: a) assistenza regolare sul luogo di lavoro, attraverso rapporti formali e infor- mali; b) attenzione agli aspetti sociali e professionali nell’espletamento dei compiti professionali; c) flessibilità nelle attività che la persona deve svolgere, per permettere di sperimentare le proprie competenze professionali e di stabilire relazioni con gli imprenditori; d) monitoraggio continuo della persona, attraverso diversi strumenti formali (questionari, ecc.) o informali (accompagnamento, tempo libero, ecc.). 106 2.2. Esame del progetto Il progetto “Costruttore serramenti in alluminio”, preso a campione per la let- tura attraverso la griglia proposta, è destinato a giovani “a rischio” e ha una durata di 800 ore, suddivise in 400 ore al Centro (parte in aula e parte in laboratori attrez- zati di meccanica e informatica) e altrettante di stage in azienda. 2.2.1. Confronto sulla macroarea “Coinvolgimento” Rispetto alla macroarea “Coinvolgimento”, nel progetto in esame si trovano attività che rientrano in una prima fase definita di “accoglienza” degli allievi. Tale fase mira a una reciproca conoscenza tra ragazzo e CFP; in particolare a: a) presentare il corso in riferimento a contenuti, obiettivi, aspetti organizzativi (in- cluso il regolamento di Centro) e persone coinvolte (genitori, formatori, tutor); b) informare sul CFP, sui formatori e i tutor che seguiranno gli allievi; c) fornire indicazioni per una proficua partecipazione al percorso formativo; d) raccogliere ed elaborare informazioni sugli allievi, con particolare riferimento a esperienze precedenti (anche di carattere scolastico-formativo), eventuali problemi e attese; e) definire il “progetto” e il “patto” formativo (mettendo in relazione attese per- sonali e obiettivi del corso); f) informare sulle norme di comportamento da osservare al Centro, specie nei la- boratori, per evitare infortuni; g) attivare una riflessione su aspettative, interessi e motivazioni che guidano nella scelta di un mestiere. 2.2.2. Confronto sulla macroarea “Responsabilizzazione” Rispetto alla macroarea “Responsabilizzazione”, nel progetto in esame si tro- vano attività che rientrano in una fase definita di “orientamento”. Obiettivo della fase è accompagnare l’allievo nell’attuazione del progetto for- mativo e/o professionale. A tal fine, agli allievi vengono insegnate tecniche di auto-candidatura e di gestione di una prova di selezione. Riguardo alle prime (tecniche di auto-candidatura), si affrontano tematiche quali: elementi di imprenditorialità, mercato del lavoro, informazione occupazio- nale, tecniche di ricerca attiva del lavoro (reperimento informazioni, costruzione di un archivio di contatti, lettura di bandi di gara, stesura di una lettera di auto-candi- datura, elaborazione di un curriculum vitae, ecc.), strutture territoriali utili per la ricerca del lavoro. Riguardo alle prove di selezione, si affrontano tematiche relative alla gestione del colloquio, quali: stili comunicativi, strategie comunicative per la presentazione di sé, codici e canali di comunicazione, comunicazione verbale e non verbale, ge- stione delle relazioni, diagnosi dei contesti comunicativi, comunicazioni di feed- back, comunicazioni orali, scritte e telefoniche. 107 Le attività di questa fase sono realizzate ricorrendo a diverse metodologie: la- vori di gruppo, dibattiti assembleari, brainstorming, role-playing, giochi psico-pe- dagogici, visite guidate, ascolto di testimonianze, ecc. 2.2.3. Confronto sulla macroarea “Formazione” Rispetto alla macroarea “Formazione”, il progetto in esame articola il percorso at- torno a tre ambiti: competenze di base, competenze trasversali, competenze comuni. Le competenze di base sono articolate in saperi generici (es. elementi di di- ritto, elementi di organizzazione aziendale, potenziamento del linguaggio, nozioni su industria, tempo libero, mass media, ecologia, arte) e in saperi professionali (progettazione di serramenti, costruzione di serramenti). Questi ultimi prevedono lezioni in aula ed esercitazioni in laboratorio. Le competenze trasversali affrontano tematiche quali: pari opportunità, ele- menti di informatica, diagnosi dei contesti di lavoro, agire in autonomia. Le competenze comuni fanno riferimento a nozioni relative ai temi della sicu- rezza e della qualità. Per la realizzazione di questa parte del percorso si ricorre a strumenti, strategie e metodologie diversificate: lavori di gruppo, dibattiti, visione di documenti audio- visivi, ricerche in Internet, ascolto di testimonianze, compilazione di schede semi- strutturate e questionari a scelta multipla, lezioni frontali, esercizi di problem sol- ving, esercitazioni in laboratorio, lavori su casi di studio. 2.2.4. Confronto sulla macroarea “Inserimento e accompagnamento” Rispetto alla macroarea “Insegnamento e accompagnamento”, il progetto in esame prevede un’esperienza di stage che è scandita da un momento di prepara- zione, uno di monitoraggio e uno di verifica. Il momento di preparazione si articola in 4 fasi. a) orientamento allo stage: il tutor di stage informa su cos’è lo stage, sul signifi- cato dello stage all’interno del percorso formativo, aiuta l’allievo ad autovalu- tare le proprie caratteristiche per definire il progetto di stage; b) definizione del profilo professionale: definizione del percorso formativo, rac- colta di eventuali esperienze pregresse, descrizione delle competenze posse- dute; c) elaborazione del profilo di stage: coinvolgimento dell’azienda ospitante nella descrizione di sé e nella definizione dell’impegno di stage (finalità, organizza- zione, impegno richiesto, aspettative…); d) abbinamento e piano di stage: accoppiamento tra allievo e azienda attraverso un monitoraggio delle attese, azioni di rinforzo, ridefinizione del progetto di stage, individuazione di eventuali criticità. Lo stage si articola in: attività di osservazione non direttamente operative; at- tività di affiancamento a un lavoratore esperto, direttamente sul posto operativo; attività operativa in limitata autonomia, monitorata da supervisori aziendali e pe- 108 riodicamente da tutor di Centro. Periodicamente, in aula, allievi e docenti discu- tono sull’andamento dell’esperienza di stage in corso. Per monitorare e valutare l’esperienza sono predisposti diversi strumenti desti- nati ad allievi, docenti, impresa: scheda progetto stage; scheda definizione profilo professionale allievo; scheda rilevazione fabbisogni aziende; scheda profilo stage; diario attività di stage; scheda rapporto visita stage; scheda rientri stage; strumenti di valutazione di tutor; schede auto-valutazione allievi; scheda valutazione im- presa; scheda regionale di attribuzione del credito valutativo. 2.3. Valutazione del progetto Qui di seguito elaboriamo una valutazione schematica e una descrittiva del progetto alla luce della griglia presentata al punto 2.1. In base a quanto riportato sopra, il progetto esaminato risponde alla quasi tota- lità delle voci previste dalla scheda di riferimento. Si parte da una attenzione all’in- serimento del ragazzo al Centro, con la presentazione delle figure coinvolte e degli ambienti in cui si troverà inserito; si analizzano le sue attese e motivazioni e si confrontano con la realtà dell’offerta del Centro (“coinvolgimento”); si passa alla definizione di quanto dovrà verificarsi nel percorso formativo e si potenziano al- cune abilità di base (“responsabilizzazione”); si arriva alla fase di formazione vera e propria con l’apprendimento di abilità di base, trasversali e professionali (“for- mazione”); si conclude con un’esperienza lavorativa sul campo (“inserimento e ac- compagnamento”). Tav. 1 - Valutazione schematica del progetto GRIGLIA Coinvolgimento Attività sociali e di intrattenimento Definizione chiara di un settore lavorativo e di uno sbocco professionale Creazione di una rete tra settori formali/ufficiali e settori informali Attivazione della figura del tutor / figura di coinvolgimento Responsabilizzazione Sviluppo di meccanismi di consiglio e sostegno Presenza di un piano di azione formale, elaborato con la partecipazione dei destinatari Azioni che offrano strumenti per rendere i giovani consapevoli delle loro competenze e capacità PROGETTO Coinvolgimento famiglie; presentazione formatori e tutor Indicazioni sul corso; riflessioni su attese e motivazioni riguardo alla scelta di un mestiere; definizione di un progetto formativo Conoscenza tutor Insegnamento di tecniche di auto-candidatura e per la gestione delle prove di selezione Definizione di un “progetto” e di un “patto” formativo che confrontano attese personali e obiettivi di corso Riflessioni su aspettative, interessi e motivazioni che guidano nella scelta di un mestiere; attività di auto- valutazione; azioni di rinforzo; monitoraggio costante dei risultati ottenuti nelle diverse attività Segue 109 Formazione Sviluppo di attività di formazione professionale e non professionale in un approccio globale Sviluppo di competenze trasferibili in diversi settori del mondo del lavoro Insegnamento individualizzato, previo bilancio preliminare di competenze Utilizzo di metodi di insegnamento adattati al gruppo bersaglio e ai risultati del bilancio di competenze Attività scelte anche sulla base del loro “interesse” sociale, che coinvolgano il tessuto sociale Inserimento e accompagnamento Assistenza regolare sul luogo di lavoro, attraverso rapporti formali e informali Attenzione agli aspetti sociali e professionali nell’espletamento dei compiti professionali Flessibilità nelle attività che la persona deve espletare, per permettere di sperimentare le proprie competenze professionali e di stabilire relazioni con gli imprenditori Monitoraggio continuo della persona attraverso diversi strumenti formali o informali Competenze di base: saperi generici e competenze professionali Vengono impartiti insegnamenti di informatica, sono potenziate abilità per sviluppare un comportamento autonomo e capacità di diagnosticare il contesto di lavoro, si forniscono nozioni di diritto, organizzazione aziendale, conoscenze su diversi settori del contesto civile (arte, ecologia, ecc.), si affrontano tematiche relative alla qualità e alla sicurezza negli ambienti di lavoro Utilizzo di numerose metodologie: lavori di gruppo, dibattiti, visione di documenti audio-visivi, ricerche in Internet, ascolto di testimonianze, compilazione di schede semi-strutturate e questionari a scelta multipla, lezioni frontali, esercizi di problem solving, esercitazioni in laboratorio, lavori su casi di studio Si affrontano tematiche quali: pari opportunità, industria, tempo libero, mass media, ecologia, arte, mercato del lavoro, elementi di imprenditorialità, lettura di bandi di gara, ecc. Il supervisore aziendale segue costantemente l’allievo durante la sua esperienza; una fase dello stage prevede l’affiancamento a un lavoratore esperto; periodicamente, l’allievo viene seguito dal tutor di stage Nella fase di definizione dello stage si rilevano e descrivono il percorso formativo dell’allievo, le sue esperienze pregresse, le competenze possedute. Periodicamente, gli allievi incontrano in aula i docenti di corso per verificare l’andamento dell’esperienza in azienda Lo stage prevede una fase in cui l’allievo lavora in limitata autonomia Il supervisore aziendale segue costantemente l’allievo durante la sua esperienza; periodicamente, il tutor incontra gli allievi in stage; periodicamente, gli allievi si trovano in aula con i docenti per verificare l’andamento dell’esperienza in azienda. All’allievo è richiesta la compilazione di un “Diario di stage” e di una scheda di auto-valutazione Segue 110 3. ALTRI PROGETTI CHE HANNO FATTO DA MODELLO NELLA PROMOZIONE E REALIZ- ZAZIONE DI ATTIVITÀ FORMATIVE A FAVORE DI GIOVANI A RISCHIO DI ESCLUSIONE Presentiamo il progetto “Paideia” e il progetto “IN sieme”. 3.1. Il progetto “Paideia” Presentiamo una descrizione del progetto, la metodologia utilizzata, le fasi del progetto, i risultati conseguiti e le buone prassi attivate. 3.1.1. Descrizione Il progetto “Paideia” nasce nel 1997, progettato secondo gli schemi dell’“Ini- ziativa Occupazione Youthstart”, per dare risposta a ricorrenti difficoltà incontrate da parte della Cooperativa “Galdus” nell’espletare attività formative e di orienta- mento rivolte ad adolescenti e giovani a bassa scolarità e/o con un’esperienza sco- lastica vissuta negativamente (causa ripetenze e abbandoni) e al tempo stesso inca- paci di fare scelte formativo-professionali compatibili con le loro potenzialità e/o di trovare un motivo ad apprendere per il quale valesse la pena di investire nel fu- turo. I vincoli progettuali sottesi alla realizzazione del progetto riguardavano: a) l’attivazione e/o potenziamento della rete (Provveditorato, scuole/Istituti, centri di aggregazione giovanile, associazioni/ONLUS, oratori parrocchiali, servizi sociali, cooperative, fondazioni…); b) la sperimentazione di un modello di rimotivazione e orientamento; c) il reinserimento scolastico e/o inserimento lavorativo; d) i contatti con istituti scolastici, centri professionali, piccole e medie imprese, esercizi artigianali per l’inserimento occupazionale. I fattori soggettivi riscontrati nel comportamento di disimpegno/demotiva- zione vanno attribuiti ai seguenti fattori: – bassa autostima; – scarso senso di autoefficacia; – sottovalutazione delle personali capacità/abilità; – mancanza di prefigurazioni positive verso il futuro; – tendenza a considerare la propria condizione come il prodotto di eventi non controllabili; – mancanza di relazione con figure adulte significative. 3.1.2. Metodologia utilizzata Per la realizzazione del modello sono state adottate le seguenti linee-guida: a) flessibilità nella durata del percorso formativo; b) distribuzione del percorso in più tappe, brevi e con possibilità di replica; c) sequenza delle azioni non rigidamente determinata; 111 d) alternanza aula, stage in azienda, sostegno scolastico; e) tutoring individuale, affiancamento, accompagnamento, sostegno individua- lizzato. Durante il percorso operativo sono state intraprese le seguenti azioni: – colloqui di counseling; – orientamento e bilancio di competenze individualizzato; – elaborazione di un progetto personalizzato; – preformazione di gruppo in aula; – stage in azienda e/o supporto scolastico per il reinserimento; – accompagnamento del tutor; – verifica del tutor; – definizione o elaborazione di un nuovo progetto personale/professionale; – inserimento lavorativo o reinserimento scolastico. 3.1.3. Distribuzione del progetto per fasi Il progetto è stato realizzato attraverso tre distinte fasi. La prima fase si è concentrata nell’osservare quali fattori potevano dirsi mag- giormente correlati al successo o all’insuccesso scolastico dei ragazzi dei primi anni delle superiori (sono stati coinvolti 700 alunni delle scuole superiori di Mi- lano ed hinterland, i loro genitori ed i loro insegnanti). La seconda ha preso in considerazione 127 partecipanti a percorsi di orienta- mento e di inserimento lavorativo e/o formativo: giovani che avevano abbandonato precocemente la scuola, per lo più dopo episodi di insuccesso, o che manifesta- vano nei confronti del ciclo di studi in cui erano inseriti malesseri e difficoltà non riconducibili a deficit cognitivi; tramite indicazioni date dai ragazzi, dagli opera- tori della formazione che li hanno seguiti e dai datori di lavoro che li hanno accolti in stage, si è inteso indagare le caratteristiche in comune tra queste due categorie di ragazzi, e se il lavoro formativo ed educativo svolto avesse inciso in maniera positiva su queste caratteristiche e, più in generale, sulla motivazione e la capacità ad apprendere. La terza fase ha messo a confronto i risultati emersi dalle prime due, per evi- denziare somiglianze e differenze tra i due gruppi in osservazione, al fine di verifi- care l’ipotesi di partenza e di trarre indicazioni sulla possibilità di trasferire l’espe- rienza anche ad altri ambienti e ad altre tipologie di soggetti in difficoltà. 3.1.4. Risultati conseguiti Dall’analisi d’insieme è emerso chiaramente che il successo formativo e la motivazione ad apprendere sono strettamente correlati a fattori psicologici sog- gettivi. In particolare, l’insuccesso e l’abbandono scolastico non sono da colle- gare esclusivamente alle condizioni sociali ed economiche della famiglia, ma piuttosto: 112 a) al basso senso di autostima e di autoefficacia, che impedisce di valutare le proprie capacità/potenzialità e, di rimando, a non crearsi aspettative e quindi a non effettuare scelte e a non formulare progetti di vita; b) alla tendenza ad interpretare gli eventi come se fossero al di fuori del proprio controllo, da cui il senso di inadeguatezza nel progettare/effettuare scelte; c) alle difficoltà relazionali e di interazione con il mondo degli adulti; d) a un’immagine alterata di sé e dell’ambiente circostante. Al termine del percorso si è registrato un netto miglioramento delle capacità dei giovani ad interagire con l’ambiente: – il loro livello di aggressività si è notevolmente ridotto (74%); – è cresciuta la capacità di comunicare con coetanei ed adulti (68%); – è aumentata la tendenza a riconoscere il proprio apporto in ciò che accade o po- trà accadere (locus of control – 53%) e la volontà di proiettarsi nel futuro (65%); – anche la bassa autostima e l’atteggiamento depresso hanno dato segni di mi- glioramento (63 e 51%, rispettivamente). 3.1.5. Buone prassi Per ottenere questo successo, le “buone prassi” che si sono dimostrate vincenti hanno riguardato: a) i contenuti della fase di rimotivazione/riorientamento: - analisi delle caratteristiche del soggetto portatore di difficoltà (attitudini, capacità, motivazioni, aspettative, meccanismi di difesa, interessi, desideri, sentimenti, legami, valori…); - contestualizzazione delle esperienze fatte (dati di vissuto, opportunità, in- formazioni/testimonianze, vincoli…); - bilancio delle competenze (di base, tecnico-professionali, trasversali…); - atteggiamento verso il futuro (prefigurazioni, pregiudizi, desideri, possibi- lità, ipotesi di sperimentazione di esperienze di successo…); b) il coordinamento dell’équipe degli operatori: - la condivisione dell’approccio teorico-metodologico; - le modalità di applicazione di un modello coerente con tale approccio; - la vocazione a “educare”; - la gestione di un progetto di crescita personalizzato; - l’attenzione a lavorare “insieme” e/o “in rete”; c) la metodologia utilizzata: - l’attento lavoro di ascolto, osservazione e costruzione di ipotesi finalizzato alla comprensione dei reali fattori demotivanti; - le modalità di trasmissione dei contenuti formativi; d) le risorse umane coinvolte In particolare la carta vincente va attribuita alla presenza di formatori/educa- tori dotati di spiccate competenze di natura pedagogico-didattica, in grado di: 113 - progettare, gestire e verificare azioni di orientamento, accompagnamento e formazione, individuali e in piccoli gruppi; - effettuare un’attenta attività di osservazione e ascolto del singolo e del gruppo classe, finalizzata a formulare ipotesi individuali di intervento da parte dello staff, volte a favorire l’apprendimento, la rimotivazione e la cre- scita degli allievi; - aiutare i singoli a trovare un motivo per cui vale la pena impiegare energie e risorse nella costruzione di un progetto personale e professionale; - lavorare in rete con tutte le risorse disponibili. 3.2. Il progetto “IN SIEME - Azione per l’imprenditorialità sociale” Presentiamo una descrizione del progetto, gli obiettivi e le modalità di realiz- zazione. 3.2.1. Descrizione Il Progetto è stato: – approvato e finanziato nell’ambito del bando “Inserimento lavorativo e reinse- rimento di gruppi svantaggiati. Programma Operativo FSE – Obiettivo 3”; – a sua volta organizzato dal “Consorzio Noi Con”, organismo intermediario per la gestione della sovvenzione Misura B1 (che include soggetti considerati a ri- schio di esclusione sociale); – e realizzato dal CNOS-FAP di Forlì in sinergia con AECA (Associazione Emi- liano Romagnola dei Centri Autonomi). 3.2.2. Obiettivi Il progetto aveva la finalità di contrastare il disagio sociale e mirare alla pro- mozione delle persone disabili e a rischio di esclusione sociale fornendo non solo beni o risorse, ma anche risorse e “capacità” tecniche e sociali, tali da favorire la partecipazione alla vita attiva e sociale. 3.2.3. Modalità di realizzazione L’iniziativa formativa era impostata su due azioni principali: la formazione degli operatori e dei beneficiari per la creazione di impresa cooperativa. a) La formazione degli operatori ha riguardato due figure professionali: un co- ordinatore, perché fosse in grado di seguire lo svolgimento del progetto; e un tutor aziendale, in grado di accompagnare la cooperativa che avrebbe dovuto nascere. La formazione ha riguardato moduli didattici relativi all’acquisizione di compe- tenze per: - la gestione/coordinamento del progetto e del modello adottato; - lo svolgimento di attività di accoglienza, orientamento e accompagnamento; - l’uso di strumenti per la gestione degli interventi. 114 b) La formazione dei beneficiari per la creazione dell’impresa cooperativa: 3 giovani a rischio di esclusione sociale (1 ex-tossicodipendente, 1 malato psichia- trico, 1 ex-deternuto). Tale attività mirava a favorire la creazione, il mantenimento ed il rafforzamento di una piccola cooperativa rivolta ai servizi alle persone nel- l’ambito del settore alberghiero e della ristorazione, e si è svolta in due fasi: nella prima sono state investire 80 ore per svolgere azioni di diagnosi, orientamento e formazione all’imprenditorialità; mentre le 200 ore previste nella seconda veni- vano dedicate tutte alla creazione e organizzazione dell’impresa cooperativa. A seguito di queste attività sono state realizzate altre azioni, quali: - il monitoraggio del progetto, con valutazioni ex-ante, in itinere ed ex-post, al fine di garantire criteri di efficienza e un prodotto di qualità; - l’atto costitutivo (nel giugno 2003) della cooperativa sociale a r.l. Onlus, de- nominata “La Dispensa di Saturano”, formata da 7 componenti, di cui 3 disabili; - la promozione di un convegno di socializzazione (nel novembre 2003) dal ti- tolo: “Formazione all’utopia della normalità”. 115 Capitolo 3 I “Laboratori progettuali” su categorie di giovani svantaggiati. Metodologia ed interventi sul campo Alessandra FELICE - Vittorio PIERONI1 1. IL METODO DELLA “PROGETTAZIONE PARTECIPATA” E/O DELLA “PROGRAMMA- ZIONE CONCERTATA” 2 Solitamente nel sociale un progetto nasce perché si constata che esistono dei bisogni a cui non vengono date (sufficienti) risposte, oppure perché vi sono emer- genze e/o problemi irrisolti, o perché si desidera migliorare l’ambiente educativo e/o la qualità della vita dei destinatari. Si potrebbe affermare quindi che un pro- gramma d’intervento viene avviato per dare risposta a delle difficoltà, per promuo- vere maggiore benessere o per ridurre la possibilità che avvengano cambiamenti indesiderati. Per realizzare questi progetti di azione si sono affermate sempre nuove stra- tegie, tra cui anche il metodo della “progettazione partecipata” e/o della “program- mazione concertata”, una metodologia strutturata di programmazione volta alla ge- stione efficace di un progetto attraverso processi di partecipazione/concertazione tra i diversi attori, avvalendosi di tecniche di visualizzazione e di animazione di gruppo. 1.1. Il quadro concettuale di riferimento Definito anche come approccio “concertativo”, questo metodo è flessibile e può essere usato in qualsiasi ambiente o modello organizzativo in cui ha luogo un processo di analisi e/o di decision making, e ben si inquadra in un approccio inte- grato alla programmazione e gestione di tale modello. L’elemento fondamentale che caratterizza questo approccio è la elaborazione di programmi/progetti con il contributo e quindi la condivisione degli attori- chiave, nei cui confronti essi si identificano e al tempo stesso sono in grado di ri- 1 Alla stesura di questo capitolo hanno collaborato: V. Pieroni, con il paragrafo 1, e A. Felice, con- ducendo prima i “Laboratori progettuali” e riportandone successivamente i risultati nel paragrafo 2. 2 Questa metodologia è tratta dalle opere di F. BUSSI., GOPP (Goal Oriented Project Planning): una metodologia strutturata di programmazione concertata, in “Osservatorio ISFOL”, XIX (1997), n. 5, pp. 11-29; e, sempre di F. BUSSI, Progettare in partenariato. Guida alla conduzione di gruppi di lavoro con il metodo GOPP, Milano, Angeli, 2001. 116 spondere a problemi reali dei beneficiari. L’apporto di diversi attori-chiave nell’a- nalisi e nella progettazione garantisce infatti una visione integrata e condivisa della situazione in cui si va ad operare. Il metodo privilegia infatti due dimensioni: far emergere “più punti di vista” in merito a ciò che è oggetto di progettazione e/o di definizione di un problema e dare spazio a processi di “concertazione” e/o di negoziazione tra i diversi attori impli- cati a livello decisionale nell’azione organizzativa, a seconda del ruolo e/o della posizione occupata. Si parte quindi dall’ipotesi secondo cui il cambiamento di una data realtà va negoziato/concertato tra i diversi attori, attribuendo al confronto una rilevanza strategica lungo il percorso progettuale. Alla base di questo approccio c’è la convinzione che: – i “problemi” sociali non sono caratterizzati da una causalità lineare; di conse- guenza, di fronte a un “problema” esistono più ipotesi interpretative e più let- ture dei “bisogni”; – il ruolo degli operatori di un servizio non è semplicemente quello di “esecu- tori” di un programma calato dall’alto ma piuttosto di “attori” di un “processo programmatico” nei cui confronti essi stessi si costituiscono in qualità di “in- ventori/realizzatori/valutatori”, su base concertativa; l’analisi condotta da un gruppo produce infatti una visione più completa, ricca e condivisa della realtà in osservazione e al tempo stesso fa sì che gli stessi partecipanti sentano il progetto come proprio, aumentando conseguentemente il livello di impegno prima nell’analisi e quindi nella progettazione ed infine nella realizzazione del progetto; – come tale, le loro potenzialità non vanno indirizzate semplicemente nel distri- buire ricette e soluzioni ma nell’attivare risorse promuovendo (empowerment) dal basso a livello di gruppo/comunità, attraverso processi di auto/mutuo-aiuto che permettano loro di auto-organizzarsi, di attivare risorse e di impegnarsi in azioni e in progetti delle/dei quali si sentano in prima persona responsabili circa l’utilità e il significato attribuito loro; l’assunzione trasparente di im- pegni operativi chiari e da tutti condivisi diminuisce infatti il rischio di sfalda- menti/spaccature durante la conduzione del progetto e al tempo stesso per- mette di rimanere fedeli alla realizzazione dello stesso nella suddivisione per compiti/ruoli e per tempi/fasi; – infine la peculiarità di questa metodologia sta nel fatto che colui che fa da mo- deratore deve essere un esterno, affinché possa rimanere neutrale agli interessi in gioco e gestire i workshop in forma concertata. Tutto questo potrà avvenire grazie all’abilità stessa del moderatore anzitutto nel saper programmare i workshop e successivamente, durante la conduzione degli stessi, aiutando il gruppo a tematizzare e ad analizzare i problemi attraverso visua- lizzazioni del lavoro cooperativo tramite cartoncini, pannelli/tabelloni o altri sup- porti, e quindi a prospettare soluzioni contestualmente a ciascuno di essi. 117 Ne consegue che l’interazione tra i diversi attori impegnati in un progetto ca- ratterizza tutte le tappe del processo, da quella di attivazione, in cui si costruiscono ipotesi condivise di spiegazione e di interpretazione dei fenomeni, a quella vera e propria della progettazione, in cui si individuano assieme gli obiettivi dell’inter- vento, a quella della valutazione, in cui si verificano i risultati secondo i vari punti di vista dei soggetti-attori. Scambiare e confrontare le reciproche percezioni di un problema, confrontare i dati in possesso, sulla cui base gli operatori esprimono dei giudizi, e definire con chiarezza i ruoli e le funzioni dei diversi soggetti coinvolti nel progetto, sono pas- saggi indispensabili che si collocano a monte dello stesso. Tutto questo significa “co-progettare”, ossia attivare confronti e negoziazioni, superare situazioni di stallo, gestire conflitti e dinamiche di potere tra il personale di un servizio e/o di vari servizi, delineare funzioni e modalità di coordinamento in rete. 1.2. I principi su cui si fonda il metodo 1) Seppure in presenza di inevitabili differenze culturali e di ruolo tra i parte- cipanti, tutti devono avere pari opportunità/garanzie di partecipare/intervenire usando cartoncini, pennarelli, pannelli che permettono di visualizzare un percorso logico che il gruppo stesso costruisce man mano procede nel processo di diagnosi- prognosi. 2) L’altro principio va individuato nel fatto di spostare il baricentro dai “deci- sori”, nel tentativo di introdurre un sistema di progettazione in equilibrio tra co- loro che hanno in mano il potere decisionale, coloro che invece hanno le compe- tenze giuste per decidere ed infine coloro che sono gli attori-chiave per eseguire un progetto (operatori). 3) All’interno di questa dinamica il facilitatore/moderatore è l’opposto del consulente: mentre quest’ultimo si prefigura come “proprietario-ideatore” dell’a- nalisi-soluzione di un problema, il punto di partenza e/o il principio-base su cui si fonda la figura del facilitatore è che “depositari” della conoscenza di una situa- zione-problema sono gli stessi attori-chiave, ai quali spetta di competenza indicare “come” le cose possono realmente essere cambiate/migliorate. 4) L’obiettivo finale è quello di arrivare a definire uno schema progettuale strutturato in forma di matrice (noto come “Quadro logico”) dove sono riportati tutti gli elementi fondamentali dell’intervento: obiettivi generali e specifici, attività e risultati, gli indicatori e le condizioni che concorrono a raggiungere gli obiettivi. 5) Un problema è una situazione che allo stato dell’arte si presenta in veste ne- gativa. Un obiettivo invece è la condizione affinché in futuro un problema possa trasformarsi in una situazione positiva. È quindi importante partire dall’analisi della realtà-problema, piuttosto che dall’elenco dei “bisogni”. L’”albero dei pro- 118 blemi” diventa quindi la raffigurazione sintetica della realtà oggetto di analisi, con tutti i suoi aspetti negativi. Per questo occorre che tale raffigurazione si basi su fatti concretamente vissuti dai partecipanti, oggettivi/dimostrabili ed espressi in termini negativi. 6) Dal canto suo l’analisi degli obiettivi consiste nel trasformare in positivo l’immagine della realtà attualmente negativa, ottenuta con l’albero dei problemi. In pratica quindi si tratta di far evolvere ogni condizione attuale negativa (problema) in una condizione positiva futura (obiettivo), trasformando a sua volta l’albero dei problemi nell’albero degli obiettivi, così da arrivare a descrivere una raffigura- zione positiva della realtà in analisi, qualora tutti i problemi fossero risolti. 7) Ciò che fa la differenza tra i laboratori progettuali e le altre metodologie fi- nalizzate ad un cambiamento dello status quo (ad esempio, i focus group, le dina- miche di gruppo…) è l’intenzionalità a progettare: dietro ogni laboratorio proget- tuale ci sta sempre un progetto da identificare, definire, valutare. 1.3. Le articolazioni metodologiche In questo metodo vengono posti in ordine di priorità obiettivi e valori che do- vranno orientare la scelta della soluzione e degli interventi, e vengono individuate, attraverso un’analisi comparativa, le strategie giuste per conseguire gli obiettivi. Successivamente si esaminano le ipotetiche conseguenze dell’applicazione di cia- scuna strategia e quindi se ne sceglie una che, con maggiori probabilità, permetterà di raggiungere gli obiettivi. I presupposti su cui si basa questo processo vanno ricondotti al fatto che un “problema” si risolve attraverso la completezza dell’informazione posseduta dai partner partecipativi e dalle conseguenti analisi del fenomeno in osservazione; e inoltre occorre fare riferimento a valori condivisi e alla capacità di elaborazione cognitiva delle analisi effettuate. Si presuppone di conseguenza la presenza di “ri- sorse” per la messa in atto di strategie mirate alla soluzione del “problema” nel suo insieme e delle parti di esso. Gli stessi criteri di verifica vengono definiti in corso d’opera e giocano di volta in volta a favore del ri-orientamento e/o del consolidamento dello status quo. Durante il processo di svolgimento di un workshop (o “laboratorio proget- tuale”) le “buone prassi” vengono ottimizzate in base ai seguenti passaggi: – presa di consapevolezza del problema; – analisi del problema, inquadrato da più punti di vista; – individuazione delle diverse strategie d’intervento; – classificazione delle priorità; – previsione delle conseguenze delle diverse azioni; – decisione data dalla combinazione delle diverse valutazioni quali-quantitative. Esistono diversi tipi di workshop: 119 1) di identificazione: si svolge all’inizio della fase di progettazione e permette agli attori-chiave di arrivare a condividere le linee-guida di un progetto; 2) di definizione: mira a stabilire un piano di azione per la fase esecutiva del pro- getto; 3) di valutazione intermedia: per effettuare bilanci relativi alle diverse fasi di un progetto e per apportare correttivi per un miglior funzionamento; 4) di valutazione finale: per identificare le “buone prassi”, in vista di interventi futuri. Ogni workshop richiede di individuare: – l’obiettivo della sessione; – e, sotteso allo stesso, la domanda-chiave a cui la sessione deve rispondere; – per passare quindi alla descrizione delle tecniche di conduzione del lavoro. A sua volta, nel definire l’idea progettuale occorre rispondere ai seguenti in- terrogativi: – quale progetto vogliamo realizzare? – quali sono i principali ostacoli alla riuscita del progetto? E quali azioni si pos- sono attivare per rimuovere tali ostacoli? – quali servizi e/o benefici il progetto porta a produrre e per chi? – quali attività si dovranno realizzare per fornire questi servizi e rendere realiz- zabile il progetto? – quali condizioni esterne al progetto si dovranno realizzare perché possa rag- giungere i suoi obiettivi? – qual è il ruolo e/o la funzione di ciascun attore nel progetto? Infine il ricorso ad un processo di visualizzazione, che consiste nel sintetizzare la propria idea su un cartoncino, risponde allo scopo di aiutare a: – concentrare il dibattito su un’idea, evitando la dispersione; – favorire il formarsi di uno spirito di gruppo in quanto ciò che viene prodotto (mappe concettuali, diagrammi…) è dato dal contributo di tutti i partecipanti; – comprendere i legami di causa-effetto tra i diversi elementi visualizzati; – aumentare l’efficacia del lavoro di gruppo attraverso la discussione/elabora- zione dei diversi concetti emersi. 1.3.1. La fase di analisi o workshop di identificazione Il primo passo della “progettazione partecipata” e/o di una “programmazione concertata” consiste in una identificazione dei problemi che esistono in una deter- minata situazione. Compito del moderatore è quello di visualizzare, attraverso ap- positi supporti, il contributo che ciascuno degli attori-chiave fornisce al gruppo nell’interpretare la problematica, aiutandolo a formularlo in maniera chiara e com- prensibile a tutti. Una volta identificati i problemi, il gruppo, con l’aiuto del moderatore, “gerar- 120 chizza” tali problemi in termini di causa-effetto, fino ad arrivare alla costruzione dell’“albero dei problemi”. La fase di analisi è particolarmente importante perché: – fornisce una descrizione completa della realtà in cui si vuole intervenire, met- tendo a nudo l’insieme dei fattori che maggiormente possono contribuire al miglioramento delle condizioni di vita dei destinatari/beneficiari degli inter- venti; – stabilisce i nessi causali prima nell’ambito dei problemi e poi degli obiettivi, facilitando la successiva attività di progettazione; – fornisce una immediata visualizzazione della situazione nella quale i diversi soggetti interessati si possono riconoscere in quanto protagonisti del processo di analisi. La fase successiva consisterà nel trasformare l’“albero dei problemi” nell’“al- bero degli obiettivi” finalizzati alla soluzione di ciascuno dei problemi elencati. In altri termini, si tratterà di trasformare in positivo la situazione negativa preceden- temente analizzata inducendo gli attori-chiave a prospettare positivamente la realtà analizzata qualora i problemi emersi nell’analisi fossero già risolti. Contestualmente all’albero dei “problemi” e degli “obiettivi” viene poi il pro- cesso di identificazione degli “ambiti d’intervento”. 1.3.2. La fase di progettazione o workshop di definizione In questa seconda fase è previsto che il gruppo operi scelte inerenti il progetto vero e proprio, contestualmente agli ambiti o alle aree individuate nella fase prece- dente, facendo riferimento ai seguenti criteri-base: – urgenza delle problematiche emergenti; – interesse strategico (la mission del progetto); – rispondenza al piano di investimenti; – fattibilità (risorse umane e finanziarie disponibili). A questo punto gli attori-chiave decideranno, dietro la spinta del moderatore, di utilizzare una matrice di progettazione identificata come “quadro logico”, ossia di operare in quegli ambiti d’intervento che più si confanno alle proprie compe- tenze tecnico-professionali. Il cosiddetto “quadro logico” è una matrice di progettazione utilizzata per de- finire in maniera chiara i diversi elementi che compongono un intervento proget- tuale (cfr. Tav. 1). Si articola in 4 livelli, legati tra loro da un nesso di causa-effetto in senso ascensionale, dal basso verso l’alto, secondo il quale le “attività” portano ai “risultati”, questi conducono al raggiungimento dello “scopo del progetto” e quest’ultimo contribuisce al raggiungimento degli “obiettivi generali”. Più specificamente i 4 livelli della logica d’intervento di un progetto possono essere così definiti: 121 – con il termine “attività” vengono indicate le azioni che saranno realizzate nel- l’ambito del progetto per fornire i servizi necessari ai beneficiari; – i “risultati” si riferiscono ai servizi che i beneficiari otterranno a seguito delle attività realizzate nell’ambito del progetto; – lo “scopo” (od “obiettivo specifico”) del progetto definisce il miglioramento delle condizioni di vita che i beneficiari otterranno a seguito dei servizi forniti nell’ambito del progetto; – gli “obiettivi generali” fanno riferimento ai benefici sociali di lungo termine di cui fruirà la società in generale grazie al contributo offerto dal progetto, ma non solo, in quanto essi per essere raggiunti richiedono il contributo anche di altri interventi o progetti o programmi “esterni” al progetto. Per giungere a definire il “quadro logico” di un progetto occorre procedere per fasi, a loro volta suddivise per sottofasi: 1. fase di analisi: 1.1. degli attori-chiave 1.2. dei problemi 1.3. degli obiettivi 1.4. degli ambiti d’intervento 2. fase di progettazione: 2.1. scelta degli ambiti d’intervento 2.2. definizione della logica d’intervento (“quadro logico”) 2.3. identificazione del rischio 2.4. programmazione delle attività Ciò che fa la differenza tra la normale prassi di una programmazione e quella basata sul “quadro logico” è il concetto di “programmazione per obiettivi” e non per attività. In quest’ultimo caso si parte da un’attività (esempio, un corso di for- mazione) per raggiungere un obiettivo (inserimento di fasce deboli nel mondo del Tav. 1 – Formazione del quadro logico: significato e definizione dei quattro livelli LOGICA DI INTERVENTO OBIETTIVI GENERALI SCOPO DEL PROGETTO (obiettivo specifico) RISULTATI ATTIVITA’ DEFINIZIONE (che cos’è?) I benefici di lungo termine al raggiungimento dei quali contribuirà il progetto Il beneficio che i beneficiari otterranno dai servizi previsti dal progetto I servizi che i beneficiari riceveranno dal progetto Ciò che sarà fatto durante il progetto per garantire la fornitura dei servizi SIGNIFICATO (a quale domanda risponde?) Perché il progetto è importante per la società? Perché i beneficiari ne hanno bisogno? Quali servizi verranno garantiti ai beneficiari? Cosa sarà fatto per fornire i servizi? 122 lavoro). Al contrario, nella programmazione per obiettivi il primo passo consiste nell’identificazione dell’obiettivo specifico dell’intervento, definibile anche come “beneficio” per il target-group di riferimento, e successivamente si identificano i sotto-obiettivi necessari per raggiungerlo. La loro identificazione scaturisce dalla domanda che il moderatore pone al gruppo: “Se vogliamo ottenere questo obiettivo/beneficio, di cosa abbiamo bi- sogno?”. È importante che la scelta dello “scopo” del progetto oltre che essere prodotta dal gruppo sia fortemente condivisa dallo stesso (o almeno da una mag- gioranza dei partecipanti), in quanto il suo raggiungimento o meno determina in definitiva il successo o meno del progetto. Stabilito lo scopo del progetto, il moderatore invita i partecipanti ad indivi- duare la ricaduta che esso avrà sulla società in generale, identificando altri possi- bili obiettivi generali. In questo caso il gruppo dovrà ipotizzare quali altri soggetti, esterni al gruppo, possano operare per il conseguimento di questi obiettivi. A loro volta queste divengono “condizioni esterne” al progetto che determinano, al pari dei risultati del progetto, il raggiungimento dello scopo. Al tempo stesso bisognerà tener conto del fatto che se tali ipotesi non potranno verificarsi, inficeranno anche gli stessi obiettivi generali che il progetto si pone. 1.3.3. La fase o workshop di valutazione intermedia Risponde agli obiettivi di: – valutare l’efficacia delle attività svolte fino a quel momento; – ottimizzare il disegno progettuale, ridefinendo obiettivi e modalità d’inter- vento. E mentre la metodologia utilizzata è la stessa della fase precedente, cambiano ovviamente gli interrogativi a cui si fa riferimento: – che cosa vogliamo ottenere da questo incontro? – cosa abbiamo imparato dall’esperienza finora svolta? – sono stati conseguiti gli obiettivi previsti? – quali sono stati i punti di forza e di debolezza del progetto? – cosa possiamo fare perché il progetto sia più efficiente? 1.3.4. La fase o workshop di valutazione finale Risponde agli obiettivi di: – mettere a confronto gli obiettivi iniziali e intermedi del progetto con quanto conseguito al termine dello stesso; – analizzare infine le difficoltà incontrate ed individuare i fattori di successo che permettono di passare come “buone prassi” da estendere ad altre progettualità. Rimangono, invece, gli stessi della fase precedente sia gli interrogativi a cui fa riferimento che la metodologia. 123 2. LE ESPERIENZE SUL CAMPO ANALIZZATE MEDIANTE I “LABORATORI PROGET- TUALI” Al fine di verificare le “buone prassi” che all’interno del CNOS-FAP vengono rea- lizzate attivando percorsi formativi a favore di soggetti svantaggiati, il progetto di ana- lisi prevedeva di indagare alcuni contesti operativi attraverso i laboratori di “progetta- zione partecipata”, la cui metodologia è stata documentata nel paragrafo precedente. A questo proposito inizialmente sono state prese in considerazione le attività di vari CFP; tuttavia successivamente sono intervenute condizioni logistiche che hanno indotto a restringere la selezione a tre Centri e, contestualmente, a tre di- stinte categorie di soggetti svantaggiati nei cui confronti sono state attivate attività formative ad hoc, ossia: 1) il CFP “T. Gerini” di Roma, per gli intrerventi a favore di allievi extracomunitari; 2) il COSPES-Sardegna, per l’attività di orientamento mirata a giovani a rischio di esclusione (drop-out, giovani con problemi di personalità, familiari, so- ciali…); 3) la “Comunità dei Giovani” (Albarè-Verona), per l’azione rieducativa a favore dei tossicodipendenti. La metodologia adottata per la conduzione dei “Laboratori progettuali” con- templa, secondo quanto anticipato sopra, la esplicitazione dei problemi da parte di ogni partecipante e la successiva discussione collettiva di ogni concettualizzazione attraverso cui è stato formulato il problema. Il dibattito è aperto e consente di for- mulare i concetti in modo tale che, nella loro stesura definitiva, rappresentino l’o- pinione di tutti i partecipanti ai laboratori. Qui di seguito vengono riportati i risultati dei tre “laboratori progettuali”, sud- divisi tra una prima parte relativa alle difficoltà che si incontrano nell’attivare per- corsi formativi ad hoc, e una seconda che invece riporta gli scenari d’intervento proposti dagli stessi operatori dei tre Centri. 2.1. Problemi e proposte per facilitare i percorsi formativi degli allievi “extra- comunitari” dei corsi di formazione professionale (CFP “T. Gerini” - Roma) Il percorso che l’allievo extracomunitario sperimenta nell’ambito della forma- zione professionale in Italia è sicuramente più frastagliato e tortuoso del percorso del suo compagno italiano. Le entrate e le uscite dagli studi sono più numerose e contrassegnate dall’influenza di condizioni esterne (dalla organizzazione e dalla logistica spazio-temporale del Centro di formazione alla situazione culturale del gruppo nel quale si inserisce) e da condizioni interne (dal livello formativo di par- tenza alla situazione socio-economica della famiglia, ecc.) che spesso rendono più incerto e precario il tragitto. Tuttavia gli allievi extracomunitari che risiedono sul territorio con un regolare 124 permesso di soggiorno devono poter usufruire degli stessi diritti all’orientamento, alla formazione e all’accompagnamento al lavoro degli allievi italiani. Scaturi- scono da qui, di conseguenza, alcuni interrogativi di fondo: 1) Gli ostacoli o i problemi che rendono difficile il loro percorso formativo sono specifici della loro condizione di immigrati? 2) In caso di risposta affermativa, quali sono le soluzioni più efficaci, tenendo conto delle esperienze di successo già realizzate in quest’ambito? Tra le azioni programmate dal CNOS-FAP per identificare le buone prassi nel sostegno agli allievi immigrati extracomunitari che frequentano i propri corsi di formazione, è stato realizzato un tavolo di progettazione partecipata con i diversi operatori che intervengono direttamente o indirettamente nel loro percorso forma- tivo, al fine di raccogliere le loro testimonianze. Questo rapporto sintetico rappresenta il risultato del lavoro realizzato dal ta- volo di progettazione partecipata che si è riunito presso il Centro di formazione professionale “Gerini” di Roma, i cui corsi sono frequentati da numerosi allievi ex- tracomunitari e i cui operatori hanno acquisito un’esperienza consolidata nell’orga- nizzazione di attività destinate a facilitare il loro inserimento. Presso il Centro è stato costituito un gruppo di lavoro che ha coinvolto do- centi, operatori esterni, consiglieri di orientamento e organizzatori dei corsi stessi, finalizzato: – all’analisi delle problematiche specifiche che contraddistinguono la condi- zione dell’allievo immigrato rispetto alla condizione dell’allievo italiano; – e alla individuazione di proposte condivise per superare gli ostacoli analizzati, sulla base delle esperienze di cui ognuno di essi era portatore. Il workshop si è svolto con la tecnica del brainstorming e della condivisione dei concetti, attraverso la visualizzazione delle idee espresse da ogni partecipante e la successiva organizzazione in mental maps. I concetti esposti dai singoli parteci- panti sono stati condivisi dal gruppo e successivamente organizzati in aree, che sono state oggetto di riflessione collettiva per delineare le proposte di soluzioni sulla base delle esperienze realizzate dal gruppo. 2.1.1. Le difficoltà Si tratta dei problemi che intervengono nei percorsi formativi che coinvolgono allievi immigrati extracomunitari. 2.1.1.1. Difficoltà linguistiche Tra i giovani extracomunitari che frequentano i corsi di formazione, alcuni non sanno leggere né scrivere nemmeno nella propria lingua e per loro diventa dif- ficile anche l’uso degli strumenti didattici più comuni quali, ad esempio, il quadro sinottico degli alfabeti o un semplice vocabolario arabo-italiano. Il fatto che alcuni ragazzi non siano mai stati secolarizzati né abituati a utilizzare i libri o ad appren- 125 dere con metodi didattici simili a quelli che si utilizzano nei nostri corsi non solo ostacola il processo di apprendimento, ma incide nel loro inserimento nel gruppo in quanto rappresenta un forte ostacolo alla comunicazione. Le loro difficoltà lin- guistiche si trasformano quindi in problemi di inserimento nel gruppo e dell’orga- nizzazione delle attività formative ed extra. Gli stessi corsi di italiano sono poco frequentati, sia quelli pomeridiani, sia quelli che si realizzano durante la mattinata in parallelo alle attività corsuali: la mattina, perché per partecipare ai corsi di italiano devono perdere le attività didat- tiche e così accumulano i ritardi di apprendimento nelle materie specifiche; mentre il pomeriggio spesso i ragazzi non hanno tempo per seguirli in quanto devono la- vorare per mantenersi. 2.1.1.2. Difficoltà socio-culturali Agli allievi extracomunitari spesso manca la base culturale necessaria per in- serirsi proficuamente nei corsi. Le loro abitudini e i loro sistemi referenziali sono diversi (non conoscono l’organizzazione sociale né le usuali pratiche organizzative di questa società - l’anagrafe, i ceppi famigliari, per esempio) e questa carenza ostacola il loro inserimento anche nel Centro di formazione. Non possiedono le in- formazioni sui servizi e sull’organizzazione, non sanno come e dove reperirle, e il sostegno che possono ottenere nei corsi sopperisce solo in parte a questa carenza. La mancanza di informazioni relative al territorio incide anche nell’inseri- mento nel gruppo-classe e nel Centro; infatti devono affrontare problemi pratici di rinnovo dei permessi di soggiorno, di espletamento di pratiche burocratiche, ecc., che incidono nella loro partecipazione alle attività formative. Anche l’osservanza delle loro pratiche religiose può diventare un elemento di disturbo delle attività corsuali (uscita anticipata dal Centro il venerdì, ecc.). La mancanza di tempo libero pomeridiano (spesso lavorano nei pomeriggi) rende ancor più difficile il recupero delle conoscenze tecniche specifiche e generali, cosicché le carenze a livello di preparazione si moltiplicano. 2.1.1.3. Difficoltà relazionali La loro diversità spesso innesta atteggiamenti di rifiuto da parte dei compagni; il risultato che ne deriva è l’isolamento dei giovani extracomunitari da parte della classe. Trovandosi in difficoltà per la lingua, per l’inserimento, per la mancanza di in- formazioni, per gli ostacoli di comunicazione con i compagni italiani, spesso gli allievi extracomunitari tendono a fare gruppo, a identificarsi come diversi dagli altri e pertanto si chiudono e si frequentano solo tra di loro e questo rafforza il loro comportamento “da straniero”. La loro solitudine è tanto più importante quanto neanche la famiglia sembra capace di supportarli, in quanto anch’essa alle prese con problemi analoghi o maggiori rispetto all’ambiente circostante, e sembra anche che la famiglia sottovaluti l’importanza, per il ragazzo, di seguire il percorso formativo come strategia di integrazione sociale. 126 DIFFICOLTÀ CHE INTERVENGONO NEI PERCORSI FORMATIVI CHE COINVOLGONO ALLIEVI IMMIGRATI EXTRACOMUNITARI CULTURA DEI GIOVANI CULTURA DEGLI OPERATORI FATTORI ESTERNI comportamenti e cultura da “straniero” a comunicare con culture diverse non avere tempo libero pomeridiano per lo studio deficit culturale dell’imm.ext. pregiudizio culturale non preparazione alla didattica interculturale non conoscenza del territorio differenze culturali tra gli allievi rinnovo della residenza e pratiche burocratiche varie non sono accettati dai compagni scarso appoggio da parte delle famiglie pregiudizio culturale dell’imm.ext. e del gruppo classe pratiche religiose diverse incomprensione dell’“altro” da parte degli studenti italiani non sanno reperire informazioni (su percorsi, istituzioni) DIFFICOLTÀ: DIFFICOLTÀ: DIFFICOLTÀ: ➡ ➡ ➡ 127 DIFFICOLTÀ CHE INTERVENGONO NEI PERCORSI FORMATIVI CHE COINVOLGONO ALLIEVI IMMIGRATI EXTRACOMUNITARI analfabetismo o analfabetismo di ritorno ad orientarsi, creare, soddisfare aspettative ad abituarsi ad uno stile di vita diverso di comprensione linguistica a identificare, capire, accettare, le motivazioni e le situazioni ad inserirsi in: - un gruppo - un’attività - nel tempo di lavoro linguaggio e bagaglio culturale insufficiente ad integrarsi nel corso a socializzare con il gruppo ABILITÀ/ COMPETENZE LINGUISTICHE AREA EMOZIONALE AREA RELAZIONALE DIFFICOLTÀ: DIFFICOLTÀ: DIFFICOLTÀ: ➡ ➡ ➡ 128 2.1.1.4. Difficoltà “progettuali” Spesso i ragazzi extracomunitari che frequentano i corsi di formazione ven- gono a scuola in modo automatico, non riescono ad elaborare le necessarie aspetta- tive che rendono significativo il percorso formativo che stanno realizzando e questa mancanza di attese si traduce talora nell’assenza di un progetto di vita che dia significato alla loro permanenza in Italia e nel Centro di formazione. 2.1.1.5. Difficoltà da parte degli stessi operatori/formatori L’analisi realizzata dal gruppo ha fatto emergere anche difficoltà da parte degli stessi formatori ad operare con gli allievi extracomunitari. In particolare, gli ordini di problemi degli operatori/formatori che il gruppo ha indicato si presentano in due ambiti diversi: a) nei corsi di italiano b) nei corsi di formazione professionale. a) Attualmente i corsi di italiano che vengono realizzati per sostenere l’inseri- mento del giovane extracomunitario nei corsi di formazione professionale coinvol- gono meno utenti. Gli operatori quindi hanno potuto superare le difficoltà che sca- turivano inizialmente dall’organizzazione di corsi di italiano per gruppi numerosi con culture troppo diversificate (in quanto nella maggior parte dei casi si sono di- mostrati improduttivi); attualmente si organizzano interventi per insegnare l’ita- liano a singoli o a coppie di persone, attraverso un accompagnamento personaliz- zato nell’apprendimento della lingua. In questi ultimi anni pertanto è cambiato lo stile pedagogico e il sistema educativo che sta utilizzando anche l’opera di volon- tari in questi corsi. Tuttavia pure il volontario che effettua questo tipo di intervento difficilmente ha modificato i suoi schemi mentali ed i suoi pregiudizi religiosi; essi, seppure latenti, fanno sì che non vi sia uno scambio reciproco tra operatore e allievo ma il rapporto didattico che si instaura tra loro spesso si riduce ad una co- municazione di informazioni. E questo rappresenta un grosso limite per alcuni operatori, che incide fortemente sui risultati del loro lavoro. b) Sono altresì complesse le difficoltà che devono affrontare formatori e ope- ratori per trasmettere informazioni e comunicare con gli allievi stranieri che parte- cipano ai corsi di formazione. Gli insegnanti devono saper modulare i propri com- portamenti, linguaggi e stili di comunicazione in funzione dell’importanza dei gap culturali che avvicinano o allontanano i riferimenti culturali degli allievi stranieri dai riferimenti culturali degli allievi italiani. I formatori e tutti gli operatori si tro- vano pertanto ad affrontare diversi ordini di difficoltà: – nel comunicare con giovani provenienti da culture islamiche devono cono- scere e spesso interpretare ed adeguarsi a stili comportamentali determinati da credenze ed abitudini distanti dalle proprie e da quelle della maggior parte degli allievi della classe; – difficoltà diverse devono affrontare quando interagiscono con allievi apparte- nenti a culture più vicine a quelle europee (in particolare i latinoamericani). 129 In sintesi, bisogna riconoscere che l’aumento della presenza di allievi extraco- munitari all’interno dei corsi di formazione professionale richiederebbe una diffusa preparazione degli operatori alla didattica interculturale. 2.1.2. Le proposte riguardanti le diverse aree-problema 2.1.2.1. Area “sociale e culturale” dei giovani Il gruppo ha evidenziato l’importanza che tutti gli allievi del Centro di for- mazione anzitutto riescano a socializzare tra di loro e conoscano direttamente le diverse culture presenti al suo interno, come un’occasione per la propria crescita e il proprio sviluppo personale. I docenti (durante le lezioni dedicate alla cultura generale), nonché gli altri operatori del Centro di formazione (durante i momenti in cui si svolgono attività collettive), possono organizzare laboratori comuni e manifestazioni culturali e musicali destinati a far conoscere le varie produzioni delle diverse civiltà, le differenti pratiche religiose (attraverso l’elaborazione co- mune e condivisa di calendari interculturali e interreligiosi, di ricettari, di rac- colte di favole, ecc.). Si può coinvolgere le comunità di immigrati esterne al Centro, che potrebbero collaborare nella organizzazione degli incontri e delle manifestazioni apportando le proprie risorse ed esperienze e creando momenti di condivisione. Diviene una strategia vincente anche l’ingresso nel Centro di formazione professionale delle comunità straniere e di associazioni italiane dedite ad azioni di accompagnamento degli immigrati extracomunitari, al fine di supportare i gio- vani extracomunitari presenti nel Centro con azioni di orientamento e di informa- zione sui servizi e sul territorio, al fine di agevolarli nelle pratiche amministra- tive. 2.1.2.2. Area “competenze linguistiche” dei giovani Le competenze linguistiche dei giovani extracomunitari vanno sviluppate at- traverso un’offerta precoce e adattata di corsi di lingua: – precoce, in quanto è auspicabile l’avvio di corsi di italiano già nelle settimane precedenti l’inizio dei corsi di formazione, di modo tale che i nuovi iscritti possano imparare i primi rudimenti e gli allievi che hanno bisogno di perfezio- nare la loro preparazione lo possano fare senza problemi di coincidenza nella partecipazione ai corsi; – adattata, in quanto l’orario dei corsi di italiano che si realizzano in parallelo alle lezioni, va adeguato all’orario delle materie generali, riconoscendo for- malmente anche la partecipazione ad essi. 2.1.2.3. Area “relazioni” dei giovani Gli operatori hanno concordato sulla centralità che rivestono le strategie di re- cupero delle competenze relazionali dei giovani stranieri, in quanto l’isolamento sociale e scolastico in cui spesso versano li allontana dal Centro di formazione. Per 130 attivare strategie che permettano di sviluppare le competenze relazionali dei gio- vani stranieri all’interno del Centro e del gruppo-classe, gli operatori hanno indi- cato due livelli prioritari su cui operare: – un primo livello, relativo all’ integrazione dell’allievo straniero con gli altri al- lievi e con gli operatori del Centro; l’integrazione può svilupparsi attraverso la realizzazione di attività extra-scolastiche comuni (gite, feste, gare sportive…); questo faciliterebbe la conoscenza reciproca degli allievi e la condivisione di momenti informali in cui sviluppare interessi comuni, nonché promuoverebbe l’identificazione del giovane con il Centro; – un secondo livello, relativo all’integrazione dell’allievo straniero all’interno della classe; questo livello di integrazione può essere promosso attraverso la distribuzione dei materiali anche più comuni (penne, quaderni, ecc.) e l’of- ferta di un supporto personalizzato (tutor) affinché l’allievo straniero co- nosca e sperimenti l’uso dei materiali didattici (anche dei materiali più co- muni come quaderni/libri di testo, ecc.) e possa organizzare un piano di studio settimanale; quest’ultimo intervento presuppone l’esistenza della fi- gura di un tutor personale destinato al giovane straniero, per lo meno nei primi tempi. 2.1.2.4. Area “emozioni” dei giovani L’isolamento in cui versano i ragazzi stranieri rispetto al gruppo-classe e al Centro di formazione è, senza dubbio, una delle caratteristiche che vanno affron- tate attraverso l’utilizzo di una figura particolare, quale quella di un tutor perso- nalizzato o di un mentore che lo accompagni e lo sostenga nell’affrontare i pro- blemi dell’inserimento. La frequente assenza della famiglia del giovane stra- niero dalle pratiche di accompagnamento rende ancor più isolato e spaesato il giovane, al quale bisogna offrire un sostegno che gli permetta di superare gli ostacoli dell’inserimento. Questo sostegno viene visto dal gruppo come una stra- tegia personalizzata di accompagnamento, svolta dalla figura del tutor o del mentore. 2.1.2.5. Area “cultura” degli operatori La creazione di ricorrenti intercambi culturali e sportivi tra le comunità di stranieri presenti sul territorio e quelle rappresentative degli allievi extracomunitari presenti nel Centro può rappresentare un’occasione di crescita culturale anche per gli operatori e i docenti, che possono conoscere meglio gli elementi e le variabili linguistico-culturali che condizionavano i propri allievi. Dal gruppo è stato auspicato inoltre che per i casi più difficili venga previsto il coinvolgimento di un eventuale mediatore culturale, di modo che il docente/operatore possa venire affiancato da un esperto e così disporre di stru- menti maggiormente mirati al coinvolgimento, al recupero e al sostegno del gio- vane straniero. 131 PROPOSTE CULTURA DEI GIOVANI CULTURA DEGLI OPERATORI FATTORI ESTERNI AI CENTRI ➡ ➡ ➡ organizzare nei centri e nelle classi degli spazi informativi per le varie religioni/culture aggiornamento dell’operatore in situazione “assistita” (mediatore culturale, ecc.) coinvolgere le comunità straniere in iniziative e/o scambio di informazioni produzione, condivisa da tutti gli allievi durante le lezioni di cultura generale, di: - ricettari - favole creare nelle classi momenti di lavoro comune nella preparazione di calendari interculturali e interreligiosi creare occasioni frequenti di scambio interculturale tra operatori e le comunità straniere attivare collegamenti con associazioni e organismi pubblici e privati per informazioni/ orientamento economico - giuridico, ecc. 132 PROPOSTE avviare corsi di italiano prima dell’anno formativo organizzare corsi di italiano incentivati in orario sia: - aggiuntivo - inserito in parallelo attivare una figura di riferimento (mentore - tutor) per un accompagnamento personalizzato fornitura anche dei materiali didattici più comuni e istruzioni per l’uso ad allievi in difficoltà, con affiancamento del tutor organizzazione ricorrente di attività extrascolastiche (gite, feste, tornei sportivi) ABILITÀ/ COMPETENZE LINGUISTICHE AREA EMOZIONI AREA RELAZIONI ➡ ➡ ➡ 133 2.2. Problemi e proposte per realizzare percorsi formativi a favore dei “gio- vani a rischio di esclusione” (COSPES-Sardegna) Il giovane a rischio di esclusione dai canali formativi è stato descritto dagli operatori partecipanti al laboratorio di progettazione partecipata come portatore di molteplici problemi che possono essere così sintetizzati: – basso rendimento scolastico (con una discontinuità di presenza in aula che sfocia in ripetenze e abbandoni dei percorsi formativi); – manifestazione di condotte devianti (aggressività, elevata instabilità emozio- nale, atti vandalici che possono giungere fino al punto di legittimare una se- gnalazione ai servizi competenti); – gestione problematica dei rapporti interpersonali (sia con il gruppo dei pari che con il corpo docente e gli operatori). Questo giovane è quindi un soggetto particolarmente debole che richiede un’attenzione specifica e personalizzata, nonché un supporto aggiuntivo rispetto agli altri giovani. Il sostegno che può offrire il sistema formativo dipende quindi: a) dalla possi- bilità di identificare le condizioni problematiche che rendono il soggetto un “gio- vane a rischio”; b) dall’attivazione di specifici strumenti/strategie di prevenzione/recupero delle condizioni problematiche identificate. In quest’ottica, il laboratorio di progettazione partecipata dedicato ai giovani in età di diritto/dovere all’istruzione e alla formazione aveva come scopo di affron- tare in modo condiviso tra operatori con esperienze diverse i temi delle difficoltà che si presentano durante il percorso dei giovani e degli eventuali strumenti/stra- tegie di miglioramento. Al laboratorio hanno partecipato alcuni operatori con espe- rienza consolidata nella didattica e nell’accompagnamento dei giovani che fre- quentano i corsi di formazione professionale iniziale. Gli operatori coinvolti nel laboratorio di progettazione partecipata hanno inte- ragito sui temi delle problematiche ambientali e personali del giovane a rischio di esclusione dai canali formativi, hanno analizzato i problemi e le difficoltà che con- notano lo scenario attuale dell’ambiente dei Centri attraverso lo scambio delle esperienze che hanno sviluppato nel contesto comune dei corsi di formazione pro- fessionale. Successivamente, sulla base dei risultati offerti dal confronto tra le di- verse indicazioni emerse, i partecipanti hanno delineato alcuni suggerimenti condi- visi sulle strategie da adottare per superare i problemi evidenziati. Le indicazioni del gruppo di lavoro sulle difficoltà che contraddistinguono i “giovani a rischio” riguardano condizioni problematiche che si articolano a tre li- velli diversi: 1) a livello sociale e di contesto: i partecipanti hanno indicato problematiche che non dipendono né dai giovani né dalla scuola/Centro di formazione, tanto meno dipendono dalla interazione tra giovane e scuola; queste difficoltà esu- 134 lano dalla possibilità di un intervento risolutivo da parte degli operatori della formazione che, però, ne devono tenere conto in quanto condizionano pesante- mente il loro lavoro; 2) a livello degli operatori: sono stati evidenziati dal gruppo i problemi più signi- ficativi che incontrano gli operatori nel lavoro quotidiano e nel loro rapporto con il giovane; 3) a livello dei giovani: le difficoltà indicate riguardano le sfere emotiva e razio- nale (valori, credenze, emozioni, ma anche apprendimento e rendimento) dei giovani e i rapporti che essi instaurano con il gruppo dei pari e con gli adulti (gli operatori), con i quali interagiscono durante il loro percorso formativo. 2.2.1. Lo scenario Dall’analisi realizzata dal gruppo sono emerse alcune indicazioni che deli- neano lo scenario sociale di riferimento del giovane a rischio. Il giovane adolescente a rischio di esclusione formativa sembra vivere e rap- presentare più degli altri coetanei la contraddizione dei modelli sociali e comporta- mentali che vengono veicolati dalla scuola, dalla famiglia, dal gruppo dei pari e dalla società in generale. A questo giovane sembra mancare l’interiorizzazione – precedente all’entrata nei canali formativi – di norme e comportamenti condivisi dal mondo adulto, che lo aiutino a superare questa contraddizione. La diversità dei modelli che il bambino percepisce fin dalla prima infanzia diviene fattore disorien- tante per la crescita armoniosa del proprio “sé”; così i modelli di riferimento che interiorizza non sono “protettivi” e non gli garantiscono uno sviluppo armonico. Anziché proteggere, guidare e accompagnarne la crescita, agevolando lo sviluppo delle sue risorse, delle sue capacità e della sua autonomia, contenendo le prime condotte devianti, questi modelli creano stati di confusione, di contraddizione che si traducono in una mancanza di “protezione” del bambino verso se stesso e in una forte incapacità di relazionarsi all’altro in modo costruttivo e “accogliente”. Al momento dell’ingresso nei canali formativi questi giovani trovano adulti (for- matori, tutor, educatori) che potrebbero accompagnarli nella crescita. In realtà poi il rapporto che instaurano con gli adulti sembra condizionato fortemente dal loro dis- orientamento e dalla loro mancata interiorizzazione di norme sociali e comporta- mentali condivise dagli adulti, che dovrebbe essere avvenuta nella fase precedente dello sviluppo. Quando entrano nei canali formativi, sembra palesarsi fortemente una incongruenza tra le contraddizioni che i giovani hanno sviluppato dentro sé e ciò che invece viene proposto dall’esterno, motivo per cui il rapporto con gli adulti del- la struttura formativa si presenta fin dall’inizio problematico/conflittuale. Di fronte a queste difficoltà, i ragazzi con problemi si rifugiano nel gruppo dei pari, dai quali sono accolti e capiti meglio e con i quali riescono anche a gestire meglio i rapporti in quanto condividono gli stessi modelli e gli stessi valori. Questi ragazzi, quindi, vanno consolidando nel tempo il rifiuto di ciò che non è loro fami- liare e, poco a poco, sembrano divenire “impermeabili” all’influenza educativa. 135 DIFFICOLTÀ CHE INTERVENGONO NEI PERCORSI FORMATIVI CHE COINVOLGONO GIOVANI A RISCHIO DI ESCLUSIONE AREA 1: OPERATORI/ ORGANIZZA- ZIONE AREA 2: EMOZIONI AREA 3: IL GRUPPO DIFFICOLTÀ: DIFFICOLTÀ: DIFFICOLTÀ: ➡ ➡ AREA 4: AUTONOMIA DEL SÉ poco ascolto da parte degli adulti (in particolare dei formatori) incapacità a gestire l’aggressività diffusione della leadership negativa problemi nel mantenere l’attenzione scarsa apertura al confronto fra i formatori, per proposte metodologiche innovative violenza aggressività verbale e fisica dipendenti dai compagni più turbolenti e si fanno coinvolgere da questi mancanza di consapevolezza i formatori non riescono a coinvolgere i ragazzi nelle attività le ragazze sono violente come i maschi bullismo mancanza di consapevolezza del bisogno di aiuto difficoltà a coinvolgere i familiari significativi difficoltà ad utilizzare le loro capacità senza vergognarsi applicazione/ imposizione delle regole del branco demotivazione di fondo numerosità del gruppo classe (difficoltà a gestire l’aula da parte dei docenti) livellamento verso il basso dei comportamenti incapacità a introiettare regole di comportamento (convivenza sociale) esigenza continua di aderenza alla loro realtà incapacità di progettarsi e immaginarsi un futuro livellamento verso il basso del sistema “cognitivo” DIFFICOLTÀ: ➡➡ 136 2.2.2. I fattori problematici che esulano dall’intervento delle istituzioni formative Tra i diversi fattori che il gruppo ha indicato come problematici e che rappre- sentano lo scenario esterno che condiziona e spesso ostacola l’opera educativa che viene svolta all’interno delle strutture formative, due di essi costituiscono le condi- zioni più generalizzate e, di conseguenza, anche le più difficili da gestire. Sono fat- tori esterni alla struttura formativa, sui quali né il giovane né l’operatore possono intervenire direttamente e rappresentano piuttosto i capisaldi negativi dello sce- nario problematico di riferimento dei giovani a rischio, ossia: 1) la famiglia problematica; 2) i valori sociali contrastanti. Questi fattori ostacolano il trasferimento dell’educazione e la costruzione del “sé” di un soggetto in evoluzione che invece, trovandosi nel pieno momento dello sviluppo, ha proprio bisogno del sostegno positivo della famiglia di origine e dei messaggi valoriali che provengono dal progressivo inserimento nella vita sociale affinché il proprio sé possa svilupparsi armoniosamente. 2.2.2.1. La “famiglia problematica” La famiglia problematica è stata indicata come uno degli elementi che in genere accompagnano i giovani che manifestano condotte difficili/devianti/a rischio. Gli operatori si sono trovati d’accordo nel non “criminalizzare” la famiglia problematica ma anche nel far presente che la famiglia attuale può venire a trovarsi in contesti di deprivazione culturale e sociale che fan sì che essa non sia in grado di svolgere il suo ruolo educativo e di sostegno alle difficoltà del giovane. Gli operatori pertanto hanno indicato nella “incapacità/impossibilità della famiglia a educare” un elemento che concorre nel rendere il giovane un soggetto debole; per cui ne hanno dedotto che il giovane a rischio spesso è il prodotto di una famiglia a rischio. La sempre più diffusa condizione di famiglia monoparentale, la povertà economica ma anche la povertà culturale di alcune famiglie rappresentano elementi di una catena che si ripropone, sia perché la famiglia appare incapace di educare, sia perché è una famiglia-problema (separazioni, divorzi...). 2.2.2.2. I “valori contrastanti” Un altro fattore indicato dagli operatori come problematico, in quanto rende più difficile l’intervento formativo e spesso può vanificare il sostegno dato dall’i- stituzione formativa al giovane che manifesta comportamenti devianti, è rappre- sentato dalla presenza di valori e di modelli di riferimento sociali contrastanti e spesso discrepanti rispetto ai messaggi veicolati dagli operatori dei Centri e di atti- vità di formazione. Il contesto sociale del giovane che si trova in difficoltà non sembra offrirgli punti di riferimento coerenti. In famiglia, nella scuola/Centro, nel gruppo dei pari, nella società in generale i giovani recepiscono messaggi valoriali contrastanti e ciò incide anche sull’incisività e sulla credibilità che può avere un 137 messaggio educativo proveniente dalla scuola/Centro. I partecipanti hanno sottoli- neato che i giovani a rischio spesso provengono da una realtà molto deprivata e frazionata, che offre loro modelli diversi e in opposizione: i valori trasmessi in am- bito sociale non sempre corrispondono a quelli veicolati dal gruppo dei pari; ed anche la stessa famiglia – che in genere ha almeno tre nuclei diversi e spesso con- trastanti (madre - padre - nonno/i) – veicola modelli e valori discrepanti. D’altro canto, anche all’interno dell’istituzione formativa o comunque all’interno del corpo docente i giovani spesso vengono a contatto con valori e modelli di compor- tamento diversi. Tutto questo crea molte difficoltà nel momento della interiorizza- zione delle regole sociali. Di conseguenza, i contesti sociali problematici che rappresentano lo scenario di riferimento dei giovani fanno sì che spesso le istituzioni formative siano impo- tenti a gestire il disagio, in quanto le problematiche evidenziate esulano dal loro ambito di azione e da un eventuale intervento dell’educatore. 2.2.3. I fattori problematici sui quali le istituzioni formative possono intervenire Gli aspetti e i fattori che il gruppo ha identificato come problematici ma che rientrano nella sfera di azione delle istituzioni formative sono stati successiva- mente organizzati in quattro aree, così suddivise: mentre una è dedicata a proble- matiche riguardanti gli operatori che intervengono con i giovani in difficoltà, nelle altre tre sono stati accorpati i problemi che si riferiscono nello specifico ai compor- tamenti dei giovani a rischio di esclusione dai canali formativi. Le indicazioni del gruppo sono scaturite dalla convinzione condivisa che i programmi di recupero dei soggetti appena ricordati siano fondamentalmente pro- grammi di recupero del “sé”, perché è proprio nella costruzione del “sé” che ven- gono a mancare al giovane gli elementi e strumenti necessari. 2.2.3.1. Area “operatori/organizzazione” I partecipanti hanno condiviso l’importanza del tutor formativo il quale, oltre che nello svolgimento e nell’organizzazione delle attività, ha un ruolo imprescindi- bile anche nel supporto ai giovani che manifestano difficoltà comportamentali, re- lazionali e di rendimento. Il tutor è una figura professionale la cui funzione di ac- compagnare il giovane e di affiancarlo nelle pratiche burocratiche, nella logistica, ma anche nella organizzazione del suo percorso formativo, rappresenta un efficace trait-d’union tra il giovane, i docenti, la famiglia e il tutor aziendale. Eppure questa figura, da sola, sembra non essere sufficiente a contenere e a ri- solvere le problematiche che scaturiscono dalla presenza in aula di giovani a ri- schio. Analizzando le difficoltà relative ai giovani, sono stati evidenziati alcuni aspetti problematici che riguardano in generale tutti gli operatori che lavorano a contatto con soggetti che manifestano problemi di rendimento scolastico/forma- tivo, difficoltà relazionali o difficoltà comportamentali. 138 a) “Poco ascolto da parte degli adulti, in particolare dei formatori”: vi è poca predisposizione, da parte di alcuni formatori, ad ascoltare le istanze dei gio- vani che sono in aula, anche perché questo potrebbe comportare l’interruzione del programma didattico e l’emergere di tematiche diverse da quelle relative al programma. È una situazione abbastanza frequente che può rendere ancor più difficile la comunicazione con i ragazzi problematici. b) “I formatori non riescono a coinvolgere i giovani nelle attività”: la lezione frontale o la lezione standardizzata e rivolta a tutta la classe, che non tiene in conto delle differenze tra gli allievi presenti in aula, costituisce un elemento che allontana i giovani e che rende ancor più difficile il compito dei formatori stessi. I giovani spesso si estraniano dagli argomenti e i formatori svolgono il programma in modo automatico. c) “Problemi nel mantenere l’attenzione” da parte degli operatori durante le le- zioni, i quali non riescono a coinvolgere gli studenti e quindi devono mettere in atto anzitutto strategie mirate a catturare la loro attenzione. d) “Problemi disciplinari”: si tratta in particolare di problemi relativi alla ge- stione della trasgressione delle regole sociali da parte dei giovani, di problemi gravi di disciplina che si presentano in classe, per sedare numerosi atti di vio- lenza, di aggressione anche fisica e non solo verbale. e) “Scarsa apertura al confronto tra i formatori per proposte metodologiche in- novative”: c’è una scarsa collaborazione e un confronto carente tra i formatori, per cercare assieme dei percorsi condivisi e per migliorare il processo educa- tivo e il coinvolgimento dei giovani. f) “Difficoltà di apprendimento”: vi sono giovani che hanno accumulato tante la- cune nel corso degli anni scolastici, per cui arrivano alla scuola superiore o alla formazione professionale senza poter andare avanti, soprattutto anche a causa della metodologia che viene utilizzata dagli insegnanti. g) “Numerosità del gruppo-classe”: pur essendo poco numerosi i corsi della for- mazione professionale rispetto ai gruppi-classe delle istituzioni scolastiche, per lavorare bene in un’aula dove sono presenti tanti giovani in difficoltà, il nume- ro non dovrebbe superare i sei-sette; solo in questo caso a ognuno di loro si può dedicare un’attenzione personalizzata e si può mantenere la disciplina. Quando le presenze sono molto numerose, si creano alleanze, gruppi, per cui nessuno di loro può dire niente, mentre se sono in pochi è più facile catturare l’attenzione e coinvolgerli, facendoli lavorare in gruppo. All’interno della classe esiste tutta una serie di difficoltà relazionali, in particolare per via di problemi di alleanze che di settimana in settimana cambiano; pertanto farli lavorare in gruppo signi- fica anche tener conto degli equilibri presenti tra di loro e non intervenire a de- stabilizzarli. Infatti, ci sono giovani che non si rivolgono neanche la parola. h) “A volte non basta il numero ristretto per fare lezione: se tra i giovani presenti c’è il leader e quel giorno il leader decide che non si fa lezione, allora salta la lezione”: quando ci sono dei ragazzi multiproblematici che esercitano un’in- 139 fluenza negativa sulla classe, allora quel giorno il programma didattico della giornata non si svolge. i) “Difficoltà a coinvolgere i familiari significativi”: è difficile organizzare un progetto educativo che riguardi i giovani che presentano problemi coinvol- gendo anche i familiari, che sono sempre più assenti, come sono assenti spesso anche gli educatori della comunità-alloggio, se si tratta di un giovane in affidamento. Pertanto l’azione educativa che si sviluppa all’interno del- l’aula non può proseguire anche all’esterno e gli effetti si perdono. Ogni giorno è come se si dovesse riprendere di nuovo gli stessi messaggi educativi: tutto quello che il giovane impara (il discorso delle regole, dell’igiene perso- nale…) viene dimenticato e bisogna ricominciare da capo. 2.2.3.2. Area “emozioni/comportamenti” In quest’area vengono indicate problematiche che toccano il livello emotivo e comportamentale. Di conseguenza i giovani in difficoltà e a rischio di esclusione dai canali formativi vengono così descritti: a) “Vi è un livellamento verso il basso”: il livello del rendimento e delle presta- zioni a cui tendono i giovani in difficoltà è basso e i ragazzi richiedono a se stessi un minimo sforzo. Non riconoscono alcun valore all’impegno formativo e questo sembra avere una funzione di rassicurazione emotiva: si tende a dare il minimo, a non sforzarsi e contemporaneamente si interviene affinché tutta la classe adotti uno standard basso di prestazioni, probabilmente perché è più rassicurante per loro restare in un’area protetta e sicura di prestazioni minime, dove “il valore” della persona non si appoggia sulla capacità di rendere nelle materie scolastiche, ma su altri elementi che vengono determinati dal gruppo e che rappresentano piuttosto l’area del “possedere”. b) “Si vergognano di utilizzare le proprie capacità”: i ragazzi in difficoltà potreb- bero fare molto di più, ma alcuni compagni li prendono in giro, li boicottano, li deridono quando si applicano, quando si sforzano di migliorare. I più bravi vengono chiamati “secchioni” e vengono isolati dal gruppo. Qualche giovane lavora solo quando si rende conto di non essere osservato dagli altri, di na- scosto, ma i più si vergognano a impegnarsi. c) “Incapacità a gestire l’ aggressività”: da parte di alcuni l’aggressività si mani- festa nei rapporti interpersonali tra ragazzi e ragazze e anche con gli operatori. Il ricorso all’aggressività verbale e fisica sta diffondendosi sempre di più al- l’interno della scuola e delle classi, un’aggressività che spesso sfocia in epi- sodi di violenza anche tra le ragazze. d) “Le ragazze sono violente come i ragazzi”: non esiste più differenza di genere nelle manifestazioni di violenza in aula e negli spazi del Centro di formazione: i comportamenti violenti spesso si presentano addirittura con più forza tra le femmine che a volte sono più violente dei maschi, e non solo verbalmente. Altre volte la violenza femminile si presenta con connotati diversi: le ragazze 140 in classe adottano ruoli di fomentatrici di violenza (sono istigatrici dei maschi) e spesso hanno il potere di determinare il clima della classe. Il ruolo delle ra- gazze non solo è molto significativo all’interno della classe ma anche fuori: “Un giovane non si mette il casco non perché non capisce che se cade dal mo- torino è più protetto, né perché vuole trasgredire la regola, ma perché quando arriva a scuola le ragazze lo prendono in giro”. 2.2.3.3. Area “il gruppo” Gli operatori hanno ratificato quanto il ruolo del “gruppo” sia fondamentale e decisivo nei rapporti tra i giovani e con gli operatori. Il gruppo interviene pesante- mente nei comportamenti dei ragazzi e condiziona anche il loro rendimento a scuola ed i loro rapporti con i docenti. Non in tutte le classi vi sono gruppi chiusi e definiti, ma in tutte vi sono elementi che condizionano e orientano i comporta- menti dei giovani, elementi che si alleano tra loro a seconda delle circostanze, di- venendo “gruppi di pressione” che gli stessi docenti devono imparare a riconoscere per gestire meglio la classe. Il gruppo rappresenta un punto di riferimento forte non solo per chi vi appar- tiene, per i suoi membri, ma anche per i ragazzi esterni, che devono rispettare le re- gole imposte dai più forti. Sono regole comportamentali di tutti i tipi. Così sono “le ragazze spesso a determinare il clima della classe”, condizio- nando i ragazzi nei comportamenti e negli atteggiamenti; oppure ci sono “i bulli”, che si fanno servire dai loro coetanei e li schiavizzano (facendosi portare il panino, ecc.); così pure è presente il gruppo dei “due o tre elementi” che si prende gioco del “secchione” sottovalutando i valori dell’impegno e dello sforzo scolastico, de- ridendo chi risponde alle domande e imponendo a tutti la “regola” del basso rendi- mento generalizzato. Il gruppo a rischio fondamentalmente sembra essere portatore di valori nega- tivi tanto nelle aule che nelle relazioni al di fuori: – “i ragazzi dipendono dai compagni più turbolenti”, che li influenzano a tra- sgredire le regole; – “è presente il bullismo, con le caratteristiche note a tutti” ; – “si applicano le regole del branco, con ruoli precisi che, anche se a livello in- formale, vengono distribuiti tra i componenti (il “Marlon Brando”, il consi- gliere, il soldato, la spalla…)”; – “vi è la diffusione della leadership negativa” contro la quale i docenti sem- brano impotenti. Il risultato finale è un quasi generale “livellamento verso il basso” nei com- portamenti dei ragazzi, per i quali è importante l’omologazione con il gruppo- classe, che è fortemente contrassegnato dai comportamenti dei soggetti più in diffi- coltà, interessati a imporre standard bassi di rendimento. L’omologazione tanto ri- cercata dai ragazzi comporta per loro l’accettazione di prestazioni minime a livello cognitivo ma anche e soprattutto comportamentale. 141 2.2.3.4. Area “autonomia del sé” Alle problematiche del gruppo vanno aggiunte le difficoltà individuali e rela- tive allo sviluppo della sfera del sé. L’autonomia del sé sembra ancora lontana per molti degli allievi che frequentano i corsi di formazione professionale: infatti, si trovano in piena fase adolescenziale e nei ragazzi in difficoltà questa situazione è un problema ancora assai più evidente, che si manifesta nella mancata integrazione nel contesto formativo, nella carenza di capacità di astrazione o nei rapporti pro- blematici con le regole sociali dell’organizzazione. I partecipanti hanno segnalato quanto siano evidenti, nei comportamenti dei ragazzi a rischio, le difficoltà di svi- luppo e di affermazione del sé. Le difficoltà che manifestano i ragazzi in quest’ambito sono state sintetizzate in: a) “Difficoltà di apprendimento”: vi sono giovani che hanno accumulato tante la- cune nel corso degli anni scolastici e che arrivano alla scuola superiore o alla formazione professionale senza strumenti né conoscitivi né metodologici per poter proseguire nel percorso, soprattutto anche a causa della metodologia che viene utilizzata dagli insegnanti, spesso non adatta a facilitare il loro recupero. b) “Esigenza continua di aderenza alla loro realtà”: infatti i giovani hanno forti dif- ficoltà ad avere una rappresentazione del mondo che esuli dalla realtà che loro stessi stanno vivendo, che non rientri nella loro esperienza, nel loro vissuto, nel- la loro quotidianità. Anche quando sono in aula, per farli interagire con altre esperienze, vengono utilizzate metodologie particolari che non sono loro fami- liari, come ad esempio nel caso delle identificazioni in cui è problematico cat- turare la loro attenzione e mantenere l’interesse, in quanto presentano forti dif- ficoltà a staccarsi dall’esempio. I giovani a rischio esigono continuamente che i contenuti e i comportamenti degli altri siano completamente aderenti alla loro realtà. Questo determina che ci siano forti difficoltà di comunicazione. c) “Mancata consapevolezza di avere un problema” e “Mancata consapevolezza di aver bisogno di aiuto”: spesso i giovani non riconoscono di avere un pro- blema, fuggono da ogni tentativo esterno di intervento anche solo a livello di esplicitazione del problema, e di conseguenza non riconoscono neppure di aver bisogno di aiuto. d) “Incapacità a progettarsi e ad immaginarsi un futuro”: quando lavorano su temi relativi al loro futuro i giovani dimostrano grandi difficoltà ad immagi- narsi un futuro. Questa è una caratteristica generale dei giovani e viene rile- vata nelle diverse occasioni in cui si svolgono compiti finalizzati alla identifi- cazione di un percorso di vita: non emergono solo idee confuse, piuttosto vi è una assoluta mancanza di idee e la cosa è veramente inquietante in quanto sembrerebbe quasi che i giovani a rischio vivano il presente senza “permet- tersi” di immaginarsi un futuro o, comunque, senza immaginarlo affatto. “Quando avevo la loro età io qualcosa mi immaginavo, a qualcosa puntavo, mentre loro non manifestano alcuna progettualità”. 142 e) “Demotivazione”: è una condizione che riguarda non solo le attività formative ma caratterizza i giovani “a rischio” in tutti i loro atteggiamenti/comportamenti. f) “Difficoltà ad introiettare regole di comportamento e di convivenza sociale”. Ad esempio: “non si parla tutti insieme”; oppure “si va al bagno uno alla volta”, sono regole di comportamento semplici, di convivenza sociale che vengono assunte con estrema difficoltà dai giovani in difficoltà. g) “Livellamento verso il basso”: anche per quest’area del “sé”, come per l’area del “gruppo”, uno dei problemi trasversali che gli operatori hanno segnalato è stato il livellamento verso il basso. Mentre nell’ambito dell’area “gruppo” il “livellamento verso il basso” segnala l’orientamento del singolo, da parte del gruppo, verso comportamenti spesso grossolani e di basso livello senza pro- durre mai un orientamento verso comportamenti ritenuti socialmente approva- bili, nell’area del “sé” il “livellamento verso il basso” segnala la difficoltà del giovane a impegnarsi a livello individuale, a cercare di sviluppare le proprie capacità, a chiedere a se stesso di offrire le migliori prestazioni, scegliendo piuttosto di adattarsi al branco e di rendere il minimo indispensabile. 2.2.4. Le proposte Successivamente all’organizzazione in aree delle difficoltà identificate dai partecipanti al laboratorio ed alla successiva discussione collettiva, il gruppo di operatori si è diviso in sottogruppi di lavoro che avevano lo scopo di approfondire le problematiche relative a ciascuna area e di elaborare alcune proposte e/o possi- bili soluzioni sulla base della loro esperienza e delle loro conoscenze in materia. In seguito, ogni sottogruppo ha presentato in plenaria le proposte relative alle aree di propria competenza, illustrandole ai partecipanti degli altri sottogruppi e in- tegrandole con i suggerimenti che scaturivano dalla discussione. Le proposte espresse nei lavori dei sottogruppi sono state numerose. In parti- colare, il gruppo più consistente è scaturito dall’analisi collettiva dei problemi della prima area, riguardante gli operatori e l’organizzazione. Anche nelle altre aree in cui sono confluite le difficoltà che riguardano specificamente i giovani, i partecipanti hanno indicato alcuni interventi correttivi che coinvolgono gli opera- tori; pertanto si può affermare che le azioni proposte per superare le difficoltà che presentano i giovani a rischio di esclusione formativa sono in gran parte azioni da realizzare con la partecipazione degli operatori. Un primo risultato significativo del workshop risulta quindi essere la ricchezza delle proposte di interventi destinati agli operatori. 2.2.4.1. Area 1: “operatori/organizzazione” L’esperienza concreta che si realizza nel Centro di formazione, il confronto con la classe e con l’istituzione formativa rappresentano per i formatori la messa in discussione di quanto imparato all’università. “Di fronte a questa realtà in un primo momento il formatore è tentato a voler mollare, a voler lasciare, a non sen- 143 tirsi adeguato. Non riesci a stare al passo, non riesci a stimolarli, a coinvol- gerli…Poi poco a poco ti lasci scivolare addosso le cose, subentra il reagire meno a queste difficoltà.. Riesci a preparare la lezione e quando esci dall’aula, vuoi di- menticarti di quella giornata e procedere oltre”. In pratica diviene un modo per sopravvivere. “Poi ti rendi conto che i risultati non li ottieni subito, non fai un in- tervento e raccogli immediatamente il prodotto… normalmente ci vuole del tempo e con i ragazzi in difficoltà ci vuole il doppio di tempo”. Bisogna pertanto che tutti gli operatori si fermino a pensare quali difficoltà emergono, quale strategie adot- tare, come rispondere singolarmente e collettivamente ai problemi che scaturi- scono dalla presenza di un sempre maggior numero di ragazzi portatori di diffi- coltà emotive, relazionali, di rendimento. Esaminando uno ad uno i problemi riscontrati, i partecipanti al workshop hanno indicato diverse proposte di miglioramento. 1) Il poco ascolto che gli operatori prestano ai ragazzi può essere affrontato attraverso ricorrenti interventi di aggiornamento destinati a sviluppare le compe- tenze: a) del tutor: figura chiave e collante tra i giovani in difficoltà e l’istituzione for- mativa. La selezione e lo sviluppo di figure di tutor con competenze idonee al- l’ascolto e alla mediazione diviene un primo passo sicuramente importante per l’ascolto dei ragazzi in difficoltà. Dovrebbe esistere una chiara esplicitazione delle competenze specifiche del tutor che opera all’interno del diritto/dovere all’istruzione e alla formazione, pertanto occorrerebbe arrivare a delineare quali sono le competenze specifiche di un tutor; b) degli operatori, affinché siano in grado di ascoltare i ragazzi: a questo ri- guardo dovrebbero essere realizzate vere e proprie attività di aggiornamento per operatori (formatori, tutor, dirigenti…), educandoli all’ascolto, svilup- pando anche le loro capacità di monitoraggio e valutazione, nonché le capacità di dare una risposta ai bisogni dei ragazzi, conoscendo gli indicatori del dis- agio e capendo come affrontarlo. Sempre finalizzati ad un miglior ascolto, da parte dei partecipanti si auspica che possano essere organizzati interventi di formazione per la prevenzione del “burn out”, educando in particolare i formatori a prevenire i momenti difficili e a gestire i ragazzi in difficoltà e a rischio di esclusione. I partecipanti al workshop hanno ritenuto importante la proposta di istituziona- lizzazione di incontri periodici tra formatori. Al di là di quella che può essere una scelta dei formatori, di incontrarsi periodicamente per discutere problematiche co- muni, il maggiore e migliore ascolto dei bisogni dei ragazzi può ottenersi anche mediante l’avvio di attività circolari e sinergiche per formatori attraverso incontri periodici, affinché essi arrivino a percepire meglio i segnali che partono dai ra- gazzi e possano confrontarsi sulle metodologie e sulle strategie per affrontare i problemi emersi, per trovare possibili risposte condivise. 144 PROPOSTE RIGUARDANTI LE DIVERSE AREE AREA 1: OPERATORI/ ORGANIZZAZIONE AREA 2: EMOZIONI AREA 3: IL GRUPPO PROPOSTE PROPOSTE PROPOSTE ➡ ➡ ➡ AREA 4: AUTONOMIA DEL SÉ aggiornamento degli operatori su tecniche di ascolto, monitoraggio e valutazione della domanda espressa e non espressa programmare e realizzare attività che insegnino la sana competizione es. attività ludiche, sportive, ecc. affiancamento peer to peer moduli di formazione con esperti rivolti a formatori per lo sviluppo del sé e dell’autonomia dei giovani corsi di sostegno per i formatori per la prevenzione del burn out ideare e svolgere moduli per l’apprendimento della gestione delle emozioni attività di promozione dell’autoeffica- cia incontri periodici dei formatori per creare sinergie gli operatori identifichino e applichino in modo condiviso un sistema di regole di fronteggiamento dell’aggressività e le modalità per renderle attuabili formazione degli operatori alle metodologie e alla gestione delle dinamiche di gruppo delineare e sviluppare le competenze del tutor dell’obbligo formativo applicazione di moduli di cooperative learning costituzione di gruppi interdisciplinari in grado di cooperare (tra operatori interni) costituzione di gruppi che operano in rete con esponenti del mondo del lavoro e con il territorio attenta analisi del bisogno e del background del ragazzo/a organizzazione di eventi al fine di socializzare (giornate a tema in cui i ragazzi sono protagonisti) individuare moduli formativi personalizzati per gli elementi più complessi dinamiche di gruppo: - interdisciplinarietà - metodologie didattiche attive (role playng, esercitazioni e simulazioni impiego di figure specialistiche quali psicologi lavoro di gruppo con esperti per sviluppare l’auto/etero percezione dei giovani PROPOSTE ➡ 145 2) Come risposta alle difficoltà che possono scaturire dalla scarsa apertura al confronto tra i formatori su proposte metodologiche innovative, che denoterebbe una formazione dei formatori non adeguata né coerente con le istanze che scaturi- scono dai sempre più numerosi gruppi classe nei quali sono presenti ragazzi in dif- ficoltà, i partecipanti propongono la formazione dei formatori alle nuove metodo- logie e in particolare la formazione nell’applicazione di metodi di cooperative learning all’interno dei percorsi formativi. Sia la formazione nelle nuove metodologie di lavoro, sia la formazione in me- todologie didattiche e relazionali innovative, sia la costituzione di gruppi di opera- tori interdisciplinari al fine di effettuare momenti condivisi di analisi, elabora- zione, progettazione e realizzazione di percorsi di accompagnamento e di forma- zione di ragazzi a rischio di esclusione formativa, rappresentano le strategie che i partecipanti hanno indicato come necessarie per sviluppare le competenze dei for- matori, strategie che ancora non sono sufficientemente diffuse. I gruppi composti da operatori multidisciplinari, che lavorano all’interno delle istituzioni formative al fine di condividere problematiche ed escogitare soluzioni rispetto a queste problematiche, dovrebbero a loro volta essere affiancati da una rete esterna all’istituzione formativa che rappresenti le risorse territoriali, al fine di collegare le risorse interne con le risorse esterne e offrire risposte sinergiche, pro- venienti anche dal territorio (soluzioni relative a problematiche di salute, di la- voro…). Questo potrebbe essere ottenuto attraverso l’organizzazione di gruppi di lavoro misti tra operatori del Centro di formazione ed esponenti del territorio (altri centri/istituti professionali, Centri per l’impiego, informagiovani, ecc.) per l’avvio di incontri e di tavole rotonde finalizzate allo scambio di informazioni ed alla progettazione di azioni comuni. 3) Il coinvolgimento dei ragazzi rappresenta uno dei punti nodali, indicato dai partecipanti al workshop, per l’attivazione di strategie di prevenzione, di recupero e di reinserimento del giovane in difficoltà. Un tale coinvolgimento potrebbe es- sere facilitato da alcune azioni: – anzitutto, dall’analisi del background e dei bisogni del ragazzo (attraverso “bilanci di posizionamento”, essendo ancora troppo giovani per utilizzare le tecniche dei “bilanci di competenze”); – inoltre dall’utilizzazione di metodologie didattiche induttive che partano dagli interessi rilevati, nonché dall’utilizzo di dinamiche di gruppo e di cooperative learning, al fine di assicurare anche l’interdisciplinarietà nelle strategie adot- tate. 4) La difficoltà a coinvolgere i “familiari significativi” dei ragazzi che mani- festano problemi d’inserimento nel Centro di formazione è indicata come uno dei principali ostacoli al recupero. Il lavoro congiunto e concertato tra scuola e fami- glia è una delle condizioni per ottenere risultati durevoli e per incidere sul compor- tamento del ragazzo-problema. D’altronde il ragazzo in difficoltà spesso non è 146 altro che il prodotto di una famiglia-problema (di basso livello economico o cultu- rale…), che la scuola difficilmente riesce a coinvolgere; secondo i partecipanti al workshop il dialogo con la famiglia spesso è difficile anche quando questa non ri- entra tra le famiglie problematiche, pertanto diviene fondamentale poter coinvol- gere tutte le famiglie in attività extrascolastiche ed extraformative, così da far na- scere il dialogo tra operatori della formazione e familiari. Al fine di agevolare l’in- contro con le famiglie i partecipanti hanno proposto l’organizzazione di eventi che permettano di socializzare; ad esempio, l’organizzazione ricorrente di giornate a tema in cui i protagonisti siano i ragazzi stessi (dal calcetto, a pomeriggi culturali dedicati a temi specifici, ecc.). Una seconda strategia vincente potrebbe essere rap- presentata dal valorizzare l’adesione delle famiglie al patto formativo, soluzione che attualmente viene sottovalutata e/o poco sviluppata. 5) La numerosità del gruppo classe, con la conseguente difficoltà a gestire l’aula da parte dei docenti, è un problema che è stato esaminato a lungo dai parte- cipanti. La presenza in aula di elementi portatori di forti difficoltà comportamentali e/o relazionali fa sì che le classi numerose diventino ingestibili in quanto il docente deve offrire grande attenzione agli elementi più deboli, spesso trascurando il la- voro con il resto dell’aula. Al fine di supportare il lavoro docente con interventi mirati al recupero di questi soggetti, i partecipanti hanno indicato la progettazione e la organizzazione di moduli formativi personalizzati per gli elementi più com- plessi, moduli organizzati ad hoc in base alle specifiche carenze riscontrate e of- ferti come supporto pomeridiano alle lezioni. 2.2.4.2. Area 2: “emozioni” Secondo i partecipanti al workshop, attualmente, i corsi per l’obbligo forma- tivo stanno attraversando una situazione critica, i ragazzi si sentono sotto pressione e i docenti spesso devono avere una gran dose di “vocazione” per rimanere in classe; i ragazzi, in particolare quelli che frequentano il primo anno dell’obbligo formativo, sembrano avere come obiettivo di far “scappare” i docenti. Nell’obbligo c’è una “fuga” dei docenti, che si avvicendano (anche quattro in un anno per la stessa materia) spesso senza aver avuto un aiuto dall’organizzazione. I docenti si sentono abbandonati a se stessi e di fronte a fatti gravi come il fumare la canna, lo spacciare in classe, di fronte all’esplosione di momenti di violenza tra giovani o contro qualche docente, episodi che richiederebbero fondamentali azioni di conte- nimento, non trovano un’organizzazione né un sistema che li supporti. Non si tratta di un problema tra un singolo formatore e un ragazzo o una ra- gazza, ma si tratta piuttosto di un problema nuovo del sistema formativo che deve saper affrontare i momenti di conflitto e di aggressività, un sistema che sappia or- ganizzarsi sulla base di valori condivisi quali, per esempio, il rispetto. I ragazzi “in difficoltà” d’inserimento nell’ambito formativo, i ragazzi che ma- nifestano problemi d’inserimento nel gruppo-classe e nell’istituzione formativa non partecipano alle discussioni di gruppo, evitano il confronto e dimostrano una 147 scarsissima capacità di astrazione. Il saper trattare argomenti e la condivisione di concetti attraverso le discussioni di gruppo spesso sembrano rappresentare una modalità di dialogo estranea al loro modo di ragionare e di affrontare le cose. Se partecipano ad una discussione è per litigare e le loro modalità di interazione si manifestano attraverso il confronto fisico e verbale. Di fronte ad episodi che sfociano in comportamenti violenti e aggressivi di qualche allievo/studente, le risposte più frequentemente adottate dall’istituzione formativa dipendono dalla personalità degli operatori, sembrano essere di due tipi e spesso vengono utilizzate entrambe in modo consequenziale: – l’ascolto e il dialogo chiarificatore: si interviene direttamente con il ragazzo/a e si chiede una spiegazione spronandolo/a all’analisi di quanto successo (“Perché esprimi il tuo bisogno con questa aggressività?...”); questa modalità non sempre è percorribile (dipende dalla personalità dell’operatore e del ra- gazzo/a coinvolti nell’episodio e dalla gravità dell’ episodio di cui il ragazzo/a è stato protagonista), pertanto a volte è necessario passare alla seconda stra- tegia; – il “contenimento”: si chiama la famiglia, si allontana il ragazzo o la ragazza, oppure si attribuisce un castigo “di pubblica utilità” (riordinare una classe, il corridoio…). Le risposte istituzionali non sempre sembrano ispirarsi a regole condivise da tutto il personale dell’istituzione formativa. Inoltre le risposte che vengono adot- tate dovrebbero tener conto della differenza tra il soggetto giovane, che solo spora- dicamente mostra aggressività, e il giovane che adotta abitualmente atteggiamenti aggressivi, utilizzando comportamenti e linguaggi violenti ricorrenti; con quest’ul- timo il contenimento non basta anzi, se usato come unica strategia, il contenimento attraverso la punizione può divenire una strategia che piuttosto lo allontana e che rafforza i suoi comportamenti violenti, che spesso rappresentano l’unico modo co- nosciuto dal ragazzo o dalla ragazza per affermare il proprio “io”. L’aggressività del giovane spesso è una risposta al suo vivere nel sociale, pertanto l’istituzione formativa deve sviluppare modalità di risposta alternative, che garantirebbero me- glio lo sviluppo dell’empowerment non solo individuale, ma della stessa istitu- zione. Al fine di sostenere le difficoltà che i giovani incontrano nell’area emozionale e di contribuire efficacemente al suo sviluppo e al suo miglioramento, i parteci- panti hanno evidenziato l’importanza di intervenire in modo coerente e condiviso da parte di tutti gli operatori dell’istituzione formativa. Non basta contenere l’epi- sodio di aggressività che vede protagonista il giovane, quanto piuttosto sembra fondamentale offrire una risposta condivisa e concertata tra gli operatori che de- vono divenire, per i giovani, i referenti di modelli di comportamento simili. Questo è possibile solo se, di fronte a episodi caratterizzati dall’alterazione delle emozioni da parte dei giovani, gli operatori sanno interpretarle e sanno in- 148 tervenire in modo non contrastante. Essendo questa un’area estremamente deli- cata, gli interventi e le risposte che i formatori, i tutor, i dirigenti danno ai giovani che presentano difficoltà devono quindi essere omogenee, per cui i partecipanti al workshop hanno convenuto quanto sia prioritario che: a) gli operatori identifichino in modo condiviso un sistema di regole, defini- scano le modalità per renderle attuabili dalla comunità e le adottino a livello isti- tuzionale, in modo da offrire ai giovani che esprimono aggressività o violenza ver- bale e/o fisica dei modelli omogenei di risposta istituzionale. Questo comporta che gli operatori siano aggiornati su queste tematiche e posseggano competenze co- muni in materia. Solo così non solo i formatori ma tutti gli operatori dell’istitu- zione formativa (personale amministrativo, educatori, tutor, ecc.) possono espri- mere risposte omogenee di fronte a episodi di trasgressione, utilizzando il metodo del “rinforzo”. Questo sembra doppiamente importante affinché i messaggi dell’i- stituzione formativa non siano discordanti tra loro come i messaggi che i giovani ricevono dall’esterno. b) Canalizzare e trasformare l’aggressività del giovane attraverso l’apprendi- mento di regole di sana competizione e mediante la realizzazione di attività ludico- sportive. Per ridurre la violenza e l’aggressività che i giovani “a rischio” manife- stano, sarebbe importante organizzare attività di tipo competitivo, attraverso le quali i ragazzi possano canalizzare l’aggressività e, allo stesso tempo, imparare a condividere con il gruppo regole accettabili per il confronto. La competizione sana, rappresentata dai giochi sportivi e da concorsi tra ragazzi (il filone dell’“out- door training” sarebbe di sicuro aiuto per questo tipo di attività), può agevolare l’apprendimento di tecniche di gestione dell’aggressività e facilitare la nascita di uno spirito di gruppo positivo, con regole che possono contrastare le regole del “branco”. c) Ideare e svolgere in orario extrascolastico moduli finalizzati all’apprendi- mento della gestione delle emozioni. I ragazzi sono messi in condizione di interio- rizzare e di condividere il sistema di regole dell’ambiente formativo entro il quale si muovono ed hanno la possibilità di incanalare l’aggressività attraverso l’ado- zione di regole di sana competizione. Con questa terza proposta i ragazzi possono riuscire ad esprimere la propria creatività senza vergognarsi ma dando il giusto peso ai comportamenti dettati dalle emozioni, attraverso la conoscenza pratica del mondo dei sentimenti e delle strategie per la loro gestione. “Sarebbe importante e utile che i giovani partecipassero a momenti dedicati all’apprendimento della ge- stione delle emozioni, momenti diversi da quelli dedicati alle attività formative... le emozioni vanno gestite, in particolare l’aggressività”. All’io scoraggiato, deluso, frustrato del giovane che si esprime e comunica attraverso l’aggressività, va offerta la possibilità di un rinforzo positivo e di una rivalutazione affinché poco alla volta, anche attraverso una catena di insuccessi, possa riscattare le risorse positive che si- curamente ha, ed esprimerle riuscendo a gestire l’aggressività. 149 Attraverso moduli finalizzati all’apprendimento della gestione delle emozioni (sviluppati in parallelo alle attività formative), affiancati da attività ludico-sportive per l’apprendimento di modalità di sana competizione, i giovani possono anche apprendere a esprimere le loro capacità senza vergognarsi. 2.2.4.3. Area 3: “gruppo” Le problematiche del gruppo sono state esaminate e le proposte scaturite ri- guardano le seguenti attività destinate ai ragazzi: 1) affiancamento “peer to peer”, come risposta alla tendenza di un livellamento verso il basso nei comportamenti dei giovani. L’affiancamento tra giovani che possano sostenersi a vicenda e affrontare le difficoltà mediante l’esperienza positiva che alcuni di essi mettono a disposizione di compagni in difficoltà può essere una strategia vincente ed offrire una risposta alla diffusione di com- portamenti negativi. L’affiancamento, per essere efficace, va organizzato e mediato dagli operatori, che attivano processi di selezione-formazione dei ra- gazzi e di controllo delle attività. 2) parallelamente, per quanto riguarda le problematiche relative alla diffusione di una leadership negativa, i partecipanti hanno proposto l’organizzazione di at- tività di promozione dell’autoefficacia dirette ai ragazzi. Contestualmente, i partecipanti hanno indicato alcuni interventi destinati agli operatori/formatori: 1) per contrastare le dinamiche che fanno sì che i ragazzi in aula spesso dipen- dano dai soggetti più turbolenti, adeguandosi ai loro comportamenti o co- munque non opponendo comportamenti alternativi, i partecipanti hanno sug- gerito che i docenti e gli operatori in generale partecipino a corsi di forma- zione alle metodologie di gestione delle dinamiche di gruppo. Il far proprie metodologie e strategie che fino a poco tempo fa erano una prerogativa di al- cuni esperti quali gli psicologi, rappresenta un passo importante per atte- nuare/contenere gli effetti della diffusione del bullismo e della prevaricazione dei giovani da parte dei soggetti più turbolenti non solo in aula; 2) in alcuni casi e in alcuni gruppi si rende indispensabile l’impiego di figure specialistiche ed esperte (psicologi, educatori, assistenti sociali, ecc.) che possano interagire con i formatori e con gli operatori per condividere stru- menti e strategie sia per contrastare fenomeni di bullismo a livello individuale, sia per frenare l’applicazione e l’imposizione delle regole del branco a livello di gruppo-classe. Queste figure esperte possono intervenire altresì sulle com- ponenti contestuali che sono coinvolte nelle situazioni di bullismo (la fami- glia, il gruppo dei pari, la polizia, ecc.). 2.2.4.4. Area 4: “autonomia del sé” Le diverse problematiche che sono emerse dal dibattito e che successivamente sono state raggruppate nell’area “Autonomia del sé” rappresentano aspetti cruciali 150 dello sviluppo cognitivo-emotivo e comportamentale del giovane. Due sono le in- dicazioni emerse per affrontare queste problematiche, che coinvolgono sia i gio- vani che gli operatori: 1) relativamente ai giovani, i partecipanti hanno proposto di organizzare dei mo- duli di lavoro di gruppo per sviluppare l’auto/etero percezione dei giovani; i lavori di gruppo dovrebbero essere condotti da operatori non coinvolti nelle attività didattiche né nei laboratori; 2) relativamente agli operatori, i partecipanti hanno proposto di realizzare dei moduli di formazione dei formatori sulle strategie per lo sviluppo del sé e del- l’autostima; i moduli dovrebbero essere condotti da esperti. 2.3. Problemi e proposte per interventi formativi-rieducativi a favore dei gio- vani “tossicodipendenti” (Comunità di Albarè - Verona) Il terzo incontro si è svolto presso una comunità di recupero di giovani tossi- codipendenti, comunità che si articola nel territorio in sedi diverse dove vengono svolte attività anch’esse varie e dove vengono ospitati i giovani a seconda della fase del percorso di recupero in cui si trovano. Chi vi entra, dopo alcuni momenti iniziali di lavoro centrato sulla sua persona che avvengono all’interno della comu- nità, passa gradualmente a riallacciare i contatti con l’esterno, potendo godere anche di un adeguato affiancamento. L’ultima fase del recupero è centrata sull’in- serimento lavorativo. Al workshop hanno partecipato operatori con diverse competenze e funzioni nelle differenti fasi del progetto di recupero, affiancati dalla guida religiosa della comunità. Il confronto con la loro esperienza rispondeva all’esigenza di capire quali sono gli ambiti e le modalità d’intervento nel fronteggiamento e nella cura di problematiche devianti oramai conclamate, al fine di trarne indicazioni e suggeri- menti nella identificazione di ambiti d’intervento preventivi. Quali sono gli aspetti più delicati che gli operatori prendono in considerazione nel loro lavoro quotidiano sui soggetti che entrano in comunità? Quali strategie vengono adottate per modificare comportamenti e atteggiamenti? Sono questi gli interrogativi da cui si è partiti, senza entrare nella specifica descrizione del lavoro che viene svolto in comunità, l’incontro ha voluto cogliere alcune informazioni di metodo, traducibili in indicazioni utili per disegnare percorsi formativi e orientativi preventivi al disagio conclamato. Prima di affrontare il tema delle difficoltà che incontrano gli operatori che la- vorano nel recupero ed identificare le soluzioni da attivare, ogni partecipante – partendo dalla propria esperienza di lavoro, svolta in specifici momenti del pro- getto personalizzato di recupero – ha espresso il “percorso” che realizza la persona dipendente da sostanze tossiche per affrancarsi da tale schiavitù. Dal contributo di ogni partecipante è emerso un percorso “tipo” dei giovani tossicodipendenti, un cammino caratteristico che nasce da esperienze problema- 151 tiche e da rapporti difficili già nell’infanzia o nella adolescenza. La precoce mani- festazione di comportamenti a rischio e devianti sembra essere comune a tutti i soggetti che entrano in comunità. Con l’assuefazione alle droghe, le situazioni pro- blematiche si moltiplicano, ma solo quando subentra la consapevolezza della pro- pria schiavitù iniziano per il giovane i primi tentativi a venirne fuori. Il percorso è contrassegnato da un’alternanza di fallimenti e di successi: non basta per il gio- vane decidere di smettere per trovare le strategie che lo aiutino a superare le diffi- coltà che si presentano a livello individuale e a livello sociale, per cui l’affianca- mento e l’accompagnamento da parte di esperti sono indispensabili. L’entrata in comunità o la presa in carico del giovane da parte di altri servizi ad hoc diventa una tappa obbligatoria. Dalle indicazioni emerse nel workshop diviene chiaro che solo un intervento precoce e preventivo da parte dei soggetti esterni che interagiscono con il giovane adolescente a disagio in scuola e in famiglia (intervento che dovrebbe coinvolgere il contesto formativo e familiare nonché quello sociale in senso lato) avrebbe po- tuto influire nel percorso di fallimenti che ha condotto i giovani in comunità. PERCORSO “TIPO” DEL GIOVANE TOSSICODIPENDENTE CHE ENTRA IN COMUNITÀ Prima fase Infanzia problematica – percorso scolastico accidentato – relazioni a rischio Ø Innamoramento e sperimentazione delle sostanze Ø Dipendenza attiva Ø Abbandono scolastico Ø Lavori precari Ø Esperienza di carcere - Malattie Ø Consapevolezza Ø Richiesta di aiuto Seconda fase Inizio programma terapeutico Ø Ricadute Ø Nuovi programmi (alternanza tra comunità e mondo esterno) Ø Risoluzione 152 2.3.1. Prima fase : il percorso precedente all’entrata in comunità Pur salvaguardando la peculiarità di ogni esperienza e di ogni persona, il per- corso precedente all’entrata in comunità o comunque precedente all’inserimento in programmi di recupero gestiti da altri organismi, secondo la testimonianza degli operatori presenta alcuni elementi ricorrenti: Ambiente familiare fragile (mancanza di regole, inconsistenza di figure genitoriali) Ø Bisogno di accettazione/compensazione/aggregazione Ø Ambiente sociale problematico (gruppo dei pari-contesto socio-scolastico- mercato delle droghe) Ø Comportamenti devianti- delinquenziali. Bisogno di sostanze (annullare le sofferenze) Ø Inconsapevolezza - Difficoltà relazionali Ø Consapevolezza - Necessità di recupero Ø Difficoltà nella ricostruzione del sé (sfide…autostima) La fragilità della persona, accompagnata da difficoltà familiari e da un am- biente sociale deviante rappresentano i tre livelli caratterizzanti il mondo del gio- vane in difficoltà, che manifesta fin dall’adolescenza comportamenti a rischio. La loro concomitanza lo rende “disponibile” all’assunzione di sostanze tossiche. L’ambiente difficile che viene a crearsi attorno al giovane tossicodipendente e le esperienze negative che deve affrontare quotidianamente lo portano alla consape- volezza della propria condizione di emarginato, di escluso e quindi all’accettazione della necessità di recupero di un sistema relazionale e di un ruolo sociale che ha perso. Alcuni giovani decidono di entrare in programmi di riabilitazione diurni, altri scelgono l’ingresso in comunità. Esaminando il percorso che il giovane intraprende all’interno della comunità, emergono tre momenti sequenziali che tengono conto della crescita emotiva e comportamentale del giovane, e che culminano nell’adozione di un progetto perso- nalizzato di inserimento nel mondo esterno in modo progressivo. 2.3.2. Seconda fase: il percorso in comunità Il percorso è accidentato, spesso contrassegnato da ricadute e fallimenti, da evasioni e abbandoni, durante i quali l’opera di auto-rieducazione è tanto impor- tante quanto l’opera e il ruolo degli operatori. In estrema sintesi, in questa prima parte del workshop i livelli indicati dagli operatori come problematici per i giovani in difficoltà sono rappresentati: 153 – dalla fragilità personale, punto di partenza di ogni giovane entrato i comunità, – dalla presenza di una famiglia problematica spesso incapace di affiancare il giovane e – dai rapporti sociali contrassegnati dalla devianza. Al fine di identificare i punti nodali e le strategie più significative per interve- nire nell’opera di prevenzione e di fronteggiamento dell’abuso da sostanze tossiche da parte dei giovani, il workshop si è sviluppato successivamente in due momenti: il primo è stato dedicato alla identificazione delle difficoltà che gli operatori incon- trano nel lavoro di recupero della persona tossicodipendente, successivamente il dibattito si è incentrato sulle risposte e sulle strategie di fronteggiamento che gli operatori attuano in quanto, come segnalato precedentemente, il conoscere le stra- tegie adottate permette la identificazione di strumenti e modalità specifiche di in- tervento da tener conto nell’attivazione di interventi preventivi. A Lavoro sulla motivazione: entrare in comunità, cambiare la propria vita relazionale, cambiare la propria persona B Lavoro sul comportamento: incostanza, poca responsabilità, egocentrismo Lavoro psicologico: sulle difese e barriere personali C Progetto di reinserimento (completa autonomia all’esterno) c. 1 Aspettative ed entusiasmo nell’aprirsi al mondo: investimento nel lavoro, negli impegni socio-relazionali, familiari ed affettivi c. 2 Fatica: difficoltà di continuità rispetto al lavoro – nelle relazioni esterne (Problemi: ripresa della sostanza come strumento di contenimento di questa fatica; allontanamento dalla relazione di aiuto) c.3 Recupero del soggetto e delle proprie capacità: emotive, relazionali, lavorative, ecc. 2.3.3. Le difficoltà Le difficoltà indicate dagli operatori come ostacoli che rendono più difficile l’accompagnamento dei giovani e il loro lavoro di recupero sono state organizzate in tre aree: “Persona”, “Territorio” e “Operatori”. L’area “Persona” include i problemi relativi agli aspetti motivazionali e della personalità del soggetto tossicodipendente, restio ad abbandonare credenze e com- portamenti radicati che lo portano all’isolamento piuttosto che all’integrazione nella vita della comunità, rendendolo spesso impermeabile all’influenza dell’ope- ratore ed, in genere, all’influenza esterna. Anche se indicano il soggetto tossicodi- pendente come soggetto fragile, gli operatori segnalano difficoltà significative ad 154 intervenire sulla sua mancanza di motivazioni ed a produrre cambiamenti che lo facciano uscire dallo stato di demotivazione e di depressione in cui si trova al suo ingresso in comunità. Uno degli aspetti più dibattuti è stato proprio quello della re- sistenza che mostra il soggetto ad accogliere e ad adeguarsi alle piccole regole quotidiane necessarie alla convivenza ed alla vita di gruppo al momento in cui entra in comunità. DIFFICOLTÀ NEL LAVORO CON LE PERSONE TOSSICODIPENDENTI AREA PERSONA AREA TERRITORIO AREA OPERATORI fragilità della persona motivazione e coinvolgimento motivazione (decisione al cambiamento) far reagire una persona da una situazione di passività, di depressione far capire alla persona che è parte in un lavoro di gruppo far capire il senso delle piccole regole quotidiane disponibilità delle sostanze ambiente e situazione esterna rimangono invariati lavoro in équipe - lavoro in rete - lavoro “di squadra” gli operatori leggono in modo diverso le stesse regole aspetto disaggregato del percorso (regole in contrasto tra comunità e prassi sociale) intervento “di massa” piuttosto che relazione personale (accompagnamento, mentoring...) risorse scarse DIFFICOLTÀ: DIFFICOLTÀ: DIFFICOLTÀ: ➡ ➡ ➡ 155 Mentre nell’area “Persona” le difficoltà riguardano aspetti propri del giovane tossicodipendente, nell’area “Operatori” sono state raccolte le difficoltà che gli ope- ratori hanno indicato come significative e che riguardano il proprio operato. Le dif- ficoltà segnalate non sono relative alle competenze professionali di ognuno quanto piuttosto sono difficoltà che evidenziano disagi trasversali: difficoltà a lavorare co- me squadra, ad applicare analisi e regole in modo armonioso, difficoltà a persona- lizzare e individualizzare l’intervento, accompagnate da difficoltà che incidono su- gli operatori ma che non rientrano nella loro sfera di azione (carenza di risorse e di coincidenza tra regole ed obiettivi della comunità e regole ed obiettivi del territorio). Gli operatori hanno indicato anche due difficoltà proprie del “Territorio”, se- gnalando come la disponibilità delle sostanze che sono a portata di mano sul terri- torio e, quindi, la facilità di accesso alle stesse, rappresenti un elemento problema- tico per il loro lavoro sul soggetto ed un pericolo sempre incombente. Questo ele- mento, unito al fatto che l’ambiente e la situazione esterna rimangono invariati per il giovane tossicodipendente (che invece in comunità trova condizioni completa- mente diverse), rappresentano sicuramente ostacoli al lavoro di recupero che si in- traprende in comunità. In sintesi, gli operatori indicano aspetti problematici legati: – alla situazione emotiva-comportamentale dei giovani; – a strategie riguardanti l’incidenza dell’operato degli operatori su comporta- menti e credenze ormai radicati; – a condizioni esterne su cui è impossibile intervenire. 2.3.4. Le proposte La riflessione successiva, partita dalle tre aree individuate, è confluita nelle se- guenti indicazioni. L’analisi, che inizialmente si è venuta sviluppando per identificare caratteristi- che e modalità in cui si presentano i problemi, si trasforma in ricerca condivisa del- le soluzioni che gli stessi operatori hanno adottato, nonché in indicazioni di strate- gie e metodi vincenti che possono essere adottati in casi e contesti anche diversi. Anche le proposte emerse dalle riflessioni di quest’incontro suggeriscono in- terventi e strategie da tradurre in buone prassi, ed in particolare l’area della “Per- sona” contiene numerosi suggerimenti da adottare. Quanto alla fragilità della persona, due sono le proposte degli operatori: l’inter- vento psicoterapeutico (necessario per rafforzare la persona) e quello sul contesto or- ganizzativo, che deve mirare a non ostacolare il primo ma piuttosto a facilitarlo, così da rafforzare le indicazioni che vengono veicolate dall’intervento psicoterapeutico. Un’altra difficoltà importante che a volte devono affrontare gli operatori è rap- presentata dalla mancanza di motivazione e di coinvolgimento nonché dalla scarsa capacità di decisione al cambiamento del giovane entrato in comunità. Sono di- verse le indicazioni degli operatori su queste tematiche: sicuramente è necessario selezionare, prima dell’ingresso in comunità, i giovani che realmente sono moti- 156 vati al cambiamento, altrimenti il lavoro compiuto diviene inutile e il fallimento è quasi automatico. Poi è necessario che da subito il giovane si confronti con espe- rienze di successo, positive (“deve sapere che altri ce l’hanno fatta e che anche lui ce la può fare…”). È necessario, per intervenire positivamente sulle sue motiva- zioni, che venga coinvolto in attività gratificanti, sia di tipo ricreativo che cultu- rale, ma che anche il giovane, in particolar modo nella prima fase di entrata in co- munità, possa partecipare ad attività con persone del territorio che entrano in co- munità, rendendosi conto di non essere isolato. A volte gli operatori devono affrontare forti difficoltà per far reagire il gio- vane da una situazione di passività, di depressione. Oltre all’intervento psicotera- peutico, è necessario allora adottare una strategia di coinvolgimento, organizzando attività in cui il giovane ha ruoli di responsabilità riconosciuti dal gruppo. Ma non solo: per far capire al giovane che è parte di un lavoro di gruppo, è anche neces- sario renderlo responsabile di gruppi di lavoro e delle attività del gruppo. Anzitutto, c’è la difficoltà a far capire il senso delle piccole regole quotidiane, perché dalla loro accettazione si rafforza il senso di appartenenza ad una comunità. 2.3.4.1. Proposte per attuare il cambiamento nella persona In sintesi, le proposte per attuare il cambiamento nella persona possono es- sere raggruppate nei punti seguenti. a) Le piccole regole quotidiane hanno un senso. L’importanza del conteni- mento “L’accettazione delle regole è il termometro per valutare l’andamento del per- corso di recupero del giovane”. L’adozione progressiva di piccole regole quoti- diane comuni all’interno della comunità permette che il soggetto che le condivide possa costruire un percorso di apprendimento e di costruzione del sé rinnovato, nato dalla mediazione con l’esterno e che tiene in conto i limiti che impone una convivenza sociale. Infatti il giovane, dopo un lavoro su di sé fatto anche di insuccessi e di abban- doni, impara a vivere in comunità partendo dal rispetto delle piccole regole quoti- diane, impara a gestire le cose che possiede: “a partire dalla gestione delle siga- rette… impara il senso del limite, ne gestisce un numero limitato, rispetta quelli che non fumano e non desiderano condividere i loro spazi con quelli che fumano”; al tempo stesso impara a confrontarsi con le regole esterne. Auto-limitandosi, poco a poco riesce a programmare e a decidere l’organizzazione della propria vita in ar- monia con gli altri. L’apprendimento del senso delle regole da parte del giovane rappresenta il primo coronamento del lavoro degli operatori, è l’idea regolatrice dell’avvio del percorso che il giovane intraprende. Il compito degli operatori è un compito pro- blematico, perché è difficile incidere su comportamenti radicati e spesso immaturi che non riconoscono l’importanza delle regole. L’adozione di regole favorisce la strutturazione della persona. 157 PROPOSTE PER L’AVVIO DI INTERVENTI DI RECUPERO DELLE PERSONE TOSSICODIPENDENTI AREA PERSONA AREA TERRITORIO AREA OPERATORI intervento psicoterapeutico intervento sul contesto organizzativo confronto con esperienze positive organizzare attività gratificanti ricreative e culturali (principio del piacere) selezionare le persone motivate al cambiamento organizzare attività con persone del territorio che entrano in comunità organizzare attività in cui ha ruoli di responsabilità riconosciuti dal gruppo dare dei ruoli di responsabile dei gruppi di lavoro, delle attività del gruppo difficoltà a far capire il senso delle piccole regole quotidiane disponibilità delle sostanze ambiente e situazione esterna rimangono invariati incontri di studio/riflessioni - incontri informali intervento periodico di un supervisore esterno confronto in équipe l’educatore-operatore “sceglie” di aver tempo per l’ascolto creare “situazioni” informali di incontro diversificazione di offerta di programmi razionalizzazione della spesa PROPOSTE: PROPOSTE: PROPOSTE: ➡ ➡ ➡ 158 b) La persona è parte di un gruppo Attraverso specifici programmi terapeutici che si basano sull’organizzazione di lavori complessi attribuendo responsabilità specifiche a ogni membro del gruppo, si sviluppa il senso di appartenenza della persona al gruppo e maturano le capacità di condividere il lavoro. Mediante strategie organizzative della vita in comunità, questo messaggio viene rafforzato quotidianamente. c) Dare dei ruoli di responsabilità nelle attività, nel gruppo A seconda dell’esperienza e della motivazione che ogni giovane manifesta, ma anche a seconda del momento del percorso di recupero in cui si trova, vengono at- tribuiti ruoli di responsabilità nei lavori o nel tempo libero. Questa strategia ha ef- fetti positivi sia nel giovane sia nell’organizzazione generale delle attività. Nel gio- vane, in quanto egli ha la possibilità di misurarsi e di impegnarsi, ma anche nel- l’organizzazione delle attività, in quanto la distribuzione chiara di responsabilità rende più trasparente la stessa organizzazione. 2.3.4.2. Proposte per agevolare il lavoro degli operatori A loro volta le proposte per agevolare il lavoro degli operatori possono essere così sintetizzate. a) Lavoro di équipe, lavoro in rete, lavoro di squadra Il lavoro condiviso, tra gli stessi operatori e tra operatori e referenti esterni, è fondamentale, ciò è anche dovuto alla necessità di dare risposte diverse e sempre creative ai problemi che si possono presentare. Per facilitare un lavoro di squadra è necessario: – organizzare momenti ricorrenti di riflessione, condivisa dai diversi operatori interni ed esterni, non solo per affrontare argomenti di vita quotidiana e di cose pratiche. A questi momenti dovrebbero partecipare anche un supervisore che, come osservatore esterno, potrebbe offrire al gruppo un apporto non di parte grazie alla sua esperienza in materia. Inoltre il gruppo dovrebbe organiz- zare momenti di confronto, poiché a volte gli stessi operatori possono leggere in modo diverso le stesse regole, così da evitare di assumere comportamenti discordanti e adottare in tal modo un comportamento concordato. A seconda delle tematiche, i momenti di riflessione dovrebbero essere aperti anche a re- ferenti esterni, per programmare meglio il lavoro e creare una rete comunità- territorio di sostegno al lavoro con i giovani; – organizzare incontri informali tra operatori, al di fuori dell’ambiente della co- munità, per creare uno spirito di squadra anche indipendentemente dal con- testo lavorativo. L’attività degli operatori spesso deve fare i conti con il con- trasto tra le regole che la comunità sta adottando e che chiede ai suoi membri di condividere e le regole imperanti nella società esterna. Questa differenza spesso è difficile da gestire ma si richiede all’operatore di essere un portavoce delle regole comunitarie; pertanto è necessario che la sinergia tra gli operatori 159 non scaturisca solamente dalla condivisione di metodi e strategie lavorative, ma nasca da esperienze condivise anche al di là del lavoro in comunità. b) Gestione del contrasto che si può presentare tra le regole/valori volti al con- tenimento e le regole/valori esterni Spesso può nascere un contrasto tra il vivere in comunità e i valori e le moda- lità di vita che il giovane trova al di fuori. La mission della comunità è quella di trasmettere valori e principi di vita nuovi per il giovane che entra, principi che lo rafforzino nella sua lotta contro la dipendenza e gli offrano la possibilità di co- struire un significato diverso al suo stare al mondo. In estrema sintesi, in comunità si lavora a due livelli: da una parte, attraverso i messaggi educativi e un confronto ricorrente si interviene sulla ricostruzione del “sistema culturale” del giovane, su suoi valori e sulle sue motivazioni; dall’altro, attraverso la sperimentazione di nuove modalità di vissuto che si trasmettono attraverso l’organizzazione quoti- diana e che hanno un significato di salute, di benessere che il giovane poco a poco fa proprie, la comunità dimostra al giovane che “vivere diversamente, in un altro modo” è possibile. Il giovane sperimenta una situazione positiva che gli permette di superare quelle fragilità che si porta dentro, per rafforzarlo e non uscire sconfitto nell’impatto con “il fuori”, con un mondo esterno che spesso è faticoso in quanto vissuto in condizioni di devianza e di precarietà. c) Ascolto e attenzione personalizzata La motivazione al cambiamento e al recupero passa attraverso la relazione personalizzata, l’attenzione alla persona, l’affiancamento e l’accompagnamento in- dividuale. Non sono efficaci solo gli interventi generalizzati, ma è importante dedi- care tempo all’ascolto anche attraverso la creazione di momenti informali che age- volino l’incontro tra operatore e giovane (una gita, una passeggiata...). d) Attivazione di risorse finanziarie La difficoltà inerente la mancanza di risorse finanziarie viene superata attra- verso la diversificazione di offerta di programmi e la costruzione di una rete anche esterna, che renda possibile l’accesso a finanziamenti diversificati. Questa politica va abbinata ad una diversa gestione e razionalizzazione delle risorse esistenti, in una logica di risparmio. Parte terza IPOTESI DI MODELLO SISTEMICO PER PERCORSI/PROGETTI FORMATIVI “DESTRUTTURATI” PER L’INCLUSIONE SOCIO-LAVORATIVA DI GIOVANI SVANTAGGIATI 163 Capitolo 4 Sintesi delle “buone prassi” emerse dall’analisi dei progetti e dai “laboratori progettuali” ed elaborazione di un modello sistemico di riferimento Vittorio PIERONI Secondo quanto previsto nel progetto di fattibilità, l’indagine si è sviluppata su un doppio binario che prevedeva, in un primo momento, la ricognizione di pro- getti-pilota già realizzati a favore di categorie di giovani svantaggiati, al fine di in- dividuare le buone prassi messe a punto per offrire opportunità formative mirate al (re)inserimento formativo e/o lavorativo; e, in un secondo momento, un’analisi su come questi stessi obiettivi sono stati conseguiti attraverso esperienze-pilota realiz- zate attualmente in alcuni Centri del CNOS-FAP. Prima di passare a riportare i risultati ricordiamo che le attività prese in consi- derazione in questo studio riguardano, in entrambi i casi, le categorie degli immi- grati, dei tossicodipendenti (ed ex) e più in generale dei giovani in vario modo a ri- schio di esclusione. 1. L’ANALISI DEI PROGETTI Per ognuna delle tre categorie esaminate nel capitolo 2 richiamo le conclusioni più significative e qualificanti. 1.1. I progetti comunitari Gli 11 progetti comunitari appartengono a differenti Regioni del nord, del centro e del sud/isole, prendono in considerazione un’utenza che, oltre ad apparte- nere alle tre categorie menzionate sopra, si presenta piuttosto variegata quanto a composizione numerica (da qualche decina di utenti ad un centinaio ed oltre), alla durata del progetto (da un minimo di 12 mesi fino ad un massimo di 30) e al budget di supporto (da 500 milioni fino a circa 2 miliardi di lire). Al tempo stesso la metodologia d’intervento appare comune e finalizzata al- l’obiettivo primario dell’iniziativa comunitaria YOUTHSTART (“Approccio cen- trato sulla persona”) ed ai 4 cardini su cui esso è impostato: 164 1) coinvolgimento; 2) responsabilizzazione; 3) formazione; 4) inserimento/accompagnamento. Tuttavia l’analisi si fa ancor più interessante al momento in cui emergono, nonostante le diverse tipologie d’utenza ed altrettante strategie d’intervento mirate ad obiettivi diversificati, linee metodologiche comunemente condivise/adottate. Tutto questo induce a ritenere che esse facciano parte di un processo/percorso ormai sostanzialmente condiviso nella sua struttura portante tra coloro che inten- dono mettere a punto progetti finalizzati al (re)inserimento formativo e/o lavora- tivo di categorie di giovani svantaggiati e/o a rischio di esclusione. Tali metodologie, sintetizzate nelle loro strategie di applicazione, possono di conseguenza essere considerate vere e proprie “buone prassi” e, come tali, andare a comporre/completare il quadro delle linee-guida che fanno da riferimento/sostegno a iniziative promosse a tale scopo. Passando ad analizzare in concreto le “nuove metodologie” (così come ven- gono definite e comunemente adottate negli 11 progetti comunitari), troviamo che esse fanno capo alle seguenti azioni strategiche d’intervento: 1) in genere si è partiti effettuando un’analisi sui bisogni formativi e occupazio- nali dei giovani del territorio, con particolare riferimento alle categorie svan- taggiate; 2) successivamente, o talora contemporaneamente, si è passati alla composi- zione/attivazione della rete locale (costituita da istituzioni/Enti pubblici e pri- vati, tra le quali vengono quasi sempre citate scuole, aziende, amministrazioni locali, associazioni varie…), che oltre a definire e a sostenere il progetto nelle differenti fasi, ha contribuito in prima istanza all’individuazione dei casi e/o del target dei beneficiari; 3) una volta definite le categorie dei soggetti svantaggiati, la consistenza nume- rica e l’entità dei bisogni formativi e occupazionali, il passo successivo è con- sistito nel formare gli operatori, ossia nel selezionare personale da preparare opportunamente per gestire attività mirate al conseguimento dei particolari obiettivi sottesi ai progetti; 4) a loro volta gli operatori, dopo essere stati preparati, hanno dato avvio ai per- corsi formativi destinati ai beneficiari; tuttavia prima di procedere all’allesti- mento di vere e proprie attività corsuali, il primo passo è consistito nell’atti- vare servizi informativo-orientativi, allo scopo di predisporre l’utenza verso i possibili traguardi da conseguire; tali servizi prevedevano una o più tra le se- guenti attività: - lo sportello informativo; - l’analisi individualizzata del fabbisogno formativo-occupazionale; - il bilancio di competenze e/o di posizionamento; 165 - la preparazione di un percorso/progetto individualizzato; - e, là ove possibile, il diretto coinvolgimento delle famiglie; 5) viene al seguito la fase formativa vera e propria, articolata secondo i differenti obiettivi previsti da ciascun progetto; tale fase tuttavia, pur nelle differenze progettuali-formative, ha puntato su alcune azioni-guida, tra cui: - il patto formativo (con il soggetto e/o con le famiglie); - la (pre)formazione in laboratori con tutoraggio individualizzato a scopo orientativo; - la strutturazione dei corsi distribuita in alternanza tra ore di teoria e quelle dedicate alla pratica in laboratori o direttamente in azienda tramite stage o i cosiddetti “tirocini di svezzamento”; 6) infine tutti i progetti nella fase terminale hanno previsto l’inserimento lavora- tivo; questo poteva avvenire a livello dipendente, autonomo (se finalizzato al- l’autoimprenditorialità) o in cooperativa, tuttavia comportava sempre un pro- cesso di accompagnamento indiividualizzato gestito sotto varie forme, tra cui quelle comunemente adottate riguardano: - l’inserimento lavorativo secondo modalità protette; - l’avvio di attività autoimprenditoriali sotto forma di incubatura d’impresa; - i contratti di apprendistato. Nell’insieme delle procedure realizzate questi progetti vantano la sperimenta- zione di nuove metodologie/misure a sostegno di particolari categorie di giovani svantaggiati, che nell’insieme hanno prodotto: – nuovi servizi informativo-orientativi; – educazione territoriale; – sostegni personalizzati; – analisi sui bisogni formativo-occupazionali di soggetti a rischio di esclusione dal mercato del lavoro; – individuazione di nuovi spazi occupazionali; – interventi integrati tra la formazione ad una professione specifica e l’inseri- mento lavorativo; – recupero di professioni/attività artigianali scomparse o in declino; – creazione di nuovi profili professionali; – creazione di reti/organismi di collegamento territoriale; – coinvolgimento delle famiglie; – rapporti con il sistema delle imprese; – scambio di metodologie d’intervento tra operatori e/o tra organismi/strutture coinvolte nel progetto; – attività di accompagnamento nella gestione del tempo libero; – processi di alternanza attuati in qualsiasi momento dell’anno scolastico-forma- tivo. 166 1.2. Le esperienze/attività a favore di categorie di giovani svantaggiati pro- mosse all’interno dei Centri del CNOS-FAP Anche il modello comunemente adottato in vari Centri del CNOS-FAP sostan- zialmente ha fatto riferimento alla griglia utilizzata nei progetti comunitari, suddi- visa nelle stesse 4 macroaree (coinvolgimento, responsabilizzazione, formazione, inserimento e accompagnamento), le quali a loro volta fanno capo ad una serie di descrittori di azioni da svolgere nella fase di realizzazione. Dal quadro valutativo riportato si evince che pressoché tutte le attività previste nella griglia sono state attuate, per cui le “buone prassi” hanno permesso di deli- neare un modello ideale che anche altri in seguito hanno imitato nel promuovere interventi a favore di soggetti svantaggiati. In sintesi tale modello si basa sulle se- guenti azioni: 1) si è partiti anzitutto da un’azione di “coinvolgimento” del soggetto nel Centro, analizzando in primo luogo le sue attese e motivazioni, confrontandole con l’offerta formativa del Centro e presentando successivamente le figure coin- volte e gli ambienti in cui si troverà inserito; 2) attraverso la fase della “responsabilizzazione” si è passati poi a definire nei confronti di ciascun utente un percorso formativo personalizzato; 3) a questo punto è stata avviata la fase vera e propria della “formazione”, la quale prevedeva apprendimenti di competenze di base, trasversali e professionali; 4) per arrivare infine a concludere il percorso attraverso l’“inserimento” in un’e- sperienza lavorativa sul campo supportata da processi di “accompagnamento”. Il successo conseguito attraverso questi quattro passaggi che caratterizzano il percorso, suggellato anche da quanti hanno poi cercato di imitare tale modello, non fa che confermare, congiuntamente a quanto emerso nei progetti comunitari, la va- lidità delle prassi sottese all’itinerario in questione. 1.3. I progetti “altri” Questi, sebbene si discostino in parte dal modello sistemico adottato nei pro- getti comunitari e dal CNOS-FAP, sono stati riportati nell’intento di analizzare anche altre possibili soluzioni da dare alla problematica. Tra le “buone prassi” pre- senti al loro interno e che hanno contribuito al successo delle iniziative, vanno menzionate: – il ricorso a un’indagine previa per analizzare i fattori correlati alle condizioni di disagio e di rischio che si manifestano tra la popolazione giovanile di un de- terminato territorio; – la particolare attenzione data alla selezione degli operatori (sulla base della vocazione a educare e a saper lavorare assieme per assolvere a tale compito) e all’offerta nei loro confronti di una formazione ad hoc per lavorare con sog- getti svantaggiati; 167 – la finalizzazione di certi progetti alla creazione d’impresa sotto forma di co- operative o di autoimprenditorialità, talora in modo protetto (incubatura d’im- presa…); – la socializzazione di tali attività promuovendo convegni/seminari di studio e pubblicazioni varie. Tutte strategie che anche in questi casi l’esperienza ha confermato risultare “vincenti” nel promuovere e portare a termine azioni a favore di soggetti svantag- giati e, come tali, da classificare tra le “buone prassi”. 2. LE PROPOSTE EMERSE DAI TRE “LABORATORI PROGETTUALI” Diversamente dall’analisi precedente che è stata articolata per categorie di pro- getti, la presente disamina si svolge secondo un’impostazione di natura trasversale. 2.1. La diagnosi sulle aree-problema L’analisi sui 3 laboratori effettuati su altrettante categorie di giovani-problema presenti in attività gestite dal CNOS-FAP (tossicodipendenti, immigrati e a rischio di esclusione) ha portato a raggruppare le difficoltà che essi incontrano attorno a tre macro-aree: 1) emozionale 2) relazionale/comportamentale 3) cognitiva/culturale/professionale 1) L’area emozionale si caratterizza in questi soggetti per una mancata crescita del “sé” e per processi di identificazione incompiuti e/o presi a prestito da com- pagni/amici o da altre identità “negative”, quasi sempre in assenza di figure di “adulti positivi” (familiari, educatori…). 2) L’area relazionale/comportamentale presenta fenomeni di devianza/emar- ginazione e/o di mancata integrazione nel tessuto sociale di riferimento, spesso in conseguenza del venir meno di quei sistemi istituzionali che invece dovrebbero fare da sostegno (famiglia, sistemi educativi di istruzione e di formazione, istitu- zioni locali…). 3) Dal canto loro entrambe queste aree si intrecciano in un rapporto di causa- effetto con le carenze proprie della dimensione cognitiva, culturale e professionale dei giovani svantaggiati (assenza di titoli di studio e/o di professionalità valide per accedere al mondo del lavoro, cultura di base modesta, ignoranza delle lingue estere e/o di quella del Paese di accoglienza…); pertanto, questi si trovano in tal modo deprivati di quelle occasioni di cui usufruiscono i loro pari, a meno che non si intervenga offrendo loro una “ulteriore opportunità”. 168 2.2. La prognosi sulle strategie d’intervento A fronte di questo scenario i partecipanti ai vari workshop hanno proposto strategie di risposta che sostanzialmente possono essere raggruppate in interventi di tipo: 1) educativo-formativo 2) metodologico-organizzativo 1) Interventi di carattere educativo-formativo Prima ancora di esaminare quali opportunità educativo-formative “destruttu- rate” offrire ai propri utenti, gli operatori delle diverse strutture hanno avan- zato l’esigenza di usufruire di ulteriori e più approfondite competenze specia- listiche per poter lavorare con soggetti portatori di particolari difficoltà, deci- samente superiori a quelle della più generale condizione giovanile. In più mo- menti ci si è richiamati infatti al bisogno di organizzare corsi ad hoc di forma- zione per formatori, quale conditio sine qua non per sentirsi all’altezza dei non facili compiti che vengono affidati loro. Tutto questo risponde pienamente a quanto evidenziato nei progetti comunitari a proposito della necessità di for- mare gli operatori ancor prima di avviare percorsi formativi “destrutturati”, destinati a particolari categorie di soggetti svantaggiati. A seguito di questa premessa sono scaturite poi le proposte formativo-educa- tive, mirate a venire incontro a ciascuna categoria di utenza e/o a peculiari condizioni di disagio di cui erano portatori i soggetti in trattamento. Tali proposte hanno riguardato tanto l’area della formazione della personalità che quella prettamente di tipo culturale-professionale. Per quanto riguarda l’area della formazione della personalità, si è fatto dap- pertutto riferimento all’esigenza di partire dalla elaborazione di progetti perso- nalizzati, ossia di moduli formativo-orientativi gestiti da tutor/mentor, attra- verso i quali possono essere svolte attività in forma innovativa/flessibile/per- sonalizzata, con l’intento di offrire una formazione mirata, a seconda delle dif- ferenti categorie di svantaggio. Per gli apprendimenti di tipo culturale-professionale, sono stati suggeriti inter- venti che prevedono: – azioni mirate al recupero degli apprendimenti, in modo da consentire al soggetto in difficoltà di conseguire un bagaglio adeguato di risorse di base (conoscenze, competenze, abilità…); – azioni mirate all’acquisizione di nuove/specifiche abilità, competenze, co- noscenze, in grado di sviluppare ulteriori apprendimenti finalizzati alla rea- lizzazione di un progetto personalizzato; – e, contestualmente a tali attività, azioni in grado di garantire procedure di accompagnamento che contribuiscano a facilitare il percorso di apprendi- mento in chiave di stabilità, efficacia, soddisfazione. 169 2) Interventi di carattere metodologico-organizzativo Per la messa in atto di questi interventi sono stati chiamati in causa: la figura del tutor/mentor, l’utilizzo di un “Centro risorse” e/o di appositi laboratori, la rea- lizzazione di determinati stage finalizzati all’inserimento lavorativo mediante specifiche azioni di accompagnamento. Considerata la particolare situazione degli utenti, appare decisivo l’investimento in questa attività della risorsa-uomo e/o di operatori dotati di particolari capacità metodologico-pedagogiche. Ulteriori suggerimenti emersi dai laboratori hanno riguardato i seguenti aspetti. a) Il coinvolgimento dei genitori nella vita del Centro attraverso un “patto formativo”, che preveda: - una costante interazione tra essi e l’istituzione formativa e tra essi e gli operatori; - l’organizzazione di incontri formativi per genitori e/o di incontri perio- dici di confronto sulle problematiche emergenti (disciplinari, interdisci- plinari, tutoraggio, accompagnamento…); - una loro diretta partecipazione nell’organizzazione di eventi curricolari (analisi, progettazione, elaborazione di nuovi percorsi formativi, acquisto di strutture, attrezzature…) ed extracurricolari (gite, feste, gare sportive, attività espressive, momenti di condivisione della vita del Centro, mani- festazioni culturali, laboratori musicali…). b) L’organizzazione di interventi a rete e/o di una rete territoriale: è stato chiesto in particolare di collegare le risorse del Centro (umane, tecnolo- giche, strutturali…) con quelle presenti sul territorio (altre scuole, Centri, Informagiovani, sportelli/centri per l’impiego, associazioni…), per lo svi- luppo di interessi comuni. Strategia quest’ultima che è stata anch’essa am- piamente convalidata dalle “buone prassi” emerse dall’analisi dei progetti. 3. IPOTESI DI MODELLO SISTEMICO EMERSO DALL’INSIEME DELLE “BUONE PRASSI” E FINALIZZATO ALLA REALIZZAZIONE DI PROGETTI “DESTRUTTURATI” Il tentativo di ricostruire un modello sistemico rientra nel focus di questo studio, mirato appunto ad elaborare una sintesi tra le “buone prassi” comunemente adottate nei progetti analizzati e quanto emerso/suggerito nei “laboratori proget- tuali”. Il modello si fondamenta su una serie di azioni, a loro volta suddivise e strut- turate in 7 fasi sequenziali. 1) Fase preparatoria di studio/analisi a) È necessario partire anzitutto da una previa analisi sui bisogni formativi e occupazionali dei giovani del territorio, nel tentativo di quantificare il fe- nomeno della dispersione scolastica e di altri fattori di svantaggio. 170 b) Per passare successivamente ad individuare i possibili spazi/sbocchi occu- pazionali; c) Dall’incontro/confronto tra i dati delle due realtà sarà possibile in seguito arrivare a formulare le prime ipotesi circa l’erogazione di un’offerta for- mativa mirata e di altre strategie di supporto (quali percorsi formativi per quali professionalità). 2) Fase di individuazione dei beneficiari e dei partner che costituiranno la rete L’iniziativa difficilmente potrà avere successo e/o usufruire di adeguato so- stegno se parallelamente o successivamente a questa prima azione: a) non si darà seguito alla costruzione della rete, strategia che oltre all’ap- poggio finanziario da parte delle amministrazioni locali contribuisce a dare al progetto un più vasto consenso e visibilità; b) la costituzione della rete permetterà a sua volta che i diversi partner colla- borino all’individuazione del target dei beneficiari; c) infine al sistema delle imprese si chiederà di coinvolgersi attivamente nelle differenti fasi dell’iniziativa, da quella prettamente formativa a quella dello stage, dell’inserimento, dell’accompagnamento e, là ove previsto, anche dei processi di incubatura d’impresa. 3) Fase di formazione dei formatori Questa fase viene a seguito dell’individuazione del target degli utenti e del- l’offerta formativa destinata loro. Di conseguenza la formazione dei formatori assumerà un taglio peculiare a seconda della specificità di questi due elementi e sarà suddivisa tra: a) una parte prettamente pedagogico-psicologica, mirata a preparare i forma- tori a lavorare con soggetti difficili/svantaggiati; b) e una parte prettamente metodologico-didattica, mirata ad acquisire le azioni/strategie necessarie alla conduzione del percorso, dalla fase pre-forma- tiva, a quella formativa vera e propria, all’inserimento/accompagnamento. 4) Fase di pre-formazione Una volta predisposte le condizioni di base si tratterà a questo punto di pren- dere i primi contatti con l’ipotetica utenza, al fine di coordinare l’offerta for- mativa secondo gli obiettivi sottesi al progetto, ossia: a) l’allestimento, in un primo momento, di strutture informative e di attività al seguito (sportelli informativi, siti/servizi on line…); b) mentre in un secondo momento verranno effettuate attività orientative vere e proprie, in grado di incidere sulla personalità del giovane svantag- giato, prima ancora che sulle scelte professionali e occupazionali. Quest’ultimo intervento richiederà a sua volta: c) di elaborare un progetto personalizzato (il più delle volte diretto al recu- pero della personalità, trattandosi per lo più di soggetti a rischio di esclu- sione/emarginazione); 171 d) per arrivare quindi a stipulare con l’organizzazione il cosiddetto “patto for- mativo”, in modo da offrire, almeno nella parte iniziale del percorso, un sufficiente grado di affidabilità circa la volontà di continuare. 5) Fase formativa A seguito di queste azioni preliminari viene poi l’azione formativa vera e pro- pria, così come strutturata da progetto; essa può essere indirizzata sia al recu- pero del proprio bagaglio di conoscenze, competenze, abilità, sia allo sviluppo di nuovi/ulteriori apprendimenti che andranno a comporre il quadro delle unità di apprendimento. In entrambi i casi questa fase si caratterizza: a) per essere destrutturata, secondo la logica pedagogica sottesa ai percorsi di “seconda chance”; b) per l’alternanza tra ore di teoria e pratica; c) per l’allestimento di stage o dei cosiddetti “tirocini di svezzamento” o quant’altro simile. 6) Fase di (re)inserimento (nel sistema produttivo o dell’istruzione) e di accom- pagnamento Ovviamente un progetto destinato all’inserimento lavorativo di categorie svantaggiate non potrà considerarsi completato se non contempla tra le sue azioni anche la fase terminale del percorso formativo, ossia il conseguimento dell’obiettivo ultimo, che è quello di centrare il bersaglio, combinando l’a- zione formativa con un’adeguata professionalità a cui essa era mirata ed il conseguente inserimento nell’attività operativa. In questo caso le “buone prassi” analizzate nei progetti comunitari stanno ad indicare che tale inseri- mento può avvenire sia a livello di lavoro dipendente o indipendente sia in cooperativa, ma in tutti i casi deve essere preceduto da un intervento di ac- compagnamento individualizzato, che a sua volta può essere gestito sotto varie forme: a) con contratti di apprendistato o di formazione-lavoro, quando si tratta di lavoro dipendente; b) oppure, nel caso di autoimprenditorialità, sotto forma protetta (incubatura d’impresa). 7) Fase di verifica e di socializzazione/trasferibilità A seguito di queste azioni occorrerà effettuare (ciò che non sempre è stato fatto o per lo meno non è stato sufficientemente documentato nella precedente analisi dei progetti) delle verifiche ex-post. Queste permettono di valutare l’ef- ficacia dell’offerta formativa e della relativa metodologia, ma soprattutto la validità del progetto nell’insieme delle sue azioni, da quella progettuale alla sua realizzazione, la standardizzazione delle “buone prassi” adottate e la tra- sferibilità delle stesse ad altri processi/progetti d’intervento con giovani a ri- schio di esclusione. 173 Capitolo 5 Proposte pedagogico-metodologiche a supporto di progetti “destrutturati” per l’inclusione dei giovani svantaggiati1 Vittorio PIERONI - Guglielmo MALIZIA2 1. LA PEDAGOGIA SOTTESA ALLA MISSION DEI PROGETTI PER L’INCLUSIONE DEI GIO- VANI SVANTAGGIATI Gli elementi fondanti la mission del sistema formativo integrato dei Paesi del- l’UE prevedono di consentire ad ogni cittadino l’acquisizione di una cultura gene- rale e di specifiche competenze professionali. Tutto questo fa capo ad un principio di giustizia sociale secondo cui ogni cittadino è titolare di un diritto-dovere allo studio in modo da valorizzare il proprio potenziale ed evitare al tempo stesso che si creino stratificazioni sociali tra coloro che “sanno” e “sanno fare” e coloro che invece restano ai margini della società. Gli studi più recenti sulla psicologia dell’apprendimento sottolineano l’impor- tanza delle diversità individuali nei processi educativo-formativo e negli stili co- gnitivi. Si tratta di studi che fanno riferimento ad interventi personalizzati nell’a- zione educativa, dove il problema dell’apprendimento viene interpretato in base alla concomitanza di due fattori: 1) il cambio culturale, dovuto alla crescente/diffusa importanza dei saperi tec- nico-scientifici, i quali si rendono sempre più opportunamente accessibili/ac- quisibili anche al di fuori dei tradizionali canali formativi (quali la scuola ed i Centri di formazione di varia entità); 2) la facile inclinazione a ricorrere all’intelligenza pratica e/o creativa piuttosto che a prolungati percorsi di apprendimento basati su processi teorico-analitici. Tutto questo viene favorito dalle varie opportunità che l’educando incontra, fa proprie e “capitalizza” lungo il percorso di crescita formativa. Per cui la “persona- lizzazione” rappresenta così l’approccio educativo più adeguato a rilevare le capa- cità peculiari di ciascuno e a condurre l’individuo a “capitalizzare” le proprie per- 1 Nell’elaborare questo capitolo si è fatto riferimento in particolare alle linee guida sui “percorsi destrutturati”che il CNOS-FAP ha proposto attraverso un’apposita pubblicazione: Cfr. D. NICOLI (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’Istruzione e della For- mazione Professionale, Roma, CIOFS/FP – CNOS-FAP, 2004, pp. 67 ss. e 287 ss. 2 Il capitolo è stato scritto da Vittorio Pieroni e rivisto da Guglielmo Malizia. 174 formance. Le scelte professionali vengono in tal modo elaborate lungo un pro- cesso/percorso evolutivo segnato da stadi progressivi, a loro volta caratterizzati da compiti che l’individuo cercherà di assolvere di volta in volta, al fine di pervenire a scelte soddisfacenti per sé e la società. In questo modo il processo/percorso educativo-formativo viene ad acquisire un significato nuovo, in quanto pone il soggetto in una situazione di cimento per- sonale, dove si sviluppano esperienze di vita che consentono un cammino di nuova identità. Tutto questo permette al processo formativo di svilupparsi attraverso un’esperienza reale, attiva, dove la persona entra in gioco nelle situazioni in modo diretto, mettendo alla prova il proprio patrimonio di conoscenze, abilità e persona- lità. In tale ambito diventa “qualificante” poter offrire, in particolare ad un’utenza adolescenziale/giovanile a rischio di esclusione, proposte secondo la metodologia della “seconda opportunità”. Una proposta formativa, dal carattere flessibile e fortemente personalizzato, che “capitalizzi” l’esperienza concreta e che sia centrata sull’acquisizione di com- petenze utili e sull’attribuzione di senso agli apprendimenti proposti, sembra quindi essere particolarmente valida per soggetti che presentano uno stile di ap- prendimento che privilegia l’intelligenza pratica i quali, dopo un’esperienza di fal- limento e/o di abbandono, si rivolgono al sistema di Istruzione e Formazione Pro- fessionale per usufruire di una ulteriore opportunità formativa. Cosa fare concretamente, quindi, con questi adolescenti che non riescono a scegliere, che a fronte di stimoli non trovano un motivo per attivarsi, che richiesti di un impegno preferiscono l’abbandono o il disimpegno? Una risposta in tal senso viene dalla proposta della UE di realizzare per- corsi/progetti “destrutturati” per l’inclusione di particolari categorie di giovani nei processi formativo-occupazionali a fronte di un reale rischio di esclusione. 2. PRINCIPI ISPIRATORI E AZIONI-GUIDA PER LA REALIZZAZIONE DI PERCORSI/PROGETTI “DESTRUTTURATI” Vediamo anzitutto cosa si intende per percorsi/progetti “destrutturati”. Ven- gono definiti tali in quanto si tratta di itinerari mirati alla prevenzione e al recupero di forme di disagio sociale, ossia intendono dare ulteriori opportunità formative ad utenti con particolari caratteristiche di difficoltà. La loro natura risponde a ciò che nei Paesi dell’UE viene definita come “seconda chance” in tema di diritti forma- tivi, ossia un insieme integrato e coerente di spazi/interventi formativi volti a favo- rire, attraverso esperienze di accoglienza, orientamento e accompagnamento, la crescita integrale di soggetti che in qualche modo non hanno potuto usufruire della “prima opportunità”. La premessa dalla quale partire per promuovere progetti territoriali per l’inclu- sione di categorie di giovani svantaggiati è di rendere trasparente la caratteristica di “processo” che devono avere. Essi non si presentano come un assemblaggio di 175 moduli statici e separati, di durata limitata e caricati di obiettivi rigidi e di risorse umane e finanziarie predeterminate. Quest’approccio tradizionale ai progetti viene trasformato in uno più flessibile, con obiettivi intermedi che si realizzano in quanto parti di un processo che accetta la ridefinizione delle attività, all’interno del quale la mobilitazione degli attori locali può introdurre varianti al percorso disegnato, dove il monitoraggio e l’autovalutazione divengono parti necessarie del progetto, proprio per affiancare e sostenere la nuova flessibilità e la nuova apertura agli input che provengono dal territorio. Piuttosto che una formula assistenzialistica tout-court, nei confronti delle cate- gorie di soggetti svantaggiati ci si pone quindi attraverso un’offerta formativa va- riegata e contemporaneamente all’insegna della flessibilità, tale cioè da consentire all’utente di recuperare le risorse personali (ri-motivazione), per poi dotarlo di nuove opportunità sulla base delle conoscenze, competenze, abilità acquisite. Questa strategia a favore di segmenti deboli del sistema formativo è stata adottata da tempo nei Paesi dell’UE al fine di garantire ai giovani in difficoltà una ulteriore opportunità di istruzione, per sviluppare la motivazione, la capacità di im- parare ed apprendere le conoscenze di base e le attitudini sociali; il Libro Bianco3 propone una serie di azioni: – intraprendere azioni di concertazione e di partenariato con gli operatori econo- mici e attori del tessuto sociale; – coinvolgere le imprese fin dall’inizio dell’iter; – utilizzare una pedagogia basata su ritmi adatti per questa particolare categoria di utenti; – associare all’azione le famiglie e gli assistenti sociali; – far ricorso il più ampiamente possibile alle tecnologie dell’informazione. Per la realizzazione di interventi “destrutturati” è necessario di conseguenza tener conto di una serie di prerequisiti, riguardanti: 1) gli obiettivi ed i principi ispiratori; 2) i destinatari; 3) gli attori coinvolti ed i prerequisiti per la promozione e gestione degli inter- venti; 4) la metodologia a sostegno delle azioni formativo-educative; 5) gli elementi caratterizzanti i percorsi/progetti “destrutturati”. 2.1. I principi ispiratori e gli obiettivi sottesi agli interventi formativi “destrutturati” Tali principi e conseguenti obiettivi fanno riferimento alle condizioni di vita di un determinato contesto territoriale considerate nell’insieme delle politiche forma- 3 E. CRESSON - P. FLYNN, Insegnare e apprendere. Verso la società conoscitiva, Bruxelles, Com- missione Europea, 1996. 176 tivo-occupazionali. Nei programmi destinati ad agevolare l’inclusione sociale, for- mativa e lavorativa dei soggetti che incontrano maggiori svantaggi/difficoltà si af- ferma sempre più infatti l’esigenza del coinvolgimento degli attori locali (istitu- zioni, amministrazioni, soggetti pubblici e privati) nell’elaborazione di progetti fi- nalizzati al loro inserimento/integrazione. Le problematiche sulla “community care” e sullo “sviluppo sostenibile” del territorio si richiamano infatti alla necessità di rendere partecipi i soggetti territo- riali delle azioni che si vanno a realizzare sul territorio dove essi operano. Questa impostazione emerge a tutti i livelli della programmazione comuni- taria, nazionale e regionale, attraverso la quale si sta sempre più diffondendo il ruolo innovativo dei principi della partnership, con il rafforzamento delle linee della “concertazione dal basso”. Di conseguenza i principali obiettivi sottesi alla promozione e realizzazione di percorsi/progetti “destrutturati” possono essere sintetizzati nei termini seguenti: – promuovere percorsi finalizzati a nuove opportunità formative e rivolti diretta- mente a giovani che hanno abbandonato i normali canali che assicurano l’eser- cizio del diritto/dovere all’istruzione e alla formazione; – offrire supporti al territorio per la gestione di interventi rivolti ad affrontare le nuove povertà culturali e formative di giovani in difficoltà, in una prospettiva di prevenzione della dispersione formativa e di lotta all’esclusione sociale; – stabilire convenzioni e collaborazioni operative dando vita a reti territoriali di supporto ad azioni formativo-educative adeguate a giovani in difficoltà. A loro volta i principi a cui si ispira il lavoro formativo mediante il ricorso ad interventi “destrutturati” possono essere così elencati: – integrazione: coinvolgimento di tutti gli attori nella progettazione, gestione e realizzazione delle azioni durante tutto lo svolgimento dell’intervento; – flessibilità a 360 gradi, ossia superamento dell’offerta standardizzata e sequen- ziale dei saperi per l’adozione dei seguenti criteri: personalizzazione del pro- getto formativo, sostenibilità del numero degli utenti, diversificazione dei tempi di ingresso e uscita, pluralità di luoghi formativi, scelta degli strumenti, differenziazione dei livelli di apprendimento, distribuzione per tappe/fasi; – alternanza: intesa come interfaccia tra formazione e lavoro e come principio in grado di sviluppare la mentalità della formazione continua e di creare condi- zioni per la (ri)motivazione; – presenza di un’équipe di progetto: per assicurare la congruenza tra gli obiettivi e la programmazione didattica e per verificare l’efficacia/efficienza del per- corso formativo; – presenza di ruoli professionali differenziati: per garantire le “buone prassi” lungo le diverse fasi del percorso formativo innovativo; – presenza di servizi di supporto: informazione, orientamento, counseling, ac- compagnamento; 177 – utilizzo di metodologie didattiche interattive nella logica del principio “lear- ning by doing” (esperienze dirette, accompagnamento individualizzato, lavori di gruppo, esercitazioni in laboratorio, stage in azienda…). 2.2. I destinatari Ma chi sono i veri destinatari di questi progetti? Le categorie di utenti oggetto di interventi formativi cosiddetti “destrutturati” sono composte da soggetti che vi- vono condizioni di difficoltà soggettiva ed oggettiva, spesso in rapporto di causa- effetto, quali: – uno stato di diffusa demotivazione nei confronti delle scelte sia educativo-for- mative che professionali/lavorative; – lo stazionamento in condizioni di non ruolo e/o il rifiuto ad assumerlo; – il prolungamento dell’adolescenza per allontanarsi da ogni condizione di im- pegno. In pratica si ha a che fare con giovani “erratici”, che transitano da una condi- zione all’altra, ma difficilmente investono in modo convinto in una precisa dire- zione. Più in particolare si caratterizzano per essere giovani: – che non hanno terminato gli studi e/o hanno abbandonato; – immigrati extracomunitari che vivono gravi situazioni a livello di integrazione sociale e lavorativa; – che stazionano in corsie preferenziali caratterizzate da “non-ruolo” e/o da rinvio delle scelte o da allontanamento da sé di ogni condizione di impegno personale/comunitario/sociale; – in crisi di identità e/o con una personalità labile, inclini all’uso di sostanze stu- pefacenti; – con comportamenti borderline, che hanno o hanno avuto o potrebbero avere a che fare con la giustizia. Siamo perciò di fronte a un problema educativo che richiede di elaborare per- corsi formativi e meccanismi di sostegno ad hoc. Questi soggetti non possono es- sere imbrigliati in un unico progetto/percorso educativo standardizzato/istituziona- lizzato. Nei loro confronti occorre una proposta personalizzata e soprattutto stimo- lante, che parta dai loro interessi ed innesti una prospettiva educativa per tappe progressive, così da evitare il rischio di formalismi burocratici e tecnicistici, tipici di un’offerta formativa dal forte carattere stigmatizzante, quasi fosse in atto una mutazione genetico-antropologica delle generazioni. E una risposta in tal senso po- trebbe venire appunto dai cosiddetti “percorsi destrutturati”. A godere dei benefici derivati da questi interventi tuttavia non sono soltanto i giovani svantaggiati, ma è necessario distinguere tra beneficiari intermedi e fi- nali. 178 1) Beneficiari intermedi sono tutte le strutture del settore (Istituti scolastici, Centri Professionali, Servizi per l’impiego) con i loro operatori che abbiano bisogno di supporti formativi per: - aggiornamento in materia di didattica, orientamento e rimotivazione all’ap- prendimento; - informazioni sulle risorse del territorio finalizzate ad una adeguata colloca- zione nel mondo della formazione e del lavoro di giovani in difficoltà; - creazione di passerelle tra sistemi e criteri per la certificazione di abilità, conoscenze e competenze; - individuazione, prevenzione, gestione di casi difficili e/o a rischio di insuc- cesso scolastico/formativo; - accompagnamento al successo scolastico/formativo di giovani in difficoltà. 2) Mentre beneficiari finali sono giovani tra 14 e 21 anni che presentano una o più delle seguenti caratteristiche: - non hanno adempiuto al diritto/dovere all’istruzione e alla formazione; - hanno interrotto gli studi e/o vagano in circuiti chiusi caratterizzati da dis- persione e precarietà; - sono demotivati rispetto all’apprendimento; - sono in situazione di identità debole provocata da incapacità ad attribuire significato a qualsiasi progetto di vita; - vivono una condizione di precarietà lavorativa; - sono seguiti dai servizi sociali per problemi familiari o provvedimenti giu- diziari. 2.3. Gli attori coinvolti ed i prerequisiti per la promozione e gestione in rete degli interventi Un progetto che abbia come scopo il miglioramento di un target group appar- tenente alle fasce più deboli della popolazione, intervenendo sulle condizioni quali-quantitative che impediscono il suo inserimento nel tessuto socio-lavorativo, richiede l’intervento di soggetti locali che riescano ad esprimere, attraverso il pro- getto, le potenzialità del territorio per modificare condizioni di partenza dei desti- natari delle azioni. La loro messa in rete produce come effetto non esplicito il raf- forzamento dei partner che interagiscono e, in tutti i casi, contribuisce allo svi- luppo istituzionale e organizzativo. È questo il risultato di un feedback istituzionale in grado di promuovere la nascita di un tessuto connettivo territoriale basato sulle interconnessioni e sugli scambi tra i soggetti locali. La centralità che devono assumere gli attori locali fin dal momento della pro- gettazione partecipativa fa sì che essi rivestano un ruolo insostituibile anche nelle successive fasi di realizzazione, valutazione e socializzazione di un progetto. La nuova impostazione dei progetti di sviluppo che hanno rilevanti ricadute territoriali pone gli attori locali al centro di un processo che inizia con la progetta- zione e continua nel ciclo delle attività del progetto stesso. Di conseguenza il coin- 179 volgimento dei soggetti sociali ed economici, pubblici e privati, che operano sul territorio non risponde solo al fatto di renderli partecipi del progetto, quanto so- prattutto di renderli corresponsabili dello sviluppo di azioni specifiche sul loro stesso territorio, attraverso un’attiva mobilitazione e una chiara distribuzione di re- sponsabilità nella gestione, realizzazione, validazione e accompagnamento di spe- cifiche attività che interessano il territorio. Se l’approccio olistico caratterizza gli interventi relativi all’inclusione socio-lavorativa delle categorie più svantaggiate, solo la presenza dei soggetti locali che provengono dai settori più diversi può assi- curare la risposta ai bisogni compositi delle categorie a cui sono destinati. Pertanto fin dall’inizio si pone il problema della scelta degli attori da coinvolgere in questa tipologia di progetti, che a sua volta dovrà rispecchiare la tipologia dei bisogni che i destinatari finali di tali progetti esprimono. Tutto questo richiede di specificare chi sono gli attori locali e quali sono le modalità di concertazione in rete. Per quanto riguarda il primo aspetto, se si pre- scinde dagli Istituti scolastici e dai Centri di formazione professionale, gli attori lo- cali possono essere: – le autorità locali (Comuni - Comunità Montane - Province - Regioni…); – le associazioni e i gruppi che rappresentano gli interessi locali (associazioni di quartieri, di famiglie, utenti di servizi pubblici…); – gli enti esterni che offrono servizi alla collettività (banche, compagnie di tra- sporto…); – gli enti o organismi esterni che promuovono lo sviluppo del territorio (ONG, enti di ricerca…); – le parti sociali (sindacati, rappresentanti dei datori di lavoro, altre associa- zioni.) e la loro eventuale costituzione in rete; – gli operatori privati (di piccole-medie imprese sul territorio, rappresentanti dell’economia locale…); – le famiglie; – i partner europei. A loro volta gli attori locali vanno messi in rete attraverso precise strategie di comunicazione e di concertazione che assicurino la “complementarità” della loro partecipazione e della loro interazione. Ogni attore locale rappresenta infatti le spe- cifiche risorse che il territorio può mettere a disposizione di una determinata tipo- logia di bisogni, ma solo la loro messa in rete offre un valore aggiunto che va al di là della semplice sommatoria degli attori locali e delle risorse territoriali, in quanto solo la integrazione e il completamento delle risorse può renderle funzionali al progetto stesso. Uno dei momenti-chiave di un progetto diviene pertanto la gestione degli at- tori locali e dei loro rapporti. La loro messa in rete si può realizzare attraverso stra- tegie di condivisione e di collaborazione in cui emergano chiaramente i ruoli e le responsabilità dei singoli, in cui ognuno, in base a precise competenze e secondo ruoli ben definiti, possa verificare: 180 – la coerenza del progetto con le linee di sviluppo locali; – la conformità del progetto con gli obiettivi definiti; – la sua percorribilità rispetto alle risorse; – la sua corrispondenza alle esigenze della popolazione; – il rapporto costi-benefici. Dal canto suo, una Istituzione scolastico-formativa che intenda gestire per- corsi “destrutturati” dovrà: – essere “riconosciuta” dal territorio (enti amministrativi, sistema delle imprese, servizi per l’impiego, associazioni di categoria, famiglie…) per saper organiz- zare e gestire azioni formative a favore di giovani in difficoltà; – essere in grado di raccogliere segnalazioni dal territorio rispetto a situazioni di difficoltà; – saper organizzare una rete di collaborazione coinvolgendo organismi diversi; – essere svincolata sul piano organizzativo da rigidi meccanismi burocratici nella gestione delle azioni formative (numero di utenti, monte ore, tipologia dei corsi…); – essere in grado di garantire la validità del sistema delle passerelle attraverso accordi di sistema sui processi di certificazione delle conoscenze, competenze e capacità dei singoli; – organizzare le azioni formative sottese ai percorsi in una logica di interventi integrati (tra il sistema di istruzione, quello di istruzione e di formazione, i servizi sociali e per l’impiego, le famiglie, le aziende…); – gestire le attività di orientamento, rimotivazione, recupero e reinserimento in modo “flessibile”, così da garantire agli utenti il maggior numero possibile di opportunità finalizzate ad agevolare il successo formativo e la crescita perso- nale e professionale dei singoli; – basarsi sull’idea che la formazione per giovani in difficoltà è inscindibilmente legata a quella di educazione e crescita della personalità globale/integrale dei soggetti difficili; – dotarsi di uno staff di formatori/operatori/educatori opportunamente formati a offrire sostegno ai giovani in difficoltà attraverso attività di orientamento, ri- motivazione, recupero e reinserimento, supportate a loro volta da un sistema di accompagnamento per svolgere il proprio compito con efficacia/efficienza lungo le varie tappe del percorso formativo. 2.4. La metodologia a sostegno delle azioni formativo-educative Dal canto loro i percorsi formativi “destrutturati” si caratterizzano per i se- guenti aspetti, rispetto a quelli strutturati. 1) Anzitutto si rivolgono ad un’utenza che, a causa di particolari condizioni di difficoltà in cui si trova lungo il proprio percorso formativo, necessita di una 181 nuova opportunità per costruire, seppure in modo differenziato rispetto al per- corso di base, un proprio progetto formativo. 2) Per la loro organizzazione fanno leva sui seguenti criteri: - centralità della relazione tra tutor e utente (condizione indispensabile per creare un clima di fiducia e alimentare motivazioni); - sollecitare il protagonismo individuale in base all’affidamento di compiti pratici che fanno leva su personali capacità creative (si ricorda che si ha a che fare con soggetti dall’intelligenza pratica), in modo da definire le tappe di un progressivo cammino formativo; - valorizzare una cultura del lavoro fatta di conoscenze e abilità personali, concepita come strumento in grado di rendere il soggetto competente nel- l’espletare il proprio ruolo professionale e di conseguenza anche meglio in- serito nel contesto sociale di appartenenza. 3) Adottano una metodologia attiva ma al tempo stesso flessibile/adattabile alle condizioni del contesto di riferimento, in grado di: - centrarsi sul profilo professionale, personale e sociale del destinatario; - progettare percorsi personalizzati; - adottare percorsi di apprendimento che prevedano una forte interdisciplina- rità; - sperimentare sempre nuovi approcci didattici che permettano di valorizzare l’esperienza pratica e le capacità naturali degli utenti; - individuare metodiche educativo-formative coerenti con lo status degli utenti; - programmare forme di collaborazione in rete, variabili/modificabili a se- conda delle condizioni in cui si sviluppa di volta in volta l’intervento. 4) Rispondono, mediante l’attivazione di azioni formative ad hoc, a specifiche categorie di soggetti svantaggiati, quali: - giovani con insuccesso scolastico a causa di ripetuti fallimenti/abbandoni; - giovani immigrati/stranieri senza basi linguistico-culturali; - giovani con gravi problemi di salute; - giovani e giovani adulti caratterizzati da problemi di tossicodipendenza, devianza, emarginazione; - giovani e giovani adulti con competenze professionali superate e/o da ri- convertire. 5) Suddividono le azioni formative tra: a) una fase preparatoria rispetto agli interventi formativi, caratterizzata da at- tività di: - accoglienza/ri-orientamento - rimotivazione - attivazione di un progetto personalizzato b) la fase formativa vera e propria, caratterizzata da: - recupero degli apprendimenti; 182 - formazione; - stage; - accompagnamento; c) ed infine la fase di (re)inserimento, che può essere di tipo: - sia formativo (re-inserimento nel sistema di istruzione/formazione); - che lavorativo. 6) Concorrono a potenziare le competenze trasversali sviluppando, attraverso lo svolgimento di apposite unità, quelle competenze che: - caratterizzano trasversalmente differenti famiglie/comunità professionali; - rendono efficace la prestazione professionale insieme alle competenze di base e a quelle specifiche tecnico-professionali. A loro volta queste fasi, prese nel loro insieme, rispondono alle seguenti fina- lità: a) generali: - assicurare un supporto ri-orientativo; - fornire agli utenti il necessario sostegno mirato ad un cambiamento dello status quo previa l’assunzione di responsabilità nell’adozione di un pro- getto personalizzato; b) specifiche: - curare la relazione con l’utente unitamente agli altri soggetti coinvolti (ge- nitori, adulti o altre persone significative di riferimento); - sollecitare nell’utente una coscienza critica circa la sua posizione attuale nel contesto/ambiente in cui vive e fornire contemporaneamente supporti motivazionali funzionali a possibili cambiamenti. Tutto questo può essere ottenuto mediante la messa in atto di due diverse azioni, in stretto rapporto di causa-effetto. 1) Una prima azione di supporto orientativo alla scelta. La persona che mani- festa evidenti carenze di risorse (esistenziali, culturali, professionali…) trova diffi- coltà ad effettuare scelte in prima persona. Di conseguenza un aiuto esterno per in- dividuare il cammino formativo più adatto alla sua persona potrebbe diventare a questo punto una chance da cogliere al volo, fermo restando che l’orientamento non sostituisce la scelta della persona ma quest’ultima rimane l’unica protagonista responsabile delle proprie scelte. In questi casi le azioni orientative mirano unica- mente a superare condizioni di stallo e di circolo vizioso, forniscono una rappre- sentazione realistica della propria situazione in termini di competenze/abilità per- sonali e contemporaneamente sollecitano l’elaborazione di risorse/interessi perso- nali/professionali. Trattandosi di soggetti “difficili” e/o caratterizzati da problematiche superiori a quelle in cui si dibatte la più comune condizione giovanile, la metodologia orien- tativa dovrà prevedere luoghi e modalità di approccio al di fuori della normale prassi e alternative ai precedenti vissuti scolastici, al fine di recuperare la fiducia 183 mancata nell’esperienza della “prima chance”. Di conseguenza, oltre al personale orientante appositamente preparato per questa tipologia di soggetti ed alla presenza di strutture/Centri deputati per l’accoglienza, si richiede di poter usufruire di una rete di collegamenti sul territorio che permetta una più facile individuazione dei destinatari del servizio. 2) Una seconda azione mirata alla rimotivazione circa l’inserimento in un percorso formativo. Anzitutto va specificato cosa si intende per “motivazione al- l’apprendimento”: – la motivazione è un processo interno al soggetto che fornisce l’energia neces- saria alla messa in atto di comportamenti volti al conseguimento di una meta specifica; – dal canto suo l’apprendimento è un processo attraverso il quale il soggetto ac- quisisce intenzionalmente conoscenze ed esperienze nuove, attribuisce loro un valore ed un significato, le confronta e le integra con le informazioni ed i dati già acquisiti in precedenza ed è in grado, dopo un eventuale riordinamento del campo cognitivo, di applicarle alla soluzione di compiti reali. La motivazione all’apprendimento è quindi una propensione naturale insita in ogni essere umano, è strettamente collegata alla percezione di sé, del proprio va- lore, delle proprie competenze ed abilità, e varia in rapporto all’importanza e al si- gnificato attribuiti alla meta che ci si pone. Passando a verificare cosa comporta in pratica, all’interno dei percorsi forma- tivi che fanno capo ai progetti “destrutturati”, questa azione di “ri-motivazione-ad- apprendere”, per essere realizzata richiede la presenza ed il costante confronto con un tutor, il quale: – sia in grado di suscitare nell’individuo un quadro chiaro e il più possibile rea- listico (coerentemente alle competenze/abilità possedute) dei propri inte- ressi/aspirazioni; – e, contestualmente, di prospettare obiettivi formativo-professionalizzanti, da raggiungere dietro l’articolazione di un progetto personalizzato. Per cui in ultima istanza gli elementi caratterizzanti il modello di formazione sotteso ai progetti “destrutturati” possono essere così sintetizzati: – servizi di orientamento, affiancamento, accompagnamento, inserimento lavo- rativo; – personalizzazione/individualizzazione del percorso formativo; – flessibilità del processo/percorso formativo; – alternanza come metodologia prioritaria dell’apprendimento; – sviluppo della cultura di base; – sviluppo delle competenze trasversali (linguaggi…); – multimedialità come risorsa didattica; – attività di gruppo come strategia educativa. 184 2.5. La struttura portante di un percorso/progetto formativo “destrutturato” Così come qualsiasi altra attività progettuale, i percorsi/progetti “destrutturati” hanno bisogno, per poter essere realizzati, di una serie di elementi portanti/fon- danti che ne condizionano la riuscita e quindi la ricaduta stessa ai fini di una suc- cessiva riproponibilità ed anche per una possibile trasferibilità ad altri contesti. I “fondamentali” di cui non è possibile fare a meno nell’organizzare progetti “destrutturati” per l’inclusione di categorie di giovani svantaggiati, sono: 1) la presenza di un “Centro risorse”; 2) la presenza di figure professionali di tutor o mentor; 3) la elaborazione di un progetto personalizzato; 4) un percorso formativo finalizzato specificamente al recupero degli apprendi- menti; 5) l’attività di stage; 6) l’attività di accompagnamento; 7) l’inserimento lavorativo. Ognuno di questi elementi richiede di essere ulteriormente approfondito in merito alle proprie specificità. 2.5.1. Il “centro risorse” È un organismo modulare specializzato nella cura di “percorsi formativi de- strutturati”. Tali percorsi, abbiamo visto, vengono così definiti in quanto non si evolvono nella usuale forma convenzionale, caratterizzata da fasi sequenziali, ma si basano su fasi alterne diversamente distribuite nel tempo tra avvii, integrazioni, correzioni, rientri, ed inoltre fanno leva su strumenti didattici multimediali gestibili in forma mista. Come tale il Centro risorse rappresenta una risposta organica al problema della “seconda chance”. E affinché possa svolgere con efficienza la pro- pria mission è necessario che abbia un rapporto molto stretto con entità associative che attribuiscono alla formazione una forte valenza vocazionale, per cui sono in grado di sviluppare progettualità che prevedono: – momenti di confronto e di crescita in comune; – interdisciplinarità; – interventi integrati e/o lavoro di rete; – continuità tra le varie fasi. Ora affinché possa caratterizzarsi come “Centro di nuova opportunità”, si ri- chiede che: – svolga attività formative di tipo non convenzionale; – gestisca interventi di breve durata; – possa contare su una “comunità educativa” che oltre a condividere la proposta educativo-formativa sappia lavorare in gruppo in forma integrata/interdiscipli- nare; 185 – predisponga di un network di relazioni/accordi con altri organismi del terri- torio; – porti a dei “prodotti/successi” immediatamente usufruibili dall’utenza. 2.5.2. La figura del tutor/mentor Nel realizzare progetti destinati a particolari categorie di soggetti svantaggiati assume una rilevanza determinante la figura del tutor e/o del mentor. Si tratta di una figura diversa dal generico formatore/operatore, in quanto: – punta a promuovere/gestire attività formative destrutturate rispetto alle forme tradizionali, in quanto mirate a particolari soggetti bisognosi di interventi per- sonalizzati; – mira a creare esperienze innovative di intervento/inserimento, dove l’allievo diventa il principale protagonista dell’azione formativa; – è suo compito specifico delineare i percorsi di ri-motivazione e ri-orienta- mento dei giovani che vivono particolari condizioni di difficoltà/disagio fa- cendo leva su processi di inserimento formativo-lavorativo; – agisce tanto sull’individuo come sul gruppo, aiutando gli utenti a definire un progetto di vita personalizzato e a scegliere un profilo professionale sulla base di competenze e interessi individualizzati; – prepara, realizza e accompagna le fasi del processo formativo; – monitora/valuta tale processo attraverso un riesame dei progressi compiuti, fa- cilitando il riconoscimento e la risoluzione dei problemi incontrati e puntando ad un soddisfacente livello di autonomia del giovane; – fa perno su una metodologia fondata sulla creazione di un ambiente educativo che a sua volta si collega all’autonomia/autogestione/personalizzazione dei processi di apprendimento individuali e di gruppo; – utilizza stili di azione basati sul tutoring personale (sostegno/accompagna- mento dell’allievo nella sua globalità) e sul tutoring didattico (facilitando il processo di apprendimento, assimilazione e applicazione di conoscenze, com- petenze ed atteggiamenti); – in quanto mediatore/coordinatore, ha il compito di costruire la rete tra i diversi attori/operatori e tra i differenti ambiti istituzionali/sociali che agiscono sul giovane; – tra i principali compiti affidati a tale figura vi è infatti la elaborazione di pro- cessi di collaborazione duratura tra strutture deputate sia alla formazione che al lavoro, per fornire opportunità di inserimento di andata/ritorno tra i due settori. 2.5.3. La elaborazione di un progetto personalizzato Questa azione formativa risponde al bisogno di offrire al soggetto in difficoltà un sostegno per programmare il proprio futuro coinvolgendo e responsabilizzando l’utente a delineare fin dal principio un percorso proponibile in base alle proprie effettive capacità e creando così le condizioni di affidabilità e impegno. 186 La condizione in cui viene a trovarsi il giovane in difficoltà, dovuta quasi sempre alla mancata costruzione del “sé” e alle relative conseguenze negative (mancata autostima, messa in atto di strategie di affermazione dell’“Io-nega- tivo”…), gli impedisce di vedere chiaro nel proprio futuro e talora di riuscire per- fino a immaginarselo, tanto meno a progettarlo. L’intervento di conseguenza va ad innestarsi su una condizione già di per se stessa “destrutturata” che sta vivendo il soggetto in difficoltà, al fine di aiutarlo a ricompattare le proprie energie in funzione di mete oggettivamente conseguibili in base alle scarse risorse in quel momento a disposizione. Di conseguenza il progetto personalizzato: – si fonda sulla presa di coscienza delle proprie risorse; – mira a conseguire obiettivi concreti/realizzabili, prima ancora che a inte- ressi/desideri idealistici/irraggiungibili (se confrontati con le risorse disponi- bili); – richiede di programmare le tappe progressive e le risorse personali da investire per il conseguimento degli obiettivi sottesi alla riuscita. A loro volta queste finalità portano a personalizzare il percorso formativo scomponendolo in pacchetti composti da “unità di apprendimento”. In questo modo risulta possibile elaborare il progetto sulla base di unità formative finalizzate a capacità, conoscenze ed abilità e ad obiettivi personalizzati (rientro scolastico, inserimento lavorativo…). Più specificamente, il ciclo di vita di un progetto personalizzato si sviluppa at- traverso le seguenti tappe: – informativa/orientativa: colloqui iniziali con il tutor per ricostruire l’itinerario formativo del soggetto in difficoltà e per una prima formulazione del progetto; – “bilancio di competenze/abilità” naturali possedute dal soggetto fino a quel momento e/o acquisite lungo il precedente percorso formativo e prima verifica e messa a confronto con la realtà (visita aziendale o stage breve); – “bilancio di posizionamento” rispetto alle competenze/abilità che si intendono conseguire, in base a quanto finora appreso (definizione del progetto e con- tratto formativo); – introduzione degli strumenti di documentazione (libretto formativo…) e di ac- compagnamento (diario formativo…); – verifiche intermedie sul conseguimento degli obiettivi sottesi a ciascuna fase del percorso; – verifica finale. 2.5.4. Un percorso formativo finalizzato al recupero degli apprendimenti L’obiettivo di questa azione consiste nel dotare i soggetti in difficoltà di op- portunità formative qualificanti, alternative alle modalità usuali e “destrutturate” secondo la logica della mission educativa sottesa ai percorsi “destrutturati”. 187 Tale risultato si raggiunge elaborando strategie formative altrettanto alterna- tive, basate su processi di apprendimento personalizzati, al cui interno le tappe del cammino formativo non sono cadenzate da rigidi fattori spazio-temporali, bensì dalla progressione effettiva del soggetto in difficoltà in rapporto al profilo educa- tivo, culturale e professionale ed in riferimento al percorso destrutturato previsto dal progetto personalizzato. A tal fine si fa ricorso ad una metodologia basata su attività organizzate in la- boratori mirati a far acquisire prevalentemente competenze professionali e/o a far cimentare il soggetto in situazioni delimitate, così da sperimentare il successo o i limiti nei compiti assolti. In quest’ultimo caso l’utente viene messo in condizione di affrontare situazioni sempre più complesse, che lo porteranno nel tempo al recu- pero dell’autostima e alla elaborazione di sistemi di significato da dare alle proprie azioni. Questo tipo di intervento è rivolto particolarmente: – a coloro che per varie ragioni non sono riusciti a completare il primo ciclo di studi; – a chi l’ha completato ma presenta vistose lacune nell’area delle competenze di base; – ai giovani di recente immigrazione; – a chi non riesce ad inserirsi o, viceversa, a chi è già stato precocemente espulso dal sistema produttivo. Di conseguenza afferisce alle seguenti finalità: – consentire al soggetto in difficoltà di recuperare il proprio bagaglio di risorse (conoscenze, competenze, abilità…); – sviluppare ulteriori apprendimenti finalizzati alla realizzazione del proprio progetto personale. Tutto questo richiede adeguate metodologie d’intervento che prevedano il coinvolgimento attivo dell’utente in quanto: a) mirate all’acquisizione di determinate abilità, competenze, conoscenze me- diante l’allestimento di: - laboratori; - stage orientativi; - stage in partnership con le imprese; b) e, contestualmente a tali attività, avviare procedure di accompagnamento che contribuiscano a facilitare il percorso di apprendimento in chiave di stabilità, efficacia, soddisfazione. L’esito dell’azione dovrà far acquisire all’utente una qualifica professionale spendibile nel mercato del lavoro e al tempo stesso aperta ad ulteriori processi for- mativi. 188 2.5.5. L’attività di stage La realizzazione di questa azione permette all’utente di: – misurare le proprie attitudini e aspirazioni; – superare il deficit di esperienza; – mettere alla prova le proprie capacità; – verificare le conoscenze, competenze e abilità acquisite lungo l’iter forma- tivo; – completare tale percorso integrandolo mediante concrete condizioni di la- voro. Di conseguenza l’attività di stage può essere inserita in differenti tappe del percorso formativo, in base alle quali si caratterizza per essere di tipo: – orientativo, da attuare prettamente nella fase iniziale, quando si avverte l’esi- genza di delimitare i confini delle proprie abilità e competenze; – formativo, pertinente alla fase intermedia ossia quando, una volta delimitato il campo di competenza, si approfondiscono gli apprendimenti in determinati settori specifici; – di pre-inserimento lavorativo, da prevedere ovviamente nella fase terminale del percorso; come tale assume il carattere di vero e proprio momento di mo- nitoraggio delle conoscenze e competenze acquisite e di verifica tra gli obiet- tivi previsti nel progetto personalizzato e quelli effettivamente conseguiti. La messa in atto dello stage comporta una metodologia integrata, dal forte ca- rattere interattivo tra l’azione formativa promossa nel Centro e quella svolta in azienda, in grado cioè di portare alla condivisione delle finalità dell’intervento ed alla pianificazione delle aree di competenza da conseguire nelle differenti condi- zioni formative. Tutto questo comporta: a) di arrivare a progettare un piano formativo integrato, il quale richiede di orga- nizzare incontri tra il personale delle due strutture al fine di definire modalità e regole di collaborazione, identificare i ruoli ed i criteri d’intervento, concor- dare azioni integrate per la realizzazione delle diverse fasi del progetto (atti- vità che va anche sotto il nome di “patto di tirocinio”); b) di tener conto delle caratteristiche e dei bisogni dell’allievo che sono emersi fin dalla fase di accoglienza/orientamento; c) di documentare/monitorare l’attività in tutte le sue forme espressive (proget- tualità, obiettivi da conseguire, iniziative al seguito, obiettivi realizzati…); d) di predisporre materiali per la valutazione in itinere/finale; attività definita anche come “diario di formazione in azienda”, da compilare di volta in volta da tutti gli attori (tutor formativi, aziendali e utenti), al fine di: - tenere sotto controllo il processo, apportando in itinere eventuali modifi- che; 189 - consentire all’utente di cogliere l’unitarietà del percorso formativo; - favorire il processo di autovalutazione; - calibrare gli interventi di approfondimento durante i rientri, prevedendo momenti di incontro-confronto fra tutti gli utenti dell’esperienza. 2.5.6. L’attività di accompagnamento Ha la funzione di supporto/completamento/potenziamento delle competenze acquisite lungo il processo di apprendimento. Nasce di conseguenza dalla necessità di non abbandonare il giovane oggetto di “seconda chance” nel delicato passaggio dalla fase prettamente formativa a quella applicativa delle competenze apprese, in modo da dare continuità a quel progetto personalizzato che fino a quel momento ha portato questo giovane a prevenire e/o a recuperare difficoltà e crisi. L’attività di accompagnamento prevede l’intervento di più operatori ed uno sviluppo discontinuo/destrutturato nel tempo e nello spazio di azioni e fasi, ragione per cui richiede per la sua realizzazione la logica del lavoro in équipe tra i diversi operatori e tra le strutture coinvolte. In altri termini, tale attività si presta partico- larmente per dare continuità ai progetti che si svolgono secondo la metodologia della “seconda chance”, offrendo al giovane un punto di riferimento stabile e con- tinuativo, così da evitare la frammentazione degli interventi. L’azione è impostata su due fronti: 1) da una parte l’utente, il quale viene sostenuto mediante l’offerta di acquisi- zioni che gli consentono di attivare strategie d’ingresso nel mondo del lavoro; 2) dall’altra la realizzazione di una rete tra gli operatori e tra le strutture coin- volte, in modo da progettare e poi gestire attività mirate a dare continuità al- l’intervento e successivamente a mettere in atto azioni di monitoraggio e valu- tazione circa le procedure realizzate ed i prodotti ottenuti. 2.5.7. L’inserimento lavorativo Risponde all’obiettivo ultimo di accompagnare l’utente verso il completa- mento del proprio progetto personale, favorendo esperienze di contatto e di perma- nenza guidata presso le strutture di riferimento. Dal momento che si svolge a seguito di una fase di recupero delle condizioni di autostima, di comprensione delle proprie risorse, di svolgimento di esperienze che favoriscono la messa alla prova delle proprie possibilità, tale azione mira a creare le condizioni affinché il giovane, a causa di particolari difficoltà in cui viene a trovarsi, possa avvantaggiarsi di ulteriori “chance” e/o opportunità in grado di aprire nuove strade di inserimento (professionale, lavorativo, sociale…). Come tale, l’azione assolve allo scopo di individuare mezzi e strumenti adatti a favorire il superamento delle problematiche strettamente connesse al passaggio dalla fase di formazione a quella dell’assunzione di un ruolo vero e proprio all’in- terno dell’organizzazione aziendale. Di conseguenza: 190 – favorisce la presa di coscienza delle proprie conoscenze e capacità; – sostiene l’individuazione delle esigenze e/o delle problematiche relative alla ricerca del lavoro da parte di soggetti che necessitano di particolari sostegni/informazioni circa la ricerca di sbocchi occupazionali consoni alle proprie esigenze/competenze; – permette di acquisire conoscenze, abilità e stili comportamentali coerenti con la cultura aziendale di riferimento. L’azione si realizza mediante alcuni moduli d’intervento: a) modulo di ricerca di formazione: mira alla conoscenza delle opportunità for- mative presenti nel territorio e selezionate in un secondo tempo tra quelle rico- nosciute come coerenti con il progetto personalizzato di formazione; b) modulo di recupero delle competenze: è finalizzato all’acquisizione di cono- scenze, abilità e competenze necessarie ad affrontare i problemi di inserimento nel contesto formativo; c) modulo di supporto: prevede interventi di sostegno in corrispondenza di mo- menti-chiave del cammino di apprendimento lungo il percorso formativo (dia- gnosi delle proprie risorse e capacità, metodo di studio…). Ricordiamo che la ricerca si era proposta come scopo ultimo la verifica delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale riguardo ai percorsi destrutturati4. Ci sembra che lo studio qui presentato confermi sostanzialmente le indicazioni ivi contenute e le ar- ricchisca di vari elementi significativi. 4 D. NICOLI (a cura di), o.c. 191 BIBLIOGRAFIA AMATURO E., L’analisi del contenuto tematico, in GIOVANNINI D. (a cura di), Colloquio psicologico e relazione interpersonale, Roma, Carocci, 1998. BABOLIN L. et al., Il sapere e il sapore. Le comunità di accoglienza per minori, Milano, Paoline, 2000. BALDRY A.C., Vittima e autore di reato nella giustizia penale minorile. Indagine su un campione, in A. MESTITZ (a cura di), La tutela del minore tra norme, psicologia ed etica, Milano Giuffré, 1997, pp. 212-221. BANDURA A. (a cura di), Self-efficacy in Changing Societies, Cambridge, Cambridge University Press, 1995 (trad. it. Il senso di autoefficacia, Trento, Erickson, 1996). BARA B.G., Vissuti emozionali e personali degli insegnanti di fronte agli studenti difficili, in “Margi- nalità e Società”, 26 (1994), pp. 81-86. BARALDI C. - M. 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ZATTINI D., Il successo di far nascere una cooperativa con la formazione professionale, in “Rassegna CNOS”, 18 (2004), n. 2, pp. 101-109. 197 Appendice Griglie di valutazione dei progetti comunitari e relativi grafici 1ª macroarea – IL COINVOLGIMENTO PRECEDENTE AL PERCORSO DIDATTICO Attività sociali e di intrattenimento NOTE Nessuna attività prevista Le attività sociali coinvolgono la famiglia Le attività sociali coinvolgono il territorio Le attività hanno incoraggiato (favorito) la partecipazione della persona? Se sì, in quale modo? Le attività rispondono a criteri di innovatività rispetto ai percorsi tradizionali? Se sì, in che modo? Le attività sono coerenti e rispettano la tipologia di utenza? Se sì, in che modo? Le attività sono trasferibili ad altri contesti formativi? Se sì, in quale modo? Altro… Azioni di motivazione NOTE Nessuna attività prevista Le azioni di motivazione sono inserite in uno specifico programma. Se sì, quali? Il programma è trasferibile ad altri contesti? Se sì, indicare quali Le azioni sono dirette al gruppo? Se sì, esplicitare quali Le azioni sono dirette al singolo individuo? Se sì, indicare a chi Le azioni sono trasferibili ad altri contesti formativi? Se sì, in quale modo? Altro… Definizione chiara di un settore lavorativo e di uno sbocco professionale NOTE Nessuna attività prevista Le azioni contemplano la definizione chiara degli obiettivi personali rispetto al lavoro Le azioni facilitano l’accesso all’informazione sugli sbocchi lavorativi. Se sì, in che modo? Le azioni vengono attuate utilizzando standard condivisibili e trasferibili? Se sì, quali? Altro… Creazione di una rete tra settori formali/ufficiali e settori informali NOTE Nessuna attività prevista Il coinvolgimento della persona è assicurato da più attori del territorio? Se sì, in che modo? Gli organismi che intervengono nel coinvolgimento hanno ruoli diversi e formalizzati? Se sì, esplicitare quali Gli organismi che collaborano al coinvolgimento, rispondono ai diversi bisogni del gruppo target? Se sì, in che modo? Altro… Attivazione della figura del tutor / figura di coinvolgimento NOTE Nessuna attività prevista Esiste una figura specifica dedicata al coinvolgimento? Se sì, esplicitare ruoli e interconnessioni con gli operatori (docenti, ecc.) Altro… Tav. 1 - Griglia per la verifica delle caratteristiche di eccellenza dei progetti destinati ad utenze in difficoltà 198 2ª Macroarea – LA RESPONSABILIZZAZIONE Sviluppo di meccanismi di consiglio e di sostegno NOTE Nessuna attività prevista Le attività di sostegno promuovono la fiducia in sé e lo sviluppo delle competenze e delle capacità sociali? Se sì, quali Le tradizionali attività di orientamento sono integrate con attività ricorrenti di sostegno personalizzato, sia formali che informali? Altro… Presenza di un piano di azione formale, elaborato con la partecipazione del target NOTE Nessuna attività prevista Viene sviluppato un primo bilancio di competenze? Se sì, indicare come Le attività prevedono un piano di azione formale condiviso con il soggetto in difficoltà? Altro… Azioni che offrano strumenti per rendere i giovani consapevoli delle loro competenze e capacità NOTE Nessuna attività prevista L’organizzazione di sedute individuali e di gruppo vengono finalizzate alla verifica dei progressi personali ottenuti? Se sì, esplicitare in che modo Sono previsti momenti di auto-valutazione del percorso, con la partecipazione del soggetto in difficoltà? Se sì, esplicitare come Vengono riconosciuti i risultati ottenuti dalla persona in difficoltà? Se sì, esplicitare in che modo Altro…. 3ª macroarea - LA FORMAZIONE Sviluppo di attività di formazione professionale e non professionale in un approccio globale NOTE Nessuna attività prevista Nel programma formativo vengono previste attività di formazione professionale, di sviluppo delle competenze sociali nonché delle competenze di base, di formazione in azienda, per migliorare le competenze professionali e generali? Se sì, quali? Viene dato uno spazio significativo alle competenze trasversali? Altro…. Sviluppo di competenze trasferibili in diversi settori del mondo del lavoro NOTE Nessuna attività prevista Nel programma formativo viene dato uno spazio significativo alle competenze trasferibili? La formazione tende allo sviluppo dell’attitudine a studiare, analizzare, pianificare, valutare? Altro… Insegnamento individualizzato, previo bilancio preliminare di competenze NOTE Nessuna attività prevista Viene tenuto conto del bilancio di competenze per definire le diverse tappe del percorso formativo del soggetto in difficoltà? Se sì, come? Altro… Utilizzo di metodi di insegnamento adattati al gruppo bersaglio e ai risultati del bilancio di competenze NOTE Nessuna attività prevista Vengono adottati metodi ad hoc, a seconda del target group di riferimento? Se sì, quali? Vengono utilizzate figure di mediazione tra docenti e soggetti i difficoltà? Se sì, quali? Altro… Attività scelte anche sulla base del loro “interesse” sociale, che coinvolgano il tessuto sociale NOTE Nessuna attività prevista Le attività di formazione sono aperte al territorio e coinvolgono referenti esterni? Altro... 199 Molte delle informazioni necessarie alla compilazione di questa scheda risul- tano di difficile reperimento. Si è pertanto approdati alla decisione di valutare il campione di soggetti selezionati per il nostro scopo attraverso una versione ridotta della stessa, che mantiene le macroaree e i rispettivi indicatori generici, omettendo le specificità. Si riporta di seguito la versione “ridotta” della scheda di valutazione, divenuta il nostro effettivo strumento di individuazione di indicatori di efficacia degli 11 progetti volti all’inserimento di giovani a rischio, tossicodipendenti, ex-tossicodi- pendenti ed immigrati. 4ª macroarea - INSERIMENTO E ACCOMPAGNAMENTO Assistenza regolare sul luogo del lavoro, attraverso rapporti formali e informali NOTE Nessuna attività prevista È impiegata una specifica figura di accompagnamento (specificare quale: tutor, mentore, coach, altro)? Viene prestata assistenza informale senza l’impiego di una specifica figura professionale? Altro... Attenzione agli aspetti sociali e professionali nell’espletamento dei compiti professionali NOTE Nessuna attività prevista I soggetti vengono sollecitati o formati alla cooperazione e al lavoro di gruppo? Viene prestata attenzione ai feed-back e alle richieste del singolo soggetto che si sta inserendo nella struttura, al fine di meglio modulare il processo di accompagnamento? Vengono sollecitati momenti di socializzazione e scambio tra i lavoratori sia formali che informali? Se sì, come? Altro... Flessibilità nelle attività che la persona deve espletare, per permettere di sperimentare le proprie NOTE competenze professionali e di stabilire relazioni con gli imprenditori Nessuna attività prevista La persona sceglie autonomamente le strategie migliori da adottare nel perseguimento degli obiettivi prefissati? Viene stimolata e favorita la creatività nell’espletare le proprie mansioni e nel superamento delle difficoltà riscontrate? Altro... Monitoraggio continuo dell’evoluzione della persona, attraverso diversi strumenti formali NOTE (questionari, ecc.) o informali (accompagnamento, tempo libero) Nessuna attività prevista Vengono impiegati questionari e altri strumenti formali di monitoraggio a cadenza? Se sì quali? Vengono effettuati colloqui di valutazione dell’evoluzione globale della persona, nonché dell’acquisizione di specifici saper fare e saper essere, a cadenza? Viene impiego un consigliere di orientamento (specificare la cadenza e la volontarietà degli incontri)? Altro... 200 Tav. 2 - Griglia ridotta 1ª macroarea IL COINVOLGIMENTO PRECEDENTE AL PERCORSO DIDATTICO Attività sociali e di intrattenimento SI NO Azioni di motivazione SI NO Definizione chiara di un settore lavorativo e di uno sbocco professionale SI NO Creazione di una rete tra settori formali/ufficiali e settori informali SI NO Attivazione della figura del tutor / figura di coinvolgimento SI NO 2ª macroarea LA RESPONSABILIZZAZIONE Sviluppo di meccanismi di consiglio e di sostegno SI NO Presenza di un piano di azione formale, elaborato con la partecipazione del target SI NO Azioni che offrano strumenti per rendere i giovani consapevoli delle loro competenze e capacità SI NO 3ª macroarea LA FORMAZIONE Sviluppo di attività di formazione professionale e non professionale in un approccio globale SI NO Sviluppo di competenze trasferibili in diversi settori del mondo del lavoro SI NO Insegnamento individualizzato, previo bilancio preliminare di competenze SI NO Utilizzo di metodi di insegnamento adattati al gruppo bersaglio e ai risultati del bilancio di competenze SI NO Attività scelte anche sulla base del loro “interesse” sociale, che coinvolgano il tessuto sociale SI NO 4ª macroarea INSERIMENTO E ACCOMPAGNAMENTO Assistenza regolare sul luogo del lavoro, attraverso rapporti formali e informali SI NO Attenzione agli aspetti sociali e professionali nell’espletamento dei compiti professionali SI NO Flessibilità nelle attività che la persona deve espletare, per permettere di sperimentare le proprie competenze professionali e di stabilire relazioni con gli imprenditori SI NO Monitoraggio continuo dell’evoluzione della persona, attraverso diversi strumenti formali (questionari, ecc.) o informali (accompagnamento, tempo libero) SI NO Tav. 3 - Valutazione del progetto “OPERA” 1ª macroarea IL COINVOLGIMENTO PRECEDENTE AL PERCORSO DIDATTICO Attività sociali e di intrattenimento SI Azioni di motivazione SI Definizione chiara di un settore lavorativo e di uno sbocco professionale SI Creazione di una rete tra settori formali/ufficiali e settori informali SI Attivazione della figura del tutor / figura di coinvolgimento SI 2ª macroarea LA RESPONSABILIZZAZIONE Sviluppo di meccanismi di consiglio e di sostegno SI Presenza di un piano di azione formale, elaborato con la partecipazione del target SI Azioni che offrano strumenti per rendere i giovani consapevoli delle loro competenze e capacità SI 3ª macroarea LA FORMAZIONE Sviluppo di attività di formazione professionale e non professionale in un approccio globale SI Sviluppo di competenze trasferibili in diversi settori del mondo del lavoro SI Insegnamento individualizzato, previo bilancio preliminare di competenze SI Utilizzo di metodi di insegnamento adattati al gruppo bersaglio e ai risultati del bilancio di competenze SI Attività scelte anche sulla base del loro “interesse” sociale, che coinvolgano il tessuto sociale SI 201 Tav. 4 - Valutazione del progetto “Peppino Girella” 1ª macroarea IL COINVOLGIMENTO PRECEDENTE AL PERCORSO DIDATTICO Attività sociali e di intrattenimento NO Azioni di motivazione SI Definizione chiara di un settore lavorativo e di uno sbocco professionale SI Creazione di una rete tra settori formali/ufficiali e settori informali SI Attivazione della figura del tutor / figura di coinvolgimento SI 2ª macroarea LA RESPONSABILIZZAZIONE Sviluppo di meccanismi di consiglio e di sostegno SI Presenza di un piano di azione formale, elaborato con la partecipazione del target SI Azioni che offrano strumenti per rendere i giovani consapevoli delle loro competenze e capacità SI 3ª macroarea LA FORMAZIONE Sviluppo di attività di formazione professionale e non professionale in un approccio globale SI Sviluppo di competenze trasferibili in diversi settori del mondo del lavoro SI Insegnamento individualizzato, previo bilancio preliminare di competenze SI Utilizzo di metodi di insegnamento adattati al gruppo bersaglio e ai risultati del bilancio di competenze SI Attività scelte anche sulla base del loro “interesse” sociale, che coinvolgano il tessuto sociale SI 4ª macroarea INSERIMENTO E ACCOMPAGNAMENTO Assistenza regolare sul luogo del lavoro, attraverso rapporti formali e informali SI Attenzione agli aspetti sociali e professionali nell’espletamento dei compiti professionali SI Flessibilità nelle attività che la persona deve espletare, per permettere di sperimentare le proprie competenze professionali e di stabilire relazioni con gli imprenditori SI Monitoraggio continuo dell’evoluzione della persona, attraverso diversi strumenti formali (questionari, ecc.) o informali (accompagnamento, tempo libero) SI Tav. 5 - Valutazione del progetto “Pollicino” 1ª macroarea IL COINVOLGIMENTO PRECEDENTE AL PERCORSO DIDATTICO Attività sociali e di intrattenimento SI Azioni di motivazione SI Definizione chiara di un settore lavorativo e di uno sbocco professionale SI Creazione di una rete tra settori formali/ufficiali e settori informali SI Attivazione della figura del tutor / figura di coinvolgimento SI 4ª macroarea INSERIMENTO E ACCOMPAGNAMENTO Assistenza regolare sul luogo del lavoro, attraverso rapporti formali e informali SI Attenzione agli aspetti sociali e professionali nell’espletamento dei compiti professionali SI Flessibilità nelle attività che la persona deve espletare, per permettere di sperimentare le proprie competenze professionali e di stabilire relazioni con gli imprenditori SI Monitoraggio continuo dell’evoluzione della persona, attraverso diversi strumenti formali (questionari, ecc.) o informali (accompagnamento, tempo libero) SI 202 2ª macroarea LA RESPONSABILIZZAZIONE Sviluppo di meccanismi di consiglio e di sostegno SI Presenza di un piano di azione formale, elaborato con la partecipazione del target SI Azioni che offrano strumenti per rendere i giovani consapevoli delle loro competenze e capacità SI 3ª macroarea LA FORMAZIONE Sviluppo di attività di formazione professionale e non professionale in un approccio globale SI Sviluppo di competenze trasferibili in diversi settori del mondo del lavoro NO Insegnamento individualizzato, previo bilancio preliminare di competenze SI Utilizzo di metodi di insegnamento adattati al gruppo bersaglio e ai risultati del bilancio di competenze SI Attività scelte anche sulla base del loro “interesse” sociale, che coinvolgano il tessuto sociale SI 4ª macroarea INSERIMENTO E ACCOMPAGNAMENTO Assistenza regolare sul luogo del lavoro, attraverso rapporti formali e informali SI Attenzione agli aspetti sociali e professionali nell’espletamento dei compiti professionali SI Flessibilità nelle attività che la persona deve espletare, per permettere di sperimentare le proprie competenze professionali e di stabilire relazioni con gli imprenditori NO Monitoraggio continuo dell’evoluzione della persona, attraverso diversi strumenti formali (questionari, ecc.) o informali (accompagnamento, tempo libero) SI Tav. 6 - Valutazione del progetto “YES” 1ª macroarea IL COINVOLGIMENTO PRECEDENTE AL PERCORSO DIDATTICO Attività sociali e di intrattenimento NO Azioni di motivazione SI Definizione chiara di un settore lavorativo e di uno sbocco professionale SI Creazione di una rete tra settori formali/ufficiali e settori informali SI Attivazione della figura del tutor / figura di coinvolgimento SI 2ª macroarea LA RESPONSABILIZZAZIONE Sviluppo di meccanismi di consiglio e di sostegno SI Presenza di un piano di azione formale, elaborato con la partecipazione del target SI Azioni che offrano strumenti per rendere i giovani consapevoli delle loro competenze e capacità SI 3ª macroarea LA FORMAZIONE Sviluppo di attività di formazione professionale e non professionale in un approccio globale SI Sviluppo di competenze trasferibili in diversi settori del mondo del lavoro SI Insegnamento individualizzato, previo bilancio preliminare di competenze SI Utilizzo di metodi di insegnamento adattati al gruppo bersaglio e ai risultati del bilancio di competenze SI Attività scelte anche sulla base del loro “interesse” sociale, che coinvolgano il tessuto sociale SI 4ª macroarea INSERIMENTO E ACCOMPAGNAMENTO Assistenza regolare sul luogo del lavoro, attraverso rapporti formali e informali SI Attenzione agli aspetti sociali e professionali nell’espletamento dei compiti professionali SI Flessibilità nelle attività che la persona deve espletare, per permettere di sperimentare le proprie competenze professionali e di stabilire relazioni con gli imprenditori SI Monitoraggio continuo dell’evoluzione della persona, attraverso diversi strumenti formali (questionari, ecc.) o informali (accompagnamento, tempo libero) SI 203 Graf. 1 - Completamento o meno delle 4 fasi dell’“approccio centrato sulla persona” nei 4 progetti sui “giovani a rischio”- Fase 1 * I progetti “Peppino Girella” e “YES” non presentano attività sociali e di intrattenimento, gli altri indicatori della fase sono presenti in ugual misura. Graf. 2 - Completamento o meno delle 4 fasi dell’“approccio centrato sulla persona” nei 4 progetti sui “giovani a rischio”- Fase 2 * Tutti i progetti presentano gli indicatori della fase. 204 Graf. 3 - Completamento o meno delle 4 fasi dell’“approccio centrato sulla persona” nei 4 progetti sui “giovani a rischio”- Fase 3 * Tutti gli indicatori della fase sono presenti in tutti i progetti. Graf. 4 - Completamento o meno delle 4 fasi dell’“approccio centrato sulla persona” nei 4 progetti sui “giovani a rischio”- Fase 4 * “Pollicino” manca di una fase, tutti gli altri sono presenti in egual modo. 205 Tav. 7 - Valutazione del progetto “La scuola della seconda opportunità” 1ª macroarea IL COINVOLGIMENTO PRECEDENTE AL PERCORSO DIDATTICO Attività sociali e di intrattenimento SI Azioni di motivazione SI Definizione chiara di un settore lavorativo e di uno sbocco professionale NO Creazione di una rete tra settori formali/ufficiali e settori informali SI Attivazione della figura del tutor / figura di coinvolgimento NO 2ª macroarea LA RESPONSABILIZZAZIONE Sviluppo di meccanismi di consiglio e di sostegno SI Presenza di un piano di azione formale, elaborato con la partecipazione del target SI Azioni che offrano strumenti per rendere i giovani consapevoli delle loro competenze e capacità SI 3ª macroarea LA FORMAZIONE Sviluppo di attività di formazione professionale e non professionale in un approccio globale SI Sviluppo di competenze trasferibili in diversi settori del mondo del lavoro SI Insegnamento individualizzato, previo bilancio preliminare di competenze SI Utilizzo di metodi di insegnamento adattati al gruppo bersaglio e ai risultati del bilancio di competenze SI Attività scelte anche sulla base del loro “interesse” sociale, che coinvolgano il tessuto sociale SI 4ª macroarea INSERIMENTO E ACCOMPAGNAMENTO Assistenza regolare sul luogo del lavoro, attraverso rapporti formali e informali NO Attenzione agli aspetti sociali e professionali nell’espletamento dei compiti professionali NO Flessibilità nelle attività che la persona deve espletare, per permettere di sperimentare le proprie competenze professionali e di stabilire relazioni con gli imprenditori NO Monitoraggio continuo dell’evoluzione della persona, attraverso diversi strumenti formali (questionari, ecc.) o informali (accompagnamento, tempo libero) NO Graf. 5 - Completamento o meno delle 4 fasi dell’“approccio centrato sulla persona” nel progetto “La scuola della seconda opportunità” - Fase 1 * Il progetto non presenta una definizione chiara di un settore lavorativo e di uno sbocco professionale né pre- vede l’attivazione del tutor o altra figura. 206 Graf. 6 - Completamento o meno delle 4 fasi dell’“approccio centrato sulla persona” nel progetto “La scuola della seconda opportunità” - Fase 3 * Tutti gli indicatori previsti nella fase sono presenti. Graf. 7 - Completamento o meno delle 4 fasi dell’“approccio centrato sulla persona” nel progetto “La scuola della seconda opportunità” - Fase 4 * Non è stata esplicitata alcuna modalità di inserimento e accompagnamento. 207 Tav. 8 - Valutazione del progetto “Leo Young” 1ª macroarea IL COINVOLGIMENTO PRECEDENTE AL PERCORSO DIDATTICO Attività sociali e di intrattenimento SI Azioni di motivazione SI Definizione chiara di un settore lavorativo e di uno sbocco professionale SI Creazione di una rete tra settori formali/ufficiali e settori informali SI Attivazione della figura del tutor / figura di coinvolgimento SI 2ª macroarea LA RESPONSABILIZZAZIONE Sviluppo di meccanismi di consiglio e di sostegno SI Presenza di un piano di azione formale, elaborato con la partecipazione del target NO Azioni che offrano strumenti per rendere i giovani consapevoli delle loro competenze e capacità SI 3ª macroarea LA FORMAZIONE Sviluppo di attività di formazione professionale e non professionale in un approccio globale SI Sviluppo di competenze trasferibili in diversi settori del mondo del lavoro SI Insegnamento individualizzato, previo bilancio preliminare di competenze NO Utilizzo di metodi di insegnamento adattati al gruppo bersaglio e ai risultati del bilancio di competenze NO Attività scelte anche sulla base del loro “interesse” sociale, che coinvolgano il tessuto sociale NO 4ª macroarea INSERIMENTO E ACCOMPAGNAMENTO Assistenza regolare sul luogo del lavoro, attraverso rapporti formali e informali SI Attenzione agli aspetti sociali e professionali nell’espletamento dei compiti professionali SI Flessibilità nelle attività che la persona deve espletare, per permettere di sperimentare le proprie competenze professionali e di stabilire relazioni con gli imprenditori NO Monitoraggio continuo dell’evoluzione della persona, attraverso diversi strumenti formali (questionari, ecc.) o informali (accompagnamento, tempo libero) SI Tav. 9 - Valutazione del progetto “Alle sorgenti” 1ª macroarea IL COINVOLGIMENTO PRECEDENTE AL PERCORSO DIDATTICO Attività sociali e di intrattenimento NO Azioni di motivazione SI Definizione chiara di un settore lavorativo e di uno sbocco professionale SI Creazione di una rete tra settori formali/ufficiali e settori informali NO Attivazione della figura del tutor / figura di coinvolgimento NO 2ª macroarea LA RESPONSABILIZZAZIONE Sviluppo di meccanismi di consiglio e di sostegno SI Presenza di un piano di azione formale, elaborato con la partecipazione del target SI Azioni che offrano strumenti per rendere i giovani consapevoli delle loro competenze e capacità SI 208 3ª macroarea LA FORMAZIONE Sviluppo di attività di formazione professionale e non professionale in un approccio globale NO Sviluppo di competenze trasferibili in diversi settori del mondo del lavoro SI Insegnamento individualizzato, previo bilancio preliminare di competenze NO Utilizzo di metodi di insegnamento adattati al gruppo bersaglio e ai risultati del bilancio di competenze NO Attività scelte anche sulla base del loro “interesse” sociale, che coinvolgano il tessuto sociale NO 4ª macroarea INSERIMENTO E ACCOMPAGNAMENTO Assistenza regolare sul luogo del lavoro, attraverso rapporti formali e informali SI Attenzione agli aspetti sociali e professionali nell’espletamento dei compiti professionali NO Flessibilità nelle attività che la persona deve espletare, per permettere di sperimentare le proprie competenze professionali e di stabilire relazioni con gli imprenditori NO Monitoraggio continuo dell’evoluzione della persona, attraverso diversi strumenti formali (questionari, ecc.) o informali (accompagnamento, tempo libero) SI Tav. 10 - Valutazione del progetto “Nuove fantasie per il tessile” 1ª macroarea IL COINVOLGIMENTO PRECEDENTE AL PERCORSO DIDATTICO Attività sociali e di intrattenimento NO Azioni di motivazione NO Definizione chiara di un settore lavorativo e di uno sbocco professionale SI Creazione di una rete tra settori formali/ufficiali e settori informali SI Attivazione della figura del tutor / figura di coinvolgimento NO 2ª macroarea LA RESPONSABILIZZAZIONE Sviluppo di meccanismi di consiglio e di sostegno NO Presenza di un piano di azione formale, elaborato con la partecipazione del target SI Azioni che offrano strumenti per rendere i giovani consapevoli delle loro competenze e capacità SI 3ª macroarea LA FORMAZIONE Sviluppo di attività di formazione professionale e non professionale in un approccio globale NO Sviluppo di competenze trasferibili in diversi settori del mondo del lavoro SI Insegnamento individualizzato, previo bilancio preliminare di competenze NO Utilizzo di metodi di insegnamento adattati al gruppo bersaglio e ai risultati del bilancio di competenze NO Attività scelte anche sulla base del loro “interesse” sociale, che coinvolgano il tessuto sociale NO 4ª macroarea INSERIMENTO E ACCOMPAGNAMENTO Assistenza regolare sul luogo del lavoro, attraverso rapporti formali e informali NO Attenzione agli aspetti sociali e professionali nell’espletamento dei compiti professionali NO Flessibilità nelle attività che la persona deve espletare, per permettere di sperimentare le proprie competenze professionali e di stabilire relazioni con gli imprenditori SI Monitoraggio continuo dell’evoluzione della persona, attraverso diversi strumenti formali (questionari, ecc.) o informali (accompagnamento, tempo libero) NO 209 Graf. 8 - Completamento o meno delle 4 fasi dell’“approccio centrato sulla persona” nei 3 progetti per “giovani tossicodipendenti ed ex” - Fase 1 * Il progetto “Leo Young” presenta tutti gli indicatori della fase; il progetto “Alle sorgenti” solamente le azioni di moti- vazione e la definizione chiara di uno sbocco o settore professionale; il progetto “Nuove fantasie per il tessile” solamente la definizione chiara di uno sbocco o settore professionale e la creazione di una rete tra settori formali e informali. Graf. 9 - Completamento o meno delle 4 fasi dell’“approccio centrato sulla persona” nei 3 progetti per “giovani tossicodipendenti ed ex” - Fase 2 * I progetti “Leo Young” e “Alle sorgenti” presentano tutti gli indicatori della fase, il progetto “Nuove fantasie per il tessile” non prevede meccanismi di sostegno e consiglio. 210 Graf. 10 - Completamento o meno delle 4 fasi dell’“approccio centrato sulla persona” nei 3 progetti per “giovani tossicodipendenti ed ex” - Fase 3 * Tutti i progetti prevedono un’attenzione allo sviluppo di competenze trasferibili in vari settori del mondo del lavoro da parte dei giovani tossicodipendenti ed ex-tossicodipendenti coinvolti; solo il progetto “Leo Young” prevede anche lo sviluppo di attività di formazione professionale e non, in un approccio globale; le rimanenti azioni mancano in tutti e 3. Graf. 11 - Completamento o meno delle 4 fasi dell’“approccio centrato sulla persona” nei 3 progetti per “giovani tossicodipendenti ed ex” - Fase 4 * I progetti “Leo Young” e “Alle sorgenti” prevedono la fase di assistenza sul luogo di lavoro e il monitoraggio sull’e- voluzione della persona; il progetto “Leo Young” presta anche attenzione agli aspetti sociali e professionali nell’espleta- mento dei compiti professionali; il progetto “Nuove fantasie per il tessile” presenta in questa fase solamente l’indicatore relativo alla flessibilità nelle attività da espletare per il giovane, fattore peraltro non presente negli altri due progetti. 211 Tav. 11 - Valutazione del progetto “Spaziomusica” 1ª macroarea IL COINVOLGIMENTO PRECEDENTE AL PERCORSO DIDATTICO Attività sociali e di intrattenimento NO Azioni di motivazione SI Definizione chiara di un settore lavorativo e di uno sbocco professionale SI Creazione di una rete tra settori formali/ufficiali e settori informali SI Attivazione della figura del tutor / figura di coinvolgimento SI 2ª macroarea LA RESPONSABILIZZAZIONE Sviluppo di meccanismi di consiglio e di sostegno SI Presenza di un piano di azione formale, elaborato con la partecipazione del target SI Azioni che offrano strumenti per rendere i giovani consapevoli delle loro competenze e capacità SI 3ª macroarea LA FORMAZIONE Sviluppo di attività di formazione professionale e non professionale in un approccio globale SI Sviluppo di competenze trasferibili in diversi settori del mondo del lavoro SI Insegnamento individualizzato, previo bilancio preliminare di competenze SI Utilizzo di metodi di insegnamento adattati al gruppo bersaglio e ai risultati del bilancio di competenze SI Attività scelte anche sulla base del loro “interesse” sociale, che coinvolgano il tessuto sociale SI 4ª macroarea INSERIMENTO E ACCOMPAGNAMENTO Assistenza regolare sul luogo del lavoro, attraverso rapporti formali e informali SI Attenzione agli aspetti sociali e professionali nell’espletamento dei compiti professionali NO Flessibilità nelle attività che la persona deve espletare, per permettere di sperimentare le proprie competenze professionali e di stabilire relazioni con gli imprenditori SI Monitoraggio continuo dell’evoluzione della persona, attraverso diversi strumenti formali (questionari, ecc.) o informali (accompagnamento, tempo libero) NO Tav. 12 - Valutazione del progetto “Davide contro Golia” 1ª macroarea IL COINVOLGIMENTO PRECEDENTE AL PERCORSO DIDATTICO Attività sociali e di intrattenimento NO Azioni di motivazione SI Definizione chiara di un settore lavorativo e di uno sbocco professionale SI Creazione di una rete tra settori formali/ufficiali e settori informali SI Attivazione della figura del tutor / figura di coinvolgimento SI 2ª macroarea LA RESPONSABILIZZAZIONE Sviluppo di meccanismi di consiglio e di sostegno SI Presenza di un piano di azione formale, elaborato con la partecipazione del target SI Azioni che offrano strumenti per rendere i giovani consapevoli delle loro competenze e capacità SI 212 3ª macroarea LA FORMAZIONE Sviluppo di attività di formazione professionale e non professionale in un approccio globale SI Sviluppo di competenze trasferibili in diversi settori del mondo del lavoro SI Insegnamento individualizzato, previo bilancio preliminare di competenze SI Utilizzo di metodi di insegnamento adattati al gruppo bersaglio e ai risultati del bilancio di competenze SI Attività scelte anche sulla base del loro “interesse” sociale, che coinvolgano il tessuto sociale SI 4ª macroarea INSERIMENTO E ACCOMPAGNAMENTO Assistenza regolare sul luogo del lavoro, attraverso rapporti formali e informali SI Attenzione agli aspetti sociali e professionali nell’espletamento dei compiti professionali SI Flessibilità nelle attività che la persona deve espletare, per permettere di sperimentare le proprie competenze professionali e di stabilire relazioni con gli imprenditori SI Monitoraggio continuo dell’evoluzione della persona, attraverso diversi strumenti formali (questionari, ecc.) o informali (accompagnamento, tempo libero) SI Tav. 13 - Valutazione del progetto “AIRONE” 1ª macroarea IL COINVOLGIMENTO PRECEDENTE AL PERCORSO DIDATTICO Attività sociali e di intrattenimento NO Azioni di motivazione NO Definizione chiara di un settore lavorativo e di uno sbocco professionale NO Creazione di una rete tra settori formali/ufficiali e settori informali SI Attivazione della figura del tutor / figura di coinvolgimento SI 2ª macroarea LA RESPONSABILIZZAZIONE Sviluppo di meccanismi di consiglio e di sostegno SI Presenza di un piano di azione formale, elaborato con la partecipazione del target SI Azioni che offrano strumenti per rendere i giovani consapevoli delle loro competenze e capacità SI 3ª macroarea LA FORMAZIONE Sviluppo di attività di formazione professionale e non professionale in un approccio globale NO Sviluppo di competenze trasferibili in diversi settori del mondo del lavoro SI Insegnamento individualizzato, previo bilancio preliminare di competenze SI Utilizzo di metodi di insegnamento adattati al gruppo bersaglio e ai risultati del bilancio di competenze SI Attività scelte anche sulla base del loro “interesse” sociale, che coinvolgano il tessuto sociale SI 4ª macroarea INSERIMENTO E ACCOMPAGNAMENTO Assistenza regolare sul luogo del lavoro, attraverso rapporti formali e informali SI Attenzione agli aspetti sociali e professionali nell’espletamento dei compiti professionali NO Flessibilità nelle attività che la persona deve espletare, per permettere di sperimentare le proprie competenze professionali e di stabilire relazioni con gli imprenditori NO Monitoraggio continuo dell’evoluzione della persona, attraverso diversi strumenti formali (questionari, ecc.) o informali (accompagnamento, tempo libero) SI 213 Graf. 12 - Completamento o meno delle 4 fasi dell’“approccio centrato sulla persona” nei 3 progetti per “giovani immigrati” - Fase 1 * Tutti i progetti prevedono la creazione di una rete di settori formali e informali e l’attivazione della figura del tutor; i progetti “Spaziomusica” e “Davide contro Golia” prevedono anche azioni di motivazione e la definizione chiara di un settore o sbocco lavorativo; nessuna attività sociale e di intrattenimento è prevista nei progetti cam- pione a target “immigrati”. Graf. 13 - Completamento o meno delle 4 fasi dell’“approccio centrato sulla persona” nei 3 progetti per “giovani immigrati” - Fase 2 * Tutti i progetti selezionati presentano gli indicatori previsti per la fase. 214 Graf. 14 - Completamento o meno delle 4 fasi dell’“approccio centrato sulla persona” nei 3 progetti per “giovani immigrati” - Fase 3 * Tutti i progetti sviluppano gli indicatori previsti per la fase, ad eccezione del progetto “Airone”, che non pre- vede lo sviluppo di attività di formazione professionale e non professionale in un approccio globale. Graf. 15 - Completamento o meno delle 4 fasi dell’“approccio centrato sulla persona” nei 3 progetti per “giovani immigrati” - Fase 4 * Il progetto “Davide contro Golia” prevede tutti gli indicatori della fase; il progetto “Spaziomusica” prevede l’as- sistenza sul luogo di lavoro e la flessibilità nei compiti da espletare; quest’ultimo indicatore non è previsto dal solo progetto “Airone”. 215 INDICE PRESENTAZIONE (M. Tonini) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Parte I LINEE PEDAGOGICO-METODOLOGICHE PER LAVORARE CON I “RAGAZZI DIFFICILI” Capitolo 1 “RAGAZZI DIFFICILI”: MISURE A SOSTEGNO/ACCOMPAGNAMENTO (V. Pieroni - G. Malizia) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 1. Cosa significa lavorare con i “ragazzi difficili” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 2. I “fondamentali” di un percorso ri-educativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 3. Alla ricerca di “buone prassi” per lavorare con i “ragazzi difficili” . . . . 18 3.1. La struttura portante di un “modello di servizio di qualità” . . . . . . . . . 19 3.1.1. L’impostazione del progetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 3.1.2. La valutazione dell’iter processuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 3.1.3. La valutazione del programma nel suo complesso . . . . . . . . . . . 24 3.1.4. La divulgazione dei risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 3.2. La messa in atto di adeguate strategie d’intervento . . . . . . . . . . . . . . . 24 3.2.1. La selezione, la formazione e la “professionalità” degli operatori 25 3.2.2. Cambio di cultura nella promozione e realizzazione degli inter- venti ri-educativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 4. Una nuova cultura delle politiche formative europee e nazionali . . . . . . . 41 4.1. Le tendenze nell’Unione Europea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 4.1.1. Le sfide e gli obiettivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 4.1.2. Le strategie a livello macrostrutturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 4.1.3. Le strategie a livello microstrutturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 4.2. La Legge delega 53/2003 (Riforma Moratti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 216 Parte II LE ESPERIENZE: ANALISI E VALUTAZIONE DI ATTIVITÀ/PROGETTI PER L’INCLUSIONE DI GIOVANI SVANTAGGIATI Capitolo 2 ANALISI E VALUTAZIONE DI PROGETTI DI RECUPERO E INSERIMENTO DI GIOVANI A RISCHIO DI ESCLUSIONE (V. Pieroni - M. Pulino - D. Antonietti) . . . . . . . . . . . . . 57 1. I progetti comunitari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 1.1. L’approccio globale centrato sulla persona e griglie di verifica . . . . . . 57 1.2. I progetti presi in analisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 1.2.1. Progetti con target: “giovani a rischio” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 1.2.2. Progetti con target misto: “minori a rischio/genitori di minori a rischio” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83 1.2.3. Progetti con target: “giovani tossicodipendenti ed ex tossi- codipendenti” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87 1.2.4. Progetti con target: “giovani immigrati” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 1.3. Breve sintesi conclusiva sui progetti comunitari . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104 2. I progetti realizzati dal CNOS-FAP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104 2.1. La griglia di lettura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 2.2. Esame del progetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106 2.2.1. Confronto sulla macroarea “Coinvolgimento” . . . . . . . . . . . . . . 106 2.2.2. Confronto sulla macroarea “Responsabilizzazione” . . . . . . . . . . 106 2.2.3. Confronto sulla macroarea “Formazione” . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107 2.2.4. Confronto sulla macroarea “Inserimento e accompagnamento” . 107 2.3. Valutazione del progetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108 3. Altri progetti che hanno fatto da modello nella promozione e realiz- zazione di attività formative a favore di giovani a rischio di esclusione . 110 3.1. Il progetto “PAIDEIA” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110 3.1.1. Descrizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110 3.1.2. Metodologia utilizzata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110 3.1.3. Distribuzione del progetto per fasi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111 3.1.4. Risultati conseguiti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111 3.1.5. Buone prassi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112 3.2. Il progetto “IN SIEME - Azione per l’imprenditorialità sociale” . . . . . 113 3.2.1. Descrizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 3.2.2. Obiettivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 3.2.3. Modalità di realizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 217 Capitolo 3 I “LABORATORI PROGETTUALI” SU CATEGORIE DI GIOVANI SVANTAGGIATI. METODOLOGIA ED INTERVENTI SUL CAMPO (A. Felice - V. Pieroni) . . . . . . . . . . 115 1. Il metodo della “progettazione partecipata” e/o della “programmazione concertata” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 1.1. Il quadro concettuale di riferimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 1.2. I principi su cui si fonda il metodo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117 1.3. Le articolazioni metodologiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118 1.3.1. La fase di analisi o workshop di identificazione . . . . . . . . . . . . . 119 1.3.2. La fase di progettazione o workshop di definizione . . . . . . . . . . 120 1.3.3. La fase o workshop di valutazione intermedia . . . . . . . . . . . . . . 122 1.3.4. La fase o workshop di valutazione finale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122 2. Le esperienze sul campo analizzate mediante i “laboratori progettuali” . 123 2.1. Problemi e proposte per facilitare i percorsi formativi degli allievi “ex- tracomunitari” dei corsi di formazione professionale (CFP “T. Gerini” - Roma) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123 2.1.1. Le difficoltà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 124 2.1.2. Le proposte riguardanti le diverse aree-problema . . . . . . . . . . . . 129 2.2. Problemi e proposte per realizzare percorsi formativi a favore dei “giovani a rischio di esclusione” (COSPES - Sardegna) . . . . . . . . . . . 133 2.2.1. Lo scenario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 134 2.2.2. I fattori problematici che esulano dell’intervento delle istituzioni formative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 136 2.2.3. I fattori problematici sui quali le istituzioni formative possono intervenire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137 2.2.4. Le proposte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 142 2.3. Problemi e proposte per interventi formativi-rieducativi a favore dei giovani “tossicodipendenti” (Comunità di Albarè - Verona) . . . . . . . . . 150 2.3.1. Prima fase: il percorso precedente all’entrata in comunità . . . . . 152 2.3.2. Seconda fase: il percorso in comunità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 152 2.3.3. Le difficoltà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153 2.3.4. Le proposte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155 Parte III IPOTESI DI MODELLO SISTEMICO PER PERCORSI/PROGETTI FORMATIVI “DESTRUTTURATI” PER L’INCLUSIONE SOCIO-LAVORATIVA DI GIOVANI SVANTAGGIATI Capitolo 4 SINTESI DELLE “BUONE PRASSI” EMERSE DALL’ANALISI DEI PROGETTI E DAI “LABORATORI PROGETTUALI” ED ELABORAZIONE DI UN MODELLO SISTEMICO DI RIFERIMENTO (V. Pieroni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163 218 1. L’analisi dei progetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163 1.1. I progetti comunitari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163 1.2. Le esperienze/attività a favore di categorie di giovani svantaggiati pro- mosse all’interno dei Centri del CNOS-FAP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 166 1.3. I progetti “altri” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 166 2. Le proposte emerse dai tre “laboratori progettuali” . . . . . . . . . . . . . . . . . 167 2.1. La diagnosi sulle aree-problema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 167 2.2. La prognosi sulle strategie d’intervento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168 3. Ipotesi di modello sistemico emerso dall’insieme delle “buone prassi” e finalizzato alla realizzazione dei progetti “destrutturati” . . . . . . . . . . . . 169 Capitolo 5 PROPOSTE PEDAGOGICO-METODOLOGICHE A SUPPORTO DI PROGETTI “DESTRUT- TURATI” PER L’INCLUSIONE DEI GIOVANI SVANTAGGIATI (V. Pieroni - G. Malizia) 173 1. La pedagogia sottesa alla mission dei progetti per l’inclusione dei gio- vani svantaggiati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 173 2. Principi ispiratori e azioni-guida per la realizzazione di percorsi/pro- getti “destrutturati” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174 2.1. I principi ispiratori e gli obiettivi sottesi agli interventi formativi “de- strutturati” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175 2.2. I destinatari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177 2.3. Gli attori coinvolti ed i prerequisiti per la promozione e gestione in rete degli interventi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 178 2.4. La metodologia a sostegno delle azioni formativo-educative . . . . . . . . . 180 2.5. La struttura portante di un percorso/progetto formativo “destrutturato” 184 2.5.1. Il “centro risorse” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 184 2.5.2. La figura del tutor/mentor . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 185 2.5.3. La elaborazione di un progetto personalizzato . . . . . . . . . . . . . . 185 2.5.4. Un percorso formativo finalizzato al recupero degli apprendimenti 186 2.5.5. L’attività di stage . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 188 2.5.6. L’attività di accompagnamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 189 2.5.7. L’inserimento lavorativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 189 BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 191 APPENDICE - Griglie di valutazione dei progetti comunitari e relativi grafici 197 INDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 215 219 Pubblicazioni 2002-2005 nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “Studi, progetti, esperienze per una nuova formazione professionale” 1. Nella sezione “studi” 1) CIOFS/FP (a cura di), Atti del XIV seminario di formazione europea, La formazione profes- sionale per lo sviluppo del territorio. Castel Brando (Treviso), 9 - 11 settembre 2002, 2003 2) CIOFS/FP (a cura di), Atti del XV seminario di formazione europea. Il sistema dell’istru- zione e formazione professionale nel contesto della riforma. Significato e percorsi, 2004 3) CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVI seminario di formazione europea. La formazione profes- sionale fino alla formazione superiore. Per uno sviluppo in verticale di pari dignità, 2005 4) CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Vademecum. Strumento di lavoro per l’erogazione dei servizi orientativi, 2003 5) CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Opportunità occupazionali e sviluppo turistico dei territori di Catania, Noto, Modica, 2004 6) CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di riforme, 2004 7) MALIZIA G. - D. NICOLI - V. PIERONI (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimenta- zione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 8) MALIZIA G. - V. PIERONI (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow - up, 2003 9) MALIZIA G. (coord.) - D. ANTONIETTI - M. TONINI (a cura di), Le parole chiave della forma- zione professionale, 2004 10) RUTA G., Etica della persona e del lavoro, 2004 11) D’AGOSTINO S. - G. MASCIO - D. NICOLI, Monitoraggio delle politiche regionali in tema di istruzione e formazione professionale, (in stampa) 2. Nella sezione “progetti” 12) ASSOCIAZIONE CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), L’accoglienza nei percorsi formativo-orien- tativi. Un approccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 13) ASSOCIAZIONE CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), Le competenze orientative. Un approccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 14) BECCIU M. - A.R. COLASANTI, La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, 2003 15) CIOFS/FP CAMPANIA (a cura di), OrION tra orientamento e network, 2004 16) CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), L’accoglienza nei percorsi formativo-orientativi. Un ap- proccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 17) CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), Le competenze orientative. Un approccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 18) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi persona- lizzati. Comunità professionale alimentazione, 2004 19) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi persona- lizzati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 20) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi persona- lizzati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 21) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi persona- lizzati. Comunità professionale estetica, 2004 220 22) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi persona- lizzati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 23) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi persona- lizzati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 24) CIOFS/FP (a cura di), Un modello per la gestione dei servizi di orientamento, 2003 25) CIOFS/FP BASILICATA, L’orientamento nello zaino. Percorso nella scuola media inferiore. Diffusione di una buona pratica, 2004 26) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi persona- lizzati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 27) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi persona- lizzati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 28) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi persona- lizzati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 29) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi persona- lizzati. Comunità professionale meccanica, 2004 30) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi persona- lizzati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 31) CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2003 32) COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di im- presa. Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP, s.d. 33) FONTANA S. - G. TACCONI - M. VISENTIN, Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003 34) GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo, 2003 35) MARSILI E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente, 2003 36) NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del- l’istruzione e della formazione professionale, 2004 37) NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 38) TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003 39) VALENTE L. - D. ANTONIETTI, Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi, 2003 40) NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 41) VALENTE L. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005 42) POLACEK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 43) CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professio- nale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 3. Nella sezione “esperienze” 44) CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 45) CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagna- mento in itinere, 2003 46) CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagna- mento finale, 2003 47) CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 48) TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordi- natore delle attività educative del CFP, 2005 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@pcn.net Novembre 2005

Atti del XVI Seminario di Formazione Europea. La formazione professionale fino alla formazione superiore. Per uno sviluppo in verticale di pari dignità

Autore: 
Sede Nazionale CIOFS/FP
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2005
Numero pagine: 
307
Il coordinamento editoriale del Seminario è stato condotto da Lauretta Valente e Angela Elicio della Sede Nazionale del CIOFS-FP. Autori del volume sono: Margherita Dal Lago, Giorgio Kutufà, Nila Mugnaini, Michele Pellerey, Carla Roncaglia, Lauretta Valente (cap. 1) Attilio Bondone, Michele Pellerey (cap. 2) Maurizio Drezzadore, Bruno Scazzocchio, Domenico Sugamiele, Mario Tonini (cap. 3) Anna D’Arcangelo, Antonio Francioni, Arduino Salatin (cap. 4) Sergio Angori, Mauro Frisanco, Angel Miranda, Martine Revel, Olga Turrini (cap. 5) Nicola Abbundo, Luciano Falchini, Michele Pellerey, Domenico Sugamiele (cap. 6) Giampietro Brunelli, Angela Elicio, Giorgio Migliorisi, Paolo Olivieri, Giuseppe Pinna, Marco Tarisciotti, Fabrizio Tosti (cap. 7) Il cordinamento editoriale finale è stato curato da: Angela Elicio, Fabrizia Pittalà, Lauretta Valente Si ringraziano gli Operatori della Formazione Professionale e rappresentanti del: CIOFS-FP Abruzzo, CIOFS-FP Basilicata, CIOFS-FP Calabria, CIOFS-FP Campania, CIOFS-FP Emilia Romagna, CIOFS-FP Friuli Venezia Giulia, CIOFS-FP Lazio, CIOFS-FP Liguria, CIOFS-FP Lombardia, CIOFS-FP Piemonte, CIOFS-FP Puglia, CIOFS-FP Sardegna, CIOFS-FP Sicilia, CIOFS-FP Toscana, CIOFS-FP Veneto. INDICE 1. Apertura del Seminario 1.1 - Presentazione. Michele Pellerey - UPS 7 1.2 - Saluti delle Autorità 11 Margherita Dal Lago - CIOFS 13 Nila Mugnaini - CIOFS-FP Toscana Carla Roncaglia - Assessorato Comune di Livorno 14 Giorgio Kutufà - Provincia di Livorno 16 1.3 - Le motivazioni del Seminario. Lauretta Valente - CIOFS-FP 18 2. Linee operative e prospettive di sviluppo in Italia 2.1 - Significato e attuazione della Riforma in Italia in rapporto alla Formazione Professionale Superiore: riflessioni critico-propositive 23 Michele Pellerey - UPS 2.2 - La proposta CONFAP/FORMA per il sistema di Istruzione e Formazione Professionale. 32 Attilio Bondone - CONFAP 3. Possibilità e opportunità per la Formazione Professionale Superiore in Italia. Pareri a confronto 3.1 - Introduzione. Maurizio Drezzadore - ENAIP 37 Intervengono 3.2 - Mario Tonini - CNOS-FAP 40 3.3 - Bruno Scazzocchio - Confindustria 47 3.4 - Domenico Sugamiele - MIUR 51 3.5 - Antonio Capone - MLPS 61 4. Formazione Professionale Superiore: l’esperienza italiana e il quadro prospettico europeo 4.1 - Criticità della nuova programmazione strutturale 2006-2013. 69 Antonio Francioni - ISFOL 4.2 - La Formazione Professionale Superiore in Europa: criteri e modelli di comparazione. 92 Arduino Salatin - Università di Padova 4.3 - I risultati del monitoraggio ISFOL relativi agli I.F.T.S. 108 Anna D’Arcangelo - ISFOL 3 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 5. Formazione Professionale Superiore. Esperienze europee 5.1 - Introduzione. Olga Turrini - ISFOL 119 5.2 - La Formazione Professionale in Francia 122 Martine Revel - Institut Catholique d’Arts et Métiers (ICAM) 5.3 - Verso la Formazione Professionale Superiore. La sperimentazione del diploma di formazione professionale in provincia di Trento. 129 Mauro Frisanco - Provincia Autonoma di Trento 5.4 - Il sistema di Formazione Professionale in Spagna. 144 Angel Miranda - Segreteria Nazionale Salesiana di Educazione Tecnico Professionale. 5.5 - La Formazione Professionale Superiore: quale contributo dalle scienze pedagogiche? 154 Sergio Angori - Università di Siena 6. Prospettive di lavoro e di intervento. Pareri delle Istituzioni 6.1 - Introduzione: Michele Pellerey - UPS 163 Intervengono: 6.2 - Domenico Sugamiele - MIUR 168 6.3 - Luciano Falchini - Regione Toscana 173 6.4 - Nicola Abbundo - Assessorato FP Regione Liguria 177 7. Contributi dei Gruppi di Lavoro. Costruzione della mappa delle Comunità Professionali 7.1 - La realizzazione della Mappa delle Comunità Professionali per un sistema di offerta diversificato e comparabile. 187 Angela Elicio - CIOFS-FP 7.2 - Comunità delle Professioni Sociali. Paolo Olivieri - EISS 192 7.3 - Comunità delle Professioni nel campo della Grafica. 194 Fabrizio Tosti, Marco Tarisciotti - CNOS-FAP 7.4 - Comunità delle Professioni Aziendale e Amministrativa. 197 Giuseppe Pinna - CIOFS-FP 7.5 - Comunità delle Professioni nel Tessile - Abbigliamento. 202 Giampietro Brunelli - ENAC 7.6 - Comunità delle Professioni nella Alimentazione. 206 Giorgio Migliorisi - CAPAC 8. Allegati 8.1 - Il sistema educativo della Svizzera 211 8.2 - La Formazione Superiore nel Progetto CIOFS-FP e CNOS-FAP 257 9. Bibliografia/Sitografia 299 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 4 1. APERTURA DEL SEMINARIO 1.1 - Presentazione Michele Pellerey Università Pontificia Salesiana Da quando è stata approvata la legge 53/2003 il sistema educativo italiano ha spe- rimentato nuove e significative aperture verso la considerazione di un sistema di formazione professionale che presenti una consistente qualità educativa, culturale e professionale, ma che garantisca contemporaneamente un’effettiva preparazione ad entrare validamente e produttivamente nel mondo del lavoro. Le soluzioni spe- rimentate nelle varie Regioni e Province autonome sono state e sono varie. Ciò è dipeso sia da prospettive politico-ideologiche divergenti, sia dalla reale consisten- za dei Centri di formazione professionale presenti. Non si può non riconoscere da questo punto di vista la diversità notevole tra la situazione della Provincia Autonoma di Trento, ove la formazione professionale iniziale raggiunge il 20-25% delle leve studentesche e, ad esempio, quella di alcune Regioni dove questo tipo di percorso è praticamente inesistente. Nel periodo che ha preceduto la formulazione e, soprattutto, l’approvazione della legge su citata, si era prospettato un sistema di istruzione e di formazione profes- sionale che si estendeva ben oltre la qualifica e il diploma professionale, per com- prendere anche percorsi di formazione professionale superiore di tipo non univer- sitario. Ricordo a questo proposito una discussione assai animata sviluppatasi in un gruppo di lavoro, nel quale i rappresentanti degli ordini professionali dei geo- metri e dei ragionieri manifestarono la loro preferenza per una preparazione post- secondaria di tipo universitario, più che per una basata su una forma di pratican- tato supportato da formazione superiore di tipo non universitario. In quel conte- sto sembrava evidente la opzione per una prospettiva di sistema di istruzione e for- mazione professionale che portasse a diversi livelli di formazione tecnico-profes- sionale superiore intimamente raccordati con quelli del secondo ciclo di istruzione e formazione. Tuttavia, il testo definitivamente approvato, nonostante le ipotesi avanzate in sede di sua predisposizione, non entra nel merito di un percorso di formazione tecnico- professionale superiore. Esso cita l’Università come scelta dopo il secondo ciclo di istruzione, e l’Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS) in quanto prevista dalla legge 144 (art. 69) del 1999, senza proporne né modifiche, né integrazioni. 7 APERTURA DEL SEMINARIO Il Seminario di studio di cui questi Atti costituiscono l’integrale documentazione, ha lodevolmente posto l’accento sull’esigenza istituzionale di un Sistema di Istruzione e Formazione Professionale, che trovi la sua identità e la sua forza in un quadro di percorsi formativi che partano dall’inizio del secondo ciclo scolastico e si estendano oltre la sua conclusione verso livelli di alta formazione. L’indice degli Atti consente di cogliere la dinamica del lavoro svolto in un ambiente ricco di stimoli e comfort, quale quello fornito dalla cittadina di mare di Tirrenia, a pochi chilometri dallo splendido scenario di Pisa e del suo Campo dei Miracoli. Il quadro problematico offerto in apertura è stato approfondito sul piano delle esigen- ze ed opportunità, delle esperienze e sperimentazioni italiane e delle impostazioni delle istituzioni europee. Si è giunti così ad una serie di prospettive e proposte di approfondimento di sviluppo istituzionale. L’attività dei gruppi di lavoro seminaria- le ha completato il quadro, esplorando le varie famiglie o comunità professionali più direttamente interessate alla problematica. Attualmente, oltre alle qualifiche professionali e di istruzione professionale, esistono: i diplomi di istruzione professionale tradizionali e un diploma di formazione profes- sionale quadriennale della Provincia Autonoma di Trento; i corsi post-qualifica e post-diploma, che consentono di conseguire o una seconda qualifica, o una qualifi- ca di secondo livello; i corsi di IFTS regolati da apposite norme. Nel passato per un certo periodo sono stati attivati Diplomi Universitari di tipo professionale ed ora è prevista da un apposito Decreto Ministeriale (DM 270/2004) la possibilità per le Università di attivare un percorso di Laurea di tipo professionale. Il contesto europeo evidenzia in vari Paesi quello che viene definito un sistema binario che prevede un percorso parallelo, almeno per i primi tre-quattro anni, tra una formazione superiore di tipo universitario e una formazione superiore a carat- tere tecnico-professionale non universitario, in genere attivata sulla base delle esi- genze dell’industria, dei servizi e del terziario avanzato. Esempi di questa impo- stazione sono le Fachhochschulen tedesche e austriache, le Hogenscholen dei Paesi Bassi e, recentemente, il sistema della Formazione Professionale Superiore svizze- ro. Più complessi e generalmente denominati sistemi integrati, sono quelli presen- ti in altri Paesi europei, dove sono previsti percorsi di formazione tecnico-profes- sionale superiore che fanno più o meno direttamente riferimento alle istituzioni universitarie, come si può notare in Spagna, in Gran Bretagna e in Francia. In que- sti casi i canali formativi possono essere molteplici, ma collegati tra loro e con- trollati da un’Autorità specifica. La lettura degli Atti del seminario porta facilmente a individuare alcune specifiche istanze conclusive. Se si rilegge con cura la normativa attualmente in vigore, si può constatare che, nonostante la dizione della legge 144 “Per riqualificare e ampliare l’offerta formativa destinata ai giovani e agli adulti, occupati e non occupati, nel- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 8 l’ambito del sistema di formazione integrata superiore (FIS), è istituito il sistema della istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS), al quale si accede di norma con il possesso del diploma di scuola secondaria superiore”, non si può affermare che sia in essere un vero Sistema di Formazione Integrata Superiore e neanche che le attività messe in atto a partire dal 1998 al 2003 della IFTS formino un “sistema”. La pub- blicazione della documentazione in merito sui «Quaderni degli Annali dell’Istruzione» ne è una riprova evidente1. Tra le altre problematiche risulta abbastanza singolare che percorsi per i quali si vogliono identificare degli standard formativi non prevedano il conseguimento di titoli o diplomi specifici, ma solo certificazioni di competenze. Inoltre, la normati- va sulla IFTS privilegia coloro che hanno un titolo o diploma della scuola secon- daria superiore, pur prendendo in considerazione la possibilità di essere ammessi a tali corsi da parte di coloro che provengono da altre esperienze formative. La bozza circolante di Decreto Legislativo relativo al secondo ciclo scolastico sembra fornire una specifica interpretazione, che andrà verificata nella dizione finale del Decreto. Una prima istanza conclusiva porta a rilevare la necessità di rileggere tutto il qua- dro della formazione professionale superiore nella prospettiva di un Sistema di Formazione Tecnico-Professionale Superiore Integrato. Esso dovrebbe prevedere accanto al primo ciclo universitario a carattere professionale e all’IFTS, un per- corso di Formazione Professionale Superiore come naturale sviluppo del percorso di Istruzione e di Formazione Professionale, in continuità con un cammino che, iniziando dalla Qualifica professionale (triennio), procede verso il Diploma di for- mazione tecnico-professionale (un anno), per poi giungere a Diplomi di formazio- ne tecnico-professionale superiore2. Ad alcuni non risulta chiaro se ciò si possa attuare nel quadro normativo esisten- te. A favore di questa possibilità sta la titolarità esclusiva delle Regioni a struttu- rare il settore dell’Istruzione e Formazione Professionale. Contro, si pone la neces- sità che ciò venga in qualche modo regolato con normativa a livello nazionale per definire gli elementi che consentono il riconoscimento, nazionale ed europeo, dei titoli e diplomi che vengono conferiti a questo livello. Sarebbe, infatti, come già accennato, del tutto improprio non prevedere il conseguimento di titoli o diplomi al termine dei percorsi di formazione professionale superiore. Nel corso del Seminario sono state evidenziate subito alcune condizioni essenziali 9 APERTURA DEL SEMINARIO 1 «Quaderni degli Annali dell’Istruzione», Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS) 1998- 2003, 103-104 (2003), Firenze, Le Monnier, 2004. 2 Una proposta di legge approvata dalla Giunta della Provincia Autonoma di Trento nel dicembre 2004 prevede l’istituzione di percorsi di Alta Formazione nel settore tecnico-professionale. perché si possa parlare di un sistema di formazione professionale superiore e non di attività formative occasionali. Tra queste sono emerse come inderogabili: a) la necessità di costituire o riconoscere istituzioni formative che abbiano una struttu- ra giuridica di riferimento stabile (ad esempio “scuole di formazione superiore”); b) garantire il conseguimento di titoli e diplomi, che siano in qualche modo rico- nosciuti e spendibili sul piano nazionale ed europeo; c) mettere in campo forme di accreditamento di strutture e riferimenti istituzionali che diano garanzie di qua- lità, trasparenza e continuità a questo livello; d) prevedere forme istituzionali di riconoscimento di crediti e competenze per passare da percorsi universitari a per- corsi non universitari e viceversa; e) regolamentare le forme di iscrizione agli ordi- ni professionali per coloro che provengono dai vari percorsi di formazione profes- sionale tecnico-superiore integrata. A mio avviso la questione potrebbe essere risolta mediante un’apposita normativa a livello nazionale, che costituisca e regoli un vero e proprio Sistema Integrato di Formazione Tecnico-Professionale Superiore. Esso dovrebbe fornire anche le linee guida e gli standard a livello nazionale per la costituzione o, meglio, il riconosci- mento da parte delle Regioni di istituzioni di formazione professionale superiore in grado di attivare percorsi che puntano all’acquisizione di un diploma di forma- zione professionale superiore, rispondente alle necessità del sistema economico e del mondo sociale locale e caratterizzato per un forte livello di competenze. In questa direzione il lavoro documentato nella pubblicazione già ricordata sullo sviluppo dell’IFTS può risultare prezioso. In esso si presentano quadri di standard formativi per le varie filiere formative in particolare per i settori manifatturieri, dell’edilizia, della tecnologia dell’informazione e della comunicazione, del com- mercio, del turismo, dei trasporti, dell’agricoltura, dei servizi pubblici e privati di interesse sociale, che hanno trovato un accordo in sede di Conferenza unificata Stato Regioni. La conclusione, a cui si giunge al termine della disamina della questione, conduce a riconoscere la necessità di mettere mano a una normativa di quadro che riordini con chiarezza tutto l’ambito della formazione professionale superiore. È, d’altra parte, assai problematico pensare di affidare alle sole università il compito di formare gli studenti secondo qualifiche professionali superiori. Occorre, come nei vari Paesi europei, pensare a un sistema più complesso di formazione professionale superiore, che comprenda anche molteplici percorsi non universitari. Ma è anche assai perico- loso affidare alle singole Regioni l’attivazione di un tale sistema senza disposizioni nazionali che tengano conto dello schema di armonizzazione europeo delle qualifi- cazioni, in analogia con quanto avvenuto per l’armonizzazione dei corsi accademici per le Università. Ciò non avviene in Europa, nemmeno laddove sono presenti vere e proprie forme di federalismo regionale, come in Germania. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 0 1.2 - Saluti Autorità Margherita Dal Lago Presidente Ente CIOFS Grazie alla regione Toscana che ci accoglie. Alle autorità civili presenti, grazie per il sostegno dato alla formazione professio- nale, nei luoghi delle decisioni politiche, dove solo chi ha sensibilità per i giovani, avverte il problema di dare futuro anche a quei ragazzi che per molteplici motivi rischiano di perdersi nelle maratone a cronometro… Anche ai rappresentanti di tanti Enti di formazione che condividono la ricerca sul campo, il nostro grazie. Essere qui è avere la consapevolezza che solo condividen- do e allargando il consenso, trovando strade di collaborazione, potremo costruire la sfida della formazione in verticale. L’incontro del 2004 è la continuazione ideale del Seminario di Maratea. Il discor- so avviato come contributo costruttivo, in questo tempo di riforme istituzionali, non poteva che trovare il suo compimento. Del resto, da quando si è avviata la sperimentazione, la formazione professionale ha costantemente guardato verso l’alto, costruendo pian piano un modello ideale. Oggi, tenendo conto che la Riforma del sistema educativo di istruzione e forma- zione professionale sta muovendo i primi passi, non possiamo che auspicare che tale percorso acceleri i suoi ritmi, facendo tesoro delle esperienze che da molto tempo sono verificate sul campo. Certamente il sistema italiano si sta misurando con una sfida inedita: uscire dal- l’appiattimento su un unico percorso di istruzione. Riconoscere dignità alla formazione professionale è riconoscere che l’approccio alla conoscenza è multiplo, che ci sono stagioni della vita o attitudini in cui la conoscenza passa prioritariamente attraverso le mani, il fare, il costruire, il verifi- care. Chi ha avuto la pazienza di sostare in mezzo ai ragazzi preadolescenti, di ascol- tarli con la testa e con il cuore, sa che molti di loro hanno sogni grandi, ma nello stesso tempo vivono la distanza culturale tra le pagine scritte, le antologie e le for- mule e la vita. Spesso arrivano alla preadolescenza leggendo male, con nozioni affastellate alla rinfusa… Negare loro la possibilità di riordinare le idee e di percorrere di corsa un 1 1 APERTURA DEL SEMINARIO tratto del cammino il giorno che si rendono conto di essere rimasti indietro, sareb- be ingiusto, in una società che ritiene di essere in grado di soddisfare le moltepli- ci domande di qualità della vita. Il nostro è un Seminario che sonda, perciò, un segmento importante della Riforma: il segmento che aggancia il mondo del lavoro e la specializzazione. Il CIOFS-FP con questa iniziativa cerca, come sempre, di creare una occasione di dibattito su un percorso che non ha ancora una fisionomia precisa, un tema, tut- tavia, attorno al quale si moltiplicano le esperienze. Osare il confronto aperto significa dare alle istituzioni impegnate a regolamentare la Riforma un contributo di idee e, oserei dire, un dossier di ‘fattibilità’. Guardando la serietà con cui le esperienze quotidiane sono progettate e monitora- te, guardando l’impegno di molti formatori, che nei vari Centri lavorano con crea- tività e tenacia c’è solo una grande speranza. A loro, prima di avviare i lavori di queste intense giornate, il grazie di tutte noi. Sappiamo che ci siete accanto superando infinite difficoltà. Ci siete perché amate i ragazzi con le loro intemperanze. La testimonianza della vostra vita farà loro dire: ho incontrato qualcuno che ha fiducia in me… Fino a quando questo capita… don Bosco è vivo. Grazie dunque a voi che gli date, oggi, cuore e voce. Noi, ogni giorno, ve lo ripetiamo e vi sosteniamo. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 2 Nila Mugnaini Direttore CIOFS-FP Toscana Margherita Dal Lago, presidente del CIOFS, ha introdotto i motivi del nostro impegno e della nostra presenza al seminario. Rappresento oggi il CIOFS-FP Toscana, una piccola presenza in questa provincia, che risulta importante grazie alla presenza di tantissimi collaboratori e alla accoglienza da parte dell’Amministrazione provinciale, oggi presente nella persona del dott. Kutufà e della dott.ssa Abate, che testimonia che la collaborazione sta andando avanti. Ringrazio la sede nazionale che ha voluto scegliere la Toscana per questa sedicesi- ma edizione del Seminario Europa, un evento che vede la convergenza delle espe- rienze formative a livello italiano e a livello europeo, in un momento in cui la riforma prevede prospettive diverse che non potevano non essere accolte in questo confronto, che ci vede tutti coinvolti perché i giovani sono il futuro dell’umanità. È un’esperienza che nasce da lontano, da Don Bosco, il quale ha intuito che i suoi ragazzi dovevano essere accolti non solo da un punto di vista strutturale; ha for- nito loro degli strumenti professionali, che consentissero di guadagnarsi onesta- mente da vivere. L’esperienza di don Bosco ha contribuito a modificare i risvolti della Torino dell’800, ma risulta valida tuttora. Ringrazio tutti coloro che hanno contribuito a realizzare questa esperienza, tutti coloro che oggi sono qui, sperando che riusciamo realmente a creare una rete. Auguro a tutti buon lavoro. 1 3 APERTURA DEL SEMINARIO Carla Roncaglia Assessore alle Politiche Educative e Servizi Scolastici e Politiche della Formazione - Provincia di Livorno Il mio saluto sarà breve: ho accettato molto volentieri il vostro invito, perché con il CIOFS-FP di Livorno c’è un rapporto collaborativo ed amichevole, ormai da molto tempo. La Provincia, infatti, ha seguito e segue le loro attività con grande attenzione, perché le proposte che provengono da questa Agenzia Formativa sono sempre molto puntuali e di qualità. Vorrei esprimere anzitutto un apprezzamento verso questo convegno in particola- re per il suo sottotitolo, per uno sviluppo in verticale di pari dignità, che ne rap- presenta la finalità. Mi permetto di sottoporvi alcune considerazioni sul momento attuale. Siamo in un momento di dibattito, di scelta, di cambiamenti annunciati, ma non ancora com- pletamente visibili, completamente sicuri, su quello che dovrà essere nel nostro prossimo futuro il ruolo della formazione professionale all’interno di un sistema formativo complessivo. In questo momento di dibattito è estremamente importante porre il tema della pari dignità, che è fattore decisivo per definire il ruolo della formazione professionale in un sistema formativo strettamente integrato, in cui cioè le varie dimensioni e i vari percorsi trovano un assetto tale per cui viene realmente attuata la pari dignità dei percorsi scolastici e formativi professionali in una visione di unitarietà molto forte. Questo tema è ancora in una fase di elaborazione: in Italia si stanno confrontan- do modelli, soluzioni, sperimentazioni diverse. È molto importante che si molti- plichino i luoghi e le occasioni in cui queste esperienze diverse hanno la possibi- lità di confrontarsi e di comunicare, al fine di trarre delle valutazioni e delle linee di lavoro comuni. La Toscana sta proponendo e sperimentando un modello innovativo rispetto a modelli già attuati in altre regioni. Questo modello prevede che il primo anno di scuola superiore sia “obbligatorio” per tutti (principio questo con cui possiamo concordare o meno, ma che tende a riportare, comunque, dentro un alveo struttu- rato scolastico, le scelte di percorsi individuali di formazione), ma preveda un’ar- ticolazione tale da consentire esperienze di formazione professionale integrate con la parte di curricolo scolastico, in modo da mettere ogni studente nella condizione di saggiare meglio le attitudini ed i propri obiettivi di formazione. Credo sia importante che la formazione professionale mantenga il carattere di modalità “altra” per costruire la propria formazione e la propria vita; un altro ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 4 modo che, però, non è alternativo, ma complementare a quello della istruzione e formazione culturale. Trovo, per esempio, che l’esperienza che è stata fatta in que- sti anni con gli IFTS nella formazione superiore, con quella formula che per la prima volta ha visto insieme, strettamente uniti in un progetto di formazione, più soggetti (la scuola, l’università, l’agenzia formativa, il mondo del lavoro), rappre- senti una formula molto interessante ed efficace intorno alla quale bisogna torna- re a ragionare anche per una sua applicazione ad altri livelli. Si parla nel vostro convegno di ‘filiera’: anche questo, giustamente, è un concetto da chiarire e su cui lavorare, perché bisogna trovare un assetto, che in continuità veda un rapporto sempre più stretto e integrato tra scuola, agenzia professionale e mondo del lavoro. I tentativi, le sperimentazioni, i modelli che si stanno attualmente producendo in Italia non li vedo in contrapposizione “ideologica” tra loro, ma come una ricchez- za, specialmente se trovano il modo di confrontarsi, di mutuarsi e di dare un con- tributo forte a quello che dovrà poi essere, dal punto di vista delle scelte legislati- ve, il nuovo sistema formativo integrato. Un’altra cosa apprezzo nelle intenzionalità del vostro convegno: con questo appuntamento annuale vi proponete, quest’anno in particolare, di dare un contri- buto a ciò che si sta o si dovrà dipanare dal punto di vista anche delle decisioni del Ministero, dell’attuazione della Riforma. È importante che lo abbiate dichia- rato, che siate qui anche perché intendete dare un contributo alla stesura dei decreti futuri che riguarderanno il compimento, l’attuazione della riforma del Sistema Educativo e Formativo. Ritengo che all’intero iter della riforma, così come si è fino ad ora configurato, sia mancato un confronto aperto, ampio con tutti colo- ro che operano e che, quindi, sono quelli da cui può venire, per il capitale di espe- rienza che hanno maturato, un contributo decisivo per dare al nostro Paese, non solo delle buone leggi, ma anche dei buoni sistemi di applicazione delle leggi. Quindi, credo che occasioni come queste siano estremamente importanti, in quan- to aiutano chi amministra e chi governa a fare meglio il proprio lavoro, interpre- tando proprio quelle che sono le esperienze, le richieste argomentate, verificate sul campo, di chi opera in settori delicati, come sono quelli della formazione profes- sionale, della formazione dei giovani, della formazione in generale. Mi auguro che il materiale di idee che verrà fuori da queste giornate possa vera- mente diffondersi e costituire per tanti, ma soprattutto per chi avrà poi la respon- sabilità di assumere delle decisioni, una risonanza e un’attenzione quale merita, perché so che voi lavorate con grande serietà, con grande impegno e con risultati di qualità. Vi ringrazio per questa vostra cura e dedizione ai momenti di autoformazione e di dibattito su temi così importanti e vi auguro un buon proseguimento dei lavori. 1 5 APERTURA DEL SEMINARIO Giorgio Kutufà Presidente Provincia di Livorno Nel portarvi il saluto dell'Amministrazione Provinciale, desidero unirmi all’Assessore all’istruzione del Comune di Livorno, Carla Roncaglia, ringraziando- vi per aver scelto di tenere nel nostro territorio questo seminario, per i temi che trattate e anche per la tempestività con cui li affrontate. In questo momento infat- ti, a livello nazionale e a livello regionale, questa materia è in una fase di profon- da trasformazione e richiede un ampio coinvolgimento. Mi limiterò ad alcune brevi considerazioni, che riguardano in primis l’importanza assoluta della formazione professionale. In un mondo che si fa sempre più compe- titivo, globalizzato e che cresce, l’elemento del capitale umano diventa essenziale per dare una prospettiva di forte sviluppo al nostro Paese. Investire nella forma- zione, investire nell’uomo, così come propone anche la Comunità Europea, deve caratterizzare gli anni futuri della nostra comunità, in una prospettiva di crescita. È in crescita la domanda di lavoro qualificato: quindi, sappiamo che la formazio- ne professionale è un elemento essenziale della crescita del nostro Paese. È importantissimo operare attraverso Agenzie Formative consolidate, capaci, e che realizzano anche convegni di formazione continua, mettendo insieme le esperienze. È un settore in cui, a tratti, può emergere anche un po’ di improvvisazione. Possono esservi elementi non sempre qualificati. Diventa, quindi, indispensabile una selezione che valorizzi le esperienze e le energie migliori. In questo senso riten- go abbiate un grande ruolo in futuro. Quello della formazione è un settore in cui la devolution è già in atto. Poiché da una regione all’altra i modelli sono diversi, si tratta di fare un confronto per indi- viduare le scelte migliori in prospettiva. Iniziative quali quella di oggi mettono insieme esperienze diverse e consentono una crescita per tutti, perché sono un importante terreno di verifica e di confronto tra i diversi modelli. Il modello toscano, sperimentato e in via di sperimentazione, cerca di mettere insieme la scuola statale, le agenzie del lavoro, il mondo del lavoro, il complesso delle agenzie formative. Credo che si tratti di esperimenti interessanti, come lo è quello dell’IFTS, in cui si aggiunge agli altri partner anche l’Università. È condivisibile la scelta di creare un sistema, una rete che metta insieme più espe- rienze diverse. Sono anche i tentativi più difficili: molto spesso questi mondi non hanno avuto rapporti tra di loro e, paradossalmente, anche nello stesso comparto ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 6 degli istituti dello Stato, tra l’Università e gli Istituti superiori, per lungo tempo c’è stata scarsa comunicazione. Cercare di costruire insieme, tra soggetti diversi e fino a poco tempo fa anche distanti, progetti comuni è un percorso difficile, che, però, sta già dando dei risul- tati, un'esperienza che deve essere ampliata e su cui occorre ancora lavorare con impegno. Ed è importante il ruolo di chi è protagonista di queste iniziative, che è deposita- rio di un patrimonio di esperienza, di organizzazione e di valori fondamentali. La Provincia collabora con organizzazioni come la vostra già da tempo e segue i vostri lavori con interesse. Siamo convinti che i formatori siano l'elemento essenziale della formazione: quin- di lavoreremo per qualificare i formatori, per qualificare gli obiettivi e per quali- ficare i modelli. 1 7 APERTURA DEL SEMINARIO 1.3 - Le motivazioni del Seminario Lauretta Valente Associazione CIOFS-FP Formare, informare, dibattere, contribuire hanno costituito gli obiettivi di fondo del Seminario di Formazione Europea, nell’ambito specifico della Formazione Professionale, fin dalla fondazione dell’iniziativa nel 1989. In questi ultimi anni l’attenzione è stata rivolta ovviamente alla riforma del siste- ma scolastico italiano ed in particolare al sottosistema della Istruzione e della Formazione Professionale, IeFP. Il seminario dello scorso anno ha portato il dibattito sul tema della riforma sanci- to dalla legge 53/2003 ed ha contribuito ad approcciare i percorsi da predisporre per l’Obbligo Formativo o Diritto/Dovere. Nel seminario si è portata la riflessione sullo specifico del sottosistema della IeFP, apporto nuovo della legge citata. In quella occasione è emersa l’esigenza di elabo- rare i fondamenti teorico/epistemologici che potessero offrire una base scientifica alle scelte contenutistico-didattiche centrate sulle professioni e, quindi, sui compi- ti e sulle competenze attorno a cui vengono organizzati il sapere, il saper fare, il saper essere ed agire. Sappiamo che il Consiglio Europeo di Lisbona ha posto un imperativo ed una sca- denza categorica, il 2010, rispetto alle prospettive di sviluppo e di competitività dell’Unione. È impellente trovare le modalità per innalzare quanto prima la for- mazione delle risorse umane, rendere dinamica e spendibile la preparazione pro- fessionale e consegnare ai giovani competenze operative ai diversi livelli. Urge, inoltre, predisporre maggiori e più sistematici collegamenti con il mercato del lavoro, anticipando le possibilità di ingresso nei settori lavorativi. In rapporto a queste esigenze occorre sviluppare una alternativa formativa che favorisca un approccio conoscitivo basato sull’operatività concreta fino alla confi- gurazione di percorsi sistematici di Formazione Professionale Superiore. L’esigenza viene da più versanti: istituzionale, imprenditoriale, da parte delle organizzazioni formative e della domanda formativa. È stato già detto che, nell’IeFP, lo statuto delle discipline debba cedere metodologica- mente il primato agli impegni espressi dalle diverse Comunità Professionali, senza per ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 8 questo venir meno al compito prioritario del PECUP richiesto dalla legge 53/20031. È pur vero che la riforma impegna tutto il sistema della scuola italiana, tuttavia il disegno delineato dalla 53/2003 ha previsto un impegno oneroso, sicuramente lento, nell’istituzione del sottosistema IeFP, il cui carico sollecita le Regioni ad ela- borare una proposta percorribile e di prospettiva fino appunto alla Formazione Superiore. È opportuno che l’impegno in questa direzione debba essere espresso ed assunto anche dalle realtà che hanno operato con buoni risultati nel campo della Formazione Professionale. Diversi Organismi, durante un lungo periodo, hanno elaborato riflessione e proposte, hanno condotto sperimentazioni e dato risposte specifiche alla domanda formativa, ponendo in campo approcci metodologici e contenutistici diversificati in rapporto ad esigenze di conoscenza e di apprendi- mento prevalentemente tecniche ed operative. Verificare e valorizzare con ocula- tezza le risorse esistenti per rispondere alla domanda dei cittadini è fonte di rispar- mio e genera competitività e qualità. Un problema ampiamente discusso e dibattuto è quello della dignità del percorso formativo. Il grande impegno posto per la licealizzazione di tutti i percorsi è stato basato, negli anni scorsi, sull’ipotesi che il Liceo fosse la sola proposta in grado di offrire a tutti i cittadini pari dignità nel conseguimento di un bagaglio di istruzione. I fatti, in particolare la dispersione scolastica, dimostrano che la pari dignità dei per- corsi, con riferimento alla Formazione Professionale, non deriva tanto dalla omoge- neità dell’offerta, quanto dalla adeguatezza dell’offerta alla domanda reale dei cit- tadini e dalla possibilità di percorrenza in verticale della filiera formativa, fino alla Formazione Superiore, delle diverse tipologie e modalità di percorso. Occorre assi- curare pari opportunità di crescita formativa sia all’approccio conoscitivo prevalen- temente formale, sia a quello tecnico-pratico espressi dalle realtà dei cittadini. La riorganizzazione dell’intero sistema domanda una nuova impostazione dell’of- ferta più vicina al contesto lavorativo, gestionale, amministrativo, sociale e politi- co e richiede molto confronto professionale. Il know-how, prodotto in diverse dire- zioni nell’impegno di offerta della formazione professionale, costituisce una risor- sa preziosa da non disperdere nella prospettiva di Lisbona e di conseguenza nella prospettiva della riforma individuata dalla legge 53/2003. Impegno dei Seminari di Formazione Europea è appunto quello di rendere disponibili le esperienze migliori e di contribuire a diffonderle. Non è superfluo dire l’urgenza e l’assoluta necessità della formazione dei giovani. 1 9 APERTURA DEL SEMINARIO 1 AA.VV. (a cura di), Il sistema dell’Istruzione e Formazione Professionale nel contesto della riforma. Significato e Percorsi - Atti del XV Seminario di Formazione Europea, CIOFS-FP, 2004. Dare possibilità e consapevolezza, in particolare a quella fascia che sperimenta insuccessi, disinteresse, evasione, consegnare loro un saper fare, rassicurarli che sono portatori di un riconoscimento per il lavoro, per poter crescere ulteriormen- te, per poter leggere i valori della vita, può voler dire consegnargli un biglietto di salvezza. In un momento storico così tragico e imprevedibile, ci rassicura la pro- spettiva di poter formare cittadini che costruiscono, che sono solidali, che contri- buiscono al benessere e non il contrario. L’impegno per la Formazione è anche questo. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 0 2. LINEE OPERATIVE E PROSPETTIVE DI SVILUPPO IN ITALIA 2.1 - Significato e attuazione della Riforma in Italia in rapporto alla Formazione Professionale Superiore: riflessioni critico-propositive Michele Pellerey Università Pontificia Salesiana Premessa L’8 marzo 2004 si è svolta a Dublino sotto la presidenza irlandese un conferenza su “Verso il 2010: temi e approcci comuni nello sviluppo di un politica europea per l’educazione superiore e la formazione tecnico-professionale”. I lavori della confe- renza hanno preso l’avvio a partire da un documento di ricerca che citava quat- tro tematiche centrali: la trasparenza, l’accumulo e trasferimento di crediti, la qualità, un quadro di riferimento per le qualificazioni. Nel contesto del nostro seminario è interessante rilevare alcuni punti della quarta tematica. In primo luogo, il concetto stesso di qualificazione, inteso come “certificazione da parte di un’agenzia autorizzata che il soggetto ha raggiunto gli standard richiesti da un corso di studi o da altra forma di apprendimento; può conferire un riconoscimen- to ufficiale per un inserimento nel lavoro o per ulteriori studi e formazione; può anche conferire la titolarità legale per esercitare un’attività professionale” D’altra parte, un sistema di qualificazioni nazionale “include tutti gli aspetti coin- volti nel riconoscimento dell’apprendimento che lega l’educazione e la formazione al mercato del lavoro: sviluppi politici, organizzazioni istituzionali, definizione degli standard, processi di assicurazione della qualità, processi di valutazione e certificazione, riconoscimento di competenze, ecc.” Di conseguenza, sviluppare un quadro di riferimento europeo di qualificazioni implica assumere sia un quadro concettuale (o teorico) come base di riferimento, sia un quadro di natura tecnica (o strumentale) che include classificazioni delle qualificazioni sulla base di criteri riferiti ai livelli di apprendimento. Questo quadro di riferimento europeo è consi- derato essenziale per rispondere agli obiettivi della Consiglio di Lisbona. Molti Paesi distinguono chiaramente tra formazione accademica e formazione profes- sionale e mantengono valore legale ai titoli accademici. Ciò si pone in contrasto con tendenze diverse in altri Paesi. Accanto al processo di armonizzazione euro- pea degli studi e dei titoli universitari iniziata con la dichiarazione di Bologna del 1999, occorre sviluppare un analogo processo per quanto riguarda le qualifica- zioni. Negli ultimi anni sono stati atti studi interessanti, come quello del Cedefop del 2001, e avviata l’elaborazione di proposte, come il lavoro in corso di svolgi- mento presso l’OCSE. La conferenza auspica che entro il 2004 si assuma almeno 2 3 LINEE OPERATIVE E PROSPETTIVE DI SVILUPPO IN ITALIA uno schema comune di riferimento per la formazione professionale, che favorisca l’armonizzazione europea dei sistemi a livello nazionale. 1. La riforma prospettata dalla legge 53 non tocca la formazione universitaria, che sta sfornando i primi laureati dopo il primo ciclo triennale. Essa cita l’Università solo come scelta dopo il secondo ciclo di istruzione. La legge fa rife- rimento, invece, all’Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS) prevista dalla legge 144 (art.69) del 1999, senza proporne modifiche. In questo inter- vento esplorerò alcuni aspetti problematici relativi allo sviluppo di un Sistema di Istruzione e Formazione Professionale che con coerenza e sistematicità si apra alla formazione professionale superiore. 2. La riforma prospettata dalla legge 53 individua un Sistema di Istruzione e Formazione Professionale che parte dall’inizio del secondo ciclo scolastico e si esten- de oltre la sua conclusione. Occorre ricordare come attualmente oltre alle qualifiche professionali e di istruzione professionale, esistano i diplomi di istruzione professio- nale tradizionali e quelli di formazione professionale (Provincia Autonoma di Trento). Esistono, poi, corsi post-qualifica e post-diploma, che consentono di conse- guire o una seconda qualifica, o una qualifica di secondo livello. Inoltre, i corsi di IFTS sono regolati da apposite norme, che però ben difficilmente consentono di sostituire un vero e proprio sistema, nonostante la dizione della normativa. 3. Rileggiamo quanto contenuto a questo proposito nella legge 53. h) ferma restando la competenza regionale in materia di formazione e istruzione pro- fessionale, i percorsi del sistema dell'istruzione e della formazione professionale rea- lizzano profili educativi, culturali e professionali, ai quali conseguono titoli e quali- fiche professionali di differente livello, valevoli su tutto il territorio nazionale se rispondenti ai livelli essenziali di prestazione di cui alla lettera c); le modalità di accertamento di tale rispondenza, anche ai fini della spendibilità dei predetti titoli e qualifiche nell'Unione Europea, sono definite con il regolamento di cui all'artico- lo 7, comma 1, lettera c); i titoli e le qualifiche costituiscono condizione per l'acces- so all'istruzione e formazione tecnica superiore, fatto salvo quanto previsto dall'ar- ticolo 69 della legge 17 maggio 1999, n. 144; i titoli e le qualifiche conseguiti al ter- mine dei percorsi del sistema dell'istruzione e della formazione professionale di durata almeno quadriennale consentono di sostenere l'esame di Stato, utile anche ai fini degli accessi all'università e all'alta formazione artistica, musicale e coreuti- ca, previa frequenza di apposito corso annuale, realizzato d'intesa con le università e con l'alta formazione artistica, musicale e coreutica, e ferma restando la possibi- lità di sostenere, come privatista, l'esame di Stato anche senza tale frequenza; i) è assicurata e assistita la possibilità di cambiare indirizzo all'interno del siste- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 4 ma dei licei, nonché di passare dal sistema dei licei al sistema dell'istruzione e della formazione professionale, e viceversa, mediante apposite iniziative didattiche, finalizzate all'acquisizione di una preparazione adeguata alla nuova scelta; la frequenza positiva di qualsiasi segmento del secondo ciclo comporta l'acquisizione di crediti certificati che possono essere fatti valere, anche ai fini della ripresa degli studi eventualmente interrotti, nei passaggi tra i diversi percorsi di cui alle lettere g) e h); nel secondo ciclo, esercitazio- ni pratiche, esperienze formative e stage realizzati in Italia o all'estero anche con periodi di inserimento nelle realtà culturali, sociali, produttive, profes- sionali e dei servizi, sono riconosciuti con specifiche certificazioni di compe- tenza rilasciate dalle istituzioni scolastiche e formative; i licei e le istituzioni formative del sistema dell'istruzione e della formazione professionale, d'inte- sa rispettivamente con le università, con le istituzioni dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica e con il sistema dell'istruzione e formazione tecnica superiore, stabiliscono, con riferimento all'ultimo anno del percorso di studi, specifiche modalità per l'approfondimento delle conoscenze e delle abilità richieste per l'accesso ai corsi di studio universitari, dell'alta forma- zione, ed ai percorsi dell'istruzione e formazione tecnica superiore. 4. Il percorso di istruzione e formazione professionale alla luce della legge 53 esige un profondo ripensamento sia in relazione al sistema del Licei, sia in relazione al sistema universitario. In questo certamente occorre dare sistemazione a tutto il comparto della formazione superiore non universitaria in analogia a quello che è attualmente presente o si sta attuando in Europa. Ad esempio, il 1 gen- naio 2004 è entrato in vigore il nuovo sistema di formazione superiore non uni- versitario svizzero, al quale farò riferimento tra poco. 5. Non è chiaro se si possa ipotizzare un percorso di formazione superiore alternati- vo a quanto previsto dall’art. 69 della legge 17 maggio 1999 n.144 relativo all’Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS). A favore di una ipotesi di questo tipo sta la titolarità esclusiva delle regioni a strutturare il settore dell’Istruzione e Formazione Professionale. Contro si pone la necessità che ciò venga in qualche modo regolato con normativa a livello nazionale per definire gli elementi che consentono il riconoscimento, nazionale ed europeo, dei titoli e diplo- mi che vengono conferiti a questo livello. Sarebbe, infatti, a mio avviso del tutto improprio non prevedere il conseguimento di titoli o diplomi al termine dei per- corsi di formazione professionale superiore. A questo proposito si può fare riferi- mento ai cosiddetti livelli essenziali di prestazione e agli standard formativi. 6. Rileggiamo la normativa oggi in vigore per la IFTS. 2 5 LINEE OPERATIVE E PROSPETTIVE DI SVILUPPO IN ITALIA 1. Per riqualificare e ampliare l'offerta formativa destinata ai giovani e agli adulti, occupati e non occupati, nell'ambito del sistema di formazione integrata superiore (FIS), è istituito il sistema della istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS), al quale si accede di norma con il possesso del diploma di scuola secondaria superio- re. Con decreto adottato di concerto dai Ministri della Pubblica Istruzione, del lavo- ro e della previdenza sociale e dell'università e della ricerca scientifica e tecnologi- ca, sentita la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono definiti le condizioni di accesso ai corsi dell'IFTS per coloro che non sono in possesso del diploma di scuola secondaria superiore, gli standard dei diversi per- corsi dell'IFTS, le modalità che favoriscono l'integrazione tra i sistemi formativi di cui all'articolo 68 e determinano i criteri per l'equipollenza dei rispettivi percorsi e titoli; con il medesimo decreto sono altresì definiti i crediti formativi che vi si acqui- siscono e le modalità della loro certificazione e utilizzazione, a norma dell'articolo 142, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. 2. Le regioni programmano l'istituzione dei corsi dell'IFTS, che sono realizzati con modalità che garantiscono l'integrazione tra sistemi formativi, sulla base di linee guida definite d'intesa tra i Ministri della Pubblica Istruzione, del lavoro e della previdenza sociale e dell'università e della ricerca scientifica e tecnolo- gica, la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e le parti sociali mediante l'istituzione di un apposito comitato nazionale. Alla progettazione dei corsi dell'IFTS concorrono università, scuole medie supe- riori, enti pubblici di ricerca, centri e agenzie di formazione professionale accre- ditati ai sensi dell'articolo 17 della legge 24 giugno 1997, n. 196, e imprese o loro associazioni, tra loro associati anche in forma consortile. 3. La certificazione rilasciata in esito ai corsi di cui al comma 1, che attesta le competenze acquisite secondo un modello allegato alle linee guida di cui al comma 2, è valida in ambito nazionale. 4. Gli interventi di cui al presente articolo sono programmabili a valere sul Fondo di cui all'articolo 4 della legge 18 dicembre 1997, n. 440, nei limiti delle risor- se preordinate allo scopo dal Ministero della Pubblica Istruzione, nonché sulle risorse finalizzate a tale scopo dalle regioni nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio. Possono concorrere allo scopo anche altre risorse pubbliche e pri- vate. Alle finalità di cui al presente articolo la regione Valle d'Aosta e le pro- vince autonome di Trento e di Bolzano provvedono, in relazione alle competen- ze e alle funzioni ad esse attribuite, secondo quanto disposto dagli statuti spe- ciali e dalle relative norme di attuazione; a tal fine accedono al Fondo di cui al presente comma e la certificazione rilasciata in esito ai corsi da esse istituiti è valida in ambito nazionale. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 6 7. Un esempio di riforma recente è quello entrato in vigore in Svizzera il 1 gennaio 2004. Essa istituisce scuole di specializzazione che promuovono la formazione superiore non universitaria, precisando le caratteristiche fondamentali del siste- ma. Le scuole di specializzazione abilitate ad attivare i corsi previsti sono rico- nosciute a livello confederale, così come i settori formativi presi in considera- zione e i relativi referenziali professionali. Ai Cantoni vengono attribuite alcune competenze specifiche. Nel caso della Svizzera occorre ricordare che si tratta di uno Stato Confederale. La formazione professionale superiore Fanno parte della formazione professionale superiore le scuole specializzate supe- riori, gli esami di professione e gli esami professionali superiori. Frequentando le scuole specializzate superiori, coloro che già svolgono una professione approfon- discono la loro formazione generale, rinfrescono le loro conoscenze professionali e si qualificano nel settore organizzativo e dirigenziale. Le scuole specializzate superiori trasmettono conoscenze teoriche e pratiche per i quadri intermedi. Esse offrono cicli di formazione di base nei settori sanitario, sociale ed artistico. Cicli di formazione e riconoscimento Esistono cicli di formazione nei settori commercio ed economia, alberghiero e risto- razione, turismo, foreste, drogheria, tecnica, informatica, meccanica, elettronica, fotografia, multimedia ed edilizia. La formazione presso una scuola specializzata superiore dura 2 o 3 anni (a seconda se avvenga a tempo pieno o se sia svolta con- temporaneamente all’esercizio di una professione). I titoli rilasciati dalle scuole specializzate superiori sono protetti dalla Confederazione. Attualmente sono rico- nosciute a livello confederale circa 70 scuole tecniche e circa 30 altre scuole spe- cializzate superiori. Competenze I seguenti tipi di scuole specializzate superiori sono disciplinati dalla Confede- razione: scuole specializzate superiori di tecnica, scuole specializzate superiori di arte applicata, scuole specializzate superiori di economia, scuole specializzate superiori di turismo, scuole superiori alberghiere, scuole superiori d’economia domestica, scuole specializzate superiori d’informatica aziendale, scuole superio- ri per droghieri nonché scuole superiori di economia forestale (cfr. la legge e l’or- dinanza sulla formazione professionale, le ordinanze concernenti i requisiti mini- mi per il riconoscimento delle scuole specializzate superiori). I cantoni sono responsabili della regolamentazione delle scuole specializzate supe- riori nei settori del lavoro sociale, della sanità, delle arti applicate e della musica. 2 7 LINEE OPERATIVE E PROSPETTIVE DI SVILUPPO IN ITALIA Con l’entrata in vigore della nuova legge sulla formazione professionale (1 gen- naio 2004) la competenza per la regolamentazione dei settori sanitario, sociale e d artistico passa dai cantoni alla Confederazione. Esami di professione ed esami professionali superiori Le associazioni professionali sono responsabili per la parte specialistica degli esami di professione e degli esami professionali superiori e provvedono al loro svol- gimento. Esse sono sottoposte alla vigilanza della Confederazione. La Confederazione approva anche i regolamenti concernenti gli esami. Fino ad oggi sono più di 150 gli esami di professione ed altrettanti sono gli esami professiona- li superiori riconosciuti dalla Confederazione. La funzione degli esami di professione è accertare se i candidati siano in possesso delle attitudini e delle conoscenze professionali necessarie per adempiere funzioni dirigenziali o per svolgere una funzione professionale i cui requisiti siano notevol- mente superiori a quelli del tirocinio professionale. In determinati settori vengono assegnate delle concessioni sulla base degli esami di professione e degli esami pro- fessionali superiori: è il caso, per esempio, dei settori degli esplosivi, dell’uso di sostanze velenose e delle installazioni a corrente forte. Gli esami professionali superiori (esami di maestria) accertano se i candidati possiedano le attitudini e le conoscenze necessarie per dirigere autonomamente un’azienda o per soddisfare esigenze professionali più elevate. 8. La considerazione del caso della Svizzera evoca immediatamente alcune condi- zioni essenziali perché si possa parlare di un sistema di formazione professio- nale superiore e non di attività formative occasionali. Tra queste emergono subito le seguenti: a) necessità di riconoscere una istituzione formativa e una struttura giuridica di riferimento stabile (ad esempio una “scuola di formazione superiore”); b) garantire il conseguimento di titoli e diplomi, che siano in qualche modo riconosciuti e spendibili sul piano nazionale ed europeo; c) mettere in campo forme di accreditamento di strutture e riferimenti istituzio- nali che diano garanzie di qualità, trasparenza e continuità a questo livello. In sintesi, è assai difficile che si possa pensare ad un sistema di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore o di Formazione Professionale Superiore, senza un riferimento sufficientemente stabile e visibile come una Scuola di Formazione Professionale Superiore o istituzione analoga. 9. Sembra emergere anche la necessità che fino al 18esimo anno venga garantito dal Sistema di Istruzione e Formazione Professionale un’offerta completa fino ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 8 al Diploma di istruzione e formazione professionale. È possibile e conveniente distinguere tra due tipi di percorsi e magari di relativo diploma: uno di forma- zione professionale e uno di istruzione professionale? Inoltre, la questione che si apre a questo proposito: l’accesso alla Formazione Professionale Superiore è possibile per soggetti che hanno solo la qualifica (o neppure quella), oppure che provengono dal sistema dei Licei e che non hanno alcuna preparazione sul piano tecnico-professionale, a quali condizioni? La normativa sulla IFTS privi- legia coloro che hanno un titolo o diploma della scuola secondaria superiore, pur prendendo in considerazione la possibilità di essere ammessi a tali corsi da parte di coloro che provengono da altre esperienze formative. Come andrà interpretato tutto ciò alla luce della riforma? 10 Occorre ricordare come dopo il Diploma Professionale si aprano, nella prospettiva di applicazione della legge delega, una pluralità di percorsi di formazione ulterio- re: un anno di completamento dell’istruzione al fine di sostenere l’Esame di Stato, per poi accedere, eventualmente, al sistema Universitario; passaggio alla Formazione e Istruzione Tecnica Superiore; completamento della formazione con ulteriori interventi formativi. È possibile prevedere, come è spesso auspicato, uno o più anni di Formazione Professionale Superiore da realizzare in alternativa alla IFTS o in collegamento con essa? Oppure è auspicabile un riordino di tutto il set- tore? Evidentemente ciò implicherebbe una legge apposita. Un decreto legislativo in applicazione della legge delega 53 sarebbe possibile? 11. Nei documenti che sono stati elaborati nel contesto delle sperimentazioni attua- te in varie regioni si parla spesso di Formazione Professionale Superiore e si pro- spetta un sistema che può essere così riassunto secondo quanto riportato in un documento del CNOS-FAP e CIOFS-FP a proposito di Formazione Tecnica Superiore: Si tratta di un percorso che punta all’acquisizione di un diploma di formazione tecnica superiore, sbocco finale del cammino previsto nella filiera formativa ini- ziata con la qualifica e proseguita con il diploma di formazione, rispondente alle necessità del sistema economico e del mondo sociale e caratterizzato per un forte livello di competenze. A tale livello la persona, dotata di una cultura superiore, è in grado di svolgere un’attività professionale con rilevanti competenze tecnico/scientifiche e/o livelli significativi di responsabilità ed autonomia nelle atti- vità di programmazione, amministrazione e gestione. La formazione tecnica superiore rappresenta la naturale continuazione del per- corso di istruzione e formazione professionale, ponendosi in continuità con il cam- mino che, iniziando dalla qualifica (triennio), procede poi con il diploma di for- 2 9 LINEE OPERATIVE E PROSPETTIVE DI SVILUPPO IN ITALIA mazione (un anno), per poi giungere al diploma di formazione tecnica superiore. Circa la sua durata, si prevedono da uno a tre anni formativi a seconda del set- tore/comunità professionale, i destinatari sono rappresentati da adolescenti e gio- vani in possesso di diploma formativo corrispondente per settore o comunità pro- fessionale. Si tratta del completamento del percorso formativo per i diplomati affinché acqui- siscano le prerogative proprie delle figure di quadro. Al fine, poi, di garantire trasparenza e qualità si indicano alcune condizioni di attuazione, che vanno da forme valide di accreditamento degli organismi che sono coinvolti, ad una programmazione territoriale adeguata dell’offerta formativa, ad una ridefinizione delle procedure di finanziamento e amministrative, alla valoriz- zazione dei percorsi formativi personalizzati e del portfolio e libretto delle compe- tenze, al coinvolgimento delle imprese e degli altri organismi interessati, al moni- toraggio e valutazione delle iniziative, alla formazione del personale. Va accennato in questo contesto al problema della diversità delle istituzioni che gestirebbero l’attuazione dei percorsi di Formazione Professionale Superiore: se gestione pubblica (statale, regionale, provinciale) o gestione convenzionata o comunque non pubblica; con quale finanziamento (pubblico, misto, occasionale- annuale, sistematico-strutturale, ecc.). Quanto previsto dalla legge quadro sulla formazione professionale, la 845, può essere esteso a questo ambito? Da ciò dipen- de anche la credibilità del sistema di fronte ai possibili frequentatori. 12. Nel caso si riscontri la possibilità e convenienza di attivare un Sistema di Formazione Professionale Superiore, occorre coordinarlo con l’IFTS, occorre pensare alla caratterizzazione e denominazione dei suoi titoli e diplomi. Ad esempio, l’attuale normativa per la IFTS prevede la possibilità di un periodo formativo annuale o biennale. È possibile e utile ipotizzare un insieme di Diplomi, anche differenziati per denominazione, che possono essere consegui- ti frequentando successivamente le annualità del Sistema della Formazione Professionale Superiore e completandone i percorsi con il superamento di una valutazione certificativa di competenze? Oppure ipotizzare percorsi chiusi di due o tre anni a seconda dei profili e settori di riferimento? 13. Comunque, la più grande sfida nella prefigurazione di un Sistema di Formazione Professionale Superiore sta nella metodologia formativa che lo deve caratterizzare. Qui si pone una questione abbastanza complessa di diffe- renziazione dalla formazione universitaria del primo ciclo. In particolare, facendo riferimento alla definizione attuale di “occupabilità”. Infatti, la rifor- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 3 0 ma, che segue un tracciato europeo di armonizzazione tra i sistemi dei vari Paesi, implica che il primo ciclo universitario sia sensibile alla occupabilità di coloro che ne conseguono il titolo finale. Di qui anche l’ambivalenza attuale del ciclo: da una parte conclusivo verso un professionalità spendibile nel mer- cato del lavoro; dall'altra, aperto al proseguimento nel secondo e terzo ciclo universitario. Quale differenziazione allora tra metodologia formativa univer- sitaria e della formazione professionale superiore? Evidentemente le compe- tenze che devono essere promosse non possono essere acquisite tramite forme istruttive non coerenti. Basti qui accennare ai problemi posti dal praticantato, dal tirocinio, dall’alternanza, alla circolarità tra teoria e pratica, tra esperien- za e riflessione critica su di essa, etc. 14. Infine quale tipologia di competenze promuovere a questo livello, il livello dei quadri? Quale referenziale per le varie figure professionali? Chi lo definisce? Come si certificano? A questo proposto occorre mettere bene in chiaro che a que- sti livelli di formazione le qualità personali e culturali assumono sempre più rilievo, rispetto a quelle tecnico-professionali. Ad esempio, le competenze di natura comunicativo-relazionale, di natura organizzativa e decisionale acquista- no un’importanza decisiva e non possono essere date per acquisite senza percor- si formativi coerenti e valutazioni congruenti. Ma anche il senso di responsabi- lità, la capacità di adattamento ai cambiamenti organizzativi e di tecniche pro- duttive di beni e servizi, l’apertura ad un apprendimento continuo sostenuto da capacità di auto-direzione e autoregolazione, hanno un’importanza cruciale nella qualificazione, in particolare in contesti, come molti di quelli italiani, caratterizzati da una prevalenza di imprese di piccole e medie dimensioni. Breve conclusione Con tutta probabilità occorre mettere mano a una normativa di legge che riordini con chiarezza non solo il settore dell’istruzione e della formazione professionale (legge 53/03), bensì anche quello della formazione professionale superiore. È assai problematico pensare di affidare alle università il compito di formare gli stu- denti secondo qualifiche professionali superiori. Occorre, come nei vari Paesi euro- pei, pensare a un sistema di formazione professionale superiore non universitario. Rimane anche assai problematico affidare alle singole Regioni l’attivazione di que- sto sistema senza una disposizione nazionale che segua lo schema di armonizza- zione europeo delle qualificazioni, in analogia a quanto avvenuto per l’armoniz- zazione dei corsi accademici per le Università. Occorre trovare un equilibrio, come in Svizzera, tra le competenze di livello nazionale e quelle di livello regionale. 3 1 LINEE OPERATIVE E PROSPETTIVE DI SVILUPPO IN ITALIA 2.2 - La proposta CONFAP/FORMA per il sistema di Istruzione e Formazione Professionale Attilio Bondone CONFAP Il Seminario annuale promosso dal CIOFS-FP rappresenta un momento qualifi- cante e significativo nel panorama delle manifestazioni e degli incontri sul tema della Formazione Professionale in Italia. Credo di dover sottolineare, e lo faccio con estremo compiacimento, come anche questa volta il tema che viene proposto sia di indubbia rilevanza e di assoluta tem- pestività nel contesto della riforma in atto e del suo percorso temporale. “La Formazione Professionale fino alla Formazione Superiore. Per uno sviluppo in verticale di pari dignità.” Ecco, questo titolo condensa davvero efficacemente quelli che sono stati e sono i punti cardine del nostro ragionamento, della nostra proposta e delle nostra azione in riferimento alla attuazione della Legge Moratti. Il sottosistema della Istruzione e Formazione Professionale ha davvero pari dignità se non si limita ad un fatto temporale delimitato e circoscritto, ancorché organico e significativo - la formazione iniziale - ma acquista valore nella consapevolezza e nella possibilità di operare sulla intera filiera della Formazione Professionale fino cioè al diploma professionale ed alla Formazione Superiore. E non si tratta di una mera rivendicazione di principio: si vuole piuttosto affer- mare la valenza e la peculiare identità della F.P., capace di interpretare il proget- to personale, culturale e formativo dell’allievo e capace, quindi, di esprimere qua- lità e impegno in specifiche filiere di professionalizzazione. Se questo è il tema, se questa è la proposta che vogliamo dibattere e lanciare in questi giorni, il metodo, ancora una volta, non può essere che quello della speri- mentazione: studiare, progettare, elaborare, proporre, monitorare, intervenire con correttivi, misurare, valutare. Sperimentare i percorsi della formazione di base, il quarto anno, i percorsi della for- mazione superiore e giungere a definire, attraverso la sperimentazione, per le diver- se famiglie professionali, competenze di base trasversali e professionali in rapporto alle qualifiche, ai diplomi, ai diplomi superiori ed ai crediti professionali. E questa proposta viene da noi avanzata, avendo fermamente presenti alcuni prin- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 3 2 cipi che sono stati alle base della nostra azione in questi anni e che hanno rappre- sentato l’elemento collante di ogni iniziativa di sperimentazione condotta nelle diverse Regioni. In questa relazione introduttiva al convegno, credo sia mio compito non tanto for- nire schemi rigidi di ragionamento e considerazioni perentorie ed assolute quasi di tipo conclusivo, quanto piuttosto fornire elementi al dibattito, favorire riflessioni, consentire la più ampia elaborazione possibile. Ma tutto ciò non può prescindere da alcuni principi fondanti, da criteri ispiratori che hanno connaturato la nostra proposta e che sono alla base della nostra offer- ta formativa. Non si tratta di qualche cosa di nuovo, di diverso, di opportuno rispetto al detta- to della riforma; si tratta di riproporre con fermezza quelli che negli anni sono stati i nostri elementi di riferimento e che trovano oggi naturale collocazione ed espres- sione nel contesto dell’intero percorso di pari dignità del sottosistema dell’Istruzione e Formazione Professionale. Questi che abbiamo chiamato criteri ispiratori sono contenuti nel documento Collocazione Confap nel sistema dell’Istruzione e Formazione Professionale, che abbiamo ampiamente dibattuto e socializzato nei mesi scorsi e che possono essere ripresi e ulteriormente puntualizzati oggi. Su questi temi abbiamo lungamente riflettuto e dibattuto. Non è mai stato un dibattito sterile né sviluppato soltanto al nostro interno. Possiamo anzi dire che la positiva pubblicità delle idee e delle posizioni ha, in alcuni casi, accentuato i toni e reso incandescenti certi incontri. È stata, però, a nostro parere, una vicenda molto utile, che ha consentito davvero di arrivare a convincimenti seri e profondi. La sperimentazione, che è stata fatta e che si sta facendo, nelle diverse Regioni d’Italia, tiene conto ampiamente di questo dibattito. Tra l’altro, su questi temi è fiorita una ricca letteratura, mentre diverse realtà (penso, ad esempio, al lavoro del CNOS/FAP e del CIOFS-FP) hanno espresso documenti di monitoraggio consistenti e in alcuni casi anche sofisticati. L’ISFOL ha pubblicato relazioni di monitoraggio molto apprezzabili ed ha elabo- rato una Carta della Qualità della formazione professionale iniziale significativa ed interessante. Questa Carta, costruita con il contributo di esperienza degli Enti di F.P. maggior- mente rappresentativi a livello nazionale, evidenzia, qualora ve ne fosse ancora bisogno, il diritto dei giovani a compiere scelte anche reversibili in un sistema edu- cativo e formativo aperto e flessibile. Sottolinea l’esigenza di qualità pedagogica e qualità didattica dei percorsi forma- tivi, riconosce alle strategie di valutazione il ruolo essenziale per l’accertamento 3 3 LINEE OPERATIVE E PROSPETTIVE DI SVILUPPO IN ITALIA del raggiungimento dei risultati formativi, del rispetto dei requisiti di qualità pedagogica e didattica e della qualità organizzativa, dunque della qualità del pro- cesso. È a partire da questi risultati, da queste elaborazioni che credo sia utile, fonda- mentale, il contributo che può venire da questo Seminario in riferimento agli obiettivi previsti e soprattutto alle prospettive di attuazione del secondo ciclo della Riforma. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 3 4 3. POSSIBILITÀ E OPPORTUNITÀ PER LA FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE IN ITALIA. PARERI A CONFRONTO 3.1 - Introduzione Maurizio Drezzadore ENAIP È passato oltre un anno dall’approvazione da parte del Parlamento della legge 53/2003 e ritengo sia stata una scelta molto opportuna quella che il CIOFS-FP ha fatto, nel definire i contenuti di questo seminario annuale europeo, mettendo a tema la formazione superiore. Infatti, dal punto di vista prettamente normativo la legge 53 nulla dice sulla formazione superiore, tuttavia appare con tutta evidenza, per chi voglia attentamente valutarne le implicazioni, cominciare a discuterne subito. Su questo specifico segmento il dibattito non si è sviluppato ancora, per lo meno non in modo diffuso, ma è proprio su questo specifico ambito che ci troviamo ad un punto cruciale per il futuro della formazione professionale. Sono sempre stato convinto che uno dei principali motivi per cui il sistema della formazione professionale nel nostro Paese ha mantenuto nel tempo un carattere di residualità stava e sta nel fatto che si tratta di una filiera cieca, senza possibilità di proseguire il percorso oltre la qualifica professionale, se non attraverso accessi ad altri percorsi e spesso affrontando passaggi tortuosi. Conseguentemente, in par- ticolare le famiglie, hanno riposto poca fiducia e scarso interesse ad un segmento formativo che in altri Paesi è molto più valorizzato che da noi, proprio perché nel resto d’Europa non si ferma alla qualifica, ma dalla formazione professionale si accede alla formazione superiore. A riprova che affrontare il tema della formazione superiore è come dissodare un terreno ancora incolto, sta il fatto che il solo parlare di formazione superiore spes- so richiede uno sforzo definitorio sui termini utilizzati. Tuttavia, siamo pienamen- te consapevoli dell’importanza di questo impegnativo esercizio culturale, da intra- prendere per cercare di tracciare l’architettura del sistema Italia nella futura for- mazione post-diploma. Infatti, in noi c’è il profondo convincimento che solo costruendo un vero sistema di formazione superiore oggi si potrà dare senso e dare vita al futuro del canale di istruzione e formazione. Proprio perché rinunciare oggi a definire i contenuti di una filiera così importante significa inesorabilmente toglie- re valore e senso a tutto quello che c’è alla base. Come detto precedentemente, la legge n. 53 del marzo 2003 non si occupa di Formazione Superiore, e questo è sicu- ramente un limite che va colmato altrimenti risulta incompleta ogni visione sull’in- 3 7 POSSIBILITÀ E OPPORTUNITÀ PER LA FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE IN ITALIA. PARERI A CONFRONTO sieme della filiera del secondo canale. Infatti, non apparendo chiaro lo sbocco fina- le della filiera diventa insignificante anche tutto il resto del percorso. Con queste premesse, da questo seminario vogliamo far partire alcuni spunti di riflessione che arricchiscano il futuro dibattito su questa filiera e lo vorremmo fare prima di tutto confrontando i nostri pareri su quella branca di formazione supe- riore oggi esistente che si chiama IFTS; proprio perché solo guardando ai pregi ed ai limiti dell’esistente potremo trarre spunti sui cambiamenti che auspichiamo e per il futuro che vogliamo costruire. Sulla formazione tecnica superiore IFTS dobbiamo porci questa domanda: “L’istruzione tecnica superiore può esser la base sulla quale costruire un sistema nuovo di formazione superiore nel nostro Paese? Ha espresso connotati, valenze, caratteristiche, fondamenti su cui si possa operare per costruire il futuro del siste- ma della formazione superiore?”. Ritengo che questo sia la questione centrale su cui cominciare a riflettere. La mia opinione è che non sia possibile immaginare il nuovo sistema di formazio- ne superiore in Italia come mera rivisitazione o aggiustamento dell’attuale assetto degli IFTS, perché ci troviamo si fronte ad un assetto destrutturato: abbiamo 500 corsi circa che si svolgono di biennio in biennio, circa 6000 partecipanti, frutto di partenariati occasionali e senza una individuazione delle strategie di innovazione a cui la formazione debba mirare. La regione che realizza più IFTS è la Campania, che peraltro è una tra quelle regio- ni nelle quali manca totalmente la formazione professionale iniziale, per cui i per- corsi lì realizzati prescindono quasi totalmente dalla formazione professionale. Un altro dato significativo ci dice che la formazione tecnica superiore si sta svi- luppando consistentemente in una utenza adulta, di lavoratori, come strumento di riqualificazione professionale. Questo sta ad indicare come gli IFTS siano perce- piti molto di più come strumento di formazione continua che come percorso di for- mazione superiore. Un ulteriore elemento di riflessione sta nella segmentazione dei partecipanti, lad- dove appare che meno dell’1% degli iscritti è in possesso del titolo di qualifica professionale. Viene così clamorosamente smentita una specificità di questi per- corsi che avrebbero dovuto portare, secondo le intenzioni del legislatore, ad acconsentire l’accesso alla formazione tecnico-superiore da parte di quanti, non avendo un diploma scolastico, avrebbero potuto beneficiare di percorsi di forma- zione superiore. Probabilmente la formazione tecnica superiore appare priva di una propria iden- tità, sia perché non ha con chiarezza un pubblico specifico a cui si rivolge, sia per- ché è vista come strumento assolutamente occasionale, che oggi c’è e domani può non esserci più, sia perché è basata su partenariati provvisori e non strategici, ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 3 8 spesso incapaci di dare continuità alla loro azione, sia perché ha insufficienti col- legamenti con il mondo della ricerca e dell’innovazione. Un secondo ragionamento di approfondimento va fatto sulle università. L’università, essendo l’unico attore oggi esistente della formazione superiore ed agendo in un regime di monopolio, ha finito col disinteressarsi del modello orga- nizzativo e del successo del percorsi di laurea che organizza, continuando a regi- strare peraltro un tasso elevatissimo di abbandoni. È quindi giunto il tempo di dire che se si vuole far nascere un sistema di formazione superiore in Italia si dovrà ine- sorabilmente circoscrivere l’ambito degli studi universitari dentro un recinto più ristretto, affidando alla formazione superiore profili professionalizzanti e titoli che oggi sono stati assunti indebitamente dalle università, in virtù del loro operare in un regime di monopolio. Vorrei terminare questa mia introduzione e lasciare la parola agli ospiti di questa tavola rotonda con una suggestione: mi piace pensare che in futuro ci saranno cen- tri di formazione professionale di eccellenza che, dopo aver portato a termine per- corsi di qualifica e di diploma professionale, possano erogare formazione superio- re su specifiche aree professionalizzanti. Forse siamo in tanti che auspicano il futu- ro di un pezzo di formazione superiore con questo vestito. 3 9 POSSIBILITÀ E OPPORTUNITÀ PER LA FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE IN ITALIA. PARERI A CONFRONTO 3.2 - Intervento tavola rotonda Mario Tonini CNOS-FAP Il presente contributo, collocato nella tavola rotonda dal titolo “Quali possibilità e opportunità per la formazione professionale superiore in Italia - pareri a confron- to”, intende confrontarsi proponendo alcuni spunti di riflessione e dei suggeri- menti operativi in vista di una eventuale sperimentazione del percorso. La riflessione si apre con l’illustrazione di alcune caratteristiche che sembrano ormai un patrimonio comune e condiviso a livello europeo, prosegue evidenzian- do luci e ombre della situazione italiana, sottolinea alcune opportunità che la legge 53/03 (Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione profes- sionale) offre, cerca di collocare la formazione professionale superiore nella visio- ne di un più ampio sistema riformato e, infine, propone alcune piste di lavoro coe- renti con le riflessioni sviluppate. 1. La formazione professionale superiore in una prospettiva di sistema La creazione di un sistema di istruzione e formazione professionale che presenti una struttura organica dai 14 ai 21, ma anche ai 24 anni, rappresenta una neces- sità fondamentale per l’Italia, per venire incontro alle domande della società e del- l’economia, per assecondare le esigenze dei giovani, fornendo loro un’opportunità formativa vicina alla vita reale e di carattere attivo, per contribuire allo sviluppo di risorse umane compatibili con l’attuale domanda di professionalità, valorizzan- do le risorse dei territori e consentendo ai poteri locali di delineare un sistema di offerta formativa di qualità. Le esperienze dei Paesi con cui ci confrontiamo dimostrano che è necessario disporre di un moderno sistema di formazione professionale superiore dotato delle seguenti caratteristiche: - strutturazione entro il sistema di istruzione e formazione professionale, con una propria dimensione autonoma rispetto ai licei ed all’università, per consentire ai giovani che lo frequentano, una transizione verticale a partire dalla fine del ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 4 0 primo ciclo di studi, secondo una progressione organica e permettere, così, all’al- lievo di acquisire passo passo una valida cultura professionale, coerente con le esigenze del sistema economico e del mondo del lavoro, e che prosegua lungo tutto il corso della vita; - opzione metodologica che valorizzi l’approccio peculiare dell’istruzione e della formazione professionale; ciò significa il superamento della didattica astratta per discipline e la scelta della didattica attiva, della centratura sui compiti reali, dello stile dell’alternanza, della valutazione autentica basata non sulla ripetizione delle nozioni e delle abilità, ma sulla verifica di ciò che l’allievo sa fare con ciò che sa, fronteggiando compiti-problemi che richiedono un’applicazione persona- le in vista di una soluzione adeguata; - personalizzazione dei percorsi formativi; la personalizzazione sviluppa un’offer- ta centrata sul cammino proprio di ogni allievo, così che la formazione è uno stato (“stare in formazione”) e non un luogo inteso come territorio nel quale l’i- stituzione esercita una presunta proprietà sugli allievi; - forte caratterizzazione territoriale del sistema in una logica di rete, superando la logica della programmazione tradizionale che ha generato apparati burocratici difficilmente gestibili e tendenzialmente autoreferenziali, procedendo al contra- rio nella logica della governance che significa assecondare in modo mirato e razionale le dinamiche proprie dello sviluppo, in una prospettiva di migliora- mento continuo; - valorizzazione del pluralismo formativo, ovvero di tutte quelle energie educative, culturali e sociali che sono presenti nella società civile, con particolare riferi- mento alle strutture formative e scolastiche di carattere tecnico e professionale, in modo da sviluppare un sistema aperto, capace di forte interazione con le dina- miche sociali ed economiche del contesto, flessibile, attento alle modificazioni ed in grado di interagire con il mondo della ricerca, dell’economia e della cultura. 2. La realtà attuale: una riflessione critica sugli “IFTS” È evidente che tale disegno di sistema appare in forte discontinuità con la situa- zione attuale. Si può facilmente affermare a tale proposito che nel nostro Paese domina su queste tematiche un principio scolasticistico che vede ancora con sospetto ogni legame tra scuola e mondo dell’economia e della professionalità e persegue una sorta di liceizzazione della gioventù, sulla base di una visione cultu- rale che si fonda su un impianto didattico disciplinare centrato sull’insegnamento piuttosto che sull’apprendimento autentico, incurante delle conseguenze che ciò comporta in termini di demotivazione, dispersione e di lontananza tra insegna- 4 1 POSSIBILITÀ E OPPORTUNITÀ PER LA FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE IN ITALIA. PARERI A CONFRONTO mento e vita reale. In questa prospettiva, si considera il momento della professionalizzazione come una sovrapposizione di moduli formativi “di indirizzo” su un pesante apparato culturale “di base” che dovrebbe accompagnare tutta l’adolescenza ed, inoltre, la prima giovinezza. Una visione siffatta non consente di sviluppare una vera e pro- pria cultura professionale poiché accetta il principio della frattura dei saperi (filo- sofico-storico-letterario, scientifico, tecnico, operativo), finisce per prolungare i percorsi dei giovani, ritardando l’ingresso nella vita attiva e rinuncia all’impegno di una revisione curricolare che peraltro molti sostengono. Questa opzione scolasticistica di carattere liceizzante - che sul piano strutturale afferma la centralità dell’apparato della pubblica amministrazione statale - si è manifestata con forza anche nel momento in cui, con l’art. 69 della legge 144/99, si è tentato di dare vita ad un sistema di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore. L’esito di tale tentativo assomiglia ad un ibrido tra istanza scolastica ed istanza professionale. Sostanzialmente, il segmento della formazione professiona- le superiore ha potuto sviluppare una propria visione metodologica senza però influenzare il disegno complessivo. Infatti, esso è stato sovrapposto a quello della scuola secondaria superiore, spostando a dopo l’esame di stato l’impegno profes- sionalizzante e cercando di recuperare anche chi aveva scelto altri percorsi quali la formazione professionale o l’apprendistato1. In altri termini, i percorsi previsti non sono posti in condizione di continuità organica e progettuale rispetto ai per- corsi della scuola secondaria; essi rappresentano piuttosto - salvo alcune eccezio- ni - dei sesti-settimi anni dell’Istituto Tecnico, nei quali concentrare quanto non è stato possibile svolgere nel curricolo ordinario scolastico. Allo stesso tempo, il nuovo segmento IFTS si fonda su una commistione con l’u- niversità, senza con ciò comportare un’intesa culturale e metodologica forte. Tutto ciò si riflette anche sul riconoscimento dei crediti formativi sia all’ingresso sia al termine dei percorsi stessi. Circa l’ingresso, risulta difficile riconoscere le acquisi- zioni degli allievi, poiché queste fanno riferimento ad una varietà di disegni di pro- grammazione - nella gran parte dei casi estranei ad una vera e propria cultura pro- fessionale - da cui risulta fortemente problematico rintracciare elementi comuni. Circa la continuità, la scarsa disponibilità dell’università nel riconoscere i crediti formativi conferma ancora una volta la condizione atipica ed ibrida di tali per- corsi, che paiono collocarsi in tal modo in una sorta di limbo formativo che risul- ta tollerato proprio in quanto assume l’opzione della “pedagogia del cubo”, ovve- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 4 2 1 La concessione dell’iscrizione ai corsi IFTS da parte degli apprendisti qualificati o dei qualificati in genere rappresenta un timido segnale in senso opposto a quanto indicato, ma ci risulta che nessun apprendista abbia mai usufruito di tale possibilità. ro una base indistinta culturale cui si sovrappone, in una logica di discontinuità (se non di estraneità), una piramide tecnico-professionale. L’analisi delle migliori esperienze formative che si sono potute realizzare mostra peraltro una tendenza innovativa che va nel senso dell’intesa con il sistema economi- co e sociale, di soddisfazione degli allievi specie di coloro che sono in possesso di tito- li di studio difficilmente spendibili sul mercato del lavoro e delle professioni. In par- ticolare, nelle prassi di maggiore valore pare emergere uno sforzo teso a delineare una metodologia formativa tendenzialmente coerente con tali percorsi professionalizzan- ti, adottando criteri e soluzioni conformi con l’approccio peculiare dell’istruzione e formazione professionale. Ma tale innovazione avviene - come già detto - entro uno spazio “tollerato”, senza capacità di influenza nei restanti punti del sistema, risultan- do in tal modo un’innovazione mancata a causa dell’assenza di un disegno comples- sivo coerente riferito all’intero sistema educativo. 3. La riforma, base per un’autentica formazione professionale superiore La revisione degli IFTS, sulla base delle riflessioni precedenti, se condivise, può essere attuata a partire dalle recenti innovazioni normative e sperimentali che, sulla base della legge 53/03, mirano a riformare l’intero sistema educativo, intro- ducendo in particolare un sistema di istruzione e formazione professionale organi- co sia dal punto di vista istituzionale sia da quello metodologico, aperto e plurali- stico, basato sulla continuità. Si tratta di un’occasione preziosa che va sfruttata appieno, poiché è la prima volta nella storia del nostro Paese - almeno ci sembra - che si creano le condizioni per l’affermazione del valore educativo e culturale del lavoro e della professionalità. L’elemento cardine del sistema di istruzione e formazione professionale risiede nella concezione olistica ed educativa del lavoro. Questo è inteso come una realtà composita che si rivela come opera (prodotto), azione personale e sociale e pen- siero dell’uomo, ovvero frutto unitario di tutta la persona e, perciò, di ogni fatto- re che costituisce la realtà umana in quanto cultura. Il lavoro non è concepito come realtà esterna all’uomo, cui esso deve adeguarsi. È, invece, una condizione privilegiata attraverso cui il soggetto umano si confronta con la storia viva della civiltà, vive relazioni significative con gli altri, conosce ed esprime se stesso, agisce sulla realtà apportando ad essa un valore ed acquisendo in tale dinamica sempre nuove competenze. Per questo il lavoro è concepito come esperienza profondamente umanizzante e quindi occasione per l’educazione integrale della persona umana, proprio perché per produrre bene, al meglio, qualsiasi cosa, presuppone una persona che agisce e 4 3 POSSIBILITÀ E OPPORTUNITÀ PER LA FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE IN ITALIA. PARERI A CONFRONTO pensa, coinvolgendo sempre tutta se stessa, l’intero della propria umanità. Il sistema di istruzione e di formazione professionale, di conseguenza, consiste nella possibilità di fare esperienza, sul piano educativo, di un lavoro nel quale sia impossibile separare la teoria dalla pratica, il corpo dalla mente, la ragione dalla volontà e dai sentimenti, l’educazione intellettuale dall’educazione manuale, affet- tiva, sociale, espressiva, morale, religiosa, il rapporto economico da quello etico sociale, l’insegnamento dall’esempio e dalla testimonianza, la ragione strumenta- le da quella finale, la soggettività autonoma dalla relazione, l’indipendenza dalla dipendenza, l’istruzione dalla formazione professionale, la cultura generale da quella specifica e, addirittura, specialistica professionale. Così inteso, il lavoro è considerato dai percorsi educativi dell’istruzione e della for- mazione professionale il giacimento educativo, culturale e didattico privilegiato che si propone all’allievo sotto forma di compiti-problemi, che suscitano in esso il desiderio di mettersi alla prova in modo attivo e responsabile, sapendo trovare quelle risposte che consentano di trasformare le proprie potenzialità in competen- ze che valorizzano conoscenze (sapere) ed abilità (saper fare), consolidate nei saperi disciplinari e interdisciplinari, testimoniando in tal modo il contributo esclusivo, originale e creativo che ciascun essere umano porta anche quando svol- ge e ripete lo stesso lavoro di un altro. 4. La formazione professionale superiore in una visione di sistema: una proposta Il punto di forza del disegno riformatore sta nella sua visione sistemica: non si pro- pone di costruire “tasselli” a sé stanti, quanto di dare vita a percorsi formativi organici, connessi alle esigenze del mondo dell’economia e del lavoro, ma metodo- logicamente innovativi e basati sulla personalizzazione. In questa visione sistemi- ca può prendere corpo l’intero disegno su basi ben delineate e su una coerenza di fondo fra tutti i diversi livelli dell’offerta formativa. In tale visione, sia pure in una logica di forte continuità, emergono con chiarezza due grandi ambiti di intervento: 1) il percorso per il diritto-dovere di istruzione e formazione, che mira a promuo- vere l’apprendimento in tutto l’arco della vita e assicura a tutti pari opportu- nità per raggiungere elevati livelli culturali e per sviluppare le capacità e le competenze; il diritto-dovere consente a tutti il diritto all’istruzione e alla for- mazione per almeno dodici anni (ovvero quattro anni dopo il primo ciclo degli studi) o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesi- mo anno di età; ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 4 4 2) il percorso di istruzione e formazione tecnica superiore, che può avere una prose- cuzione anche nell’alta formazione, avente come finalità la formazione di figure di quadri o di esperti, ovvero persone dotate di una cultura superiore, in grado di svolgere un’attività professionale con rilevanti competenze tecnico/scientifiche e/o livelli significativi di responsabilità e autonomia nelle attività di programma- zione, amministrazione e gestione (IV livello europeo ECTS). Si tratta dello sboc- co di un percorso successivo al diploma di formazione, della durata variabile da 1 a 3 anni, valido per l’ingresso nei relativi ruoli del mondo del lavoro ed anche per l’accesso agli esami per l’abilitazione professionale prevista dai rispettivi Ordini, oltre che come credito formativo per l’ingresso in percorsi universitari omogenei. La formazione superiore, così delineata, si caratterizza per i seguenti aspetti: - appare fortemente connessa con la formazione iniziale (diritto-dovere), ovvero rappresenta un grado ulteriore - superiore - di un percorso già iniziato che pre- senta i caratteri di “cultura del lavoro”; - si riferisce a figure polivalenti e di indirizzo, appartenenti a precise comunità professionali che condividono sostanzialmente una cultura ed un sistema profes- sionale che cerca di evitare ogni forma di frammentazione; - si caratterizza per una metodologia dell’alternanza che consiste nel disegnare percorsi formativi non nella logica della “istruzione” ma della “formazione”, ovvero tramite una successione ordinata e progettata di compiti-problema pro- pri dell’ambito professionale di riferimento, organizzati per unità di apprendi- mento, collocati entro contesti organizzativi reali, con lo stretto coinvolgimento delle imprese. Si può affermare che una buona formazione superiore si realizza solo se è collocata entro un disegno organico, non frammentato, poiché solo in tal caso essa “promuo- ve l’apprendimento in tutto l’arco della vita e assicura a tutti pari opportunità di rag- giungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze, attraver- so conoscenze e abilità, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte per- sonali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, anche con riguardo alle dimensioni locali, nazionale ed europea” (Schema di decreto legislati- vo concernente il “Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, ai sensi dell’arti- colo 2, comma 1, lettera c) della legge 28 marzo 2003, n. 53”, art. 1). Nello stesso tempo, una formazione superiore di qualità presenta una reale conti- nuità nell’esercizio professionale vero e proprio entro ambienti di lavoro autenti- camente formativi. 4 5 POSSIBILITÀ E OPPORTUNITÀ PER LA FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE IN ITALIA. PARERI A CONFRONTO 5. Una vita per l’attuazione Va detto innanzitutto che un disegno siffatto richiede un approccio sperimentale, così come è stato realizzato per i percorsi triennali e, si auspica, per quelli qua- driennali, poiché occorre garantire una coerenza progettuale ed istituzionale che non possono essere concepiti come l’esito di indicazioni normative. Si presentano alcuni punti chiave del disegno riformatore, volto a costruire passo passo, con la necessaria gradualità, un sistema moderno e innovativo di formazio- ne professionale superiore nell’ambito di un più generale sistema educativo di istruzione e formazione: a) elaborare, con il contributo delle Parti interessate e nell’ambito di un’intesa interregionale e, quindi, nazionale, un Repertorio delle comunità e delle figure professionali che fornisca un quadro sistematico e coerente delle figure profes- sionali definite per comunità, ovvero aggregati culturalmente omogenei, distin- ti nei tre livelli: qualifica professionale, diploma di istruzione e formazione, diploma di istruzione e formazione superiore; b) ridefinire l’offerta attuale di corsi IFTS in base a quanto elaborato nel Repertorio, ovvero creare un vero e proprio sistema organico di offerta che con- senta ad un tempo verticalità, continuità e trasversalità (passaggi da un per- corso e l’altro); c) dare vita a progetti sperimentali, ben coordinati e monitorati, in grado di met- tere alla prova il disegno delineato, definire piani formativi contestualizzati, monitorare le iniziative, elaborare prassi e soluzioni gestionali, suggerire indi- cazioni per gli attori implicati ai vari livelli, con particolare riferimento alla pro- grammazione e regolazione del sistema; d) elaborare un corpus organico di metodologie e di occasioni formative (specie tramite laboratori e studi di caso), che rendano possibile, da un lato, un piano di formazione del personale con particolare riferimento alla metodologia del- l’alternanza, e dall’altro la diffusione delle esperienze e la loro riproducibilità entro tutto il territorio nazionale. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 4 6 3.3 - Intervento tavola rotonda Bruno Scazzocchio Confindustria Il percorso di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS) avviato speri- mentalmente con l’accordo Governo-Conferenza Stato Regioni del 9 luglio 1998 e codificato con l’art. 69 della legge n. 144/1999 costituisce una innovazione nel panorama del sistema formativo italiano, in quanto si tratta di un percorso: - progettato e gestito in modo integrato tra diversi soggetti: scuola, formazione professionale, università, impresa; - definito con la partecipazione delle Parti Sociali, in particolare nelle fasi di pro- grammazione, monitoraggio e valutazione, per assicurare un raccordo tra conte- nuti formativi e mondo del lavoro; - molto flessibile, modulare, aperto ad utenze differenziate; - rivolto alla preparazione di tecnici intermedi. Fin dai primi passi della formazione tecnico professionale superiore, la Confindustria ha espresso la sua piena condivisione sull’idea di forza che sta alla base di questo nuovo itinerario formativo, che è quella dell’integrazione tra scuo- le, centri di formazione professionale, università e imprese. In vista del superamento della fase di sperimentazione, è oggi necessario dare soli- dità ed efficacia a questo strumento, per fornire al sistema produttivo quelle com- petenze tecniche intermedie, che sono indispensabili sia alle grandi che alle picco- le aziende per essere competitive sul mercato globale. Nel mercato del lavoro sta infatti cambiando il panorama delle risorse professio- nali: nascono nuove professioni che concretizzano nuove esigenze e competenze; altre professioni modificano il loro profilo, si arricchiscono di nuovi elementi cono- scitivi, si trasformano. Ed il cambiamento si fa ogni giorno più evidente e rilevan- te nella sua dimensione quantitativa e nel pervadere il tessuto economico dell’in- tero Sistema Paese. Ed è proprio in questo campo che la net-economy trova degli ostacoli al suo sviluppo per lo skill-shortage, cioè la carenza di specialisti e tecni- ci nel settore. In Europa mancano più di 1,5 milioni di tecnici (più di centomila in Italia) e tutti i segni lasciano pensare che la crisi non si attenuerà, ma si acuirà nei prossimi anni. Anche in Italia esiste un gap tra domanda ed offerta relativamente a talune specifi- 4 7 POSSIBILITÀ E OPPORTUNITÀ PER LA FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE IN ITALIA. PARERI A CONFRONTO che competenze. Il gap è significativo, dalle 112.000 unità del 2000 alle 215.000 del 2002 ed è destinato ad aumentare. Ci sono imprese, nell’occidente più avanzato, che utilizzano, grazie alla rete, tecnici informatici che vivono e lavorano in paesi lonta- ni, per lo più in estremo oriente. In quei paesi, infatti, i tecnici abbondano, grazie ad un sistema formativo molto sviluppato sulle tecnologie innovative. In alcuni paesi, sempre dell’occidente, si aumentano i plafond di permessi di immigrazione, forzando affinché arrivino tecnici con buona scolarizzazione. Ancora, alcuni governi europei pensano di selezionare l’immigrazione da quei paesi dell’est, dai cui cittadini ci si può aspettare un buon bagaglio di competen- ze in tecnologie. Queste, ed altre della stessa natura, sono le risposte che si stanno valutando o spe- rimentando nell’immediato, per far fronte alla grande crisi di competenze tecniche che affligge la “società dell’informazione”. Nel nostro Paese, però, sono molti quelli che pensano che per questa mancanza di tecnici si debbano cercare risposte diverse. Il Mezzogiorno ed il grande numero di giovani alla difficile ricerca di una occupa- zione, la “accessibilità” della competenza di base in queste tecnologie, i nuovi mestieri che si generano (aperti a culture non necessariamente tecniche), la possi- bile “delocalizzazione” del lavoro sono specificità di cui fare tesoro. Quando un giovane non trova lavoro perché privo di preparazione adeguata e quando un’impresa non riesce a trovare sul mercato un giovane adeguatamente specializzato, è evidente che viene posto un freno al futuro. Si frena la competiti- vità delle imprese, ma si frena anche la possibilità dei giovani di entrare nel mondo del lavoro e di esprimersi. Occorre uno sforzo straordinario che avvii l’unica solu- zione definitiva, strutturale e permanente, del problema: una formazione tecnica di qualità e su grandi numeri, sulle tecnologie innovative, all’interno delle Istituzioni Formative: scuola, università, formazione professionale. Le esperienze finora attuate hanno fatto emergere la complessità di gestione di questo istituto, che non sempre si è rivelato in grado di dare risposte adeguate, sia all’utenza, sia alla domanda proveniente dai sistemi di produzione. La Confindustria ritiene che il principale fattore di successo dell’IFTS sia la pari dignità tra i quattro soggetti, indispensabile per la realizzazione di questi corsi (scuole, centri di formazione professionale, università, imprese e associazioni di imprese). Ogni soggetto può recare un contributo specifico. L’impresa per l’anali- si dei fabbisogni formativi, per l’individuazione delle figure professionali, per l’e- rogazione di docenza aziendale, per l’assicurazione ai giovani di posti stage. La scuola per la definizione delle discipline scientifiche di base. L’università per le discipline scientifiche superiori e per i laboratori. I centri formativi per la proget- tazione dell’intervento, per la preparazione dello stage, per l’erogazione delle ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 4 8 discipline professionalizzanti. La “produzione” delle competenze, sempre più complesse, richieste dal mondo produttivo, necessita di un percorso formativo altrettanto complesso. Di questo percorso, la scuola non può che rappresentare un segmento, probabilmente corre- lato all’acquisizione delle competenze di base, che deve integrarsi con altri, altret- tanto importanti, in un ottica di programmazione didattica e organizzativa. Il modello formativo deve essere flessibile e modulare e prevedere un equilibrato mix tra conoscenze di base, conoscenze tecnico-specialistiche, applicazioni opera- tive, conoscenze organizzative e competenze decisionali, relazionali e diagnostiche, queste ultime largamente richieste dalle imprese. In questo modello è centrale il ruolo dell’impresa, che non può essere ridotta a “fonte di informazione” nella fase di progettazione e a sede di realizzazione degli stage, nella fase di erogazione del corso. Spetta all’impresa, in collaborazione con la struttura formativa, il ruolo di completare il processo di formazione ai fini del- l’acquisizione delle competenze professionali. Ciò si realizza coinvolgendo l’im- presa nella fase di rilevazione, nella fase di progettazione, nella fase di erogazione (anche attraverso ampio ricorso a docenze aziendali), nell’esperienza di stage e nella valutazione finale. In sintesi, si possono evidenziare gli aspetti positivi e quelli che presentano anco- ra criticità: è divenuto più efficace, rispetto ai primi anni di realizzazione dell’IFTS, il raccordo con le imprese, con incoraggianti risultati per quanto riguar- da l’occupazione dei giovani; sono aumentati gli investimenti delle Regioni, che hanno inserito i percorsi IFTS nei loro POR sino al 2006 e nelle Regioni del Centro e del Nord è migliorata la funzionalità dei comitati regionali per la promozione, il monitoraggio e la valutazione dell’IFTS, anche se non è ancora soddisfacente. Sono state introdotte nuove norme (art. 56 del regolamento di contabilità delle scuole n. 44/2001) per la semplificazione amministrativa nella gestione dei finan- ziamenti, che ha rappresentato un grande problema nella prima fase di sperimen- tazione dell’IFTS. Un maggior numero di università si sta impegnando nell’IFTS, anche per il riconoscimento dei crediti. D’altra parte, il sistema è ancora precario, perché dispone solo di risorse collegate ai singoli progetti via via approvati nella programmazione regionale. Ciò non con- sente alle imprese di programmare i propri interventi nel tempo. I tempi delle pro- cedure di selezione dei progetti seguite in relazione ai bandi emanati dalle Regioni ogni anno sono sfasati, perché avvengono in tempi tali da non consentire ai gio- vani neodiplomati di iscriversi ai corsi nei mesi immediatamente successivi alla conclusione del percorso scolastico. Spesso non è possibile neppure informarli per- ché i corsi vengono banditi dalle Regioni molto tempo dopo. I sussidi didattici a disposizione (libri, dispense, software...) dell’IFTS sono poveri, mentre per la 4 9 POSSIBILITÀ E OPPORTUNITÀ PER LA FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE IN ITALIA. PARERI A CONFRONTO messa a regime del sistema occorrono investimenti nazionali per la loro produzio- ne, con particolare riferimento alle applicazioni tecnologiche. Non esiste una suf- ficiente distinzione tra i percorsi destinati ai giovani dopo il conseguimento del diploma, rispetto a quelli destinati agli adulti occupati, che richiedono più flessi- bilità e il riconoscimento di un ruolo più incisivo delle imprese. I comitati regio- nali per la promozione, il monitoraggio e la valutazione dell’IFTS sono pletorici. In essi i rappresentanti dell’impresa devono contare di più rispetto alle scelte delle Regioni sulle figure professionali da considerare prioritariamente. Le Regioni del Mezzogiorno sono in grave ritardo, con la conseguente necessità di valorizzare la collaborazione multiregionale e, comunque, consentire il reimpiego delle risorse da esse non utilizzate a vantaggio delle Regioni del Centro - Nord. Infine, è necessario un efficace orientamento nelle scuole, che sono troppo poco informate sulle opportunità offerte ai giovani dall’IFTS e nelle università, in modo da consentire il recupero di parte della dispersione universitaria, anche con l’e- ventuale riconoscimento di crediti ai fini dell’abbreviazione del percorso IFTS. Occorre evitare il rischio che, contro la volontà di tutti, questi nuovi corsi di for- mazione tecnico-professionale superiore finiscano per essere il prolungamento naturale di tutta l’istruzione tecnica e professionale, offrendo nuovi posti di lavo- ro ai docenti in soprannumero della scuola secondaria. Questa offerta deve nascere dal territorio, essere collegata alle vocazioni produtti- ve delle diverse realtà del paese, avere caratteristiche di grande flessibilità per poter cessare qualora siano state soddisfatte le esigenze delle imprese e del siste- ma professionale. Nella impostazione più volte evocata negli anni scorsi i corsi di formazione tecni- co-professionale superiore avrebbero dovuto essere tagliati su misura rispetto alle esigenze e alle vocazioni produttive del territorio, con ricerca di nicchie produtti- ve e di distretti territoriali, a cui venivano associate determinate specializzazioni (dalle ceramiche di Sassuolo, all’industria cartaria di Fabriano, dal tessile di Prato e Biella, all’industria ottica di Belluno, dalla cantieristica di Gorizia, alle calzatu- re di Vigevano). Peraltro, se si analizzano attentamente le esperienze di eccellenza nel campo dell’i- struzione tecnica e professionale, si scopre che esistono istituti particolarmente apprezzati dalle imprese per il loro radicamento nel territorio e per la loro capacità di fornire periti particolarmente specializzati (basti pensare all’istituto Aldini Valeriani di Bologna o al Malignani di Udine). In altre parole, esistono sul territorio risorse pre- ziose da valorizzare con una attenta regia nazionale, ma che potrebbero essere depau- perate da una operazione centralistica e standardizzata su tutto il territorio. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 5 0 3.4 - Intervento tavola rotonda Domenico Sugamiele Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca La Commissione europea ha lanciato un grido di allarme sullo stato di avanza- mento degli obiettivi posti dalla strategia di Lisbona. Nel documento Istruzione & formazione 20101 la Commissione, infatti, mette in guardia sulla difficoltà di rag- giungere, entro il 2010, gli obiettivi adottati dal Consiglio. In particolare, nella comunicazione si evidenzia come la formazione professionale, con evidenti differenze tra i vari paesi, non appare “all’altezza dei nuovi bisogni dell’economia della conoscenza e del mercato europeo del lavoro” ed invita a dare “un nuovo impulso a tutti i livelli se si vuole ancora riuscire a raggiungere l’obiet- tivo di Lisbona”. In questo senso invita a prendere rapidamente misure che ren- dano la formazione professionale e l’apprendimento in impresa un’alternativa attraente e di qualità dell’insegnamento generale, agendo su alcune linee priorita- rie di riforma tra le quali quella di “costruire … un quadro di riferimento europeo per le qualifiche dell’istruzione superiore e della formazione professionale”. La Commissione mette in guardia, cioè, sul rischio del fallimento della strategia di Lisbona che comporterebbe un aumento dello scarto tra l’Unione e i suoi princi- pali concorrenti. Il nostro Paese ha, alla luce di queste osservazioni, un problema ulteriore: colma- re lo scarto con la media europea. Ciò implica senza indugi accelerare il processo di riforma avviato con le leggi 53 e 30 del 2003, leggi che la Commissione ha valu- tato coerenti con gli obiettivi di Lisbona. Tuttavia il percorso della riforma del sistema di istruzione e formazione italiano dovrà ancora compiutamente svilupparsi con la stesura di alcuni decreti legislati- vi che potrebbero, paradossalmente, consolidare se non addirittura fare arretrare il sistema rispetto alla situazione attuale. Nei prossimi mesi si aprirà una fase intensiva di discussione sul secondo ciclo della 5 1 POSSIBILITÀ E OPPORTUNITÀ PER LA FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE IN ITALIA. PARERI A CONFRONTO 1 Comunicazione della Commissione al Consiglio europeo della scorsa primavera: Istruzione & forma- zione 2010 - l’urgenza delle riforme per la riuscita della strategia di Lisbona. Progetto di relazione intermedia comune sull’attuazione del programma di lavoro dettagliato concernente il seguito dato agli obiettivi dei sistemi d’istruzione e di formazione in Europa. Bruxelles 11,11,2003. COM (2003) 685 definitivo. riforma delineata dalla legge 53/03 e, in particolare, sul ruolo e sulla consistenza della formazione professionale. La fase di decretazione delegata della legge è, infatti, in uno stato avanzato. È stato varato il decreto legislativo sulla formazio- ne iniziale e in ingresso degli insegnanti e i decreti sul servizio nazionale di valu- tazione, sull’alternanza scuola-lavoro e sul diritto-dovere sono stati già vagliati dalla Conferenza Stato Regioni e sono attualmente in discussione nelle Commissioni par- lamentari di Camera e Senato. La discussione sul secondo ciclo dovrebbe superare le incrostazioni ideologiche e le divisioni, spesso artificiose, che hanno caratterizzato le fasi di implementazione di tutte le riforme della scuola secondaria proposte negli ultimi venti anni. Oggi si aggiunge anche un quadro istituzionale completamente modificato rispetto a pochi anni fa. La stesura del decreto sul secondo ciclo comporterà uno sforzo notevole perché si tratta, con tutta evidenza, del segmento che vede le modifiche più consistenti e radicali rispetto all’attuale quadro ordinamentale ed istituzionale; si devono scio- gliere definitivamente i nodi del rapporto tra cultura generale e cultura professio- nale e tra istruzione/formazione e lavoro; si dovranno delineare i rapporti con l’i- struzione e formazione superiore universitaria e non; si intrecciano le competenze legislative tra Stato e Regioni, quelle di programmazione e di gestione con le auto- nomie territoriali e i rapporti tra sistema formativo e sistema produttivo. Bisogna misurarsi, senza pregiudizi, con la vera priorità italiana che è la transi- zione dalla scuola al lavoro. Priorità che è stata sempre sottovalutata nel dibatti- to sulla riforma del sistema educativo, anche universitario. Sistema educativo che ruota tutto attorno al liceo e all’università e che non ha saputo rispondere ai biso- gni diversificati di formazione, ha allungato a dismisura la fase di transizione alla vita attiva, ha sottovalutato il rapporto con il sistema produttivo, come dimostra- no i dati sulla dispersione scolastica e universitaria, sul tasso di disoccupazione giovanile e sulla scarsa corrispondenza tra lavoro e formazione ricevuta. Non si tratta, quindi, di discutere sul falso problema (solo italiano) del “doppio cana- le” di istruzione e di formazione, ma di concentrarsi sulla dimensione della “produt- tività” del nostro sistema di istruzione e formazione secondaria (liceale e della IeFP) e terziaria, universitaria e non, con particolare attenzione ai seguenti temi: - diversificare i percorsi di istruzione e formazione per rispondere, in una scuola di massa, alla domanda diffusa e articolata di formazione dei giovani, favoren- do i loro progetti di vita, e alle esigenze di cambiamento continuo del mercato del lavoro; - rendere il sistema di istruzione e formazione (compresi i licei e l’università) più efficace, facilitando la transizione dalla scuola al lavoro; - abbandonare la distinzione concettuale tra cultura generale e cultura professiona- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 5 2 le. Nessuna cultura può esimersi dall’affrontare i temi della scelta professionale e della transizione alla vita attiva. In questo senso la distinzione valoriale tra percorsi liceali/universitari, tecnici e professionali risulta vecchia, ottocentesca. Le possibilità di sviluppo della formazione professionale saranno determinate dalla consapevolezza che gli elementi di crisi del nostro sistema educativo sono determi- nate proprio dall’assenza, nel nostro Paese, di un ampio e diffuso sistema di forma- zione professionale capace di rispondere ai bisogni del sistema produttivo. L’accentuazione della dimensione scolastica e l’assenza di un sistema di formazio- ne professionale hanno privato, da un lato, il nostro Paese di un moderno stru- mento di politica attiva del lavoro e, dall’altro, moltissimi ragazzi di reali oppor- tunità formative e di inserimento nella vita attiva. Troppi giovani abbandonano la scuola senza nessuna qualifica professionale e si inseriscono in modo precario nel mercato del lavoro. La necessità di cogliere la domanda diversificata di formazione dei giovani e del sistema produttivo richiede la programmazione di un’offerta formativa differen- ziata, capace di rispondere ai diversi stili di apprendimento e all’esigenza di chi vuole inserirsi velocemente nel mondo del lavoro con una qualifica professionale. Si tratta, quindi, di prevedere un sistema di IeFP che si sviluppa fino al segmento terziario con la previsione di percorsi formativi articolati nella qualifica triennale, nel diploma di 4 anni e nel diploma di formazione superiore (fino a 6/7 semestri), attorno ai quali la programmazione dell’offerta territoriale individuerà modelli organizzativi e ulteriori percorsi di specializzazioni che interpretano la domanda dei giovani, delle famiglie e del sistema produttivo. Sarebbe un errore gravissimo riproporre l’attuale segmentazione, come da qualche parte si fa, forzando una interpretazione della legge 53. È interessante, invece, ai fini della progettazione e realizzazione di un sistema for- mativo capace di rapportarsi con il sistema produttivo e sociale, valutare le anali- si condotte dagli Organismi bilaterali sui fabbisogni professionali per il sistema delle imprese, così come alcuni indicatori sulla transizione scuola-lavoro. Si tratta di basi di dati che necessariamente devono essere tenuti in considerazio- ne per evitare di progettare un sistema formativo avulso dal contesto reale. La transizione scuola-lavoro La transizione dalla scuola al lavoro è, forse, il vero punto debole del nostro sistema educativo. La discussione, nel nostro Paese, è ingessata su un dibattito ideologico incentrato sulla distinzione tra percorsi liceali (di formazione genera- 5 3 POSSIBILITÀ E OPPORTUNITÀ PER LA FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE IN ITALIA. PARERI A CONFRONTO le) e tecnico-professionali. Distinzione che non coglie la natura dei problemi e dello sviluppo delle moderne società in cui viene meno anche la distinzione tra cultura generale e cultura professionale, dato che oggi nessuna cultura può esi- mersi dall’affrontare i problemi della transizione alla vita attiva. Come se l’i- struzione e la formazione non dovessero avere una finalità “utilitaristica” per l’inserimento nella società. Come se la formazione della persona nella sua inte- grità non dovesse corrispondere ad un sapere unitario, ma comporsi dal concor- so di un sapere generale ed un sapere professionale, utilitaristico, che viene sol- tanto dopo quello generale. Una distinzione che porta con sé l’idea per cui la for- mazione professionale non possa concorrere alla formazione dell’uomo, della persona nel suo insieme. In questo senso bisogna, allora, rifuggire dalle discussioni rivolte alle eredità del passato e concentrarsi, come prima accennato, sulla dimensione della “produtti- vità” del sistema di istruzione e formazione italiano. In primo luogo, si tratta di rendere diversificati i percorsi di istruzione e formazione, per cogliere la domanda diffusa di formazione dei giovani e le esigenze di cambiamento continuo del mer- cato del lavoro, e di rendere il sistema di istruzione e di formazione, compresi i licei, più efficace e in grado di facilitare la transizione dalla scuola al lavoro. La ricerca scientifica indica che l’inserimento professionale riesce meglio quando: - vi sono modalità molto diversificate di alternanza scuola-lavoro nel corso dell’i- struzione e formazione professionale; - il sistema scolastico è flessibile, non ostacola cambiamenti di indirizzo, non discrimina i tipi di formazione (come avviene in Italia con il modello della scuo- la gentiliana ancora imperante), offre molteplici possibilità di recupero ed è strutturato con moduli di formazione tra loro combinabili (formazione formale, non formale, informale: alternanza, apprendistato...); - la formazione è imperniata su competenze chiave che permettono di adattarsi alla domanda del mondo del lavoro; - l’inserimento nel mondo del lavoro non è dilazionato nel tempo rispetto alla for- mazione; - la durata della transizione dalla scuola al lavoro (periodo determinato dalla dif- ferenza tra l’età in cui oltre il 50% di una classe di età è occupata e l’età in cui la scolarità non è più obbligatoria) è breve; - l’occupazione corrisponde al tipo di formazione seguita. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 5 4 Secondo questi elementi la situazione italiana è drammatica: • l’età media di ingresso al lavoro è di oltre 25 anni; • il periodo di transizione dalla scuola al lavoro è il più lungo rispetto alla mag- gior parte dei Paesi Ocse, oltre 11 anni; • gli studenti tra i 15 e i 19 anni non svolgono nessuna attività lavorativa duran- te gli studi, a differenza di molti Paesi, come Olanda, Danimarca, Germania, dove gli studenti di questa fascia di età che lavorano raggiungono valori percen- tuali tra il 30 e il 40%; • la percentuale degli studenti universitari, tra i 20 e i 24 anni, che lavorano è tra le più basse al mondo, meno del 10%, mentre in Olanda e negli USA raggiunge anche il 60%; • è preoccupante la percentuale dei “giovani a rischio”: giovani fuori da qualsiasi contesto di formazione e lavoro. Nel nostro Paese quasi il 35% dei giovani tra i 15 e i 19 anni sono inattivi e non seguono nessun percorso formativo e oltre il 20% di giovani tra i 20 e i 24 anni non studiano e non lavorano, con esclusione dei disoccupati (coloro che hanno perso un lavoro); • i giovani italiani hanno grandi difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro. Alla fine degli anni ’90 la probabilità di trovarsi disoccupato era quattro volte supe- riore a quella di trovare un lavoro per un giovane tra i 15 e i 19 anni, tre volte per uno tra i 20 e i 25 anni; • oltre il 45% dei giovani tra i 15 e i 35 anni svolge un lavoro che non ha nessu- na attinenza con la formazione ricevuta; • il tasso di disoccupazione dei laureati, in Italia, è tra i più alti nei Paesi Ocse, addirittura è superiore a quello dei giovani con un livello di formazione inferio- re. Un universitario rischia più di un diplomato, contrariamente a quanto avvie- ne nei paesi dove esiste un forte sistema di formazione professionale che si svi- luppa fino al segmento terziario. Gli ultimi due punti di crisi evidenziati ci danno la misura dello scarto tra sistema educativo e sistema produttivo. Il sistema educativo non tiene conto dei bisogni del sistema produttivo e questo prescinde dal tipo e dal livello di formazione raggiunta. L’esempio di una sorta di “sovraqualificazione dequa- lificata”. Nell’attuale contesto la formazione ricevuta conta poco ai fini dell’inserimento lavorativo e ciò denota una profonda crisi di fiducia del mondo del lavoro verso la formazione: il mercato del lavoro segue logiche proprie, indifferenti alle tipo- logie formative. Il messaggio che viene dal sistema produttivo parrebbe essere: continuate pedagogisti, politici e insegnanti a disquisire sulla differenza tra istruzione e formazione professionale e sul grado di “aristocraticità”di talune 5 5 POSSIBILITÀ E OPPORTUNITÀ PER LA FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE IN ITALIA. PARERI A CONFRONTO filiere rispetto ad altre, per quello che ci riguarda la formazione scolastica è inin- fluente. I fabbisogni formativi delle imprese La riorganizzazione del sistema educativo e lo sviluppo di uno specifico sistema di formazione professionale non può non tenere conto delle analisi sviluppate dagli organismi bilaterali, sistema delle imprese e organizzazioni sindacali, sui fabbiso- gni di personale qualificato nelle imprese. Un’analisi interessante si può dedurre da un’indagine nazionale sui fabbisogni formativi sviluppata dall’Organismo bilaterale nazionale per la formazione (OBNF)2 e articolata sia per settori produttivi (16 settori) che per territorio (18 regioni). I principali risultati sono sintetizzabili nelle seguenti tabelle: Tabella 1. Livelli di istruzione e formazione ideali per dimensione di impresa Dimensione aziendale Livello formativo 20-49 addetti 50-249 addetti Oltre 250 addetti Totale Obbligo scolastico 11,4 13,0 8,8 10,6 Qualifica professionale 34,5 35 35,3 35,1 Diploma professionale 29,4 29,8 29 29,3 Specializzazione post diploma (IFTS) 16,1 12,1 10,3 11,7 Laurea breve (diploma universitario) 2,4 2,5 3,9 3,2 Laurea 5,7 7,1 11,7 9,3 Post- laurea 0,3 0,3 1,0 0,7 Fonte: OBNF ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 5 6 2 L’OBNF è stato creato nel 1996 da Confindustria e da CGIL, CISL e UIL ed è articolato in 18 Organismi bilaterali regionali. Tabella 2. Livello di formazione ideale per settori Livello formativo Settore produttivo Obbligo Qualifica Diploma Dipl. Univ. Laurea scolastico professionale prof. e specializzaz. post laurea Macchine e impianti 4.7 31.8 50.2 13.3 Trasporti 5.0 53.6 29.6 11.8 Farmaceutica 6.3 12.4 33.4 47.8 Chimica di base 6.6 20.3 57.0 16.0 Elettronica 7.9 26.4 44.7 20.9 Pasta e prodotti da forno 8.1 34.7 48.5 8.6 Grafica e stampa 8.9 38.4 45.9 6.8 Lattiero caseario 11.3 20.7 55.6 12.4 Chimica fine 11.6 17.5 48.6 21.9 Meccanica 13.7 37.1 41.5 7.6 Nobilitazione tessile 14.7 41.6 40.5 3.4 Mobili 17.1 36.7 38.5 7.4 Confezione 19.8 39.1 34.4 6.5 Tessitura 28.4 36.2 29.8 5.4 Fonte: OBNF Il tema interessante da discutere è: si punta a formare per un più rapido e coeren- te (con la formazione ricevuta) inserimento lavorativo dei giovani, sviluppando un sistema di educazione permanente che, successivamente alla qualifica o al diplo- ma o alla laurea, dia la possibilità a tutti di raggiungere livelli di formazione più elevati oppure si persiste nell’attuale sistema in cui si spinge verso una formazio- ne generale non vocazionale (licealizzazione), formando giovani che necessaria- mente dovranno avere in impresa (se assunti) una formazione specialistica per essere inseriti proficuamente nei settori produttivi? Bisognerebbe valutare i costi economici e sociali di ambedue le scelte. La legge 53 sostiene, con tutta evidenza, la prima scelta. Cioè lo sviluppo di un sistema di edu- cazione permanente capace di consentire a tutti i giovani, proprio tutti, di rag- giungere il livello più elevato di formazione coerente con le proprie attitudini, capacità, aspettative e con il progetto di vita di ciascuno. La seconda scelta fotografa la “deriva” licealista che caratterizza il nostro sistema educativo con i limiti e le incoerenze prima evidenziate. Sempre sul raffronto livello formativo/inserimento lavorativo è interessante valu- tare i dati che ogni anno fornisce la Unioncamere. I dati relativi al 2004 (vedi tabella 3) rappresentano una conferma delle analisi sui 5 7 POSSIBILITÀ E OPPORTUNITÀ PER LA FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE IN ITALIA. PARERI A CONFRONTO fabbisogni dell’OBNF, avendo cura di considerare che il nostro sistema formativo è praticamente privo di un canale di formazione professionale iniziale: la forma- zione per le qualifiche professionali. Tabella 3. Assunzioni 2004 per titoli di studio segnalati dalle imprese Livello Diploma Specializz. Qualifica Obbligo TOTALE universitario e specializz. Post professionale scolastico post diploma diploma (*) v.a. 56.430 198.737 29.429 142.491 276.105 673763 % 8,4 29,5 4,4 21,1 41,0 100,0 Fonte: Unioncamere - Ministero del Lavoro, Sistema informativo Excelsior, 2004 (*) Dati compresi nella colonna dei diplomati Dai dati della tabella 3 risulta evidente che le imprese, in assenza di qualificati e diplomati specializzati, preferiscono assumere, a basso costo, giovani che hanno soltanto l’obbligo scolastico e che magari formeranno internamente per la loro produzione. Risulta altresì evidente che la spinta alla licealizzazione dell’istruzione tecnica non corrisponde ai bisogni reali del sistema produttivo. Dall’analisi dei dati delle tre tabelle viene da chiedersi: come e dove si inserirà nella vita attiva il 25-30% dei nostri liceali? E cosa succederebbe nel rapporto istruzione/formazione-lavoro se ampliassimo, come da qualche parte si chiede, la platea dei liceali al 60-70%? I dati sulla dispersione rendono evidente come nel nostro Paese si sia sviluppato un sistema educativo “democratico” negli accessi, ma selettivo negli esiti. Un siste- ma, dalla secondaria all’università, che non aiuta i nostri giovani ad orientarsi nella scelta degli studi e che crea illusioni e false aspettative. Si pensi, per fare un esempio, alle centinaia di migliaia di aspiranti iscritti (da almeno un decennio, avendo un’età media di 39 anni) nelle graduatorie perma- nenti per l’immissione in ruolo all’insegnamento. Si tratta di circa 425.000 perso- ne, di cui oltre l’80% sono donne e la maggior parte è iscritta nelle graduatorie di materie letterarie, delle scienze umane e linguistiche. Nelle classi di concorso “affollate” il tempo necessario per immettere in ruolo tutti gli aspiranti oscilla da 45 a 80 anni, considerando un normale turn over degli insegnanti in ruolo. Abbiamo sviluppato, cioè, un sistema di istruzione che forma figure professionali che non hanno uno sbocco nel mercato del lavoro, mentre mancano le figure professio- nali necessarie al sistema produttivo: i laureati nelle materie scientifiche, i qualifica- ti, i diplomati specializzati, i tecnici formati nelle università professionali. La serie di performance negative del nostro sistema educativo evidenzia un qua- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 5 8 dro di opportunità di sviluppo della formazione professionale, a patto di superare la connotazione culturale di tipo filosofico - umanistico che porta ad enfatizzare il ruolo della cultura generale e a ritenere la formazione professionale come un’ag- giunta di tipo specialistico. È evidente che bisogna interrogarsi anche sul ruolo dell’orientamento dentro e fuori la scuola. Oggi l’orientamento non appare con- nesso al successo formativo e al progetto di vita di ciascun giovane, nonostante i giovani e le famiglie considerino la scuola e la formazione in riferimento al lavoro e all’inserimento sociale. L’organizzazione della formazione professionale superiore In questi mesi e a soli 3 anni dal suo varo, la riforma dell’università, il cosiddetto modello 3+2, è messa in discussione proprio per cercare di potenziare l’aspetto tec- nico-professionale. È risultato evidente, forse, che le lauree triennali, come era prevedibile, non rispondessero ai bisogni indotti da un aumento della scolarizza- zione terziaria. Si propone di modificare, perciò, la laurea triennale in una di tipo generale, pro- pedeutica alla laurea specialistica, ed in una di tipo tecnico-professionale con il cosiddetto 1+2+2 e 1+2 rispettivamente. Si prende atto dell’inesistenza, nel nostro Paese, di un titolo intermedio di carat- tere tecnico-professionale tra diploma e laurea e della incapacità dell’attuale modello di rispondere a questa esigenza. La preoccupazione, tuttavia, è che questa discussione appare tutta interna alle università con il rischio di riprodurre un sistema autoreferenziale, che non riuscirà a svilupparsi in modo analogo a quello in piedi negli altri paesi europei. Il dibattito dovrà tenere conto, infatti, dei processi di integrazione europea, a cominciare dal mutuo riconoscimento dei percorsi di studio e delle certificazioni. Un elemento da non trascurare nella discussione deve essere quello relativo al pas- saggio da un sistema di istruzione superiore di élite ad uno di massa. Un aumen- to della popolazione studentesca implica un cambiamento non solo quantitativo, riconducibile tutto all’interno dell’università, ma anche qualitativo del sistema, proprio perché deve rispondere ad una diversificazione dell’utenza. Alla diversificazione della domanda si dovrà rispondere, cioè, con una diversifica- zione dell’offerta di corsi cosiddetti di primo livello che, per la formazione tecni- co-professionale, possono svilupparsi in modo flessibile fino ai 6/7 semestri dopo il diploma secondario. L’organizzazione del sistema di formazione professionale superiore (se si prefe- risce corsi di primo livello superiore) può rispondere a tre distinte modalità 5 9 POSSIBILITÀ E OPPORTUNITÀ PER LA FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE IN ITALIA. PARERI A CONFRONTO organizzative: 1) estensione dell’Istruzione secondaria (esempio americano). Soluzione che la legge 53 prefigura con lo sviluppo della IeFP (Istituti Tecnici, Professionali e Centri di F.P.); 2) nuove funzioni e strutture entro le università (assimilabile al modello francese degli Iut); 3) costituzione di istituzioni autonome separate sia dalla scuola che dall’università (esempio polytechnics inglesi e le scuole professionali tedesche). Modello che appare anch’esso coerente con le prospettive della legge 53. È certo che il modello “concertativo” degli IFTS non risponde a nessuno dei modelli europei e andrebbe abbandonato in primo luogo per la mancanza di sta- bilità e continuità. Si tratta, in definitiva, di decidere nel segmento terziario, così come è stato fatto con la legge 53 nel secondario, se delineare un modello organizzativo ed educa- tivo che, volendo anche recuperare il dibattito italiano degli anni scorsi, si misu- ri effettivamente con i modelli europei, lavorando magari sulla variabile della differenziazione distinguendola in due aspetti: strutturale e funzionale. Il primo attiene ai ruoli attribuiti alle istituzioni, mentre il secondo riguarda le funzioni formative. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 6 0 3.5 - Intervento tavola rotonda Antonio Capone Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali Con la legge 53 del 2003 è stata sancita la struttura del Sistema Educativo di Istruzione e Formazione, organizzata in due sotto-sistemi, quello dei Licei e quel- lo dell’Istruzione e Formazione Professionale. La riforma, prevedendo l’accesso alla formazione superiore non accademica direttamente al termine del quarto anno dei percorsi di istruzione e formazione professionale, ha determinato un’apertura in senso verticale dell’opzione formativa professionalizzante, muovendosi in una logica di apprendimento permanente e contribuendo alla percezione di tale filiera quale valida alternativa ai percorsi più tradizionali. L’articolazione ed il potenziamento del sistema di formazione professionale supe- riore, in base a quanto espresso dagli indirizzi dell’UE, ha consentito di sviluppa- re un canale parallelo e in raccordo con i percorsi universitari, offrendo uguali opportunità di specializzazione tecnica superiore sia per chi avesse scelto il siste- ma dei licei, sia per coloro che avessero, invece, scelto i percorsi di istruzione e for- mazione professionale. Alla luce della nuova normativa e, in particolare, della riforma del sistema di Istruzione e Formazione Professionale emerge, dunque, la necessità di rafforzare ulteriormente il segmento della formazione tecnica superiore. Posto accanto al percorso universitario, quello degli I.F.T.S. è portatore di una peculiare identità, che vi attribuisce uno specifico valore aggiunto: la costruzione degli impegni formativi su specifiche filiere di professionalizzazione e lo stretto raccordo con dimensione locale dell’occupazione. La logica dei percorsi I.F.T.S. ha, difatti, sempre inteso rispondere all’esigenza di una più stretta correlazione tra le linee programmatiche dell’offerta formativa e l’analisi dei fabbisogni regionali, per rispondere alla finalità di formare tecnici intermedi in segmenti e settori ritenuti strategici sul piano dello sviluppo dell’eco- nomia locale. L’analisi dei fabbisogni, rivestendo un ruolo strategico per la definizione di un’of- ferta coerente con i bisogni del sistema economico e produttivo, consente così il superamento della tradizionale separatezza di funzioni e linguaggi tra il mondo del 6 1 POSSIBILITÀ E OPPORTUNITÀ PER LA FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE IN ITALIA. PARERI A CONFRONTO lavoro e quello della formazione e l’avvio di uno sforzo sinergico indispensabile per l’impostazione di un equilibrato rapporto tra sviluppo sociale e crescita economica. Tale analisi deve essere effettuata in funzione della progettazione formativa e per- tanto articolarsi in modo da: - identificare in chiave formativa le richieste di professionalità specifiche ricondu- cibili a determinate figure, già definite o di nuova definizione, e/o ad aggregati di competenze innovative per le figure esistenti; - agevolare la trasmissione di informazioni tra mondo del lavoro e della formazione; - rendere possibile, a livello di singolo percorso, una progettazione formativa che tenga conto dell’evoluzione dei contesti economico-produttivi in termini di com- petenze e professionalità in continuo cambiamento. A questo riguardo, quanto più il sistema formativo avverte la necessità di cono- scere in modo approfondito i fabbisogni formativi del mondo del lavoro, soggetti a mutamenti repentini e, comunque, con intervalli di durata non confrontabili con i cicli di vita lavorativa, tanto più si scopre la difficoltà del loro reperimento. Nel sistema I.F.T.S. non è, infatti, previsto un organismo deputato ufficialmente a rappresentare la domanda. I fabbisogni formativi vengono solitamente definiti dal gruppo di progetto, trascurando il suggerimento normativo che evidenzia l’oppor- tunità di individuare un gruppo di portatori d’interesse che non si limiti ai soggetti che istituzionalmente interagiscono nel corso, ma che possa avvalersi anche del contributo di altri attori sociali, come ad esempio coloro che apportano risorse, consensi e contributi di vario genere al corso stesso e che contribuiscono a garan- tirne la qualità ed il successo occupazionale quali: gli sponsor, gli esperti esterni provenienti dal mondo del lavoro e delle professioni, le forse sociali, gli Enti Locali, gli attori del sistema produttivo, in particolare quelli del settore di riferi- mento. Strumento efficace di integrazione verticale risultano essere, a questo proposito, le interviste di verifica ex post sugli esiti occupazionali, che consentono infatti di ottenere feedback interessanti per le successive progettazioni e allargano la rete dei portatori d’interesse in quanto canali privilegiati di confronto tra organismi for- mativi e imprese. Il modello di formazione integrata I.F.T.S. cerca, dunque, di coniugare le due realtà del lavoro e della formazione. L’integrazione tra questi due mondi per esse- re positiva, richiede l’avvio di un processo virtuoso di reciproco ascolto, finalizza- to a far interagire le politiche del lavoro e quelle della formazione ai diversi livel- li operativi e decisionali. Tale integrazione, definita verticale, si riferisce alle opportunità offerte dal siste- ma I.F.T.S. di costruire “ponti” privilegiati tra i mondi della formazione e del lavo- ro, sia per facilitare ed ottimizzare le potenzialità individuali nell’inserimento ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 6 2 lavorativo e nella riqualificazione, sia per risignificare l’attività formativa dell’im- presa. Come affermato da Cresson “il luogo di lavoro è anche il luogo di forma- zione”. Tale concetto, storicamente presente già nella bottega del maestro artigia- no medioevale e rinascimentale, va ripensato nella moderna realtà industriale. L’I.F.T.S. lo ha fatto e tale esperienza costituisce, insieme ad altre esperienze signi- ficative maturate nella formazione professionale ed universitaria, un punto di par- tenza anche per la riforma scolastica disegnata dalla legge 53/03 che, all’art. 4, introduce come elemento innovativo l’alternanza scuola-lavoro. In questo senso, a livello nazionale, si muove anche il dibattito relativo agli stan- dard di competenza in uscita e alla conseguente articolazione delle competenze base e trasversali secondo Unità Capitalizzabili. A questo proposito, si ritiene opportuno sottolineare il significato di un’evoluzione terminologica nella letteratura relativa al sistema I.F.T.S.. Inizialmente la norma- tiva suggeriva la progettazione per UFC (Unità Formative Capitalizzabili); negli accordi del 2002 e nel successivo lavoro sviluppato dai comitati di settore a livel- lo nazionale per la determinazione degli standard di competenze ci si riferisce alle UC (Unità Capitalizzabili). La differenza è sostanziale: nella prima accezione ci si riferisce ad unità formative che consentono di giungere all’acquisizione di una o più competenze attraverso un percorso formale; nella seconda ci si riferisce, inve- ce, ad unità che consentono di giungere ad una competenza in un percorso non formale (di lavoro) o informale (di autoformazione e/o aggiornamento). Anche tali Unità sono Capitalizzabili, in quanto si caratterizzano per aggregabilità, leggibi- lità, certificabilità. In quest’ottica si muove l’Accordo della Conferenza Unificata, sancito nella sedu- ta del 29 aprile 2004, relativo agli standard minimi delle competenze tecnico-pro- fessionali afferenti alle trentasette figure professionali già precedentemente indivi- duate, completando così la definizione del sistema e delineando un percorso in progress, di cui la sperimentazione è parte integrante. Il percorso I.F.T.S. si sviluppa, quindi, come offerta formativa finalizzata princi- palmente all’immissione nel mondo del lavoro. La progettazione di un corso I.F.T.S. per UC è, quindi, “profondamente e costituzionalmente” professionaliz- zante, anche se difficilmente realizzabile senza un’adeguata azione di formazione dei formatori. Il riconoscimento delle competenze, maturate in percorsi non for- mali e informali, costituisce un obiettivo strategico per il sistema I.F.T.S., in quan- to facilita il soggetto nella costruzione di un proprio progetto di crescita professio- nale. Riconoscere competenze richiede, tuttavia, strumenti idonei per la messa in trasparenza delle certificazioni, in modo tale da facilitarne un loro riconoscimen- to e di conseguenza una loro piena valorizzazione. Pur risultando indispensabile, non solo nella prospettiva dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita (lifelong 6 3 POSSIBILITÀ E OPPORTUNITÀ PER LA FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE IN ITALIA. PARERI A CONFRONTO learning) ma anche rispetto ai diversi contesti (lifewide learning), l’accreditamen- to delle competenze rimane un processo molto complesso. Di qui tutta la proble- matica relativa al sistema di passerelle tra sistemi e tra sotto-sistemi. In questo scenario di riferimento emerge la necessità di dare concrete risposte di “governo della complessità” con l’istituzione di nuove opportunità formative capa- ci anche di integrazione di tipo orizzontale. È, infatti, consapevolezza diffusa, in quanto storicamente maturata nelle diverse esperienze, di come la governance della formazione superiore non universitaria difficilmente possa essere condotta da una singola istituzione formativa o da un unico organismo rappresentativo delle aziende e delle forze sociali. Tale esigenza di integrazione assume particolare rile- vanza vista la peculiarità del partenariato I.F.T.S., formato da istituzioni formati- ve, quali Università, Scuola e Formazione Professionale, con mission ed identità storicamente differenziate. Se il sistema produttivo nazionale deve poter contare su risorse professionali qua- lificate e flessibili, in grado di adeguarsi in tempi brevi ai cambiamenti imposti dall’innovazione tecnologica, è d’altra parte vero che la sfida competitiva si muove su scala internazionale oltre che locale, e proprio questo “pensare globale” è una tra le caratteristiche più richieste alla nuova categoria di “lavoratori della cono- scenza” con la finalità di favorire la competitività della produzione e del mercato. La costruzione del sistema Europa richiede ai sistemi formativi la capacità di offri- re servizi nuovi, finalizzati alla formazione di una “cittadinanza pienamente godu- ta e godibile” e, al tempo stesso, ad una reale mobilità formativa e lavorativa su tutto il territorio comunitario. Per questo, il nuovo disegno di riforma del sistema educativo ripropone con forza l’allineamento del sistema di formazione professio- nale superiore a quello previsto dagli altri paesi europei, dove già da diversi anni è presente un canale parallelo ai percorsi universitari finalizzato alla specializza- zione tecnica superiore di “lavoratori della conoscenza”, tecnici impegnati nell’in- novazione dei processi e dei prodotti che non eseguissero procedure prescritte ma lavorassero su ruoli ampi e flessibili. Per operare una sintesi della dinamica di integrazione risulta indispensabile l’im- plementazione di un processo di sviluppo coordinato, che consenta la realizzazio- ne di azioni funzionali alla crescita del sistema I.F.T.S.. Il primo elemento da sistematizzare attraverso un accordo quadro a livello nazio- nale, regionale e di Ateneo, è la messa a punto di un quadro organico e condiviso per il riconoscimento dei crediti. Questo quadro rappresenterebbe uno strumento a garanzia di un’effettiva mobilità del cittadino europeo nella scelta del proprio percorso formativo e del proprio lavoro, lungo tutto l’arco della vita. È forse l’ele- mento motivante della necessità d’integrazione tra filiere formative. Un secondo elemento da sistematizzare è rappresentato dalla promozione di un’a- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 6 4 zione di assistenza tecnica che consenta, grazie ad un’adesione volontaria dell’or- ganismo di formazione, di mettere a sistema le azioni trasversali che necessitano di un supporto esterno organizzato: azioni di disseminazione e promozione, azio- ni di formazione dei formatori sulla metodologia delle unità capitalizzabili, azioni di integrazione e potenziamento dei servizi di orientamento e accompagnamento e di quelli per l’analisi dell’offerta, azioni di monitoraggio e valutazione esterna nel- l’ottica del sistema qualità, azioni di ricerca degli strumenti idonei per riconosce- re ed accreditare competenze conseguite in percorsi non formali ed informali in ingresso agli I.F.T.S.. Un ulteriore elemento strategico lo individuiamo nella promozione di azioni di valutazione dell’efficacia del processo formativo, che si sostanzino nel monitorag- gio delle attività in relazione alla funzione del coordinamento, al livello e alle modalità di integrazione dei diversi soggetti coinvolti, alla coerenza e alla qualità del percorso formativo, nel grado di soddisfazione dei partecipanti, nella verifica della trasferibilità, nella valutazione dei livelli occupazionali raggiunti e dell’im- patto territoriale. Inoltre, è da considerare come un sistema formativo basato sulle unità capitaliz- zabili richieda necessariamente un servizio di orientamento e accompagnamento adeguato, in particolare se si pensa a giovani che poco conoscono il mercato del lavoro, ma soprattutto che non sono sempre in grado di qualificare le proprie atti- tudini e propensioni; tale attività perseguirebbe essa stessa un obiettivo formativo che informa e fornisce valore aggiunto ai singoli interventi educativi. L’attività di un corso I.F.T.S. dovrebbe prevedere, inoltre, nella fase ex post, azioni specifiche di job placement finalizzate alla collocazione lavorativa. L’Istruzione e Formazione Tecnica Superiore si sta configurando sempre più come una nuova via per migliorare l’occupabilità e favorire la riconversione professio- nale dei giovani lavoratori di livello intermedio, ovviando alla carenza storica del sistema italiano di formazione superiore, relativa a quella parte dell’offerta non universitaria orientata alla formazione di professionalità di elevato profilo sul piano tecnico-scientifico e correlata ai fabbisogni di un mondo produttivo in con- tinua evoluzione tecnologica, che finora aveva ricevuto limitata attenzione da parte dell’offerta formativa del nostro Paese. Per tale ragione, rileviamo lo sviluppo di quest’area come uno degli obiettivi prio- ritari per il rafforzamento del sistema formativo, nella prospettiva di un migliore inserimento occupazionale dei giovani. Alla qualità del sistema degli I.F.T.S. è profondamente connaturata la qualità del- l’integrazione sia orizzontale che verticale. L’integrazione orizzontale tra i sistemi formativi porta al superamento delle “sto- riche” forme di autorefenzialità istituzionale, in quanto il confronto, non solo 6 5 POSSIBILITÀ E OPPORTUNITÀ PER LA FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE IN ITALIA. PARERI A CONFRONTO didattico ma anche operativo, finalizzato al raggiungimento di un obiettivo comu- ne di partenariato, favorisce una positiva “contaminazione” di esperienze tra gli operatori dei diversi organismi. Ciò consente di motivare i soggetti ad altre forme di collaborazione e al trasferimento reciproco di know how, elementi di indubbio vantaggio sia per la crescita del sistema formativo nazionale nel suo complesso, sia per la qualità dell’offerta formativa ai diversi livelli. L’integrazione verticale, se da un lato costituisce il fondamento, definito normati- vamente, del sistema I.F.T.S., dall’altro ne rappresenta un indubbio elemento di valore in quanto promuove e potenzia l’adattabilità e l’influenza tra il mondo del lavoro e della formazione. Le relazioni, nell’ambito del partenariato, spesso avvia- te in modo informale e quasi con “spirito pionieristico”, hanno evidenziato il con- cretizzarsi di un’importantissima funzione di amalgama finalizzata al superamen- to delle difficoltà e al tempo stesso portatrice di profonda innovazione dell’offerta formativa. Una innovazione di questa portata richiede necessariamente tempi di rodaggio adeguati ed una forte assistenza tecnica - che accompagni la sperimentazione e ne irrobustisca lo spessore, in modo da renderla più significativa in vista di una suc- cessiva messa a regime - oltre che il necessario supporto attraverso linee di indi- rizzo e strategie che si muovano nell’ottica di una maggiore stabilità e visibilità dell’offerta e che ne garantiscano anche una più diffusa conoscenza delle caratte- ristiche e della spendibilità, attraverso forme di pubblicizzazione e sensibilizzazio- ne a livello regionale e nazionale. Il prodotto di tale logica è la ricerca di una via italiana per la formazione superio- re non universitaria, in risposta a fabbisogni occupazionali locali ma anche di valenza europea, basata sulla costruzione di nuovi rapporti di interazione e arric- chimento reciproco tra mondo della lavoro e formazione e tra i diversi sistemi for- mativi. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 6 6 4. FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE: L’ESPERIENZA ITALIANA E IL QUADRO PROSPETTICO EUROPEO 4.1 - Criticità della nuova programmazione strutturale 2006-2013 Antonio Francioni ISFOL 1. I Fondi strutturali hanno rappresentato in Italia un importante elemento di dibattito e di sperimentazione negli ultimi quindici anni. La loro utilizzazione ha supportato, con risultati non del tutto soddisfacenti, per un verso una parte degli interventi a favore delle aree depresse, per l’altro con l’azione del Fondo Sociale, in particolare le politiche formative regionali ed alcune parti della cosiddetta strategia di Lisbona (la SEO). La pubblicazione delle prime bozze dei nuovi Regolamenti per il periodo fino al 2013, ci offre l’occasione per una prima riflessione sulle politiche strutturali comunitarie in Italia. Una valutazione della fase di programmazione (2000-2006) risulta oggi pre- matura; è possibile esprimere però alcune valutazioni che possono servire, oggi, a puntualizzare elementi da utilizzare in un futuro non troppo lontano, se si pensa che tra poco più di un anno saremo chiamati ad esercizi di programma- zione importanti in vista della nuova fase post 2006. Dire che “fatichiamo” a programmare può essere forse troppo banale; meglio però proporre una qualche radicalità (se lo fa uno che a questa categoria ricor- re sempre controvoglia, come chi scrive, può servire a descrivere un convinci- mento fortemente preoccupato), dal momento che la posta in gioco è davvero alta. Lo dico come esperto di FSE, ma lo dico anche come “meridionale”, con- vinto da una lettura della documentazione finora prodotta a Bruxelles, che con- centra su questi due elementi alcune delle più complicate criticità che ci trove- remo ad affrontare. Si tratta, naturalmente, di categorie differenti e, all’appa- renza, poco omologabili l’un l’altra, se si pensa al tema dell’occupazione in se stesso (ricordo che “Lisbona” è incentrato sul tasso di occupazione, ovvero sul rapporto tra chi lavora e l’insieme della popolazione, e non più sulla mera occu- pazione, quale che essa sia) ed in rapporto ad aree del Paese che, nonostante gli ingenti interventi finanziari, non sono state in grado di affrancarsi da arretra- tezze di vario genere. Dico subito come la penso: la nuova programmazione strutturale è fortemente “contagiata” dal tema dell’allargamento. Si fa strada, prepotentemente, l’idea 6 9 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE: L’ESPERIENZA ITALIANA E IL QUADRO PROSPETTICO EUROPEO di uno sviluppo per così dire “dinamico”, in cui il territorio (con le sue risorse, anche umane) resta privo di un processo che però si dilata verso l’esterno: direi che possiamo usare l’immagine di uno spaghetto cotto, flessibile e dilatato, rispetto ad uno crudo, rigido. Il territorio, dunque, viene pensato nella sua fun- zione di “rete”, quale stazione di passaggio di un flusso che lo attraversa, che lascia qualcosa e che carica qualcos’altro. Per chi conosce la storia del Meridione è questa la rappresentazione di uno dei suoi pochi, ma intensi, momenti di maggiore sviluppo: l’importanza dei grandi porti e dei traffici marittimi, la felice interconnessione con le aree interne produttrici e consuma- trici, la relazione importante (almeno fino agli Angioini) tra la costa e l’interno, la polpa ed il succo, la “Magna Grecia”e la miriade di popolazioni (a partire dagli etruschi e dai volsci) residenti, e così via. Il fatto che un ex programma comunitario (Interreg), diventi addirittura obiet- tivo, così come, d’altra parte, la Strategia europea per l’occupazione (SEO) incastrata organicamente nel contesto delle politiche regionali e della Direzione generale che se ne occupa (Regio): si tratta di ulteriori indizi che qualcosa di importante è accaduto. Minori indizi ci sono, invece, sul fatto che dobbiamo, con urgenza e responsabilità, prenderne coscienza in tempi rapidi. Non che que- sto sia indimostrabile; s’è persa memoria delle risorse che il Paese ha perduto nella programmazione precedente all’attuale e, ne sono convinto, si perderà rapidamente memoria anche di quelle che perderemo sull’attuale, dal momen- to che, per effetto di vari marchingegni siamo diventati più abili nel maschera- re le criticità e quella finanziaria le rappresenta bene tutte. Stringendo all’osso, possiamo allora affermare che la vera novità della nuova programmazione sarà costituita da una più articolata definizione della integrazione: “(…) devono essere soddisfatte due serie complementari di condizioni perché le regioni dell’Unione sostengano lo sviluppo economico e l’occupazione in un ambiente competitivo. La prima è che esse devono possedere livelli adeguati sia di infra- struttura fisica (trasporti efficienti, reti di telecomunicazioni ed energetiche, buone strutture ambientali, ecc.), sia di capitale umano (una forza lavoro con livelli appropriati di competenze e formazione). La seconda è che, nella nuova economia basata sulla conoscenza, le regioni devono avere la capacità di inno- vare e utilizzare efficacemente, sia le conoscenze tecniche esistenti, sia le nuove tecnologie, nonché seguire un percorso di sviluppo che sia sostenibile in termi- ni ambientali. Per realizzare entrambe le condizioni occorre un assetto istitu- zionale e amministrativo efficiente a supporto della crescita”1. Tali “condizioni ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 7 0 1 Un nuovo partenariato per la coesione (Terza Relazione sulla coesione economica e sociale), Bruxelles, 2004. complementari” ci spingono a considerare la stessa integrazione sotto i vari e complicati significati che sono compresi nella parola: fanno un tutt’uno la inte- grazione sociale, quella economica, per finire con quella tra i fondi e le politi- che. In questo senso riemerge il principio della complementarietà quale, ad un tempo, collante e filigrana delle politiche adottate. C’è da questo punto di vista un primo elemento che deve spingerci a ragionare da subito su alcuni concetti della programmazione “comunitaria”, perché non si può dire che da noi si sia raggiunto un livello sufficiente né di integrazione né di sviluppo. La maggior parte degli indicatori dimostrano che, a fronte di interventi strutturali quanto mai importanti, né il Meridione si è affrancato dalla sua storica arretratezza, né siamo stati capaci di costruire sistemi efficaci di servizi per lo sviluppo. Le ecce- zioni, sicuramente numerose, non sono bastate in questi anni ad avviare quei processi di innovazione e di competitività così importanti per il nostro Paese. La missione delle politiche strutturali è rappresentata proprio dalla coesione. Perciò i fondi strutturali hanno interconnessioni importanti con il contesto delle politiche. Naturalmente - e per certi versi anche paradossalmente - il tutto tiene se si rafforza la “gamba” nazionale: se, in altri termini, si rafforzano le politi- che nazionali e contestualmente si definiscono con precisione quali interessi esse richiedono in modo da poter collocare con precisione ed in maniera corretta il particolare nel generale, senza enfatizzare in maniera surrettizia le capacità delle istituzioni comunitarie nel loro insieme, che non sono fatte per corrispon- dere ad esigenze, pur legittime, individuali, ma, potremo dire, a sostenere una loro collocazione in un universo ampio. Ritengo allora sbagliato, come da noi, spostare su Bruxelles criticità e conflitti che non riescono a trovare soluzioni interne, o rafforzare i localismi che a vario titolo hanno connotato la storia lun- ghissima e densa di avvenimenti dell’Europa. Culture e tradizioni differenti faticano ad incontrarsi ed a stabilire linguaggi comuni all’interno di un’Istituzione, l’Unione europea, che non sempre riesce a trovare quel punto di sintesi e di equilibrio necessario. Se pensiamo ad alcuni di questi avvenimenti, ad esempio la caduta del muro di Berlino, non possiamo essere sedotti dai soli significati ideologici. Questo è stato anche un importante evento europeo prima che tedesco; cui ha fatto seguito la riunificazione della Germania, uno dei cuori pulsanti del processo di unificazione e un’anticipazione del processo che avreb- be poi assunto la definizione di allargamento2. Dobbiamo, dunque, indagare in più direzioni contemporaneamente, consape- voli che se questo può complicare il percorso, può consentirci di individuare per 7 1 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE: L’ESPERIENZA ITALIANA E IL QUADRO PROSPETTICO EUROPEO 2 Non possiamo dimenticare infatti che il processo di “allargamento” è stato preceduto dalla riunifi- cazione tedesca. tempo quali elementi sono destinati a svilupparsi e quali a cadere, nonché a leg- gere dentro l’immensa produzione letteraria di Bruxelles per capire un senso di marcia. Non che il lavoro, l’occupazione, lo sviluppo e tutto quanto può riconnet- tervisi non possiedano una loro autonoma specificità. Al contrario: e la cosa com- plica ulteriormente l’analisi, giacché al loro interno si annidano ulteriori elemen- ti. Per questo motivo l’orizzonte generale è ancora più importante, dal momento che o l’insieme delle politiche si colloca in una strategia complessa, o rischia di essere attratto da logiche autoreferenziali che sono all’origine di tante “vulgate”, sicuramente corrette su un piano formale, ma poco utili a capire la natura e l’im- patto storico e culturale che gli elementi possiedono. Davanti a noi abbiamo per- corsi insidiosi, perché dovremo restituire competitività al sistema industriale, mantenendo gran parte delle “tutele” che sono state un prezzo a politiche costrui- te sul consenso e la condivisione, integrando flussi migratori ai quali non siamo abituati e che sono destinati a diventare massicci nei prossimi anni, risolvendo problemi di sicurezza e di legalità - penso alla malavita ed ai suoi collegamenti con il “sommerso”. Il tutto in un’Europa allargata3 a Paesi sicuramente più arre- trati, ma proprio per questo meno strutturati e, dunque, più disponibili alle tra- sformazioni. Il quadro europeo si è certamente arricchito negli ultimi anni. Una moneta unica, una facilità di movimento di persone e capitali, un cinquantennio di pace e pro- sperità. Per quanto riguarda i temi delle politiche di sviluppo e dell’occupazione, i cosiddetti “Processi” (di Lisbona, Goteborg, ecc.), assieme alla riforma dei Fondi strutturali e della Politica agricola e ad altre cose ancora: tutto ciò deve essere considerato come un sicuro arricchimento del nostro orizzonte tematico. Occorre sempre pensare a qualcosa i cui obiettivi e valori sono ad un tempo enunciati ed effettivi, concreti ed astratti, reali ed auspicati. Permangono gli “interessi nazio- nali”, ma l’integrazione - cioè il rapporto di cooperazione tra stati e persone - è andata avanti in maniera esponenziale ed ha trasformato nel corso degli anni il nostro vocabolario4. Il grande pragmatismo ha prodotto tutto questo, riannodan- do sapientemente i vari interessi nazionali e le varie convenienze5, e sono state ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 7 2 3 Sull’allargamento ed i problemi dello spazio europeo, è oramai disponibile un’ampia letteratura. Mi limiterò a citare (entrambi con bibliografia) AA.VV., Quelles perspectives géopolitiques pour l’Europe?, Centre International d’Etude Géopolitiques, Lausanne, 2004 e J.D. GIULIANI, Quinze + Dix, Paris, 2003. 4 Vedasi per tutti, M. EMERSON, Ridisegnare la mappa d’Europa, trad. it. Bologna 1998 (con ampia bibliografia). Più recentemente GOZI-MOSCONI, Il Metodo comunitario al lavoro, in «Il Mulino» anno L, numero 393. 5 Si vedano a proposito le belle pagine che dedica T. Padoa-Schioppa alla politica inglese in Europa, forza gentile, Bologna 2001, pp. 72 e ss. poche le accelerazioni e gli strappi. Per questo i vari processi vanno valutati sem- pre nei tempi medi e non in quelli lunghi. In questo senso la strategia delle coo- perazioni rafforzate ed ancor più quello dei partenariati rafforzati, può diventa- re - nell’ambito di alcuni, pochi, principi irrinunciabili - un metodo di lavoro par- ticolarmente importante, dal momento che può essere uno strumento di media- zione dei vari interessi e dei vari modelli, sviluppando, entro un’unica cornice, varie velocità o varie vicinanze. Non a caso tali cooperazioni (articolo I-43) sono soggette nella Costituzione ad un precisa procedura che vede coinvolti il Consiglio ed il Parlamento (Art. III-325). Anzi, il secondo comma del I-43 prevede esplici- tamente che tali cooperazioni siano finalizzate a “realizzare gli obiettivi dell’Unione, a consolidare i suoi interessi ed a rafforzare il processo di integrazio- ne”: dove è chiaro che gli interessi dell’Unione coincidono perfettamente con quel- li dei suoi componenti (gli Stati membri), secondo uno schema assolutamente dinamico e per niente velleitario, come peraltro precisato dalla stessa Costituzione pochi articoli prima (I-5), quando si fissa il principio della leale cooperazione. La lunga fase del cosiddetto “processo di allargamento” ha messo in evidenza per l’ennesima volta il conflitto che ha da sempre connotato6 la vicenda europea: un’Europa integrata ed entità politica autosufficiente, pur se attraversata dalla sussidiarietà, contro un’Europa intesa quale mera area di libero scambio, che non rinuncia in linea di principio alla integrazione, ma, sul modello della politica este- ra anglosassone, la rinvia “a tempi migliori”. Resta certamente il paradosso di un’Inghilterra che non ha accettato l’Euro e se ne è tirata fuori, non attraverso il metodo di una cooperazione rafforzata, ma attraverso una apposita clausola, del- l’opting out, del trattato. È importante segnalare però che l’insieme delle relazio- ni internazionali (allargamento, vicinanza, rapporti con Stati Uniti e Russia, ecc.) sta avendo un impatto importante. Sia perché obbliga gli Stati membri (e poi l’Unione nel suo complesso) ad un confronto con sistemi economici, istituzionali e culturali diversi (chi avrebbe detto che lo sfaldamento dell’Est europeo avrebbe prodotto una tale pluralità di Stati!), sia perché l’allargamento induce ad un ripensamento geopolitico dell’Europa, che ora è effettivamente più vicina a spazi “caldi” (ad esempio la Russia ed il vicino Medio Oriente). Dunque, o si rafforza una ricerca di mediazione politica in cui collocare anche un’ipotesi federale - secondo una impostazione più o meno perseguita finora dall’asse franco-tedesco - o dovremo ancora subìre una sorta di “integrazione limitata”, in cui prevalgano ancora le sovranità nazionali tipiche (politica estera, difesa, finanze, ecc.). A ben guardare il recente scontro sul Patto di stabilità e sulla sua utilizzazione in fasi di 7 3 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE: L’ESPERIENZA ITALIANA E IL QUADRO PROSPETTICO EUROPEO 6 O almeno dall’ingresso dell’Inghilterra nell’Unione. recessione economica, si è sviluppato tutto su quest’ultima chiave di lettura. Pochi - stante la particolare debolezza dell’asse franco-tedesco - hanno richiamato la sua associazione con la crescita e soprattutto la sua funzione di salvaguardia dell’Euro. 2. Sul concetto “geopolitico” del territorio (in cui, tanto per intenderci, gli abita- tori sono portatori di culture “relazionali” con i vicini, prossimi e lontani e, tutti assieme, appartengono ad una storia senza discontinuità, nonostante guerre e conflitti) si celano molte opportunità. Per il Mezzogiorno innanzitutto, ma anche per l’insieme del Paese che, forse proprio perché ha avuto una storia uni- taria piuttosto recente, ha sempre fatto della “relazionalità” - dei vari Stati che lo hanno composto fino all’Unità d’Italia - il suo punto di forza. Equilibri fles- sibili e dinamici, si sono succeduti nel corso dei secoli, mentre l’economia vol- geva a tutto tondo: ultima, ma non per questo meno importante, la fase migra- toria che ha attraversato nel corso del secolo scorso l’intera società italiana e che oggi costituisce un patrimonio di cui non abbiamo sfruttato le potenzialità. Per quanto riguarda le politiche strutturali, vorrei così richiamare l’importanza di un approccio politico, l’allargamento ha messo in movimento due forme di ten- sioni, una rivolta ai meccanismi dello sviluppo, l’altra alle relazioni che vanno costruite, affinché la coesione sia indirizzata verso un qualche obiettivo. Le politiche di coesione, incardinate nel Titolo XVII (art. 158 e segg.) del trattato, riflettono con chiarezza questo duplice approccio. La coesione, infatti, costitui- sce uno di quegli anelli importanti attraverso cui “le idee di Europa si congiun- gono”. Ho già avuto modo di occuparmi della stretta connessione tra coesione sviluppo ed occupazione7. Con gli anni, e soprattutto con l’approfondimento della Strategia europea per l’occupazione (SEO), quella connessione si è venu- ta rafforzando. La Terza relazione sulla coesione ne offre una chiara espressio- ne. Si è però, in parallelo, assistito ad una sorta di ampliamento del concetto: la coesione oggi si applica in maniera orizzontale all’ambiente europeo nel suo insieme (Stati membri, nuovi aderenti e vicini). Non è cosa di poco conto, se si considerano le enormi disparità territoriali, rispetto alle quali quelle storiche italiane (Nord-Sud) costituiscono un paradig- ma che può facilitarci la comprensione delle cose e, al medesimo tempo, l’op- portunità di capire meglio di altri di che cosa si sta parlando8. Inoltre quel wel- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 7 4 7 FRANCIONI, GIORGIONI, TURRINI, Lavoro e formazione nell’Europa dell’Euro, Trento 1999, pp. 27 e ss. 8 Per questo motivo sono sempre più convinto che la discussione sul Mezzogiorno, debba al più pre- sto riprendere quota. fare to work (o workfare) che costituisce una logica ed intelligente conseguenza di alcuni orientamenti comunitari9, ovvero un percorso di “inclusività” nel mer- cato del lavoro, può servire anch’esso a cementare coesione economica e coesio- ne sociale, al fine di rafforzare un modello sociale europeo che costituisce il vero ruolo che possiamo ancora giocare in un mondo diventato all’improvviso glo- bale e competitivo. Nel contesto delle politiche di sviluppo tutto questo ci ricon- duce al territorio ed alla necessità di una lettura, per così dire bottom-up, del principio della sussidiarietà, nel senso che o il principio coincide con il percor- so di una cooperazione (“leale”) tra centro e periferia e viceversa, o finisce per essere collocato in un ambito per lui innaturale di principi generali di difficilis- sima applicazione. Occorre, dunque, fissare una prospettiva: le indicazioni di carattere macro - ovvero applicabili in tutte le realtà nazionali, a prescindere dalle singole specificità - possono guidarci lungo un percorso che rischia la rei- ficazione, se non si parte dall’altro polo, le realtà nazionali (o meglio, ancora territoriali), in cui le stesse politiche si attuano e si arricchiscono ulteriormente di contenuti. Questa dialettica, che impropriamente definiremo “territorio- nazione”, è in parte confluita prima nella Convenzione europea, poi nel proget- to di nuova Costituzione. 3. Ci troviamo in una situazione estremamente interessante ed assolutamente impensabile solo pochi anni fa. La fine della guerra fredda ha rimesso improv- visamente in movimento il processo unitario. E la tensione si è espressa in due direzioni apparentemente conflittuali: verso l’interno dell’area geopolitica euro- pea, dove il processo di adesione e le difficoltà che esso ha incontrato vanno superate da approcci di carattere politico prima che economico, e verso la glo- balizzazione su una scala di valori ancora più politici, dove l’Europa mira a gio- care un ruolo alternativo attraverso le sue storiche risorse in termini di politica sociale e di strumenti di democrazia. La Carta sociale, così come la riforma delle istituzioni comunitarie, assumono, dunque, la funzione di altrettanti mo- delli su cui costruire consenso ed attraverso cui diventare punto di riferimento. Si tratta di strategie di lungo periodo dal momento che il modello deve essere ancora perfezionato. In questo senso ancora, le politiche di “vicinanza” offrono più d’un punto d’interesse: si tratta, infatti, di affrontare problemi come quello dell’immigrazione, in cui un insieme di principi sociali può risultare importan- te. Non è allora un caso che la Carta sociale costituisca una parte intera della nuova Costituzione europea. 7 5 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE: L’ESPERIENZA ITALIANA E IL QUADRO PROSPETTICO EUROPEO 9 cfr. SACCONI, REBOANI, TIRABOSCHI, La società attiva, Venezia 2004. Quasi tutti gli Stati membri - ed ancora di più quelli in fase di adesione o da poco entrati10 - sono sottoposti infatti a non facili problemi di riorganizzazione dei sistemi di welfare, nel senso che questo non regge l’impatto con un modello sociale troppo ampio ed indeterminato: esso va scisso tra momenti assistenzia- li, sostanzialmente passivi, ed un modello (definito, appunto, “sociale”), in cui possano esercitarsi interventi di natura attiva (nei confronti del consolidamen- to del mercato interno o semplicemente di occupabilità, secondo l’oramai spe- rimentato schema a pilastri dei Processi di Lussemburgo e di Lisbona). Un modello sociale, quello comunitario, incentrato sulla organizzazione dell’econo- mia (e, quindi, utilizzabile anche in chiave di competitività) si scontra con realtà che sono in piena trasformazione. Il tasso di occupazione - vera chiave di volta del legame occupazione/sviluppo - scende dal 64,2 al 62,8 nell’Europa a 25 rispetto a quella a 15; contestualmente aumenta e quasi raddoppia, a parti- re da un 15% nell’Europa a 15, la popolazione a rischio di povertà11. Si tratta di dati importanti che ci consentono di anticipare una riflessione sulle nuove politiche strutturali. Sempre la Terza relazione sulla coesione ipotizza due linee di intervento: “A livello regionale, devono essere soddisfatte due serie complementari di condizioni. La prima riguarda l’esistenza di una dotazione appropriata di infrastrutture di base (sotto forma di trasporti, telecomunicazio- ni e reti energetiche efficienti, un adeguato approvvigionamento idrico, servizi ambientali, ecc.), sia di forze di lavoro munite di idonei livelli di competenze e formazione. Un rafforzamento di capitale, sia fisico che umano, insieme al miglioramento dei servizi di sostegno istituzionali e del quadro di riferimento amministrativo esistente, è particolarmente importante nelle regioni dell’Obiet- tivo 1 e nei paesi di prossima adesione, dove entrambi sono gravemente caren- ti. La seconda serie di condizioni, che riguarda direttamente i fattori di compe- titività regionale, che sono importanti nell’economia basata sulla conoscenza, vuole che all’innovazione venga data alta priorità, che le tecnologie dell’infor- mazione e della comunicazione (ICT) siano ampiamente accessibili ed utilizza- bili efficacemente, e che lo sviluppo sia sostenibile in termini ambientali. Rispetto al primo gruppo di condizioni, questa seconda serie riguarda in ampia misura fattori intangibili, più direttamente collegati alla competitività della aziende, che tra l’altro includono: la capacità di un’economia regionale di gene- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 7 6 10 Ricordiamo che la Romania, la Bulgaria e la Turchia sono considerate in fase di preadesione, men- tre dal 1° maggio 2004 sono entrate ufficialmente: Cipro, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slo-vacchia e Slovenia. 11 Terza Relazione sulla coesione economica e sociale. Un nuovo partenariato per la coesione, Bruxelles 2004. rare, diffondere ed utilizzare la conoscenza, mantenendo così un sistema di innovazione regionale efficace; una cultura aziendale che incoraggi l’imprendi- torialità; l’esistenza di reti di collaborazione e grappoli di attività”12. Ora, c’è una disposizione sostanzialmente asimmetrica delle politiche comuni- tarie, data dalla compresenza di strumenti, che proiettano l’uno sull’altro spe- cificità tematiche e qui ne abbiamo un tipico esempio. Le bozze dei nuovi Regolamenti assegnano infatti, in linea prioritaria al Fondo sociale europeo13 alcune materie quali il pieno impiego, il miglioramento della qualità e della produttività del lavoro o la promozione dell’inclusione sociale, ed al Fondo europeo di sviluppo regionale, compiti quali la valorizzazione e la modernizza- zione delle risorse locali o l’avvio di processi di sviluppo durevoli. È evidente che le due cose si integrano secondo il principio di complementarietà tra le politiche e non secondo le simmetrie astratte degli schemi strategici, anche quelli con ricadute di carattere programmatorio. Si comprende, quindi, quel raggruppa- mento dei fondi previsto, ed in qualche modo da sempre incoraggiato, di cui si parla all’art. III-114 (161 del trattato). Non c’è praticamente letteratura comu- nitaria in cui non venga richiamato il rafforzamento reciproco di competitività, coesione economica e sociale e sviluppo. Naturalmente l’universo descritto funziona se vengono rispettate le sue condi- zioni politiche generali. La concentrazione, che ha da sempre costituito uno dei motivi seri di confronto (e a volte anche di scontro) tra Stati ed Unione in fase di negoziato, non può essere ridotta al mero rango di enunciato. Si devono con- dividere scelte - di carattere tematico e geografico - significative per il sostegno alle politiche di sviluppo. Solo così si riesce davvero a semplificare e ad evitare i troppi tecnicismi presenti nelle politiche strutturali, che sono all’origine di una conflittualità (tra Fondi, tra Istituzione, tra Soggetti) che finiscono per rallen- tare l’azione e renderla, non di rado, inefficace. Altra condizione è l’addiziona- lità: non può continuare ad essere una sorta di esercizio finanziario, com’è stato inteso in Italia. Soprattutto in questo caso, una sussidiarietà di carattere strate- gico (che parte dai Ministeri ed arriva ai soggetti istituzionali più vicini al ter- ritorio) deve funzionare fino in fondo, anche a livello finanziario, costruendo strategie complessive rispetto a cui l’intervento strutturale comunitario, diven- ta un pezzo. Non la sostanza. L’addizionalità va, quindi, strutturata nel com- plesso della sussidiarietà, di cui diventa, a mio modo di vedere, una declinazio- ne che contiene significati di natura strategica, dal momento che sussidiaria è la 7 7 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE: L’ESPERIENZA ITALIANA E IL QUADRO PROSPETTICO EUROPEO 12 Terza Relazione, cit. pp. 36-37. 13 cfr. DG “Occupazione”, Le FSE. Vue d’ensemble de la période de programmation 1994-99, Bruxelles 1998. stessa programmazione nelle sue fasi ascendenti e discendenti, nella coopera- zione istituzionale, nella costruzione di un dialogo sociale che voglia essere qualcosa di più dinamico della mera concertazione. Le esperienze di program- mazione concertata (persino negli ultimi epigoni, quali il programma comuni- tario Equal o i PIT) hanno ben posto in evidenza le miserie e le virtù di uno schema logico per così dire bottom-up. Non c’è dubbio che il rischio di implo- sione sociale sussista soprattutto nel Meridione e che l’unico rimedio può essere un ricorso più generoso a culture e strutture di tipo relazionale, in cui le tensio- ni marginali possono giocare ruoli di direzione e di sintesi. 4. La fase terminale della programmazione dei Fondi strutturali 2000-2006 sta evi- denziando un dialogo non facile con le istituzioni comunitarie, in particolare con i Servizi della Commissione europea. Si tratta, per molti e non secondari versi, di un momento di crescita che vede i Servizi (cioè i nostri interlocutori quotidiani) sotto- posti a tensioni contrapposte: un federalismo che nel bene e nel male costituisce oramai un’ipotesi politica di cui non si può fare a meno, nel momento in cui l’o- biettivo è quello di unificare un continente vasto, pieno di storia, di culture, di lin- guaggi; ed un centralismo che non può sfuggire la centralità degli stati-nazione con la loro storica, ma diversissima, cultura di governo. Viene da chiedersi dove sia Bruxelles. Sicuramente né con gli uni né con gli altri. Per un paradosso la sempli- ficazione tanto conclamata da Agenda 2000, si è tradotta in letture piatte e buro- cratiche che stanno conducendo ad una superfetazione normativa dalla quale un Paese come il nostro, da sempre attento al rispetto delle norme formali più che di quelle sostanziali, rischia di veder indebolito quell’approccio strategico e politico che, da Ciampi in poi, ci aveva visti protagonisti di importanti performance finan- ziarie e strategiche. I risultati conseguiti nella vecchia programmazione non posso- no essere ricondotti alla mera utilizzazione di risorse comunitarie. Avevamo avvia- to un nuovo metodo di approccio alle politiche della programmazione (vorrei solo richiamare le pratiche dell’over booking), in cui le politiche strutturali erano di fatto collocate in un quadro di sussidiarietà: esse costituivano elemento di un ragionamento più ampio, che partiva dalle strategie e poi costruiva le procedure. Per l’Italia si è trattato di un salto di qualità importante e sicuramente un meto- do di lavoro che in qualche modo si è mantenuto e che ora si scontra, parados- salmente, con le infinite microprocedure con cui i Servizi comunitari stanno ten- tando di condizionare la programmazione. Intendiamoci, la standardizzazione - il bench comunitario14 - può risultare utile a verifiche e confronti, ma non deve ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 7 8 14 Vorrei solo ricordare l’affermarsi della cultura della valutazione, da noi finora quasi sconosciuta, che però non si è ancora tradotta in una reale capacità di flessibilizzazione di schemi programmatori. soffocare le specificità e l’inventività che il nostro Paese ha sempre espresso. Il modello europeo, ispirato ad un sincretismo di liberalismo, popolarismo cat- tolico, socialismo, è per molti aspetti profondamente diverso da molte delle tra- dizioni politiche consolidate nel continente. Si tratta di un approccio dinamico, flessibile, pragmatico, nonché intriso di mediazioni istituzionali e politiche. In particolare, considerando la difficoltà di linee interpretative rette, si tratta di individuare una sorta di “dialettica reificata” che assume significato e senso proprio nella sua concreta e quotidiana operatività. Se, dunque, il tema dello sviluppo (il vero oggetto dei Fondi strutturali) costituisce un collante specialis- simo tra la macroeconomia e l’economia reale, emerge un ruolo speciale della politica sociale. Quest’ultima assume la funzione di snodo tra una categoria di lavoro nuova - ed ancora ai margini del vocabolario economico usuale (in quan- to produttore più di reddito che di salario)15 - ed una società in rapidissima e profonda trasformazione. La globalizzazione dell’economia tende a differenzia- re le aree di produzione da quelle di consumo: ad un certo sfilacciamento delle prime corrisponde una forte concentrazione delle seconde (aree americana, asiatica ed, appunto, europea). Diventa allora di vitale importanza per noi euro- pei trovare un equilibrio tra produzione e consumi ed, in primo luogo, trasfor- mare il sistema del welfare, che è stato (ad Est, ma in gran parte anche ad Ovest) orientato più ad una redistribuzione di ricchezza, che ad effettivi inter- venti di carattere strutturale, e ripensare ad una politica sociale non dominata esclusivamente da tale sistema, ma da argomenti nuovi, quali ad esempio la qualità della vita, del lavoro, la mobilità, ecc. Imperniata in sostanza sul quoti- diano, sui suoi problemi e tesa a migliorarne la qualità. A tutti i vari livelli. Al fine di ridisegnare una mappa dei consumi e, a partire di lì, rileggere in chiave politica i nuovi standard della qualità della vita. Insomma una politica sociale non appiattita sul welfare costituisce di per sé una sfida nuova alla quale nes- suno era abituato e perciò in gran parte da inventare e sperimentare. Per altri versi ritengo allora metodologicamente inesatto associare le prospettive geografiche: le nuove adesioni possono essere assimilate a politiche di area (ad esempio quella mediterranea) solo a condizione che siano contestualizzate con attenzione. Si tratta di rileggere il territorio sotto due prospettive, una sociale, l’al- tra strutturale, entrambe riconducibili - ma solo in un secondo momento - ad un approccio di tipo geopolitico, che sembra essere solo all’apparenza nuovo per le dinamiche comunitarie. Nuovo è, invece, sicuramente per il nostro, italiano, approccio: abituato - anche dalle esperienze dei Fondi strutturali - a pensare al 7 9 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE: L’ESPERIENZA ITALIANA E IL QUADRO PROSPETTICO EUROPEO 15 Che costituisce poi la vera diversità del lavoro “flessibile” rispetto a quello “rigido”. micro territorio, alla “geoistituzione”, come risulta dal dibattito in corso in que- sti anni in cui non di rado regionalismo e federalismo si sono surrettiziamente sovrapposti. 5. Con questi presupposti il modello sociale europeo va colto nella sua giusta dimensione: definito ed inclusivo dal punto di vista geografico; orizzontale ed esclusivo da quello tematico. Esso tende a stabilire un ulteriore elemento unifi- cante in un territorio, quello europeo, obbligato a costruirsi un modello in grado di resistere a tensioni di vario genere: da un processo di integrazione economi- ca, ma anche politico e soprattutto istituzionale, ad un’immigrazione di popo- lazioni con forti conflittualità, ad una credibilità monetaria che possa posizio- nare l’Euro come alternativa al Dollaro, ad un insieme di sistemi di protezione sociale molto ramificati e strutturati. Nel linguaggio comunitario attuale tutto questo si arricchisce di un’ulteriore categoria: quella di territorio. Sotto tale punto di vista non solo esiste una ora- mai consolidata “tradizione” fatta dalle innumerevoli buone prassi, attuate dai tanti Programmi comunitari che si sono succeduti nel corso degli anni, ma c’è, ancora una volta, l’attualissimo ed intricatissimo tema delle adesioni, con i suoi infiniti rivoli di questioni locali da affrontare ed a cui dare un senso unitario. Per il suo strettissimo collegamento con il territorio tale modello viene a trovar- si oggettivamente dentro le logiche strutturali. E, dunque, tentare una lettura sincronica ed incrociata, può risultare qualcosa di più di un mero esercizio let- terario. Specie se si pensa alla storia dei Fondi strutturali ed alla loro, oramai imminente, sperimentazione in Paesi di nuova adesione. Aree diverse da quelle delle tradizionali aree depresse occidentali, perché sottoposte ad un periodo troppo lungo di statalismo accentuato e ad una fase di transizione troppo recen- te che non ha stratificato tutti gli elementi della moderna economia di mercato. Ma proprio per questo suscettibili di sperimentazioni molto innovative16. Per l’altro tutto questo avrà ricadute importanti proprio per l’Italia, che vedrà gran parte del suo territorio sottratto alle classiche politiche di area (Obiettivi 1 e 2). E, dunque, l’esercizio può avere ricadute importanti per il nostro Paese: perché può aiutarci alla domanda che molti si sono posti: come utilizzare le risorse ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 8 0 16 cfr su questo A. VITALE, Il Futuro è a Oriente, in «Ideazione» n. 2, 2001: “(…) Lo Stato sovrano come forma orga-nizzativa specifica non appare più come l’unica, normale e comune fonte di aggre- gazione politica. Ciò che dall’Europa orientale infatti affiora faticosamente ma sempre più vistosa- mente, è un assetto sempre più spontaneo di aggregazione e di convivenze (…). Forse l’Europa orientale contiene in sé prospettive che potrebbero, in capo a qualche decennio, addirittura deter- minare per contraccolpo l’assetto dell’Europa o addirittura dell’intero Occidente (…)”. strutturali per implementare i processi di crescita e di sviluppo? Considerando che in circa vent’anni di politiche strutturali europee il Sud del Paese non si è avvicinato al Nord (anzi se ne è allontanato), il quesito riveste una sua dram- matica attualità. Il nostro Paese non può più permettersi di utilizzare male tali strumenti, rischiando di azzerare un processo di riforme (dell’istruzione, dei servizi dell’impiego, del pubblico impiego, ecc.), senza le quali saremo irrime- diabilmente condannati alla marginalità. In questa direzione potrebbe agire un senso della sussidiarietà: le politiche comunitarie sostengono le politiche nazio- nali, di cui costituiscono la continuazione su una scala territoriale più ampia ma non si sostituiscono ad esse. Le politiche nazionali dovrebbero così essere, ab inizio, pensate dentro quelle comunitarie: è ciò che, con qualche naturale fati- ca, abbiamo fatto quando siamo stati costretti, per entrare nel gruppo dell’Euro, a dimostrare ai nostri partner che lo spirito europeo era da noi praticato oltre che enunciato. Ma che poi abbiamo via via perduto per strada, finendo in un vicolo cieco che ci ha condotti a non concludere praticamente nessuna delle grandi riforme che erano state avviate ed a perdere credibilità in Europa. Anche per costruire un approccio finalmente costruttivo con le istituzioni europee: non “vacche da mungere”, ma come emananti linee di strategia e di politiche che non possono non trovare una loro continuazione a livello di Stati membri. L’oramai sempre più inderogabile riforma della PAC, ad esempio, potrebbe trarre proprio da una riflessione del genere importanti stimoli. 6. Si sta affermando una piena consapevolezza della natura interna delle politiche comunitarie e tutto questo ha un indubbio riflesso sulle politiche esterne. La discussione congiunta di due argomenti all’apparenza diversi, come quello delle adesioni e dell’allargamento dei confini geografici e la costruzione ed il raffor- zamento del mercato interno che dopo l’Euro non ha più alibi, sta lentamente riconducendo le rispettive leadership politiche a riconsiderare l’approccio com- plessivo alla querelle comunitaria. È, infatti, ovvio che, se si intende rallentare o condizionare le nuove adesioni - come ha ripetutamente tentato di fare qual- che diplomazia - occorre appoggiarsi ed, ipso facto, rafforzare, una partnership interna. Diventa allora naturale una discussione sui meccanismi decisori. Non solo nella prospettiva di un’Europa a 25 o 35 Stati membri. Le decisioni impor- tanti per i prossimi decenni di integrazione europea verranno adottate nei pros- simi anni, quando si tratterà di decidere come, quando e in che direzione allar- garne i confini, che modello di sviluppo economico e di coesione sociale adotta- re e, soprattutto, come articolare una sussidiarietà reale fatta di contrappesi istituzionali. In questo senso non si è ancora colta l’ampiezza del nuovo concet- to di cooperazione rafforzata. Il rischio di avere “dentro” l’Europa “più 8 1 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE: L’ESPERIENZA ITALIANA E IL QUADRO PROSPETTICO EUROPEO Europe” è reale, ma non va demonizzato. Un rilancio del processo di integra- zione (anche partendo dagli “egoismi” nazionali) non si può oggettivamente praticare senza un qualche strumento forte ed unificante: l’Euro, come le rego- le sulla concorrenza, sui brevetti, sulla convergenza, rischia di essere messa in crisi da un processo di allargamento, opportuno dal punto di vista politico, ma difficile da quello economico e della coesione sociale. Occorre, quindi, precisa- re un sistema di nuove e reciproche convenienze, in cui possa emergere ciò che ha sempre garantito, senza mai essere enunciato, come una sorta di “mano morta”, il procedere del cammino, la società civile europea17. Sarà bene, quin- di, ritornare alla sussidiarietà ed a ciò che sostanzia quel principio alla luce della cooperazione rafforzata, le politiche territoriali per l’occupazione e lo svi- luppo, in quanto chiave di lettura autonoma dalle pregiudiziali ideologiche, che negli ultimi anni hanno fortemente (non solo in Italia) condizionato il discorso sul futuro assetto dell’Unione. 7. Per cogliere fino in fondo il rapporto tra l’occupazione, lo sviluppo ed il model- lo europeo occorre partire da una nuova percezione della categoria di lavoro, che viene sempre di più configurandosi come elemento produttore di “reddito” piuttosto che di “salario”. Si tratta della linea di demarcazione che separa una sorta di new economy lavoristica dalla old economy, nel senso che in ambienti sempre più estesi di rapporti di lavoro definiti atipici, diventa estremamente difficile rapportare le ore lavorate ad una loro monetarizzazione quantitativa. Passiamo, allora, in un ordine di ragionamenti diverso, giacché si stabilisce una relazione tra le prestazioni lavorative, la loro qualità e la soglia di benessere fis- sata dal soggetto che esegue la prestazione. La qualità del lavoro si avvicina così molto alla crescita economica sostenibile e compatibile con i temi della qualità della vita. Lo stesso “tempo” di lavoro si personalizza e il valore del lavoro, il suo prezzo, si rapporta ad elementi che sono determinati in linea molto astrat- ta dal mercato. Vorrei a questo riguardo richiamare l’importante associazione, operata nel Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente18 tra la lifelong learning e la lifewide learning, tra una formazione lungo tutto l’arco della vita ed una formazione che abbraccia tutti gli aspetti della vita. Si tratta di una formulazione da noi quasi sconosciuta che marca con una sufficiente chiarezza il cambiamento della prospettiva: viene proposta un’offerta formati- va che si colloca nel contesto stesso dei cambiamenti e cerca di recuperarne tutti ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 8 2 17 cfr. M. EMERSON, Ridisegnare la mappa d’Europa, cit. 18 SEC (2000) 1832, del 30 Ottobre 2002. gli aspetti, anche quelli apparentemente insignificanti. Nello stesso luogo, infat- ti, viene associata la cittadinanza attiva alla occupabilità: “La cittadinanza atti- va riguarda l’eventuale partecipazione dei cittadini a tutte le sfere della vita sociale ed economica, le opportunità di cui essi beneficiano (...). Per la maggior parte della gente e per la maggior parte della loro vita, l’indipendenza, l’auto- stima e il benessere sono associati all’esercizio di un impiego retribuito, che rap- presenta pertanto un fattore cruciale della qualità generale della loro vita. L’occupabilità, vale a dire la capacità di trovare e conservare un posto di lavo- ro, costituisce, di conseguenza, una dimensione essenziale della cittadinanza attiva, per migliorare la competitività dell’Europa e garantire prosperità nella nuova economia”. La differenza è sostanziale per i suoi effetti politici e prospettici: una parte di quel mondo, nato e sviluppatosi in nome di una difesa del salario, fatica non poco a ricollocarsi nei nuovi parametri culturali e sociali, mentre simultanea- mente emerge oramai con forza una nuova classe sociale, molto attenta, per evi- denti motivi, alle inefficienze pubbliche - e naturalmente a tutto quello che ne consegue -, che punta a stabilire un rapporto diverso tra pubblico e privato. Di tipo più immediato e visibile. La categoria si soggettivizza e si sottopone libe- ramente alle leggi del mercato, esprimendo, nello stesso tempo, l’esigenza che qualcuno - lo Stato appunto - ne faccia rispettare le regole. Si attenua parecchio quella reificazione per cui il lavoro era, marxianamente, alienato dal suo pos- sessore e si profila una sorta di nuova coscienza di classe, al cui centro ritorna, come in fondo in epoca precapitalistica, l’individuo come proprietario esclusivo del proprio lavoro, arricchito dalla conquistata consapevolezza della propria specificità (le competenze). L’intero sistema democratico occidentale, ed in particolare l’Europa che può giocare il suo modello sociale, si viene così a collocare in una trama di recipro- che convenienze che o sono intercettate da idonee politiche, o sono destinate a sollevare tensioni che si scaricano sul tessuto circostante determinando, tra le altre cose, diseconomie. Con l’eccezione delle misure esplicitamente destinate alla marginalità, l’Agenda sociale si fa carico di queste tensioni: tutto il secon- do pilastro19, ad esempio, tenta una loro ricollocazione entro il quadro concer- tativo che rideclina l’intuizione della vecchia fase di programmazione, l’antici- pazione, in termini di “miglioramento dei cambiamenti dell’ambiente di lavo- ro” e di “nuovo equilibrio tra flessibilità e sicurezza”. Vorrei rilevare il richia- mo forte al tema della mobilità (orizzontale e verticale, geografica e professio- 8 3 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE: L’ESPERIENZA ITALIANA E IL QUADRO PROSPETTICO EUROPEO 19 “Anticipazione e sfruttamento dei cambiamenti dell’ambiente di lavoro mediante lo sviluppo di un nuovo equilibrio tra flessibilità e sicurezza”. nale). Così, l’idea di uno spazio economico, su cui si struttura gran parte della storia comunitaria, può ritradursi in linguaggio politico, preservando alcuni dei suoi tratti originari. L’“Europa conviene”: era uno degli andants, stranamente caduto in oblìo, su cui per decenni si sono consolidati gli equilibri continentali. Perdutasi o atte- nuatosi questo, si determina anche il rischio di pericolose ed incontrollabili rot- ture proprio nel momento in cui alcune sovranità non marginali (la moneta e la macroeconomia) sono state irreversibilmente alienate. L’insistenza sul mercato - e sulle sue regole - deve essere allora letta come una risposta politica finaliz- zata a ricollocare sui giusti binari il processo d’integrazione. Il tema è troppo intrigante ed andrebbe trattato a parte, ma tutte le considerazioni qui svilup- pate partono da questo presupposto il quale, lo si voglia o no, è oramai pene- trato nell’orizzonte comunitario e mira a permeare gran parte delle sue strate- gie. Né, passati gli anni eroici della caduta del muro di Berlino e dell’avvio della moneta unica, è possibile immaginare molte altre motivazioni su cui riattivare un processo, la cui interruzione sarebbe ancora più catastrofica. In questo con- testo il tema del lavoro non può dunque essere disgiunto dai temi macroecono- mici, con le loro ovvie e percettibilissime ricadute di tipo microeconomico. Tutta l’Europa con le sue politiche deve essere conveniente. Si capisce così l’accento che viene posto su quelle che vengono sempre di più chiaramente ed esplicita- mente definite come politiche preventive. 8. Vorrei concludere questa nota con una riflessione sui temi della nuova pro- grammazione20. Tutti i Documenti preparatori (in particolare la Comunicazione di marzo 2004 n. 3 e la Terza Relazione sulla Coesione economica) partono da considerazioni comparate tra il mercato interno e quello globale - non dimenti- chiamo che i quindici anni precedenti di politiche strutturali erano in fondo dedicati proprio alla costruzione del mercato interno - e più specificamente dal- l’allargamento quale orizzonte generale entro cui collocare le nuove politiche strutturali. Non può innanzitutto sfuggire che nella riscrittura dell’art. 158 nella III parte della Costituzione europea, dedicata alle politiche ed al funzionamento dell’Unione, alla coesione, sia stata aggiunta la parola territorio21. Ora, mentre in fondo nella logica strutturale, ancorata all’art. 158, tutto il discorso è imper- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 8 4 20 Sull’argomento incomincia ad essere prodotta della letteratura. Tra questa vorrei solo citare l’inter- vento di A. DI STEFANO, Il dibattito sulla riforma della politica comunitaria di coesione economi- ca e sociale, in «Rivista giuridica del Mezzogiorno», n.1, anno XVIII, 2004. 21 Articolo III-111. niato attorno al concetto di divario e, quindi, ad un misuratore eminentemente statistico, la Costituzione fa un significativo passo avanti. La Terza Relazione - elaborata in ambiente di Direzione generale “Regio” - dopo aver riconosciuto il fatto, ne fornisce subito una interpretazione: “La politica di coesione è peraltro necessaria in una situazione in cui le altre politiche comunitarie assicurano importanti benefici a costi limitati, ma localizzati. Essa aiuta a diffondere i benefici e, anticipando il cambiamento e facilitando l’adattamento, può conte- nere l’impatto negativo. Per questo motivo, la politica di coesione in tutte le sue dimensioni deve essere vista come un elemento integrante la strategia di Lisbona, anche se oggi (...) la strategia di Lisbona ha bisogno di essere com- pletata ed aggiornata”22. Che è come dire che la coesione è qualcosa che sta den- tro tutte le politiche settoriali, ma che non si può identificare completamente con esse. È qualcosa di più. È un collante necessario ad evitare un impatto negativo. Quali possono essere allora le politiche di coesione, smembrate, per così dire, dalle politiche settoriali? Ed ancora, qual è l’impatto negativo che queste possono avere o aver avuto? Come in altre occasioni, siamo in presenza di una transizione che andrà chiarita nel corso del tempo, anche se sembra prendere corpo un percorso molto diverso. Non può sfuggire un dato evidente anche a prima vista: finisce l’era degli “obiettivi monofondo”. Per il FSE si trat- ta di una novità importante, dal momento che lo conduce su temi finora tratta- ti in maniera marginale. Ancora più importante potrà essere tale novità per l’Italia in cui il FSE ha assunto, in barba al principio di addizionalità, finzioni sostitutive di interventi pubblici. Fatto sta che “il riferimento alla dimensione territoriale della coesione” pone più d’un problema. Un primo chiarimento lo fornisce un documento più “politico”, adottato dalla Commissione il 12 marzo 2004 (il def./3, 2004). Qui vengono con maggiore chiarezza individuate le “proprietà” dell’Unione allargata. Esse sono: a) il completamento del mercato interno, attraverso un modello di sviluppo sostenibile; b) il potenziamento del concetto di cittadinanza europea; c)la capacità europea di candidarsi al ruolo di partner globale soprattutto nei confronti dei Paesi vicini. Le tre cose vanno interpretate con una chiave di lettura che non può essere quella che ha accom- pagnato tradizionalmente le politiche strutturali. La citazione di Antoine de Saint-Exupéry, posta a silloge della Comunicazione citata, chiarisce bene la cosa: “Quanto al futuro, ciò che conta non è prevederlo, ma assicurare che ci sia” e, poi subito l’incipit: “L’Unione europea si trova alla vigilia della sua mag- giore realizzazione da quando è iniziato il processo di integrazione europea sulla 8 5 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE: L’ESPERIENZA ITALIANA E IL QUADRO PROSPETTICO EUROPEO 22 cfr., Terzo Rapporto, cit., p. XXVI. scia della Seconda Guerra Mondiale - la riunificazione storica del continente (...). L’obbligo di adottare nuove prospettive finanziarie dopo il 2006 presenta un’opportunità per dare ad un’Unione europea allargata un senso di effettiva finalità politica (...). Il nostro obiettivo comune dovrebbe essere un’Europa che esalti la diversità culturale e nazionale di ciascun Stato membro, conservi le identità nazionali, ma sia al contempo impegnata a tener alto il valore dell’i- dentità europea e la volontà politica di raggiungere obiettivi comuni”. Ed infi- ne: “Il valore aggiunto dell’Unione consiste nell’azione transnazionale e su scala europea. A questo proposito le autorità nazionali sono mal equipaggiate per valutare appieno i vantaggi o i costi delle loro azioni. Per un’azione efficace occorrono grandi masse critiche23, che vanno al di là della portata dei singoli governi e delle reti create a livello nazionale”. Sembra quasi che, conseguito prima l’Euro e poi l’allargamento, non ci siano precisi obiettivi da raggiungere nell’immediato futuro se non quello di consoli- dare ed omogeneizzare i risultati sinora raggiunti. Si tratta di un ragionamento che è stato fatto nel corso del lungo dibattito europeo. A me sembra che la solu- zione adottata rappresenti ancora una volta un punto di equilibrio tra le varie posizioni e che, se ben costruita, la nuova stagione di programmazione potrà finalmente consentire quel salto qualitativo di cui da tempo si avvertiva l’esi- genza. Si tratta, in sostanza, di adottare una concentrazione tematica più stret- ta (innovazione nell’economia della conoscenza, ambiente e prevenzione dei rischi, accessibilità e servizi di interesse economico generale), in cui la funzione degli interventi strutturali sia incentrata sulla ottimizzazione delle politiche. Si tratta, dunque, di una visione di tipo orizzontale in cui emerge oggettivamente il principio della complementarietà come assetto, gestionale e contenutistico ad un tempo: “la politica di coesione - si legge ancora nella Terza Relazione - rap- presenta un completamento essenziale di altre spese che la Comunità sostiene nel campo dell’innovazione, delle reti, dell’istruzione e della cultura”. Da que- sto punto di vista, è la Comunicazione numero 3 a stabilire le priorità politiche. La strategia dell’Occupazione (SEO) in primo luogo. Gli anni di sperimenta- zione del Processo di Lussemburgo, e poi il suo travaso in quello di Lisbona, hanno consentito di fissare con chiarezza l’obiettivo centrale, che è quello di tra- sferire l’innovazione e le nuove tecnologie nel mondo delle imprese al fine di renderle più competitive. Si tratta di un impegno estremamente ambizioso e non è un caso che su quest’obiettivo viene fatta convergere l’azione di due strumen- ti finanziari, il FSE ed il FESR. Il primo con azioni rivolte in particolare alle ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 8 6 23 Corsivo mio. persone, il secondo con azioni di carattere sistemico. Altro punto chiave è rappresentato dall’inclusione sociale. In tutt’Europa si assiste a forme più o meno articolate di riforma del welfare. C’è il tema del pro- lungamento dell’età lavorativa, quello dell’inserimento dei giovani, quello del- l’immigrazione. Tutto questo costituirà oggetto della nuova programmazione, includendo anche, come intervento prioritario del FSE, l’“adattamento della pubblica amministrazione al cambiamento”. Viene in secondo luogo la cittadinanza. In uno spazio economico ampio ma poco omogeneo, le garanzie in merito a diritti/doveri e poi a “libertà, giustizia e sicurezza” devono essere quanto mai potenziate. Si cercherà, quindi, di sup- portare un’integrazione reale tra i vari sistemi paese (o regione). Resta infine, quale ultima priorità politica, il potenziamento dell’Europa (il suo modello economico e sociale) quale forte attore globale: si tratta in sostanza di potenziare e di rilanciare il modello europeo nel contesto dell’economia globale, che è la cosa più importante e difficile di tutte, perché qui risiede una proble- matica che è tutta di natura politica e, fintantoché l’Europa non avrà trovato un suo equilibrio più stabile24, sarà difficile trovare, appunto, tale equilibrio. L’Europa globale è quella capace di diventare forza di attrazione e di instaura- re un “mercato di vicinanza”25 che dia prosperità e sicurezza a tutti coloro che vi partecipano. Questi i temi principali sinteticamente riassunti. Lo scenario generale - da arric- chire con una lettura diretta dei Documenti - mi sembra di particolare rilievo e soprattutto abbastanza originale. Si tratta ancora una volta di una evoluzione delle prospettive comunitarie in un quadro storico profondamente mutato. Direi che le principali preoccupazioni possono essere condensate in due punti particolari: la globalizzazione dell’economia (in cui l’Europa rischia di non essere sufficientemente competitiva) e la collocazione geopolitica europea che, avendo con l’allargamento esaurito praticamente la parte geografica del pro- cesso, si pone ora un obiettivo più complesso rappresentato dai vicini, nuovi e vecchi. L’Europa tende ora a proporsi quale modello, non in alternativa ad altri, ma quale leader regionale. La citata Comunicazione (punto 1 della parte C) lo prevede espressamente: “Il ruolo dell’UE in quanto leader regionale è impor- tante non solo per se stessa e i paesi vicini, ma anche quale punto di partenza per recare il suo contributo alla sostenibilità ed alla stabilità su scala mondiale”, dove, come si può leggere subito dopo, l’accento non è posto solo al tema dell’immigra- 8 7 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE: L’ESPERIENZA ITALIANA E IL QUADRO PROSPETTICO EUROPEO 24 E, a mio modo di vedere, non si sarà rafforzato quell’asse franco-tedesco che ha finora rappresen- tato il vero motore dell’intero processo di unificazione. 25 Si pensi alla “seconda fase” di cui si parla nella Comunicazione n. 393. zione ed alla conseguente integrazione degli immigrati regolari, quanto all’inte- resse politico a “consolidare la democrazia e lo stato di diritto e ad incoraggiare vigorosamente le riforme economiche e l’integrazione in tutto lo spazio costituito dall’UE con la Russia e i suoi vicini, i Balcani e il Mediterraneo fino al Golfo Persico”. Lo spazio della vicinanza è, dunque, questo ed al suo interno dovranno essere giocate tutte le partite, ad iniziare da quella della coesione. Come si vede, rispetto alle prospettive, piuttosto autoreferenziali, della tradizio- nale politica strutturale, abbiamo un’apertura davvero importante. Qui dentro andranno misurate le varie forme della coesione, le sue policy, le sue metodiche. Qui dentro, come un “mercato interno allargato”, si dovranno potenziare la domanda ed i consumi. Qui dentro, infine, si dovrà trovare un nuovo spazio per le politiche attive del lavoro e per lo sviluppo locale. Tutti gli strumenti speri- mentati nella pluridecennale storia delle politiche strutturali verranno ora messi alla prova in un contesto che storicamente è nuovo. Rispetto a questa imposta- zione, il tema delle risorse finanziarie non è assolutamente secondario. Si trat- terà di investire dentro le nuove frontiere ed ai loro margini con interventi signi- ficativi, dal momento che i nuovi confini contengono non solo forme istituzio- nali incerte, ma anche sistemi economici deboli, tensioni ideologiche e cultura- li drammatiche (basti pensare alla sola Palestina), criticità che costituiscono novità per il nostro continente e pongono almeno due problemi di grande importanza politica: la costruzione di una forza militare e, per converso, i rap- porti con gli Stati Uniti. Si capiscono le incertezze europee in tema di interven- to in Irak. All’indomani dell’attentato dell’11 settembre, nel Vertice straordina- rio di Bruxelles si legge che: “sarà proprio sviluppando la politica estera e di sicurezza comune (PESC) e rendendo al più presto operativa la politica europea di sicurezza e di difesa (PESD) che l’Unione darà prova della massima effica- cia. La lotta contro il flagello del terrorismo si rivelerà tanto più efficace quan- to più si baserà su un dialogo politico approfondito con i paesi e le regioni del mondo che sono la culla del terrorismo. L’integrazione di tutti i paesi in un siste- ma mondiale equo che offra sicurezza, prosperità e uno sviluppo migliore costi- tuisce il presupposto per una comunità forte e duratura ai fini della lotta al ter- rorismo”. Siamo del tutto fuori dalla logica tradizionale - che ha in parte rego- lamentato anche il processo di allargamento - dei vari acquis comunitari. Qui c’è qualcosa di più profondo. Basta leggere alcune righe della Dichiarazione di Laeken sul futuro dell’Unione: “Al di fuori delle proprie frontiere, l’Unione europea è invece confrontata ad un mondo in rapida mutazione e globalizzato. Dopo la caduta del muro di Berlino si è pensato per un momento che saremmo vissuti per lungo tempo in un ordine mondiale stabile e libero da conflitti. I diritti dell’uomo ne avrebbero costituito il fondamento. Solo pochi anni dopo ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 8 8 tale certezza è tuttavia venuta meno. L’11 settembre ci ha aperto brutalmente gli occhi. Le forze antagoniste non sono scomparse. Il fanatismo religioso, il nazionalismo etnico, il razzismo, il terrorismo guadagnano terreno. I conflitti regionali, la povertà e il sottosviluppo continuano a costituire il terreno fertile per il loro propagarsi. Qual è il ruolo dell’Europa in questo mondo trasforma- to? Ora che è finalmente unita, non deve l’Europa svolgere un ruolo di primo piano in un nuovo ordine planetario, quello di una potenza che può assumere un ruolo stabilizzatore a livello mondiale e costituire nel contempo un faro per molti paesi e popoli?”. Domande più che risposte. In attesa di un Piano Marshall per i nostri vicini, che non sarà possibile sviluppare senza aver profondamente rivisto i criteri di spesa comunitari e l’entità stesse delle risorse disponibili, la letteratura comunitaria si sforza di produrre elementi. Come quello per cui la coesione sociale è impor- tante non solo di per sé, ma anche come puntello dello sviluppo economico, su cui possono incidere lo scontento e l’instabilità politica se le disparità sociali sono troppo ampie” (Terza Relazione). O ancora quello per cui “la politica di coesione è uno strumento dinamico che si propone di creare risorse attraverso la promozione della competitività economica e dell’occupazione, specialmente laddove vi è un forte potenziale inutilizzato”. Proprio qui, a mio modo di vede- re, si salda il tutto: l’idea di una coesione dinamica, cioè pervasiva rispetto alle politiche, di cui i Fondi sono strumenti attuativi, può consentirci una analisi a tutto campo ed una proiezione delle risorse strutturali sulle dinamiche dello svi- luppo integrato. Naturalmente né il processo di integrazione, né le politiche di prossimità, potranno progredire senza che si sia sviluppato un processo di sus- sidiarietà di tipo, per così dire, bottom-up e senza che l’Europa nel suo insieme (gli Stati membri e le loro articolazioni amministrative) abbiano raggiunto una piena consapevolezza. La fase che si avvia è destinata ad incidere per molto tempo sul destino delle istituzioni e dell’idea stessa di una Unione europea. Per questo motivo è assolutamente fondamentale che anche l’Italia, che ha fino- ra dato contributi importanti ma poco continui, affronti l’argomento con la massima concentrazione. Non solo perché si parlerà anche di “Mediterraneo” o di “Balcani”, cioè di nostri interessi vitali, ma perché se non cogliamo oggi l’oc- casione saremo inesorabilmente costretti a subire i contraccolpi - che per noi rischiano di essere particolarmente pesanti - di una, per riprendere il linguag- gio comunitario, “competitività globale” sempre più difficile da affrontare. 8 9 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE: L’ESPERIENZA ITALIANA E IL QUADRO PROSPETTICO EUROPEO Obiettivo «Cooperazione territoriale europea» 17,2% (57,9 miliardi di euro) Programmi e reti transfron- talieri e transnazionali (FESR) Regioni frontaliere e grandi regioni di cooperazione tran- snazionale • innovazione • ambiente/ prevenzione dei rischi • accessibilità • cultura, istruzione 35,61% transfrontaliero 12,12% SEPP 47,73% transnazionale 4,54% reti Tab. 1 - Politica di coesione 2007-2013: ripartizione per obiettivi in miliardi di euro Tab. 2 - Politica di coesione 2007-2013 (336,1 miliardi di euro) ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 9 0 Cooperazione transfrontaliera: 4,7 Sostegno transitorio per le regioni ammissibili all’obiettivo n. 1 nel periodo 2000-2006: 9,58 Regioni non ammissibili all’obiettivo «Convergenza»: 48,31 Programma speciale per le regioni ultraperifiche: 1,1 Fondo di coesione: 62,99 Regioni con un PIL inferiore al 75% della media: 177,8 Convergenza Reti: 0,6 Cooperazione transnazionle: 6,3 Frontiere esterne: 1,6 Competitività regionale e occupazione Cooperazione territoriale europea Regioni penalizzate dall’effetto statistico: 22,14 Programmi e strumenti Criteri di ammissibilità Priorità Stanziamenti Obiettivo «Convergenza» compreso il programma speciale per le regioni ultraperiferiche Programmi regionali e nazionali FESR FSE Fondo di coesione Regioni con un PIL pro capite <75% della media dell’EU-25> Effetto statistico: regioni con un PIL pro capite <75% dell’ EU 15 e> 75% dell’EU 25 Stati membri con RNL pro capite <90% della media comunitaria> • innovazione • ambiente/ prevenzione dei rischi • accessibilità • infrastrutture • risorse umane • capacità amministrativa • trasporti (RTE) • trasporti sostenibili • ambiente • energie rinnovabili 67,34% = 177,8 Mrd di euro 8,38% = 22,14 Mrd di euro 23,86% = 62,99 Mrd di euro 78,5% (264 miliardi di euro) Obiettivo «Competitività regionale e occupazione» 17,2% (57,9 miliardi di euro) Programmi regionali (FESR) e programmi nazionali (FSE) Gli stati membri propongono una lista di regioni (NUTS1 o NUTS2) Sostegno transitorio regioni coperte dall’obiettivo n.1 nel periodo 2000-2006 e non coperte dall’obiettivo «Convergenza» • innovazione • ambiente/ prevenzione dei rischi • accessibilità • Strategia europea per l’oc- cupazione 83,44% = 48,31 Mrd di euro 16,56% = 9,58 Mrd di euro Tab. 3 - Coesione 2007-2013: gli obiettivi e gli strumenti proposti dalla commissione 9 1 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE: L’ESPERIENZA ITALIANA E IL QUADRO PROSPETTICO EUROPEO 2000-2006 2007-2013 Obiettivi Fondo di coesione Obiettivo n. 1 Obiettivo n. 2 Obiettivo n. 3 Interreg URBAN EQUAL Leader Sviluppo rurale e ristruttu- razione del settore della pesca nelle zone escluse dall’obiettivo n. 1 9 obiettivi Strumenti finanziari Fondo di coesione FESR FSE FEAOG-garanzia e prientamento SFOP FESR FSE FSE FESR FESR FSE FEAOG-orientamento FEAOG-garanzia SFOP 6 strumenti Obiettivi Convergenza Competitività regionale e occupazione - livello regionale - livello nazionale Cooperazione territoriale europea 3 obiettivi Strumenti finanziari FESR FSE Fondo di coesione FESR FSE FESR 3 strumenti 4.2 - La Formazione Professionale Superiore in Europa: criteri e modelli di comparazione Arduino Salatin Università degli studi di Padova La formazione professionale superiore (FPS) costituisce generalmente un elemen- to di differenziazione dei sistemi formativi europei, in quanto la sua configurazio- ne è conseguenza del ruolo e dell’importanza che la formazione professionale assume nel rapporto tra sistema educativo e sistema socioeconomico e nella for- mazione del capitale umano di ciascun paese. Su tale rapporto incide inoltre, non solo la peculiare tradizione storico-culturale di ciascun paese, ma anche il livello della formazione iniziale, come dimostrano con evidenza i risultati delle più recen- ti indagini PISA/PIRLS. Partendo da alcuni studi comparati (in particolare del Cedefop, dell’OCSE e di altre fonti UE), il contributo richiama anzitutto alcuni modelli e fattori di inter- pretazione della strutturazione della FPS e della sua evoluzione sia rispetto ai siste- mi VET (Vocational Education and Training), sia rispetto ai sistemi universitari. In secondo luogo, vengono analizzati alcuni tipi di soluzione sperimentati in ambito europeo UE ed extra UE, con particolare riferimento al canale della formazione superiore non universitaria, a partire da quelli che hanno riformato più recente- mente il proprio sistema formativo e/o che sembrano fornire alcune possibili indica- zioni di trasferibilità alla situazione italiana. Tra i casi esaminati viene richiamata l’esperienza della Germania, che vanta forse uno dei sistemi più consolidati al riguardo, della Finlandia, in cui è stato introdotto agli inizi degli anni Novanta un canale di formazione professionale superiore non universitaria, della Svizzera, che ha riformato nel 2004 il proprio sistema di formazione professionale e l’intero livel- lo terziario degli studi, fornendo nuove basi legali comuni per tutta la formazione professionale superiore universitaria e non. In conclusione, vengono ripresi alcuni elementi di convergenza e divergenza presenti nell’evoluzione dei sistemi formativi europei, utili a riformulare alcune questioni aperte per gli operatori e per i decision maker, anche in relazione al possibile intreccio tra politiche formative, politiche del- l’impiego e politiche dell’innovazione e della ricerca. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 9 2 1. Significati e contesti della formazione professionale superiore in Europa: alcuni riferimenti interpretativi La formazione professionale superiore (FPS) costituisce il canale più elevato, di tipo non universitario1, della filiera della formazione professionale ed è in collegamento con la formazione permanente quale diritto della persona all’apprendimento lungo l’intero arco della vita. La finalità specifica della FPS è generalmente la formazione di figure specialistiche in grado di svolgere un’attività professionale con rilevanti competenze tecnico/scientifiche e/o a livelli significativi di responsabilità e autono- mia. I percorsi osservabili nei paesi europei valorizzano la metodologia dell’alter- nanza e si concludono generalmente con l’attribuzione di un diploma professionale superiore (IV livello europeo della classificazione europea ECTS). La FPS, in coerenza con le strategie definite dai Consigli Europei di Lisbona (marzo 2000) e Barcellona (2002), mira a sviluppare il sistema di istruzione e formazione professionale verso il livello terziario, considerato componente vitale dello sviluppo di un’economia basata sulla conoscenza per il raggiungimento degli obiettivi di Lisbona (2010), e nella prospettiva della convergenza e del mutuo riconoscimento dei percorsi di formazione professionale a livello europeo. Sul piano istituzionale, la FPS si colloca pertanto, in molti paesi europei in modo organico al termine dei percorsi dell’istruzione e della formazione pro- fessionale (IeFP). La FPS rappresenta, infatti, la naturale prosecuzione dei percorsi che, partendo generalmente dalla qualifica professionale, procedono con il diploma di formazio- ne professionale per giungere ad un diploma superiore. In Italia il punto di forza più evidente del disegno innovativo della FPS (nello schema della legge 53/2003) sta nel riportare nel nuovo sistema IeFP percorsi for- mativi oggi eterogenei (corsi di formazione professionale di secondo livello, corsi IFTS, …), favorendo l’accesso a coloro che provengono dalla formazione profes- sionale e fornendo un’effettiva opportunità di sviluppo di dignità pari al canale universitario. Per meglio comprendere il significato della FPS e il suo posizionamento può esse- re utile, tuttavia, richiamare alcune caratteristiche dei sistemi VET europei. 9 3 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE: L’ESPERIENZA ITALIANA E IL QUADRO PROSPETTICO EUROPEO 1 Anche se alcune delle riforme più recenti in Europa tentano, come si vedrà nel corso dell’esposizio- ne, di superare questa dicotomia. 1.1 Alcuni modelli comparati per interpretare i sistemi formativi La realtà dei sistemi formativi in Europa si presenta in modo multiforme e spesso eterogeneo. Ciò nonostante è possibile una semplificazione per coglierne gli ele- menti di differenziazione e di convergenza. Un primo elemento è dato dal rapporto tra sistema formativo e mercato del lavo- ro. Una serie di studi dell’OCDE2 avevano proposto il seguente schema: Tav. 1 - Modello di formazione iniziale Tre modelli di sistema formativo iniziale (OCDE, 1989) Una seconda rappresentazione fa leva sui modelli di istruzione, comprensivi o dif- ferenziati e più o meno selettivi. Può essere utile a questo scopo confrontare la situazione italiana con la situazione europea, che da F. Vaniscotte è stata ricon- dotta ai quattro modelli seguenti: 1) Modello scandinavo: scuola unica (Danimarca, Finlandia, Norvegia, Svezia, Islanda). In questi Paesi ci si propone di promuovere una migliore eguaglianza delle oppor- tunità, dando lo stesso insegnamento a tutti gli alunni il più a lungo possibile, cioè durante tutta la scuola obbligatoria che dura 9 anni, dai 7 ai 16 anni di età (con qualche opzione a partire dall’8° anno). Basata sulla scuola (paesi scandinavi) Basata sull’apprendistato Sistema duale (paesi di lingua Tedesca e DK) ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 9 4 MIsto (es. GN, NL, F, I) STA TO MER CAT O 2 cfr. anche OCDE, Redefining Tertiary Education, Paris, 1998. 3 Les écoles de l'Europe. Systèmes éducatifs et dimension européenne, Institut National de Recherche Pédagogique, Paris, 1996, pp 19-30. Non ci sono voti né bocciature, ma una prima valutazione si effettua all’8° anno. L’obiettivo è lo sviluppo globale della personalità. Tav. 2 - Il modello scandinavo 2) Modello anglosassone: scuola polivalente (Inghilterra e Galles, Scozia, Irlanda del Nord e, diversamente, Repubblica d’Irlanda). La scuola polivalente (comprehensive school) si differenzia dalla scuola unica per il fatto che non unifica scuola elementare e scuola secondaria inferiore, ma crea nella secondaria inferiore una medesima gamma di opportunità offerte a tutti. Dal 1988, le scuole inglesi possono scegliere un curricolo nazionale che è per almeno il 50% uguale per tutti. Ci sono molti momenti di valutazione, ma non bocciatu- re. In Inghilterra, gli alunni frequentano per il 90% la comprehensive school, il 3,8% la grammar school; il 3,5% modern school, e l’1% la technical school. Tav. 3 - Il modello anglosassone 9 5 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE: L’ESPERIENZA ITALIANA E IL QUADRO PROSPETTICO EUROPEO Istruzione superiore e universitaria Istruzione secondaria differenziata secondo diversi indirizzi Istruzione di base obbligatoria avente durata di 9 anni comune per tutti gli alunni dai 7 ai 16 anni di età Istruzione superiore e universitaria Istruzione secondaria avente la durata di 6 o 7 anni con un programma in parte nazionale e con opzioni differenziate Istruzione primaria dai 5 ai 10 o 11 anni di età 3) Modello germanico: scuola differenziata (Germania, Austria, Lussemburgo, Svizzera, Olanda e (diversamente) Belgio. Ci si propone un orientamento precoce (in Germania all’età di 10 anni) secondo tre indirizzi, al fine di favorire l’inserimento sociale e professionale. Tav. 4 - Il modello germanico 4) Modello latino e mediterraneo: tronco comune (Francia, Italia, Spagna, Grecia, Portogallo). Si vuole prestare maggiore attenzione all’acquisizione delle conoscenze; la valuta- zione è frequente e la bocciatura possibile nella misura in cui non si acquisiscono le conoscenze ritenute indispensabili. La Francia, però, esclude dal tronco comu- ne una parte non trascurabile di alunni meno dotati, al fine di impedire la loro emarginazione. Tav. 5 - Il modello latino-mediterraneo ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 9 6 Istruzione tecnica-professionale - Istruzione universitaria Formazione professionale e vita attiva Istruzione post-elementare (6 anni di durata) Istruzione generale (9 anni di durata) Istruzione secondaria (5 anni di durata) Istruzione primaria dai 6 ai 10 o 11 anni di età Istruzione superiore e universitaria Istruzione secondaria superiore avente durata di 3 o 5 anni Istruzione secondaria inferiore avente durata di 3 o 4 anni Istruzione primaria dai 6 agli 11 anni di età 1.2 Modelli e strategie di offerta di formazione superiore Al di là delle differenze delle varie interpretazioni, appare piuttosto evidente che ormai in tutti i Paesi industrializzati non esiste più un sistema educativo fatto solo di scuola, bensì una struttura sistemica complessa e differenziata di istituzioni e agenzie operanti diversamente, in un quadro più o meno organico. Rispetto ai modelli sopra richiamati, la FPS può essere vista come un nuovo ponte tra formazione e impiego, come ha messo bene in luce lo studio comparato del Cedefop sulla formazione in Europa4. Per posizionare i dispositivi di formazione superiore lo studio considera anzitutto le interazioni tra formazione di base, for- mazione professionale e formazione accademica nei segmenti secondario/terziario, come si può notare nella tavola 6. In secondo luogo, lo studio richiama la dialettica tra polarizzazione e “parifica- zione” della VET, sintetizzando le varie soluzioni adottate in Europa per i curri- cula di formazione post-secondaria: - unificazione (tutto nella scuola), - mutuo arricchimento tra scuola e FP (sistema integrato), - passerelle tra scuola e FP, - aumento del ruolo della FP rispetto alla scuola. Tav. 6 - Modelli di formazione superiore in Europa Modelli di formazione superiore: professionale o “generale”, “secondaria” o “terziaria” 9 7 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE: L’ESPERIENZA ITALIANA E IL QUADRO PROSPETTICO EUROPEO 4 TESSARING M. (Ed.), Training in Europe, Cedefop, Luxembourg, 2001, vol.I, Academic Compulsory general education Higher education apprenticeship Vocational education and training E d u c a t i o n E m p l o y m e n t Tav. 7 - La formazione post-secondaria in Europa Strategie di parificazione della formazione post-secondaria (post 16 anni) tra generale e professionale ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 9 8 Vocational enhancement (pogramme) Unification (administration curriculum) Es. Austria, Germania, Spagna Es. Gran Bretagna, Francia Es. Svezia, Scozia Links (qualifications)Finalndia, Norvegia Mutual enrichment (institutions programmes) from Cedefop Training in Europe, vol. I, 2001, p. 124) 2. Alcuni casi nazionali di ridisegno della FPS Passando ora ad un esame più analitico delle situazioni nazionali, si possono porta- re, ad esempio, alcuni casi in qualche modo esemplari delle esperienze e tendenze riformatrici in atto. 2.1 La FPS in Germania Il sistema formativo tedesco è articolato su base regionale (Land) e si caratterizza per una selezione precoce degli indirizzi di studi (dopo l’ottava classe), anche se sono assicurate molte forme e opportunità di passerelle tra il canale della FP e quello degli studi generali. Il sistema formativo generale tedesco può essere rappresentato dal seguente schema: Tav. 8 - Il sistema formativo tedesco 9 9 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE: L’ESPERIENZA ITALIANA E IL QUADRO PROSPETTICO EUROPEO La distribuzione media degli studenti in entrata nel ciclo secondario vede il 23% nelle Hauptschule5, il 26% nella Realschule6, il 29% nel Gymnasium7 e il restante nella Gesamtschule integrata. Le scuole tecnico-professionali (Berufsfachschulen) sono scuole professionali a tempo pieno con diverse caratterizzazioni in riferimen- to a condizioni di ingresso, durata e titoli conclusivi. Alla conclusione di un per- corso formativo della durata minima di due anni, si può accedere a certe condi- zioni alla Fachhochschulreife. Le scuole tecniche (Fachschulen) servono al perfe- zionamento professionale (durata 1-3 anni) e presuppongono normalmente la conclusione di una formazione professionale iniziale in una delle professioni rico- nosciute e una relativa attività professionale. Nei passaggi del segmento post-secondario assume particolare rilevanza il Mittlere Schulabschluss, che è un crocevia nel percorso di formazione scolastica indivi- duale, nonché uno snodo che avvia gli allievi alle varie tipologie di scuola secon- daria superiore8: - gli allievi del Ginnasio possono decidere se iniziare un percorso che li porterà alla formazione accademica o se passare ad una scuola di formazione professionale; - gli allievi della Hauptschule e della Realschule possono - a condizione di aver conseguito una buona valutazione nel Mittlere Schulabschluss e di conoscere i fondamenti di una seconda lingua straniera - accedere alla Oberstufe (gli ultimi tre anni del Ginnasio). ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 0 0 5 L’Hauptschule trasmette una formazione generale di base e le premesse teoriche per un inserimen- to nel mondo del lavoro, nonché una preparazione professionale qualificata. Particolare importanza riveste lo sviluppo della capacità di analisi e di utilizzo delle cose. 6 Realschule. Questo tipo di scuola si rivolge a giovani interessati all’approfondimento di questioni teoriche ma che nel contempo mostrano una particolare inclinazione per attività di tipo pratico, sup- portata da buone capacità in questo senso. Nella Realschule si gettano le basi per un percorso for- mativo più lungo, per una formazione professionale qualificata o per un’attività che preveda una preparazione allo stesso tempo teorica e pratica. 7 Gymnasium. Il Ginnasio trasmette una formazione generale approfondita. Tale formazione è la con- dizione per accedere agli studi accademici. Gli allievi del Ginnasio possono accedere naturalmente anche alla formazione professionale superiore. 8 Tutti i giovani che non frequentano altri tipi di scuola di formazione generale sono tenuti a rispet- tare l’obbligo formativo fino al compimento del diciannovesimo anno di età. Nel sistema duale, questi giovani stipulano un contratto di formazione lavoro con un’azienda e frequentano, a tempo parziale, la scuola professionale. Lo stesso vale anche per gli allievi di scuole di formazione gene- rale che, una volta ottenuto il Mittlere Schulabschluss, decidano di non continuare con una for- mazione “scolastica”. Dopo l’ottenimento del Mittlere Schulabschluss, tra le opportunità formative si aprono anche quelle delle Scuole superiori tecniche (Fachoberschulen) e - dopo un percorso di formazione professionale - delle Scuole superiori professionali (Berufsoberschulen) che danno accesso alla formazione accademica. La scuola superiore tecnica (Fachoberschule) è una scuola di due anni, a cui è pos- sibile accedere col diploma del Mittleren Schulabschluss. Frequentando l’11a e la 12a classe in questo tipo di scuola, si può raggiungere un diploma di maturità che dà accesso alle Fachhochschulen (Fachhochschulreife). A quegli studenti che abbiano conseguito il Mittlerem Schulabschluss e una formazione professionale iniziale è consentito l’ingresso immediato nella classe 12a della Fachoberschule. Secondo la classificazione internazionale degli standard dei sistemi formativi, le Fachschulen sono classificate nel segmento terziario della formazione. In 7 Ländern esistono anche le accademie professionali (Berufsakademie) che sono un’istituzione del segmento terziario della formazione. Esse uniscono una formazione scientifica specifica in una accademia degli studi, con una formazione professionale pratica in un’azienda nel senso del sistema duale. Una rappresentazione sintetica del sistema è ricavabile dello schema seguente: Tav. 9 - Il sistema di FPS in Germania 1 0 1 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE: L’ESPERIENZA ITALIANA E IL QUADRO PROSPETTICO EUROPEO Formazione superiore post secondaria Universität Tecnhische Universität Tecnhische Hochschule Universität-Gesamthochschule Pädagogische Hochschule Kunsthochshule Musikhochschule FACHHOCHSCHULE Verwaltungsfachhochschule B e r u f s a k a d e m i e 2.2 La FPS in Finlandia La Finlandia è un Paese che spende per il sistema d’istruzione e formazione il 6,1% del proprio Pil (media UE 5,5) e che destina a tale settore l’11,9% del bud- get complessivo per la spesa pubblica (media UE 11,2). La Finlandia si colloca, con Danimarca, Francia, Austria e Svezia, tra i Paesi dell’Unione Europea che più investono in educazione (sopra il 6%). Gli investimenti nel campo educativo si traducono in un’educazione gratuita per tutti i residenti, anche per quanto riguarda l’istruzione secondaria superiore e ter- ziaria, dato che non si considera più sufficiente, nella società della conoscenza, l’acquisizione di una cultura solo a carattere generale. Gli aiuti finanziari agli stu- denti per gli studi a tempo pieno, post-obbligatori, della durata di almeno due mesi, consistono in borse di studio, alloggio, prestiti di studio garantiti e sovven- zioni con interessi, in forme di sostegno al rientro in formazione degli adulti, nel- l’accessibilità territoriale all’educazione. Investimenti e rimozione degli ostacoli di natura economica costituiscono elemen- ti importanti per garantire il principio delle pari opportunità, prescindendo dal- l’età, dalla residenza, dalla situazione economica, dal sesso e dalla lingua madre. In pratica, si traducono nella garanzia di un obbligo scolastico della durata di nove anni (dai 7 ai 16 anni) e di percorsi triennali di istruzione e formazione successi- vi alla scuola di base obbligatoria, nell’insegnamento nella madre lingua per le minoranze culturali (svedese e sami) e nell’uguaglianza di opportunità, bilingui- smo e multiculturalità, agli immigrati, giovani e adulti. Alcuni risultati di questa politica: il tasso più elevato al mondo d’iscritti all’uni- versità e una partecipazione altissima all’educazione degli adulti9. L’istruzione professionale, cui si accede al termine della scuola obbligatoria, è di durata triennale e consente il riconoscimento di crediti per chi proviene dal mondo del lavoro o per gli studenti che provengono dalla scuola secondaria superiore. L’organizzazione degli studi si basa sul sistema dei crediti (un credito equivale ad una media di circa 40 ore di studio), il totale dei crediti è pari a 120, di cui 90 per ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 0 2 9 Circa un milione di persone (su un totale di 5.200.000 abitanti) partecipa annualmente a corsi per adulti. L’educazione degli adulti rivolta all’acquisizione di un titolo di studio o di una qualifica è gra- tuita, per le altre tipologie di corsi è previsto il pagamento di una parte delle spese. La spesa diret- ta del Ministero dell’educazione per l’educazione degli adulti è pari al 14% del proprio budget. Il sistema è caratterizzato dalla diffusività sul territorio (più di 1000 istituzioni), dalla presenza sia degli istituti d’istruzione (università, politecnici, centri professionali, centri specializzati all’educa- zione degli adulti) sia di altre istituzioni (scuola popolari, centri di formazione per i lavoratori, cen- tri di formazione estivi …). le materie a carattere professionalizzante e la formazione sul lavoro, 20 per le materie comuni e 10 a scelta degli studenti. L’acquisizione della qualifica di primo livello può essere completata in un percor- so tutto interno all’istituzione scolastica o in percorsi di apprendistato o attraver- so esami in cui si valutano le competenze acquisite altrove. È possibile acquisire ulteriori e più specialistiche qualifiche, i cui carattere generali sono definiti dal Consiglio nazionale dell’educazione, attraverso esami di certificazione delle com- petenze. Il governo ha competenza sugli obiettivi generali dell’istruzione e formazione pro- fessionale, sulla struttura generale dei programmi e delle materie comuni. A livel- lo locale, i curricola sono definiti insieme con organismi rappresentanti il mondo della scuola e del lavoro. Anche a livello scolastico ci sono organismi tripartiti, con carattere consultivo, che partecipano alla pianificazione e allo sviluppo della for- mazione a livello locale. Gli obiettivi e gli sviluppi del sistema educativo finlandese sono definiti dal gover- no attraverso un piano quadriennale che, negli anni novanta, è stato finalizzato soprattutto allo sviluppo della società della conoscenza, all’insegnamento delle lin- gue e all’internazionalizzazione, alla cooperazione tra scuola e vita lavorativa e all’innalzamento degli standard e della qualità dell’educazione. Per la loro acquisizione si è proceduto alla completa informatizzazione degli isti- tuti scolastici, alla definizione di piani specifici di formazione degli insegnanti, al collegamento tra potenziamento delle conoscenze informatiche, scientifiche e matematiche e sviluppo industriale connesso all’industria informatica, alla produ- zione industriale basata sulle scienze naturali e l’alta tecnologia. In un paese il cui sviluppo economico è stato basato soprattutto sullo sviluppo delle tecnologie infor- matiche, è stata posta una grande attenzione tra scuola e lavoro per garantire l’oc- cupabilità al termine degli studi e una forza lavoro qualificata. Rappresentanti del mondo del lavoro sono presenti negli organismi consultivi della formazione pro- fessionale sia a livello centrale sia locale e i percorsi di orientamento al mondo del lavoro, di formazione nei luoghi di lavoro o di studio e lavoro sono elementi nor- mali dei percorsi formativi della formazione professionale iniziale e nelle lauree politecniche. Gli studenti delle scuole comprensive e dell’istruzione secondaria superiore possono accedere a periodi di attività lavorative a carattere orientante. Così le università promuovono l’inserimento dei loro studenti nel mondo del lavo- ro attraverso azioni di guida ed orientamento ed hanno incrementato i periodi di training nel mondo del lavoro. Altrettanta importanza è stata data alla conoscen- za delle culture e delle lingue straniere, altro fattore determinante per lo sviluppo economico, oltre l’inglese e lo svedese, parlato rispettivamente dal 99% e dal 92% degli studenti della scuola obbligatoria. 1 0 3 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE: L’ESPERIENZA ITALIANA E IL QUADRO PROSPETTICO EUROPEO La formazione professionale superiore in questo Paese viene garantita attraverso due canali. a) Le università. Assicurano la ricerca e l’insegnamento di più alto livello. Possono rilasciare diplo- mi di primo livello (3 anni) e secondo livello (laurea e master) da 5 a 6 anni di studio + il dottorato. Le università sono 20 e sono tutte statali. Selezionano gli studenti con prove di ammissione; i posti disponibili per le iscrizioni al primo anno sono circa un terzo della leva giovanile della classe di età. Gli studenti sono circa complessivamente 150.000. b) Gli Istituti superiori professionali (AMK). La Finlandia ha introdotto, accanto al canale universitario, un settore di formazio- ne superiore non universitaria di tipo politecnico. Durante il decennio 1991-2000 sono stati costituiti i Politecnici, sia tramite un aggiornamento di istituzioni specia- lizzate, che prima offrivano formazione professionale di secondo livello, sia attra- verso delle fusioni e nuove istituzioni. Si tratta di istituti multidisciplinari, orien- tati a collegare strettamente gli studi con la vita professionale, soprattutto nei set- tori tecnici. La durata degli studi è di 3 o 4 anni (da 140 a 160 settimane di inse- gnamento) e comporta uno stage obbligatorio presso aziende, amministrazioni, ospedali, … con memoria scritta finale. Per essere ammessi bisogna avere un diploma di maturità o un diploma professio- nale di base. Gli iscritti sono circa 120.000. I posti disponibili per le iscrizioni al primo anno sono circa il 65% della leva giovanile della classe di età. Questi istituti si distinguono dalle università in quanto sono gestiti dai Comuni o da privati, anche se beneficiano del finanziamento statale. La riforma è stata finalizzata ad elevare gli standard formativi e a rendere più attrattivo il canale della F.P. - Motivazione: rilancio dell’economia (verso nuovi obiettivi di competitività) e sfida delle nuove tecnologie. - Modello: riforma globale della formazione post-obbligatoria e superamento della base universitaria della formazione superiore. - Processo: gradualità e sperimentazione. - Condizioni organizzative: decentramento amministrativo verso i Comuni e le realtà locali, riforma della pubblica amministrazione. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 0 4 2.3 La FPS in Svizzera Nel 2004 è entrata in vigore la nuova legge federale sulla formazione e l’educa- zione lungo tutto l’arco della vita10 (vedi schema generale). Le ordinanze e i nuovi piani e programmi saranno elaborati tra il 2004 e il 2007 a partire da un processo di consultazione e revisione in itinere. Anche il sistema svizzero di formazione terziaria si articola a livello universitario e di FPS. Del sistema universitario11 fanno parte: - Le istituzioni universitarie (università federali e cantonali e politecnici federali) - Le alte scuole pedagogiche - Le scuole universitarie professionali (nei settori della tecnica, della salute, del turismo, dell’economia, dell’agricoltura, dell’arte, …). Per quanto riguarda il segmento della FPS, essa si articola come segue: - Le scuole specializzate superiori: sono circa 100 (nei settori della tecnica, della salute, del turismo, dell’economia, dell’agricoltura, dell’arte, …), sono rivolte a gio- vani e professionisti (circa 10% di età 24-35 anni), e durano 2 o 3 anni12. - Gli esami di professione (circa 150) e gli esami di professione superiore o di mae- stria (circa 150), regolamentati a livello confederale e riconosciuti dal mondo del lavoro (per i livelli dirigenziali e specialistici). Si può essere ammessi dopo aver concluso un tirocinio o con una congrua esperienza professionale. - Motivazione: perdita di competitività del sistema economico e investimento sul- l’innalzamento delle competenze - Modello: rafforzamento del sistema professionale dell’alternanza e sviluppo delle formule di passaggio e riconoscimento di titoli spendibili sul mercato del lavoro. Standardizzazione a livello federale degli ordinamenti - Processo: concertazione e sperimentazione - Condizioni organizzative: centralizzazione e investimento sugli insegnanti e for- matori 1 0 5 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE: L’ESPERIENZA ITALIANA E IL QUADRO PROSPETTICO EUROPEO 10 Le fonti informative sulla nuova legge e sui relativi ordinamenti sono disponibili sul sito web www.educa.ch 11 Per questo sistema è prevista una strategia di riforma entro il 2010, basata sulla Dichiarazione di Bologna. 12 Alcune sono state trasformate ora in scuole universitarie professionali sotto controllo federale. Tav. 10 - Schema di riforma del nuovo sistema formativo svizzero ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 0 6 grado terziario B Formazione professionale superiore grado terziario A Il sistema formativo Corsi di Preparazione agli esami di EP e EPS Scuole specializzate superiori Scuole universitarie professionali Università e SFP 2 anni certificato 3 o 4 anni Attestato federale delle capacità Maturità liceale Grado secondario 2 anni Maturità professionale Formazione professionale di base Scolarità obbligatoria (grado primario) Scuola di cultura generale F o r m a z i o n e c o n t i n u a 3. Creare un nuovo canale o sviluppare strutture già esistenti? - Senza un canale di formazione superiore, autonomo, orientato all’innovazione e legittimato sul mercato del lavoro è difficile modificare l’attrattività della FP e aumentare l’accesso alle nuove competenze richieste; - l’autonomia gestionale (tempi, accessi, …), didattica (curricula e diplomi) e finanziaria, è condizione necessaria per garantire maggiore rispondenza alla domanda sociale ed economica del territorio; - un sistema di passerelle e crediti è garanzia per la promozione sociale e la valo- rizzazione del capitale umano dentro e fuori il sistema formativo. Per garantire le condizioni di sviluppo di un tale sistema, allineato con i modelli europei più evoluti a livello comunitario, occorre invece disporre, come già avve- nuto in altri Paesi, di: - un quadro giuridico o regolamentario adeguato (ben oltre l’attuale, ma ancora incerta normativa italiana); - un soggetto istituzionale con funzioni di governance dell’intera filiera formativa - dalla formazione professionale iniziale, alla formazione professionale superio- re, alla formazione permanente, che garantisca la programmazione dell’offerta formativa ai vari livelli (qualifica, diploma, diploma superiore), l’interazione con l’Università e la ricerca, con le forze sociali ed economiche territoriali, nonché la certificazione dei percorsi e degli esiti formativi; - istituzioni formative di riferimento stabili, caratterizzate da una forte flessibilità progettuale ed organizzativa, articolate per territorio e macrosettore. In questa prospettiva si può pensare non solo agli attuali istituti scolastici secondari, ma anche di riqualificare la rete dei centri di formazione professionale in poli for- mativi territoriali di formazione superiore a carattere integrato, sui quali si possa poggiare l’attuazione dei nuovi percorsi formativi; - un dispositivo di accompagnamento delle sperimentazioni dei nuovi dispositivi mediante azioni di assistenza tecnica, di rinnovamento metodologico, di forma- zione degli operatori, di monitoraggio e di valutazione delle innovazioni intro- dotte. 1 0 7 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE: L’ESPERIENZA ITALIANA E IL QUADRO PROSPETTICO EUROPEO 4.3 - I risultati del monitoraggio ISFOL relativi agli I.F.T.S. Anna D’Arcangelo ISFOL Gli obiettivi e le metodologie di indagine Fin dall’avvio, nel 1998-99, dei percorsi di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), l’ISFOL ha condotto le attività di monitoraggio e di valutazio- ne della nuova filiera, con l’obiettivo di supportare le attività decisionali e pro- grammatiche svolte dal Comitato Nazionale Ifts, composto dai Ministeri dell’Istruzione, Università e Ricerca e del Lavoro e Politiche Sociali, dalle Regioni, dalle Autonomie locali e dalle Parti sociali. La rilevazione sistematica e ricorrente ha consentito la costituzione di una base di dati relativa alla totalità delle attività programmate e realizzate, che permette di analizzare in modo diacronico lo sviluppo quali-quantitativo della filiera IFTS, giunta ad oggi alla quarta annualità di programmazione. Dal punto di vista metodologico, l’impianto di monitoraggio e valutazione ha previ- sto - per ciascun anno formativo - due differenti rilevazioni avviate, sin dal primo anno, tra il mese di settembre e il mese di ottobre, in modo da recuperare informa- zioni sul maggior numero possibile di corsi attivati. La prima rilevazione, finalizza- ta al monitoraggio in itinere, è stata caratterizzata dall’invio di questionari rivolti all’universo degli attori (responsabili dei corsi, docenti, tutor e allievi), mentre la seconda ha interessato le stesse tipologie di soggetti al termine o a ridosso della con- clusione dei percorsi, nel mese di aprile di ciascun anno di riferimento. Nel complesso, le due rilevazioni hanno indagato aspetti quantitativi e qualitativi inerenti sia le caratteristiche dei soggetti coinvolti nei corsi IFTS (profilo ed espe- rienze professionali, attività svolte, motivazioni, ecc.), sia le caratteristiche del per- corso formativo (durata, metodologie didattiche, attività realizzate, etc.). La valutazione è stata completata dalla realizzazione di studi di caso selezionati in base alla figura professionale di riferimento e alla dislocazione territoriale. Gli studi di caso realizzati hanno permesso di approfondire, da un lato, le intera- zioni tra i diversi componenti dei partenariati locali e dall’altro le azioni formati- ve, illustrandone gli aspetti innovativi e i nodi cruciali. A completamento della ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 0 8 valutazione si è effettuata un’analisi degli esiti formativi ed occupazionali, con- dotta su un campione di ex corsisti, intervistati un anno dopo la conclusione del percorso di formazione. Nell’arco del primo triennio della nuova filiera di percorsi IFTS, le attività di monitoraggio e valutazione, hanno coinvolto complessivamente quasi 23.000 sog- getti, tra responsabili dei corsi, docenti e tutor ed allievi. La struttura dell’offerta Con particolare riferimento all’ultima annualità monitorata, relativa al 2000/2001, si osserva un incremento rispetto al volume dell’offerta dei percorsi IFTS: ad ottobre 2002, risultavano avviati 410 corsi, rispetto ai 295 dello stesso periodo dell’annua- lità precedente. Considerando anche i corsi realizzati dopo il mese di ottobre 2002, i percorsi IFTS avviati nell’ambito della programmazione 2000/2001 erano 699. Inoltre, nell'am- bito del potenziamento - ovvero il finanziamento delle attività realizzate nell’anno 2001-2002, ma a valere sulle risorse dell’anno di programmazione precedente - sono stati 381 i corsi programmati dalle diverse Amministrazioni Regionali. Al di là delle differenze relative al volume d’offerta tra le singole Amministrazioni Regionali, le performances registrate risultano in via di miglioramento, tanto che il rapporto tra realizzato e programmato è ovunque decisamente elevato. I settori produttivi maggiormente rappresentati dai percorsi IFTS sono stati Telematica/Informatica e Multimedialità, che ha interessato il 24,7% dei corsi con un incremento pari a quasi 10 punti percentuali rispetto all’anno precedente, seguito dal settore dell’Industria (18%) e dell’Agricoltura ambiente e territorio (che pur con un decremento rispetto all'anno precedente si assesta sul 10%) e del Turismo (9,2%).Va considerato che i corsi relativi alla formazione di figure affe- renti al settore della gestione e amministrazione sono stati ripartiti, all'interno degli altri settori in quanto è stato possibile individuare con maggiore chiarezza le relative aree di occupazione. Le caratteristiche degli allievi Considerando i corsi complessivamente avviati nell’ambito della programmazione 2000-2001, il numero degli allievi frequentanti si stima attorno alle 13.000 unità. Gli allievi iscritti ai corsi IFTS, monitorati dall’Isfol per l’annualità 2000-2001, superavano le 8000 unità. Il numero di frequentanti effettivi risulta, invece, di 1 0 9 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE: L’ESPERIENZA ITALIANA E IL QUADRO PROSPETTICO EUROPEO gran lunga più ridotto tanto che, dalle informazioni fornite dai responsabili di corso risultano assestarsi intorno alle 6.000 unità, con un tasso di abbandono pari al 26%, comunque in diminuzione di circa 8 punti percentuali rispetto all’annua- lità precedente. Sotto il profilo del genere, si registra un sostanziale equilibrio con una lieve pre- ponderanza della componente maschile (55,6%). La disaggregazione del dato per settore di riferimento del corso IFTS frequentato, mostra come i settori che vedo- no una più significativa presenza femminile continuano ad essere quelli dei Beni Culturali, Servizi Sociali e Turismo. La presenza maschile si consolida, invece, nei settori di tradizionale appannaggio maschile, quali l’Industria e nel settore della Telematica, dell’Informatica e della Multimedialità. Complessivamente, si conferma la ripartizione percentuale dei corsisti per le diver- se classi di età considerate. Da segnalare, nel confronto triennale, il costante incre- mento di soggetti che dichiarano più di 31 anni e che nell’annualità di riferimen- to arrivano a rappresentare quasi il 16% dell’utenza complessiva. Rispetto a tale fenomeno, la filiera IFTS si sta connotando sempre di più, almeno per i corsisti più adulti, come un canale per la riqualificazione professionale che può facilitare un re-ingresso nel mercato del lavoro. La maggioranza dei corsisti è in possesso di un diploma di scuola media seconda- ria, anche se si continua a registrare l’incremento dei laureati, che arrivano ad assestarsi per l’annualità 2000/2001 quasi su 11 punti percentuali. Per quanto riguarda i diplomi di scuola superiore, si registra una ulteriore contra- zione dei corsisti provenienti dagli istituti tecnici commerciali per geometri e peri- ti aziendali. Continua a crescere la percentuale dei corsisti provenienti da indiriz- zi liceali, tanto che la quota di diplomati presso i licei classico, scientifico ed arti- stico assomma il 19,6% del totale degli utenti. La quota di corsisti privi del titolo di studio di scuola media secondaria superiore, pur non superando l’1,5% dell’utenza complessiva, risulta in crescita nel triennio e testimonia l’ampliamento delle chance formative anche a coloro che hanno pre- cedentemente abbandonato i percorsi scolastici. Risulta iscritta all’università una quota percentuale pari a circa il 25% dei fre- quentanti, con un leggero incremento rispetto alle annualità precedenti, quando la stessa percentuale si assestava intorno al 22%. Gli allievi lavoratori, dopo l’incremento registrato nell’annualità 1999/2000, torna- no ad assestarsi sul 32%. Si tratta prevalentemente di occupati con contratto di dipendenza a tempo pieno, collaboratori occasionali o dipendenti a tempo parziale. Nelle regioni del Nord Ovest si registra una occupazione caratterizzata da forme contrattuali a maggiore stabilità; nelle regioni del Sud prevalgono nettamente gli utenti non impegnati in attività lavorative. I lavoratori autonomi rappresentano ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 1 0 invece il 2,4% sul totale dei corsisti. In merito alla percentuale di corsisti occupati, rimane evidente il ricorso agli inter- venti IFTS come ulteriore momento di acquisizione di competenze, in gran parte correlate al percorso professionale già in atto. Ciò è confermato non solo dalla percentuale di utenti che afferma di aver parteci- pato al corso per avere maggiori opportunità di lavoro (48,8%), ma anche da una percentuale non trascurabile di utenti che hanno partecipato all’attività formativa con l’obiettivo di migliorare la loro posizione nell’azienda di appartenenza (4,4%). Inoltre, quasi il 40% dei corsisti afferma che la filiera IFTS ha costituito una buona opportunità formativa. Rispetto alle pregresse esperienze lavorative, è da segnalare che ben il 42,2% degli intervistati ha già svolto almeno un’attività professionale, percentuale che cresce progressivamente col crescere dell’età degli allievi ed è da porsi in relazione con i diversi contesti socioeconomici che caratterizzano ciascuna circoscrizione geografica. Le caratteristiche del percorso formativo Oltre il 70% degli interventi presenta una durata di 1.200 ore, confermando la tendenza registrata nelle due precedenti annualità rispetto al contenimento del monte ore previsto per l’offerta formativa, che può articolarsi fino ad un massimo di 2.400 ore secondo le attuali norme in vigore. Rispetto agli anni precedenti, continua a crescere in percentuale la quota dei corsi progettati per unità formative capitalizzabili (UFC), passando dal 16,2% dell’an- no 1998/99 al 21% dell’anno 1999/2000 e al 23,1% dell’anno 2000-2001. Al tempo stesso, si verifica una netta inversione di tendenza relativamente alle altre due modalità di esecuzione progettuale. La progettazione modulare scende con l’anno 2000-2001 al 34,9%, mentre la progettazione mista realizzata sia per moduli che per UFC, passa dal 12,6% dello scorso anno al 41,4% della presente annualità. Relativamente al rapporto tra attività d’aula e stage, previsto nella misura di un terzo sul totale del monte ore, si osserva come tale parametro sia sostanzialmente rispettato uniformemente nella quasi totalità dei corsi monitorati. A livello nazio- nale per circa il 40% dei corsi lo stage è stato organizzato in un unico modulo, rea- lizzato nella parte finale di corso; per la restante quota di corsi si è privilegiata l’al- ternanza tra aula e stage. Per quanto riguarda le metodologie didattiche utilizzate, il panorama appare piut- tosto variegato. Si evidenzia un elevato utilizzo di metodologie tradizionali, quali la lezione frontale che si conferma in leggero, ma costante, incremento rispetto agli 1 1 1 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE: L’ESPERIENZA ITALIANA E IL QUADRO PROSPETTICO EUROPEO anni precedenti (93%); cresce l’uso delle esercitazioni, che raggiunge un valore pari al 73,3 punti percentuali contro il 65% del precedente monitoraggio. Anche il lavoro di gruppo continua a manifestare un trend in crescita, con il 50,1% di docenti che vi ha fatto ricorso con ben 5 punti percentuali di incremento. La stessa tendenza viene registrata anche per le attività di laboratorio, che raggiun- gono il 39,7% contro il precedente 28%, mentre il 33% ha sviluppato ricerche multimediali con ben 13 punti percentuali di incremento rispetto alla precedente esperienza. Cresce, nel confronto tra i due anni, anche la quota di docenti che ha utilizzato metodologie didattiche attive quali il role playing e la simulazione, che passano dal 25,8% al 32,1%. Meno rilevante, ma comunque significativa, è la percentuale che riguarda il ricor- so a casi aziendali, che si attesta sul 24,6%, mentre ridotto è il ricorso a seminari (7,2%) e all’approfondimento individuale con esposizione in aula (12,1%). In con- tinuità con la precedente esperienza, l’adozione di metodologie didattiche diffe- renziate sembra essere complessivamente molto gradita agli allievi, il cui unico giudizio meno positivo è riservato alla partecipazione a conferenze e seminari. Le misure di accompagnamento, che rappresentano un ulteriore elemento di inno- vazione della nuova filiera, sono state ampiamente utilizzate in tutte le macro-aree territoriali. Nelle esperienze monitorate, queste consistevano in interventi di orien- tamento e informazione, counselling individuale. La soddisfazione dei soggetti Si mantiene elevato, nonostante una leggera flessione rispetto all’annualità prece- dente, il grado di soddisfazione di tutti gli attori coinvolti nei corsi (allievi, docen- ti, rappresentanti del partenariato, o altre figure interessate). In particolare, positive sono le valutazioni che i corsisti esprimono riguardo allo staff formativo in termini di accoglienza (complessivamente 71,6%). Nello speci- fico, viene premiata la capacità comunicativa dei docenti (94%) e la loro disponi- bilità (88,5%). I corsi continuano ad essere ritenuti spendibili nel mondo del lavoro. I corsisti che attribuiscono un buon grado di spendibilità al corso rappresentano il 67,4% del complesso degli intervistati. Il grado di soddisfazione è confortato anche dalla percentuale di coloro che affron- terebbero una nuova esperienza IFTS. La metà degli allievi, infatti, dichiara che si iscriverebbe ad un altro corso (50,2%), con un incremento di quasi 8 punti per- centuali rispetto allo scorso precedente. Nonostante il diffuso livello di soddisfazione, i responsabili dei corsi sottolineano ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 1 2 la complessità della conduzione di un intervento come quello IFTS caratterizzato da molteplici variabili. Tuttavia, è proprio la gestione di tale complessità e diver- sità a dimostrarsi fonte di grande soddisfazione per il loro delicato ruolo di media- zione. La maggior parte dei responsabili, a cui è stata rivolta una intervista di approfondimento, afferma che uno dei più importanti obiettivi raggiunti è stato quello di uscire rafforzati dalla partecipazione alla esperienza condotta, sia in ter- mini di relazioni sia in termini di competenze acquisite. In molti casi, l’esperienza condivisa si pone come la prima di una serie di nuovi progetti e nuove occasioni di cooperazione. Gli esiti occupazionali dei percorsi IFTS A circa un anno di distanza dalla conclusione dei corsi, la rilevazione degli esiti occupazionali dei percorsi di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS) completa e conclude il ciclo delle azioni di monitoraggio e valutazione relativo a ciascuna annualità di programmazione. I dai relativi all’ultima indagine, afferen- te all’annualità di programmazione 1999/2000, testimoniano che è il 50,8% degli ex corsisti a risultare occupato. Considerando che una quota degli occupati ha cambiato lavoro durante o al termine del corso IFTS, e che una quota di ex allie- vi era già occupato al momento dell’iscrizione al corso, i nuovi inserimenti occu- pazionali interessano il 34,7% del campione. Le differenze registrate nelle diverse macroaree geografiche sono da imputare prin- cipalmente agli indicatori relativi all’andamento dell’economia territoriale. Si deve però ricordare che, durante le attività di monitoraggio e valutazione dei corsi IFTS 1999/2000, era emerso un dato preoccupante relativamente al mancato rispetto delle indicazioni riguardanti lo stage che, spesso (e più frequentemente nelle regio- ni del Sud), era solo simulato, non rispettava il monte ore previsto, o si concentra- va più sulla valenza orientativa, che su quella formativa dell’esperienza. La disaggregazione degli occupati per sesso mostra, poi, quanto le donne ancora continuino a scontare le maggiori difficoltà per l’inserimento professionale. Sono, infatti, il 46% di loro ad essere occupate, contro il 54,3% dei colleghi uomini. Nel confronto tra la condizione professionale al momento dell' iscrizione al corso e quella relativa al momento dell’intervista, sono i giovanissimi, con un’età infe- riore ai 21 anni, ad essere stati facilitati nell’inserimento professionale. Le diffi- coltà maggiori, invece, si registrano per gli ultra 35enni che, pur risultando occu- pati nel 75,6% dei casi, fanno registrare una variazione di poco superiore al 9%. I corsi IFTS, dunque, sembrano rispondere in maniera adeguata all’obiettivo di facilitare un primo inserimento professionale, mentre sembrano essere meno inci- sivi rispetto alle problematiche connesse all’occupabilità dei soggetti più adulti e 1 1 3 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE: L’ESPERIENZA ITALIANA E IL QUADRO PROSPETTICO EUROPEO con difficoltà di inserimento già in essere. Rimane, infatti, pressoché invariata, così come avveniva anche nella prima annualità 1998/99, la percentuale di disoc- cupati ultra 35enni al momento dell’iscrizione al corso. Elementi per una prima valutazione L’analisi diacronica delle informazioni desunte dalle attività di monitoraggio e valutazione evidenzia alcuni elementi che caratterizzano lo sviluppo della filiera. In particolare, si ricorda che nell’arco del triennio si modifica in modo sensibile il profilo socio-culturale degli utenti coinvolti. Si registra, infatti, così come visto analiticamente nei paragrafi precedenti: - un aumento generalizzato dell’età media dei corsisti, soprattutto nelle Aree del Centro e del Sud; - un incremento dei corsisti in possesso di titoli di studio di livello universitario (circa 11%) provenienti, in prevalenza, da percorsi di laurea afferenti al gruppo umanistico; - un incremento di giovani in possesso di diploma conseguito presso il gruppo dei licei; - un incremento di corsisti privi del titolo di studio di scuola secondaria superiore, di età elevata che hanno per lo più maturato diverse esperienze professionali; - un assestamento della presenza di corsisti lavoratori che, pur con fenomeni oscil- latori nell’arco triennale, si stabilizzano intorno al 32% dell’utenza complessiva e che sono impiegati prevalentemente con contratto di dipendenza full time. Si delinea, dunque, il quadro di una utenza composita, caratterizzata da una mol- teplicità di aspettative ed obiettivi individuali, che si ripercuotono non soltanto sulle modalità di frequenza del percorso, e conseguentemente sul tasso di abban- dono, ma anche e soprattutto sui futuri esiti formativi ed occupazionali. Rispetto ai tassi di abbandono ad esempio, pur se si registra un calo rispetto al 34% registrato nella precedente annualità, è necessario considerare che ad oggi tale dato continua superare i 26 punti percentuali. Al momento, dunque si impone la necessità di sviluppare una maggiore flessibilità che impatti in modo sostanziale sia sull’organizzazione logistica, sia sulla pianifi- cazione delle attività didattiche e che prenda in esame gli strumenti disponibili per il riconoscimento delle competenze in ingresso. La complessità che pone una utenza così diversificata, si confronta con una scelta programmatica di strutturare i percorsi formativi in un monte ore relativamente ridotto. La problematicità di tale scelta è stata colta appieno dai responsabili dei corsi che, con una certa continuità nell’arco del triennio, segnalano nel 38,8% dei casi la difficoltà nel conciliare gli obiettivi formativi del percorso con i tempi da ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 1 4 destinare alla didattica. Rimane irrisolta la questione del riconoscimento dei crediti verso il sistema uni- versitario. Benché sia pari all’81,3% la percentuale dei corsi nell’ambito dei quali sono stati siglati accordi formali con le Università (contro il 64% dell’anno prece- dente), in quasi la metà dei casi, l’accordo si traduce in una lettera di intenti che vincola solo relativamente le facoltà coinvolte. Infine, alla luce della nuova normativa e, in particolare, della riforma del sistema di Istruzione e Formazione Professionale, introdotta con la legge 53/2003, emer- ge la necessità di rafforzare ulteriormente il segmento della formazione tecnica superiore. La riforma prevede, infatti, l’accesso alla formazione superiore non accademica direttamente al termine del quarto anno dei percorsi di istruzione e formazione professionale. Tale disegno determina un’apertura in senso verticale dell’opzione formativa professionalizzante, si muove in una logica di apprendimento perma- nente e può contribuire alla percezione di tale filiera quale valida alternativa ai percorsi scolastici. Il nuovo sistema prefigura, infatti, che i percorsi di istruzione e formazione pro- fessionale si articolino in un primo triennio, finalizzato al conseguimento di una qualifica professionale valida su tutto il territorio nazionale, e in un successivo anno di formazione, tale da garantire la prosecuzione del percorso nella formazio- ne superiore non universitaria. L’accesso alle università, per i giovani diplomati nel sistema di Istruzione e Formazione Professionale resta vincolato al superamento di un ulteriore anno integrativo. In tal senso, poiché il sistema di Istruzione e For- mazione Professionale include, pur modificandoli nelle caratteristiche e nei conte- nuti, i corsi di formazione professionale e i percorsi di istruzione professionale, di fatto si assisterà ad un progressivo aumento della domanda di formazione tecnica superiore. Emerge, dunque, anche in considerazione delle attuali caratteristiche degli utenti della filiera, la necessità di potenziare il canale di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore, in modo da poter accogliere i diplomati del gruppo dei licei, gli studenti universitari interessati ad acquisire competenze di tipo più professionalizzanti, i laureati interessati all’acquisizione di competenze spendibili per l’inserimento occupazionale e le giovani leve che, in uscita dai percorsi di istruzione e formazio- ne professionale, intendono proseguire il proprio percorso di studi nell’ottica di una ulteriore specializzazione. Da uno sguardo d’insieme, gli esiti delle attività di monitoraggio e valutazione delineano, comunque, un quadro relativo al sistema dell’Istruzione e Formazione Tecnica Superiore tutt’altro che omogeneo, sia rispetto al volume dei corsi e alla tempistica, sia rispetto alla qualità della formazione erogata. Il sistema, infatti, 1 1 5 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE: L’ESPERIENZA ITALIANA E IL QUADRO PROSPETTICO EUROPEO risulta ancora in fase di implementazione e non ancora in grado di garantire una valida chanche formativa di livello superiore in tutte le realtà regionali. Tale criti- cità, già significativa oggi, dovrà essere superata al momento della messa a regi- me della riforma del sistema di Istruzione e Formazione, per garantire pari oppor- tunità formative a giovani residenti nelle diverse aree del Paese. Tra le innovazioni più rilevanti che hanno contraddistinto la filiera, si ricorda, infine, l’individuazione degli standard minimi delle competenze di base, trasver- sali e tecnico professionali. L’applicazione degli standard minimi delle competen- ze di base e trasversali risulta, ad oggi, oggetto di una prima fase sperimentale che interessa tutti i percorsi IFTS programmati per l’anno 2002/03; la sperimentazio- ne degli standard minimi delle competenze tecnico professionali sarà avviata con la prossima programmazione. Per la prima volta, dunque, un sistema a titolarità regionale garantisce ai propri utenti l’acquisizione di competenze basate su stan- dard condivisi in esito ai percorsi, puntando sulla riconoscibilità del Certificato di Tecnico Superiore per favorire una maggiore mobilità dei lavoratori sul territorio nazionale e internazionale. La sperimentazione, supportata da specifiche attività di assistenza tecnica e di monitoraggio e valutazione, condotte dall’ISFOL per conto del Comitato Nazio- nale IFTS, rappresenta un passaggio determinante per la costruzione di un siste- ma di formazione superiore non universitaria, strutturato anche nell’ottica della verticalizzazione del sistema di Istruzione e Formazione Professionale. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 1 6 5. FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE. ESPERIENZE EUROPEE 5.1. La Formazione Professionale Superiore. Esperienze europee Introduzione Olga Turrini ISFOL Questa tavola rotonda, dal perimetro un po’ irregolare, raccoglie una serie di con- tributi abbastanza diversi tra loro, ma che hanno qualcosa in comune. Sono pertanto utili per aiutarci ad approfondire ulteriormente aspetti specifici del Seminario, se vogliamo mettere qualche altra tessera nel puzzle che si sta cercan- do di costruire, sulla base del quadro tracciato da Michele Pellerey nella relazione introduttiva e al quale hanno fatto seguito le riflessioni più politiche della tavola rotonda e gli approfondimenti delle relazioni di Anna D’Arcangelo sull’IFTS e Arduino Salatin sulla comparazione tra alcune soluzioni sperimentate nei Paesi dell’UE. I contributi di questa tavola rotonda sulle esperienze a confronto arricchiscono l’approfondimento della dimensione europea, che è la caratteristica dei convegni annuali del CIOFS-FP e che, come abbiamo visto, è ormai irrinunciabile nel con- testo dei processi di rinnovamento dei sistemi di istruzione e formazione. Inoltre, le esperienze di altri paesi ci offrono esempi concreti, utili per una riflessione su quali siano gli elementi, i criteri, i dispositivi, i modelli possibili per conseguire l’o- biettivo di costruire la filiera del sistema di istruzione e formazione professionale. Una parte degli interventi della tavola rotonda si riferisce al contesto italiano e una parte ad esperienze di altri Paesi, a completamento del quadro che si è già deli- neato nella prima parte del convegno. La relazione di Mauro Frisanco sulla sperimentazione del diploma di formazione professionale in provincia di Trento, illustra come la provincia di Trento si stia avviando alla costruzione della filiera, soffermandosi in particolare su un’espe- rienza specifica che è quella del quarto anno dopo la qualifica, uno dei pezzi da costruire, nelle Regioni, per consentire lo sviluppo verticale del sistema di istru- zione e formazione professionale. Il dibattito di questi giorni ha puntualizzato alcuni aspetti dell’università in rap- porto al sistema dell’istruzione e formazione professionale avviato con la legge 1 1 9 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE. ESPERIENZE EUROPEE 53/03. Non viene sottaciuta la preoccupazione degli spazi che l’università ha legit- timamente occupato in carenza di una filiera di formazione superiore non univer- sitaria. La riflessione sul contributo delle scienze pedagogiche alla formazione professio- nale superiore è stato il tema della relazione di Sergio Angori dell’Università di Siena. Il suo intervento ha messo in luce le esperienze che l’università può realizzare come partner di iniziative sulla istruzione e formazione professionale. Esso richiama un documento recente (aprile 2004) del Consiglio e della Com- missione Europea sullo Stato di Attuazione del percorso avviato dal Consiglio Europeo per adeguare i sistemi di istruzione e formazione professionale agli obiet- tivi di Lisbona per il 2010. Un passaggio di questo documento riguarda gli inse- gnanti e descrive l’importanza del rafforzamento e della motivazione della figura dell’insegnante e del formatore. Cito il punto in cui si dice che il successo delle riforme avviate dipende direttamente dalla motivazione e dalla qualità del perso- nale dell’istruzione e della formazione: si sollecita il fatto che gli Stati membri dovrebbero, conformemente alle leggi e prassi nazionali, mettere in atto provvedi- menti per rafforzare l’attrattiva della professione di insegnante e di formatore, prendendo iniziative per attirare talenti migliori verso tale professione e trattener- li con l’introduzione di buone condizioni di lavoro e di una adeguata struttura ed evoluzione delle carriere. Risulta interessante vedere come ci sia effettivamente anche in questi documenti, che affrontano le problematiche a tutto campo, la preoccupazione alla quale Angori si riferisce. Questa tavola rotonda ha arricchito le riflessioni di questi giorni, attraverso espe- rienze concrete realizzate in diversi Paesi europei. Queste riflessioni sono riferi- menti importanti non soltanto dal punto di vista dell’ingegneria del sistema, ma anche al fine di riuscire a puntualizzare le specifiche e l’identità di un sistema di formazione professionale superiore che sia di qualità e di utilità. Oltre alle riflessioni di tipo istituzionale, sono emersi spunti importanti dal punto di vista delle metodologie anche nel sistema dei valori e una serie di elementi che possono aiutare a vedere come caratterizzare (lo richiamava Michele Pellerey nel- l’introduzione) il sistema di formazione superiore in maniera peculiare rispetto a quella che è l’offerta dell’università. L’esperienza raccontata da Angel Miranda può offrire molti stimoli da questo punto di vista. Ritengo che l’attenzione agli aspetti metodologici, che accomuna tutti gli interventi, sia un aspetto molto importante da tenere presente. Tutto ciò è in linea con la riflessione che l’Europa ci chiede di fare e molto di quanto è stato richiamato vi trova un puntuale riscontro. L’intervento di Angel Miranda compie ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 2 0 riferimenti opportuni sulla trasparenza, sulla mobilità e su tutte le sollecitazioni che ci vengono dall’Europa e che in questa fase a livello comunitario vengono ripensate, soprattutto in una logica di rilancio. La fase attuale vede il prosegui- mento del cammino avviato con il programma “istruzione e formazione 2010”. Non credo che gli ambiziosi obiettivi definiti da Lisbona in poi verranno raggiun- ti per quella data, tuttavia è importante che un percorso sia stato avviato con obiettivi di qualità ed indicatori precisi e un metodo di cooperazione rafforzata tra Stati membri dell’Unione. C’è in ballo la riforma dei fondi strutturali. È interessante il riferimento che si faceva sul finanziamento. È vero che un sistema di istruzione e formazione inizia- le deve sostenersi finanziariamente e non può dipendere da procedure di bando, ma è anche vero che una serie di elementi di sostegno, che favoriscono l’innova- zione e la ricerca, possono provenire da altri tipi di finanziamenti che vanno cer- cati e gestiti in una logica manageriale. Da questo punto di vista l’utilizzo del Fondo Sociale Europeo o dei programmi comunitari è fondamentale e diventa un elemento ulteriore di impulso e di stimolo. Sono uscite in luglio le bozze dei nuovi regolamenti dei fondi strutturali. Cambierà di nuovo il quadro, ma da questo punto di vista i nuovi obiettivi, l’uno sulla con- vergenza e l’altro sulla competitività regionale e occupazione, saranno contenitori nei quali forse troverà ancora spazio un possibile sostegno del Fondo Sociale Europeo, che darà un impulso ulteriore ad un livello di innalzamento di qualità dei nostri sistemi. 1 2 1 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE. ESPERIENZE EUROPEE 5.2. La Formazione Professionale in Francia Martine Revel ICAM Nel corso del mio intervento, vi presenterò rapidamente le caratteristiche della for- mazione professionale e i suoi recenti sviluppi, prima di illustrarvi nel dettaglio il progetto da noi perseguito presso l’ICAM di Lille. L’Istituto Cattolico di Arti e Mestieri (ICAM) è un gruppo centenario di istituti di ingegneria, dislocati su tutto il territorio nazionale francese e in Africa. L’ICAM di Lille raggruppa in tutto 800 studenti. Il presente articolo vi illustra le nostre attività didattiche per i giovani che hanno interrotto il loro percorso scolastico e che seguono attualmente uno dei nostri indi- rizzi formativi professionalizzanti (CAP1, Diplomi professionali o BEP2). In qualità di istituto cattolico privato, ci battiamo per la difesa di tutta una serie di valori, riassunti nel nostro statuto. Il nostro progetto si propone come un per- corso che dia un esito positivo, ovvero come percorso di apprendimento pratico fondato sulla valorizzazione di ogni singolo individuo e delle proprie capacità. Si tratta in sostanza di dare fiducia agli studenti che formiamo, in maniera da infon- dere in loro un senso di autostima. Vi presenterò, in un primo momento, la nostra offerta di percorsi di apprendimento pratico, prima di soffermarmi sui nostri metodi pedagogici e sugli elementi che, a nostro avviso, aiutano i nostri studenti a farcela. Lo scenario della formazione professionale in Francia Qualche breve cenno sul contesto della formazione lavoro (o in alternanza) in Francia. La legge è stata appena modificata. I contratti di formazione lavoro, che consentivano ad uno studente di trascorrere per due anni la metà del proprio ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 2 2 1 L’acronimo francese sta per Certificat d’Aptitude Professionnelle, ovvero certificato di abilitazione professionale, corrispondente alla nostra licenza di istituto tecnico-professionale. 2 L’acronimo francese sta per Brevet d’Etudes Professionnelles, ovvero diploma di istituto tecnico-pro- fessionale. tempo in formazione in istituto e l’altra metà in azienda, sono ora diventati con- tratti remunerati e sono stati, pertanto, sostituiti da contratti di durata inferiore e maggiormente personalizzati. D’altro canto, da qualche anno assistiamo a due tendenze prevalenti: la prima indica un aumento dell’analfabetismo nella nostra popolazione, il che ci spinge a dedicare particolare attenzione ai metodi di sintesi e di lettura di documenti. La seconda tendenza indica una sempre maggiore predilezione dei giovani per gli indirizzi di formazione tramite apprendistato. 1. Valorizzare la formazione professionale La volontà dimostrata dai pubblici poteri di valorizzare il binario professionale comporta la sistematizzazione delle procedure che portano ad optare in modo positivo per questo binario, nonché la necessità di trovare una migliore articola- zione tra istruzione generale e istruzione professionale. In tale ottica, i pubblici poteri cercano di organizzare una migliore informazione dei discenti, dei docenti e dei genitori sulle attività lavorative che vengono forma- te nel quadro dell’istruzione professionale, rendendo, ad esempio, più generali i contatti tra scuola media e istituti professionali. È prevista fin dalla scuola media l’introduzione di dispositivi di alternanza, tesi a coniugare insegnamenti generali, insegnamenti professionali e scoperta di mestie- ri e attività lavorative in azienda. Un’ordinanza del 2 luglio 2004, relativa alla riforma della troisième3, prevede, per l’anno scolastico 2005, che si possa scegliere un corso dal titolo “scoperta profes- sionale”, della durata di tre ore settimanali, proposto a tutti gli allievi. Si potreb- be finanche prevedere un’opzione “intensiva” di sei ore a settimana, escludendo l’apprendimento di una seconda lingua straniera per allievi in grande difficoltà. Ponendosi come alternativa agli studi di base, una tale opzione costituisce una sorta di orientamento precoce. Per limitare gli abbandoni scolastici prima del conseguimento del diploma, si tende ad incoraggiare una maggiore attenzione ai desiderata degli allievi stessi, al fine di deciderne l’assegnazione ai diversi indirizzi. Vengono altresì predisposti dispositivi che consentono di optare ancora per l’istru- zione professionale al termine di un primo anno di scuola superiore con insegna- menti generali di base. 1 2 3 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE. ESPERIENZE EUROPEE 3 Si tratta dell’ultima classe del ciclo di scuola media inferiore, costituito da quattro anni in Francia, per cui riguarda allievi di età compresa tra 15 e 16 anni. 2. Il rinnovo dei diplomi: attori e obiettivi In Francia, il binario professionale prepara a: - circa 250 CAP (Certificat d’Aptitude Professionnelle) - 50 BEP (Brevet d’Étude Professionnelle ) - 48 diversi indirizzi di diploma professionale. I CAP devono permettere un immediato inserimento nel mondo del lavoro; i BEP permettono di prepararsi al conseguimento di un diploma professionale o tecnico. Il diploma professionale deve nel contempo rendere possibile un inserimento immediato nel mondo del lavoro ed il proseguimento degli studi, segnatamente attraverso il canale dell’istruzione superiore o terziaria. In tali condizioni, l’offerta ed il contenuto dei percorsi formativi devono essere in grado di evolvere continuamente, per rispondere alle esigenze del mercato del lavoro e garantire le migliori opportunità di inserimento professionale. Tre le strutture specializzate preposte a questo costante adeguamento: - l’Alto Comitato per l’istruzione, l’economia e il lavoro; - la Missione Istruzione, Economia e Lavoro; - le Commissioni consultive di categoria. L’Alto Comitato e la Missione lavorano di concerto e dipendono entrambi dal Ministero della Pubblica Istruzione, svolgendo essenzialmente un ruolo di analisi e sintesi in rapporto con gli altri ministeri e le altre istituzioni competenti in mate- ria di formazione, economia o lavoro. Le Commissioni consultive di categoria (CPC4), composte da rappresentanti dei datori di lavoro, dei lavoratori, dei pubblici poteri, nonché da personalità qualifi- cate in materia, sono direttamente preposte all’elaborazione dei programmi e dei diplomi. Esprimono il loro parere sulla creazione, sull’aggiornamento o sull’elimi- nazione di diplomi e titoli di studio tecnico-professionali, dal CAP al BTS5. Ogni anno, dette commissioni creano o modificano pertanto decine e decine di diplomi. Dal 2001, i pubblici poteri hanno accelerato i lavori per il rinnovo e l’aggiorna- mento dei due titoli fondamentali del binario della formazione professionale, il CAP e il BEP, con l’obiettivo dichiarato di offrire una garanzia sul valore di que- sti diplomi e di assicurare l’accesso di tutta una fascia di popolazione ad un diplo- ma che sia effettivamente qualificante. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 2 4 4 L’acronimo deriva dal nome in francese di tali Commissioni che è: Commissions Professionnelles Consultatives. 5 Si tratta del Brevet de Technicien Supérieur, ovvero Diploma di tecnico esperto. 3. Apprendistato: i progetti di rilancio e di ammodernamento Se da un lato la disoccupazione tra i giovani è elevata (i soggetti di età inferiore a 25 anni rappresentano il 17,5% del totale dei disoccupati), taluni settori (alber- ghiero, edilizia, artigianato, ecc.) trovano difficoltà nell’assunzione e reclutamen- to dei propri occupati. Nel giro di 15 anni, 550.000 imprenditori andranno in pen- sione nel settore dell’artigianato. Orbene, molti non riescono a trovare persone disposte a rilevare la loro attività. Malgrado ciò, l’apprendistato, che potrebbe rap- presentare una delle possibili risposte a tali esigenze, continua a soffrire di un’im- magine piuttosto negativa e anche in questi ultimi anni si continua a veder dimi- nuire il numero di apprendisti. Occorre, dunque, avviare una riflessione tesa a definire misure che consentano il rilancio e l’ammodernamento dell’istituzione dell’apprendistato. Il Consiglio dei Ministri del 25 febbraio 2004 ha approvato un piano di ammo- dernamento dell’apprendistato che fa leva sulle proposte presentate in un Libro Bianco. La filiera dell’apprendistato all’ICAM vede pertanto un continuo aumento delle domande di giovani che aspirano a diventare ingegneri. La formazione professionale presso l’ICAM Esistono tre grandi tipi di percorsi, di cui due riguardano la formazione al lavoro: - gli studenti futuri ingegneri tramite apprendistato, i quali vengono formati per tre anni alle mansioni di ingegnere. Trascorrono oltre il 50% del loro periodo for- mativo in azienda; - gli studenti che seguono percorsi formativi professionalizzanti del tipo CAP nel settore automobilistico, ovvero diploma professionale, piuttosto che diploma di tecnico della manutenzione, tanto per citare qualche esempio pratico. Si tratta nella maggioranza dei casi di studenti con grosse difficoltà scolastiche e, spesso e volentieri, anche con problematiche familiari; - la formazione continua degli adulti. Ci concentreremo adesso sul secondo tipo di percorsi di formazione tramite ap- prendistato, ovvero quello specificamente dedicato alla formazione di giovani con difficoltà scolastiche. 1 2 5 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE. ESPERIENZE EUROPEE a) I grandi principi: rispetto, interazione fra gruppi e soggetti diversi e progresso I. I nostri obiettivi Prepariamo questi giovani a sostenere un esame finale, dopo uno o due anni, a seconda del loro livello di partenza. Il nostro obiettivo ultimo è di consentire loro di trovare una collocazione nella nostra società, che li soddisfi e che consenta loro di guadagnarsi da vivere. Partendo dal principio secondo cui le qualifiche professionali rappresentano un importante fattore di progresso e concorrono ad una maggiore coesione sociale, l’ICAM ha istituito nel 1972 il suo Dipartimento per la formazione continua: il CEFTI-ICAM, il quale sviluppa, al fine di promuovere l’inserimento dei giovani, un’ampia offerta formativa a carattere tecnico e industriale, allineandosi alla politi- ca regionale definita dalle istanze competenti in materia di lavoro e di istruzione, o rispondendo “su misura” alle esigenze delle imprese. A tal fine, il Dipartimento può avvalersi delle risorse umane e materiali dell’ICAM. In termini molto concreti, gli allievi futuri ingegneri e i giovani tirocinanti del CEFTI-ICAM lavorano fianco a fianco, frequentando gli stessi luoghi e seguendo gli stessi laboratori: questa intera- zione apporta nel contempo agli uni di prendere coscienza dei giovani in difficoltà e agli altri di sentirsi valorizzati e di ottenere un riconoscimento. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: 23 allievi di ingegneria hanno deciso di organizzare per 30 di questi giovani un servizio di sostegno scolastico individualizzato. Si tratta di sedute che vengono effettuate in base ad un duplice volontariato e in cui ogni tirocinante è seguito sempre dallo stesso studente di ingegneria per tutta la durata del suo stage. Dal momento che una tale iniziativa si è dimostrata molto positiva, non c’è da fare altro che svilupparla anche negli anni a venire. Col suo progetto pedagogico aperto e partecipato e con la creazione del suo Centro di Formazione per i giovani in diffi- coltà, l’ICAM mette le proprie competenze al servizio della cittadina in cui ha sede, apportando il suo contributo in termini di esperienza e di capacità operative. II. I tipi di pubblico Accogliamo studenti appartenenti ad orizzonti e classi sociali molto vari. Ci è capi- tato, ad esempio, quest’anno, di ritrovarci nella stessa classe una madre e un figlio che desideravano entrambi conseguire il diploma! L’età media è di 17 anni, seb- bene sia possibile anche accogliere studenti più giovani. Riceviamo, altresì, stu- denti provenienti da paesi stranieri e che non hanno una buona padronanza della lingua francese. Le nostre classi sono in numero ristretto: formiamo, infatti, da 10 fino ad un massimo di 16 studenti per ogni tipo di indirizzo. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 2 6 III. Il legame con le imprese Godiamo di rapporti di stima e fiducia con molte imprese della nostra Regione, le quali sono diventate partner del nostro progetto. Non è insolito che un’impresa che accoglie uno dei nostri apprendisti ingegneri accetti di collocare in stage o forma- zione in azienda i nostri allievi che si preparano al conseguimento dei nostri certi- ficati o diplomi professionali. Ciònondimeno, ogni anno la ricerca di imprese disposte ad accogliere i nostri allievi si fa sempre più difficile. b) I metodi pedagogici Sono incentrati su un percorso che si vuole sia coronato dal successo. L’idea è quel- la di partire dal livello dei singoli allievi, che a inizio anno è tutt’altro che omoge- neo, per portarli, poi, al livello richiesto. Ci avvaliamo di casi o esempi tratti dalla quotidianità ed incoraggiamo gli studenti a stimolare e manifestare la propria curiosità. Vogliamo evitare di proporre loro quei metodi che si sono già rivelati fal- limentari per loro (come, ad esempio, stare seduti su una sedia e ricevere passiva- mente). Organizziamo, ad esempio, visite in azienda, visite a musei, offriamo loro la possibilità di andare a teatro a tariffe molto ridotte, ecc. Un allievo può pertanto arrivare a 16 anni e cominciare a prepararsi per il conse- guimento di un CAP e/o un BEP. Una delle nostre particolarità consiste nella capa- cità di prepararli alle due prove in meno di un anno (8 mesi in media). Successivamente, taluni desiderano continuare per il conseguimento di un diplo- ma professionale, ed infine noi eventualmente li orientiamo verso dei diplomi di tecnici esperti, il che offre loro la possibilità di continuare con l’istruzione supe- riore presso l’ICAM e, nella migliore delle ipotesi, anche di diventare ingegneri attraverso la filiera dell’apprendistato. Essi possono altresì proseguire gli studi negli Istituti Universitari di Tecnologia per il conseguimento del Diploma univer- sitario di tecnologia. c) Ma anche... i fattori indispensabili al successo Abbiamo potuto osservare che altri elementi contribuivano alla riuscita dei nostri allievi, in primo luogo la formazione umana: saper, ad esempio, costituire un grup- po coeso, ma anche partecipare ad una riunione, prendere la parola in pubblico, ecc. Né va dimenticata l’importanza di dotare i nostri allievi di senso critico sul- l’attualità e sulla loro situazione. Un’assistente sociale li aiuta a risolvere le loro difficoltà quotidiane, così come le attività sportive e i servizi di accoglienza e orientamento ad inizio anno sono altret- 1 2 7 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE. ESPERIENZE EUROPEE tanti elementi che rivestono una certa importanza. Infine, occorre aiutarli a for- mare il proprio personale progetto professionale, attraverso l’area lavoro. A guisa di conclusione, direi che i nostri percorsi formativi registrano esiti positivi abbastanza soddisfacenti. Procediamo secondo una logica di progresso continuo. È chiaro che non tutti i nostri allievi arrivano fino alla fine, a causa di difficoltà familiari e sociali che ne ostacolano il proseguimento del percorso formativo. L’impresa ha un importante ruolo da svolgere in quanto valorizza competenze e comportamenti diversi da quelli del contesto scolastico. La provenienza sociale così variegata dei nostri allievi consente a diverse tipologie di pubblico di incon- trarsi, questi incontri rappresentano un momento altamente formativo per tutti i nostri allievi. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 2 8 5.3. Verso la Formazione Professionale Superiore. La sperimentazione del diploma di formazione professionale in provincia di Trento Mauro Frisanco Provincia Auonoma di Trento Leggendo le motivazioni del presente Seminario di Formazione Europea, ho accol- to con entusiasmo l’invito a partecipare ai lavori per contribuire all’importante dibattito che si è aperto sul tema dell’effettiva pari dignità dei percorsi previsti nei due sottosistemi educativi - Licei, Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) - secondo le prospettive di attuazione del secondo ciclo della riforma del sistema educativo nazionale. Un principio di equivalenza che dovrebbe essere assicurato dalla presenza di uno schema comune di finalità educative, culturali e professio- nali - un unico “Profilo educativo, culturale e professionale” com’è quello abboz- zato nei documenti provvisori a supporto del percorso della riforma del secondo ciclo. A ben guardare, tuttavia, si coglie facilmente l’insufficienza di un comune Profilo (Pecup) quale garanzia dell’effettiva pari dignità dei percorsi di IeFP rispetto a quelli liceali e di pari opportunità per i giovani, in prospettiva, “no- liceali”. Mi riferisco, in particolare, alla necessità di assicurare anche a questa fascia di gio- vani - che nella nostra realtà è quantitativamente rilevante (la sola formazione professionale di base è frequentata da circa il 23% di ogni leva di licenziati della scuola media inferiore) - una progressione educativa e professionale “in verticale”, che in continuità con l’attuale offerta di percorsi triennali - per la realtà trentina anche quadriennali - consenta agli utenti della “base” un cammino che li porti ad essere operatori professionali, ma anche tecnici di livello intermedio e, nelle sue tappe più “alte”, quadri di buon livello. È questa una condizione fondante la sopravvivenza del sottosistema IeFP, altrimenti a rischio di deriva per un inevita- bile scarso appeal tra i giovani e le famiglie, nonché per incapacità di dare rispo- ste adeguate - nel senso quantitativo e di qualità differenziata del prodotto - alla domanda che il sistema economico rivolge specificamente all’istruzione e forma- zione professionale. 1 2 9 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE. ESPERIENZE EUROPEE Lo sviluppo, secondo quell’ottica di filiera che ancora oggi non c’è, della forma- zione professionale di base verso la formazione professionale superiore s’inserisce in un contesto di fabbisogno che per il Trentino, come per molte altre aree territo- riali, è fortemente caratterizzato: • dalla mancanza di tecnici e quadri nel mercato del lavoro, pur fortemente richie- sti dalle imprese. Ciò a causa della marcata tendenza alla licealizzazione, dovu- ta anche al quadro di incertezza che ancora caratterizza l’assetto del sistema di istruzione e formazione professionale; • da una domanda di rafforzamento del sistema dell’istruzione e della formazione professionale (IeFP), affinché l’apertura in senso verticale della scelta professio- nale possa contribuire alla percezione di tale filiera quale valida alternativa ai percorsi liceali, con progressivo aumento dell’utenza e disponibilità quantitativa di qualificati e di diplomati IeFP maggiormente dimensionata rispetto ai fabbi- sogni. Partendo da questo quadro generale, abbiamo ritenuto - congiuntamente con le Parti Sociali - non più rinviabile l’avvio di un percorso di lavoro per lo sviluppo della formazione professionale trentina verso il livello superiore, con necessità di “gettare le fondamenta” attraverso la sperimentazione dei quarti anni di diploma professionale. Cercherò, dunque, alla fine del mio intervento, di porre maggiore attenzione sugli aspetti che, alla luce dei primi riscontri avuti dalla sperimentazione, andranno ad implementare il percorso di messa a punto del modello di formazione superiore che il sistema trentino intende avviare nel 2005. Quanto mi appresto a illustrare, invece, sono le specificità della sperimentazione, giunta alla sua seconda annua- lità, dei quarti anni di diploma professionale, al fine di offrire una sintesi di tutti quegli elementi di possibile utilità per coloro che si avviano a programmare e pro- gettare questo “primo passo” verso la formazione professionale superiore. Prima di descrivere la sperimentazione ed i contributi che tale esperienza ha dato al percorso di lavoro per lo sviluppo della filiera della formazione professionale, ritengo importante ripercorrere brevemente alcuni elementi di contesto. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 3 0 Il contesto della sperimentazione Nello specifico, vale qui la pena richiamare brevemente alcuni aspetti in grado di mettere a fuoco il sistema della formazione professionale trentina1: l’evoluzione più recente, l’attuale assetto dell’offerta formativa, le piste di lavoro intraprese e trac- ciate in prospettiva, tenendo conto della nostra particolare situazione. Mi riferisco alla competenza primaria attribuita alla Provincia Autonoma di Trento in materia di addestramento e formazione professionale, in virtù dello Statuto Speciale e rela- tive norme di attuazione. Ciò implica che la Provincia Autonoma di Trento, pur essendo soggetta al quadro regolativo nazionale, ha ampio raggio d’azione in materia, soprattutto in termini di sperimentazione. Di qui il quadro fortemente innovativo e, per alcuni aspetti, anticipatorio, rispetto ad alcuni recenti schemi di azione di carattere nazionale, che caratterizza specificamente la realtà trentina sin dalla metà degli anni ’90. Il primo importante progetto di riqualificazione della formazione professionale è datato “1993” ed ha visto, per quanto riguarda alcuni dei principali aspetti che è qui importante sottolineare: • l’allungamento del percorso da due a tre anni; • l’arricchimento culturale del percorso, in particolare del biennio; • la connotazione fortemente professionalizzante del terzo anno di qualifica, con figure di riferimento a forte polivalenza, individuate in raccordo con il sistema produttivo provinciale; • l’adozione di un modello di sviluppo/manutenzione del sistema basato su un sistematico coinvolgimento delle imprese nella programmazione e nella verifica dei percorsi; • il perseguimento di modalità di integrazione con l’istruzione superiore e con il lavoro. Un quadro di contesto, che si è poi ulteriormente evoluto a seguito dell’avvio del Progetto di Innovazione - attualmente in corso - deliberato dalla Giunta Provinciale nel febbraio 2003. Un progetto che ha raccolto le “nuove sfide”. Nello specifico: • l’importanza della crescente centralità assunta dalla dimensione della “forma- zione alla cittadinanza”, in aggiunta a quella della “formazione alla professio- 1 3 1 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE. ESPERIENZE EUROPEE 1 Il sistema della formazione professionale trentina iniziale coinvolge 3.200 allievi, mediamente il 22% di ogni leva di licenziati della scuola media inferiore, ed è attualmente articolato in: un primo anno di Macrosettore, fortemente propedeutico, polivalente ed a carattere orientativo (sono attivati otto Macrosettori); un secondo anno di Famiglia Professionale, che si contraddistingue per un ambito professionale distintivo e peculiare, riconducibile ad uno specifico Macrosettore e declinabile in una o più qualifiche (sono attivate 11 famiglie professionali); un terzo anno di Qualifica (sono previste 19 Qualifiche Professionali). nalità”, in conseguenza del mutato quadro economico e sociale, dell’affermarsi di nuovi modelli organizzativi e del lavoro, nonché dei recenti indirizzi naziona- li ed europei; • la necessità di sviluppare la filiera formativa della formazione professionale ini- ziale, attraverso ulteriori percorsi di formazione successivi al conseguimento della qualifica triennale; • la necessità di favorire una maggiore continuità tra la formazione professionale iniziale e quella permanente lungo l’intero arco della vita attiva; • l’esigenza di rispondere alle aspettative sempre più diffuse tra i giovani e le loro famiglie, riguardo all’intrapresa di percorsi formativi che consentano transizio- ni tra istruzione e formazione professionale, dunque di riorientamento delle scel- te formativo-professionali senza particolari preclusioni. Gli obiettivi della sperimentazione La sperimentazione del quarto anno di diploma professionale2 è stata avviata nel- l’anno formativo 2003/2004, perseguendo due macro-obiettivi: il miglioramento della qualità complessiva dell’offerta formativa iniziale; l’avvio della costruzione di una filiera che assegni agli utenti del canale della formazione professionale un’effettiva pari opportunità di crescita della propria personalità e della capacità di auto-costruzione di se stesso in tutti i campi dell’esperienza umana, sociale e professionale. Sul primo versante, attraverso una forte integrazione delle imprese nel processo formativo e dunque, un più forte collegamento dell’offerta con l’evo- luzione della domanda nei contesti lavorativi, la sperimentazione risponde alla necessità di avviare uno sviluppo dell’offerta formativa volta sia a sopperire alla significativa vacancy - a livello intermedio - di figure professionali tecniche nel mercato del lavoro trentino, sia nell’ottica della promozione e dell’anticipazione dell’innovazione nei contesti lavorativi che tradizionalmente “reclutano” i giovani qualificati. Ai fini dello sviluppo verticale della filiera formativa, invece, la speri- mentazione del quarto anno è stata attivata perché tappa obbligata per chi vuole guardare - come sistema e come utente - alla formazione professionale superiore. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 3 2 2 L’avvio della sperimentazione ha previsto l’attuazione di 7 corsi pilota, riferiti a 5 famiglie profes- sionali, per un totale di 70 partecipanti. Le imprese/organizzazioni coinvolte complessivamente, a livello progettuale e di realizzazione del percorso, sono state più di 80. Il quarto anno di diploma: finalità, scelte e strategie metodologiche In coerenza al quadro più ampio di ciò che il giovane deve sapere, fare ed agire alla fine del quadriennio, il quarto anno di diploma offre ai giovani la possibilità di elevare le competenze di base e professionali acquisite nel triennio iniziale; ciò al fine di favorire una più chiara identità personale e professionale, una maggiore consapevolezza riguardo alle proprie attitudini, aspirazioni e attese connesse al ruolo lavorativo che si intende assumere in prospettiva. Tali finalità di carattere generale del quarto anno trovano una più articolata descrizione nella cornice rap- presentata dal Profilo educativo, culturale e professionale (Pecup) dello studente al termine del percorso formativo quadriennale. A livello provinciale, si è infatti adottato, quale elemento fondante, la progettazione del quarto anno, un Pecup di grado più elevato rispetto a quello di riferimento per la qualifica professionale triennale. Nella prospettiva di “sviluppo” delle competenze di base e professiona- li, propria del quarto anno rispetto al triennio, coloro che portano a termine il per- corso quadriennale sono posti nella condizione di: • acquisire, per quanto riguarda lo sviluppo della dimensione educativa, maggio- re curiosità ed interesse nei confronti della realtà intesa come entità complessa, essere maggiormente consapevoli delle proprie responsabilità e potenzialità, col- locarsi, con una maggiore dotazione di strumenti culturali e metodologici, in modo attivo e critico nella vita individuale, sociale e professionale, dare prova di maggiore responsabilità, indipendenza e intraprendenza nell’affrontare e risol- vere i normali compiti o problemi della vita quotidiana riguardanti la propria persona, il contesto educativo, la sfera professionale, rafforzare la capacità di interagire con la realtà al fine di affinare il progetto personale e professionale; • acquisire, per quanto riguarda lo sviluppo della dimensione culturale, una mag- giore padronanza degli strumenti culturali e metodologici che consentono di porsi criticamente di fronte alla realtà, di affrontare compiti o problemi di mag- giore complessità, di interpretare la società e la cultura contemporanea; dispor- re di un patrimonio lessicale ed espressivo, anche in lingua straniera, più ampio e sicuro; padroneggiare maggiormente le forme moderne della comunicazione e degli strumenti espressivi diversi dalla parola, tra loro integrati o autonomi; disporre di una più elevata capacità di utilizzo degli strumenti culturali (anche matematici) necessari per la comprensione dei processi socio-economici e della realtà naturale; di una maggiore capacità di ascolto, di dialogo, di confronto, di elaborazione, di espressione e di argomentazione delle proprie opinioni, idee e valutazioni per l’interlocuzione culturale, la collaborazione e la cooperazione con gli altri; di una maggiore disposizione all’assunzione nella vita quotidiana e pro- fessionale di comportamenti volti ad assicurare il benessere e la sicurezza perso- 1 3 3 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE. ESPERIENZE EUROPEE nale e sociale; di una più consolidata capacità di avvalersi consapevolmente e criticamente delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione; • incrementare, per quanto riguarda lo sviluppo della dimensione professionale, le competenze di tipo gestionale ed organizzativo ed approfondire quelle tecnico-pro- fessionali. Nello specifico, alla fine del quadriennio, l’allievo è in grado di interve- nire nei processi di lavoro con competenze di programmazione, verifica e coordina- mento, sapendo assumere gradi soddisfacenti di autonomia e di responsabilità3. Per quanto riguarda l’approfondimento sul versante tecnico-professionale è da sottolineare, per un’effettiva comprensione dei punti di arrivo del diploma, l’ap- proccio che si è seguito nella ridefinizione degli obiettivi professionali del triennio, in funzione dell’attuazione dei quarti anni. In particolare, in continuità all’impo- stazione seguita nel 1996, la ridefinizione degli obiettivi formativi del triennio - per quanto concerne le figure professionali di riferimento delle qualifiche - è avve- nuta tenendo conto della necessità di individuare, rispetto alle varie famiglie pro- fessionali, figure polivalenti, dotate di competenze a largo spettro, che possono successivamente - in un’evoluzione verticale o orizzontale delle stesse (quarto anno di diploma professionale o specializzazioni postqualifica) - trovare “curva- ture” verso particolari applicazioni di processo e/o di prodotto/servizio. In parti- colare, per quanto riguarda quest’ultimo aspetto - la continuità formativa dopo il triennio di base per lo sviluppo verticale oppure orizzontale della figura professio- nale secondo un’ottica di filiera formativa - il percorso di lavoro congiunto “siste- ma di formazione professionale/imprese” ha previsto uno specifico confronto riguardo alle opportunità formative successive alla qualifica da prevedere nell’im- mediato e/o prevedibili nel medio periodo. Di conseguenza, l’impostazione gene- rale della figura di riferimento della qualifica professionale è stata formulata attri- buendo a questo livello di intervento/acquisizione (la tipologia e il livello di com- petenze raggiunti all’uscita dal triennio) la connotazione di “livello base”, sul quale innestare successivamente coerenti e/o particolari sviluppi delle applicazio- ni del processo di lavoro e/o specifiche tipologie di prodotto/servizio di riferimen- to delle qualifiche rilasciate. Di qui le ipotesi di sviluppo della filiera rispetto al quarto anno di diploma, con indicazioni di conferma delle sperimentazioni dei diplomi già attivate, di orientamento dell’allargamento della sperimentazione, e l’individuazione di un primo repertorio di figure di riferimento dei diplomi di for- mazione professionale. Sul piano delle scelte e della strategia metodologica di fondo, il quarto anno di ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 3 4 3 Ciò in coerenza alla corrispondenza del diploma, rilasciato al termine del percorso quadriennale, a figure tecniche che la classificazione europea dei livelli di attività professionale (ECTS) colloca a livello 3 rispetto al livello 2 di riferimento per le figure di operatore/addetto associate all’attestato di qualifica professionale triennale. diploma si caratterizza per la valorizzazione dell’alternanza formativa4 come mezzo: • per favorire un’accelerazione della crescita educativa e professionale della per- sona, essendo l’esperienza in ambiente lavorativo congiunta in maniera sistema- tica con la pratica riflessiva; • per l’acquisizione di competenze professionali riferite ad ambiti e processi lavo- rativi, rispetto ai quali l’efficacia di apprendimento dipende dal contatto forte con il contesto lavorativo, dunque sia dall’integrazione dell’impresa nella for- mazione erogata nel Centro di Formazione Professionale, sia dall’esperienza for- mativa realizzata nel contesto aziendale; • per assicurare un’adeguata credibilità e appetibilità5 dell’offerta per i giovani qualificati (e per i loro genitori), altrimenti fortemente attratti dal mercato lavo- ro, data la facilità con la quale la qualifica professionale può essere spesa per un pressoché immediato inserimento lavorativo6. Tale approccio metodologico ha, dunque, richiesto, quale elemento fondante l’at- tuazione del quarto anno di diploma, il pieno riconoscimento e la valorizzazione del ruolo formativo dell’impresa che si affianca e si integra con il sistema della for- mazione. Un ruolo significativamente più ricco di quello che siamo abituati ad attribuire alle organizzazioni produttive - penso alle esperienze di stage previste nel triennio di base - dati anche gli obiettivi più “alti” dell’esperienza formativa che il modello progettuale del quarto anno prevede per il contesto aziendale. Nello specifico, è importante sottolineare che alla formazione nel contesto lavorativo è attribuito l’obiettivo di sviluppare maggiori capacità di comprendere tutta la spen- dibilità dei saperi e delle abilità acquisite/acquisibili, di scoprire e di riconoscere il fine di ciò che si apprende e di ciò che si utilizza, di riflettere sull’ambiente nel quale si è chiamati a operare, su quello che si è chiamati a fare, su ciò che è neces- sario possedere in termini di conoscenze, abilità e comportamenti per affrontare adeguatamente compiti o problemi di varia natura, su cosa è utile e importante 1 3 5 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE. ESPERIENZE EUROPEE 4 Il tempo di formazione nell’ambiente di lavoro è compreso tra un minimo del 40% ed un massimo del 50% della durata complessiva del quarto anno, pari a 1.100 ore. Allo stato, la sperimentazione non prevede quarti anni a tempo pieno. 5 Ovviando al rischio di non “avere utenza”, come spesso è accaduto per i corsi brevi di perfeziona- mento, previsti dopo il conseguimento della qualifica professionale. 6 Il fabbisogno di qualifiche espresso dalle imprese trentine è, in riferimento al quadriennio 2001- 2004, nell’ordine del 35% delle assunzioni previste e riservate a coloro che hanno livelli di scolarità e formazione superiori alla licenza di scuola media inferiore (Fonte: Excelsior, Unioncamere, risul- tati per la provincia di Trento, anni vari). I livelli di occupazione dei qualificati a 18 mesi dal con- seguimento dell’attestato superano negli ultimi anni il 90% per la quasi totalità dei percorsi. Per i settori professionali più forti i tempi di inserimento sono inferiori ai 30 giorni dal conseguimento del- l’attestato (Fonte: OML, Trento, anni vari). apprendere. Più in generale, l’alternanza tra momenti di formazione - personaliz- zata - nel contesto del centro di formazione professionale (aula e laboratorio) e in quello aziendale, favorisce - come si è potuto cogliere dall’attività di monitoraggio e valutazione rivolta ai partecipanti e tutori (di centro e aziendali), coinvolti in questo primo momento di sperimentazione - maggiori capacità di combinare tra loro in maniera creativa e funzionale conoscenze, abilità e atteggiamenti nell’otti- ca dell’acquisizione di competenze personali, sociali, cognitive e di apprendimen- to, come presupposto per meglio comprendere i fenomeni del mondo del lavoro nella loro reale complessità, per integrarsi ed assumere ruoli tecnico-professionali impegnativi (competenza professionale attesa). Aggiungo, a completamento degli aspetti che caratterizzano la formazione in azienda, alcuni altri importanti elementi che hanno guidato la progettazione di questa componente del percorso formativo: • i periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro possono essere svolti, oltre che in aziende e/o organismi operanti sul territorio, anche in imprese simu- late; • le aziende partner per lo svolgimento della formazione nel contesto lavorativo devono avere adeguate caratteristiche per essere considerate “imprese formative7” e devono essere significative sotto il profilo delle competenze da acquisire e par- ticolarmente innovative in termini di processo, di prodotto, di mercati, di tecno- logie impiegate, di sviluppo organizzativo; • le aziende partner per lo svolgimento della formazione nel contesto lavorativo possono essere collocate anche al di fuori del territorio provinciale e/o all’estero; • laddove gli obiettivi generali e specifici del percorso comprovino la necessità e la valenza di un percorso multi-esperienziale, possono essere previste esperienze formative in più aziende per lo stesso partecipante. Al fine del pieno riconoscimento e la valorizzazione del ruolo formativo dell’im- presa che si affianca e si integra con il sistema della formazione, il quarto anno di diploma viene attivato solo a seguito della presentazione ed approvazione di una specifica ipotesi progettuale elaborata dalla Partnership di Progetto. La costitu- zione della Partnership di Progetto8 è elemento fondante la progettazione e l’at- tuazione del quarto anno ed è composta dal centro di formazione professionale e da una rete di imprese e/o di organismi. Ne consegue come, sin dalla predisposi- zione e presentazione dell’ipotesi progettuale, la Partnership di Progetto sia chia- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 3 6 7 Da sottolineare il rilevante contributo dato dalle associazioni imprenditoriali nell’individuazione di imprese adatte, per il loro specifico contesto, a partecipare alla progettazione e attuazione dei quar- ti anni. 8 La Partnership di Progetto deve essere formalizzata in un Accordo di Collaborazione tra il centro di formazione professionale, le imprese e gli eventuali altri organismi. mata ad assumere un approccio di cooperazione attiva, con definizione congiunta, oltre che degli obiettivi, anche dei ruoli e delle responsabilità di ciascun partner. Nello specifico la Partnership di Progetto: elabora l’ipotesi progettuale; individua le imprese che ospiteranno gli allievi in formazione; valida i piani di formazione presso il centro di formazione professionale e presso le imprese; valida il disposi- tivo tutoriale di sostegno degli allievi presso il centro di formazione professionale e nelle imprese; effettua il monitoraggio dell’andamento del percorso formativo nella sua globalità; valuta gli esiti finali del percorso formativo. Il modello progettuale del quarto anno di diploma si fonda, inoltre, su un’archi- tettura generale dell’impianto che possiamo definire a “pettine” (cfr. schema alle- gato). Sono previsti: • un’area di formazione unitaria rispetto agli ambiti tecnico-professionali di rife- rimento individuati dalla Partnership di Progetto tra quelli indicati come priori- tari dalla Programmazione Annuale adottata dall’Amministrazione Provinciale9; tale area è rivolta all’intero gruppo classe; • uno o più ambiti tecnico-professionali, a seconda dell’articolazione quanti-qua- litativa di posti di formazione offerti dalle organizzazioni produttive partecipan- ti al quarto anno; ogni ambito è frequentato da un sottogruppo - al limite anche da un solo studente - del gruppo classe. La struttura “a pettine” del quarto anno è stata adottata soprattutto per garanti- re una costante stabilità dell’offerta, condizione sine qua non per prefigurare lo sviluppo verticale della filiera formativa. Si ovvia in questo modo, infatti, a rischi di rapida saturazione del mercato del lavoro, date le specificità che molti dei pro- fili professionali in uscita presentano10, e alla conseguente possibile difficoltà - per mancanza di imprese partecipanti - nel garantire ogni anno questa opportunità formativa. Vi è poi, la possibilità di offrire ai partecipanti ambiti di formazione “mirati” che possono meglio incontrare le attese di rafforzamento - rispetto all’e- sperienza del triennio - della personalizzazione del curricolo formativo; elemento, 1 3 7 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE. ESPERIENZE EUROPEE 9 L’Amministrazione Provinciale stabilisce, attraverso il Programma Annuale delle attività formative, implementato dai risultati della rilevazione sistematica dei fabbisogni formativi a livello provincia- le, le aree tecnico-professionali di riferimento dei quarti anni che possono essere attivati nell’anno, indicando le priorità di intervento e le qualifiche coerenti per l’accesso ai vari percorsi formativi. A supporto della progettazione vengono emanate specifiche Linee Guida prescrittive per la redazione del progetto; quest’ultima avviene attraverso specifici formulari. 10 Valga come esempio per tutti, il quarto anno rivolto a coloro che hanno conseguito la qualifica di autoriparatore e che offre opportunità di sviluppo delle competenze nel settore della diagnostica, in quello della riparazione dei veicoli industriali, dei motocicli, dei mezzi agricoli. Un’offerta di un intero gruppo classe in qualità di tecnici della sola area diagnostica potrebbe, infatti, generare rischi di saturazione del mercato con elevati livelli di non coerenza degli inserimenti professionali, già a partire dalla seconda annualità dell’attuazione. che gioca un ruolo importante sull’appeal di tale annualità, dunque sulla propen- sione a proseguire dopo il conseguimento dell’attestato di qualifica professionale. Va tuttavia precisato che, indipendentemente dagli ambiti tecnico-professionali di riferimento attivati dalla Partnership di Progetto, il diploma professionale rila- sciato alla fine del percorso è unico, con specificazione nell’Allegato dell’ambito frequentato. I diplomi provinciali di formazione professionale, la valutazione e la certificazione I diplomi provinciali di formazione professionale, istituiti con Legge Provinciale n. 7/2004 (art. 12) di modifica e di integrazione dell’art. 9 della Legge Provinciale n. 21/1987, sono in totale quattordici e fanno riferimento a tutte le famiglie pro- fessionali del sistema della formazione professionale di base trentino. Sono stati istituiti i seguenti diplomi: • Diploma di Tecnico Agricolo (qualifiche professionali di accesso: “operatore/trice alle lavorazioni agricole e ambientali”) • Diploma di Tecnico Meccanico (qualifiche professionali di accesso: “operato- re/trice alle lavorazioni meccaniche”, qualifica di “operatore/trice alle lavora- zioni di carpenteria metallica”) • Diploma di Tecnico Elettromeccanico (qualifiche professionali di accesso: quali- fica di “operatore/trice alle lavorazioni meccaniche”, qualifica di “ripara- tore/trice di autoveicoli”, qualifica di “operatore/trice elettrico”, qualifica di “operatore/trice elettronico”) • Diploma di Tecnico Elettrico (qualifiche professionali di accesso: qualifica di “operatore/trice elettrico”, qualifica di “operatore/trice elettronico”) • Diploma di Tecnico Elettronico (qualifiche professionali di accesso: qualifica di “operatore/trice elettronico”, qualifica di “operatore/trice elettronico”) • Diploma di Tecnico Edile (qualifiche professionali di accesso: qualifica di “ope- ratore/trice professionale edile”) • Diploma di Tecnico Impianti Termici (qualifiche professionali di accesso: quali- fica di “operatore/trice termoidraulico”) • Diploma di Tecnico del Legno (qualifiche professionali di accesso: qualifica di “operatore/trice alle lavorazioni di falegnameria”) • Diploma di Tecnico dell’Abbigliamento (qualifiche professionali di accesso: qua- lifica di “operatore/trice abbigliamento”) • Diploma di Tecnico Grafico (qualifiche professionali di accesso: qualifica di ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 3 8 “operatore/trice di prestampa”, qualifica di “operatore/trice di stampa”) • Diploma di Tecnico dei Servizi Alberghieri e della Ristorazione (qualifiche pro- fessionali di accesso: qualifica di “operatore/trice ai servizi di cucina”, qualifica di “operatore/trice ai servizi di sala-bar”, qualifica di “operatore/trice ai servizi di ricevimento”) • Diploma di Tecnico dei Servizi di Impresa (qualifiche professionali di accesso: qualifica di “operatore/trice ai servizi di impresa”) • Diploma di Tecnico delle Vendite (qualifiche professionali di accesso: qualifica di “operatore/trice ai servizi di vendita”) • Diploma di Tecnico dei Trattamenti Estetici (qualifiche professionali di accesso: qualifica di “acconciatore/trice”, qualifica di “estetista”). Sul piano della valutazione e della certificazione degli apprendimenti: • l’attuazione del quarto anno è accompagnata da adeguati dispositivi, individua- ti e gestiti dalla Partnership di Progetto, di monitoraggio e di valutazione in iti- nere del percorso formativo nel suo complesso e delle competenze raggiunte nelle varie fasi formative dagli allievi; • lungo l’intero percorso è previsto - secondo step decisi dalla Partnership di Progetto - adeguate modalità di comunicazione e di informazione dei genitori riguardo l’andamento complessivo dell’esperienza ed i livelli di raggiungimento degli obiettivi specifici di apprendimento da parte dell’allievo; • al termine del percorso, l’ammissione all’esame finale per il conseguimento del diploma è prevista per gli allievi che abbiano frequentato almeno il settanta per- cento della durata complessiva del percorso formativo e che abbiano ottenuto, in sede di valutazione del percorso, almeno cinquanta punti degli ottanta previsti. La valutazione del percorso è formulata dal “team di progetto” composto dai docenti del corso, dal tutor/referente del corso e da uno o più tutor aziendali designati dalla Partnership di Progetto. Il “team di progetto” perviene alla valu- tazione del percorso analizzando il portfolio, inteso come raccolta significativa della documentazione relativa al percorso effettuato dall’allievo, sia presso l’a- zienda sia presso il centro di formazione professionale; a tal proposito assume particolare rilievo il diario dell’allievo, quale strumento di autonarrazione, di “risonanza interna” di ciò che l’allievo fa quotidianamente, dunque di percezio- ne dei livelli di competenza raggiunti e delle necessità di sviluppo, rinforzo e approfondimento successivo; • l’esame finale prevede un colloquio volto a verificare la preparazione dell’allie- vo in termini di riflessione sull’esperienza formativa, acquisizione di un’identità professionale e aspirazioni lavorative. Durante il colloquio, l’allievo, utilizzando il portfolio, sottolinea le competenze acquisite, ne illustra le specificità e le rica- 1 3 9 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE. ESPERIENZE EUROPEE dute sulla propria professionalità anche dal punto di vista della spendibilità nel mercato del lavoro, rappresentando le proprie aspettative e aspirazioni anche nell’ottica di un’ulteriore crescita attraverso la formazione permanente. Il peso percentuale dei diversi elementi che determinano la valutazione finale è il seguente: 80% alla valutazione dell’intero percorso formativo attraverso gli ele- menti contenuti nel portfolio; 20% alla valutazione dell’esame. Il punteggio minimo per il conseguimento del diploma è di sessanta centesimi; • la certificazione finale si basa sulla consegna all’allievo del Diploma e di un Allegato che specifica: l’area tecnico-professionale di riferimento del diploma, gli obiettivi, le caratteristiche del percorso formativo frequentato (metodologia, durata, articolazione, tipologia dei contesti nei quali è avvenuta la formazione, tematiche ed aspetti affrontati, ecc.), la valutazione finale, i riferimenti norma- tivi e istituzionali, il livello ECTS di inquadramento, le modalità di valutazione e di esame finale. Le ricadute della sperimentazione nell’ottica dello sviluppo della filiera formativa Concludo con qualche breve considerazione sui contributi che tale esperienza ha dato al percorso di lavoro che abbiamo finora compiuto per lo sviluppo verticale della filiera della formazione professionale. In generale, la sperimentazione ha finora: • consentito, grazie all’ampio consenso che si è creato attorno all’esperienza, di delineare, dal punto di vista metodologico, un possibile modello di riferimento sia per la programmazione strategica sia per la progettazione di un percorso for- mativo in continuità rispetto al quadriennio; in particolare, il modello proget- tuale, caratterizzato da una consistente alternanza formativa, ha prodotto un importante patrimonio di elementi (buone pratiche, strumenti di azione) da tra- sferire al setting progettuale della formazione professionale superiore, a partire dal rilevante e reale coinvolgimento delle imprese; • prodotto, attraverso il coinvolgimento delle imprese, alcuni esempi di sviluppo della filiera per le diverse famiglie professionali, che tengono conto delle compe- tenze realmente conseguibili al termine triennio e di quelle che possono essere invece raggiunte con il conseguimento di un diploma professionale oppure di un diploma professionale superiore. Si veda l’esempio dello sviluppo della famiglia professionale legno riportato nella figura allegata; • favorito la messa a modello, nell’ambito della formazione professionale, della “logica pattizia” e della partnership su base territoriale, come condizione per il ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 4 0 miglioramento della qualità del servizio e dell’offerta formativa; • evidenziato quali possono essere le strade di lavoro e di approfondimento da intraprendere, nel breve periodo, per la ricerca di quei setting formativi fondan- ti un framework di riferimento “non d’eccellenza formativa”, come potrebbero rilevarsi nel tempo i percorsi di proseguimento, oltre la qualifica professionale, basati esclusivamente sull’alternanza; • offerto elementi utili per il riassetto dell’intero triennio e per lo sviluppo di nuovi modelli organizzativo-didattici dei centri di formazione professionale. Tutti questi elementi sono incoraggianti ed importanti e non vi è dubbio che que- sta sperimentazione “getta” e “consolida” - con questa seconda annualità di quar- ti anni che sta per partire a giorni - le fondamenta del ponte verso la formazione professionale superiore, di un trampolino che possa in prospettiva non precludere ai giovani della formazione professionale di base la possibilità di essere “lavorato- ri della conoscenza”. È in questo modo che anche la formazione professionale può mostrare tutte le sue grandi potenzialità nel dare risposta non solo ai fabbisogni formativi espressi dalle imprese, ma soprattutto alle esigenze di crescita delle eco- nomie in una prospettiva - per l’individuo - di equità e di promozione sociale. 1 4 1 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE. ESPERIENZE EUROPEE Diploma di formazione professionale TECNICO DEL LEGNO (vari indirizzi) Attestato di qualifica professionale OPERATORE/TRICE ALLE LAVORAZIONI DI FALEGNAMERIA Frequenza Famiglia Professionale LEGNO Frequenza Macrosettore LEGNO 7 6 55° 4 3 2 1 Esame di Stato 1 - Laurea 2 - Laurea 3 - Laurea 1 - Laurea specialistica 2 - Laurea specialistica Diploma professionale superiore Tecnico superiore di industrializzazione del prodotto e del processo del legno Tecnico di progettazione e design dell' arredamento Altre figure tecniche..... 24 22 21 19 18 17 14 Pr ov in ci a A ut on om a di T re nt o - S er vi zi o Fo rm az io ne P ro fe ss io na le Et à Ipotesi di sviluppo e articolazione della filiera formativa 14-21 anni Famiglia Professionale Legno Li ve llo 2 - EC TS Li ve llo 3 - EC TS Li ve llo 4 - EC TS ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 4 2 Impianto del quarto anno di diploma professionale: modello di riferimento 4°anno - Macrosettore XXXXX - Area tecnico professionale XXXXX Diploma formazione professionale TECNICO XXXXX "A" Diploma formazione professionale TECNICO XXXXX "B" Diploma formazione professionale TECNICO XXXXX "C" Diploma formazione professionale TECNICO XXXXX "D" Diploma formazione professionale TECNICO XXXXX Allegato al diploma Formazione di ambito di riferimento A Formazione di ambito di riferimento B Formazione di ambito di riferimento C Formazione di ambito di riferimento D Area di formazione "riflessiva" personalizzata Impresa Centro di Formazione Professionale Area di formazione unitaria rispettto agli ambiti attivati Pr ov in ci a A ut on om a di T re nt o - S er vi zi o Fo rm az io ne P ro fe ss io na le 1 4 3 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE. ESPERIENZE EUROPEE 5.4. Il sistema di Formazione Professionale in Spagna Angel Miranda Segreteria Nazionale Salesiana di Educazione Tecnico - Professionale Madrid Sintetizzando la presentazione del Sistema Educativo spagnolo rispetto alla Formazione Professionale, è necessario fare alcune considerazioni. Il nostro sistema educativo entra in crisi ogni qualvolta arriva un cambio di Governo che diventa fonte di instabilità per il sistema. Lo schema a lato fa riferi- mento alla legge approvata in Parlamento che, ad oggi, è stata sospesa in alcune parti, dal nuovo governo socialista. La F.P. non sembra essere soggetta ad alcuna modifica, visto che esiste una legge specifica sulle “Qualifiche Professionali” e sulla Formazione Professionale, che sembra non aver subito alcun cambio. Un altro fatto significativo è che gli alunni arrivano ai Cicli Formativi di Grado Medio dopo aver conseguito il titolo corrispondente alla Scuola Secondaria Obbligatoria (ESO). Ai cicli formativi di Grado Superiore si può accedere una volta superati i due corsi per il diploma. Per gli studenti che non arrivano a superare l’obiettivo minimo della ESO, si apre una scelta “professionalizzante” di base, tramite i Programmi di Garanzia Sociale. In ogni caso, tutti i cicli formativi prevedono uno sbocco verso il mondo del lavo- ro. Tuttavia sono previste prove di accesso sia per entrare a far parte del mondo del lavoro, che per accedere ai cicli formativi per chi non abbia concluso l’ESO o il Diploma. Però, attualmente, tale prova viene presa in considerazione come un corso specifico di preparazione solo da due Regioni Autonome. È chiaro che a partire dai cicli di Grado Superiore si può accedere all’Università e in molte di queste vengono riconosciuti i crediti formativi. In ogni ciclo è obbligatorio e propedeutico il modulo che prevede la Formazione nei Centri di Lavoro, che ha una durata media di 450 ore sulle 2000 ore com- plessive che costituiscono l’intero ciclo formativo. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 4 4 La Segreteria Nazionale Salesiana dell’Educazione Tecnico-Professionale Si tratta di un ente, con riconoscimento interno da parte della Congregazione Salesiana, che raggruppa 51 centri di F.P. dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Tra questi, 31 centri offrono corsi di F.P. Superiore. Riguardo alla F.P. Superiore, all’interno della varietà delle domande, si mantiene un volume di 116 cicli formativi di Grado Superiore, 98 riguardano gruppi di tipo tecnico-industriale, 11 amministrativo-commerciali, 2 di segreteria, 1 di inseri- mento lavorativo, 2 di attività fisico-sportive e 2 di produzione audiovisiva e spet- tacoli. Una media di 25 o 30 alunni per ciclo presuppone una stima di 3000 studenti, la cui età oscilla tra i 19 e 25 anni. Il numero dei professori si attesta sui 400. Dove sta andando la Formazione Professionale? Questa è un’altra considerazione fondamentale, nata da alcune riflessioni relative alla credibilità e spendibilità dei nuovi titoli sul mercato del lavoro. Il processo di unione delle “filosofie” che supportano la Formazione Professionale va introducendo alcune modifiche sostanziali in aree molto concrete che fanno in modo che nella Formazione Professionale: - l’iniziativa passi dalla scuola, che offre all’impresa un personale formato secon- do profili professionali richiesti; - si sposti l’asse dalla ricerca dei profili professionali alla definizione dei profili richiesti dal mondo del lavoro; - gli obiettivi s’incentrino più che “nell’apprendere”, “nell’apprendere ad appren- dere”; - che i contenuti abbandonino lo schema prestabilito delle materie o a “comparti- menti stagni”, per entrare nella logica dei moduli professionali in grado di offri- re contenuti diversi; - la valutazione si effetui non a partire dalle capacità che sa sviluppare l’alunno, quanto dalle competenze acquisite che possano essere accreditate o certificate da documenti specifici. Tutti i punti sopra elencati costituiscono la base filosofica ed ideologica per porre le fondamenta di una nuova F.P. che risponda alle esigenze di flessibilità e traspa- renza dell’attuale mondo del lavoro. 1 4 5 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE. ESPERIENZE EUROPEE Una F.P. centrata sulle competenze Tutti ritengono che le competenze professionali rappresentino il “saper fare” delle persone, ma esse costituiscono soprattutto la colonna vertebrale di ogni sistema moderno di F.P. Questo ha consentito che molti Stati concentrassero in un unico ufficio la certifi- cazione delle competenze relative alle diverse professioni. In Spagna, l’Istituto Nazionale delle Qualifiche (INCUAL), costituito in seguito alla legge delle Qualifiche e della Formazione Professionale (si prenda nota del- l’accento posto soprattutto sulle prime piuttosto che sulla F.P.), ha avuto un cam- mino per niente lineare durante i suoi tre o quattro anni di lavoro, tuttavia oggi ha trovato la sua collocazione all’interno della sede Amministrativa del Ministero dell’Educazione, in contatto con il mondo lavoro. Durante questi ultimi due anni ha potuto funzionare secondo un cammino perfet- tamente definito, che gli ha consentito di individuare circa 200 titoli differenti, in quasi tutti i casi, secondo uno schema comune che vede per ogni ciclo formativo lo sviluppo di 3 competenze. Altra cosa sarà adattare tutto il mercato del lavoro alla certificazione di tali com- petenze. Questo obiettivo così grande sarà realizzato per gradi, introducendo anche le nuove persone con competenze certificate e favorendo il pensionamento di un alto numero di lavoratori. Le informazioni in nostro possesso sul futuro di tali attività prevedono che si arri- verà alla definizione di 450 titoli, con le rispettive competenze. La Formazione Superiore in Spagna Passiamo a considerare i diversi aspetti relativi alla F.P. Superiore. 1. Accesso Esistono due vie di accesso: - quella degli alunni che hanno frequentato e conseguito il diploma. A questo livel- lo gli studenti optano per entrare all’università o incominciare un ciclo di F.P. che, attualmente, offre la possibilità di un lavoro quasi immediato. - quella del test d’ingresso che si ripete tutti gli anni per chi già si trova a lavora- re nel mondo dell’impresa. La prova prevede una parte più teorica, che si avvi- cina alle conoscenze di base del diploma e un’altra, più specifica, che ha a che vedere con la professionalizzazione del candidato. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 4 6 Ad oggi esistono due enti che hanno preparato un modulo specifico per quegli stu- denti che non provengono dal mondo del lavoro e che, in possesso dell’età minima richiesta, desiderano prepararsi per il test d’ingresso. La percentuale dei candidati che, non in possesso del diploma, aspirano ad arri- vare al Grado Superiore tramite test d’ingresso, raggiuge il 60%. 2. Profilo Professionale Si considera che il professionista che supera il Grado Superiore è capace di: - scegliere gli strumenti e le tecniche adeguate nell’ambito tecnico, scientifico ed organizzativo; - considerarsi come un professionista polivalente e sistemista; - organizzare e soprintendere il lavoro di altre persone; - scegliere e proporre nuove alternative nei lavori che realizza; - valutazione del suo lavoro conforme agli obiettivi di produzione; - sviluppare il suo lavoro in un campo professionale basato su un’informazione generale. Padronanza e capacità d’incidenza su procedure, risorse, qualità; - disegnare e definire processi, con piena autonomia, dentro l’ambito a lui asse- gnato; - essere considerato per le imprese come operaio di livello professionale 3, e alle volte, 4. Molti di loro durante la loro carriera arrivano ad occupare posti di comando inter- medi. 3. Gli alunni Gli alunni e le alunne che raggiungono i cicli di Grado Superiore, manifestano: - un livello tendenzialmente alto; - un senso di successo elevato, quando hanno superato il diploma o il C.F.G.M.; - una motivazione positiva; - una sorta di delusione per l’Università che hanno abbandonato per iniziare un ciclo formativo; - una certa padronanza delle tecniche e degli strumenti di lavoro; - un grande interesse per un inserimento professionale immediato; - la voglia di portare avanti contemporaneamente studio e lavoro. Tutto questo produce un clima tendenzialmente positivo. 1 4 7 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE. ESPERIENZE EUROPEE 4. La struttura accademica I cicli formativi di Grado Superiore sono stati strutturati in base ai due decreti emendati dal Ministero dell’Educazione e della Scienza: il decreto sul Titolo e il decreto sul Curriculum. In questi si specificano: - il profilo professionale; - l’evoluzione della competenza professionale; - il posto nel processo produttivo. Tutti i cicli formativi hanno una durata di 2000 ore, di cui 450 devono svolgersi in Centri di Lavoro. Il curriculum accademico si struttura intorno ai seguenti punti: - obiettivi generali del Ciclo Formativo; - moduli professionali associati ad un’Unità di Competenza; - moduli professionali trasversali; - modulo professionale di formazione in Centri di Lavoro; - modulo professionale di formazione e orientamento al lavoro; - materie del liceo che devono studiare prima di accedere al ciclo formativo corri- spondente al diploma di Grado Superiore. 5. Lo sviluppo professionale Il sistema di sviluppo dei cicli formativi di Grado Superiore, come anche quelli di Grado Medio, potrebbero rispondere allo schema seguente: ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 4 8 1.- Analizzare le capacità domandate e i criteri di valutazione corrispondenti 2.- Analizzare i contenuti minimi legali 3.- Determinare l’insieme delle capacità che devo- no svilupparsi secondo le proposte di ciascun modulo 4.- Definire il processo di apprendistato 5.- Definire il Programma 6.- Concretizzare il processo di valutazione Rapporti con il sistema produttivo Profilo professionale Moduli Tempi prescritti Organizzazione e connessione tra loro Conoscenze Abilità cognitive Abilità manuali Attitudini Contenuto e organizzazione del processo. Sapere, fare, valutare ... ˙ Strutture contenutistiche Unità didattiche Sequenzialità Criteri di valutazione e procedure Capacità Attività del corpo docente e pratica Altro sarà definire chi e come portare a termine questi compiti. Scuola-Impresa Al momento di concretizzare la proposta formativa dei cicli di Grado Superiore, si dovrà prendere in considerazione le aspettative dei nostri clienti principali, ovve- ro, le imprese che assumeranno i nostri giovani. 1. Competenze-Valori L’esperienza ed il consenso dei nostri dipartimenti di Scuola-Impresa mette in rilievo che le imprese richiedono una lista di competenze che in grado maggiore o minore determinano il profilo personale e professionale dei nostri destinatari: senso etico del lavoro e dei rapporti, identificazione con una missione/visione, polivalenza, mobilità, lavoro in équipe, creatività e capacità innovativa; prendere decisioni, problem solving, lifelong learning, capacità di comunicazione, compe- tenze linguistiche, laboriosità, e qualità del lavoro, informatica. Il possesso di tali competenze presuppone l’interiorizzazione di alcuni valori: responsabilità, senso del dovere, autonomia personale, autostima, professionalità nel lavoro, valori etici e morali positivi, solidarietà, rapporti positivi con gli altri (responsabilità e partecipazione), cortesia e rispetto verso gli altri. 2. Una Proposta Formativa Nell’ambito salesiano si lavora da molto tempo su seminari incentrati su di una possibile proposta formativa di tipo umano, professionale, etico e, in questo caso, anche cristiana, prendendo in considerazione che la struttura del Sistema Educativo non prevede nessuna materia di carattere generico all’interno dei cicli formativi. Si suppone che gli insegnamenti di matematica, lingua, filosofia, etc. si siano già frequentati nei Licei, per questo il Ciclo Superiore sarà prevalentemente di tipo tecnico. Il nostro schema di lavoro per questa tematica strutturato in forma sintetica, pre- vede la possibilità di offrire attività formative nell’ambito di: - Risorse umane - Esigenze: persone, équipe, compiti - Relazione lavorativa: diritti, doveri - Cura della Qualità: relazioni che valorizzino il destinatario 1 4 9 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE. ESPERIENZE EUROPEE - Dimensione sociale del lavoro - Lavoro e persona: progetto personale, etica del lavoro - Società e sviluppo: sviluppo, strutture sociali, compiti - Politiche sociali: forze sociali, partecipazione. Conseguenze Dovendo trarre alcune conclusioni, pensiamo che la realizzazione e lo sviluppo dei Cicli Formativi di Grado Superiore richieda alcuni requisiti per la stabilità e la gestione dei centri e dei programmi formativi. Facciamo riferimento, anche se in maniera schematica, ad alcuni di essi. 1. Formazione del corpo insegnante È necessario prendere in considerazione i seguenti ambiti della formazione: - Umano - Professionale - Pedagogico - Cristiano (nel nostro caso) Sempre rispettando le regole dei processi di formazione continua, sia tramite atti- vità interne che esterne, al proprio centro. 2. Nuova organizzazione È una costatazione: i centri che hanno adottato il sistema dei Cicli hanno dovuto cambiare la loro gestione organizzativa. Ad ogni modo il nostro interesse è rivolto a salvaguardare l’aspetto “professionale-contenutistico” di tale questione, selezio- nando con criteri adeguati quelle persone che saranno in grado di sviluppare nel migliore dei modi tali mansioni. Riguardo alle strutture permanenti facciamo riferimento a: - dipartiment tecnici come organizzazioni fondamentali; - gruppi di direzione, come organi fondamentali corresponsabili e di gestione; - continua adattabilità dell’offerta formativa, che richiede una grande flessibilità organizzativa. L’esigenza di trasformarsi progressivamente in “organizzazioni che apprendono” e che accrescono la loro capacità di leadership e di gestione. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 5 0 3. Implementazione di nuove T.I.C. È un altro dei problemi che disturbano l’impianto e lo sviluppo di questi Cicli. Si dovranno analizzare e approfondire le caratteristiche del centro rispetto a: - la comunicazione interna ed esterna del Centro; - le possibilità che offre per un accompagnamento on-line; - gli adeguamenti tecnologici necessari in questo campo; - le conseguenze pedagogiche di questi cambiamenti; - la previsione degli investimenti che devono mantenere un livello formativo ade- guato alle esigenze di questi Cicli e alle aspettative delle imprese. 4. Ricerca/Analisi + Sviluppo + Innovazione = apprendimento lungo tutto l’arco della vita In questo campo ci riferiamo ai seguenti temi: - analisi delle possibilità e delle prospettive che presenta il mercato del lavoro, - temi di tipo sociologico relativi agli interessi delle persone, - la ricerca didattico-pedagogica rispetto a questi Cicli, - l’esigenza di lavoro in rete sia dentro che fuori dal Centro, - le necessità e possibilità di auto-formazione. 5. Management, reddività delle risorse Altro tema fondamentale, soprattutto tenendo in considerazione la quantità di investimenti che presuppone l’instaurazione e lo sviluppo di tali insegnamenti. Sarà necessario trovare nuove strategie per fare in modo che i centri si misurino con: - una forte leadership nella formazione e nello svolgimento; - “redditività” delle strutture; - nuove forme di partecipazione e corresponsabilità; - sistemi di “qualità certificata”; - alti livelli di creatività finanziaria, fiscale, etc.. 6. Scuola-Impresa Si tratta di una relazione simbiotica permanente tra le due istituzioni, una som- ministratrice di formazione e conoscenza e l’altra destinata ad accogliere i ragaz- zi o lavoratori formati in quella struttura. Questa relazione richiede da parte dei centri l’instaurazione di un Dipartimento 1 5 1 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE. ESPERIENZE EUROPEE Scuola Impresa in grado di offrire: - attività di formazione continua alle imprese; - tutoraggio continuo agli alunni durante il loro periodo di stage; - borsa lavoro con attestato di qualifica per la selezione del personale. 7. Relazioni internazionali Questo argomento diventerà dominante nel prossimo futuro in virtù dei criteri di mobilità e trasparenza che si andranno instaurando nel mondo del lavoro. In questo senso sarà crescente il processo di: - acquisizione di una mentalità e cultura europea; - scambi di docenti e alunni; - la partecipazione di programmi in rete: Urban, Equal, etc.; - la partecipazione a reti europee, quali ETV, Refernet, Ttnet, etc.; - la collaborazione in azioni di cooperazione allo sviluppo con i paesi del terzo mondo. 8. Finanziamento Prima di tutto è necessario precisare che l’output della nostra scuola è la forma- zione e su di essa devono bilanciarsi le azioni di marketing dei centri. A questo deve aggiungersi: - l’importanza che si stabilisca un partenariato tra l’ambiente socio-politico e l’amministrazione, per lo sviluppo del Paese; - l’importanza di investire su gran parte delle spese in uscita del centro; - l’esistenza di un budget gestito secondo criteri di autonomia e corresponsabilità; - la capacità di portare avanti una gestione della scuola di tipo professionale. La scuola chiede, anche all’impresa In questo ambiente di lavoro e, tenendo presente quanto affermato sinora sulla relazione tra Centri di Formazione Superiore ed impresa, è necessario rendersi conto del fatto che, così come l’impresa pone l’accento sulla domanda di profili e competenze professionali specifiche, così la scuola deve aprirsi al dialogo con le imprese per rispondere concretamente ai suoi bisogni. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 5 2 Essi sono: - riconoscere l’importanza di una buona FP; - formazione continua in collaborazione con i Centri; - stage formativi per allievi e professori; - presenza nelle organizzazioni imprenditoriali; - contributo alla modernizzazione tecnologica dei centri; - collaborazione per la revisione permanente dei curricula e dei titoli; - critica costruttiva sulla FP, il Sistema, i Centri... Osservare e ascoltare il futuro Oltre a ringraziarvi per l’invito a partecipare al Seminario Europa e a condivide- re le nostre esperienze, è necessario ricordare che il futuro dei Centri di F.P. e della F.P. Superiore s’incentra sulla nostra naturale attitudine di educatori di una gio- ventù che un domani diventerà il motore per lo sviluppo del nostro Paese e dell’Europa. Il lavoro di tipo formativo che sviluppano i nostri centri ha più di dieci anni di sto- ria che altri costruirono partendo dall’innata capacità di puntare al futuro. L’esperienza ci dice che dove esiste un livello maggiore di sviluppo è possibile una Formazione Professionale di maggiore qualità, come è anche vero che là dove è esistita o esiste una F.P. di qualità, si è prodotto crescita e sviluppo. È il nostro futuro e la nostra missione: essere uomini e donne capaci di guardare ed ascoltare il presente per costruire un futuro migliore per i nostri giovani e per la nostra società. 1 5 3 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE. ESPERIENZE EUROPEE ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 5 4 5.5. La Formazione Professionale Superiore: quale contributo dalle scienze pedagogiche? Sergio Angori Università degli Studi di Siena L’attuale mercato del lavoro è caratterizzato da quello che gli economisti chiama- no mishmash, cioè da uno “sfasamento”, da un “non incontro” tra richiesta di competenze professionali e offerta delle medesime. L’annuale indagine Excelsior, compiuta da Unioncamere, evidenzia da tempo come le imprese (la ricerca appe- na citata non prende in esame le assunzioni nell’ambito delle Pubbliche Amministrazioni) ormai da tempo richiedano prevalentemente lavoratori con bassi livelli di scolarizzazione, o comunque con un modesto profilo formativo, da impiegare in attività operative (produzione industriale e artigianale, servizi, com- mercio), piuttosto che tecnici (laureati e diplomati) e come - parallelamente - esse segnalino una ricorrente difficoltà a reperire figure professionali che rispondano alle loro esigenze. Fatto, quest’ultimo, che imputano alla mancanza o comunque alla scarsa disponibilità sul mercato di qualifiche professionali coerenti con l’evo- luzione tecnologica in atto nei processi produttivi e con i mutamenti della realtà sociale. Posto che siano 100 le tipologie di professioni lavorative richieste dalle imprese per ben 35 di esse - stando all’indagine Excelsior - si farebbe fatica a tro- vare lavoratori in possesso di specifiche competenze. Abbondano, in sostanza, figure professionali da impiegare in settori che vedono rapidamente decrescere il numero degli addetti e mancano quelle che dovrebbero favorire ed accompagnare i processi di trasformazione sia economici che sociali del Paese. Alla luce di questa situazione, la necessità di ripensare la formazione, in tutti i suoi aspetti, appare non ulteriormente prorogabile. Che senso ha, infatti, continuare a formare figure professionali per le quali le opportunità di coniugarsi con posti di lavoro coerenti con il titolo di studio posseduto sono assai scarse? Perché non cer- care di porre rimedio ad una polarizzazione di un sistema che vede un elevato numero di laureati sottoutilizzati e costretti a professioni di ripiego, mentre quan- ti sono in possesso del solo diploma di scuola dell’obbligo sono molto richiesti? È pensabile che una delle economie più sviluppate, quale ambisce ad essere consi- derata la nostra, possa affidare il suo destino ad un’alta percentuale di persone insoddisfatte del lavoro che fanno o prive di una qualifica professionale? La ricer- 1 5 5 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE. ESPERIENZE EUROPEE ca Volar senz’ali. Dati sui sistemi educativi dell’Italia e dei Paesi avanzati, con- dotta recentemente dal presidente dell’UNLA (Unione Nazionale Lotta all’Anal- fabetismo) Saverio Avveduto, segnala che la nostra economia risulta pressoché impossibilitata a “volare”, perché dispone di “ali” dismorfiche: l’una ipertrofica e zavorrata, in quanto gravata dalla presenza di indici percentuali elevatissimi di cittadini con una bassa “competenza alfabetica”, l’altra focomelica, perché espres- sione di una poco consistente fascia di cittadini con elevati livelli di istruzione e/o di competenza professionale, molto più esigua di quella analoga esistente in altri Paesi1. Irrobustire l’istruzione tecnica e la formazione professionale, in modo da riequili- brare le offerte all’interno del mercato del lavoro, è un’esigenza che, a dire il vero, incontra un consenso generalizzato. Le posizioni divergono, invece, nettamente quando si passa a prospettare le possibili vie da percorrere in vista di tale obietti- vo. Ad una stagione storica che ha puntato essenzialmente sulla scuola per assicu- rare un innalzamento della cultura generale dei cittadini (attraverso, ad esempio, l’estensione della durata dell’“obbligo” e la licealizzazione di tutta la scuola secondaria superiore) sta facendo seguito la proposta - ci riferiamo a quanto pre- visto dalla legge delega 53/2003 - di un sistema educativo di istruzione e di for- mazione che, a partire dai 14 anni, consenta agli alunni di assolvere al loro dirit- to-dovere di istruirsi o rivolgendosi al sottosistema dei licei o a quello dell’istru- zione e della formazione professionale. La credibilità ed il successo di questo secondo ramo del doppio canale formativo, di pari dignità dell’altro, non è legata tanto ad aspetti di natura ordinamentale, quanto alla identità e allo spessore cul- turale che esso saprà assumere. Si tratta, innanzitutto, di porre rimedio ad una “anomalia” tutta italiana che vede la formazione professionale ridotta a settore marginale dei percorsi educativi formali, in cui far confluire gli alunni che nella scolarizzazione precedente risultano più deboli2. Rimuovere, in questo campo, pre- giudizi, stereotipi, “credenze” e piccoli interessi di bottega non sarà facile, ma vale la pena impegnarsi a farlo. 1 S. AVVEDUTO, Volar senz’ali. Dati sui sistemi educativi dell’Italia e dei Paesi avanzati, UNLA, Roma, 2003. Il documento può essere consultato in www.unla.it/index_documenti.asp?d=10. Su questo tema si veda anche F. GALIMBERTI, L. PAOLAZZI, Il volo del calabrone. Breve storia del- l'economia italiana del Novercento, Le Monnier, Firenze, 2003; la tesi che vi si sostiene è che l'eco- nomia italiana, come il calabrone, riesce a volare malgrado, secondo le leggi della “fisica economi- ca”, avrebbe dovuto da tempo sfracellarsi a terra. Sulla improbabilità di un secondo “miracolo eco- nomico” - stanti i bassi livelli di “competenza alfabetica” degli italiani - si sofferma anche la ricer- ca Adult literacy and lifeskills, copromossa dall'INValSI, in particolare con il Rapporto 2002. 2 cfr. O. NICEFORO, Formazione professionale. Storia e cronaca di un’ambiguità irrisolta, in «Tuttoscuola» , n. 421, 2002. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 5 6 In particolare non sarà agevole superare la tentazione di gerarchizzare i due per- corsi - licei e formazione professionale - soprattutto se il secondo dovesse nasce- re eccessivamente gracile (limitandosi ad assorbire gli attuali istituti professio- nali e la formazione professionale regionale). Sarà parimenti essenziale che si distingua nettamente dal “primo canale”, pur essendo con esso interattivo, ed abbia una fisionomia ed una autonomia tutta sua, assegnandosi finalità del tipo: “promuovere l’acquisizione di competenze culturali, tecniche e professionali in risposta ai bisogni di istruzione di formazione degli adolescenti e dei giovani in generale e dei soggetti a rischio di marginalità sociale; concorrere allo sviluppo tecnologico, economico e sociale del Paese; essere (…) uno strumento della poli- tica attiva del lavoro3”. Dipenderà, ovviamente, dalla maggiore o minore robustezza di questo percorso formativo la configurazione ed il ruolo che verrà ad assumere il successivo “siste- ma” della formazione superiore, immaginato come parallelo all’università e con forti connotazioni professionalizzanti. Un canale dell’istruzione e della formazione professionale del ciclo secondario che non avesse una durata quinquennale (anche se il diploma di qualifica potrà essere conseguito dopo tre anni di frequenza e sarà titolo idoneo a prosciogliere dall’obbligo formativo) contrasterebbe immediata- mente, nei fatti, con quella pari dignità rispetto al sistema dei licei che abbiamo sopra richiamato. Analogo discorso potrebbe essere fatto per la durata della for- mazione superiore: un corso di durata triennale - anche a livello di percezione della opinione pubblica - risulterebbe più facilmente equiparabile al primo livello dei titoli universitari che non un corso biennale, anche se in questo caso, ci ren- diamo conto, la durata dei corsi dovrà essere necessariamente variabile, non necessariamente misurata in “annualità”, in funzione dei rapporti che si potranno stabilire con il mondo del lavoro (tirocini, attività di praticantato, abilitazione all’esercizio della professione, ecc.). Ciò che, invece, dovrà differenziare la forma- zione tecnica e professionale superiore da quella universitaria saranno i percorsi da seguire, progettati con i criteri della modularità, della flessibilità, della valoriz- zazione delle esperienze lavorative; percorsi che dovranno prevedere uno stretto rapporto con il mondo della produzione e delle professioni. Questione non meno rilevante sarà quella di stabilire, a livello nazionale, quali siano i titoli che potran- no essere rilasciati, la loro validità, le modalità di controllo delle certificazioni e così via, senza ignorare una realtà di grande importanza sia sul piano dello svi- luppo economico che sociale, che è quella della formazione continua di cui neces- sitano quanti sono già inseriti nel mondo produttivo, a cominciare dalle profes- sioni più elevate, così da poter aggiornare le loro competenze ponendole periodi- 3 B. ROCCA, Il doppio canale tra realtà e immaginazione, «Scuola e Città», n. 3, 2003. 1 5 7 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE. ESPERIENZE EUROPEE camente a confronto con quanto la ricerca va elaborando. Si tratta, come si vede, di mettere in piedi un sistema, la cui gestione sarà di com- petenza delle Regioni, che abbia degli ordinamenti essenziali fissati dallo Stato, che eviti di affogare in un proprio apparato burocratico (anche se non possiamo prescindere da una “visibilità” ben evidente di questo percorso formativo), che sappia organizzare - avvalendosi della collaborazione delle scuole secondarie, delle università, delle imprese, delle associazioni di categoria e di quanti si occupano di formazione - attività mirate a soddisfare le esigenze che emergono dal mondo del lavoro e dalle professioni. Le esperienze degli IFTS fin qui realizzate potrebbero essere prese a riferimento, anche se occorrerà trovare accorgimenti organizzativi che consentano, tra l’altro, di tenere conto del fatto che quanti sono interessati ad attività di formazione professionale superiore sono prevalentemente giovani-adul- ti e adulti occupati, sono cioè persone con una disponibilità di tempo per l’impe- gno formativo che non è quella dell’adolescente e dell’inoccupato e che dispongo- no già (in molti casi) di competenze operative. L’attenzione sin qui espressa da parte delle discipline pedagogiche per la forma- zione professionale iniziale, per la formazione superiore e per quella continua - va detto senza reticenze - risulta colpevolmente inadeguata. Le innovazioni che si annunciano in questo campo stanno tuttavia spingendo verso ricerche ed approfondimenti che fanno intravedere il costituirsi di un diffuso crescente inte- resse per i temi in questione. A riprova di ciò posso segnalare i contributi proposti in occasione del Convegno nazionale promosso a Roma, nel 2001, dalla Società Italiana di Pedagogia: Nuova formazione e nuove professioni nella società della conoscenza4 e nel corso del convegno, anch’esso tenutosi a Roma, ma nel 2003, organizzato dal Dipartimento di Scienze dell’educazione dell’Università di Roma Tre sul tema Antinomie dell’educazione nel XXI secolo, con una sezione dedicata al rapporto cultura-professione5. Nel richiamare alcune delle più recenti esperienze in cui sono personalmente coin- volto - la docenza in un modulo dell’IFTS attivato a Livorno da CIOFS-FP Toscana per “Esperti in turismo per disabili”, il coordinamento di un Modulo Professionalizzante promosso dalla Regione Toscana per “Esperti nella progetta- zione della formazione”, il partenariato offerto dal mio Dipartimento ad una ini- ziativa promossa nell’ambito del Progetto europeo di formazione professionale “Leonardo da Vinci” sulla promozione della cultura del lavoro tra i giovani e sullo sviluppo della imprenditorialità giovanile - non posso non rilevare come la forma- 4 cfr. G. ALESSANDRINI (a cura di), Pedagogia e formazione nella società della conoscenza, Angeli, Milano, 2002. 5 F. SUSI, R. CIPRIANI, D. MEGHNAGI (a cura di), Antinomie dell’educazione nel XXI secolo, Armando, Roma, 2004. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 5 8 zione professionale sia attività che chiama in causa le scienze pedagogiche, tanto più quelle discipline, come Educazione degli adulti, che guardano ai processi edu- cativi che si sviluppano lungo tutto il corso della vita e alle loro interazioni reci- proche6. Le questioni da dibattere sarebbero molte, ma su una, in particolare, vorrei fer- mare brevemente l’attenzione. Mi riferisco al contributo che le discipline pedago- giche stanno dando e che nel futuro potranno dare in misura ancora maggiore, alla preparazione professionale iniziale e continua di figure che hanno un ruolo essen- ziale nella formazione tecnico-professionale di base e in quella superiore: docenti, formatori, istruttori, o in qualunque altro modo li si voglia denominare. Il succes- so di una riforma in campo educativo-scolastico, ha scritto Jerome Bruner, dipen- de del resto, essenzialmente, da coloro che sono chiamati ad attuarla7. Preparare figure di “educatori” (il termine include, lo ripetiamo, docenti, tecnici di labora- torio, progettisti della formazione, formatori professional, tutor, esperti in e-lear- ning, in audit, ecc.) per le “professioni di scuola” e per quelle “formative” in senso lato che pongano al centro della loro azione la persona, l’uomo, il cittadino - prima che il lavoro e le competenze per eseguirlo - è un dato di non poco conto8. La pre- mura espressa negli ultimi anni dall’università per questo tipo di professioni ha consentito di intercettare la crescente domanda di educazione e di formazione che viene dalla società ed ha permesso di integrare con competenze di natura pedago- gico-didattica, psicologica e relazionale i saperi di carattere “disciplinare” in pos- sesso di quanti sono impegnati in attività formative di tipo “formale”. L’aver pro- spettato un modello di formazione non più inteso come addestramento/aggiorna- mento professionale, ma come contributo allo sviluppo integrale della persona, come fattore di promozione del potenziale umano, come attività che è un bene in sé, oltre che uno strumento per accrescere e qualificare la occupabilità, costituisce il presupposto per un mutamento culturale i cui esiti si annunciano di rilevante importanza su più piani. Non solo, si sono anche create le condizioni per un pro- mettentissimo rapporto di collaborazione tra istituti che svolgono attività di ricer- ca nel campo della formazione professionale dei lavoratori - l’ISFOL in primo luogo, ma anche il CNEL, l’ENAIP ed altri - e il mondo dell’università per affron- tare temi di comune interesse come la costruzione di una teoria della formazione, l’individuazione della relazione esistente tra processi di apprendimento in età 6 S. ANGORI, Educazione e “corso della vita”: considerazioni pedagogiche, in «Prospettiva EP», n. 4, 2004. 7 J. BRUNER, La cultura dell’educazione, Nuovi orizzonti per la scuola, Feltrinelli, Milano, 1997. 8 Cfr. S. ANGORI, Professioni educative: quali competenze comuni?, in S.S. MACCHIETTI (a cura di), Formazione e professioni educative, Bulzoni, Roma, 2001, pp. 11-69; S. ANGORI, Insegnare. Un mestiere difficile, Bulzoni, Roma, 2003. 1 5 9 FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE. ESPERIENZE EUROPEE adulta e la trasformazione in atto nei contesti reali, l’acquisizione di metacompe- tenze e di “competenze strategiche” per il lifelong learning, la valorizzazione delle risorse umane9. Gli scambi sono risultati particolarmente positivi, in particolare, per quanto riguarda le procedure didattiche ed organizzative dei saperi. Costrutti concettuali di rilevante importanza, come quello relativo alle “competenze”, acco- munano ormai mondo del lavoro, mondo della formazione professionale, mondo della scuola; ed analogo discorso potrebbe essere fatto con riferimento all’idea di “modulo”, a quella di “credito formativo”, di “conoscenza”, di “unità di appren- dimento”, di “empowerment”10. Per quanto possa apparire paradossale è nell’ambito della formazione professio- nale che in questi ultimi anni sono state sperimentate le procedure didattiche più innovative, poi con fatica e non senza resistenze in parte transitate nella scuola secondaria superiore. Ciò conferma la “vivacità” di un canale formativo sin qui ingiustamente marginalizzato e che guarda con trepidazione, ma anche con fidu- cia (forte della sua storia e dell’apprezzamento che ha saputo conquistarsi), alle decisioni che l’Esecutivo vorrà prendere in un settore delicato qual è quello di cui stiamo parlando. Sintomatico della volontà di dare regole comuni ai due rami del “doppio canale” sopra ricordati è il fatto che la bozza di decreto di attuazione del- l’art.5 della legge 53/03 preveda che le modalità di formazione degli insegnanti e quelle di accesso all’insegnamento siano le medesime tanto per coloro che inse- gneranno nel sistema dell’istruzione che in quello della formazione professionale. Si tratta di un segnale che ci piace leggere come indicativo della volontà di dar vita a due itinerari formativi che siano entrambi di qualità. E che per la modernizza- zione l’Unione Europea conti molto sugli insegnanti è dimostrato dal fatto che in molti suoi documenti si sottolinea l’importanza del ruolo ad essi affidato. Se que- sto convincimento si tradurrà, a livello nazionale, in una maggiore qualificazione professionale, in un miglioramento delle condizioni economiche e di status, in un apprezzamento sociale a beneficiarne sarà l’intero sistema formativo e la società nel suo complesso. 9 cfr. ISFOL, Dalla pratica alla teoria per la formazione: un percorso di ricerca epistemologica a cura di C. Montedoro, Angeli, Milano, 2002; ISFOL, Ripensare l’agire formativo: dall’accreditamento alla qualità pedagogica, a cura di C. Montedoro, Angeli, Milano, 2001. 10 cfr. C. MONTEDORO, D. PEPE, L’apprendimento di competenze strategiche per il lifelong learm- ning. Un percorso di studio e di ricerca condotto dall'ISFOL, in «Professionalità», n. 83, 2004. 6. PROSPETTIVE DI LAVORO E DI INTERVENTO. PARERI DELLE ISTITUZIONI 6.1. Introduzione Michele Pellerey Università Pontificia Salesiana 1) Il sistema (o meglio il sottosistema) dell’Istruzione Professionale è nella stra- grande maggioranza dei casi gestito dallo Stato. Invece, il sistema (o sottosiste- ma) della Formazione Professionale è solo in minima gestito dalle Regioni o dagli altri Enti locali (Province e Comuni); nella maggior parte dei casi è gesti- to dal cosiddetto privato sociale. Inoltre l’istruzione professionale fa ancora riferimento (contro i dettati costituzionali sia originali che nuovi) allo Stato, mentre la formazione professionale è di competenza esclusiva della Regioni e Province autonome. Si tratta di uno squilibrio evidente che solo in alcuni casi eccezionali trova una maggiore attenuazione. Ad esempio, nella Provincia Autonoma di Trento la presenza dell’istruzione professionale è assai ridotta, mentre prevale, soprattutto nel settore dell’industria e dell’artigianato, la for- mazione professionale, che ha da tempo un forte ruolo tradizionale, raggiun- gendo una percentuale assai elevata della popolazione inclusa nel segmento del cosiddetto diritto-dovere alla formazione: tra il 20% e il 25%. Inserendo i due sottosistemi in un unico contenitore si va incontro a difficoltà di rapporti isti- tuzionali e dilemmi di tipo politico. Di questo sono esempi evidenti le scelte operate nelle diverse Regioni. Basti citare le differenza tra Lombardia e Liguria, da una parte, e Toscana ed Emilia Romagna, dall’altra. Questa problematica non tocca solo la formazione professionale iniziale, ma certamente avrà una sua ricaduta sulla formazione professionale superiore, comunque essa verrà configurandosi. 2) Tutto il Sistema di Istruzione e di Formazione Professionale è e rimarrà di com- petenza esclusiva delle Regioni. Allo Stato compete la definizione dei livelli essenziali di prestazione, con possibili interpretazioni come livelli di servizio o come livelli di apprendimento, e la definizione degli standard nazionali per il riconoscimento nazionale ed europeo di qualifiche, titoli e diplomi. Tenendo conto di ciò, a proposito del titolo di “diploma professionale” occorre imme- diatamente sottolineare alcuni aspetti dello stato di attuazione del processo di trasformazione. Ho fatto parte della commissione che era stata costituita dal 1 6 3 PROSPETTIVE DI LAVORO E DI INTERVENTO. PARERI DELLE ISTITUZIONI Ministro dell’Istruzione presso l’ISFOL diretta alla identificazione degli standard nazionali sia per le qualifiche che per i diplomi specificatamente per il settore meccanico. Da questo lavoro sono emersi standard nazionali per l’ambito cultu- rale, con declinazioni squilibrate sul versante meccanico, adottate dalla Con- ferenza Stato-Regioni. Nulla è stato previsto per l’ambito più professionale. Nel caso dei Diplomi professionali occorre certamente che vengano definiti gli standard nazionali. Tuttavia, attualmente esistono solo i Diplomi di Istruzione Professionale dati dagli Istituti Professionali statali, ottenuti attraverso l’Esame di Stato. La Provincia di Trento, anche per evitare false partenze e per impostare il quarto anno di formazione professionale, ha istituito con una sua legge il Diploma di Formazione Professionale, entro un quadro di rapporti particolari con il Ministero dell’Istruzione sulla base anche di un protocollo di intesa. Il titolo ha validità certamente in ambito provinciale, anche per la stretta collaborazione tra Provincia, Centri di formazione professionale e Imprese, ma la sua valenza a livel- lo nazionale ed europeo necessita di un quadro di riferimento a tali livelli. È chiaro che la definizione dei diplomi e degli standard nazionali dovrebbe essere concordata tra le varie Regioni, perché se è vero che hanno una compe- tenza esclusiva, d’altra parte occorre un coordinamento nazionale, che tenga conto anche dello schema di riferimento europeo: a parte l’eventuale valore legale del titolo, il vero problema è il suo riconoscimento a livello contrattuale da parte delle aziende. In Provincia di Trento si sta studiando la possibilità di ridurre il periodo dell’apprendistato, dal momento che tutti i quarti anni hanno una forte impostazione di integrazione tra formazione e lavoro. 3) A proposito di diplomi emerge un pericolo, in qualche modo analogo a quanto è successo per le qualifiche, quello dell’esistenza di qualifiche statali e qualifiche regionali. Il diploma è un diploma regionale, anche se deve rispettare certi stan- dard nazionali per potere avere la sua valenza nazionale ed europea. Tuttavia sulla base della legge 53/03 si possono prevedere due possibili percorsi, quello dell’istruzione professionale articolato su due bienni e quello basato su un trien- nio e un anno successivo alla qualifica. Molti istituti professionali stanno attrez- zandosi per attivare questo secondo percorso, perché hanno già la struttura della qualifica. Il diploma ottenuto con i due percorsi sarà lo stesso, o si avranno due diplomi? E come verrà denominato tale diploma: di istruzione e di formazione professionale, di istruzione professionale, di formazione professionale? 4) Nella scuola è stata attuata un’operazione diffusa di dimensionamento delle istituzioni scolastiche e di costituzione delle loro dirigenze. Ciò ha portato allo sviluppo di consistenti riferimenti formativi gestiti da dirigenti con specifiche qualifiche. In molti casi sedi o plessi minori sono stati uniti a rete con la sede ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 6 4 principale. La formazione professionale si presenta invece ancora molto fram- mentata, con un numero talora elevato di interlocutori tra enti e, soprattutto, centri molto piccoli. Io credo che anche in questo caso si dovrebbe operare un dimensionamento, che porti a dare consistenza adeguata alle sedi istituzionali della formazione professionale. D’altra parte non si può pensare di avere quar- ti anni, ma soprattutto iniziative di formazione professionale superiore, se non si hanno strutture sufficientemente solide, organizzate, ben gestite. Occorrerà in qualche modo accorpare, coordinare centri ed enti, magari attraverso la costituzione di reti ben integrate. Modelli di questo tipo esistono, in particolare là dove c’è una sede centrale che ha la responsabilità progettuale e amministrativa e un insieme di sedi decentrate che distribuite sul territorio possono realizzare percorsi adatti alle varie realtà. La sede principale garantisce una interlocuzione forte con l’ente regionale, mentre le sedi decentrate attuano un servizio coerente con le differenti comunità locali. Si può in questo modo pensare a Centri che esplicano una forte presenza sia sul versante della formazione professionale ini- ziale, sia su quello della formazione continua, sia su quello della istruzione tecni- ca e della formazione professionale superiore. Un sistema che abbia pari dignità, deve conquistare il suo status anche da questo punto di vista. 5) Quanto alla certificazione delle competenze evocata nei percorsi di IFTS e in altre normative nazionali occorre ricordare come la legge Biagi parli del libret- to formativo del cittadino, dove viene riportata la certificazione delle compe- tenze acquisite, ecc.. Di per sé strumenti per la certificazione delle competenze sono già previsti. Il regolamento applicativo della legge Biagi dovrà chiarire la questione relativa al raccordo con il portfolio delle competenze individuali della scuola. L’esistenza di questa documentazione potrebbe portare ad una trasfor- mazione, in Italia assai difficile (mentre in altri paesi è già in atto), di attiva- zione dei contratti di lavoro sulle base delle competenze acquisite e documen- tate e non sui titoli conseguiti. Buona parte dei contratti di lavoro partono dalla considerazione del livello dei titoli conseguiti, ciò può comportare difficoltà ad assumere laureati come tec- nici o quadri, perché verrebbero collocati sul lavoro in maniera incongrua con il titolo. Spesso ci si passa sopra, purché la persona accetti di entrare ad un determinato livello; in altri paesi oramai la contrattazione si basa prevalente- mente su competenze, soprattutto nel momento dell’assunzione e dell’inqua- dramento iniziale. D’altra parte i diplomi regionali non potranno avere valenza nazionale, se non rispettano alcuni standard. Quale valore dal punto di vista legale avranno? La 1 6 5 PROSPETTIVE DI LAVORO E DI INTERVENTO. PARERI DELLE ISTITUZIONI questione si pone oggi anche a livello universitario. Per esempio, chi si laurea dopo tre anni ottiene un titolo che ha valore legale, ma non si sa bene per che cosa. In certe professioni si è riusciti a determinare la sua spendibilità, ma con difficoltà notevoli. Basti pensare al cosiddetto psicologo junior, il quale si fre- gia del titolo di dottore in psicologia (ma non aggiunge il termine junior). Egli non può esercitare la professione vera di psicologo, ma solo di tecnico. Da qui possono nascere equivoci non indifferenti. 6) L’abilitazione all’esercizio delle professioni di per sé è qualcosa di diverso dal valore legale del titolo, essa può essere collegata al titolo di studio, ma anche separata da esso. È il caso di molte professioni. Molti titoli scolastici e accade- mici non portano automaticamente al riconoscimento della qualifica e dell’abi- litazione all’esercizio di una professione. In genere per riconoscere una vera e propria qualificazione professionale si esige un periodo di praticantato. Ad esem- pio, l’impostazione che è stata data al quarto anno di formazione professionale nella Provincia di Trento deriva da un discorso approfondito fatto con le impre- se, che ha portato ad un percorso di alternanza vera e propria. Ciò ha avuto una ricaduta profonda sul triennio, perché si è constatato che gli stage a quel livello non portavano a vere e proprie competenze operative. Un praticantato tipo che impegna il 40-45% del tempo formativo in azienda, seguito personalmente da un tutor, è stato riconosciuto valido dalle aziende, in quanto porta a competenze ope- rative. La metodologia che si può sviluppare in questo contesto nei tre anni pre- cedenti è più che altro legata alla attività di osservazione, di affiancamento, di confronto, di orientamento, di comprensione del mondo in cui uno si può inseri- re. D’altra parte è molto difficile che si possa mettere in mano ad un giovane in maniera sufficientemente autonoma e responsabile una attrezzatura costosa. 7) A proposito della ristorazione posso avanzare una piccola riflessione. Si è con- statata la funzionalità della figura del tecnico di banketing, perché effettiva- mente esiste una professionalità, che è quella dell’interlocuzione con chi chiede un servizio di “banchetto”: comprende i servizi di progettazione dell’evento e la garanzia che ciò poi venga realizzato, di supervisione nella realizzazione, di valutazione, ecc... Nel mondo della ristorazione emergono una serie di qualifi- che, o qualificazioni professionali, molto importanti a seconda dei territori (ad esempio, per l’aspetto turistico,…). Queste qualificazioni oramai distinguono molto bene le aziende che hanno un impatto sul territorio positivo, e altre che, invece, non riescono ad averlo. Per il settore tessile la questione è delicata, perché in questo settore, come nel settore del legno, ci sono due filoni: uno industriale e un altro artigianale. Molte ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 6 6 volte le ragazze che vanno ad intraprende il percorso formativo nel settore abbigliamento vogliono ancora prendere una qualifica per usi personali o limi- tati, non per entrare in un sistema produttivo. Diventa molto difficile dialoga- re a certi livelli se il sistema di attese è molto diversificato. Per la grafica sta emergendo una possibilità, a mio giudizio, non solo di quar- ti anni, ma anche di sviluppi successivi notevoli anche a livello universitario, per una carenza drammatica italiana di formazione nel settore. L’università ita- liana non ha mai risposto al problema della formazione industriale grafica superiore, per cui non abbiamo ingegneri che possano progettare nuove attrez- zature. Rimane il fatto che in questo settore c’è una debolezza di formazione ad alti livelli supplita parzialmente da alcune istituzioni formative. Anni fa la Direzione Generale per l’Istruzione Professionale mirava alla eliminazione degli Istituti Professionali del settore, ritenendoli obsoleti, non in grado di aggior- narsi, dati i cambiamenti rapidissimi nel campo della tecnologia e dell’orga- nizzazione. In Italia esiste un unico Istituto Tecnico Statale per l’industria gra- fica, ed è una cosa assurda. Ciò porta spesso a una debolezza generale del siste- ma, in gran parte affidata al “privato sociale”. 1 6 7 PROSPETTIVE DI LAVORO E DI INTERVENTO. PARERI DELLE ISTITUZIONI 6.2. Intervento tavola rotonda Domenico Sugamiele Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Ringrazio per l’invito a partecipare a questo confronto che ritengo possa costitui- re un’opportunità per una migliore comprensione dei problemi sottesi all’imple- mentazione della riforma e per favorire, ai vari livelli istituzionali, riflessioni tec- nico-politiche che, rispettose delle diverse posizioni, servano a risolvere i punti di criticità del nostro sistema formativo. In questi anni di confronto con la vostra organizzazione ho sempre messo in evi- denza che centrare il sistema dell’Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) sulla qualifica triennale rappresenterebbe un limite ed un errore. Un errore, per- ché riproporrebbe l’attuale separazione tra percorsi scolastici (liceali) “lunghi” e percorsi di formazione professionale brevi, riducendo l’offerta del sistema di IeFP alle sole qualifiche professionali triennali: si amplierebbe di poco lo spazio dell’at- tuale offerta di formazione professionale iniziale, senza sbocchi superiori che ne determinerebbero il carattere di residualità. La qualifica triennale nella legge 53 viene in secondo ordine rispetto al diploma professionale, che corrisponde agli obiettivi del diritto dovere per almeno dodici anni di studio. L’obiettivo prioritario della legge è, quindi, quello di portare tutti i nostri giovani al diploma, allineando il periodo di formazione per i diplomi tecnico professiona- li a quelli europei (18° anno di età). Nelle relazioni dei lavori di gruppo è emerso un problema irrisolto nel nostro Paese: quello di esplicitare cosa sono i bisogni e i fabbisogni formativi ed educativi. Uno dei gruppi ha posto, in particolare, l’attenzione sulla necessità di distinguere il fabbisogno dell’impresa dal bisogno educativo della persona e, più in generale, del contesto sociale. Questa è una riflessione interessante che ci porta a considerare come il bisogno o fabbisogno educativo non sia rilevabile nel contesto nazionale, perché i bisogni e i fabbisogni non possono essere imposti alle persone con l’uniformità dell’offerta, da un lato, e non sono rappresentabili in una struttura omogenea da estendere in tutte le realtà regionali, dall’altro. Tuttavia, in relazione alla determinazione dei fabbisogni formativi resta da consi- derare l’aspetto del valore legale dei titoli di studio e del riconoscimento contrat- tuale ai fini dell’inserimento lavorativo. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 6 8 Occorre essere coerenti: il fabbisogno per l’impresa deve essere riconosciuto dal- l’impresa stessa e dalle norme contrattuali che devono recepire i titoli professionali rilasciati dalle istituzioni statali o regionali/provinciali. Nell’analisi dei fabbisogni delle imprese appare una evidente contraddizione tra la richiesta di formazione qualificata al sistema educativo e le assunzioni. Mentre si afferma, da un lato, la richiesta di qualificazione medio alta secondaria e soprat- tutto terziaria (lauree brevi e lauree), dall’altro si assumono soggetti con bassissi- ma qualificazione. È evidente che il sistema formativo risulterebbe squilibrato se perseguisse una generica richiesta di innalzamento della “cultura generale” di tipo liceale, proiet- tata verso la formazione terziaria, mentre l’analisi dei fabbisogni formativi del sistema delle imprese richiede prevalentemente qualificati e diplomati di istruzio- ne secondaria. Per queste ragioni bisogna riflettere sulla necessità di costruire un sistema di for- mazione tecnico professionale che, dal primo livello fino al segmento terziario, sia in grado di sostenere il sistema produttivo nella ricerca e nell’innovazione. Le Regioni hanno un ruolo importante ed attivo nella programmazione dei percorsi in relazione al sistema sociale e produttivo territoriale. Si tratta di prospettare un sistema di IeFP “proattivo” che sia in grado di sostenere, nell’ambito territoriale, il sistema produttivo nella riconversione e adattamento dei processi produttivi e riqualificazione delle risorse umane, anche al fine di evitare il declino di interi distretti industriali. Il sistema formativo risulta fondamentale per lo sviluppo del sistema produttivo se è strettamente correlato ad esso, altrimenti, se non c’è relazione tra la domanda e l’offerta, per cui si viene a determinare una scarsa corrispondenza fra le qualifi- cazioni professionali che si realizzano in quel territorio e i bisogni del sistema pro- duttivo, si potrà verificare che, a fronte di una crisi di un distretto industriale, non si hanno a disposizione professionalità e strutture formative capaci di sostenerlo nella ricerca e nell’innovazione. Sul riconoscimento dei titoli, Michele Pellerey poneva l’attenzione su un problema: il sistema della istruzione e della formazione professionale è un’opportunità per il Paese se sarà in grado di raggiungere il 60/70% dell’utenza. Non può essere diver- samente. Infatti, se dall’analisi del fabbisogno delle imprese risulta che occorrono al massimo il 10% di laureati, comprese le lauree brevi, una prospettiva liceale molto ampia, che possa interessare oltre il 10% di laureati, è una prospettiva che rischia di creare squilibri nel mercato del lavoro. L’alta percentuale di disoccupa- ti tra i laureati deve farci riflettere. Certo, mancano lauree scientifiche e tecniche e abbondano i laureati nelle scienze umane. La massa di disoccupati iscritti nelle graduatorie permanenti per l’insegnamento ne sono un infelice esempio. 1 6 9 PROSPETTIVE DI LAVORO E DI INTERVENTO. PARERI DELLE ISTITUZIONI D’altro canto non abbiamo un mercato del lavoro autenticamente liberale per cui la responsabilità delle scelte ricadono su chi le opera. Nel nostro Paese moltissimi si laureano in materie letterarie o nelle scienze umane con l’idea che lo Stato ha l’obbligo di assumerli. Questi fenomeni spiegano anche la scarsa corrispondenza esistente, nel nostro Paese, tra lavoro svolto e formazione ricevuta. Il costo socia- le ed economico di queste scelte le paga la collettività e lo stesso sistema delle imprese in termini di competitività. Un altro problema posto nei gruppi di lavoro riguarda la struttura del quarto anno dopo i percorsi triennali. Il quarto anno deve inserirsi nell’ambito del profilo cul- turale, educativo, professionale del secondo ciclo e contemporaneamente delinea- re il profilo professionale del diploma di tecnico. Diploma che potrà essere conse- guito anche con un percorso quadriennale che porta direttamente al titolo di tec- nico. Ciò implica che il quarto anno, successivo alle qualifiche professionali trien- nali, dovrà rappresentare il naturale completamento degli obiettivi di apprendi- mento per il diploma a partire dalle competenze della qualifica. La progettazione dovrà tenere conto, cioè, del profilo professionale e della tipologia di diploma tecnico che si vuole perseguire. È evidente che si dovrà trattare del mede- simo settore e che i percorsi successivi alla qualifica potrebbero avere durata anche superiore ad un anno in riferimento a diplomi di tecnico che prevedono 5 o più anni di formazione. L’attuale percorso sessennale degli enologi ne è un esempio. Appare, tuttavia, importante sottolineare che i titoli, ancorché riferiti ai fabbiso- gni rilevati nel territorio, dovranno avere una forte polivalenza nell’ambito di cia- scun settore formativo, anche al fine di garantire riferimenti professionali spendi- bili su tutto il territorio nazionale ed europeo. Sarà competenza delle singole regio- ni adattare i titoli in base alle vocazioni territoriali in ciascun settore. Si tratta, cioè, di definire gli standard minimi che garantiscono il livello di comparazione nazionale, lasciando all’autonomia delle istituzioni formative e alle indicazioni di ciascuna regione lo sviluppo di particolari specializzazioni anche successive alle qualifiche e ai diplomi. In questo modo, inoltre, si potrà effettivamente progettare un quinto anno che consenta ai giovani che lo desiderino di sostenere l’esame di stato per l’accesso all’università. Come si diceva prima, il titolo di studio del diploma professionale rappresenta l’o- biettivo prioritario che ci poniamo per i nostri giovani, avendo cura però di non trascurare un adeguato sviluppo delle qualifiche professionali, che alla luce dei fabbisogni formativi del sistema delle imprese risultano essere richieste in percen- tuale consistente. Le imprese di produzione, per esempio, richiedono complessiva- mente circa il 40% di qualifiche professionali. Lo sviluppo delle qualifiche trien- nali, vale la pena ripeterlo, deve essere inserito all’interno di un sistema di IeFP ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 7 0 che traguarda i diplomi tecnico-professionali organizzati in percorsi di durata variabile dai quattro ai sette/otto anni. Il documento elaborato dall’ISFOL rappresenta un buon punto di partenza. Esso individua un adeguato numero di settori, o famiglie professionali, rispetto ai quali si potranno individuare figure professionali polivalenti, riducendo la miriade delle attuali qualificazioni. La riflessione, come ricordava Pellerey, va ripresa dunque a partire dal lavoro dell’ISFOL, anche al fine di rivedere l’organizzazione degli IFTS con la prospetti- va di costruire un sistema stabile di formazione tecnico-professionale superiore. Questa è la vera scommessa dell’IeFP. Senza la formazione professionale terziaria il sistema dei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale perderebbe tutta la sua potenzialità e il sistema educa- tivo rimarrebbe sbilanciato. Nel corso del seminario sono stati presentati i risultati del monitoraggio degli IFTS. La sperimentazione è stata importante perché ha portato il nostro Paese a discutere di un segmento terziario di formazione parallelo all’università. Ora biso- gna partire dai dati di monitoraggio per delineare un sistema più efficace. I risultati, infatti, non sono confortanti: soltanto il 33% di quelli che escono rie- scono a trovare un lavoro coerente con il percorso formativo; soltanto il 50% degli iscritti ha trovato occupazione; il dato dei dispersi è elevato; la composizione del- l’utenza si è modificata al punto da prefigurare un “canale” di ripiego per gli espulsi dall’università o dai licei. La crisi degli IFTS è, inoltre, determinata dal sistema di finanziamento a bando che comporta una evidente scarsa stabilità. Bisogna creare un sistema stabile, pre- vedendo istituti/scuole che dai percorsi del diritto dovere si proiettano fino alla formazione terziaria superando, altresì, l’idea per cui la formazione tecnico pro- fessionale superiore possa essere realizzata soltanto dall’università. In primo luogo, bisogna mettersi d’accordo sulla necessità di realizzare una diffe- renziazione funzionale con l’individuazione di differenti profili e percorsi sia acca- demici, in senso classico, che di formazione tecnico professionale superiore. In secondo luogo, si dovrà affrontare il tema della differenziazione strutturale con l’individuazione dei soggetti, delle sedi e dei luoghi ove si realizzano i percorsi del segmento professionale terziario. Questo secondo tema attiene alle specifiche competenze programmatorie delle regioni da collocarsi, preferibilmente, in un quadro di indicazioni nazionali per l’accreditamento dei soggetti e nel rispetto delle competenze delle autonomie fun- zionali, università e istituzioni scolastiche. Questo ragionamento porta alle considerazioni che faceva Michele Pellerey sulla necessità di affrontare il problema del dimensionamento delle sedi e del riconosci- 1 7 1 PROSPETTIVE DI LAVORO E DI INTERVENTO. PARERI DELLE ISTITUZIONI mento dei soggetti. Dare stabilità al sistema dell’istruzione e formazione professionale, sia nel seg- mento secondario che terziario, comporta avere strutture di una certa consistenza: la formazione tecnica superiore, inoltre, non può essere organizzata in ogni comu- ne o città. La Regione deciderà, sulla base della propria programmazione, l’ambi- to territoriale dove sviluppare scuole tecnico professionali superiori per specifiche aree professionali (agro-ambientale, elettronica, meccanica, ...), anche in relazio- ne ai distretti produttivi. Lo sviluppo di campus o poli formativi (istituzioni scolastiche/formative e univer- sità che autonomamente possono organizzarsi anche in rete) che per aree profes- sionali siano in grado di prospettare percorsi di varia durata e tipologia, potrebbe consentire, tra l’altro, l’ottimizzazione delle risorse, anche in considerazione del fatto che il sistema di IeFP richiede consistenti investimenti in laboratori. Questi appaiono i nodi che dovremmo affrontare nel breve periodo. Ulteriori ritar- di allontanerebbero il nostro Paese dalla possibilità di realizzare gli obiettivi euro- pei posti dal processo di Lisbona. In molte relazioni di questo seminario è stato ripetuto, infatti, che l’Italia difficilmente raggiungerà il traguardo di Lisbona entro il 2010. D’altro canto, non bisogna sottovalutare gli effetti che l’allargamento dell’Unione potrà comportare per Paesi come il nostro, considerando che i paesi scandinavi e quelli dell’Est europeo entrati recentemente appaiono già in linea con gli obiettivi di Lisbona nel campo educativo. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 7 2 6.3. Intervento tavola rotonda Luciano Falchini Settore FSE e sistema della formazione - Regione Toscana Ritengo che l’intervento di Domenico Sugamiele abbia posto una serie di questio- ni di rilievo. Parlare ancora di quarto anno senza riuscire, poi, a garantirne un riconoscimento rispetto agli obiettivi che l’Unione Europea ci pone, denota la drammaticità della situazione italiana in termini di caos dei sistemi. Il Consiglio Europeo di Lisbona ci ha posto una serie di obiettivi: entro il 2010 biso- gna garantire che l’85% dei venticinquenni abbia un titolo di studio superiore, il che vuol dire quasi tutti. Se la formazione professionale deve avere un ruolo in ter- mini di formazione superiore bisogna arrivare a riconoscere la validità delle quali- fiche rilasciate per una lettura di questo tipo, altrimenti l’Italia resterà penalizzata. Il problema è che fino a oggi le diatribe tra il Ministero dell’Istruzione e Ministero del Lavoro hanno impedito la creazione di un sistema di reciproco riconoscimen- to delle competenze. Questa è la situazione: siamo un Paese di serie C in Europa su questo aspetto e al momento dai livelli centrali non arriva nessun segnale di soluzione, anzi arrivano segnali che delineano modelli e sistemi separati. Ricordo che il MIUR ha bloccato il decreto del Ministero del Lavoro n. 174 del 2001, che prevedeva la creazione di un sistema di certificazione e riconoscimento delle competenze in materia di formazione. Ancora oggi siamo in situazioni di con- flittualità tra il libretto formativo previsto dalla legge Biagi e le previsioni della legge 53, ma su questo vorrei tornare dopo in termini di proposte regionali. Sono convinto che la soluzione base per l’integrazione dei sistemi stia nella regio- nalizzazione delle competenze nel settore dell’istruzione. Fermo restando la salva- guardia dell’unitarietà nazionale e di regole generali, in cui si fissano alcuni prin- cipi generali e non si va a definire i dettagli delle attività da svolgere nei singoli sistemi, la competenza sulla gestione dell’istruzione deve essere trasferita alle Regioni: in questo senso si è pronunciata la recente sentenza della Corte Costituzionale, in questo senso alcune Regioni fra le quali la Toscana si stanno muovendo per emanare leggi di recepimento di quella sentenza. Sarà, quindi, interessante vedere come reagirà il livello nazionale quando queste 1 7 3 PROSPETTIVE DI LAVORO E DI INTERVENTO. PARERI DELLE ISTITUZIONI leggi saranno approvate e arriveranno al vaglio: mi aspetto un ricorso alla Corte Costituzionale, un’impugnativa del provvedimento. Il sistema italiano è abituato a comportarsi così: si dice che vogliamo cambiare, ma poi si ostacola ogni meccanismo di cambiamento. A mio avviso i modelli che ci vengono da altri paesi europei hanno già dimostrato che sistemi decentrati garantiscono molta più funzionalità, a meno che non siano modelli centralizzati come quello francese, ma hanno un altro retroterra culturale e organizzativo alle spalle. Credo, invece, che la Spagna su questo insegni molto. A mio avviso serve anche una forte contaminazione della formazione tecnico-pro- fessionale statale con l’esperienza delle Agenzie Formative. Se c’è stato un settore che ha dimostrato in questi anni grande capacità di adattamento alle esigenze del sistema produttivo, alla crescita culturale del paese, è stato il sistema delle Agenzie Formative, con l’elasticità che possiede. Serve una grossa iniezione di questa elasticità dentro la formazione degli Istituti Statali: credo che l’esperienza degli IFTS in questo senso abbia dato un segnale delle potenzialità esistenti. Questo passa attraverso la competenza regionale sulla materia. Sono personalmente molto perplesso su questa ultima proposta che ci è arrivata dalla Nardiello di creare gli Istituti per gli IFTS. Quel documento delinea la costituzione di istituti per gli IFTS. Pensare un livello istituzionalizzato biennale dopo il diploma parallelo all’università vuol dire creare un’università di serie B. Personalmente sono contrario ad una ipotesi di questo tipo. Gli IFTS hanno un futuro se mantengono la caratteristica con cui sono par- titi, cioè di processi di specializzazione e di forte professionalizzazione post-diplo- ma, anche se - a mio avviso - una forte professionalizzazione deve essere già pos- seduta quando si consegue il diploma. È necessario offrire ai ragazzi possibilità di percorsi anche brevi. Abbiamo avuto difficoltà a gestire gli IFTS biennali rispetto alla richiesta delle imprese. Molto spesso in Toscana sono stati assunti dalle impre- se i ragazzi dei corsi subito dopo il primo anno, anche con lo scopo di contrattua- lizzarli a livelli inferiori. Continuo a ritenere gli IFTS un momento importante di integrazione tra sistemi: è necessario che essi diano immediatamente la potenzia- lità di sbocco e mantengano caratteristiche di elasticità. Da questa introduzione sul quadro istituzionale emergono tre concetti chiave: forte decentramento, forte contaminazione e grande elasticità dei sistemi. Un altro aspetto riguarda i cittadini. Parlare di valore legale di un titolo è sicura- mente un problema grosso, ma alla fine è un problema che riguarda principal- mente la partecipazione ai concorsi pubblici e l’accesso all’università, perché, poi, il sistema privato è interessato ad altri elementi. In Italia, c’è grande carenza di riconoscimento dei diritti del cittadino, di possibilità ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 7 4 di spendere questi diritti quando parliamo della certificazione delle competenze. Sono state fatte alcune sperimentazioni in materia di certificazione e riconosci- mento delle competenze, in particolare per gli IFTS e per l’obbligo formativo, ma il livello delle sperimentazioni è ancora estremamente marginale. Abbiamo ‘ven- duto’ gli IFTS, promettendo il riconoscimento dei crediti da parte dell’università ma, spesso, questo succede in realtà solo da parte del professore che ha insegnato in quel corso e non da parte del sistema universitario inteso nel suo insieme. Rischiamo allora di aver dichiarato il falso. In Europa sono molto forti ormai i sistemi integrati di certificazione di competen- ze, che consentono passaggi da un settore ad un altro, che consentono il ricono- scimento di percorsi diversi o di vari livelli di svolgimento dei percorsi, mentre in Italia questo non accade. Nei mesi di dicembre 2004/gennaio 2005 l’Unione Europea ha approvato la deci- sione Europass, per la messa in trasparenza del valore dei titoli che i vari sistemi nazionali rilasciano. Dovremo creare la nostra agenzia nazionale, che dovrà costruire il sistema in cui saremo chiamati ad agire come Regioni e come Ministero dell’Istruzione, per garantire ai cittadini una riconoscibilità europea dei titoli rila- sciati. Come Regione Toscana abbiamo iniziato a lanciare un grosso progetto in questo senso, che si unisce ad un progetto interregionale sulle competenze, con il quale vogliamo arrivare a essere pro-attivi per la creazione di un sistema nazionale, di cui, poi, le Regioni siano i principali soggetti attuatori. È comunque chiaro che si richiede necessariamente un modello nazionale quale standard minimo di riferimento, che non può essere né il modello esclusivo del Ministero dell’Istruzione, né il modello esclusivo del Ministero del Lavoro, ma necessita di una integrazione di sistema. Deve esistere il modello nazionale, il modello-Paese, ed è abbastanza curioso, con- sentitemelo, che siano le Regioni a dover porre il problema della costruzione di un modello-Paese, ma così è in Italia, purtroppo. In Europa, i paesi del Nord, stanno discutendo su come riconoscere i percorsi non formali o informali, mentre in Italia bisogna ancora creare un sistema di certificazione delle competenze sul segmento formale. Abbiamo avviato questo progetto interregionale: l’idea base che noi abbiamo pre- sente coincide con gli argomenti trattati in questo seminario, cioè la definizione di raggruppamenti (o famiglie professionali), all’interno dei quali ci siano delle figu- re, ma che siano un numero limitato: non possono essere le circa 6.700 qualifiche professionali del sistema di collocamento, né le 400 qualifiche professionali del sistema di formazione professionale della Regione Toscana, o quelle delle altre Regioni. 1 7 5 PROSPETTIVE DI LAVORO E DI INTERVENTO. PARERI DELLE ISTITUZIONI Diventa necessario creare un sistema facilmente leggibile, all’interno del quale, poi, siano distinguibili le specializzazioni, che il singolo ha conseguito in un deter- minato corso. Ciò è necessario per garantire i diritti dei cittadini. Il sistema dovrebbe anche con- sentire a chiunque intraprenda un percorso di studi e lo interrompa, di ottenere il riconoscimento delle competenze acquisite, in modo tale da non ripetere questi moduli quando, poi, accede di nuovo ad un sistema di istruzione o formazione. Questo dovrebbe anche consentire di adottare questo sistema per tutta una serie di aspetti. Cito, per fare un esempio unico, l’analisi dei fabbisogni formativi, dove Enti Bilaterali o Unioncamere vanno ad effettuare rilevazioni su modelli di classi- ficazione da loro creati, sicuramente interessanti, ma che, poi, diventano difficili da leggere in assenza di un sistema-Paese. Il lavoro da voi presentato sulle singole famiglie professionali ci sarà sicuramente utile per il nostro progetto sulle competenze, attraverso il quale vogliamo arriva- re, nell’arco massimo di un anno, a definire una proposta di famiglie e figure e, poi, cominciare a riempire dei contenuti queste figure, utilizzando anche l’impor- tante lavoro che voi avete fatto. Concludo il mio intervento parlando delle Agenzie Formative nelle Regioni. Il quadro è molto diversificato: la Toscana ha visto risorgere in questi ultimi anni un grosso sistema di Agenzie Formative molto parcellizzato, dopo il superamento delle precedenti esperienze di gestione pubblica, esclusiva nei decenni passati. Altre Regioni hanno sistemi diversi; sicuramente - lo sto dicendo da vario tempo - serve un sistema di rappresentanza, un sistema di aggregazione, che in questo momento esiste a livello nazionale solo per le grandi Agenzie Formative, mentre non esiste per niente a livello regionale e per la miriade di piccole Agenzie Formative, che, invece, ritengo siano l’anima di molte realtà regionali. Sarebbe molto utile che nascesse un sindacato di queste agenzie anche perché, poi, dive- rebbe un interlocutore importante nei confronti delle Istituzioni regionali. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 7 6 6.4. Intervento tavola rotonda Nicola Abbundo Assessorato Formazione, Istruzione e Lavoro - Regione Liguria La formazione superiore rappresenta uno dei tasselli decisivi per la modernizzazio- ne del nostro sistema educativo di istruzione e formazione, al fine di consentire una migliore risposta alle esigenze dei giovani e di garantire nel contempo la competiti- vità del nostro sistema economico nell’ambito dello scenario globalizzato. Si tratta di: - evitare che le domande formative post-diploma ricadano indistintamente nel- l’ambito dei percorsi universitari; - garantire una continuità tra offerta di formazione superiore e offerta di forma- zione di diploma; - consentire anche ai liceali di accedere a tale formazione; - realizzare una metodologia didattica che preveda una circolarità tra teoria e prassi, con la forte valorizzazione del patrimonio formativo insito nelle esperien- ze di lavoro. Per tale motivo, va riconosciuto che la stagione degli IFTS richiede una decisa svolta, poiché si tratta di eliminare il carattere fortemente autoreferenziale di un segmento del sistema creato con la legge 196/97 e che non è ancora allineato secondo i criteri della riforma 53/2003. Il processo di riforma che è in atto, iniziando dalla revisione del titolo V della Costituzione e proseguendo con la legge 53/03 (Moratti) e la legge 30/03 (Biagi), raccoglie buona parte delle indicazioni positive presenti nelle normative preceden- ti (basti pensare alla legge 144/99 istitutiva dell’obbligo formativo, che si ricono- sce nel nuovo ordinamento del diritto-dovere), al fine di delineare un vero e pro- prio sistema educativo di istruzione e formazione. In tal modo si intendono affrontare e possibilmente superare le gravi difficoltà del- l’attuale situazione che possiamo definire ad un tempo burocratica e caotica, dove l’insieme delle iniziative appare tale da delineare una sorta di puzzle dove ogni componente esprime una forte vocazione autoreferenziale senza una reale capacità di dialogo e cooperazione. Una situazione così configurata rischia di disperdere risorse, sia quelle degli uten- 1 7 7 PROSPETTIVE DI LAVORO E DI INTERVENTO. PARERI DELLE ISTITUZIONI ti sia quelle degli educatori ed insegnanti, con una grave perdita per la nostra realtà sociale, le cui tensioni e dinamiche impongono un forte e deciso processo riformatore come quello che è in atto. Il processo riformatore in atto I principi fondanti tale processo possono essere così riassunti. 1. Sviluppo di percorsi formativi conformi con i requisiti della “società della cono- scenza” così come indicati dall’istanza comunitaria, consentendo a tutti l’accesso ad un più elevato livello culturale ed il perseguimento del successo formativo di tutte le persone, nessuna esclusa, valorizzandone gli apprendimenti formali, non formali ed informali, lungo tutto il corso della vita, garantendo il diritto-dovere di istruzione e formazione ed i diritti educativi e formativi comunque intesi. 2. Collocazione delle diverse componenti dell’offerta entro un disegno di sistema di istruzione e formazione professionale con carattere di organicità e continuità, che preveda percorsi pluralistici di qualifica, diploma e diploma superiore col- locati in un processo di offerta dal carattere progressivo. Ciò considerando le diverse opzioni possibili (orientamento e bilancio, corsi strutturati, apprendi- stato, corsi destrutturati, alternanza formativa, servizi di accompagnamento…) entro un quadro unitario. 3. Sostegno del processo di innovazione dei diversi organismi erogativi verso un modello di servizio aperto alla soddisfazione dei bisogni degli utenti e del terri- torio, di qualità, nella logica del partenariato e della rete, in una prospettiva di “servizio della società civile”. 4. Adozione della metodologia della personalizzazione basato su piani di studio e portfolio delle competenze, comprendente un sistema di riconoscimento delle acquisizioni e loro gestione sotto forma di crediti formativi. 5. Qualificazione continuativa dell’offerta, puntando in particolare all’eccellenza formativa in stretta connessione tra il sistema di istruzione e formazione pro- fessionale e ambiti economico-sociali e culturali che sviluppano un know-how di alto livello. 6. Garanzia della contestualizzazione del sistema di offerta formativa e lo svilup- po di una governance territoriale tramite la cura della rete territoriale, che veda il coinvolgimento dei diversi attori che insistono nel medesimo ambito di riferi- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 7 8 mento con attenzione anche al primo ciclo degli studi, al sistema dei Licei ed all’Università. Natura dei due sistemi Entro questo quadro unitario, alla luce del nuovo titolo V della Costituzione modi- ficato dalla legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001 che supera la tradiziona- le distinzione, presente nell’originario linguaggio della Costituzione, tra “scuola”, da un lato, e “istruzione artigiana e professionale” dall’altro, si è delineata la pos- sibilità di una nuova classificazione dell’offerta non più basata sulla univocità del concetto di “scuola”, bensì sul criterio che sottende il carattere dell’offerta forma- tiva. In tal senso, esistono due tipi di percorsi: a) quelli che presentano il carattere di “istruzione”, nel senso che forniscono allo studente una visione culturale generale in forza della quale egli può successiva- mente completare gli studi in sede universitaria o di formazione superiore (principio di propedeuticità), i cui titoli rilasciati non si riferiscono a profili pre- senti nel mondo del lavoro; b) quelli che presentano un carattere “professionalizzante”, ovvero che mirano a dotare la persona di requisiti di competenza tali da consentirle di immettersi nel mercato del lavoro e delle professioni (principio di professionalità) avendo acquisito titoli coerenti con profili corrispondenti a ruoli effettivamente ricono- sciuti nel mondo del lavoro. Il fatto che questi secondi siano di competenza esclusiva delle Regioni e delle Province autonome si spiega a partire dalla caratterizzazione territoriale del mer- cato del lavoro e, quindi, dalla individuazione della Regione come soggetto in grado di programmare l’offerta formativa professionalizzante in modo più pun- tuale e coerente con le caratteristiche locali. Naturalmente, questa programmazione deve rispettare i “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (art. 3, punto m), per poter assicurare la promozione del- l’integralità della persona umana di ogni allievo e prepararlo ad affrontare la vita in tutte le sue dimensioni, indicando cosa un allievo è e cosa deve essere al termi- ne del ciclo di riferimento; inoltre, per soddisfare gli impegni che il raggiungi- mento di tale obiettivo finale provoca necessariamente nell’adempimento delle prestazioni educative e formative da parte dei soggetti responsabili del governo dei sistemi educativi. Inoltre, tale programmazione deve poter prevedere le indicazioni regionali, al fine 1 7 9 PROSPETTIVE DI LAVORO E DI INTERVENTO. PARERI DELLE ISTITUZIONI di garantire che i titoli e le qualifiche professionali di differente livello siano vale- voli su tutto il territorio nazionale e di assicurare la spendibilità nazionale dei tito- li professionali conseguiti all’esito dei percorsi formativi, nonché per i passaggi dai percorsi formativi ai percorsi scolastici. Le azioni sperimentali e gli attuali punti critici Com’è a tutti noto, uno dei punti più qualificanti della riforma Moratti consiste nella creazione di un percorso formativo professionalizzante che consenta alla per- sona di avanzare nel proprio cammino, procedendo per livelli successivi di inter- vento/comprensione della realtà, secondo il principio del successo formativo. Il sistema di formazione professionale regionale (soprattutto la componente “forte” dello stesso sistema) ha saputo affrontare la sfida sottesa a tale disegno, mettendo in atto rilevanti azioni sperimentali per dare vita a nuovi percorsi di istruzione e formazione. Tali percorsi hanno subito incontrato un notevole successo tra gli utenti, confer- mando in tal modo le premesse su cui sono stati progettati. Vi sono oggi abbon- danti esperienze e materiali che documentano l’impianto pedagogico, organizzati- vo e gestionale oltre che regolativi di questi percorsi, dai quali emergono indica- zioni utili al fine di delineare il nuovo ordinamento del sistema di istruzione e for- mazione professionale. Cinque sembrano i punti di maggiore criticità ed attenzione su cui concentrarsi nel passaggio dalla sperimentazione all’ordinamento di sistema. 1) Il tema della personalizzazione, che risulta essere sempre più l’asse portante dell’intera riforma: occorre in tal senso evitare che le attività siano strutturate sotto forma di corsi rigidi, per aprire ad una visione educativa che preveda la presa in carico - da parte di strutture adeguatamente attrezzate - dei percorsi formativi personali degli utenti, disegnando in tal modo non un “luogo” rigido in cui inserire le persone, ma uno “stato” che delinea la condizione di chi per- segue un cammino formativo adeguatamente sostenuto ed accompagnato. 2) Il tema della certezza dell’offerta formativa: la stagione del FSE ha portato ad una proliferazione di agenzie formative e ciò ha corrisposto alla necessità di valorizzare le risorse formative proprie della società civile, ma occorre ricono- scere che la prima stagione dell’accreditamento non ha saputo imporre requisi- ti selettivi specie nell’ambito del diritto-dovere, dove la presenza di minori richiede un profilo esigente dal punto di vista degli organismi formativi. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 8 0 3) La questione della verticalità dell’offerta formativa per ambiti/comunità pro- fessionali e della varietà delle proposte formative che non sono riducibili uni- camente allo schema 3+1, ma richiedono una varietà di combinazioni che pos- sono prevedere un cammino formativo fino anche ai 23 anni (10 anni formati- vi). Attualmente il nodo è rappresentato dal diploma di istruzione e formazio- ne professionale (quarto anno), ma è necessario anche affrontare il tema della formazione superiore riportando gli IFTS nell’ambito di un disegno organico e progressivo, oltre che quello dell’alta formazione anche là dove si è verificata un’eccessiva delega all’Università di percorsi professionalizzanti (è il caso del comparto sociale, sanitario ed educativo, ma pure dei beni culturali ed anche del turismo). 4) Vi è, poi, il tema del coinvolgimento degli istituti tecnici e professionali, che deb- bono poter sviluppare una autonoma capacità progettuale, sapendo proporre per- corsi non necessariamente triennali, ma comunque sostenuto dal consenso delle imprese e degli operatori in genere. Già alcune esperienze sono in atto: occorre accentuare ancora tale impegno. Certo che per disegnare l’esito sotteso alla rifor- ma occorre che anche il MIUR invii segnali chiari e non discordanti, specie in direzione di coloro che vorrebbero ulteriormente liceizzare il sistema degli istitu- ti tecnici, scelta che porterebbe ad accentuare ancora di più la distanza tra scuo- la e realtà sociale ed economica e ad accrescere i fenomeni di dispersione e le necessità di passaggi “di massa” dai licei ai percorsi professionalizzanti. 5) Infine, vi è il tema delle risorse finanziarie. Su questo punto la riforma può deci- samente cadere, vista l’estrema povertà dei mezzi posti in atto. Le esperienze che si sono potute realizzare a partire dalla stagione dell’obbligo formativo fino a quella attuale del diritto-dovere hanno in molti casi dimostrato la loro positività, riuscendo a coinvolgere adolescenti e giovani che diversamente non avrebbero potuto/voluto accedere alla cultura. Si è messo in moto un processo virtuoso che non può essere interrotto e che necessita di investimenti adeguati, non le briciole che attualmente vengono erogate. Le Regioni che si sono mobilitate entro il dise- gno della riforma si sono poste correttamente nella prospettiva della piena responsabilità in campo educativo, con un disegno aperto, basato sul principio di sussidiarietà, secondo una logica di coinvolgimento e di governance del sistema complessivo. Non intendiamo il nostro ruolo come una sorta di “concessione” limitata di potestà da parte del Governo centrale, senza che si introduca nel rap- porto tra domanda ed offerta un principio di responsabilità sostanziale circa il successo formativo degli studenti, così come sollecitato dall’Unione europea. Se non si vuole che la grande mobilitazione riformatrice si risolva in una soluzione gattopardesca, è necessario che tutte le risorse finanziarie vengano parametrate 1 8 1 PROSPETTIVE DI LAVORO E DI INTERVENTO. PARERI DELLE ISTITUZIONI sulla base della popolazione collocata entro la fascia del diritto-dovere gli aventi diritto e rapportate ai risultati sostanziali delle diverse strutture erogative. La formazione superiore Il percorso di formazione superiore, rispondente alle necessità del sistema econo- mico e del mondo sociale, rappresenta un segmento del percorso formativo carat- terizzato da un forte livello di competenze. A tale livello la persona, dotata di una cultura superiore, è in grado di svolgere un’attività professionale con rilevanti competenze tecnico/scientifiche e/o livelli significativi di responsabilità e autono- mia nelle attività di programmazione, amministrazione e gestione. Sono previste figure professionali riferite a profili misti di quadri ed esperti, in cui si ritrovano competenze di processo, di coordinamento e di gestione assieme a competenze specifiche, riferite ad ambiti definiti di intervento professionale (es.: esperto in programmazione di sistemi automatizzati). Tali figure si riferiscono anche a comunità professionali che prevedono albi ed associazioni per la cui ade- sione è necessaria un’attività di tirocinio. I destinatari sono rappresentati dai giovani (ed in prospettiva anche adulti) in possesso di diploma di formazione corrispondente per comunità professionale. Si possono prevedere da uno a tre anni formativi a seconda del settore/comunità pro- fessionale, in intesa con i soggetti della comunità professionale di riferimento. Tale intesa prevede anche la definizione delle attività di tirocinio e relativi standard di riferimento omogenei sul territorio nazionale al fine dell’abilitazione e dell’acces- so nelle associazioni professionali, nel rispetto della normativa in atto. Circa le metodologie, è necessario qualificare ulteriormente la formazione della competenza intesa come presidio di un compito lavorativo-professionale comples- so con livelli significativi di responsabilità, riferiti sia alla gestione delle risorse umane sia al budget. Nel contempo si intende approfondire e qualificare la cultu- ra professionale dei destinatari anche sotto il profilo dell’etica e della deontologia professionale, vista la rilevanza delle funzioni di responsabilità circa le risorse umane ed il budget. La formazione alle competenze si realizza tramite laboratori da svolgere in stretta cooperazione con le imprese e le associazioni professionali. Tali laboratori consentono all’allievo di confrontarsi con le buone prassi adottate dagli attori dell’attività professionale di riferimento. In modo più approfondito rispetto al diploma di formazione, è prevista per la formazione superiore un’area formativa denominata Project work. Infatti, le conoscenze non possono essere ricondotte unicamente a materie, disci- pline o aree culturali. Da ciò consegue che compito della scuola non è trasmettere le nozioni, quanto consentire nell’alunno la formazione di un metodo che gli con- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 8 2 senta una «conoscenza pertinente, quella capace di collocare ogni informazione nel proprio contesto e se possibile nell’insieme in cui si inscrive». Si può anche dire che la conoscenza progredisce principalmente non con la sofisticazione, la formalizza- zione e l’astrazione, ma con la capacità di contestualizzare e di globalizzare. Si tratta, quindi, di un’offerta formativa sistematica, disposta in un disegno istitu- zionale e continuativo rispetto ai percorsi di istruzione e formazione. Tale proposta riflette il necessario dialogo sociale che deve svilupparsi tra le forze culturali, pro- fessionali ed economiche, da un lato, e gli organismi formativi dall’altro, al fine di delineare una strategia di offerta formativa e di orientamento all’utenza che sia spe- cifica per ogni “comunità professionale” corrispondente ad un settore omogeneo. Va, quindi, delineata entro una mappa dell’offerta di formazione superiore nel ter- ritorio, valorizzando i seguenti aspetti: vocazione socio-economica del territorio, fabbisogni formativi, bacini di utenza potenziale, istituti di istruzione e di forma- zione professionale dello stesso ambito. La formazione superiore deve essere necessariamente una formazione di eccellen- za: vanno pertanto assicurate le migliori risorse in termini culturali, professionali e tecnologici, oltre che di “rete formativa”, che consentano ad essa di realizzare esiti di qualità effettiva. Le Regioni, in questa fase, stanno affrontando il tema della delineazione del nuovo sistema a due velocità: 1) in primo luogo debbono intervenire da subito per assicurare che i percorsi di formazione professionale siano conformi alle indicazioni della nuova normati- va, ovvero la trasformazione dei percorsi biennali in percorsi triennali istituzio- nali a carattere educativo, culturale e professionale, con la possibilità di conse- guire un successivo diploma di formazione ed anche titoli propri della forma- zione superiore; 2) in secondo luogo dare avvio ad un disegno più complessivo tale da assicurare un percorso di istruzione e formazione professionale solido, di pari dignità rispetto a quello liceale, comprendente anche il segmento di formazione supe- riore ed anche di alta formazione. Occorre, in particolare, che le azioni previste per il percorso IeFP non abbiano duplicati nel percorso liceale, e inoltre che siano sempre aperti alla duplice prospettiva dell’inserimento lavorativo e della prosecuzione nella formazione superiore, garantendo inoltre la possibilità di reinserirsi a un certo punto del percorso liceale. Risulta necessaria la scelta di una “formazione consistente” e qualificata, tanto da disegnare una fase nuova della storia del sistema formativo nel nostro Paese, coe- rente con le opzioni presenti nella normativa in itinere. 1 8 3 PROSPETTIVE DI LAVORO E DI INTERVENTO. PARERI DELLE ISTITUZIONI Ma occorre anche considerare il diverso posizionamento delle Regioni in riferi- mento all’esistenza di un sistema stabile di formazione professionale. È a tutti noto come nel nostro Paese vi siano differenze anche notevoli in tal senso, ragione per cui appare necessario per un gruppo non limitato di Regioni operare un salto di qualità che, nel momento in cui dà vita ad un impegno sistematico in tema di nuovi percorsi di istruzione e formazione professionale, introduce già il nuovo ordinamento, che - come sappiamo - richiede elevati livelli di competenza per l’en- te Regione. La presenza nel sistema pluralistico di istruzione e formazione professionale di una varietà di organismi (Istituti tecnici, Istituti professionali, Centri di formazio- ne, Agenzie formative), sulla base di un ordinamento unitario, ma non unico (nep- pure nella versione “integrata”) attesta l’acquisizione in questo nuovo contesto delle caratteristiche tipiche dell’iniziativa delle Regioni, che possono essere così precisate: - forte distinzione tra funzione di programmazione (propria della Regione) e fun- zione di gestione (propria degli organismi erogativi); - pluralismo formativo emergente “dal basso” ovvero dalla società civile; - centralità del processo che attesta la legittimazione formale degli organismi ad operare, definito come “accreditamento” delle strutture erogative; - processo di attribuzione degli incarichi gestionali mediante una procedura che garantisca l’apertura a tutti gli organismi aventi i requisiti posti (accreditati); - erogazione del finanziamento pubblico in misura paritaria, entro parametri pre- definiti. In conseguenza a ciò, l’assunzione di tali criteri introduce in tale sistema a pieno titolo il principio pluralistico, tramite il quale le strutture che erogano formazione - qualunque sia la loro natura giuridica - sono concepite come soggetti in grado di svolgere un servizio di pubblica utilità, ed inoltre il principio di sussidiarietà che attesta il primato della società civile rispetto agli organi della Repubblica nel deli- neare le risposte ai bisogni che la società stessa esprime. Tutti gli organismi quindi - anche gli Istituti scolastici - debbono garantire l’ac- creditamento, che, rispetto alla prima versione attuata nelle Regioni, richiede, spe- cie per gli interventi connessi al diritto-dovere di istruzione e formazione, una maggiore connotazione educativa. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 8 4 7. CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO. COSTRUZIONE DELLA MAPPA DELLE COMUNITÀ PROFESSIONALI 7.1. La realizzazione della Mappa delle Comunità Professionali per un sistema di offerta diversificato e comparabile Angela Elicio Associazione CIOFS-FP La piena spendibilità sul piano nazionale, così come su quello europeo, dei titoli rilasciati dal sistema di Istruzione e Formazione Professionale è uno degli elemen- ti che possono contribuire alla realizzazione del disegno di Riforma. Infatti, un elemento di debolezza della Formazione Professionale, nonostante la legge quadro 845/78 avesse previsto le fasce di qualifica, è quello relativo alla frammentazione e alla non comparabilità tra i percorsi formativi e le qualifiche rilasciate nelle diverse Regioni. Quindi, pur nel rispetto del trasferimento in atto delle competenze primarie alle Regioni ed alla luce di una ridefinizione dei piani formativi attenti alle specificità produttive, occorre dare alla definizione, a livello nazionale, dei livelli essenziali delle prestazioni un valore adeguato, per ritrovare capacità competitiva anche sul piano della qualità del lavoro. La sperimentazione avviata dal CIOFS-FP e dal CNOS-FAP in questi ultimi anni si è mossa verso l’ipotesi di un Repertorio delle Comunità, sulla base di un con- fronto interregionale che fornisse un quadro sistematico e coerente delle figure professionali definite per comunità, ovvero aggregati culturalmente coincidenti volta per volta con il settore (es. meccanico) o con il processo (es. aziendale e amministrativo), e di figure ruoli e denominazioni che hanno in comune una cul- tura distintiva ed articolate su tre livelli: qualifica professionale, diploma di istru- zione e formazione, diploma di istruzione e formazione superiore. I lavori di gruppo hanno per oggetto la focalizzazione sui percorsi di Formazione Superiore, in continuità con i percorsi già ipotizzati per le qualifiche ed i diplomi. Si richiede di offrire contributi circa la caratterizzazione della Formazione Superiore in riferimento alla cultura propria di ciascuna Comunità, alla peculia- rità della stessa Formazione Superiore, rispetto ai percorsi universitari ed alla spendibilità nel lavoro, ad ipotesi di titolarità delle certificazioni. 1 8 7 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO. COSTRUZIONE DELLA MAPPA DELLE COMUNITÀ PROFESSIONALI Nel contesto dei lavori del seminario, lo spazio dedicato al confronto con i forma- tori sul campo, del sistema CIOFS-FP e non solo, costituisce un momento signifi- cativo e qualificante, perché offre ulteriori spunti per la ricerca e gli approfondi- menti successivi. Comunità considerate Per 11 delle 17 comunità professionali1 previste dalle Linee guida (Nicoli, 2004, 39), è stato elaborato il Repertorio delle comunità e delle figure professionali di riferimento relative ai tre titoli conseguibili (cfr. tav. seguente). ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 8 8 COMUNITÀ PROFESSIONALE ALIMENTAZIONE AZIENDALE E AMMINISTRATIVA COMMERCIALE E DELLE VENDITE FIGURE DI DIPLOMA di IFP (IV anno): Tecnico - Tecnico dell’alimentazione - Tecnico dei servi- zi di impresa - Tecnico dei servi- zi commerciali FIGURE DI DIPLOMA di IFP SUPERIORE: Tecnico superiore o Esperto - Esperto di panificazione (imprenditoria/tecniche innovative) - Esperto lattiero-caseario - Esperto nella lavorazione e trasformazione del pesce - Esperto della gestione contabile - Esperto in comunicazione aziendale - Esperto di marketing strategi- co - Web master per servizi di e- commerce - Call-Center Manager FIGURE DI QUALIFICA di IFP (triennio): Operatore - Operatore dell’alimentazione - Addetto alla trasformazione degli alimenti - Addetto alla panificazione e pasticceria - Operatore dei servizi di impresa - Addetto alla segreteria - Addetto alla contabilità - Operatore dei servizi di vendita - Addetto alla vendita/com- merciale - Addetto e-commerce - Addetto alla televendita 1 Le comunità previste sono: agricola e ambientale; alimentazione; artigianato artistico; aziendale e amministrativa; chimica e biologica; commerciale e delle vendite; edile; elettrica ed elettronica; este- tica; grafica e multimediale; legno e arredamento; meccanica; sanitaria; sociale; spettacolo; tessile e moda; turistica e alberghiera (NICOLI D., 2004, 39). Cfr. Allegato 2, Formazione Superiore nel Progetto CIOFS-FP e CNOS-FAP, per ulteriori dettagli sullo sviluppo dell’offerta formativa e sulla Formazione Superiore. 1 8 9 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO. COSTRUZIONE DELLA MAPPA DELLE COMUNITÀ PROFESSIONALI ELETTRICA E ELETTRONICA ESTETICA GRAFICA E MULTIMEDIALE LEGNO E ARREDAMENTO - Tecnico elettrico - Tecnico elettroni- co e delle teleco- municazioni - Tecnico estetico - Tecnico nelle arti grafiche - Tecnico della lavorazione del legno - Tecnico dell’arre- damento - Tecnico superiore dei sistemi automatici - Tecnico superiore dei sistemi informatici e di telecomunica- zione - Tecnico superiore di sistemi tecnologici finalizzati al risparmio energetico - Tecnico superiore di progettazione elettrica - Tecnico superiore di progettazione elettronica - Capotecnico elettrico - Capotecnico elettronico - Esperto massaggiatore - Esperto truccatore di scena - sposa - fotografico - Esperto marketing prodotti estetici - Esperto in problemi tricologici - Tecnico superiore per la comunicazione e il multimedia - Tecnico superiore della lavorazione del legno - Operatore elettrico ed elettronico - Installatore/manutentore impianti elettrici - Installatore/manutentore impianti di automazione industriale - Installatore/manutentore di sistemi elettronici - Assemblatore/manutentore di personal computer e installatore di reti locali - Operatore estetico - Acconciatore - Estetista - Operatore grafico - Addetto alla progettazione - Prestampatore - Addetto ai pre-media - Stampatore offset - Legatore - Operatore del legno e dell’arredamento - Falegname - Intagliatore e scultore in legno COMUNITÀ PROFESSIONALE FIGURE DI DIPLOMA di IFP (IV anno): Tecnico FIGURE DI DIPLOMA di IFP SUPERIORE: Tecnico superiore o Esperto FIGURE DI QUALIFICA di IFP (triennio): Operatore Il progetto globale prevede, accanto a ciascuna Guida rivolta agli operatori dei CFP, un fascicolo illustrativo destinato agli utenti (ragazzi e loro famiglie). Tale fascicolo, che potremmo definire “orientativo”, mira a presentare la specifica comunità professionale, sottolineando gli aspetti educativo-formativi promossi da quella professione, le figure professionali di riferimento, i titoli conseguibili, gli sbocchi lavorativi, ecc.. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 9 0 MECCANICA SOCIALE E SANITARIA TESSILE E MODA TURISTICA E ALBERGHIERA - Tecnico meccanico - Tecnico dei servi- zi sociali (include la qualifica di Operatore socio- saniatario) - Tecnico del tessile e dell’abbigliamento - Tecnico dei servizi turistici - Tecnico delle attività ristorative - Tecnico superiore di automazione industriale - Tecnico superiore di progettazione meccanica - Tecnico superiore di produzione CAD-CAM - Animatore esperto di comunità - Esperto socio-culturale per anziani fragili e malati di Alzheimer - Esperto della linea moda uomo-donna - Esperto nella creazione e gestione eventi moda - Tecnico superiore delle attività alberghiere - Tecnico superiore delle attività ristorative - Tecnico superiore dei servizi turistici - Operatore meccanico - Costruttore alle macchine utensili - Montatore/manutentore - Saldocarpentiere - Termoidraulico - Manutentore sistemi meccanici ed elettronici dell’autoveicolo - Addetto ai servizi sociali - Operatore dell’abbigliamento - Confezionista modellista su CAD - Addetto alle confezioni industriali - Operatore turistico alberghiero - Addetto ai servizi turistici - Commis di sala e bar - Commis di cucina COMUNITÀ PROFESSIONALE FIGURE DI DIPLOMA di IFP (IV anno): Tecnico FIGURE DI DIPLOMA di IFP SUPERIORE: Tecnico superiore o Esperto FIGURE DI QUALIFICA di IFP (triennio): Operatore Struttura delle Guide e logica progettuale proposta Ciascuna Guida è stata strutturata in due parti: a) una parte comune a tutte le comunità, costituita da un’introduzione e un’impostazione generale (valenza edu- cativa del lavoro nella prospettiva del PECUP, indicazioni circa la valutazione e la gestione del portfolio); b) una parte specifica per ogni comunità professionale, comprendente una presentazione della comunità professionale (natura economica, sociale e culturale della comunità; comunità professionale in prospettiva formati- va; figure professionali: livelli e continuità); indicazioni su laboratori, stage e alternanza; scheda per il piano formativo e sua prospettiva temporale; elenco delle unità di apprendimento (dal primo al terzo anno). Le unità di apprendimento proposte corrispondono ai compiti che richiedono una forte interdisciplinarietà, ovvero coinvolgono in modo rilevante ed integrato tutti i formatori e le figure coinvolte nell’équipe di lavoro. Si tratta di una quota del tempo disponibile, che non esaurisce l’intero percorso. Ad esse vanno aggiunte le unità di apprendimento disciplinari e interdisciplinari che l’équipe riterrà necessarie per per- seguire le mete del PECUP e gli obiettivi specifici di apprendimento previsti, tenen- do conto dei caratteri del contesto, ivi compresi i destinatari delle attività. In sostan- za, si mira a sollecitare l’autonoma capacità progettuale dei formatori, con il coor- dinatore-tutor, affinché si realizzi una reale formazione personalizzata in modo costruttivo, avendo come riferimento una pista di lavoro che valorizza l’apporto peculiare della comunità professionale e la logica cooperativa dell’équipe. Metodologia operativa Per l’elaborazione delle Guide è stata adottata una metodologia impegnativa, che ha coinvolto diverse figure coordinate dalle Sedi Nazionali degli enti interessati in una équipe di lavoro nazionale. Fondamentale è stato il contributo degli operato- ri, i quali sono stati sollecitati a rielaborare le loro migliori esperienze formative fondate su compiti reali in una prospettiva autenticamente interdisciplinare, tenendo conto delle mete del PECUP e degli obiettivi specifici di apprendimento previsti per il triennio; in tal modo, si è potuto realizzare un collegamento forte soprattutto con quelle progettazioni, che nel passato hanno potuto svolgersi secon- do il metodo peculiare della formazione professionale. Sono stati, poi, coinvolti degli esperti2 delle comunità di riferimento che hanno consentito di contestualiz- zare la proposta entro il quadro normativo, economico, sociale e culturale così 1 9 1 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO. COSTRUZIONE DELLA MAPPA DELLE COMUNITÀ PROFESSIONALI 2 Tali (esperti) poiché appartengono a strutture che hanno esperienza di progettazione e formazione nelle comunità specifiche. In tal modo si è realizzata una proficua collaborazione tra strutture differenti, attuando quella necessaria intesa che consente di sviluppare una proposta fondata e progressiva. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 9 2 7.2. Comunità delle Professioni Sociali Paolo Olivieri EISS - Ente Italiano Servizio Sociale L’Ente Italiano di Servizio Sociale è una fondazione che, da sempre, si occupa di ricerca, sperimentazione e formazione degli operatori dei servizi sociali: nello spe- cifico si occupa degli assistenti sociali e tutte le professioni sociali individuate in questi anni. I componenti del gruppo di lavoro appartengono a realtà formative impegnate in situazioni molto diverse fra loro, ma che, grazie a questa caratteristica, hanno apportato un valido contributo in termini di quesiti e proposte. Il punto di forza del tema affrontato risulta essere la proposta fatta nella guida della Comunità Professionale sociale-sanitaria elaborata dal CNOS/FAP e CIOFS- FP, il cui fulcro è il quarto anno, ossia un percorso dove si ipotizza un Diploma di Tecnico dei Servizi Sociali, al cui interno è presente anche la qualifica di Operatore Socio-Sanitario. L’Operatore Socio Sanitario è una figura leader rispetto alle diverse forme di Assistente di Base che, nelle diverse regioni e con diversi nomi, come è emerso dalle analisi, diventa un punto di riferimento forte per questo tipo di percorso nell’im- pianto iniziale della filiera. All’interno del gruppo di lavoro, sono affiorate, invece, perplessità circa il livello immediatamente inferiore, e cioè quello della Qualifica triennale, considerata la delicatezza dei compiti assegnati a questo tipo di figure professionali rispetto alla giovane età e alla maturità degli allievi. Infatti, rispetto alle competenze, ai percorsi, ai compiti e alle definizioni specifi- che, questa qualifica può ricomprendere molte delle figure professionali che ri- guardano gli Assistenti di Base e tutta quella fascia di Animatori e di Assistenti all’infanzia, che in vario modo e in diverse regioni costituiscono il panorama degli operatori esistenti in questo settore. A proposito dello sviluppo verticale, sono state messe in evidenza alcune opportu- nità di evoluzione della filiera nella fascia della formazione superiore, anche se con giustificate perplessità. Quella di definire una caratterizzazione della filiera delle Comunità Professionali del Sociale rispetto alla formazione delle figure apicali, che già l’Università oggi 1 9 3 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO. COSTRUZIONE DELLA MAPPA DELLE COMUNITÀ PROFESSIONALI propone, costituisce elemento di ragionamento rispetto alle competenze di orga- nizzazione, di pianificazione, di coordinamento, di gestione delle attività formati- ve, di espressione e socializzazione, che concorrono allo sviluppo delle potenzialità dell’individuo come al suo eventuale recupero ed inserimento sociale e lavorativo, ipotizzate per la figura di esperto socio-sanitario. Una opportunità potrebbe essere quella di impiantare un livello di formazione superiore come “Addetti al Segretariato Sociale”, anche in riferimento allo sforzo che l’EISS sta tentando, definendo lo standard nazionale di tale figura rispetto all’attuazione della legge 328 di riforma dei Servizi Sociali. Il servizio di segretariato sociale viene rappresentato in ogni regione, come livello essenziale delle prestazioni del sistema integrato dei servizi: si riconosce, cioè, la valenza dell’informazione, della relazione di accoglienza e di ascolto, dell’orienta- mento e della prima consulenza come passaggi essenziali nella ricerca di benesse- re delle persone. La relazione con i cittadini viene, dunque, ricondotta nella cate- goria del welfare “leggero” che compete al livello locale, su cui investire risorse strutturali e professionali specifiche. L’ulteriore articolazione dei servizi trova, poi, coniugazioni diverse di regione in regione e forse anche di provincia in provincia, ma non va negata una relativa omogeneità sulle linee più generali di intervento sociale. In ogni regione viene richiamato il valore del riconoscimento della famiglia come co-artefice del benes- sere della persona ed insieme come destinatario privilegiato di attenzioni nell’atti- vazione del servizio. È emersa la necessità di fornire agli allievi alcune metacompetenze, cioè degli stru- menti culturali e intellettuali che alla fine del percorso formativo li rendono non solo in grado di acquisire conoscenze, ma anche requisiti etico-professionali, che li motivino ad arricchire autonomamente il proprio bagaglio di competenze. L’ac- quisizione delle metacompetenze accresce la personalità degli allievi in tutti gli ambiti, da quello etico a quello sociale e operativo, e lo rendono autonomo costrut- tore di se stesso. Soddisfare questo tipo di esigenza diventa fondamentale e la proposta che il CNOS/FAP e il CIOFS-FP ipotizzano sulla comunità professionale del sociale è un ottimo strumento per discutere, per essere presenti in quanto attori protagonisti del processo di riordino delle professioni sociali, che sta già avvenendo in molte regioni per le diverse figure apicali e non. Cito l’esempio dei problemi che sono connessi agli assistenti sociali in questa fase di riordino anche delle lauree, e quin- di, del rapporto tra laurea breve e i vari corsi di laurea. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 9 4 7.3. Comunità delle Professioni nel campo della Grafica Fabrizio Tosti - Marco Tarisciotti CNOS-FAP Pur sottolineando l’importanza del momento storico che si sta vivendo, in base alla Riforma Moratti, si è parlato della possibilità di andare a costituire e proporre un quarto anno, nella filiera della comunità grafica, ma non senza avere grosse per- plessità su cosa effettivamente deve proporre e a quali esigenze rispondere questo ulteriore anno di formazione. Certamente è importante ed essenziale programmare e studiare delle soluzioni, perché, comunque, al termine dell’anno formativo 2004-2005 avremo i primi allievi che potranno richiedere di accedere ad un eventuale quarto anno di forma- zione arrivando a conclusione i primi percorsi triennali sperimentali. La richiesta che viene fatta dal mondo dell’industria grafica è quella di un prose- guimento degli studi in un possibile quarto anno, approfondendo soprattutto il profilo umano-culturale, dando più spazio a quelle conoscenze trasversali che vanno ad ampliare il profilo tecnico degli allievi soprattutto in quegli aspetti che riguardano le capacità di coordinare e relazionarsi in un posto di lavoro, assu- mendo delle responsabilità dirette. A tal proposito il quarto anno non va concepito come un anno di ulteriore specia- lizzazione, ma come stimolo per favorire la crescita integrale della persona, come un anno ulteriore per sviluppare il proprio progetto di vita professionale. Deve essere pensato come un anno di alternanza formativa intesa in senso “siste- mico”, che permetta all’allievo non già di avere una esperienza pseudo-lavorativa, ma che gli consenta di vivere la realtà imprenditoriale. Profilo del tecnico Entrando più nello specifico, bisognerebbe esplicitare meglio quali siano le abilità e le caratteristiche che deve sviluppare e possedere un tecnico grafico nel corso del quarto anno. Infatti la scelta fondamentale è nel decidere quali tipi di abilità bisogna promuo- vere per questa figura: abilità decisionali o abilità esecutive? Se cerchiamo abilità decisionali potrebbe non essere sufficiente un quarto anno; 1 9 5 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO. COSTRUZIONE DELLA MAPPA DELLE COMUNITÀ PROFESSIONALI infatti, potrebbe essere un’illusione credere di formare la figura del tecnico con l’aggiunta di un solo anno. Se, invece, intendiamo dare delle abilità esecutive, potrebbe non essere necessario il quarto anno, soprattutto tenendo presente la struttura della filiera che porta ad avere presenti nel quarto anno allievi prove- nienti da diversi percorsi triennali con specializzazione differenti tra di loro. D’altra parte in un solo anno non possiamo pensare che un operatore diventi un tecnico, probabilmente i tecnici in senso stretto dobbiamo aspettarceli dalla for- mazione professionale superiore. Ragionando, quindi, in quest’ottica, il quarto anno può essere visto più come un’a- pertura, un ponte verso una Formazione Superiore che porti a creare figure spe- cializzate principalmente all’imprenditoria e/o alle figure quadro/dirigenziali delle aziende. Questa visione comporta il rischio di non dare una collocazione lavorativa/profes- sionale specifica al tecnico che formiamo nel quarto anno, cadendo così nella iden- tica situazione che vive già lo studente che percorre il canale dell’istruzione tradi- zionale, in cui non si comprende a quale livello uno studente sia pronto per entra- re nel mondo del lavoro: dal diploma si deve passare all’università, ai master, ai tirocini… Chi è dunque il tecnico che andiamo a formare? Sembrerebbe essere un po’ più di un operatore e un po’ meno di un tecnico? Non possiamo permetterci di correre questo rischio. Un allievo che decidesse di terminare il suo percorso formativo al termine del IV anno deve avere la certezza di quello che è diventato. La certezza di poter spen- dere la sua professionalità. Nuovi formatori e nuova didattica Un quarto anno così concepito, e cioè che vada ad identificare una figura profes- sionale nuova di responsabilità all’interno di una azienda, necessita di un percor- so formativo innovativo nella sua metodologia e di conseguenza di formatori pron- ti a raccogliere la sfida. Formatori capaci di lavorare intorno a “progetti formativi”, più che soltanto intor- no a “temi formativi”; acquisisce vitale importanza una metodologia formativa tutta protesa verso le “unità di apprendimento”, che sembrerebbero essere un buon mezzo per vincere questa scommessa. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 9 6 Formazione professionale e formazione universitaria La formazione professionale superiore troverebbe il suo giusto significato e la pro- pria caratterizzazione, se viene impostata in modo tale da fornire all’impresa com- petenze tecnico-operative, differenziandosi dalla preparazione universitaria, che invece, dovrebbe occuparsi di fornire all’impresa persone capaci di innovazione e ricerca. In tal modo si riuscirebbe a dare risposte più mirate alle imprese che trop- po spesso non trovano nei laureati quella professionalità e quella vicinanza alle problematiche del lavoro, perché sempre vissuti lontani dalla realtà dell’imprese. Formazione Professionale Superiore Impresa Università Operatività Gestione Tecnica Ricerca e Sviluppo/ Innovazione 1 9 7 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO. COSTRUZIONE DELLA MAPPA DELLE COMUNITÀ PROFESSIONALI 7.4. Comunità delle Professioni Aziendale e Amministrativa Giuseppe Pinna CIOFS-FP Lazio Premessa Il tema degli incontri del presente lavoro di gruppo si è sviluppato sulle tematiche relative alle problematiche ed alle specificità legate alla formazione professionale (FP) nella CP “Aziendale e Amministrativa”, con particolare riferimento agli aspet- ti legati alla Formazione Superiore, ovvero al Diploma di Formazione Professionale e al Diploma di Formazione Superiore. Agli incontri hanno partecipato più di 30 persone, per lo più responsabili, proget- tisti e docenti dei diversi centri di istruzione e formazione professionale, apparte- nenti al CIOFS-FP e ad altri enti di diverse regioni italiane. Un grazie particolare a tutti gli intervenuti e alla Regione Toscana che ha ospita- to questo seminario. Svolgimento dei lavori I lavori sono iniziati con una breve presentazione della Linea Guida elaborata per la CP “Aziendale e Amministrativa”, ponendo in evidenza la natura economica, socia- le e culturale della stessa comunità ed il percorso formativo ad essa collegato. Più in particolare, l’attenzione si è focalizzata su due aspetti: a) aspetti legati alla formazione in senso stretto; b) aspetti legati alla certificazione e alla spendibilità dei titoli, specialmente nel- l’ambito della Formazione Superiore. Analizziamo, distintamente, i due aspetti. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 1 9 8 a) Aspetti legati alla formazione in senso stretto Dalle discussioni avvenute in seno al gruppo di lavoro sono scaturiti diversi ele- menti di rilevante importanza per quanto concerne la struttura dei corsi di for- mazione, in funzione, anche, degli aspetti legati alla formazione superiore (dal quarto anno in poi). La premessa è che una buona formazione deve presupporre l’analisi di tre elementi: 1. fabbisogni formativi; 2. fabbisogni delle aziende; 3. le risorse umane e finanziarie a disposizione. Il primo elemento che è scaturito è quello legato all’esigenza di puntare ad ottene- re un innalzamento del livello qualitativo dei corsi professionali, soprattutto per far sì che, una volta raggiunto il Diploma di Formazione Superiore, gli allievi che lo desiderano possano agevolmente accedere all’università senza trovare barriere di natura formativa. Ciò non significa che la filiera della IeFP debba esser in contrasto con quella dei licei, ma, al contrario, se finora entrambe hanno viaggiato su due linee parallele molto distanti, ora dovranno avvicinarsi reciprocamente e trovare dei punti d’incontro. In altri termini, ciò darebbe la possibilità al “liceale” di conoscere già dalla scuo- la il mondo del lavoro e all’allievo della FP di poter accedere agevolmente ai corsi universitari. In pratica, è necessario modificare in modo sostanziale la tradizionale impostazio- ne dei corsi. Un secondo aspetto da tener presente nella fase di strutturazione dei corsi è che l’azienda è il cardine della FP. Per questa ragione è indispensabile, sempre più, diffondere la cultura del lavoro tra gli allievi e la cultura della formazione (continua) tra le aziende. Per raggiungere tale obiettivo è necessario: - coinvolgere in modo più completo le aziende nella progettazione dei corsi (pro- gettare insieme: è ciò che all’estero già fanno, come è stato chiaramente esposto dai rappresentanti della Francia e della Spagna); - inserire i formatori in azienda per formare i datori di lavoro e i dirigenti che, spesso, non sono culturalmente preparati per una proficua collaborazione ente- azienda; - inserire i tutor aziendali nei corsi di istruzione e formazione (a Genova, ad esem- pio, hanno già organizzato due seminari formativi per i tutor aziendali); - accurato screening preventivo delle aziende. Altro aspetto molto importante, strettamente legato agli aspetti formativi, è quel- lo dell’introduzione della Deontologia Professionale all’interno dei corsi di tutte le 1 9 9 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO. COSTRUZIONE DELLA MAPPA DELLE COMUNITÀ PROFESSIONALI Comunità Professionali. È importante, infatti, che gli allievi, nel momento in cui dovranno confrontarsi con le aziende, sia durante il periodo formativo (stage) che alla fine del corso, sappiano comportarsi bene in azienda ed essere responsabili e puntuali nel loro operato, rispettando quei valori cristiani-salesiani, legati al lavo- ro, che sono alla base della vita di ogni individuo, oltre che il filo ispiratore e con- duttore dei nostri corsi. Questi aspetti assumono un valore fondamentale nella Comunità Professionale Aziendale-Amministrativa, perché, più che in ogni altra comunità, l’allievo-lavo- ratore si trova impegnato a rispettare continuamente scadenze e adempimenti di varia natura (si pensi, ad esempio, alla gestione di uno scadenzario o agli adem- pimenti di natura fiscale o a quelli relativi agli incassi e pagamenti di uno studio professionale, di un’azienda o di un ente). Alcuni componenti del gruppo hanno prospettato la necessità di introdurre un “Codice Deontologico” per gli enti formativi, per gli allievi e per le aziende (anche se attualmente, di fatto, già esiste - si pensi alla convenzione ente/azienda e a quel- la ente/allievo). Ciò nasce dall’esigenza che non sempre l’azienda “capisce” le esigenze del ragaz- zo (in proposito va detto che Italia Lavoro sta realizzando un “bollino” che certi- fica le aziende che dovranno accogliere gli stagisti). Altro punto affrontato è quello relativo all’importanza dell’insegnamento del- l’informatica e del diritto in tutti i corsi legati alle diverse comunità professionali: oggi, più che mai, il mondo lavorativo e la vita di tutti i giorni impone una cono- scenza sempre più profonda degli istituti giuridici, delle norme che disciplinano la vita ed il lavoro di ciascuno di noi, oltre che la competenza nell’uso degli strumenti informatici hardware e software. Per quanto riguarda l’intera filiera formativa, dalla qualifica al diploma, fino al Diploma di Formazione Superiore, l’obiettivo non è quello di creare diverse figu- re professionali ad ogni step, ma quello di accrescere sempre più le competenze dell’allievo fino ad arrivare ad un’autonomia operativa e gestionale dello stesso sempre più ampia. Tuttavia, nella fase della formazione superiore (diploma e diploma superiore), sarà opportuno privilegiare non solo gli aspetti formativi in senso stretto, ma soprattut- to, gli aspetti “culturali” finalizzati alla formazione dell’allievo come persona. Per realizzare quanto appena detto e raggiungere gli obiettivi formativi prefissati, servono nuovi strumenti per: - conoscere più a fondo le competenze da formare; - fare in modo che vi sia un accompagnamento al lavoro (avere docenti che svol- gono anche la professione). Infine, un discorso di non poco rilievo va fatto per le risorse finanziarie. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 0 0 Da più parti è scaturita la necessità di avere norme nazionali e/o regionali che pre- vedano incentivi per le aziende che ospitano gli allievi. Ad esempio, in alcune regioni italiane (Puglia) vi sono norme che prevedono un’indennità per il tutor; anche in alcuni paesi europei (Spagna) sono previste forme di agevolazione ed incentivazione per le aziende che ospitano allievi provenienti dai corsi di FP. È necessario, pertanto, che i diversi enti ed organismi impegnati nella FP svolga- no anche un ruolo di sollecitazione e di indirizzo verso gli organi legislativi nazio- nali e locali. b) Aspetti legati alla certificazione e alla spendibilità dei titoli (specie nella for- mazione superiore) Dal confronto delle esperienze dei diversi partecipanti ai lavori di gruppo è emerso che: - non vi sono norme che diano valore giuridico al Diploma di Formazione Professionale (IV anno) e, tantomeno, al Diploma di Formazione Superiore; - non esistono norme, nemmeno a livello di tutte le regioni e le province, che pre- vedano la certificazione dei titoli; - quello della certificazione è un problema grave, poiché, secondo la legislazione vigente, è il “valore legale” del titolo di studio che conta e che consente di par- tecipare alle selezioni ed ai concorsi della Pubblica Amministrazione; - a giudizio di alcuni (i rappresentanti della regione Piemonte), il problema lega- to al riconoscimento legale del titolo di studio potrebbe essere bypassato se, anzi- ché puntare a dare valore legale ai titoli (diploma di formazione, diploma supe- riore), a livello U.E. si certificassero le competenze dell’allievo (ad esempio, si arrivasse al riconoscimento delle competenze mediante la creazione del “libretto delle competenze”). In questo modo, si otterrebbe un duplice risultato: - si eviterebbe il problema di essere legati solo al “titolo” (non è detto infatti che, dal punto di vista lavorativo, il titolo rispecchi necessariamente le competenze che l’azienda cerca nel futuro lavoratore); - giuridicamente, istituzionalmente, forse ci troveremo di fronte ad un iter legisla- tivo più rapido (!), visto che la direttiva europea dovrà obbligatoriamente esse- re recepita dalla normativa nazionale. A livello U.E. si sta lavorando per un “Portfolio delle competenze” che, purtrop- po, non è ancora recepito in Italia né a livello nazionale né a livello regionale. Quanto appena detto ci fa comprendere quanto la mancanza di una certificazione 2 0 1 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO. COSTRUZIONE DELLA MAPPA DELLE COMUNITÀ PROFESSIONALI dei diplomi professionali sia un ostacolo serio per l’affermazione dei corsi di for- mazione superiore; proprio per questo, a giudizio di tutti i partecipanti, ancora una volta sarà indispensabile muoversi su due piani, affinché nello stesso tempo: - i singoli enti, centri ed operatori impegnati nella FP diffondano la cultura della formazione superiore e del diploma professionale (come è già avvenuto in pas- sato per l’attestato di qualifica); - tutti gli enti della FP facciano sentire la loro “voce” e le diverse esigenze, in maniera più incisiva, presso gli organismi istituzionalmente preposti a dare valo- re giuridico ai titoli ed alle competenze. Di sicuro non sarà un impegno facile, ma non mancherà la tenacia che sempre ha contraddistinto noi salesiani nelle “lotte” per ottenere ciò che ad ogni essere umano deve essere riconosciuto: il diritto all’istruzione, alla formazione e al lavoro! ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 0 2 7.5. Comunità delle Professioni nel Tessile - Abbigliamento Giampietro Brunelli ENAC Sede Nazionale Nella presentazione dei componenti del gruppo di lavoro emerge una varia e signi- ficativa rappresentanza di Centri di Formazione Professionale che operano nel set- tore del tessile, abbigliamento e moda. Sono rappresentate realtà formative impe- gnate nelle seguenti Regioni: Puglia, Toscana, Piemonte, Basilicata e Sicilia; tutte realtà molto diverse fra loro, ma che, proprio per questa eterogeneità, hanno apportato un contributo sostanziale e quanto mai pregno di utili suggerimenti nello svolgimento dei lavori. L’ordine dei temi che il gruppo si propone di affrontare e dei quali seguirà una sin- tesi dei risultati, è il seguente: a) quadro economico e tendenze della Comunità Professionale Tessile e Moda; b) stato della riforma e peculiarità del sistema di Istruzione e Formazione Professionale nelle Regioni e Province autonome italiane; c) come si può immaginare uno sviluppo in verticale di pari dignità per la For- mazione Professionale. Sul primo tema sono emersi numerosi elementi di crisi che interessano sia il com- parto del tessile, che il comparto dell’abbigliamento. Si ricordano soprattutto l’e- levatissima e, non sempre corretta, concorrenza di produttori stranieri, con parti- colare riferimento all’industria manifatturiera cinese, la difficoltà di promuovere i nostri marchi ed il nostro artigianato, tutelandoli dalle frequenti contraffazioni. Si sente la necessità di un intervento coordinato in due direzioni: rivalutare e conso- lidare le posizioni acquisite sui mercati di sbocco; promuovere e supportare ade- guatamente la penetrazione del made in Italy sui nuovi mercati, con particolare riferimento ai mercati dell’est Europa e della stessa Cina. Sullo stato della riforma e peculiarità del sistema di Istruzione e Formazione Professionale, il gruppo di lavoro ha rilevato una notevole differenza tra Regione e Regione. Ci sono Regioni dove la sperimentazione dei trienni di assolvimento del- l’obbligo formativo (diritto-dovere) non è mai iniziata, mentre in altre Regioni si trova già all’ultimo anno di qualifica, per non parlare della Provincia di Trento, dove si è giunti al quarto anno di Diploma di Formazione Professionale. In questa situazione, vengono condivise alcune condizioni ritenute necessarie per il ricono- 2 0 3 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO. COSTRUZIONE DELLA MAPPA DELLE COMUNITÀ PROFESSIONALI scimento dei sistemi di Istruzione e Formazione Professionale regionali: 1) trasparenza e sicurezza dell’offerta formativa: la qualifica triennale ed il Diploma di Formazione Professionale (4° anno) dovrebbero fondarsi sullo svi- luppo di percorsi formativi validati a livello nazionale e portare, in uscita, alle stesse figure professionali; 2) certificazione del profilo professionale e, quindi, il titolo conseguito in uscita consentirebbe una mobilità nazionale (europea se si arrivasse ad un riconosci- mento comune) degli operatori, incrementandone le possibilità di occupazione; 3) visibilità e dignità del sistema, di cui i primi due punti ne costituiscono le premesse. Soddisfare queste condizioni renderebbe chiaro e affidabile l’offerta formativa, sia nei confronti del sistema economico, che agli occhi delle famiglie degli utenti. Viene sottolineato quanto le famiglie risultino confuse e smarrite di fronte ad una esagerata variabilità di termini per definire molto spesso dei percorsi formativi che di fatto sono per lo più equipollenti. L’attenzione dei lavori si focalizza d’ora in avanti sulla possibilità di sviluppo in verticale e di pari dignità del sistema di Formazione Professionale. Si richiama da subito l’interesse del gruppo di lavoro per l’esperienza della Provincia autonoma di Trento che vede, dopo il terzo anno di qualifica, una diramazione a “pettine” dell’offerta formativa per il conseguimento del Diploma di Formazione Professionale, ovvero la possibilità di scegliere diversi indirizzi, anche se la deno- minazione in uscita di Tecnico è unica per tutti. Partendo da queste considerazioni e in riferimento al lavoro di progettazione ed implementazione di cui hanno esperienza i componenti del gruppo di lavoro, sono emerse alcune criticità comuni. Impiegare un solo anno per affinare un filo- ne del proprio percorso di qualifica è risultato essere poco esaustivo. Il gruppo ha considerato più opportuno, dietro una serie di valutazioni nate dalle specifi- che esperienze regionali, e talvolta da vissuti prettamente di natura pedagogica, di spostare l’articolazione a “pettine” al livello di Diploma di Formazione Professionale Superiore. Tale argomentazione è stata fatta soprattutto pensando a: facilitare la scelta delle famiglie in percorsi validati a livello nazionale con le associazioni di categoria rap- presentative del settore; avere una maggiore possibilità di sviluppare ed approfon- dire alcuni aspetti dell’area culturale anche nel quarto anno; rendere chiara e facil- mente comprensibile la possibilità di usufruire del dispositivo “passerelle” da un settore ad un altro, riducendo il fenomeno degli abbandoni precoci. Per ogni Comunità Professionale dovrebbe essere pensato e predisposto un per- corso in verticale, trasparente e facilmente comprensibile, attraverso il quale l’al- lievo con le famiglie, dopo un propedeutico intervento di counseling, adeguato alle ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 0 4 caratteristiche personali ed alle singole attitudini, riesca ad intravedere il percor- so formativo adatto per lui ed in esso si ritrovi in qualsiasi momento e “luogo”. La sottolineatura sul “luogo” per ribadire l’importanza di avere dei percorsi, che almeno fino al IV anno di formazione siano riconosciuti, a livello nazionale, dalle Istituzioni, dalle parti sociali e non ultimo rintracciabili dalle famiglie. Dare all’al- lievo la possibilità di riprendere, da dove ha lasciato, lo stesso corso quadrienna- le, il percorso formativo interrotto, diventerebbe sinonimo di garanzia e di qualità per l’intero sistema di IeFP anche nel confronto con il sistema dei Licei. Un soggetto che si inserisce in un percorso di formazione superiore “post-diploma” è un individuo già in grado di potersi auto-orientare e quindi, ipoteticamente, in possesso di un proprio portfolio e/o di tutto un insieme di abilità che gli consento- no di immaginarsi il proprio futuro in termini di auto-progettazione e auto-imple- mentazione, in chiave assertiva e di self-management. Per questo si spiega la scel- ta di spostare il “pettine” al Diploma di Formazione Superiore, cioè quando l’allie- vo è in grado di fare scelte più consapevoli, più coerenti ed in piena autonomia. Dal gruppo di lavoro è emersa l’esigenza che l’offerta formativa dei Centri di Formazione Professionale debba essere trasparente, ben visibile e di facile reperi- bilità per chi cerca di orientarsi nel variegato panorama della formazione: dai ragazzi alle famiglie, a chiunque sia direttamente o indirettamente interessato ai nostri servizi formativi. In sintesi la struttura in verticale del sistema di Formazione Professionale vedrebbe: a) un percorso di tre anni per una qualifica di settore e con la quale si assolve al diritto-dovere all’Istruzione e Formazione Professionale; b) un percorso di un anno per ottenere un diploma di formazione di settore; c) diversi percorsi (“pettine”) con durata che può essere di uno o due anni, a secon- da delle competenze richieste in uscita, per ottenere un Diploma di Formazione Superiore nel settore del tessile e dell’abbigliamento. Per questo sono stati ipotiz- zati come indirizzi quello di Esperto nella linea moda uomo-donna, Esperto nella creazione e gestione eventi, Esperto ricerca stilistica, Esperto ricerca e sviluppo nuovi prodotti, Esperto internazionale di fashion marketing, Esperto in fashion marketing e comunicazione moda, Esperto di distribuzione settore moda (trade manager), product marketing manager, Esperto moda baby e teenager, fashion & textile design, export manager, addetto allo show room. Mentre nella progettazione dei percorsi di cui ai punti a) e b) si dovrebbe porre par- ticolare attenzione alle caratteristiche dell’utenza ed al rapporto con le famiglie, nei percorsi di formazione superiore, ovvero la costruzione dell’offerta a “pettine” post- diploma, dovrebbe avvenire con prevalente riferimento alle esigenze del settore eco- nomico e del sistema economico locale di riferimento per la singola sede formativa. 2 0 5 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO. COSTRUZIONE DELLA MAPPA DELLE COMUNITÀ PROFESSIONALI A conclusione i lavori sono stati condensati in tre frasi di auspicio: Trasparenza e Visibilità dell’Offerta, Qualità e Certificazione del Servizio, Collegamento con il Territorio. Viene da sé che i risultati che il gruppo di lavoro auspica dipendono in gran parte dall’indirizzo che gli Organi di Governo preposti, le Regioni e le Province autonome, saranno in grado di dare con la riforma in atto. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 0 6 7.6. Comunità delle Professioni nella Alimentazione Giorgio Migliorisi Fondazione CAPAC/Politecnico del Commercio - Milano 1. Prima di affrontare in maniera specifica il tema proposto dal convegno, e cioè quello della pari dignità dello sviluppo in verticale della formazione professio- nale fino alla formazione superiore e delle vie da seguire per la concreta realiz- zazione di questo obiettivo, il gruppo ha analizzato i contenuti e le metodologie dei percorsi triennali sperimentali per l’adempimento del diritto/dovere di istru- zione e formazione per dodici anni. Il gruppo ha rilevato come nell’esperienza della sperimentazione, così come con- dotta nelle diverse Regioni, sussistano rilevanti differenze sul piano dei conte- nuti didattici e degli obiettivi formativi. Una situazione - questa - che prevedibilmente potrà ripresentarsi anche in futu- ro in ragione del fatto che, com’è noto, l’art. 117 - nuovo testo - della Costituzione attribuisce alle Regioni competenza legislativa esclusiva nella materia dell’istruzione e formazione professionale. A fronte di ciò il gruppo ha ritenuto che siano particolarmente urgenti: a) in primo luogo la definizione, attraverso un impegno caratterizzato da una par- tecipazione e una condivisione il più possibile ampie e consapevoli, del profilo educativo culturale e professionale (il Pecup) che invero assume, nel contesto della riforma portata dalla legge n. 53, il ruolo di elemento fondante. Una sorta di “testata d’angolo” alla cui solidità si affida in notevole parte la capacità di tenuta dell’intero edificio. b) In secondo luogo, con lo sguardo rivolto alla prospettiva della progressione in senso verticale, il gruppo ha rilevato come i percorsi sperimentali triennali siano stati avviati in talune Regioni (tra le quali la Lombardia con la cosid- detta sperimentazione Moratti/Formigoni) nell’autunno del 2002. Conseguentemente i primi percorsi triennali giungeranno a compimento nel giugno del prossimo anno. È, quindi, urgente la necessità di pervenire alla definizione dei contenuti del corso di quarto anno - corrispondente al terzo livello europeo ECTS - in modo che la possibilità di accedervi possa essere presentata per tempo agli allievi in uscita dai percorsi triennali come una concreta e credibile opportunità per 2 0 7 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO. COSTRUZIONE DELLA MAPPA DELLE COMUNITÀ PROFESSIONALI proseguire in verticale - e rimanendo nel canale dell’istruzione e formazio- ne professionale - il proprio percorso formativo. c) Per quanto riguarda la struttura del corso di quarto anno e l’articolazione didattica al suo interno, il gruppo, mediante una articolata discussione, ha ritenuto che esse dovrebbero prevedere un 40/50% dell’attività formativa da svolgersi in situazione di lavoro e la presenza di almeno tre aree didattiche (tecnico-professionale, organizzativa e gestionale). d) Il gruppo di lavoro suggerisce inoltre, che già nel quarto anno venga affron- tato il tema della formazione all’imprenditorialità. Molti giovani che si qualificano nelle professioni del settore alimentare/risto- rativo sono infatti guidati, il più delle volte in modo inconsapevole, da quel- la “volontà imprenditoriale” della quale parlava Luigi Einaudi, che li porterà a divenire validi imprenditori se sarà sostenuta dall’apporto di una adeguata preparazione professionale. Così come avviene per lo sviluppo di qualsiasi vocazione, è indispensabile che anche la vocazione imprenditoriale venga individuata e coltivata tempestiva- mente; il gruppo di lavoro individua il momento più adatto per l’avvio della formazione all’imprenditorialità nella fase immediatamente successiva al conseguimento della qualifica al termine del triennio e cioè nel quarto anno. È del pari essenziale che il percorso così avviato trovi ulteriori fattori di sviluppo nelle fasi successive di progressione formativa in verticale e segnatamente, in cre- scendo, nell’ambito della formazione professionale superiore e della cosiddetta “alta formazione” corrispondenti rispettivamente al quarto e quinto livello europeo. A questo riguardo il gruppo di lavoro ritiene che per la comunità delle profes- sioni dell’alimentazione potrebbe risultare importante l’operatività di un osser- vatorio con il compito di seguire, nel suo divenire, lo sviluppo della formazione in linea verticale e di individuare le opportunità di formazione continua e per- manente ad esso collegabili. 2. Il gruppo di lavoro ha di seguito operato, per il settore alimentare/ristorativo, una triangolazione tra contesto lavorativo, contesto economico e percorsi formativi. Dall’analisi in tal modo condotta è emerso: I. Il contesto lavorativo del settore evidenzia una crescente rilevanza della com- ponente “servizio al cliente”, onde la qualità del servizio offerto è decisiva per il successo o l’insuccesso del business di questo tipo di imprese. Si tratta invero di una tendenza comune a tutto il comparto, nel quale la clas- sificazione ISTAT include i servizi destinabili alla vendita, ma che si manife- sta in misura particolarmente marcata nel settore alimentare/ristorativo. I risultati dell’indagine “La customer satisfaction nei servizi”, svolta da ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 0 8 Eurisko su commessa del Centro di formazione per il management del ter- ziario (CFMT) (pubblicati nella newsletter “CFMT informa”, n. 4, luglio 2002), evidenziano come, rispetto alle valutazioni espresse dai 1.300 intervi- stati sui ventotto settori oggetto dell’indagine per quanto riguarda la qualità percepita, il comparto alimentare/ristorativo sia ai primi posti della gradua- toria, con 7,69 punti, preceduto solo da farmacie (8,13), asili nido (8,00) e supermercati (7,76). È di tutta evidenza come sulla qualità del servizio offerto dall’impresa influi- sca in misura determinante il livello di professionalità dell’imprenditore e degli addetti. Da qui la necessità di disporre di una formazione in linea con queste esigenze. II. Nel contempo il contesto economico del settore è caratterizzato da una cre- scente espansione. Infatti, secondo una valutazione del CENSIS i 2/3 della popolazione attiva con- sumano fuori casa un pasto giornaliero, mentre secondo una ricerca recente- mente svolta dalla AcNielsen per conto di Rimini Fiera e presentata in occasio- ne dell’apertura dell’ultima edizione di MIA - Mostra Internazionale dell’Ali- mentazione (vedi sintesi in «Il Sole 24ore», 1 febbraio 2004), nell’anno 2003 il giro di affari di bar, ristoranti e pizzerie ha raggiunto, su base nazionale, i 52,6 miliardi di euro con un aumento di 0,6 miliardi rispetto al 2002. Nel quadro di questo sviluppo si inserisce la crescente richiesta di personale qualificato nell’area. Una recente indagine della Camera di Commercio di Milano ha rilevato, a livel- lo locale, due dati significativi: su 7.400 nuovi assunti nel 2003 dalle imprese del settore turistico/ricettivo il 28.7% aveva la qualifica di Cuoco, e nel periodo 1999/2002 il numero di studenti iscritti a scuole superiori a indirizzo alberghie- ro/ristorativo è cresciuto di quasi 2000 unità (un’ampia sintesi dei risultati della ricerca è pubblicata da La Prealpina, 14 agosto 2004). III. Il gruppo di lavoro ha rilevato come tutto questo abbia immediati e rilevan- ti riflessi sui percorsi formativi che devono essere capaci di fornire un eleva- to livello di flessibilità operativa, idonea ad esprimere risposte mirate rispet- to alle esigenze, continuamente mutevoli, del mercato (si pensi alla recente diffusione dei prodotti alimentari preparati venduti in monoporzioni, la cosiddetta “gastronomia del single”); nel contempo, i percorsi formativi de- vono rivelarsi capaci di coniugare le moderne forme di ristorazione (quali, ad esempio, banqueting e catering) con una costante attenzione ai valori della tradizione (si pensi alle cucine regionali). IV. A fronte di tutto ciò il gruppo ha rilevato l’esigenza di valorizzazione ade- guatamente l’impresa come risorsa formativa. 2 0 9 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO. COSTRUZIONE DELLA MAPPA DELLE COMUNITÀ PROFESSIONALI Ciò avviene in Italia in misura troppo limitata rispetto agli altri Paesi euro- pei, come è emerso dalle esperienze straniere presentate nella seconda gior- nata del convegno. È, inoltre, essenziale che l’impresa sia realmente disponibile a “fare forma- zione” e non si limiti alla semplice accoglienza dei tirocinanti durante i perio- di di stage. Il gruppo di lavoro ha concluso questa fase di valutazione e di proposta con una osservazione che si colloca in una prospettiva più ampia: quella autenti- camente educativa. Il Fondo Sociale Europeo ci ha abituato ad una formazione tecnico/professiona- le nella quale i progetti formativi vengono valutati a punteggio, con riferimento ad una serie di performance per così dire “obiettive”, cioè direttamente legate ai contenuti e alle metodologie dei percorsi formativi proposti. Nel nuovo scenario creato dalla riforma, ribaltano in primo piano gli aspetti pro- priamente educativi ed assume un ruolo essenziale la proposta formativa di cui ciascun Ente è portatore in base alla propria origine e alla propria tradizione. Di questi aspetti non è possibile, in un’autentica e completa valutazione, non tenere conto. 3. Conclusivamente il gruppo di lavoro ritiene che, sulla base delle linee qui espo- ste, possa essere progettata e realizzata la pari dignità tra i due canali formativi: quello dell’istruzione liceale e quello dell’istruzione e formazione professionale. E ciò non solo nei percorsi triennali di base, ma anche nei livelli di formazione più elevati in senso verticale. In questo quadro d’insieme il gruppo ha esaminato un ultimo problema: quello della permeabilità reciproca dei due canali con la concreta possibilità di pas- saggi, anche multipli, tra un canale e l’altro. È stato confortante, a questo riguardo, apprendere dalla relazione di Arduino Salatin che in molti Paesi europei questo sistema di collegamento e di scambio funziona validamente e che l’attuale Cancelliere del Governo tedesco è ex allie- vo dei corsi di formazione professionale. Nel sistema italiano una compiuta realizzazione di tutto questo richiederà pre- vedibilmente il superamento di una serie di difficoltà e su questo terreno risul- terà decisivo l’impegno che sarà espresso dagli operatori, ciascuno al proprio livello di competenza e di responsabilità. Gandhi diceva: «Dove scorre il fiume Gange delle difficoltà si erge il monte Himalaya degli impegni». Possiamo farcela. ALLEGATO: Il sistema educativo della Svizzera Livello prescolare In Svizzera si distingue tra educazione prescolare (“Kindergarten”, “École enfan- tine”, “Scuola dell’infanzia”) ed assistenza extrafamiliare ai bambini (asili nido, “tagesmütter”, gruppi di gioco). Fino al 1970 la scuola dell’infanzia (“École enfantine” nella Svizzera romanda e “Kindergarten” nella Svizzera tedesca) era disciplinata per legge in tutta la Svizzera. Oggi nella maggior parte dei cantoni l’educazione prescolare è discipli- nata da leggi scolastiche, mentre in altri cantoni essa è disciplinata da ordinanze relative alla scuola pubblica o leggi specifiche sulle scuole dell’infanzia. Finanziamento ed offerta Le scuole dell’infanzia sono finanziate principalmente dai comuni. I cantoni con- tribuiscono agli stipendi degli insegnanti. In tutti i cantoni i bambini, prima del- l’ingresso nella scuola obbligatoria, hanno diritto ad una educazione prescolare della durata di almeno 1 anno, nella metà dei cantoni 2 anni. Avvicinamento delle scuole dell’infanzia alle scuole elementari Alla metà degli anni ‘80 si sono moltiplicati gli sforzi per avvicinare le scuole del- l’infanzia alle scuole elementari. Ciò ha comportato una modifica degli obiettivi didattici, principalmente nei cantoni di lingua tedesca: lo scopo della scuola dell’in- fanzia continua ad essere lo sviluppo delle competenze sociali del bambino, ma oggi, anziché porre il gioco al centro dell’attività, si cerca di promuovere la riflessione. In singoli progetti di riforma si tenta di introdurre già nella scuola dell’infanzia la let- tura, la scrittura, l’aritmetica e l’apprendimento di una lingua straniera. Link esterni Direzioni cantonali della pubblica educazione Informazioni di base sul livello prescolare Verband Kindergär tnerinnen Schweiz KgCH Associazione dei genitori 1. Livello prescolare: le novità Il livello prescolare - oltre alla discussione in atto sul livello di base - si sviluppa in due direzioni principali: da un lato si tende a rendere obbligatoria la scuola del- 2 1 3 ALLEGATI l’infanzia. Nel 1999 il Cantone di Lucerna ha reso obbligatoria per 1 anno la fre- quenza della scuola dell’infanzia ed ha obbligato i comuni a prolungarne a 2 anni la durata complessiva. Altri cantoni seguiranno questo esempio. Dall’altro lato sempre più cantoni introducono orari fissi anche nelle scuole del- l’infanzia. Circa due terzi dei cantoni prevedono l’introduzione sperimentale o definitiva degli orari fissi. Verso un livello di base Attualmente in Svizzera si discute molto sull’introduzione di un “livello di base”. Il livello di base è pensato per bambini di 4-8 anni. L’età di accesso e di uscita per questo primo livello scolastico dovrebbe essere flessibile. A seconda del grado di sviluppo del bambino, il livello di base dovrebbe durare 3, 4 o 5 anni. Questa discussione è nata perché in Svizzera l’età di ingresso nella scuola è relativamente alta, come anche il numero di casi in cui l’ingresso nella scuola viene posticipato; inoltre molti bambini vengono assegnati a classi speciali e l’integrazione degli allievi che richiedono una pedagogia speciale e di quelli particolarmente dotati non è sempre facile. Nell’agosto del 2000 la Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica edu- cazione (CDPE) ha emanato delle raccomandazioni in merito: “Erste Empfehlungen zur Bildung und Erziehung der vier- bis achtjährigen Kinder in der Schweiz”. Esse stabiliscono tra l’altro che - in tutti i cantoni si conducano esprimenti coordinati col livello di base; - il livello di base duri al massimo fino alla fine del secondo anno di scuola ele- mentare; - l’ingresso al livello di base avvenga al più presto 2 anni prima dell’attuale inizio dell’obbligo scolastico; - siano fissati punti d’incontro e direttive valevoli in tutta la Svizzera per quanto concerne il livello della matematica alla fine del 2° anno di scuola elementare; - per le lingue straniere valgano le raccomandazioni contenute nel “Progetto gene- rale per l’insegnamento delle lingue”. Una volta terminato il periodo sperimentale, la Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione (CDPE) emanerà raccomandazioni in merito all’introduzione definitiva del livello di base. Link esterni Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione (CDPE) Verband Kindergär tnerinnen Schweiz KgCH ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 1 4 2. Le cifre relative al livello prescolare In oltre 3500 scuole dell’infanzia sono impiegati più di 9700 insegnanti (8367 posti di lavoro a tempo pieno) per 156'000 bambini (il 47,7% femmine ed il 26% stranieri). Il 7.1% dei bambini frequenta scuole dell’infanzia non sovvenzionate. Inoltre ci sono più di 900 asili nido e doposcuola nei quali sono impiegate circa 6500 persone. Altri dati In media i bambini frequentano la scuola dell’infanzia per 1,9 anni. Le ore setti- manali d’insegnamento sono 18–22. La grandezza media di una classe è di 18,1 bambini. La percentuale di allievi di origine straniera è del 26% circa. I finanziamenti pubblici per il livello prescolare ammontano a 786,3 milioni di franchi l’anno (0% Confederazione, 31.8% cantoni e 68.2% comuni), corrispon- denti al 3,7% della spesa complessiva per l’istruzione. Dati dell’UFS 1999–2001. Link esterni Indicatori della formazione 3. Livello prescolare: chi può intraprendere una formazione? Per l’accesso alle scuole dell’infanzia non sono previsti né esami né procedimenti di ammissione. In Svizzera frequentare le scuole dell’infanzia è ancora prevalen- temente facoltativo. Tuttavia nel 1999 un cantone ne ha introdotto l’obbligatorietà e si prevede che altri cantoni seguiranno questo esempio. L’anno precedente al loro ingresso nella scuola, circa il 99% dei bambini frequenta la scuola dell’infanzia. Il 92,5% dei bambini di 5 e 6 anni frequenta la scuola dell’infanzia. In 18 cantoni anche i bambini che necessitano di una pedagogia speciale hanno la possibilità di frequentare la scuola dell’infanzia. In Svizzera le scuole dell’infanzia pubbliche sono gratuite. 2 1 5 ALLEGATI Link esterni Direzioni cantonali della pubblica educazione Informazioni di base sul livello prescolare 4. Livello prescolare: che cosa si impara? Gli obiettivi didattici delle istituzioni d’insegnamento prescolare della Svizzera tedesca, romanda ed italiana non differiscono granché: la scuola dell’infanzia (“École enfantine” nei cantoni di lingua francese e “Kindergarten” in quelli di lin- gua tedesca) promuove lo sviluppo dei bambini e li prepara al loro ingresso nella scuola elementare. Non sono previste valutazioni sistematiche delle prestazioni ottenute e non avviene una selezione (non si suddividono i bambini in gruppi diversi a seconda del rendimento). La scuola dell’infanzia deve promuovere ogni bambino conformemente al suo stato di sviluppo ed alle sue esigenze e dedica un’attenzione particolare allo svi- luppo della sua autonomia. L’educazione prescolare sostiene ed integra l’educa- zione da parte dei genitori. Programmi quadro Di regola nelle scuole dell’infanzia si lavora affrontando un tema centrale per un determinato periodo di tempo. La scelta dei temi è orientata alle esigenze dei bam- bini. Si svolgono attività guidate ed attività scelte liberamente, attività individua- li ed attività comuni. Al centro delle attività è il gioco. Gli insegnanti delle scuole dell’infanzia godono di un’ampia libertà organizzativa. I programmi didattici qua- dro in genere hanno carattere puramente indicativo ma sono in atto dei cambia- menti in questo senso: nella Svizzera romanda si sta elaborando un programma didatico quadro comprendente il livello prescolare, quello elementare e quello secondario I (PECARO). Link esterni Programmi d’insegnamento livello prescolare Piano di studi quadro della Svizzera romanda (Plan d’études cadres romand PECARO) ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 1 6 5. Livello prescolare: cosa si richiede? La scuola dell’infanzia presenta notevoli differenze rispetto alla scuola elementa- re: il rendimento dei bambini non viene valutato sistematicamente e non vengono creati dei gruppi in base alle prestazioni. Alla fine della scuola dell’infanzia, gli insegnanti valutano l’idoneità scolastica dei bambini. In alcuni cantoni la decisione definitiva circa l’ingresso o la posticipa- zione dell’ingresso dei bambini nella scuola spetta ai genitori, in altri cantoni tale decisione è riservata alle commissioni scolastiche, agli ispettorati scolastici oppu- re alle direzioni della pubblica educazione. Test sul rendimento scolastico I test sul rendimento scolastico vengono svolti solo nella Svizzera tedesca (più che altro nei cantoni della Svizzera centrale). I test utilizzati sono creati direttamente dagli insegnanti della scuola dell’infanzia oppure da psicologi e consulenti scola- stici. Tuttavia il loro svolgimento è andato calando poiché negli ultimi anni è stata messa sempre più in discussione la loro effettiva affidabilità. 6. Livello prescolare: cosa viene dopo? Dopo la scuola dell’infanzia (“École enfantine” o “Kindergarten”) tutti i bambini passano alla prima classe del livello elementare senza sostenere esami (eccetto il caso in cui l’iscrizione alla scuola venga posticipata oppure i bambini debbano fre- quentare una scuola con programma didattico speciale). In più della metà dei cantoni vengono svolti progetti tesi a migliorare il passaggio dalla scuola dell’infanzia alla scuola elementare, nell’ambito dello sviluppo della scuola o della formazione degli insegnanti. Tendenzialmente si cerca di rendere più flessibile l’età d’ingresso nella scuola elementare. 2 1 7 ALLEGATI ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 1 8 Livello elementare I bambini accedono alla scuola elementare una volta raggiunti i 6 anni di età. La frequenza scolastica è obbligatoria e gratuita per tutti gli allievi. L’obiettivo principale della scuola primaria è il raggiungimento di un equilibrio tra le capacità sociali, personali e pratiche dello scolaro. I cantoni ed i comuni sono responsabili dell’organizzazione e del finanziamento della scuola elementare. Fondamentalmente i bambini frequentano la scuola del luogo in cui risiedono. In 20 cantoni la scuola elementare dura 6 anni, nei rimanenti cantoni 4 o 5 anni. A differenza di quanto avviene al livello secondario I, i bambini che frequentano le scuole elementari non vengono suddivisi in gruppi in base alle prestazioni otte- nute. In nessun cantone si impartisce un insegnamento per livelli. Link esterni Direzioni cantonali della pubblica educazione Informazioni di base sul livello elementare Organizzazione dei genitori “Schule und Elternhaus” 1. Livello elementare: le novità Negli anni passati nella maggior parte dei cantoni si sono rielaborati i programmi didattici del livello elementare, spesso riunendo diverse materie ed introducendo materie interdisciplinari come “Uomo e ambiente”. Nella Svizzera romanda si sta elaborando un programma didattico quadro comprendente il livello prescolare, quello elementare e quello secondario I (PECARO). Il Plan d’études cadres romand (PECARO) definisce valori educativi, programmi d’apprendimento, livel- li di competenze, fondamenti didattici ed include anche la formazione ed il perfe- zionamento degli insegnanti. Forme didattiche e d’apprendimento ampliate Negli ultimi anni si sono ampiamente diffuse una serie di forme ampliate d’inse- gnamento e d’apprendimento: lavori di gruppo, lezione laboratorio, lezione pro- 2 1 9 ALLEGATI getto, per citarne solo alcune. Grazie a tali forme didattiche, gli insegnanti hanno la possibilità di adeguare le lezioni alle diverse esigenze ed alle dinamiche d’apprendimento individuali dei propri allievi. Progetti di riforma I progetti di riforma del livello elementare prevedono la riorganizzazione delle lezioni di matematica, l’apprendimento di una seconda lingua straniera e l’otti- mizzazione dell’istruzione per i bambini di origine straniera. Per quanto concerne la prima lingua straniera, si discute su quando si debba cominciare ad insegnarla, con quali metodi didattici e, in particolare, se come prima lingua straniera si debba insegnare il francese, il tedesco o l’inglese. Nei cantoni di lingua francese la prima lingua straniera è il tedesco e viene insegnata a partire dal 3° anno di scuo- la. Alcuni cantoni della Svizzera tedesca prevedono di anticipare l’insegnamento dell’inglese alla prima, seconda o terza classe elementare. Livelli di competenza Per facilitare la mobilità e creare al contempo le basi per il monitoraggio dell’i- struzione, la Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione (CDPE) intende fissare entro il 2004 per la prima lingua nazionale, la matemati- ca e le lingue straniere dei livelli di competenza vincolanti, da raggiungere alla fine del secondo, sesto e nono anno di scuola. Parallelamente, nelle regioni devono essere creati livelli di competenza per altre discipline (storia e politica, geografia, materie artistiche e sport). Inoltre in futuro i programmi didattici dovranno esse- re coordinati. Link esterni Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione (CDPE) Piano di studi quadro della Svizzera romanda (Plan d’études cadres romand PECARO) ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 2 0 2. Le cifre relative al livello elementare Le scuole elementari sono più di 4500, sono frequentate da circa 474'000 allievi (il 49,3% femmine) ed impiegano più di 30'000 insegnanti (26‘905 posti a tempo pieno). Nella prima classe elementare si svolgono 21 ore di lezione settimanali. Nella quin- ta o nella sesta classe il numero di lezioni settimanali arriva a 32 (una lezione dura 45–50 minuti). Altri dati In media una classe è formata da 19,9 allievi. La percentuale degli allievi di origine straniera è circa del 21,9%. Il 2,2% degli allievi frequenta scuole private non sovvenzionate. Nella scuola elementare circa l’1,8% degli allievi deve ripetere una classe. I costi delle scuole di livello elementare e secondario I ammontano a 9,75 miliar- di di franchi l’anno. La Confederazione copre lo 0,2% di tali spese, i cantoni il 38,8% ed i comuni il 61,1%. Dati dell’UFS 1999–2001. Link esterni Indicatori della formazione 3. Livello elementare: chi può intraprendere una formazione? Tutti i bambini possono passare dal livello prescolare alla scuola elementare senza dover effettuare esami d’ammissione. I bambini disabili frequentano per lo più scuole a pedagogia speciale. Il Concordato scolastico della Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione (CDPE) fissa le condizioni quadro fondamentali per il livel- lo elementare: l’ingresso all’età di almeno sei anni, l’obbligo scolastico, l’inizio uni- tario dell’anno scolastico e la relativa durata. Nella maggior parte dei cantoni viene concesso un permesso straordinario ai geni- tori che intendono ritardare di un anno l’ingresso del bambino nella scuola ele- mentare in quanto non sufficientemente maturo. Lo stesso vale per chi intenda anticipare di un anno l’ingresso del bambino a scuola, in caso di maturità precoce. 2 2 1 ALLEGATI 4. Livello elementare: che cosa si impara? L’istruzione del livello elementare ha alcuni obiettivi principali ben precisi. Gli allievi devono poter - sviluppare le proprie capacità intellettuali e creative, - sviluppare le proprie capacità fisiche ed artistiche, - sviluppare il senso di responsabilità personale e nei confronti dell’ambiente, degli altri e della società. I programmi didattici sono definiti dai cantoni. Tali programmi contengono gli obiettivi generali e gli obiettivi didattici delle singole materie o dei settori d’inse- gnamento per ogni anno scolastico. Le seguenti materie sono oggetto d’insegnamento a livello elementare in tutti i cantoni: - una lingua nazionale (a seconda della regione tedesco,francese, italiano o roman- cio), - una prima lingua straniera (meno che in un cantone a partire dalla 3a, 4a o 5a classe, per la maggior parte il francese nella Svizzera tedesca ed in Ticino, il tede- sco nella Svizzera di lingua francese), - matematica, - storia ed educazione civica, - geografia, - scienze naturali, - religione, - disegno ed attività creative, - lavoro manuale e lavori pratici, - musica, - scrittura, - sport. In un numero sempre crescente di cantoni la storia, l’educazione civica, la geo- grafia, le scienze naturali e la religione vengono insegnate nell’ambito della mate- ria interdisciplinare “Uomo e ambiente”. Il piano di studi quadro PECARO, in fase di creazione nella Svizzera romanda per il livello prescolare, elementare e secondario I, fissa le priorità nella comunicazione (lettura, scrittura, prima lingua, lingue straniere), nella matematica, nelle scienze naturali, nell’educazione artistica e nello sport. La formazione sviluppa le compe- tenze personali, intellettuali, linguistiche, sociali, artistiche e metodologiche. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 2 2 Link esterni Programmi didattici per il livello elementare Piano di studi quadro della Svizzera romanda (Plan d’études cadres romand PECARO) 5. Livello elementare: cosa si richiede? Nella scuola elementare le prestazioni scolastiche sono valutate per mezzo di note o rapporti sull’apprendimento. Nel primo anno di scuola elementare nella maggior parte dei cantoni non sono assegnate delle note: le prestazioni sono giudicate tra- mite colloqui di valutazione o rapporti sull’apprendimento. Quando la valutazio- ne avviene in base alle note, la scala va dall’1 al 6 (6 = miglior nota). Gli allievi ricevono una pagella, per lo più due volte l’anno, contenente le note delle singole materie. Promozione alla classe successiva Nella scuola elementare, alla fine dell’anno scolastico, si decide se gli allievi pos- sono passare alla classe successiva sulla base delle loro prestazioni. Alcuni canto- ni hanno introdotto cicli di apprendimento pluriennali nel corso dei quali non si ripetono le classi. Nella scuola elementare sono meno del 2% gli allievi che sono costretti a ripetere una classe. Passaggio alle scuole speciali Spesso gli allievi le cui prospettive di successo continuano ad essere limitate anche in seguito alla ripetizione di una classe frequentano una scuola a pedagogia spe- ciale, con programmi didattici particolari. Il passaggio a scuole di questo tipo è deciso dai genitori d’accordo con l’insegnante, l’ispettorato scolastico ed il servizio psicologico scolastico. Aiuto per i compiti e corsi di sostegno Nella maggior parte dei cantoni i singoli allievi hanno la possibilità di ricevere un appoggio specifico, per esempio sotto forma di aiuto per i compiti o di corsi di sostegno. 2 2 3 ALLEGATI Link esterni Informazioni di base sul livello elementare Direzioni cantonali della pubblica educazione 6. Livello elementare: cosa succede dopo aver terminato la scuola? Alla fine della scuola elementare gli allievi non ricevono un attestato o un certifi- cato. Tutti gli allievi possono proseguire la loro formazione al livello secondario I. Passaggio al livello secondario I. Il tipo di scuola secondaria I che gli allievi possono frequentare viene deciso sulla base dei risultati ottenuti nella scuola elementare e delle raccomandazioni degli insegnanti. Fondamentalmente nella maggior parte dei cantoni ci sono due tipi di scuole di livello secondario I: le scuole di livello elementare (p.e. nella Svizzera tede- sca “Realschulen”, “Oberschulen”) e le scuole di livello elevato (p.e. nella Svizzera tedesca “Sekundarschulen”, “Bezirksschulen”). In alcuni cantoni il livello seconda- rio I è suddiviso in tre tipi di scuole, mentre in Ticino non ci sono suddivisioni. Selezione Nella maggior parte dei cantoni al momento del passaggio dal livello elementare al livello secondario I avviene una prima selezione, vale a dire una suddivisione degli allievi in gruppi di diversi livelli: le raccomandazioni degli insegnanti non si basano solo sulle prestazioni scolastiche ma sempre più spesso anche sulla valuta- zione del loro sviluppo, dell’impegno e della loro strategia d’apprendimento. Spesso nel procedimento di valutazione vengono coinvolti anche i genitori degli allievi. In singoli cantoni gli allievi devono superare un esame per poter frequentare una scuola di livello elevato. Link esterni Direzioni cantonali della pubblica educazione Informazioni di base sul livello elementare ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 2 4 Livello secondario I Al livello elementare segue il livello secondario I che costituisce la seconda parte della scuola obbligatoria. Il livello secondario I conferisce una formazione genera- le di base, preparando gli allievi ad una formazione professionale oppure al pas- saggio alle scuole superiori (licei, scuole di diploma e simili). Le scuole del livello secondario I (in Ticino “scuole medie”) sono finanziate dai comuni e dai cantoni. Inoltre, i cantoni fissano gli obiettivi ed i programmi didat- tici. In 20 cantoni il livello secondario I comincia a partire dalla 7a classe ed in 6 cantoni dalla 5a o dalla 6a classe. I giovani che frequentano le scuole del livello secondario I hanno tra i 12 ed i 16 anni di età. Tipi di scuola del livello secondario I Nella maggior parte dei cantoni, il livello secondario I è suddiviso in due o tre tipi di scuola, in base al livello di prestazione: - un tipo di scuola secondaria di livello elementare - uno o due tipi di scuola secondaria di livello elevato. In alcuni cantoni il livello secondario I comprende più di due tipi di scuola. Le strutture scolastiche cantonali del livello secondario I variano notevolmente: si va dal modello unitario fino ad un modello con quattro o cinque tipi diversi di scuola. Scuola secondaria di livello elementare Il tipo di scuola secondaria di livello elementare è denominato nella maggior parte dei cantoni di lingua tedesca “Realschule” ma anche “Oberschule”, “Berufswahlschule”, “Werkschule” mentre nella Svizzera romanda si parla di “section pratique”, “section moderne”, “section préprofessionnelle” o di “classes à options”. Queste scuole promuovono le capacità pratiche e la formazione gene- rale degli allievi e li preparano ai tirocini. Scuola secondaria di livello elevato A seconda dei cantoni, i tipi di scuola secondaria di livello elevato si chiamano “Sekundarschule”, “Bezirksschule”, “Mittelschule”, “progymnasiale Abteilung”, “Untergymnasium”, “section moderne”, “division supérieure”, “division gymna- 2 2 5 ALLEGATI siale”. Questi tipi di scuola estendono la formazione generale e preparano al liceo, alle scuole di diploma, alle scuole professionali a tempo pieno oppure a tirocini professionali che richiedono una preparazione approfondita. Link esterni Direzioni cantonali della pubblica educazione Informazioni di base sul livello secondario I Organizzazione dei genitori “Schule und Elternhaus” 1. Livello secondario I: le novità Uno degli obiettivi fondamentali consiste nell’aumentare la permeabilità tra il tipo di scuola secondaria di livello elementare ed i tipi di livello elevato. In un numero crescente di cantoni, al livello secondario I vengono introdotti modelli integrativi o cooperativi (modello integrativo con lezioni in classi d’origine comuni e lezioni a diversi livelli nelle materie principali; modello cooperativo con classi d’origine separate e lezioni a diversi livelli nelle materie principali). In tal modo si facilita il passaggio agli altri tipi di scuola. Insegnamento obbligatorio dell’inglese Inoltre nella maggior parte dei cantoni l’insegnamento dell’inglese diventa obbli- gatorio per tutti gli allievi del livello secondario I, dunque anche per chi frequen- ta un tipo di scuola secondaria di livello elementare. PECARO Nella Svizzera romanda si sta elaborando un programma d’insegnamento quadro comprendente il livello prescolare, quello elementare e quello secondario I (PECA- RO). Il Plan d’études cadres romand (PECARO) definisce valori educativi, pro- grammi d’apprendimento, livelli di competenze e fondamenti didattici ed include la formazione ed il perfezionamento degli insegnanti. Livelli di competenza vincolanti Per facilitare la mobilità e creare al contempo le basi per il monitoring dell’istru- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 2 6 zione, la Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione (CDPE) intende fissare entro il 2004 per la prima lingua nazionale, la matemati- ca e le lingue straniere livelli di competenza vincolanti da raggiungere alla fine del secondo, del sesto e del nono anno di scuola. Parallelamente, nelle regioni devono essere creati livelli di competenza per altre discipline (storia e politica, geografia, materie artistiche e sport). Inoltre, in futuro i programmi didatici dovranno esse- re coordinati. Link esterni Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione (CDPE) Piano di studi quadro della Svizzera romanda (Plan d’études cadres romand PECARO) 2. Le cifre relative al livello secondario I Gi insegnanti impiegati nelle scuole del livello secondario I sono circa 22'600 (21'926 posti a tempo pieno). Le scuole sono circa 2000 e sono frequentate da più di 285'000 allievi (il 49,9% femmine; scuola secondaria I livello elementare 80'000 allievi; scuola secondaria I livello elevato 163'000 allievi; scuola seconda- ria I senza selezione 42'000 allievi). Altri dati - Il numero delle ore settimanali di lezione va da 27 a 37 (generalmente oltre 30, in media 34 lezioni). - In media una classe è formata da 19 allievi. - La percentuale di allievi di origine straniera è circa del 20.8% (livello seconda- rio elementare: 33%; livello secondario elevato: 13%; livello secondario senza selezione: 27%). - Il 4.1% degli allievi frequenta scuole private non sovvenzionate. - Al livello secondario I il 4% degli allievi è costretto a ripetere una classe. - I costi delle scuole del livello elementare e del livello secondario I ammontano a 9,75 miliardi di franchi l’anno. La Confederazione copre lo 0.2% di tali costi, i cantoni il 38.8% ed i comuni il 61.1%. Dati dell’UFS 1999–2001. Link esterni Indicatori della formazione 2 2 7 ALLEGATI 3. Livello secondario I: chi può intraprendere una formazione? Dopo aver terminato la scuola elementare tutti gli allievi possono proseguire la loro formazione al livello secondario I. Fondamentalmente ci sono due o tre tipi di scuola che si distinguono in base al livello delle prestazioni: un tipo di scuola di livello elementare (p.e. nella Svizzera tedesca “Realschulen”, “Oberschulen”) ed uno o due tipi di scuola di livello ele- vato (p.e. nella Svizzera tedesca “Sekundarschulen”, “Bezirksschulen”). Passaggio dalla scuola elementare al livello secondario I Per passare dalla scuola elementare alla scuola secondaria I di livello elementare non è necessario sostenere esami. Il passaggio alle scuole secondarie di livello elevato avviene sulla base delle racco- mandazioni degli insegnanti della scuola elementare. La decisione viene presa in base al livello delle prestazioni scolastiche ottenute dagli allievi (in particolare nella prima e nella seconda lingua ed in matematica). Sempre più spesso si tiene conto anche dello sviluppo delle prestazioni e del comportamento dello studente a livello di lavoro e di apprendimento. In alcuni cantoni gli allievi delle scuole ele- mentari che intendono frequentare scuole secondarie di livello elevato devono superare un esame. Ciò avviene più che altro nel caso in cui il passaggio alla scuo- la secondaria di livello elevato non sia stato raccomandato dagli insegnanti. Possibilità di esercitare influenza da parte dei genitori In un numero crescente di cantoni, il parere dei genitori in merito al passaggio alla scuola di livello secondario I acquista sempre più peso. Se il parere dei genitori dif- ferisce da quello degli insegnanti ha luogo un colloquio. La decisione definitiva spet- ta ai genitori, ma la scelta del tipo di scuola in questo caso ha valore provvisorio. Permeabilità Nella maggior parte dei cantoni si tende ad una maggiore flessibilità. Tuttavia il passaggio dal tipo di scuola secondaria di livello elementare a quello di livello ele- vato (p.e. dalle cosiddette “Realschulen” alle “Sekundarschulen”) ha spesso come risultato la ripetizione di un anno scolastico. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 2 8 Decimo anno di scuola Un decimo anno di scuola (facoltativo) permette tuttavia agli allievi delle scuole secondarie di livello elementare di raggiungere uno stato di conoscenze pari a quello del nono anno di scuola delle scuole di livello elevato. Link esterni Informazioni di base sul livello secondario I Direzioni cantonali della pubblica educazione 4. Livello secondario I: che cosa si impara? In genere la scuola del livello secondario I promuove lo sviluppo della personalità degli allievi in modo commisurato alle doti di cui dispongono e ne rafforza la responsabilità personale ed il senso civico. Il livello secondario I prepara i giovani alla vita da adulti ed all’apprendimento continuo. I cantoni sono responsabili dei programmi didattici del livello secondario I. Materie In tutti i tipi di scuola del livello secondario I vengono insegnate le seguenti materie: - una lingua nazionale (a seconda della regione tedesco, francese, italiano o romancio), - una prima lingua straniera (francese o inglese nella Svizzera tedesca, francese in Ticino, tedesco nella Svizzera romanda, italiano nei Grigioni), - matematica, - scienze naturali, - geografia, - storia ed educazione civica, - economia domestica e attività creative manuali, - musica e disegno, - sport. In alcuni cantoni la storia e l’educazione civica, la geografia, le scienze naturali e la religione vengono insegnate nell’ambito della materia interdisciplinare “Uomo e ambiente”. A queste materie si aggiungono settori interdisciplinari come p.e. educazione ambientale, promozione della salute, educazione sessuale, educazione interculturale, educazione sui media, informatica, preparazione alla scelta della professione, insegnamento delle norme della circolazione. 2 2 9 ALLEGATI Particolarità dei diversi tipi di scuola Il tipo di scuola secondaria di livello elementare valorizza in particolare le capa- cità manuali, importanti in vista di determinati tirocini professionali. Il tipo di scuola di livello elevato è incentrato più che altro sulle materie essenzia- li in vista di un tirocinio di alto livello oppure di una ulteriore formazione scola- stica (prima lingua, lingue straniere, matematica, scienze naturali). Nei tipi di scuola di livello elevato, la scelta della seconda lingua straniera cade prevalente- mente sull’inglese. PECARO Il programma d’insegnamento quadro PECARO, in fase di creazione nella Svizzera romanda per il livello prescolare, elementare e secondario I, fissa le prio- rità nella comunicazione (lettura, scrittura, prima lingua, lingue straniere), nella matematica, nelle scienze naturali, nell’educazione artistica e nello sport. La for- mazione verte sulle competenze personali, intellettuali, linguistiche, sociali, arti- stiche e metodologiche. Link esterni Programmi didattici del livello secondario I Piano di studi quadro della Svizzera romanda (Plan d’études cadres romand PECARO) 5. Livello secondario I: cosa si richiede? Nel corso dell’anno scolastico gli insegnanti effettuano regolarmente dei test. Le prestazioni sono valutate di regola con note dall’1 al 6 (6 = miglior nota). Nella maggioranza dei cantoni le pagelle vengono consegnate due volte l’anno. Inoltre in singoli cantoni gli insegnanti redigono rapporti d’apprendimento scritti che con- tengono anche informazioni sul comportamento lavorativo e sociale. Permeabilità In tutti i cantoni, gli allievi hanno la possibilità di passare ad un altro tipo di scuo- la sulla base delle prestazioni ottenute (dal tipo di livello elementare a quello di livello elevato e viceversa). ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 3 0 Ripetizione di una classe Il passaggio alla classe successiva (promozione) dipende dalle prestazioni ottenu- te nel corso dell’anno scolastico. La pagella è sufficiente se la media generale delle materie e la media delle materie principali (prima lingua, lingua straniera, mate- matica) sono sufficienti. Esami finali La maggior parte dei cantoni della Svizzera romanda ed il Ticino svolgono esami finali come conclusione del livello secondario I. Invece nella Svizzera tedesca nor- malmente non si svolgono esami finali. In Svizzera al livello secondario I non ci sono esami finali nazionali con il rilascio di un diploma. Link esterni Informazioni di base sul livello secondario I 6. Livello secondario I: cosa succede dopo aver terminato la scuola? I tipi di scuola secondaria di livello elementare preparano di regola al tirocinio, mentre i tipi di scuola secondaria di livello elevato preparano a scuole professio- nali a tempo pieno, a tirocini di alto livello (anche con maturità professionale) e ad altre scuole di formazione generale (licei, scuole di diploma). Nel corso della scuola secondaria I, gli insegnanti preparano gli allievi alla scelta della professione. I giovani imparano a riflettere sul futuro, ad analizzare le pro- prie inclinazioni professionali e le proprie capacità e a richiedere un aiuto esterno, se necessario (più che altro presso i centri per l’orientamento professionale). Ogni cantone dispone di centri per l’orientamento professionale a disposizione di tutti gli allievi, gratuitamente. Link esterni Orientamento professionale Soluzioni transitorie dopo il livello secondario I 2 3 1 ALLEGATI Livello terziario Formazione professionale superiore Fanno parte del livello terziario le offerte nell’ambito della formazione professio- nale superiore, delle scuole universitarie professionali comprese le alte scuole pedagogiche (ASP), le università cantonali ed i politecnici federali (PF). Nel 1999/2000 in Svizzera circa 156‘100 studenti seguivano una formazione di livel- lo terziario. Formazione professionale superiore Fanno parte della formazione professionale superiore le scuole specializzate supe- riori, gli esami di professione e gli esami professionali superiori. Attualmente sono riconosciute a livello confederale circa 70 scuole tecniche e circa 30 altre scuole specializzate superiori. Le associazioni professionali sono specificatamente respon- sabili degli esami di professione e degli esami professionali superiori e provvedo- no al loro svolgimento. Esse sono sottoposte alla vigilanza della Confederazione. La Confederazione approva anche i regolamenti concernenti gli esami. Fino ad oggi sono più di 150 gli esami di professione e più di 150 gli esami professionali superiori riconosciuti. Università, politecnici e scuole universitarie professionali - In Svizzera le istituzioni universitarie si dividono in due gruppi: da un lato le università ed i politecnici federali e dall’altro le scuole universitarie professiona- li comprese le alte scuole pedagogiche. Nel 1999/2000 il 16% circa dei giovani di età compresa tra i 25 ed i 34 anni avevano concluso uno studio universitario e nel 2001 circa 123'000 studenti si stavano formando presso un’istituzione uni- versitaria (99'569 presso università e politecnici federali, 23’499 presso scuole universitarie professionali). - La Confederazione è responsabile dei due politecnici federali (e degli istituti annessi) e delle scuole universitarie professionali nei settori della tecnica, dell’e- conomia e dell’arte. I cantoni sono responsabili delle università e di una parte delle scuole universitarie professionali. La università cantonali sono sovvenzio- nate con finanziamenti della Confederazione. - Le università, i politecnici e le scuole universitarie professionali devono elabora- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 3 2 re una strategia di riforma ed attuarla entro il 2010; lo prevede la dichiarazione di Bologna che mira ad istituire uno spazio formativo universitario comune a livello europeo. A tal fine sono necessari precisi criteri e standard di qualità. Diverse università e PF hanno già introdotto, almeno in alcune discipline, un sistema di studi a due livelli con diplomi di Bachelor e di Master. Link esterni Informazioni sulla dichiarazione di Bologna Link esterni: formazione professionale superiore Formazione professionale superiore Link esterni: scuole universitarie professionali Scuole universitarie professionali Haute école spécialisée de la Suisse occidentale Berner Fachhochschule Fachhochschule Zentralschweiz Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Zür cher Fachhochschule Fachhochschule Ostschweiz Fachhochschule Nordwestschweiz Formazione degli insegnanti, alte scuole pedagogiche Link esterni università e politecnici Università di Basilea Università di Berna Università di Friburgo Università di Ginevra Università di Losanna Università di Lucerna Università di Neuchâtel Università di San Gallo Università della Svizzera italiana Università di Zurigo Politecnico federale di Losanna 2 3 3 ALLEGATI Politecnico federale di Zurigo Formazione universitaria Formazione professionale superiore Fanno parte della formazione professionale superiore le scuole specializzate supe- riori, gli esami di professione e gli esami professionali superiori. Frequentando le scuole specializzate superiori coloro che già svolgono una professione approfondi- scono la loro formazione generale, rinfrescano le loro conoscenze professionali e si qualificano nel settore organizzativo e dirigenziale. Le scuole specializzate supe- riori trasmettono conoscenze teoriche e pratiche per i quadri intermedi. Esse offro- no cicli di formazione di base nei settori sanitario, sociale ed artistico. Cicli di formazione e riconoscimento Esistono cicli di formazione nei settori commercio ed economia, alberghiero e ristorazione, turismo, foreste, drogheria, tecnica, informatica, meccanica, elettro- nica, fotografia, multimedia ed edilizia. La formazione presso una scuola specia- lizzata superiore dura 2 o 3 anni (a seconda se avvenga a tempo pieno o se sia svol- ta contemporaneamente all’esercizio di una professione). I titoli rilasciati dalle scuole specializzate superiori sono protetti dalla Confederazione. Attualmente sono riconosciute a livello confederale circa 70 scuole tecniche e circa 30 altre scuole specializzate superiori. Competenze I seguenti tipi di scuole specializzate superiori sono disciplinati dalla Confede- razione: scuole specializzate superiori di tecnica, scuole specializzate superiori di arte applicata, scuole specializzate superiori di economia, scuole specializzate superiori di turismo, scuole superiori alberghiere, scuole superiori d’economia domestica, scuole specializzate superiori d’informatica aziendale, scuole superiori per droghieri nonché scuole superiori di economia forestale (cfr. la legge e l’ordi- nanza sulla formazione professionale, le ordinanze concernenti i requisiti minimi per il riconoscimento delle scuole specializzate superiori). I cantoni sono responsabili della regolamentazione delle scuole specializzate supe- riori nei settori del lavoro sociale, della sanità, delle arti applicate e della musica. Con l’entrata in vigore della nuova legge sulla formazione professionale (prevista per il 2004) la competenza per la regolamentazione dei settori sanitario, sociale ed ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 3 4 artistico passa dai cantoni alla Confederazione. Esami di professione ed esami professionali superiori Le associazioni professionali sono responsabili per la parte specialistica degli esami di professione e degli esami professionali superiori e provvedono al loro svolgimento. Esse sono sottoposte alla vigilanza della Confederazione. La Confederazione approva anche i regolamenti concernenti gli esami. Fino ad oggi sono più di 150 gli esami di professione ed altrettanti sono gli esami professionali superiori riconosciuti dalla Confederazione. La funzione degli esami di professione è accertare se i candidati siano in possesso delle attitudini e delle conoscenze professionali necessarie per adempiere funzioni dirigenziali o per svolgere una funzione professionale i cui requisiti siano notevol- mente superiori a quelli del tirocinio professionale (cfr. art. 52 cpv. 1 LFPr). In determinati settori vengono assegnate delle concessioni sulla base degli esami di professione e degli esami professionali superiori: è il caso, per esempio, dei settori degli esplosivi, dell’uso di sostanze velenose e delle installazioni a corrente forte. Gli esami professionali superiori (esami di maestria) accertano se i candidati pos- siedano le attitudini e le conoscenze necessarie per dirigere autonomamente un’a- zienda o per soddisfare esigenze professionali più elevate (art. 52 cpv. 2 LFPr). Link esterni Formazione professionale superiore Elenco delle professioni Scuole tecniche 1. Formazione professionale superiore: le novità Le scuole specializzate superiori sono uno sviluppo dei centri di perfezionamento per professionisti: più che altro negli ultimi 50 anni sono sorte in Svizzera una serie di scuole di livello terziario per la formazione di quadri intermedi e superio- ri nei campi della tecnica, dell’economia, delle arti figurative, della musica, del lavoro sociale ed altro. Fino all’introduzione delle scuole universitarie professio- nali, circa 120 centri di formazione fungevano da scuole specializzate superiori: le istituzioni che fornivano questi tipi di formazione erano le Scuole tecniche supe- riori (HTL), le Scuole superiori per i quadri dell’economia e dell’amministrazione (HWV), le Scuole superiori di arti applicate (HFG), le Scuole superiori di lavoro 2 3 5 ALLEGATI sociale (HFS) ed i conservatori per la musica. Alcune scuole specializzate superio- ri sono state trasformate in scuole universitarie professionali. Le formazioni del settore sanitario (p.e. in cure e fisioterapia) hanno luogo sia presso le scuole spe- cializzate superiori che presso le scuole universitarie professionali. Lo stesso vale per le formazioni in pedagogia sociale. La nuova legge sulla formazione professionale La nuova legge sulla formazione professionale, la cui entrata in vigore è prevista per il 2004, creerà basi legali unitarie per tutte le scuole specializzate superiori. Conformemente alla nuova legge, le formazioni nei settori sanitario, sociale, musi- cale e delle arti figurative rientreranno nell’ambito di competenza della Confederazione. Studi post-diploma Dal 1 aprile 2001 le scuole specializzate superiori di tecnica ed economia e le scuo- le superiori alberghiere hanno la possibilità di offrire studi postdiploma. Uno stu- dio postdiploma comprende circa 400 lezioni di 45 minuti. Gli studi postdiploma possono avere struttura modulare ed interdisciplinare. Alcuni cicli di studio post- diploma di scuole specializzate superiori di tecnica sono già stati riconosciuti. Link esterni Formazione professionale superiore Scuole specializzate superiori Integrazione delle formazioni sociosanitarie e artistiche nell’ambito di competen- za della Confederazione 2. Le cifre relative alla formazione professionale superiore In Svizzera circa il 10% dei giovani tra i 25 ed i 34 anni di età ha seguito una for- mazione professionale superiore. Nel 2000 erano 41'072 le persone che stavano seguendo una formazione profes- sionale superiore (16'340 si stavano preparando ad esami di professione o esami professionali superiori, 4989 frequentavano una scuola superiore di tecnica, 4663 assolvevano una formazione pedagogica, 2205 si diplomavano presso una scuola ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 3 6 specializzata superiore, 12'875 seguivano un’altra formazione professionale supe- riore). La percentuale di donne nelle scuole professionali superiori era del 43% mentre quella degli stranieri era del 20%. Diplomi Nel 2000 23'591 persone hanno conseguito un diploma di formazione professio- nale superiore: le scuole specializzate professionali hanno rilasciato 1105 diplomi, le scuole di tecnica 3046, mentre i diplomi federali sono stati 3232, gli attestati professionali 8082 e i diplomi presso gli altri centri di formazione professionale superiore 8126. Finanziamento Le spese per la formazione professionale superiore si aggirano intorno ad 1,1 miliardi di franchi l’anno (nel 1999 1143,9 milioni). La Confederazione copre il 20,3% di tali spese, i cantoni il 77,4% ed i comuni il 2,3%. Link esterni Diplomi di formazione professionale superiore 3. Formazione professionale superiore: chi può intraprendere una formazione? Per accedere alle scuole specializzate superiori di competenza della Confede- razione, oltre all’attestato federale di capacità (rilasciato a conclusione di un tiro- cinio) spesso è necessario avere anche un determinato numero di anni di espe- rienza professionale. Anche chi è in possesso di un diploma di una scuola di for- mazione generale di livello secondario II (maturità liceale, diploma di una scuola di diploma, diploma di una scuola media di commercio) può accedere a determi- nati tipi di scuole specializzate superiori. Le condizioni di ammissione alle scuole specializzate superiori che rientrano nell’ambito di competenza dei cantoni varia- no. Nei settori sanitario, sociale ed artistico, i cicli di formazione professionale di livello secondario II sono ancora pochi. Pertanto, di regola si richiede un diploma di formazione professionale in un altro settore o un diploma di formazione gene- rale di livello secondario II. Inoltre in alcuni settori, come p.e. quello del lavoro sociale e dell’arte, viene svolto un accertamento dell’idoneità. 2 3 7 ALLEGATI Esami di professione ed esami professionali superiori Di regola sono ammessi agli esami di professione coloro che abbiano concluso un tirocinio e che possano dimostrare di avere un’esperienza professionale plurienna- le. Lo stesso vale per gli esami professionali superiori, per quanto in certi casi si richieda l’avvenuto superamento di un esame di professione. Tra lo svolgimento di un esame di professione e quello di un esame professionale superiore devono inter- correre almeno 2 anni. Link esterni Formazione professionale superiore Scuole tecniche 4. Formazione professionale superiore: che cosa si impara? Per i seguenti gruppi di professioni esistono cicli di formazione professionale supe- riore: agricoltura, giardinaggio, economia forestale, alimenti e bevande, produzio- ne e nobilitazione di tessuti, lavorazione dei tessuti, lavorazione del legno, indu- stria grafica, industria metalmeccanica, edilizia, verniciatura, tecnica, organizza- zione, amministrazione e ufficio, vendita, trasporti, settore alberghiero ed econo- mia domestica, pulizia ed igiene, cura del corpo, trattamenti curativi, scienza ed arte, insegnamento, assistenza ed assistenza spirituale. Scuole tecniche Le scuole tecniche offrono cicli di formazione, per esempio, nei settori costruzione di macchine, elettrotecnica, organizzazione aziendale, informatica e telecomunica- zione, genio civile, carpenteria in legno e costruzioni metalliche, tecnica di riscal- damento, di refrigerazione e di climatizzazione, tecnologia alimentare, chimica, colorazione, tecnica tipografica. I contenuti didattici sono conformi a quanto pre- scritto dai regolamenti concernenti i requisiti minimi per le scuole specializzate superiori in questione. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 3 8 Esami di professione Per una vasta gamma di professioni è possibile svolgere esami di professione, tra cui (in ordine di frequenza) specialisti del personale, tecnici di marketing, conta- bili, informatici, agenti tecnici commerciali. In molti settori è possibile svolgere esami professionali superiori. Sono più di 150 gli esami professionali superiori riconosciuti dalla Confederazione: i più frequenti sono quelli da analista finanziario, amministratore di patrimoni, agricoltore, infor- matico aziendale, capovendita. Preparazione agli esami di professione La preparazione agli esami di professione non è regolamentata. Le candidate ed i candidati si preparano autonomamente. Tuttavia tale preparazione avviene spesso attraverso corsi di preparazione organizzati da centri pubblici o privati. I program- mi di formazione, i contenuti didattici ed il numero di lezioni da frequentare non sono fissati per legge. Chi offre i corsi stabilisce autonomamente i contenuti, la dura- ta ed il livello dei corsi di preparazione, sulla base dei regolamenti d’esame. Link esterni Formazione professionale superiore Esami di professione ed esami professionali superiori Elenco delle professioni Scuole tecniche 5. Formazione professionale superiore: cosa si richiede? Normalmente la formazione presso le scuole specializzate superiori è di 2 anni in caso di studio a tempo pieno (almeno 2000 lezioni) o di 3 anni in caso di svolgi- mento dello studio contemporaneamente all’esercizio di un’attività professionale (almeno 1600 lezioni). Spesso lo studio a tempo pieno viene integrato da un perio- do di pratica della durata massima di due semestri. La valutazione avviene sulla base di un esame finale. In alcuni casi è prevista anche la presentazione di lavori di diploma. In alcuni tipi di scuole sono svolti anche esami intermedi ai fini della selezione. I titoli assegnati dalle scuole specia- lizzate superiori e riconosciuti dalla Confederazione sono protetti dalla legge. I diplomi rilasciati dalle scuole specializzate superiori nei settori sanitario ed arti- 2 3 9 ALLEGATI Pedagogia speciale Per i bambini ed i giovani che non sono in grado di rendere quanto normalmente richiesto a scuola o che necessitano di offerte di formazione particolari ci sono tipi di scuola speciali. L’obbligo scolastico vale infatti anche per i bambini ed i giova- ni non vedenti, audiolesi, affetti da disabilità fisiche, difficoltà di apprendimento, disabilità mentali, disturbi del linguaggio e disturbi comportamentali. In Svizzera i centri per l’educazione pedagogico-curativa precoce (p.e. servizi di pedagogia curativa, centri di consulenza e di terapia precoce, centri di consulenza pedagogico-curativa precoce) sono circa 100 e sono finanziati sia da associazioni e fondazioni che da comuni e cantoni. Forme di istruzione speciali I cantoni sono responsabili delle scuole speciali. Si tratta di - scuole speciali sovvenzionate dall’assicurazione perl’invalidità AI (scuole per bambini e giovani con disabilità mentali, fisiche, disturbi comportamentali, audiolesioni, disturbi del linguaggio, disturbi della vista oppure affetti da malat- tie croniche). - classi speciali strettamente collegate con la scuola regolare (tra le altre le classi di introduzione, le classi piccole al livello elementare, le scuole aziendali o le clas- si aziendali al livello secondario I) - istituzioni di promovimento, consulenza e terapia ambulatoriale (tra l’altro aiuti scolastici sotto forma di lezioni pedagogico-curative d’appoggio, lezioni di ripe- tizione, aiuto per lo svolgimento dei compiti, logopedia e trattamenti della disles- sia, addestramento motorio e terapia motoria, consulenza psicologica scolastica). Condizioni quadro giuridiche Le regolamentazioni giuridiche del promovimento pedagogico dei disabili, oltre che nella legislazione AI (LAI ed OAI), sono contenute prevalentemente in leggi canto- nali sull’educazione e sulla scuola nonché nella relative disposizioni esecutive. Finanziamento Le scuole speciali sono finanziate prevalentemente dai cantoni e dall’assicurazio- ne per l’invalidità (AI). Le prestazioni dell’assicurazione per l’invalidità (AI) pos- sono essere richieste in presenza di danni alla salute fisica o mentale presenti dalla nascita o provocati da malattie o infortuni, che lasciano prevedere un’incapacità di guadagno. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 4 0 Link esterni Segretariato svizzero di pedagogia curativa e speciale (SPC) Ufficio federale delle assicurazioni sociali Legge federale sull’assicurazione per l’invalidità (LAI) Ordinanza sull’assicurazione per l’invalidità (OAI) 1. Pedagogia speciale: le novità In Svizzera le prime scuole speciali sono nate nel XIX secolo. Nel 1810 a Zurigo fu aperto il primo “Istituto per ciechi”, nel 1811 ad Yverdon il primo “Istituto per sordomuti” e nel 1882 a La Chaux-de-Fonds fu avviata la prima “Classe di aiuto” per giovani con difficoltà di apprendimento. A partire dal 1960, grazie all’introduzione dell’assicurazione per l’invalidità (AI), le fondazioni e le associazioni private, ma anche i comuni ed i cantoni, hanno potuto creare scuole speciali in tutto il territorio nazionale. Negli anni passati il numero di bambini e di giovani inseriti in classi speciali e in scuole speciali è aumentato continuamente. Maggiore impegno dei genitori Oggi l’educazione e la formazione dei bambini disabili viene curata in buona parte anche dai genitori. Numerose organizzazioni private, in particolare da associazio- ni di genitori spingono fortemente in questa direzione. Classi e scuole speciali sempre più frequentate Negli anni passati il numero di bambini e di giovani inseriti in classi speciali e, in minor misura, in scuole speciali è aumentato continuamente. Le classi speciali sono composte sempre più da bambini e giovani con disturbi comportamentali e difficoltà di apprendimento. Al contempo sono aumentate anche le misure ambu- latoriali. Questi sviluppi si possono ricondurre ad un aumento delle necessità di formazione speciale oppure ad una ridotta capacità della scuola regolare di gesti- re questi giovani. Pertanto è sempre più richiesta una pedagogia della molteplicità che sia in grado di gestire meglio l’aumentata eterogeneità delle classi scolastiche. Integrazione dei disabili nelle classi regolari L’integrazione di bambini e giovani disabili acquista sempre più importanza sia in 2 4 1 ALLEGATI Svizzera che a livello internazionale. Varie forme d’istruzione integrative - attua- te sul piano cantonale ed in parte anche sul piano comunale – si muovono in que- sta direzione. Nonostante l’aumento dell’integrazione, aumenta anche il numero di giovani che frequentano classi o scuole speciali. Più che altro nelle classi speciali si rileva un aumento continuo dei bambini e dei giovani di lingua straniera; inoltre nelle classi speciali la percentuale di bambini e di giovani di lingua straniera è molto superiore alla media delle classi normali. Riforma del finanziamento Attualmente all’interno della Confederazione si sta discutendo un progetto che prevede il finanziamento generale delle scuole speciali da parte dei cantoni: la nuova perequazione finanziaria (NPC). Da un lato con questa riforma verrebbe meno l’effetto uniformatore dell’assicurazione per l’invalidità (AI) visto che l’AI garantisce un certo livello di parità di opportunità per i bambini disabili a livello nazionale; dall’altro il finanziamento delle scuole speciali avverrebbe sullo stesso piano del finanziamento delle scuole normali ed in tal modo si semplificherebbe notevolmente l’integrazione dei bambini disabili nella scuola normale. Link esterni Segretariato svizzero di pedagogia curativa e speciale (SPC) Nuova perequazione finanziaria e dei compiti (NPC) 2. Pedagogia speciale: le cifre Nell’anno scolastico 2000/2001 in Svizzera 48'594 allievi hanno frequentato scuole con un programma didattico speciale: si tratta di giovani di classi speciali del livello elementare e del livello secondario I nonché giovani iscritti a scuole spe- ciali riconosciute dall’AI. La maggior parte degli allievi che frequentano le scuole speciali hanno difficoltà di apprendimento (circa due terzi). Si tratta del 6% circa dell’insieme degli allievi del livello elementare e del livello secondario I (a secon- da dei cantoni, la percentuale degli allievi delle scuole speciali varia tra il 2% ed il 10% del totale). Altri dati La percentuale di ragazze e donne nelle scuole speciali è del 37.9%, mentre quel- la degli stranieri è del 45.9%. Gli insegnanti impiegati nelle scuole speciali sono ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 4 2 4860 (4446 posti a tempo pieno). Mediamente una classe è costituita da 9,6 allie- vi (a seconda dei cantoni il numero varia tra 7 e 14 ). L’1,5% delle scuole specia- li è privato e non sovvenzionato. Circa il 10-20% degli allievi delle scuole elementari usufruiscono dell’offerta di misure di sostegno quali logopedia e trattamenti della dislessia, terapie del movi- mento e consulenza psicologica scolastica (non si dispone di dati più precisi poi- ché sul tema non vengono effettuati rilevamenti di dati a livello nazionale). Finanziamento I costi dell’educazione pedagogico-curativa precoce sono coperti in gran parte dall’Assicurazione federale per l’invalidità (AI). I costi delle scuole con un pro- gramma didattico speciale ammontano a 850,8 milioni di franchi l’anno (0% Confederazione, 46,6% cantoni e 53,4% comuni). Si tratta del 4% circa della spesa pubblica per l’istruzione. Tuttavia le cifre dell’Ufficio federale di statistica (UFS) non tengono conto dei con- tributi dell’AI. Secondo le statistiche dell’AI del 2002, l’importo complessivo delle spese per le misure scolastiche ammontava nel 2001 a 324,4 milioni di franchi (dati dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali UFAS). Il costo complessivo è dunque di 1175,2 milioni di franchi, di cui il 27,6% è sostenuto dalla Confederazione (AI), il 33,7% dai cantoni ed il 38,7% dai comuni. Ciò corrispon- de al 6% circa della spesa pubblica per l’istruzione (per il livello prescolare, il livello elementare ed il livello secondario I la percentuale è del 10%). Dati dell’UFS 1999–2001. Link esterni Dati statistici dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali (UFAS) 3. Pedagogia speciale: chi può intraprendere una formazione? Per chiarimenti, diagnosi, trattamenti e consulenza ci sono appositi servizi canto- nali (per esempio i servizi psicologici scolastici). Per seguire la formazione specia- le è necessario presentare una domanda: in seguito vengono svolti accertamenti e viene decisa l’assegnazione. Possono presentare domanda in primo luogo gli inse- gnanti, i medici, gli addetti operanti in servizi speciali (p.e. servizi psicologici sco- lastici), le autorità scolastiche e le autorità di tutela. In più della metà dei cantoni 2 4 3 ALLEGATI anche i genitori possono presentare una domanda per l’assegnazione ad una scuo- la speciale. Accertamenti e decisioni In tutti i cantoni sono competenti per gli accertamenti i servizi psicologici scola- stici, i servizi psicologici per i bambini ed i giovani oppure altri specialisti. Le regolamentazioni che disciplinano l’assegnazione di bambini con esigenze for- mative particolari ad una scuola normale (formazione integrativa) oppure ad una scuola speciale non sono unitarie a livello nazionale. A seconda delle offerte disponibili nel cantone, la decisione viene presa in genere dai genitori, dalla scuola, dagli insegnanti e dai servizi specialistici. La decisione finale riguardo all’assegnazione di un allievo ad una forma d’istru- zione speciale spetta alle autorità scolastiche cantonali. Link esterni Scuole speciali AI e centri di addestramento professionale Forme d’istruzione integrative 4. Pedagogia speciale: che cosa si impara? I programmi didattici propri della pedagogia speciale si attengono a quelli canto- nali. Poiché le condizioni di partenza variano a seconda dei casi, non ci sono pro- grammi didattici comuni per allievi non vedenti, audiolesi o con disabilità menta- li. Gli obiettivi ed i contenuti didattici si orientano piuttosto alle linee guida della scuola. I programmi di promovimento degli allievi vengono fissati sempre più su base individuale. Soltanto per la formazione degli allievi con difficoltà di appren- dimento ed i disabili mentali sono stati creati speciali programmi didattici. Classi speciali Nelle “classi piccole” p.e. del cantone di Berna si impartiscono 23-30 ore di lezio- ne settimanali. Le materie sono il tedesco, la matematica, natura/uomo/ambien- te, attività creative, musica e sport. Si attribuisce un’importanza particolare ai set- tori della motorica, della percezione, della lingua, dell’emozionalità e del sociale. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 4 4 Promovimento individuale Nell’ambito della pedagogia speciale, il promovimento dei bambini con disabilità mentali avviene in modo individuale. Laddove necessario sono disponibili offerte di terapia (che includono anche il promovimento individuale, la logopedia, la fisioterapia). L’obiettivo principale consiste nello sviluppare la personalità e nel promuovere l’autonomia dei disabili mentali. Alcuni bambini imparano a leggere e a far di conto, altri invece soltanto a svolgere autonomamente alcune attività quotidiane (come p.e. vestirsi o mangiare autonomamente). 5. Pedagogia speciale: cosa si richiede? Così come le altre scuole, anche le scuole speciali sono suddivise in diversi livelli e tipi. Le classi vengono composte in base al tipo di disabilità; spesso una stessa classe è frequentata da bambini e giovani di età diverse. Una suddivisione fre- quente è quella in un livello elementare (1a – 3a classe), medio (4a – 6a classe) e superiore (7a – 9a classe, in parte designata come classe aziendale). Bambini e giovani portatori di disabilità fisiche Per i bambini ed i giovani portatori di disabilità sensoriali o fisiche valgono fon- damentalmente gli stessi requisiti posti ai bambini ed ai giovani non disabili (cfr. livello elementare e livello secondario I). Bambini e giovani con disturbi del linguaggio I bambini ed i giovani con disturbi del linguaggio ricevono da una a due volte la settimana un’assistenza logopedica. Esistono una rete di centri terapeutici ambu- latoriali ed un numero sempre crescente di posti in scuole speciali. Bambini e giovani con disabilità mentali I bambini ed i giovani con disabilità mentali sono seguiti in modo completo, conformemente alle loro capacità. Alcuni bambini imparano a leggere e a far di conto, altri invece soltanto a svolgere autonomamente alcune attività quotidiane (come p.e. vestirsi o mangiare autonomamente). 2 4 5 ALLEGATI Valutazioni Gli insegnanti delle scuole speciali effettuano regolarmente delle valutazioni. Lo svolgimento di esami alla fine dell’anno scolastico costituisce un’eccezione ed è raro che vi siano disposizioni che regolamentano la promozione alla classe succes- siva. Alla fine dell’anno scolastico vengono consegnati rapporti sull’apprendimen- to, mentre le pagelle con le note sono poco usate. 6. Pedagogia speciale: cosa succede alla fine degli studi? Rispetto alla formazione speciale del livello elementare e del livello secondario I (scuola obbligatoria), la preparazione e la formazione professionali per i disabili sono meno sviluppate. Le possibilità di formazione successiva alla scuola obbliga- toria e gli sbocchi professionali sono diversi a seconda del tipo di disabilità: Disabilità sensoriali Per i disabili sensoriali esistono scuole professionali speciali. Le scuole specializ- zate superiori, le istituzioni per la formazione degli insegnanti, le università ed i politecnici prevedono facilitazioni per non vedenti, audiolesi e disabili fisici. Non vedenti Per i non vedenti e per gli ipovedenti gravi la scelta della professione e le possibi- lità di lavoro sono fortemente limitate: tuttavia per loro gli sbocchi professionali sono in continuo aumento. Per il perfezionamento personale sono disponibili biblioteche speciali e biblioteche con audiolibri. Audiolesi Nonostante qualche limitazione, le professioni che gli audiolesi possono svolgere sono relativamente numerose. La maggior parte di loro segue una formazione pro- fessionale completa (3–4 anni). Parallelamente frequentano la scuola professiona- le intercantonale per audiolesi. In futuro sarà necessario dare sempre più impor- tanza al perfezionamento professionale. Disabili mentali I disabili mentali possono essere inseriti in un’attività professionale. Di regola si tratta di attività semplici che non prevedono un diploma professionale riconosciu- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 4 6 to (lavoro in laboratori protetti, lavoro ausiliario). Dal 1979 anche i giovani disa- bili mentali possono avere un contratto di formazione (nuova designazione: for- mazione pratica professionale). Anche gli adulti con disabilità mentali hanno la possibilità di perfezionarsi. Tuttavia le possibilità a disposizione dei disabili sono molto limitate in confronto a quelle di cui può usufruire il resto dei giovani. La maggior parte dei disabili mentali trova lavoro in laboratori protetti o in gruppi di occupazione. Sostegno finanziario L’assicurazione per l’invalidità (AI) sostiene la formazione professionale dei disa- bili offrendo servizi di orientamento ed integrazione professionali. Link esterni Segretariato svizzero di pedagogia curativa e speciale (SPC) Ufficio federale della formazione professionale e della tecnologia (UFFT) Orientamento professionale Associazione svizzera per l’orientamento scolastico e professionale (ASOSP) 2 4 7 ALLEGATI Perfezionamento Il perfezionamento è una forma di apprendimento organizzato che avviene dopo la conclusione di una prima fase di formazione scolastica, universitaria o profes- sionale. L’obiettivo del perfezionamento consiste nell’acquisire nuove conoscenze, capacità e abilità oppure nell’aggiornare, approfondire o ampliare quanto già appreso. Il perfezionamento è un apprendimento mirato che può avvenire sotto forma di studio autodidattico, con l’ausilio della relativa letteratura specializzata, o fre- quentando appositi corsi. Istituzioni che offrono opportunità di perfezionamento Il settore del perfezionamento è organizzato principalmente da istituti di forma- zione privati. L’organizzazione mantello in questo settore è la Federazione svizze- ra per la formazione continua (SVEB), un ente fondato nel 1951 e che oggi conta circa 420 membri. Le istituzioni che offrono perfezionamento sono: - istituti di diritto pubblico quali le università, le scuole universitarie professiona- li e le scuole professionali, - istituzioni di diritto privato orientate alla pubblica utilità quali le associazioni professionali e di categoria, i sindacati, le associazioni di formazione dei genito- ri, le università popolari, le scuole club Migros e centinaia di piccole organizza- zioni, - istituzioni di diritto privato a scopo di lucro come l’AKAD, il Zentrum für Unternehmensführung (ZfU), le scuole di maturità private e le aziende, - associazioni confessionali, di opinione o di partenariato sociale come i sindacati, il Soccorso operaio svizzero (SOS), la Confederazione Generale Italiana del Lavoro (ECAP) o i centri di formazione gestiti dalle chiese. Inoltre il perfezionamento avviene anche in gruppi organizzati autonomamente, specie nei settori della sanità e della cultura. Garanzia della qualità La qualità delle diverse offerte di perfezionamento è certificata dal marchio EduQua. Circa 10 cantoni richiedono questo marchio alle organizzazioni di perfe- zionamento che presentano richieste di supporto finanziario. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 4 8 Formatori Nel settore del perfezionamento sono impiegate circa 60.000 persone, il 90% delle quali svolge questo lavoro come attività secondaria. Dall’introduzione dei certifi- cati SVEB (1996) sono stati rilasciati 6500 certificati SVEB 1 e 1300 attestati federali di capacità (ex certificati SVEB 2). La Federazione svizzera per la forma- zione continua (SVEB) ha già riconosciuto 70 istituzioni, che possono offrire i 5 moduli fino all’attestato federale di capacità nel settore della “formazione dei for- matori”. Un terzo livello è costituito dal diploma cantonale per formatori di adul- ti. Il relativo regolamento è stato emanato nel 1998 dalla Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione (CDPE). Inoltre, presso l’Università di Ginevra è possibile specializzarsi come formatore di adulti (corso di licenza). Regolamentazioni giuridiche Il perfezionamento è il settore formativo meno regolamentato dal punto di vista giuridico. Fondamentalmente i cantoni sono responsabili del perfezionamento generale e la Confederazione del perfezionamento professionale, tuttavia spesso mancano i mezzi necessari. Solamente singoli cantoni dispongono di leggi proprie sul perfezionamento. Competenze Presso la Confederazione, le competenze nel settore del perfezionamento sono ripartite tra diversi uffici federali: operano in questo settore il Segretariato di stato all’economia (Seco), l’Ufficio federale della cultura (UFC), l’Ufficio federale del- l’educazione e della scienza (UFES) e soprattutto l’Ufficio federale della forma- zione professionale e della tecnologia (UFFT). Anche la Pro Helvetia è attiva nel settore del perfezionamento. Il “Forum svizzero della formazione continua” In Svizzera non esiste una vera e propria politica nazionale per quanto attiene al perfezionamento. Per questo motivo è stato fondato il “Forum svizzero della for- mazione continua”, vi sono rappresentati diversi uffici federali (Seco, UFC, UFES, UFFT), la Pro Helvetia, la Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubbli- ca educazione (CDPE), la Conferenza intercantonale dei responsabili della forma- zione degli adulti (IKEB), i partner sociali (la Federazione svizzera dei sindacati cristiani FSSC, Travail.Suisse, la Federazione svizzera dei sindacati, la Società sviz- zera degli impiegati del commercio (SIC), l’Unione svizzera delle arti e dei mestie- ri e l’Unione padronale svizzera) e la Federazione svizzera per la formazione conti- 2 4 9 ALLEGATI nua (SVEB) in rappresentanza delle organizzazioni che offrono perfezionamento. Attualmente all’interno del “Forum svizzero della formazione continua” si stanno discutendo i seguenti temi: la statistica del perfezionamento (progetto), il finan- ziamento orientato alla richiesta (rapporto), il Festival della formazione continua 2002 (patronato), i sistemi di riconoscimento individuali, il promovimento dei corsi di recupero ed una nuova legislazione sul perfezionamento. Finanziamento La Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione (CDPE) e l’Ufficio federale della cultura (UFC) sostengono il Forum svizzero della forma- zione continua (SVEB). Le direzioni cantonali della pubblica educazione promuo- vono le organizzazioni che offrono un tipo di perfezionamento generale, mentre l’Ufficio federale della formazione professionale e della tecnologia (UFFT) e gli uffici cantonali per la formazione professionale sostengono il perfezionamento professionale; il Segretariato di stato all’economia (Seco) sostiene il perfeziona- mento dei disoccupati in collaborazione con gli uffici cantonali del lavoro. La Confederazione spende annualmente per il perfezionamento 200 milioni di franchi ed i cantoni circa 150 milioni di franchi; il Segretariato di stato all’econo- mia (Seco) ha stanziato in bilancio 350 milioni di franchi per i corsi destinati ai disoccupati ed infine la spesa delle famiglie (quote di iscrizione ai corsi), delle organizzazioni private, delle fondazioni, della Migros (“percento culturale”) e delle aziende è dell’ordine di miliardi di franchi. Link esterni Federazione svizzera per la formazione continua (SVEB) Federazione svizzera di formazione aziendale (FSFA) Segretariato di stato all’economia (Seco) Ufficio federale della cultura (UFC) Ufficio federale dell’educazione e della scienza (UFES) Pro Helvetia Ufficio federale della formazione professionale e della tecnologia (UFFT) Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione (CDPE) Direzioni cantonali della pubblica educazione Conferenza intercantonale dei responsabili della formazione degli adulti (IKEB) Associazione delle università popolari svizzere (AUPS) Forum svizzero della formazione continua EduQua ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 5 0 1. Perfezionamento: le novità Le iniziative di perfezionamento risalgono alla seconda metà del XVIII secolo, quando le cosiddette “società di utilità pubblica” e le associazioni dei lavoratori cominciarono ad offrire corsi per adulti. Le prime università popolari furono fon- date nel 1919, mentre la Scuola club Migros iniziò la sua attività nel 1944. Tendenze Le tendenze nel settore del perfezionamento si possono così riassumere: 1. si promuove il perfezionamento per tutti. A questo scopo vengono migliorate le condizioni quadro giuridiche per il perfezionamento. La popolazione viene costantemente sensibilizzata sul tema attraverso i festival e le campagne sulla formazione continua. Un numero crescente di offerte di perfezionamento assu- me una forma modulare. Sono introdotti sempre più sistemi di riconoscimento individuali. Si promuove lo sviluppo della qualità. 2. Il perfezionamento assume un aspetto sempre più internazionale: l’Unione euro- pea (UE) ha creato programmi di perfezionamento di ampia portata. L’OCSE si orienta alla “formazione continua” e valuta il finanziamento del perfeziona- mento. L’UNESCO appoggia il promovimento dei festival della formazione con- tinua a livello mondiale. 3. Un numero sempre crescente di formatori dispone di esperienze nel settore della formazione degli adulti. La Federazione svizzera per la formazione continua (SVEB) certifica corsi di formazione per formatori (certificato SVEB I e SVEB II). Oggi la Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazio- ne (CDPE) coordina i diplomi cantonali per formatori di adulti di istituzioni private che offrono cicli di studio a tempo ridotto. 4. Alcuni cantoni stanno sperimentando nuovi modelli di collaborazione tra can- toni e organizzazioni private (la sovvenzione statale di organizzazioni private dipende per esempio dall’avvenuto accreditamento). 5. In futuro ricerca e sviluppo saranno maggiormente integrate nel perfezionamento. Link esterni Federazione svizzera per la formazione continua (SVEB) Ufficio federale della formazione professionale e della tecnologia (UFFT) Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione (CDPE) Certificato svizzero di qualità per istituzioni di formazione continua EduQua 2 5 1 ALLEGATI 2. Le cifre relative al perfezionamento Nel 1999 in Svizzera 1,9 milioni di adulti hanno frequentato un totale di 123 milioni di ore di perfezionamento (nel 1996 le ore di perfezionamento furono 130 milioni). Alcuni dettagli in merito: - 9 partecipanti su 10 svolgono attività lavorative (87%). - Il 38% delle donne ed il 40% degli uomini frequentano corsi di perfezionamen- to. Le donne sono più interessate a corsi generali, mentre gli uomini a corsi pro- fessionali. - Chi ha effettuato studi presso un’università, una scuola universitaria professio- nale o dispone di una formazione professionale superiore frequenta corsi di per- fezionamento in una misura tre volte maggiore (54%) rispetto a quanti non hanno seguito altre formazioni dopo il livello secondario I (18%). - Il 69% di tutti i corsi di perfezionamento è frequentato per motivi professionali. Per i corsi di perfezionamento che frequentano, 970'000 persone ricevono sostegno dall’azienda per la quale lavorano (1,24 milioni di frequenze, 58 milioni di ore). - Aumenta la percentuale del perfezionamento autonomo: tra il 1996 ed il 1999, la percentuale di quanti si sono avvalsi di forme di apprendimento individuali è salita dal 40% al 52%. Chi offre corsi di perfezionamento? Le seguenti istituzioni offrono corsi di perfezionamento generali: - scuole private (32%), - privati (23%), - scuole pubbliche (21%), - aziende o datori di lavoro (1%), - altri (23%). Le seguenti istituzioni offrono corsi di perfezionamento professionali: - aziende o datori di lavoro (34%), - scuole private (19%), - scuole pubbliche (15%), - privati (6%), - altri (26%). Oggi il confine tra il perfezionamento professionale ed il perfezionamento generale è sempre più labile. Da qualche tempo, per esempio, l’Ufficio federale della forma- zione professionale e della tecnologia (UFFT) sostiene anche il perfezionamento generale, a condizione che ne sia evidente la relazione con il perfezionamento pro- fessionale. La metà circa delle aziende sostiene il perfezionamento professionale. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 5 2 Temi L’informatica (21% di tutti i corsi) e le lingue (15% di tutti i corsi) sono i temi assolutamente preponderanti nel perfezionamento. Seguono l’arte e la cultura (8%), la salute e la medicina (7%), la formazione della personalità (6%), i corsi per quadri (6%), la produzione industriale (5%), le finanze e la vendita (temi rimanenti = 4%). Perfezionamento autonomo Gli adulti seguono corsi di perfezionamento ma si perfezionano anche autonoma- mente: più che altro tramite osservazione, letteratura specializzata, conferenze, istruzioni sul posto di lavoro, programmi per computer. Ogni anno 3,2 milioni di persone si perfezionano autonomamente. Finanziamento I datori di lavoro pagano circa i due terzi dei corsi di perfezionamento, intera- mente o in parte. Dati 1999/2000: Ufficio federale di statistica 2002 Link esterni Statistiche relative al perfezionamento 3. Chi può seguire un perfezionamento? Per la maggior parte dei corsi di perfezionamento non sono previste particolari condizioni di ammissione. Chi si iscrive e paga la quota richiesta può frequentare i corsi. Spesso in settori come le lingue e l’informatica vengono svolti dei test di classificazione per suddividere i partecipanti in gruppi di livello omogeneo. Invece per la formazione professionale superiore e per il perfezionamento a livello universitario sono previste particolari condizioni di ammissione. 2 5 3 ALLEGATI Link esterni Federazione svizzera per la formazione continua (SVEB) Banca dati formazione continua in Svizzera Perfezionamento presso università e politecnici Associazione svizzera per l’orientamento scolastico e professionale Portale sul perfezionamento 4. Perfezionamento: che cosa si impara? Perfezionamento professionale e generale condividono alcuni contenuti: in entrambi i settori per esempio si insegnano le lingue e l’informatica. Nel perfezio- namento professionale sono di grande importanza i corsi per i quadri, mentre nel perfezionamento generale sono importanti l’arte, la cultura, la salute e la forma- zione dei genitori. Formazione professionale Sostanzialmente fanno parte della formazione professionale - il settore generale (tecniche di apprendimento e di lavoro, comunicazione e lin- gue, uso delle tecniche informatiche e altro), - il mantenimento della qualifica professionale (nuove capacità e conoscenze spe- cialistiche necessarie, formazione supplementare in caso di cambiamento delle mansioni), - il recupero (parti della formazione originaria necessarie per conseguire il diplo- ma o l’attestato richiesto), - le offerte di “accesso” (preparazione per l’ingresso in una seconda formazione media o superiore), - la qualificazione superiore (qualifiche complementari necessarie per rivestire una posizione superiore, come ad esempio competenze comunicative e dirigen- ziali, conoscenze commerciali ed anche conoscenze finalizzate ad esami di pro- fessione ed esami professionali superiori), - la riqualificazione professionale (capacità e conoscenze necessarie per il passag- gio ad un altro campo professionale), - la seconda formazione professionale (formazioni professionali di base per adulti in vista di un cambiamento di professione). ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 5 4 Formazione generale La formazione generale comprende i seguenti settori: - le arti applicate (pittura, fotografia, lavorazione dei tessuti e del legno ecc.), - l’arte (musica, teatro, danza ecc.), - lo sport ed il rilassamento (vari tipi di sport, ginnastica, tai-chi, training auto- geno ed altro), - la salute (dietetica, nozioni generali di medicina, mantenimento della salute ecc.), - l’economia domestica (cucina, giardinaggio, assistenza domestica ai malati ecc.), - l’orientamento esistenziale (sviluppi storici, politici, scientifici, tecnici e cultura- li, discussione di temi etici ed esistenziali, questioni concernenti altre culture e visioni del mondo), - la formazione sociale e politica (capacità comunicative e linguistiche, conoscen- ze dei ruoli sociali, corsi di formazione per membri di associazioni e gruppi, conoscenza delle posizioni religiose, dell’ecologia, educazione alla pace). Link esterni Federazione svizzera per la formazione continua (SVEB) 5. Che cosa si richiede? La maggior parte dei perfezionamenti professionali e generali avviene senza test o rilascio di diplomi; per gli organizzatori è più importante la valutazione dei corsi ed il giudizio dei formatori. Al contrario, per gli studi postdiploma e per gli esami professionali federali sono previsti degli esami finali. Lo stesso vale per i corsi di perfezionamento che confe- riscono certificati riconosciuti a livello internazionale (p.e. i certificati linguistici dell’Alliance Française, delle università di Cambridge, Perugia, Salamanca, London Chamber of Commerce). I portfolio sono largamente impiegati: si veda per esempio il Portfolio europeo delle lingue o il Libro svizzero delle qualificazioni. Il recupero di diplomi di formazione generale (p.e. presso scuole di maturità per adulti) prevede lo svolgimento a intervalli di tempo regolari di valutazioni sulla base di test. Lo stesso vale per gli studi postdiploma presso le università ed i poli- tecnici federali, ma anche per la formazione professionale superiore (esami di pro- fessione ed esami professionali superiori). Numerose scuole dei settori del com- mercio, delle lingue, della formazione dirigenziale, della sanità e del settore socia- 2 5 5 ALLEGATI le rilasciano “diplomi” propri, che però non sono riconosciuti (ogni attestato di un’avvenuta formazione può essere chiamato “diploma”). Link esterni Federazione svizzera per la formazione continua (SVEB) Formazione professionale superiore Croce rossa svizzera (CRS), professioni sanitarie Conferenza dei direttori della sanità (CDS), formazione professionale Portfolio delle lingue Libro delle qualificazioni ALLEGATO: La Formazione Superiore nel Progetto CIOFS-FP e CNOS- FAP 2 5 9 ALLEGATI *Specializzazione post-qualifica: • Addetto decoratore di Panetteria • Addetto decoratore di Pasticceria **Specializzazione post-diploma: • Tecnico della prima lavorazione delle carni • Tecnologia industriale dei prodotti da forno Diploma professionale superiore (da 1 a 3 anni) • Esperto di Panificazione (imprenditoria/tecniche innovative) • Esperto Lattiero-caseario • Esperto della lavorazione e trasformazione del pesce Anno di preparazione universitaria Specializzazione** Diploma professionale (quarto anno) TECNICO DELL'ALIMENTAZIONE Qualifica (triennio) OPERATORE DELL'ALIMENTAZIONE • Addetto alla Trasformazione degli Alimenti • Addetto alla panificazione e pasticceria Specializzazione* Larsa passaggi tra percorsi A tempo pieno o in Alternanza (dopo il 15° anno di età) A p p re n d is ta to M on d o d el l av or o DISEGNO DELL’OFFERTA FORMATIVA DELLA COMUNITÀ PROFESSIONALE ALIMENTAZIONE ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 6 0 Diplomi professionali superiori a) Esperto di Panificazione (imprenditoria/tecniche innovative) È una figura professionale in grado di pianificare, realizzare e controllare autono- mamente l’economia gestionale, l’organizzazione del lavoro, gli impianti di pro- duzione, l’analisi di controllo chimico e biologico di panifici o mulini e di occu- parsi in genere di processi di trasformazione dei cereali. Questa figura professionale a fronte di una conoscenza di base dei fattori fisico-chi- mici, che influenzano l’attività dei microrganismi responsabili delle trasformazioni (lieviti, batteri, muffe), oltre a conoscere le alterazioni e le trasformazioni degli ali- menti sa individuare e gestire i più idonei processi di trasformazione. Egli conosce le basi della microbiologia degli impasti e della tecnologia dei cereali (tipi di pro- teine e loro caratteristiche chimico-fisiche, carboidrati ed attività enzimatiche). Relativamente alle conoscenze richieste, tale figura professionale deve conoscere i tre prodotti tipici della panetteria a livello nazionale: Pane di Altamura DOP (Denominazione di Origine Protetta), Pane Casareccio di Genzano DOP, Coppia Ferrarese IGP (Indicazione Geografica Protetta). Le metodologie di produzione sono rigorosamente legate al territorio e tutelate da Consorzi per la tutela (Altamura e Genzano) e Associazioni per la valorizzazione del pane tipico ferrarese. Questa figura professionale non solo conosce la legislazione europea, nazionale e regionale relativa alle materie prime da agricoltura biologica, ma conosce anche le procedure relative alla notifica, controllo e certificazione delle produzioni biologi- che e relativa modulistica. b) Esperto Lattiero-Caseario L’Esperto Lattiero-Caseario sa analizzare l’intero percorso della filiera e le pro- blematiche relative alla produzione e commercializzazione dei prodotti lattiero- caseari, usando la certificazione di filiera come strumento per la garanzia della qualità e della sicurezza. Questa figura professionale, oltre a conoscere le alterazioni e le trasformazioni degli alimenti di origine animale, sa individuare e gestire i più idonei processi di trasformazione nell’industria lattiero-casearia, anche nell’ottica di innovazione tecnologica e di prodotto nel settore lattiero-caseario. L’Esperto Lattiero-Caseario conosce la composizione chimica del latte e le sue proprietà chimico-fisiche, i processi di risanamento, le tecniche di trasformazione del latte nei suoi derivati (yogurt, formaggi, burro); conosce la qualità nutriziona- 2 6 1 ALLEGATI le di prodotti lattiero-caseari tradizionali ed innovativi. Egli è in grado di control- lare gli andamenti fermentativi, a fronte di una conoscenza di base dei fattori fisi- co-chimici, che influenzano l’attività dei microrganismi responsabili delle trasfor- mazioni (lieviti, batteri, muffe); sa individuare e differenziare le trasformazioni dalle alterazioni. Per quanto concerne le conoscenze richieste alla figura professionale relativamen- te ai prodotti tipici nazionali, sono 65 i formaggi DOP italiani, dall’Asiago DOP al Vezzena, distribuiti prevalentemente nell’Italia settentrionale, lungo la dorsale appenninica e nelle isole maggiori. Le metodologie di produzione sono rigorosa- mente legate al territorio e tutelate da Consorzi Volontari di produttori. Questa figura professionale non solo conosce la legislazione europea, nazionale e regionale relativa alle materie prime da agricoltura biologica, ma conosce anche le procedure relative alla notifica, controllo e certificazione delle produzioni biologi- che e relativa modulistica. c) Esperto nella lavorazione e trasformazione del pesce È una figura professionale in grado di pianificare, realizzare e controllare autono- mamente le attività che consentono di ottenere un prodotto derivato a partire dal pesce fresco. L’Esperto nella lavorazione e trasformazione del pesce, oltre a conoscere le alterazioni e le trasformazioni degli alimenti di origine animale, sa individuare e gestire i più idonei processi di trasformazione; egli conosce il problema della parassitosi nei prodotti ittici ed i sistemi di conservazione dei prodotti ittici freschi; ha una conoscenza generale del pesce che viene lavorato, della sua qualità, delle fasi di lavorazione poste a monte e a valle rispetto a quella in cui egli opera. Le conoscenze specifiche e le capacità tecnico/professionali concernono il funziona- mento delle macchine e delle attrezzature utilizzate nella produzione, nonché le modalità di conservazione del pesce. Questa figura professionale non solo conosce la legislazione europea, nazionale e regionale relativa alle materie prime da agricoltura biologica, ma conosce anche le procedure relative alla notifica, controllo e certificazione delle produzioni biologi- che e relativa modulistica. L’Esperto nella lavorazione e trasformazione del pesce svolge compiti di: - divisione, eviscerazione e sezionamento del pesce; - pulizia, spinatura, filettatura, cernita; - cottura, essiccatura, affumicatura, salatura, preparazione in salamoia; - congelamento, surgelazione; - cottura del pesce con autoclave; ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 6 2 Denominazione iniziale del percorso di qualificazione (Diploma Professionale Superiore) Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di qualificazione) L’esperto di panificazione è una figura professionale che possiede le seguenti competenze e conoscenze: 1) Pianificazione, realizzazione e controllo in autonomia ope- rativa dell'economia gestionale, dell’organizzazione del lavoro e degli impianti di produzione 2) Analisi di controllo chimico e biologico di panifici e mulini 3) Individuazione e gestione dei più idonei processi di tra- sformazione 4) Conoscenza, applicazione e controllo del quadro normati- vo (igiene, sicurezza, biotecnologie e OGM, prodotti tipici) locale, nazionale e comunitario specifico del settore 5) Conoscenza delle procedure relative alla notifica, controllo e certificazione delle produzioni biologiche e relativa modulistica ESPERTO DI PANIFICAZIONE (IMPRENDITORIA / TECNICHE INNOVATIVE) Denominazione iniziale del percorso di qualificazione (Diploma Professionale Superiore) Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di qualificazione) L’esperto lattiero-caseario è una figura professionale che possiede le seguenti competenze e conoscenze: 1) Analisi dell’intero percorso della filiera e delle problemati- che di produzione e commercializzazione 2) Conoscenza ed applicazione della certificazione di filiera 3) Individuazione e gestione dei più idonei processi di tra- sformazione nell’industria lattiero-casearia 4) Pianificazione di innovazione tecnologica e di prodotto 5) Analisi di controllo chimico e biologico di caseifici ed indu- strie lattiere 6) Individuazione e gestione dei più idonei processi di tra- sformazione 7) Conoscenza, applicazione e controllo del quadro normati- vo (igiene, sicurezza, biotecnologie e OGM, prodotti tipici) locale, nazionale e comunitario specifico del settore 8) Conoscenza delle procedure relative alla notifica, controllo e certificazione delle produzioni biologiche e relativa modulistica ESPERTO LATTIERO-CASEARIO 2 6 3 ALLEGATI Denominazione iniziale del percorso di qualificazione (Diploma Professionale Superiore Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di qualificazione) L’esperto nella lavorazione e trasformazione del pesce è una figura professionale che possiede le seguenti competenze e conoscenze: 1) Pianificazione, realizzazione e controllo in autonomia ope- rativa delle attività che consentono di ottenere un prodotto derivato a partire dal pesce fresco 2) Conoscenza e riconoscimento delle alterazioni e delle tra- sformazioni degli alimenti di origine animale 3) Conoscenza e riconoscimento della parassitosi nei prodot- ti ittici 4) Individuazione e gestione dei più idonei processi di tra- sformazione dei prodotti ittici freschi 5) Conoscenza e controllo operativo delle macchine e delle attrezzature utilizzate nella conservazione del pesce 6) Conoscenza, applicazione e controllo del quadro normati- vo (igiene, sicurezza, biotecnologie e OGM, prodotti tipici) locale, nazionale e comunitario specifico del settore 7) Conoscenza delle procedure relative alla notifica, controllo e certificazione delle produzioni biologiche e relativa modulistica ESPERTO NELLA LAVORAZIONE E TRASFORMAZIONE DEL PESCE ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 6 4 *Specializzazione: • Addetto alla Gestione dei Rapporti Commerciali • Addetto alla Contabilità Generale e Industriale • Addetto alla Contabilità del Personale **Specializzazione: • Esperto in Amministrazione, Finanza e Controllo (AFC) • Addetto alle Pratiche Fiscali e Societarie • Addetto ai Rapporti con la Stampa e all’Organizzazione di Eventi Diploma professionale superiore (da 1 a 3 anni) • Esperto della Gestione Contabile • Esperto in Comunicazione Aziendale Anno di preparazione universitaria Specializzazione** Diploma professionale (quarto anno) TECNICO DEI SERVIZI D’IMPRESA Qualifica (triennio) OPERATORE DEI SERVIZI D’IMPRESA • Addetto alla Segreteria • Addetto alla Contabilità Specializzazione* Larsa passaggi tra percorsi A tempo pieno o in Alternanza (dopo il 15° anno di età) A p p re n d is ta to M on d o d el l av or o DISEGNO DELL’OFFERTA FORMATIVA DELLA COMUNITÀ PROFESSIONALE AZIENDALE E AMMINISTRATIVA 2 6 5 ALLEGATI Diplomi professionali superiori a) Esperto della Gestione Contabile È una figura professionale in grado di pianificare, realizzare e controllare autono- mamente operazioni di natura contabile, commerciale, finanziaria, amministrati- va e fiscale utilizzando procedure previste dalla normativa contabile e fiscale anche riguardanti il commercio con l’estero. Interagendo con il responsabile del- l’area “finanza” dell’azienda collabora alla gestione delle fasi della contrattazione e coordina i movimenti finanziari che derivano dai rapporti con banche o altri finanziatori sulle diverse forme di investimento e finanziamento; le competenze acquisite gli consentiranno di inserirsi come quadro dirigenziale nel reparto amministrativo di aziende di qualsiasi dimensione e di gestire la contabilità con analisi del bilancio in modo autonomo e responsabile. b) Esperto in Comunicazione Aziendale È una figura professionale con particolari competenze nella comunicazione inter- na ed esterna all’azienda che possiede le basi di organizzazione aziendale per una migliore gestione dei rapporti tra i diversi reparti aziendali. Per l’elevato grado di interrelazioni con tutti i settori produttivi e tra le diverse figure professionali è la persona a cui maggiormente è richiesta un elevato rispet- to per la deontologia professionale al fine di garantire l’affiancamento a quei valo- ri Cristiani di rispetto del Prossimo e del proprio lavoro, fondamento della vita di ciascuno di noi. La sua collocazione più idonea sarà quella di responsabile della comunicazione di un’azienda o di uno studio professionale di medie/grandi dimensioni. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 6 6 Denominazione iniziale del percorso di qualificazione (Diploma Professionale Superiore) 1 Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di qualificazione) 1. Espletamento delle pratiche amministrative interne ed esterne sia di carattere ordinario che straordinario; 2. gestione dei rapporti con gli uffici pubblici e privati; 3. gestione autonoma della contabilità generale e stesura della bozza di bilancio d’esercizio; 4. gestione della contabilità di magazzino; 5. cura degli adempimenti della contabilità del personale con l’ausilio del responsabile del personale o del consu- lente del lavoro; 6. liquidazione delle imposte ed elaborazione delle dichiara- zioni fiscali (IVA, Imposte sui Redditi e altri tributi) da sot- toporre al controllo finale del Commercialista; 7. ausilio nella predisposizione del sistema di pianificazione e controllo di gestione basato su: - preparazione del budget; - verifica tra dati preventivati (budget) e i dati del consun- tivo; - analisi degli eventuali scostamenti tra budget e consun- tivo, individuazione delle cause e studio delle necessarie azioni correttive; 8. gestione, in collaborazione con il responsabile dell’area “finanza”, delle risorse finanziarie aziendali al fine di allo- carle nel modo più opportuno dando un valido supporto nelle fasi della contrattazione delle condizioni di incasso e pagamento e delle condizioni applicate dalle banche o da altri finanziatori sulle diverse forme di investimento e finanziamento; 9. elaborazione dei principali indicatori (“indici” e “flussi”) sulla situazione economica (ROE, ROI, ROS, ecc.), patri- moniale (Rotazione del Magazzino, Margine di Struttura, ecc.), finanziaria (Margine di Tesoreria, Leva Finanziaria, ecc.) e riclassificazione dello stato patrimoniale e del conto economico secondo i principali schemi e criteri (es. riclassificazione finanziaria, schema a costo del venduto, ecc.); 10. utilizzo dei principali strumenti di pagamento, anche elet- tronici (carte di credito, fast-pay, home-banking). ESPERTO DELLA GESTIONE CONTABILE 2 6 7 ALLEGATI Denominazione iniziale del percorso di qualificazione (Diploma Professionale Superiore) 2 Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di qualificazione) 1. Gestione dei rapporti diretti con la stampa e con gli altri mezzi di comunicazione, in collaborazione con il respon- sabile della comunicazione; 2. organizzazione eventi e manifestazioni; 3. redazione di relazioni scritte; 4. organizzazione di conferenze; 5. gestione del calendario degli eventi; 6. collaborazione nella realizzazione di iniziative e campa- gne promozionali o pubblicitarie; 7. interpretazione e valutazione dei dati delle statistiche, dei sondaggi e delle indagini di mercato; 8. collaborazione nella cura dell’immagine aziendale o di una persona; 9. supporto nell’elaborazione di una strategia mediante le diverse “leve” del marketing-mix: Prodotto, Pubblicità, Prezzo, Punto Vendita 10. conversazione orale in tre lingue (inglese, francese e un’altra lingua). ESPERTO IN COMUNICAZIONE AZIENDALE ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 6 8 Diploma professionale superiore (da 1 a 3 anni) • Esperto di marketing strategico • Web master per servizi di e-commerce • Call-center manager Anno di preparazione universitaria Specializzazione** Diploma professionale (quarto anno) TECNICO DEI SERVIZI COMMERCIALI Qualifica (triennio) OPERATORE DEI SERVIZI DI VENDITA • Addetto commerciale • Addetto e-commerce • Addetto alla televendita Specializzazione* Larsa passaggi tra percorsi A tempo pieno o in Alternanza (dopo il 15° anno di età) A p p re n d is ta to M on d o d el l av or o DISEGNO DELL’OFFERTA FORMATIVA DELLA COMUNITÀ PROFESSIONALE COMMERCIALE *Specializzazioni post-qualifica: • Operatore servizi di vendita • Operatore ai servizi commerciali internazionali **Specializzazioni post-diploma: • Customer dealer • Tecnico marketing e vendite • Tecnico marketing e comunicazione 2 6 9 ALLEGATI Il Diploma Professionale Superiore L’ulteriore azione formativa porta al Diploma Professionale Superiore con qualifiche che possono così essere classificate (per coerenza di sviluppo professionale) come: • Esperto di Marketing strategico • Web master per servizi di e-commerce • Call-Center Manager Quest’ultimo sarà in grado di pianificare, realizzare, coordinare e controllare auto- nomamente operazioni di natura commerciale, di marketing, amministrativa e fiscale sempre relativi alla vendita e all’approvvigionamento. Denominazione iniziale del percorso di qualificazione (Diploma Professionale Superiore) 1 Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di qualificazione) L’ESPERTO DI MARKETING STRATEGICO svolge i seguenti compiti: • Individuazione delle tendenze in atto tra i consumatori • Analisi dei bisogni e delle risposte • Impegno nella verifica delle potenzialità dei vari mercati • Verifica del successo di una operazione commerciale • Programmazione degli obiettivi commerciali • Messa a punto di un'adeguata strategia volta a riscattare il cattivo esito cui è andato incontro un prodotto o servizio sul mercato in una specifica contingenza • Analisi dell'offerta della concorrenza e confezionamento del proprio prodotto o servizio in modo da contrastarla efficace- mente • Studio e selezione del mercato più favorevole, i mezzi più opportuni, • Calcolo dei costi • Definizione del budget; • Recepimento, attraverso gli opportuni strumenti, di bisogni e desideri del consumatore • Orientamento della propria offerta commerciale in base ad essi • Contributo, attraverso i mezzi di cui dispone, alla scelta interna all'azienda, sugli orientamenti da seguire per quel che concer- ne il settore tecnologia e produzione • Interpretazione delle statistiche e degli altri dati derivanti da analisi di mercato • Cura dell’immagine aziendale (o di una persona) in modo da accrescerne il gradimento fra il pubblico • Comunicazione corrente in tre lingue (inglese, francese e un’altra lingua) e svolgimento delle funzioni di interprete ESPERTO DI MARKETING STRATEGICO ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 7 0 Denominazione iniziale del percorso di qualificazione (Diploma Professionale Superiore) 2 Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di qualificazione) Il WEBMASTER PER SERVIZI DI E-COMMERCE svolge i seguenti compiti: • Elaborazione di strategie di comunicazione multimediale strut- turate sulla base del portfolio clienti acquisito o che si intende acquisire • Definizione della strategia di comunicazione da applicare alla soluzione di e-commerce, che si intende applicare, definendo le caratteristiche peculiari ed originali del sito • Valutazione delle implicazioni di carattere tecnico, economico e di sicurezza della transazioni della soluzione che si intende implementare • Progettazione della soluzioni di e-commerce più adatta agli obiettivi aziendali definiti che ne consentano una fruibilità e stabilità tali da servire come strumento di fidelizzazione del cliente • Gestione del sito di e-commerce, provvedendo al continuo aggiornamento e al monitoraggio degli accessi • Gestione e controllo dei contenuti, provvedendo ad organizzare e pianificare il lavoro editoriale della soluzione di e-commerce coerentemente con gli obiettivi commerciali e di comunicazio- ne prefissati • Definizione degli standard dei materiali multimediali (audio, foto e video) che verranno pubblicati per facilitare la navigabilità del sito e l’identificazione del prodotto da parte del cliente internet • Promozione del sito sulla rete tramite: a. iscrizione del sito sui principali motori di ricerca; b. emissione di comunicati stampa alle principali testate gior- nalistiche del settore; c. ricerca dei siti correlati (es. Radio, Etichette discografiche etc. per un sito di musica) e conseguente invio di comunicati stampa; d. scambio di links con altri web affini; e. scambio di striscioni pubblicitari (banners) con altri siti. WEBMASTER PER SERVIZI DI E-COMMERCE 2 7 1 ALLEGATI Denominazione iniziale del percorso di qualificazione (Diploma Professionale Superiore) 3 Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di qualificazione) Il call-center manager svolge i seguenti compiti: • Attuazione di attività inerenti alla net-economy • Analisi e coordinamento di progetti che vengono ideati per il servizio. • Definizione delle strategie da attuare, adeguandole alle carat- teristiche del progetto • Selezione degli operatori in funzione delle caratteristiche per- sonali, delle finalità del progetto, della tipologia di clientela da contattare o a cui fornire il servizio • Definizione dello staff da approvare • Approntamento del percorso più idoneo per la formazione degli operatori e dello staff in funzione del progetto • Delibera di quali e quanti numeri attivare per ciascun progetto e le risorse da impiegare per ogni attività • Individuazione delle tendenze in atto tra i consumatori • Calcolo dei costi • Definizione del budget operativo di ogni singolo progetto • Controllo dell’andamento del progetto in termini di impatto, di costi e di ritorni • Interpretazione delle statistiche e degli altri dati derivanti da analisi di mercato • Cura dell’immagine aziendale in modo da accrescerne il gradi- mento fra il pubblico • Comunicazione corrente in tre lingue (inglese, francese e un’altra lingua) e svolgimento delle funzioni di interprete. CALL-CENTER MANAGER ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 7 2 Diploma professionale superiore (da 1 a 3 anni) • Tecnico superiore dei sistemi automatici • Tecnico superiore dei sistemi informatici e di telecomunicazione • Tecnico superiore di sistemi tecnologici fina- lizzati al risparmio energetico • Tecnico superiore di progettazione elettrica • Tecnico superiore di progettazione elettronica • Capotecnico elettrico • Capotecnico elettronico Anno di preparazione universitaria Specializzazione** Diploma professionale (quarto anno) • TECNICO ELETTRICO • TECNICO ELETTRONICO E TELECOMUNICAZIONI Qualifica (triennio) OPERATORE ELETTRICO ED ELETTRONICO • Installatore manutentore di impianti elettrici • Installatore manutentore di impianti di auto- mazione industriale • Installatore manutentore di sistemi elettronici • Assemblatore, manutentore di personal com- puter e installatore di reti locali Specializzazione* Larsa passaggi tra percorsi A tempo pieno o in Alternanza (dopo il 15° anno di età) A p p re n d is ta to M on d o d el l av or o DISEGNO DELL’OFFERTA FORMATIVA DELLA COMUNITÀ PROFESSIONALE ELETTRICA E ELETTRONICA Larsa passaggi tra percorsi 2 7 3 ALLEGATI * Specializzazione: • Riparatore/manutentore piccoli elettrodomestici • Elettrauto; • Quadrista elettrico; • Installatore impianti domotici; • Installatore/manutentore impianti d’antenna TV/SAT, • Installatore/manutentore di sistemi di sicurezza: antintrusione, TV a circuito chiuso, rilevazione incendi, illuminazione di sicurezza. • Web Master Diplomi professionali superiori Tecnico Superiore di Sistemi Tecnologici finalizzati al Risparmio Energetico Questa figura professionale, chiamata system integrator, rappresenta un tecnico specializzato che opera come raccordo tra il progettista e il committente. Cura la realizzazione a livello progettuale dei vari impianti tecnologici, (elettrici, sanitari, di termoregolazione di sicurezza, ecc) con il duplice obiettivo di rispettare la sicu- rezza e il risparmio energetico per il miglioramento della qualità di vita. Per raggiungere questo risultato, il system integrator deve superare la logica della polivalenza, atta ad operare nel comparto degli impianti tecnici nel suo comples- so e rivolgersi a specifici e limitati processi professionali. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 7 4 Denominazione del diploma professionale superiore Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di diploma di formazione superiore) La figura professionale da raggiungere alla fine dell’intervento for- mativo è caratterizzata da una notevole articolazione professionale. In particolare questa nuova figura di riferimento chiamata “system integrator è quella di un tecnico specializzato che diven- ga interfaccia tra il progettista e il committente, curando la rea- lizzazione sinergica a livello progettuale dei vari impianti tecnolo- gici, (elettrici, sanitari, di termoregolazione di sicurezza, ecc) con l’obiettivo di avere impianti più sicuri e che diano luogo ad un significativo risparmio energetico. Il carattere innovativo del pro- getto è proprio questa integrazione sinergica che è riassunta dalla definizione “Building Automation” cioè la tecnica che stu- dia l’automazione degli edifici avendo come obiettivo la sicurez- za, la riduzione dei consumi ed il miglioramento della qualità di vita. Per raggiungere questo scopo il system integrator deve superare la netta separazione e specializzazione “tra mestieri” oggi pre- sente nelle imprese di installazione impiantistica, attrezzate per affrontare solo specifici e limitati segmenti e non il comparto degli impianti tecnici nel suo complesso e quindi l’articolazione della figura professionale prevede: 1) Capacità di mettersi in relazione con il committente nel pro- porre sistemi integrati di risparmio energetico 2) Presidio nelle fase progettuale dell’edificio in previsione del- l’integrazione impiantistica 3) Studio, in relazione al tipo di edificio e alla sua destinazione d’uso, di soluzioni volte al risparmio energetico 4) Analisi delle opportunità di integrazione in relazione alle speci- fiche del committente per le varie tipologie di impiantistica: impianto elettrico, impianto di sicurezza, condizionamento e riscaldamento 5) Ottimizzazione della scelta apparecchiature necessarie per ogni impianto tecnologico, nell’ottica dell’integrazione 6) Realizzazione degli schemi elettrici e della documentazione a supporto del progetto attraverso CAD 7) Dimensionamento dell’impianto elettrico e dei relativi quadri elettrici di distribuzione secondo le normative vigenti 8) Coordinamento dei lavori tra i vari sistemi impiantistici realiz- zati evitando ritardi e sovrapposizioni TECNICO SUPERIORE DI SISTEMI TECNOLOGICI FINALIZZATI AL RISPARMIO ENERGETICO 2 7 5 ALLEGATI Diploma professionale superiore (da 1 a 3 anni) • Esperto in marketing dei prodotti estetici • Esperto in tecniche di massaggio • Esperto truccatore di scena - sposa fotografico • Esperto in problemi tricologici Anno di preparazione universitaria Specializzazione** Diploma professionale (quarto anno) • TECNICO ESTETICO Qualifica (triennio) OPERATORE ESTETICO • Acconciatore • Estetista Specializzazione* A tempo pieno o in Alternanza (dopo il 15° anno di età) A p p re n d is ta to M on d o d el l av or o Larsa passaggi tra percorsi DISEGNO DELL’OFFERTA FORMATIVA DELLA COMUNITÀ PROFESSIONALE ESTETICA *Specializzazione: • Addetto alle applicazioni in extensions (per la figura professionale Acconciatore) • Addetto al trucco e visage (per la figura professionale Estetista) ** Specializzazione: • Tecnico termale (per la figura professionale Estetista) • Tecnico delle acconciature etniche (per la figura professionale Acconciatore) ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 7 6 Diplomi di Formazione Superiore Grazie alla professionalità acquisita ed al grado di autonomia gestionale, il Tecnico Estetico potrà collocarsi immediatamente nel mondo del lavoro oppure potrà accedere ad un’ulteriore azione formativa in campi inerenti il comparto ter- male, del marketing, del trucco ed dell’immagine in generale (cinema, televisione, pubblicità, moda, spettacolo, teatro, riviste di bellezza, ecc.), con il conseguimen- to di uno dei seguenti Diplomi di Formazione Superiore: a) Esperto in tecniche di massaggio (per la figura professionale Estetista) b) Esperto truccatore di scena - sposa - fotografico (per la figura professio- nale Estetista) c) Esperto Marketing prodotti estetici (per la figura professionale Accon- ciatore e per la figura professionale Estetista) d) Esperto in problemi tricologici (per la figura professionale Acconciatore) a) Esperto massaggiatore (per la figura professionale Estetista) È importante la funzione del massaggio al corpo ai fini del benessere, del mante- nimento della salute, della sicurezza psicofisica della persona e, naturalmente, della bellezza sia femminile che maschile. Le manipolazioni ed i massaggi al corpo, in genere, hanno un’origine antichissima e tutte le civiltà hanno praticato tecniche diverse legate al loro sviluppo socio-culturale. Nel mondo occidentale, inoltre, lo studio e la conoscenza sempre più approfondi- ta del corpo umano hanno dato origine a differenti tipi di massaggi che agiscono sulla circolazione linfatica, sui punti riflessi, sulle articolazioni, sulle terminazioni nervose della pelle. Essi sono: Massaggio classico drenante emolinfatico; Linfodrenaggio, Riflessologia Plantare, Massaggio antistress, Massaggio Tecnico Sportivo, Osteomassaggio; Massaggio ayurvedico; Cefalee ed emicranie, Massaggio Svedese, Massaggio con Aromaterapia, Massaggio con Pietre laviche. Questi massaggi implicano la conoscenza approfondita dell’anatomia e della fisio- logia umana, nonché della psicologia umana L’Esperto massaggiatore può collaborare con palestre, associazioni sportive, cen- tri di salute e bellezza, aziende termali, istituti di estetica e di fitness, beauty-farm, villaggi turistici, navi da crociera, aziende termali. 2 7 7 ALLEGATI b) Esperto Marketing prodotti estetici (per la figura professionale Acconciatore e per la figura professionale Estetista) Questo diploma professionale superiore unisce le proprie dell’Operatore Estetico e del Tecnico Estetico con quelle del marketing. Le discipline principali sono: • Chimica dei prodotti estetici; • Allergie e prodotti estetici; • Normativa Europea dei Prodotti Estetici; • Tecniche di comunicazione e di marketing; • Analisi dati di mercato; • Significato e stili della comunicazione; • Mercato cosmetico e canali distributivi; • Andamento dei consumi ed evoluzione; • Percezione dei servizi estetici; • Attività manageriale; • Processo d'acquisto. c) Esperto truccatore di scena - sposa - fotografico (per la figura professionale Estetista) L’Esperto truccatore di scena - sposa - fotografico è un professionista dell’ar- te del trucco. Il mercato che accoglie questo esperto è sia quello dello spettacolo (produzioni cinematografiche e televisive, servizi di moda e case cosmetiche), ma anche, più semplicemente, il mercato sempre più attivo dell’immagine pubblicita- ria: cataloghi aziendali, calendari, manifesti pubblicitari. L’Esperto truccatore di scena - sposa - fotografico approfondisce tutte le tec- niche di make-up: correzione del viso, degli occhi, del naso e delle sopracciglia, trucco per il matrimonio, tecniche di ringiovanimento, compresa preparazione e applicazione di tiranti, trucco di un soggetto orientale o di pelle nera, tecniche per il trucco fotografico a colori ed in bianco e nero, lezioni di disegno finalizzate alla migliore conoscenza dei volumi del viso e all’utilizzo delle ombreggiature e dei punti luce. Alcune tra le discipline principali sono: storia del trucco; storia del costume; storia del cinema; storia del teatro; organizzazione del lavoro; norme di prevenzione e protezione nei luoghi di lavoro; progettazione e disegno di masche- re teatrali, realizzazione ed applicazione calotte in lattice, protesi ed effetti specia- li; progettazione ed realizzazione trucchi d’epoca e speciali per il cinema; studio e ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 7 8 realizzazione trucchi fotografici per correzioni colori in foto, effetto luci. In particolare, questo esperto dovrà essere in grado di rivolgere e strutturare rispo- ste efficaci a tutti coloro che presentano problemi estetici dovuti a patologie o traumi dermatologici, tali da condizionare la normale vita di relazione. Le patologie responsabili degli inestetismi cutanei sono soprattutto vitiligine, cica- trici, acne, melasma, rosacea, angiomi. d) Esperto in problemi tricologici (per la figura professionale Acconciatore) L’Esperto in problemi tricologici affianca il medico dermatologo specializzato in questo settore. Fornisce trattamenti mirati, tenendo in considerazione le indi- cazioni del medico dermatologo alla singola persona, nell’ambito del manifestarsi delle anomalie del cuoio capelluto e del capello, quali la pitiriasi (forfora), l’iper- secrezione sebacea (seborrea oleosa), l’anomalo proliferare della flora microbica presente sul cuoio capelluto e del conseguente prurito, cause predominanti che portano all’assottigliamento dei capelli, al diradamento e, quindi, alla calvizie. Denominazione iniziale del percorso di qualificazione (Diploma Professionale Superiore) 1 Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di qualificazione) L’esperto massaggiatore è una figura professionale che possiede le seguenti competenze e conoscenze: 1. Conoscenza approfondita dell’anatomia e della fisiologia umana 2. Conoscenza della psicologia umana 3. Conoscenza dei principali tipi di massaggio e loro appli- cazioni (Massaggio classico drenante emolinfatico; Linfodrenaggio, Riflessologia Plantare, Massaggio anti- stress, Massaggio Tecnico Sportivo, Osteomassaggio; Massaggio ayurvedico; Cefalee ed emicranie, Massaggio Svedese, Massaggio con Aromoterapia, Massaggio con Pietre laviche) 4. Tecniche di comunicazione e di marketing; 5. Significato e stili della comunicazione 6. Attività manageriale ESPERTO MASSAGGIATORE (per la figura professionale Estetista) 2 7 9 ALLEGATI Denominazione iniziale del percorso di qualificazione (Diploma Professionale Superiore) 2 Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di qualificazione) L’esperto marketing in prodotti estetici è una figura profes- sionale che possiede le seguenti competenze e conoscenze: 1. Chimica dei prodotti estetici; Allergie e prodotti estetici 2. Normativa Europea dei Prodotti Estetici 3. Tecniche di comunicazione e di marketing; Analisi dati di mercato 4. Significato e stili della comunicazione 5. Mercato cosmetico e canali distributivi 6. Andamento dei consumi ed evoluzione 7. Percezione dei servizi estetici 8. Attività manageriale 9. Processo d'acquisto ESPERTO MARKETING in PRODOTTI ESTETICI (per la figura professionale Acconciatore e per la figura professionale Estetista) ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 8 0 Denominazione iniziale del percorso di qualificazione (Diploma Professionale Superiore) 3 Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di qualificazione) L’ esperto truccatore di scena – sposa – fotografico è una figura professionale che possiede le seguenti competenze e conoscenze: 1. Tecniche di make-up settore scena – sposa – fotografico 2. Correzione del viso, degli occhi, del naso e delle sopracciglia 3. Tecniche di ringiovanimento 4. Trucco di un soggetto orientale o di pelle nera 5. Disegno finalizzate alla migliore conoscenza dei volumi del viso e all'utilizzo delle ombreggiature e dei punti luce 6. Storia del Trucco, del Costume, del Cinema, del Teatro 7. Norme di prevenzione e protezione nei luoghi di lavoro 8. Progettazione e disegno di maschere teatrali, protesi ed effetti speciali 9. Progettazione ed realizzazione trucchi d' epoca e spe- ciali per il cinema 10. Conoscenza dei problemi estetici dovuti a patologie o traumi dermatologici (vitiligine, cicatrici, acne, melasma, rosacea, angiomi) 11. Produzione per il mercato sempre più attivo dell’immagi- ne pubblicitaria (cataloghi aziendali, calendari, manifesti pubblicitari) 12. Produzione per le case cinematografiche e televisive 13. Chimica dei prodotti estetici 14. Allergie e prodotti estetici 15. Normativa Europea dei Prodotti Estetici 16. Tecniche di comunicazione e di marketing; Analisi dati di mercato 17. Significato e stili della comunicazione 18. Mercato cosmetico e canali distributivi 19. Organizzazione del lavoro ed attività manageriale ESPERTO TRUCCATORE DI SCENA – SPOSA – FOTOGRAFICO (per la figura professionale Estetista) 2 8 1 ALLEGATI Denominazione iniziale del percorso di qualificazione (Diploma Professionale Superiore) 4 Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di qualificazione) L’esperto in problemi tricologici è una figura professionale che possiede le seguenti competenze e conoscenze: 1. Anomalie del cuoio capelluto e del capello 2. Chimica dei prodotti estetici 3. Allergie e prodotti estetici 4. Normativa Europea dei Prodotti Estetici 5. Tecniche di comunicazione e di marketing; Analisi dati di mercato 6. Significato e stili della comunicazione 7. Mercato cosmetico e canali distributivi 8. Organizzazione del lavoro ed attività manageriale ESPERTO IN PROBLEMI TRICOLOGICI (per la figura professionale Acconciatore) ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 8 2 *Specializzazione: • Operatore di macchine e sistemi automatici • Operatore programmatore di MU a CN • Operatore di saldocarpenteria leggera • Operatore CAD Meccanico • ... (serramentista, ecc…) Diploma professionale superiore (da 1 a 3 anni) • Tecnico superiore di automazione industriale • Tecnico superiore di progettazione meccanica • Tecnico superiore di produzione CAD-CAM Anno di preparazione universitaria Specializzazione* Diploma professionale (quarto anno) TECNICO MECCANICO Qualifica (triennio) OPERATORE MECCANICO • Costruttore alle MU • Montatore-Manutentore • Saldocarpentiere • Termoidraulico • Manutentore sistemi meccanici ed elettronici dell’autoveicolo Specializzazione* A p p re n d is ta to M on d o d el l av or o Larsa passaggi tra percorsi DISEGNO DELL’OFFERTA FORMATIVA DELLA COMUNITÀ PROFESSIONALE MECCANICA Larsa passaggi tra percorsi A tempo pieno o in Alternanza (dopo il 15° anno di età) 2 8 3 ALLEGATI Diplomi professionali superiori a) Tecnico superiore di progettazione meccanica È una figura professionale in grado di elaborare e gestire lo sviluppo del progetto meccanico in tutte le sue fasi progettuali, dallo studio della fattibilità alla pianifi- cazione ed elaborazione di dossier tecnici. b) Tecnico superiore di produzione CAD-CAM È una figura professionale che si occupa di gestire la pianificazione della produ- zione industriale utilizzando strumenti CAD-CAM. Questa figura rispecchia la nuova caratteristica degli addetti del settore che non è più concentrata, come nel passato, solo sulla produzione bensì sulle attività di tipo progettuale, di gestione delle informazioni, del controllo di processi automatizzati e dell’analisi dei fattori che influenzano la qualità del prodotto. Denominazione del diploma professionale superiore Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di diploma di formazione superiore) Il tecnico di progettazione meccanica è una figura professio- nale in grado di gestire, in autonomia e responsabilità, la pro- gettazione e il relativo sviluppo di un progetto attraverso: 1) Presidio delle fasi progettuali 2) Studio di “fattibilità” 3) Analisi dei fattori che intervengono per la determinazione dei costi 4) Studio del “processo” costruttivo 5) Realizzazione di disegni di complessivi e/o di particolari a supporto della produzione industriale 6) Utilizzo di strumenti informatici (CAD) a supporto della progettazione 7) Pianificazione, utilizzo di documentazione e elaborazione di dossier tecnici TECNICO SUPERIORE DI PROGETTAZIONE MECCANICA ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 8 4 Denominazione del diploma professionale superiore Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di diploma di formazione superiore) Il tecnico esperto della produzione con strumenti CAD-CAM è una figura professionale in grado di gestire, in autonomia e responsabilità, la pianificazione della produzione industriale utilizzando strumenti CAD-CAM per: 1) Presidio delle fasi produttive 2) Studio del percorso produttivo 3) Analisi dei fattori che influenzano la qualità del prodotto 4) Realizzazione di disegni finalizzati alla generazione di cicli produttivi 5) Generazione di part programm in linguaggi standard per la realizzazione di manufatti su macchine CNC 6) Pianificazione e utilizzo documentazione tecnica e elabo- razione di dossier tecnici TECNICO SUPERIORE DI PRODUZIONE CAD-CAM 2 8 5 ALLEGATI *Specializzazione post-qualifica: • Animatore di corsia • Animatore socio-educativo **Specializzazione post-diploma: • Tecnico dell’accoglienza sociale • Tecnico per l'integrazione di alunni disabili (assistenza ad personam) • Tecnico delle Cure Termali Diploma professionale superiore (da 1 a 3 anni) • Animatore Esperto di Comunità (coor- dinamento e gestione) • Esperto Socio-Culturale per anziani fragili e malati di Alzheimer • Tecnico Superiore Termale Anno di preparazione universitaria Specializzazione** Diploma professionale (quarto anno) TECNICO SOCIALE E SANI- TARIO (include qualifica di Operatore Socio-Sanitario - OSS) Qualifica (triennio) ADDETTO AI SERVIZI SOCIALI Specializzazione* A p p re n d is ta to M on d o d el l av or o Larsa passaggi tra percorsi DISEGNO DELL’OFFERTA FORMATIVA DELLA COMUNITÀ PROFESSIONALE SOCIALE E SANITARIA A tempo pieno o in Alternanza (dopo il 15° anno di età) ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 8 6 Diplomi professionali superiori a) Animatore esperto di comunità (coordinamento e gestione) La preparazione specifica dell’animatore di comunità consente (sotto la guida di personale medico, se necessario, oppure in collaborazione con le figure specializ- zate preposte) di pianificare, allestire, coordinare e gestire tutte quelle attività for- mative di espressione e socializzazione che pienamente concorrono allo sviluppo delle potenzialità dell’individuo come al suo eventuale recupero ed inserimento (o reinserimento) sociale e lavorativo. Le tendenze occupazionali per questa figura professionale si prevedono in cresci- ta nel futuro, perché l’animatore esperto di comunità è una figura professionale essenziale nelle strutture socio-sanitarie che si occupano di soggetti deboli e/o svantaggiati, come ad esempio case-famiglia per minori, per anziani, centri di ria- bilitazione neuro-psicomotoria, cooperative sociali, comunità di accoglienza). b) Esperto socio-culturale per anziani fragili e malati di Alzheimer Questa figura professionale lavora prevalentemente con persone anziane, sia nor- modotate che dementi. Attraverso l’impiego di tecniche cognitive per il recupero ed il mantenimento della memoria (come la R.O.T.1 e la Validation), stimola l’an- ziano all’orientamento spazio-temporale. L’esperto socio-culturale per anziani fra- gili si occupa di monitorare e migliorare la qualità della vita dell’anziano attra- verso interventi ludici, mnemonici, laboratoriali e soprattutto attraverso gli inter- venti individualizzati. 1 Reality Orientation Therapy, elaborata ed introdotta alla fine degli anni ‘50 presso la Veterans Administration di Popeka (Kansas, USA) e definita nei suoi contenuti metodologici negli anni ‘60 da Taulbee e Folsom. È un intervento destinato alla riabilitazione di pazienti con deficit menesici, episodi confusionali e disorientamento temporo-spaziale. Il principale obiettivo del R.O.T. consiste nel riorientare il paziente, per mezzo di ripetute stimolazioni, rispetto alla propria storia personale, all’ambiente ed al tempo. 2 8 7 ALLEGATI c) Tecnico superiore termale Questa figura professionale si occupa della gestione e del controllo di strutture ter- mali. Lavora alle dirette dipendenze del medico termale e coordina sia fanghini che il personale addetto alle sale di inalazioni ed aerosol. Pianifica e verifica l’ese- cuzione della manutenzione degli impianti, nel rispetto delle normative igieniche e sanitarie. È responsabile della corretta esecuzione delle indicazioni terapeutiche date dal medico termale (ad esempio, diminuzione della temperatura dell’appli- cazione di fango per pazienti ipotesi o cardiopatici) e del rispetto dei termini di applicazione del fango, bagno terapeutico, reazione termica. Sa riconoscere i prin- cipali sintomi di malore causati dalle terapie termali su pazienti debilitati ed ese- gue, anche in condizioni di stress, le procedure di emergenza stabilite anticipata- mente dal medico termale. Denominazione iniziale del percorso di qualificazione (Diploma Professionale Superiore Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di qualificazione) L’animatore esperto di comunità è una figura professionale che possiede le seguenti competenze e conoscenze: 1) Pianificazione, allestimento e coordinamento delle attività formative di espressione e socializzazione 2) Gestione delle attività tese allo sviluppo delle potenzialità dell’individuo 3) Pianificazione e gestione del recupero e del (re)inseri- mento sociale e lavorativo di soggetti svantaggiati ANIMATORE ESPERTO DI COMUNITÀ (COORDINAMENTO E GESTIONE) Denominazione iniziale del percorso di qualificazione (Diploma Professionale Superiore Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di qualificazione) Questa figura professionale che possiede le seguenti com- petenze e conoscenze: 1) Stimolazione dell’anziano all’orientamento spazio-tempo- rale attraverso tecniche cognitive 2) Definizione ed attuazione di interventi individualizzati per il monitoraggio e miglioramento della qualità della vita dell'anziano 3) Pianificazione ed attuazione di interventi ludici, mnemoni- ci e laboratoriali ESPERTO SOCIO-CULTURALE PER ANZIANI FRAGILI E MALATI DI ALZHEIMER ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 8 8 Denominazione iniziale del percorso di qualificazione (Diploma Professionale Superiore Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di qualificazione) Il tecnico superiore termale è una figura professionale che possiede le seguenti competenze e conoscenze: 1) Gestione e controllo di strutture termali 2) Coordinamento dei fanghini e del personale di sala inala- zione e aerosol 3) Pianificazione e verifica degli interventi di manutenzione degli impianti termali 4) Responsabilità e controllo della corretta esecuzione delle indicazioni terapeutiche date dal medico termale 5) Riconoscimento dei sintomi di malore nei pazienti ed ese- cuzione (anche in condizioni di stress) delle procedure di emergenza stabilite dal medico termale TECNICO SUPERIORE TERMALE 2 8 9 ALLEGATI Diploma professionale superiore (da 1 a 3 anni) • Esperto nella linea moda uomo-donna • Esperto nella creazione e gestione eventi Anno di preparazione universitaria Specializzazione** Diploma professionale (quarto anno) TECNICO DEL TESSILE E DELL’ABBIGLIAMENTO Qualifica (triennio) OPERATORE ABBIGLIAMENTO: Artigianato/Industriale • Confezionista modellista su CAD • Addetto alle confezioni industriali Specializzazione* Larsa passaggi tra percorsi A tempo pieno o in Alternanza (dopo il 15° anno di età) A p p re n d is ta to M on d o d el l av or o DISEGNO DELL’OFFERTA FORMATIVA DELLA COMUNITÀ PROFESSIONALE TESSILE E MODA *Specializzazione: • Designer uomo donna • Addetto sviluppo taglie • Designer arredo casa **Specializzazione: • Tecnico modello uomo-donna • Tecnico design tessuti ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 9 0 Diplomi professionali superiori • Esperto nella linea moda uomo-donna, • Esperto nella creazione e gestione eventi moda a) Esperto nella linea moda uomo-donna La figura professionale in uscita sarà caratterizzata da una forte trasversalità di con- tributi disciplinari che le consentirà di cogliere una visione integrata di “filiera”. Ha competenze adeguate a gestire l’intero iter progettuale e produttivo che caratterizza il sistema moda, con particolare riguardo all’industria dell’abbigliamento e dell’ac- cessorio moda. Gli sbocchi professionali prevedono l’inserimento lavorativo in azien- de del settore e studi professionali o la possibilità di lavorare in proprio come desi- gner, nei ruoli funzionali di riferimento. b) Esperto nella creazione e gestione eventi moda La figura professionale dell’esperto è un professionista in grado di gestire le relazio- ni esterne con gli operatori del settore, di definire il planning pubblicitario, di segui- re campagne pubblicitarie, di articolare promozioni, di tenere rapporti con i media, di organizzare presentazioni, fiere, eventi e sfilate. È una figura strategica e operativa che individua le tendenze del futuro in accordo con gli aspetti socio-culturali ed il mercato di riferimento. Ha un approccio mana- geriale nell’elaborazione dei piani di marketing e comunicazione che sintetizza la strategia con la creatività e l’elemento emozionale. Approfondisce diverse tematiche dall’evoluzione degli usi e costumi, al marketing del settore moda, alle esigenze del mercato fino a pianificare le relazioni pubbliche, dall’ufficio stampa, all’organizzazione degli eventi. La professionalità acquisita gli consentirà di trovare una collocazione come respon- sabile dell’organizzazione sfilate, sia in una azienda che in un’agenzia di organizza- zione di eventi. 2 9 1 ALLEGATI Denominazione iniziale del percorso di qualificazione (Diploma Professionale Superiore) 1 Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di qualificazione) L’ESPERTO NELLA LINEA UOMO - DONNA svolge i seguenti compiti: 1. impostazione della ricerca stilistica e creativa, prefigurando lo sviluppo di nuovi scenari di consumo; 2. ricerche sulle tendenze moda e sui materiali, valorizzando sia le tecnologie e i processi produttivi tipici delle aree distrettuali tessili sia sostenendo il ruolo strategico delle tecnologie più avanzate e innovative; 3. cura del processo di ricerca e sviluppo di nuovi prodotti/servizi e le fasi di industrializzazione del prodotto fino alla prototipa- zione, campionatura e catalogo prodotti e all’allestimento di nuove collezioni, partecipando alle attività di impostazione delle strategie di comunicazione/immagine della identità aziendale; 4. organizzazione e controllo della produzione: scelta delle mate- rie prime, predisposizione dei piani di lavoro, analisi dei tempi e dei costi, controllo qualità su materie prime, intermedi di lavorazione e prodotti finiti, acquisto delle materie prime e commercializzazione dei prodotti; 5. impostazione e gestione delle moderne strategie di mercato; 6. lettura delle dinamiche evolutive della moda e del mercato; 7. impostazione e ideazione delle collezioni con l’impiego di “software” specifici; 8. gestione autonoma delle tematiche connesse al passaggio dalla creatività alla industrializzazione; ESPERTO NELLA LINEA UOMO - DONNA ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 9 2 Denominazione iniziale del percorso di qualificazione (Diploma Professionale Superiore) 2 Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di qualificazione) L’ESPERTO NELLA CREAZIONE E GESTIONE EVENTI MODA svol- ge i seguenti compiti: 1. collaborazione con il responsabile della comunicazione nella gestione dei rapporti diretti con la stampa e con gli altri mezzi di comunicazione 2. organizzazione eventi e manifestazioni (passerelle, sfilate di moda ecc.) e preparazione relazioni per altri o gestione di una conferenza stampa parlando direttamente al pubblico; 3. collaborazione nella realizzazione di iniziative e campagne promozionali o pubblicitarie ed gestione i rapporti con le agenzie di pubblicità; 4. interpretazione di dati statistici, dei sondaggi e delle indagini di mercato; 5. collaborazione nella cura dell’immagine di una persona 6. conoscenza delle funzioni di cerimoniere 7. collaborazione con il responsabile di marketing nell’elabora- zione di una strategia mediante le diverse “leve”: prodotto, pubblicità, prezzo, punto vendita ESPERTO NELLA CREAZIONE E GESTIONE EVENTI MODA 2 9 3 ALLEGATI Diploma professionale superiore (da 1 a 3 anni) • Tecnico superiore delle attività alberghiere • Tecnico superiore delle attività ristorative • Tecnico superiore animazione e gestione turistica Anno di preparazione universitaria Specializzazione** Diploma professionale (quarto anno) • TECNICO DEI SERVIZI TURISTICI • TECNICO DELLE ATTIVITÀ RISTORATIVE Qualifica (triennio) OPERATORE TURISTICO ALBERGHIERO • Addetto ai servizi turistici • Commis di sala e bar • Commis di cucina Specializzazione* A p p re n d is ta to M on d o d el l av or o DISEGNO DELL’OFFERTA FORMATIVA DELLA COMUNITÀ PROFESSIONALE TURISTICA E ALBERGHIERA LARSA passaggi tra percorsi LARSA passaggi tra percorsi A tempo pieno o in Alternanza (dopo il 15° anno di età) ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 9 4 * Specializzazione post-qualifica: a) Per i commis di cucina b) Per i commis di sala e bar • Pasticceria • Cocktail and beverage • Gelateria • Operatore di pub • Pizzeria • Cucina di sala • Rosticceria • Snack bar • Cucina regionale tipica • Operatore di pub • Snack bar • Cucina collettiva ** Specializzazione post-diploma: • Cucine etniche (araba, giapponese, thailandese,…) • Cucine dietetiche (per celiaci, diabetici, …) • Scenografia culinaria • Cucina creativa • Enogastronomia • Banqueting e catering Diplomi professionali superiori a) Tecnico superiore delle attività ristorative Questa figura professionale ricopre incarichi con funzioni direttive nel settore ristorativo con responsabilità di unità aziendali non complesse dal punto di vista organizzativo. È una figura che può essere inserita nei quadri aziendali del ristorante/Food & Beverage manager, per la conduzione e la responsabilità di tutti i servizi di risto- razione. b) Tecnico superiore delle attività alberghiere Questa figura professionale ricopre incarichi con funzioni direttive nel settore alberghiero o extra alberghiero con responsabilità di unità aziendali non com- plesse dal punto di vista organizzativo. A livello contrattuale questa figura potrebbe rientrare tra i Quadri aziendali nelle figure specifiche di room-division manager, con il compito di gestire il servizio del ricevimento, la portineria e piani, il guardaroba e lavanderia pianificando e veri- ficando la funzionalità dei vari servizi. 2 9 5 ALLEGATI Denominazione del diploma professionale superiore Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di diploma di formazione superiore) Il tecnico superiore delle attività ristorative ha le competenze necessa- rie per ricoprire incarichi con funzioni direttive volte all’attuazione degli obiettivi aziendali nell’ambito di imprese del settore ristorativo con responsabilità di unità aziendali la cui struttura organizzativa non sia complessa o di settori di particolare complessità organizzativa in con- dizione di autonomia decisionale ed operativa. A livello contrattuale il tecnico sup.a.r. potrebbe rientrare tra i Quadri aziendali nelle figure specifiche di gerente del ristorante Food & Beverage manager, cui è affidata la responsabilità e la conduzione e pianificazione di tutti i servizi di ristorazione rispondendo dell’organiz- zazione dei servizi e formulando standards di qualità, quantità e costo, oppure di capo settore acquisti (edconomo). In particolari e complesse strutture organizzative con elevato livello di servizio ed articolate in vari settori, ha autonomia tecnica e ammini- strativa di gestione, pianificando, in collaborazione con gli altri capo settore interessati, al politica degli acquisti. In generale il Tecnico Sup.A.R. ha il compito di pianificare e program- mare le attività necessarie al raggiungimento degli obiettivi: 1) Formulazione di standards di qualità 2) Formulazione di standards quantità e costo ( Budgeting) 3) Gestione in autonomia tecnica ed amministrativa di specifici settori 4) Cura i rapporti con i Grandi Utenti 5) Sovrintende alle attività di comunicazione e marketing dell’area di competenza 6) Controllo in itinere e a consuntivo delle attività. La figura del tecnico delle attività ristorative trova impiego come lavo- ratore dipendente, all’interno rilevanti e complesse realtà come alber- ghi e catene alberghiere, ristoranti, strutture extra alberghiere (villaggi turistici, residence), ristorazione collettiva, aziende di consulenza alberghiero/ristorativa TECNICO SUPERIORE DELLE ATTIVITÀ RISTORATIVE ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 2 9 6 Denominazione del diplo- ma professionale superiore Compiti caratteristici della comunità professionale (livello di diploma di formazione superiore) Il tecnico superiore delle attività alberghiere ha le competenze necessarie per ricoprire incarichi con funzioni direttive volte all’at- tuazione degli obiettivi aziendali nell’ambito di imprese alberghiere o extra alberghiere con responsabilità di unità aziendali la cui struttu- ra organizzativa non sia complessa o di settori di particolare com- plessità organizzativa in condizione di autonomia decisionale ed operativa. A livello contrattuale il tecnico sup.a. a. potrebbe rientrare tra i Quadri aziendali nelle figure specifiche di room-division manager il quale ha il compito di gestire con funzioni di supervisione il settore del servizio del ricevimento, portineria e piani, guardaroba e lavan- deria verificando e determinando indirizzi organizzativi atti a coordi- nare i vari servizi, fornendo proiezioni di dati che possono essere usati per l’attività gestionale; di capo settore commerciale o marke- ting con responsabilità relativamente alla direzione esecutiva del- l’organizzazione e pianificazione delle attività di promozione e ven- dita; di Capo settore attività congressuali ( P.C.O.) In generale il Tecnico Sup.A.A. ha il compito di pianificare e programmare le atti- vità necessarie al raggiungimento degli obiettivi: 1) Formulazione di standards di qualità 2) Formulazione di standards quantità e costo ( Budgeting) 3) Analisi dei dati storici e formulazione delle previsioni 4) Yield managment 5) Gestione in autonomia tecnica ed amministrativa di specifici set- tori 6) Cura i rapporti con i grandi utenti 7) Sovrintende alle attività di comunicazione e marketing dell’area di competenza. 8) Controllo in itinere e a consuntivo delle attività. La figura del tecnico delle attività alberghiere trova impiego come lavoratore dipendente, all’interno rilevanti e complesse realtà, come alberghi e catene alberghiere. strutture extra alberghiere (villaggi turistici, residence), aziende di consulenza alberghiero/ristorativa TECNICO SUPERIORE DELLE ATTIVITÀ ALBERGHIERE BIBLIOGRAFIA - SITOGRAFIA 2 9 9 ALLEGATI BIBLIOGRAFIA Sergio Angori S. AVVEDUTO, Volar senz’ali. Dati sui sistemi educativi dell’Italia e dei Paesi avanzati, UNLA, Roma, 2003. (anche su www. unla.it/index_documenti.asp?d=10). F. GALIMBERTI, L. PAOLAZZI, Il volo del calabrone. Breve storia dell'economia italia- na del Novercento, Le Monnier, Firenze, 2003. Adult literacy and lifeskills, ricerca copromossa dall’INValSI, in particolare con il Rapporto 2002. O. NICEFORO, Formazione professionale. Storia e cronaca di un’ambiguità irrisolta, in «Tuttoscuola», n. 421, 2002. B. ROCCA, Il doppio canale tra realtà e immaginazione, «Scuola e Città», n. 3, 2003. G. ALESSANDRINI (a cura di), Pedagogia e formazione nella società della conoscenza, Angeli, Milano, 2002. F. SUSI, R. CIPRIANI, D. MEGHNAGI (a cura di), Antinomie dell’educazione nel XXI seco- lo, Armando, Roma, 2004. S. ANGORI, Educazione e “corso della vita”: considerazioni pedagogiche, in «Prospettiva EP», n. 4, 2004. J. BRUNER, La cultura dell’educazione, Nuovi orizzonti per la scuola, Feltrinelli, Milano, 1997. S. ANGORI, Professioni educative: quali competenze comuni?, in S.S. MACCHIETTI (a cura di), Formazione e professioni educative, Bulzoni, Roma, 2001, pp. 11-69; S. ANGORI, Insegnare. Un mestiere difficile, Bulzoni, Roma, 2003. ISFOL, Dalla pratica alla teoria per la formazione: un percorso di ricerca epistemologica a cura di C. Montedoro, Angeli, Milano, 2002; ISFOL, Ripensare l’agire formativo: dal- l’accreditamento alla qualità pedagogica, a cura di C. Montedoro, Angeli, Milano, 2001. C. MONTEDORO, D. PEPE, L'apprendimento di competenze strategiche per il lifelong learning. Un percorio di studio e di ricerca condotto dall'ISFOL, in «Professionalità», n. 83, 2004. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 3 0 0 Arduino Salatin OCDE, Redefining Tertiary Education, Paris, 1998. F. VANISCOTTE, Les écoles de l'Europe. Systèmes éducatifs et dimension européenne, Institut National de Recherche Pédagogique, Paris, 1996, pp 19-30. M. TESSARING (Ed.), Training in Europe, Cedefop, Luxembourg, 2001, vol. I. TH. PFEFFER (Ed), Latecomers in vocational higher education: Austria, Finland, Italy, paper, 2001 (pp.1-23). U. TEICHLER, The future of higher education and the future of higher education resear- ch, «Tertiary Education and Management», 9 (2003), pp. 171-185 Antonio Francioni Un nuovo partenariato per la coesione (Terza Relazione sulla coesione economica e socia- le), Bruxelles, 2004. AA.VV., Quelles perspectives géopolitiques pour l’Europe?, Centre International d’Etude Géopolitiques, Lausanne, 2004. J.D. GIULIANI, Quinze + Dix, Paris, 2003. M. EMERSON, Ridisegnare la mappa d’Europa, trad. it., Bologna, 1998 . GOZI-MOSCONI, Il Metodo comunitario al lavoro, in «Il Mulino» anno L, numero 393. T. PADOA-SCHIOPPA, Europa, forza gentile, Bologna 2001. A. FRANCIONI, GIORGIONI, O. TURRINI, Lavoro e formazione nell’Europa dell’Euro, Trento 1999. Sacconi, Reboani, Tiraboschi, La società attiva, Venezia 2004. Terza Relazione sulla coesione economica e sociale. Un nuovo partenariato per la coesio- ne, Bruxelles 2004. DG “Occupazione”, Le FSE. Vue d’ensemble de la période de programmation 1994-99, Bruxelles 1998. A. VITALE, Il Futuro è a Oriente, in «Ideazione» n. 2, 2001. A. DI STEFANO, Il dibattito sulla riforma della politica comunitaria di coesione economi- ca e sociale, in «Rivista giuridica del Mezzogiorno», n.1, anno XVIII, 2004. 3 0 1 ALLEGATI Lauretta Valente/Angela Elicio L. VALENTE, A. DI FUSCO, Guida Orientativa per la Comunità Aziendale e Amministrativa, CIOFS-FP, Roma, 2005. D. NICOLI (Ed.), Il Diploma di Istruzione e Formazione Professionale, CNOS-FAP, CIOFS- FP, Roma, 2005. AA. VV, Il sistema dell’Istruzione e Formazione Professionale nel contesto della riforma. Significato e Percorsi - Atti del XV Seminario di Formazione Europea, (Studi progetti espe- rienze per una nuova formazione professionale), Roma, CIOFS-FP, 2004. CNOS/FAP, CIOFS-FP (Edd.), Comunità professionale Turistica e Alberghiera - Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati, ((Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma, 2004. CIOFS-FP, CNOS/FAP (Edd.), Comunità professionale Estetica - Guida per l’elaborazio- ne dei piani formativi personalizzati, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma, 2004. CIOFS-FP, CNOS/FAP (Edd.), Comunità professionale Commerciale e delle Vendite - Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma, 2004. CNOS/FAP, CIOFS-FP, (Edd.), Comunità professionale Elettrica e Elettronica – Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma, 2004. CNOS/FAP, CIOFS-FP (Edd.), Comunità professionale Meccanica - Guida per l’elabora- zione dei piani formativi personalizzati, (Studi progetti esperienze per una nuova forma- zione professionale), Roma, 2004. G. RUTA (Ed.), Etica della persona e del lavoro, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), CNOS-FAP, Roma, 2004. CIOFS-FP (Ed.), Comunità professionale Alimentazione - Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione pro- fessionale), Roma, 2004. CIOFS-FP (Ed.), Comunità professionale Aziendale e Amministrativa - Guida per l’elabo- razione dei piani formativi personalizzati, (Studi progetti esperienze per una nuova for- mazione professionale), Roma, 2004. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 3 0 2 CIOFS-FP (Ed.), Comunità professionale Sociale e Sanitaria - Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma, 2004. CIOFS-FP (Ed.), Comunità professionale Tessile e Moda - Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione pro- fessionale), Roma, 2004. D. NICOLI (Ed.), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema di istru- zione e della formazione professionale, (Studi progetti esperienze per una nuova formazio- ne professionale), Roma, CIOFS-FP, CNOS-FAP, 2004. 3 0 3 ALLEGATI SITOGRAFIA RAGIONATA Formazione professionale superiore e Diritto Dovere Di seguito alcuni riferimenti sitografici sul tema della Formazione professionale superiore e Diritto Dovere, sia dei siti istituzionali più autorevoli che sindacali o pri- vati che trattano l’argomento in modo chiaro ed aggiornato. La ricerca effettuata dava sull’argomento centinaia di documenti, quelli recensiti riteniamo siano quelli di maggiore interesse e di un più immediato reperimento delle informazioni. PRAGMA - Rivista dell'istruzione superiore A che punto è la Riforma dell’Istruzione Secondaria, a cura di Vittoria Bellini L’articolo presentato offre una panoramica sintetica sullo stato della riforma della secondaria superiore. Indirizzo Internet: http://www.rivistapragma.it/pragma/ventitre/03.HTM EDUCA.CH - Il portale dell’educazione. Il Server svizzero per l’educazione. Da scaricare il documento "Formazione professionale superiore" in Formato Word molto ben realizzato. Viene illustrato il sistema educativo della Svizzera, compreso il profilo della formazione professionale superiore. Un sito molto curato, chiaro e compilato secondo i moderni principi della Usability. Indirizzo Internet: www.educa.ch/dyn/62425.htm. SITO UFFICIALE DELLA REGIONE VENETO - Formazione Superiore All’indirizzo riportato sono trattati in modo chiaro ed essenziali argomenti come Apprendistato, Banche Dati, Formazione Aziendale Continua (L. 236/93 - L. 53/2000), Formazione Continua e Permanente, Formazione Individuale Continua, Formazione Superiore, Iniziativa Comunitaria EQUAL, Obbligo Formativo, Orientamento e Politiche del Lavoro. Indirizzo Internet: http://www.regione.veneto.it/Servizi+alla+Persona/Formazione+e+Lavoro CISL-SCUOLA - ADI Associazione Docenti Italiani Norme generali sull’istruzione e livelli essenziali delle prestazioni in materia di istru- zione e formazione professionale Vengono paragonate e commentate la Legge 10 febbraio 2000, n. 30 e il progetto di legge Moratti comparando articolo per articolo, i punti rilevanti della proposta di revisione della legge 30/00 Indirizzo Internet: www.cislscuola.it/modello_ art-nhp.phtml?cod_notizia=000015EC ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 3 0 4 CGIL SCUOLA - Il diritto dovere cancella l’obbligo scolastico Un articolato ed approfondito commento alla bozza di decreto legislativo (scaricabile in formato PDF) presentata dal sottosegretario all’istruzione on. Valentina Aprea. Indirizzo Internet: www.cgilscuola.it/moratti/dirittodovere1.htm FONDAZIONESCUOLA.IT - Istruzione Formazione Tecnica Superiore. L’esperienza di Liguria e Piemonte. Ricerca promossa dalla Fondazione per la Scuola e condotta da un'équipe di ricer- catori dell'Università di Genova. È possibile accedere al testo completo della ricer- ca navigando direttamente sul sito. Indirizzo Internet: www.fondazionescuola.it/attivita/IFTS.asp ISTRUZIONE.IT - Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Nella sezione dedicata a ‘Scuola - Formazione - Lavoro - Il Documento Fis’, è pos- sibile avere tutte le informazioni sulla Formazione tecnico-professionale Superiore Integrata che propone la costituzione di un sistema policentrico, con la riorganizza- zione e l’innovazione dei settori formativi. Indirizzo Internet: http://www.istruzione.it/argomenti/ifts/ne98049.shtml INDIRE - Istituto Nazionale di Documentazione per l’Innovazione e la Ricerca Educativa La Riforma: Obiettivi e strumenti di Giuseppe Bertagna Una presentazione in formato Power Point che presenta, corredata da grafici e qua- dri riassuntivi molto ben realizzati, le linee essenziali della Riforma. Indirizzo: www.bdp.it/inriforma/ppt/riformacc.ppt INDIRE - Istituto Nazionale di Documentazione per l’Innovazione e la Ricerca Educativa La formazione professionale tecnico-superiore. All’indirizzo riportato, un completo documento in formato Acrobat con un esau- riente quadro normativo e curriculare sulla situazione a livello europeo e statuni- tense (Francia, Germania, Spagna, USA). Indirizzo: www.indire.it/ifts/doc/allformazione.pdf 3 0 5 ALLEGATI ELENCO LIBRI DELLA COLLANA CIOFS-FP/CNOS-FAP STUDI PROGETTI ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE • 2005, D. NICOLI (Ed.), Il Diploma di Istruzione e Formazione Professionale, CNOS-FAP, CIOFS-FP, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma. • 2005, TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), CNOS-FAP, Roma. • 2004, MALIZIA G., ANTONIETTI D., TONINI M., Le parole chiave della formazione professionale, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), CNOS/FAP, Roma. • 2004, CNOS/FAP, (Ed.), Comunità professionale Legno e Arredamento - Guida per l’e- laborazione dei piani formativi personalizzati, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma. • 2004, CNOS/FAP, CIOFS-FP (Edd.), Comunità professionale Grafica e Multimediale - Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma. • 2004, CNOS/FAP, CIOFS-FP (Edd.), Comunità professionale Turistica e Alberghiera - Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma. • 2004, CIOFS-FP, CNOS/FAP (Edd.), Comunità professionale Estetica - Guida per l’ela- borazione dei piani formativi personalizzati, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma. • 2004, CIOFS-FP, CNOS/FAP (Edd.), Comunità professionale Commerciale e delle Vendite - Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma. • 2004, CNOS/FAP, CIOFS-FP, (Edd.), Comunità professionale Elettrica e Elettronica - Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma. • 2004, CNOS/FAP, CIOFS-FP (Edd.), Comunità professionale Meccanica - Guida per l’e- laborazione dei piani formativi personalizzati, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma. • 2004, RUTA G. (Ed.), Etica della persona e del lavoro, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), CNOS-FAP, Roma. • 2004, CIOFS-FP (Ed.), Comunità professionale Alimentazione – Guida per l’elaborazio- ne dei piani formativi personalizzati, (Studi progetti esperienze per una nuova formazio- ne professionale), Roma. • 2004, CIOFS-FP (Ed.), Comunità professionale Aziendale e Amministrativa – Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2004 3 0 6 COLLANA CIOFS-FP/CNOS • 2004, CIOFS-FP (Ed.), Comunità professionale Sociale e Sanitaria – Guida per l’elabo- razione dei piani formativi personalizzati, (Studi progetti esperienze per una nuova for- mazione professionale), Roma. • 2004, CIOFS-FP (Ed.), Comunità professionale Tessile e Moda – Guida per l’elabora- zione dei piani formativi personalizzati, (Studi progetti esperienze per una nuova forma- zione professionale), Roma. • 2004, AA. VV., Il sistema dell’Istruzione e Formazione Professionale nel contesto della riforma. Significato e percorsi - Atti del XV Seminario di Formazione Europea, (Studi pro- getti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma, CIOFS-FP. • 2004, CIOFS-FP PIEMONTE (Ed.), Le competenze orientative - Un approccio metodo- logico e proposte di strumenti, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione pro- fessionale), Roma, CIOFS-FP. • 2004, CIOFS-FP PIEMONTE (Ed.), L’accoglienza nei percorsi formativi-orientativi – Un approccio metodologico e proposte di strumenti, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma, CIOFS-FP. • 2004, CIOFS-FP Campania (Ed.), OrION tra orientamento e network, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), CIOFS-FP. • 2004, NICOLI D. (Ed.), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel siste- ma di istruzione e della formazione professionale, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma, CIOFS-FP, CNOS-FAP. • 2004, NICOLI D. (Ed.), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organi- ci nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma, CIOFS-FP, CNOS-FAP. • 2003, MALIZIA G. - PIERONI V. (Edd.), Ricerca azione di supporto alla sperimenta- zione della formazione professionale iniziale secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP - Rapporto sul Follow-up, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione profes- sionale), Roma, CIOFS-FP, CNOS-FAP. • 2003, CIOFS-FP Sicilia (Ed.), Vademecum. Strumento di lavoro per l’erogazione dei ser- vizi orientativi, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), CIOFS-FP. • 2003, CIOFS-FP Basilicata (Ed.), L’orientamento nello zaino. Percorso nella Scuola Media Inferiore, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), CIOFS-FP. • 2003, ANTONIETTI D. - VALENTE L., Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma, CIOFS-FP. • 2003, AA. VV., Un modello per la gestione dei servizi di orientamento, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma, CIOF-FP. 3 0 7 ALLEGATI • 2003, TACCONI G. (Ed.), Insieme per un nuovo progetto di formazione, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma, CNOS-FAP. • 2003, AA. VV., Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA) - Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, (Studi progetti esperienze per una nuova for- mazione professionale), Roma, CNOS-FAP. • 2003, MARSILII E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente, (Studi proget- ti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma, CNOS-FAP. • 2003, AA. VV., L’orientamento nel CFP - 4. Guida per la gestione dello stage, (Studi pro- getti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma, CNOS-FAP Piemonte. • 2003, AA. VV., L’orientamento nel CFP - 3. Guida per l’accompagnamento finale, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma, CNOS-FAP Piemonte. • 2003, AA. VV., L’orientamento nel CFP - 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma, CNOS-FAP Piemonte. • 2003, AA. VV., L’orientamento nel CFP - 1. Guida per l’accoglienza, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma, CNOS-FAP Piemonte. • 2003, FONTANA S. - TACCONI G. - VISENTIN M., Etica e deontologia dell’operatore della FP, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma, CNOS-FAP. • 2003, GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo - Una proposta di percorsi per la creazione d’impresa, (Studi progetti esperienze per una nuova forma- zione professionale), Roma, CNOS-FAP. • 2003, BECCIU M. - COLASANTI A.R., La promozione delle capacità personali - Teoria e prassi, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma, CNOS-FAP. • 2003, AA. VV., La formazione professionale per lo sviluppo del territorio - Atti del XIV Seminario di Formazione Europea, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma, CIOFS-FP. • 2003, AA. VV., Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa - Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS-FP, (Studi progetti esperienze per una nuova formazione professionale), Roma, CIOFS-FP. • 2002, MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (Edd.), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della formazione professionale iniziale secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP – Rapporto finale (Studi progetti esperienze per una nuova formazione pro- fessionale), Roma, CIOFS-FP, CNOS-FAP.

Monitoraggio delle sperimentazioni dei nuovi percorsi di istruzione e formazione professionale nell'anno formativo 2004-2005

Autore: 
Dario Nicoli - Guglielmo Malizia - Vittorio Pieroni
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2006
Numero pagine: 
147
Dario NICOLI - Guglielmo MALIZIA - Vittorio PIERONI CENTRO NAZIONALE OPERE SALESIANE FORMAZIONE AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE Federazione CNOS-FAP Sede Nazionale Monitoraggio delle sperimentazioni dei nuovi percorsi di istruzione e formazione professionale nell’anno formativo 2004-2005 3 PRESENTAZIONE Il monitoraggio oggetto del presente lavoro si riferisce alle iniziative speri- mentali nei percorsi di istruzione e formazione professionale, in atto nelle Regioni e Province Autonome sulla base dei Protocolli di intesa con il MIUR, in riferi- mento all’anno formativo 2004-2005, svolte dai Centri CNOS-FAP e CIOFS/FP, ma con una prospettiva più ampia, volta a comprendere le diverse strategie poste in atto dalle Regioni in questo ambito. Si tratta della continuazione dell’attività svolta già a partire dal 20031 e che ha inteso fornire una conoscenza approfondita e rigorosa dal punto di vista peda- gogico e socio-istituzionale dei nuovi percorsi di istruzione e formazione professio- nale, al fine di accompagnare un intervento di forte carattere innovativo, tenden- zialmente in grado di fornire pari dignità educativa, culturale e professionale ai percorsi formativi attuati entro il processo di riforma del sistema educativo com- plessivo. Per monitoraggio si intende un intervento sistematico e continuativo di rileva- zione, confronto, accompagnamento e assistenza riferito ad un insieme definito di percorsi formativi, secondo una metodologia mista che comprende la raccolta dei dati sulla base di un linguaggio ed un modello comune, la riflessione di un gruppo rappresentativo di coordinatori tramite incontri ad hoc, la rielaborazione delle ri- flessioni e il completamento dei dati per consentire una reale comparazione dei di- versi casi oggetto di studio, infine la creazione di una maggiore consapevolezza circa l’insieme delle tematiche pedagogiche, sociali e istituzionali poste in gioco nelle iniziative rilevate. Il quadro sottostante il monitoraggio appare peraltro piuttosto complesso, visto che, nonostante il completamento del processo riformatore (si pensi, ad esempio, ai decreti sul diritto-dovere e sul secondo ciclo degli studi), le modalità di attuazione (o non attuazione) dello stesso appaiono fortemente diversificate tra le diverse Regioni e Province Autonome; si tratta di una conferma, al di là delle di- verse motivazioni politico-ideologiche, del carattere particolaristico in cui si svolge il processo di decentramento e di “devoluzione” che rischia di dar vita ad una frammentazione di tanti sistemi formativi quante sono le articolazioni del ter- ritorio; ciò in un contesto tanto delicato, trattandosi di interventi di diritto-dovere 1 Cfr. MALIZIA G. - D. NICOLI - V. PIERONI (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimen- tazione della formazione professionale iniziale secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP, Tipo- grafia Pio XI, Roma 2003. 4 rivolti ad adolescenti e giovani, da condurre ad una distorsione tale da rendere dif- ficile il compito educativo, culturale e professionale degli organismi formativi. Nonostante ciò, sulla base della comune necessità di risposte alle esigenze dei giovani e delle loro famiglie, oltre che dei contesti territoriali, e a partire dal rife- rimento allo stato dell’arte dell’elaborazione e delle pratiche riferite al sistema di istruzione e formazione professionale, emerge dalla presente rilevazione una note- vole convergenza in ordine ad un nucleo di opzioni metodologiche e di strumenti di intervento, tale da poter dar vita ad un modello formativo consistente, non influen- zabile da opzioni ideologiche, preferenze metodologiche ed organizzative, interessi in definitiva non compatibili con la formazione. Al centro di questo nucleo, si ri- scontrano quattro elementi: la personalizzazione dei percorsi formativi, la peda- gogia dei compiti reali e del successo formativo, la pluralità delle opzioni, l’aper- tura al contesto sociale nella prospettiva di una comunità formativa territoriale. Si tratta di fattori che valorizzano le migliori tradizioni di intervento formativo in questi ambiti e che segnalano la necessità di superare un approccio tradizionale basato sull’epistemologia delle discipline e sulla prevalenza della formula liceale per sostenere e diffondere una proposta formativa sistematica e consistente basata sulla cultura del lavoro e della professionalità intese come realtà entro cui si pos- sono cogliere in modo diretto e vitale le dimensioni di una nuova cultura della cit- tadinanza propria della società cognitiva. La Federazione CNOS-FAP 5 SOMMARIO PRESENTAZIONE.............................................................................................................. 3 SOMMARIO...................................................................................................................... 5 SIGLE ............................................................................................................................ 7 INTRODUZIONE ............................................................................................................... 9 I parte: UN GRANDE IMPEGNO SPERIMENTALE ............................................................... 11 1. Aspetti emergenti dal monitoraggio ............................................................... 11 1.1. Tipologia dei percorsi.................................................................................. 11 1.2. Esiti dei percorsi.......................................................................................... 13 1.3. Personalizzazione dei percorsi.................................................................... 14 1.4. Risorse umane coinvolte nei percorsi ......................................................... 16 2. Una prospettiva di sistema............................................................................... 18 II parte: ESITI DEL MONITORAGGIO ............................................................................... 19 1. Raccolta dati...................................................................................................... 19 2. Dati sulla programmazione ............................................................................. 19 2.1. Dati richiesti sulla programmazione........................................................... 19 2.2. Risposte sulla programmazione .................................................................. 20 2.3. Commenti sulla programmazione................................................................ 28 3. Dati sulla tipologia del percorso...................................................................... 29 3.1. Dati richiesti sulla tipologia del percorso .................................................. 29 3.2. Risposte sulla tipologia del percorso .......................................................... 29 3.3. Commenti sulla tipologia del percorso ....................................................... 36 4. Dati sulla progettazione ................................................................................... 38 4.1. Dati richiesti sulla progettazione ................................................................ 38 4.2. Risposte sulla progettazione........................................................................ 38 4.3. Commenti sulla progettazione ..................................................................... 43 5. Dati sulla personalizzazione ............................................................................ 45 5.1. Dati richiesti sulla personalizzazione ......................................................... 45 5.2. Risposte sulla personalizzazione ................................................................. 45 5.3. Commenti sulla personalizzazione .............................................................. 99 6. Dati sulla figura del coordinatore tutor ......................................................... 104 6.1. Dati richiesti sul coordinatore tutor ........................................................... 104 6.2. Risposte sulla figura del coordinatore tutor ............................................... 106 6.3. Commenti sulla figura del coordinatore tutor ............................................ 118 6 7. Dati sulla gestione dei formatori ..................................................................... 123 7.1. Dati richiesti sulla gestione dei formatori .................................................. 123 7.2. Risposte sulla gestione dei formatori .......................................................... 124 7.3. Commenti sulla gestione dei formatori ....................................................... 128 RIFLESSIONI CONCLUSIVE .............................................................................................. 131 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ......................................................................................... 135 APPENDICE ..................................................................................................................... 137 INDICE ............................................................................................................................ 143 7 SIGLE ATS = Associazione Temporanea di Scopo CFP = Centro di Formazione Professionale CIOFS/FP = Centro Italiano Opere Femminili Salesiane / Formazione Professionale CNOS-FAP = Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professio- nale CONFAP = Confederazione Nazionale Formazione Aggiornamento Professionale ENAIP = Ente Nazionale Istruzione Professionale FLAD = Formazione al Lavoro Allievi Disabili FP = Formazione Professionale FSE = Fondo Sociale Europeo IAL = Istituto Addestramento Lavoratori IeFP = Istruzione e Formazione Professionale IPS = Istituti Professionali di Stato IPSIA = Istituto Professionale Statale Industria Artigianato IREF = Istituto di Ricerche Educative e Formative IRIPES = Istituto Ricerche Interventi in Psicologia Educativa e della Socializzazione IS = Istituto Scolastico ISFOR = Istituto Superiore di Formazione e Ricerca ITIS = Istituto Tecnico Industriale Statale LARSA = Laboratori di Recupero e Sviluppo degli Apprendimenti MIUR = Ministero Istruzione Università Ricerca OM = Ordinanza Ministeriale OS = Obbligo Scolastico OSA = Obiettivi Specifici di Apprendimento PECUP = Profilo Educativo Culturale Professionale PEI = Piano Educativo Individualizzato PFP = Piano Formativo Personalizzato POF = Piano dell’Offerta Formativa POR = Programma Operativo Regionale RAS = Regione Autonoma Sardegna RdC = Responsabile di Centro SMS = Scuola Media Superiore SSS = Scuola Secondaria Superiore UdA = Unità di Apprendimento UF = Unità Formativa USR = Ufficio Scolastico Regionale 9 INTRODUZIONE Il complesso lavoro di monitoraggio che ha condotto alla elaborazione del pre- sente volume è consistito nella elaborazione di un questionario per la raccolta delle informazioni, nella somministrazione dello stesso e in una serie di tre incontri fina- lizzati a chiarire e approfondire quanto espresso nel questionario. Il volume è stato concepito come un documento per la socializzazione del pro- cesso realizzato e dei principali elementi emersi. Nella prima parte, si presenta il progetto sperimentale, con una prima, som- maria impressione sui dati; nella seconda parte, viene riportato il dettaglio delle in- formazioni richieste, delle risposte fornite dai referenti e ci si sofferma a commen- tare ogni singolo quesito. Una conclusione raccoglie quanto emerso e offre spunti prospettici. Il volume si chiude con una bibliografia e un’appendice in cui è riportato inte- gralmente il questionario utilizzato nella ricerca. Il lavoro è stato progettato dai professori Dario Nicoli (Università Cattolica di Brescia), Guglielmo Malizia e Vittorio Pieroni (Università Pontificia Salesiana di Roma); il coordinamento per i due Enti è stato a cura di Lucio Reghellin (Direttore nazionale del CNOS-FAP), di Daniela Antonietti (Sede nazionale CNOS-FAP) e di Angela Loiacono (Sede nazionale del CIOFS/FP). I referenti, senza il contributo dei quali la ricerca non si sarebbe potuta realiz- zare, sono stati: – per l’Abruzzo, Massimo LUPI (CNOS-FAP), – per la Calabria, Maria Porzia SARLO (CIOFS/FP) – per la Campania, Aurelia RAIMO (CIOFS/FP) – per l’Emilia Romagna, Nadia LOMBARDI (CIOFS/FP) – per il Friuli Venezia Giulia, Carlo LUCIS (CNOS-FAP) – per il Lazio, Bruna LUCATTINI (CIOFS/FP) – per la Liguria, Paolo FAVETO (CNOS-FAP) – per la Lombardia, Mauro COLOMBO (CNOS-FAP) e Simona GIUSSANI (CIOFS/FP) – per il Piemonte, Roberto CAVAGLIÀ (CNOS-FAP) e Egidia CASALE (CIOFS/FP) – per la Puglia, Maria CARICATO (CIOFS/FP) – per la Sardegna, Cristina THEIS (CIOFS/FP) – per la Sicilia, Rosaria VENTURA (CIOFS/FP) – per il Veneto, Guido BONI (CNOS-FAP) e Chiara BELLONI (CIOFS/FP) 11 I parte: UN GRANDE IMPEGNO SPERIMENTALE 1. ASPETTI EMERGENTI DAL MONITORAGGIO In questa parte si sintetizza quanto emerge dal monitoraggio delle attività for- mative sperimentali, attività che comportano l’adozione di una prospettiva innova- tiva dal punto di vista didattico, organizzativo e di sistema. La natura sperimentale delle attività mira alla creazione di un sistema educativo unitario, comprendente una varietà di percorsi ed abitato da vari organismi, tutti aventi requisiti coerenti a tale compito. Le sperimentazioni rappresentano un vero e proprio cantiere in cui elaborare e mettere alla prova tre nuove prospettive d’azione dei vari attori coinvolti: 1) la prospettiva educativa, che mira essenzialmente alla personalizzazione e alla didattica per compiti reali che consente la reale integrazione tra teoria e prassi; 2) la prospettiva dell’autonomia e della pari dignità dei vari organismi erogativi, che vengono sollecitati a dare il proprio contributo al disegno complessivo at- traverso offerte formative pluralistiche, ricche di tensione e di orientamenti culturali e metodologici; 3) la prospettiva della governance da parte di Regioni e Province Autonome, al fine di dare una fisionomia di sistema all’insieme di attori e risorse, valoriz- zando la peculiarità degli apporti di tutti in vista del raggiungimento delle mete di sistema, ovvero l’elevamento culturale di tutti, nessuno escluso, l’efficacia degli apprendimenti sotto forma di competenze, l’avvicinamento tra scuola e lavoro, il coinvolgimento dei vari attori sociali, la costruzione di un sistema unitario, pluralistico, aperto e continuo. Ma vediamo ora gli elementi di sintesi emergenti dai vari ambiti di analisi delle pratiche sperimentali. 1.1. Tipologia dei percorsi Emerge innanzitutto la prevalenza di percorsi triennali integri, cui vanno asso- ciati i percorsi biennali che si svolgono anche in collaborazione con la scuola il cui impegno appare peraltro contenuto all’area delle cosiddette discipline culturali di base. Seguono, ma in numero di molto minore, i percorsi cosiddetti integrati che non prevedono una titolarità dei Centri di Formazione Professionale (CFP) e quindi negano loro il riconoscimento della pari dignità. 12 La differenza fondamentale che si coglie tra i due approcci è tra le Regioni che considerano un’ampia varietà di opzioni, senza preclusione per alcun organismo, e Regioni che mirano a coinvolgere i CFP sotto forma di laboratorio pratico riferito a studenti in difficoltà di apprendimento. In questo secondo caso, l’integrazione rap- presenta la volontà di coinvolgere il CFP come risorsa parziale, atta ad attenuare e correggere la didattica disciplinare della scuola, ma garantendone titolarità e preva- lenza. L’approccio che, per semplificare, chiamiamo integrale o “puro” (D’Agostino et alii, 2005, 178-186) esprime una varietà di soluzioni adottate da vari organismi ed istituzioni, anche non di ispirazione cristiana, e consiste in un modello organico di percorsi strutturati, in prospettiva verticale o di filiera formativa, basato sui tre livelli della struttura del lavoro e delle professioni (qualificato, tecnico, tecnico su- periore/quadro) con enfasi sul diploma di tecnico professionale. Diversi sono i casi in cui si applica, tra cui emergono le Regioni del Nord Italia: Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Friuli Venezia Giulia, ma anche Sardegna e in parte Sicilia. Il modello che – sempre in forma semplificativa – chiamiamo integrato (D’A- gostino et alii, 2005, 186-197) consiste nella elaborazione di un cammino per mo- duli formativi strutturati in modo da individuare con chiarezza e distinzione l’area culturale di competenza della scuola e l’area tecnico-professionale di competenza dei CFP. Il caso istituzionale emblematico di tale modello cui ci riferiamo è quello della Regione Emilia Romagna – al quale facciamo riferimento per l’analisi suc- cessiva – cui va associata l’Umbria, e per certi versi anche la Campania. La questione di fondo riguarda il modo in cui si intende il sistema educativo, e la considerazione o meno della varietà di risorse a disposizione. Si noti a questo proposito che le sperimentazioni oggetto di rilevazione riguardano prioritariamente i CFP, mentre le scuole presentano una loro cospicua offerta ordinaria cui, nei casi di Regioni che adottano i modelli “integrati”, si aggiunge anche quella derivante dall’utilizzo di finanziamenti che erano destinati alla formazione professionale, così che le Istituzioni scolastiche finiscono per ricevere un ulteriore finanziamento per realizzare attività cui sarebbero tenute in base al finanziamento ordinario. Sorge quindi la necessità di comprendere meglio che cosa si intenda per inte- grazione. L’integrazione dei percorsi è in effetti un’opzione metodologia che gli or- ganismi erogativi possono far valere nel momento in cui se ne pone la necessità, o se ne coglie l’opportunità; in tal senso essa può benissimo coesistere accanto ad altre, purché non venga resa obbligatoria dalla Regione. In quest’ultimo caso, essa pare concepita come strategia consistente, espressione della volontà di precludere la gestione di percorsi direttamente da parte dei CFP. Si tratta di una questione de- cisiva, sotto la quale si evidenzia il tentativo di non riconoscere la pari dignità della formazione professionale. Il maggiore pluralismo dell’offerta favorisce indubbia- mente il successo formativo dei giovani, nessuno escluso, cosa che si riscontra pun- tualmente sulla base degli esiti delle verifiche e dei monitoraggi, mentre la sua me- nomazione mira a precludere pregiudizialmente i CFP dal diritto-dovere e conduce 13 ad una scarsa efficacia degli interventi sostenuti con i finanziamenti relativi alle sperimentazioni. In tal senso, gli approcci che fanno riferimento alla prospettiva del pluralismo formativo risultano maggiormente in grado di favorire l’elevazione cul- turale dei giovani, specie, ma non esclusivamente, delle componenti più in diffi- coltà rispetto alle tradizionali proposte formative. 1.2. Esiti dei percorsi Circa gli esiti dei percorsi, disponiamo di vari monitoraggi specie per il Ve- neto, la Lombardia, il Piemonte e la Liguria da cui emerge per il modello integrale una crescita progressiva di iscritti, tanto da generare un problema finanziario in tutte le Regioni in cui tale modello è applicato, un risultato formativo mediamente superiore a quello di riferimento (istruzione tecnica e professionale), ovvero meno del 10% di insuccessi contro il 25%, una forte continuità nei percorsi che vede al II anno addirittura una crescita di iscritti provenienti dalla scuola, ed una soddisfa- zione piena dei vari attori, con indicazione di talune criticità nel rapporto tra area culturale ed area tecnico-laboratoriale (dove gli allievi vorrebbero una maggiore in- tensità di quest’ultima) e nella disponibilità di risorse per la piena personalizza- zione dei percorsi. Circa il modello integrato, disponiamo dei dati solo della Regione Emilia Ro- magna nell’anno scolastico 2003-04, da cui emerge che le classi prime degli Isti- tuti coinvolti nella sperimentazione dei percorsi intergrati non raggiungono lo standard di successo previsto dalla Conferenza di Lisbona come meta da raggiun- gere entro il 2010, ovvero l’85% di promossi. Infatti il livello attuale di successo raggiunge solo il 74,4% dei percorsi, con poche differenze rispetto a quelli tradi- zionali. Altro punto critico è quello della continuità dopo il I anno, che vede una caduta di coloro che subiscono insuccesso al I anno: solo il 12% si riscrive ai per- corsi integrati, preferendo il tradizionale dello stesso Istituto nel 37% dei casi. È significativo che quasi nessuno dei non promossi nei percorsi tradizionali si iscriva agli integrati proposti dal medesimo Istituto, che potrebbero offrire un di- verso ambiente di apprendimento. Forse si ritiene che la didattica non cambi tra l’uno e l’altro percorso, preferendo cambiare ambiente, identificando l’insuccesso con l’Istituzione scolastica. Nei singoli progetti si possono individuare anche ele- menti molto positivi, ma la concentrazione dei risultati negativi negli Istituti Pro- fessionali per l’Industria e l’Artigianato segnala un’indubbia criticità dei piani di studi di questi ultimi. In sintesi, le evidenti differenze di esiti dei due approcci mostrano una correla- zione positiva tra pluralismo degli organismi coinvolti e successo formativo dei de- stinatari; ciò a fronte di una continua criticità degli indicatori di qualità dei percorsi tradizionali scolastici, specie dell’Istruzione tecnica e professionale. Circa gli aspetti progettuali, da parte delle Regioni appare prevalente lo sforzo verso la definizione di una struttura di sistema su cui fondare l’iniziativa sperimen- tale, comprendente i seguenti aspetti: 14 a) mappa delle aree formative e delle figure professionali con relativi standard formativi; b) criteri metodologici fondati su fattori innovativi (personalizzazione, didattica interdisciplinare e per compiti reali, ecc.); c) sistema di valutazione e certificazione per competenze; d) sistema di gestione dei crediti e dei passaggi; e) struttura di coordinamento e di monitoraggio delle iniziative. La sperimentazione evidenzia quindi un notevole sforzo di innovazione delle Regioni verso una soluzione di vera e propria governance educativa, culturale e professionale, che prevede una cultura della regolazione dei fattori di accredita- mento, delle condotte e dei rapporti tra soggetti autonomi verso il perseguimento delle mete del sistema, superando quindi la prospettiva tradizionale che presentava un’enfasi esclusiva sulla sola variabile dell’occupabilità degli allievi e sulla dimen- sione amministrativa. 1.3. Personalizzazione dei percorsi Altro aspetto di notevole rilevanza è quello della personalizzazione. Essa vede un forte impegno metodologico ed organizzativo sui seguenti punti: a) orientamento, accoglienza, bilancio, progetto, orientamento continuo, collabo- razione con le famiglie; b) differenziazione dei gruppi di apprendimento, recuperi e approfondimenti, so- stegno individuale, gestione passaggi e transizioni; c) piano formativo personalizzato; d) unità di apprendimento e prodotti reali, stage e alternanza; e) verifiche e valutazione; f) gestione di crediti e passaggi; g) soggetti portatori di handicap. Grande attenzione è stata dedicata mediamente al tema della personalizza- zione, intesa come riferimento di ogni attività educativa alla centralità dell’allievo e al suo successo formativo, al fine di assicurare ai giovani una proposta dal carat- tere educativo, culturale e professionale che preveda risposte molteplici alle loro esigenze. Ogni destinatario può in tal modo trasformare le proprie capacità – attitu- dini, atteggiamenti, risorse, vocazione – in vere e proprie competenze che assicu- rano la possibilità di accedere ai ruoli sociali desiderati. La personalizzazione è quindi un’opzione metodologica di fondo che caratte- rizza per intero l’opera dell’educatore, ma indica pure una serie di azioni specifiche che consentono di perseguire il fine del successo formativo per tutti. Le azioni di personalizzazione consistono in laboratori di approfondimento e di recupero, atti- vità connesse ai passaggi tra ambiti e sistemi formativi, laboratori di livello ed elet- tivi, attività di alternanza, esperienze di autoformazione, laboratori di sviluppo di capacità personali. 15 L’esito del monitoraggio mostra come, proprio sulla personalizzazione, si è in- vestito decisamente, segno che si tratta di un tema oggetto di intervento e di ri- cerca, e nel contempo del vero e proprio valore distintivo dei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale. Il centro della metodologia risiede nella valorizzazione dell’approccio pecu- liare della istruzione e formazione professionale, che presuppone il superamento della didattica per trasmissione di saperi e abilità, optando decisamente per una concezione formativa centrata sulla cura della situazione di apprendimento. Ciò si- gnifica che il team dei formatori è chiamato a “creare” esperienze nelle quali l’al- lievo, confrontandosi con problemi di cui coglie il senso, si pone in modo attivo alla ricerca di una soluzione in grado di soddisfare i requisiti del problema stesso, sormontando gli ostacoli che via via incontra, mobilitando in tal modo un processo di apprendimento autonomo, personale, autentico. Tale processo è centrato sull’a- zione; tanto che si può affermare che la conoscenza passa necessariamente per l’a- zione per poi giungere ad una piena formalizzazione attraverso il linguaggio. Questa metodologia richiede il pieno rispetto delle caratteristiche specifiche delle situazioni di apprendimento attivate, l’assunzione delle rappresentazioni che gli allievi si danno delle attività proposte, la considerazione dei processi cognitivi, delle operazioni mentali, delle riflessioni di ordine generale che tali esperienze su- scitano negli allievi, la costruzione di un cammino e delle differenti fasi in cui esso si compone, che consente di giungere alla piena riuscita delle attività intraprese. Ciò pone l’allievo nella condizione di formulare, prevedere e padroneggiare i propri obiettivi e le proprie strategie di apprendimento al fine di “dare forma” alla propria visione, al proprio sapere, alle proprie competenze. In questo senso, ogni situazione di apprendimento deve porre l’allievo nella situazione del progettare, di proiettare se stesso nel futuro. È un metodo che presuppone una pedagogia del progetto interdisciplinare in grado di valorizzare le competenze professionali dei formatori, evitando di pro- porre loro – sotto forma di manuale – situazioni precostituite, pronte all’uso, che presumono di conoscere già in anticipo ciò che gli allievi devono fissare nella mente. Occorre superare l’idea – tanto diffusa presso l’ambiente pedagogico in ge- nere – secondo cui i “tecnici” si occupano dei progetti concreti, mentre i “teorici” si pongono i problemi di cultura generale a cui rimandano le attività stimolate dai progetti. Al contrario, ogni componente del team condivide la metodologia del pro- getto e pone le sue competenze al servizio del successo formativo dell’allievo, di modo che l’interdisciplinarietà diventa tutt’uno con la prospettiva progettuale. Fondamentale, a tale proposito, è la strutturazione del percorso per unità di ap- prendimento. Le unità di apprendimento rappresentano le componenti base del per- corso formativo, secondo la prospettiva della pedagogia del compito ed in coerenza con le finalità generali indicate nel “Profilo educativo, culturale e professionale” (PECUP). Ciò significa che esse individuano “prestazioni reali ed adeguate”, a ca- rattere concreto, che impegnano l’allievo in un compito-problema, per risolvere il 16 quale è necessario che egli mobiliti le varie risorse di cui dispone o di cui può av- valersi, ovvero capacità, conoscenze e abilità. Le conoscenze e le abilità sono indi- cate nella scheda dell’unità di apprendimento sotto forma di obiettivi specifici di apprendimento (OSA). Per tale motivo, l’unità di apprendimento richiede una con- divisione e una collaborazione tra più docenti, in rapporto alle aree formative e alle discipline che sono chiamate in gioco nel loro percorso. L’esito dell’unità di ap- prendimento è dato da un risultato-prodotto, che può assumere varie forme, anche composite (dossier, oggetto, presentazione PowerPoint, mostra, video, rappresenta- zione…) e che costituisce l’evidenza concreta circa gli apprendimenti dell’allievo, ovvero un elemento che attesta il fatto che i saperi incontrati sono diventati sapere personale, e quindi competenza intesa come padronanza – effettiva e validata anche da terzi – di fronte ad una categoria di compiti-problema che identificano un ruolo sociale (cittadino, studente, lavoratore…). Le unità di apprendimento sono sempre personali, ma possono variare nella loro natura in base alla competenza prevalente che mirano a suscitare: a) vi sono unità di apprendimento a carattere prevalentemente professionale e ciò ne identifica il maggior numero nei percorsi di istruzione e formazione profes- sionale. Esse sono collocate lungo il percorso e indicano i compiti formativi essenziali richiesti all’allievo alla luce dell’analisi del ruolo lavorativo cui si ri- feriscono; b) vi sono unità di apprendimento a carattere prevalentemente sociale, nel senso che si riferiscono a compiti propri della vita dell’adolescente e del giovane (es.: gestione degli atti amministrativi fondamentali della vita quotidiana, ri- spetto dell’altro) senza che ciò debba tradursi in una prestazione avente valore nel mercato del lavoro e delle professioni; c) vi sono, infine, unità di apprendimento a carattere prevalentemente espressivo ed estetico che sollecitano nella persona dimensioni della propria sensibilità sotto forma di “gusto” e piacere del sapere (es.: poesia, ascolto musicale, let- tura di opere d’arte…). Il prodotto realizzato a seguito dell’unità di apprendimento entra a far parte del portfolio dell’allievo, ed è oggetto di presentazione e quindi di autovalutazione da parte di quest’ultimo. Inoltre costituisce il punto di riferimento prioritario della va- lutazione da parte dell’équipe dei docenti che si avvale a tal fine di una rubrica che consente di distinguere le dimensioni e le prestazioni sotto forma di livelli, in rife- rimento ad una serie di competenze chiave mirate. 1.4. Risorse umane coinvolte nei percorsi Altro tema analizzato è quello delle risorse umane della formazione, a partire dalla figura del coordinatore tutor. È vero che le soluzioni operative sono molto (troppo) diversificate tra le Re- gioni coinvolte nella sperimentazione, ma l’esito del monitoraggio rivela che le fi- 17 gure di coordinamento e di tutorship rappresentano il nucleo organizzativo di ogni Centro, in quanto ad esse vengono affidati più funzioni e compiti. Le funzioni pre- valenti di tale funzione/figura professionale sono: a) coordinamento, ovvero assicurazione della necessaria integrazione interna (team dei formatori, gruppi di apprendimento, organismo formativo, espe- rienze in alternanza) ed esterna (contesto territoriale, rete degli organismi partner…) in riferimento al campo in cui si collocano i processi formativi atti- vati; b) tutorato, ovvero facilitazione dei processi di apprendimento concepiti in una prospettiva di condizione (“stare in formazione”) e non di “luogo”. Tale funzione/figura risulta indispensabile in ogni azione di istruzione e forma- zione professionale dove è richiesto un punto di riferimento stabile ed autorevole in grado di guidare l’équipe dei formatori coinvolti, presiedere alle fasi di progetta- zione e programmazione (piano formativo personalizzato), coordinare le attività, facilitare i processi di apprendimento e sostenere il miglioramento continuo dell’at- tività formativa e didattica. Si tratta di una figura composita, sia dal punto di vista concettuale che pratico, ragione per cui, a fronte della molteplicità di tipologie di tutor esistenti, l’opzione che abbiamo privilegiato si riferisce ad una figura di alto profilo, il cui contenuto professionale comprende sia il sostegno organizzativo e documentativo dell’attività didattica, sia il presidio della progettazione, del coordinamento e delle relazioni in- terno-esterno proprie della situazione formativa. Tale figura garantisce un punto di riferimento e di raccordo per l’allievo, l’équipe dei formatori e la famiglia; la sua funzione di accompagnamento ha inizio dal momento dell’accoglienza dell’allievo e prosegue attraverso l’elaborazione e la condivisione di un progetto formativo per- sonalizzato fino al sostegno nei processi di transizione post-formativa. La funzione del coordinatore tutor è in buona sostanza quella di presidiare il lavoro di squadra, facendo sì che i piani formativi siano effettivamente personaliz- zati, ovvero rispondenti alle caratteristiche ed esigenze di ciascuno, nella piena va- lorizzazione delle opportunità presenti nel contesto formativo di riferimento. Egli cura in particolare l’elaborazione progressiva del portfolio delle competenze perso- nali, in modo da delineare percorsi coerenti, efficaci, ricchi di stimoli e di acquisi- zioni. Nella gestione dei formatori, l’Accordo Stato-Regioni del 15.01.04 prevede il seguente accorpamento: area dei linguaggi; area scientifica; area tecnologica; area storico-socio-economica; area professionale. Il monitoraggio rivela soluzioni molto varie, pur sempre nell’intento di trovare una semplificazione delle “classi” in cui le figure dei formatori vengono distinte. Risulta molto incoraggiante l’impegno di formazione dei formatori, anche se nella maggior parte dei casi l’iniziativa è presa dall’Ente/Centro, anche sulla base dell’intesa con la Regione. La ricchezza e va- rietà degli argomenti (cooperative learning, pianificazione, progettazione, metodo- 18 logia didattica attiva, gestione della classe, tecniche di gestione d’aula, gestione di conflitti d’aula, sviluppo delle unità di apprendimento, valutazione autentica) con- fermano che su queste risorse si sta investendo per una nuova stagione del sistema. 2. UNA PROSPETTIVA DI SISTEMA In definitiva, l’esito del monitoraggio non può che essere visto positivamente: si tratta nella gran parte dei casi di un vero e proprio movimento di rinnovamento pedagogico ed organizzativo che si muove su una prospettiva unitaria ed articolata, in grado di sostenere la creazione del sistema educativo di istruzione e formazione, così come da più parti sollecitata. I fattori di rilevanza delle prassi sperimentali sono pertanto riconducibili ai tre elementi in precedenza citati: la prospettiva edu- cativa; la prospettiva dell’autonomia e della pari dignità dei vari organismi eroga- tivi; la prospettiva della governance da parte di Regioni e Province Autonome. Si tratta di dare corso a tale ricchezza sperimentale, al fine di superare definiti- vamente la stagione della precarietà e della aleatorietà del sistema di formazione professionale, attraverso una proposta di qualità, pluralistica, garante degli standard comuni, di pari dignità, entro un sistema stabile ed organico che garantisca il soddi- sfacimento dei diritti educativi e formativi dei cittadini. Ciò allo scopo di elevare il livello culturale della popolazione tramite una plu- ralità di offerte differenti, di pari dignità, coerenti con il profilo educativo culturale e professionale comune, specie riguardo al sistema di istruzione e formazione pro- fessionale progressivo, pluralistico, che si colloca lungo tutto il corso della vita va- lorizzando gli apprendimenti formali, non formali e informali; combattere l’esclu- sione sociale con interventi ad hoc in rapporto ai vari soggetti; sviluppare un si- stema di programmazione e di governance centrato sulla scelta delle famiglie e degli utenti, sulla stabilità e sulla continuità, sulla qualità complessiva. 19 II parte: ESITI DEL MONITORAGGIO 1. RACCOLTA DATI Per la raccolta dei dati ci si è avvalsi di un questionario e di una serie di in- contri con i referenti regionali delle due organizzazioni CNOS-FAP e CIOFS/FP che avevano in precedenza compilato lo stesso questionario. Durante gli incontri, ci si è soffermati sui diversi quesiti per approfondimenti, chiarimenti e per eviden- ziare aspetti comuni e differenze tra le varie realtà regionali rappresentate. Di seguito, riportiamo le risposte fornite ai singoli quesiti del questionario dai referenti regionali e i relativi commenti elaborati dai responsabili del monitoraggio. Il questionario utilizzato viene riportato integralmente in appendice; qui, per facili- tare la lettura, si focalizza quesito per quesito. 2. DATI SULLA PROGRAMMAZIONE Riportiamo quanto richiesto, le riposte fornite da ciascun referente dei due Enti coinvolti (CNOS-FAP e CIOFS/FP) e una analisi critica di sintesi conclusiva. 2.1. Dati richiesti sulla programmazione La tematica della programmazione è stata affrontata nel lavoro di monito- raggio distinguendo tra le seguenti voci. 1) Circa l’offerta formativa, si sono considerate le diverse possibilità: a) Percorsi biennali integri (a totale responsabilità e gestione del CFP) b) Percorsi triennali integri c) Percorsi destrutturati (per soggetti in difficoltà, anche nella forma dei LARSA) d) Percorsi integrati con forte rilievo della scuola e) Percorsi integrati con forte rilievo dei CFP f) Integrazione curricolare (moduli formativi tecnico-professionali svolti per studenti presenti in percorsi scolastici) 2) Circa gli standard formativi, due sono le fonti di riferimento: a) gli standard minimi delle competenze di base (Accordo Stato-Regioni del 15-01-04) b) gli standard professionali relativi al repertorio della Regione, da integrare 20 con i precedenti, meglio se entro un disegno coerente con la bozza del PECUP del secondo ciclo al fine di garantire unitarietà all’insieme. Vi possono essere Regioni innovative; vi possono essere, di contro, Regioni che continuano ad adottare strategie legate alla prospettiva della FP “tradizio- nale”. 3) Circa il titolo di studio, si sono delineate le seguenti possibilità: a) percorsi che mirano alle qualifiche di istruzione e formazione professio- nale, ovvero qualifiche di nuovo tipo (regionali, valide sul livello nazionale perché coerenti con gli standard) che consentano il prosieguo formativo (non solo in quanto crediti) al IV anno b) percorsi che mirano a qualifiche tradizionali (solo regionali, solo di idoneità lavorativa) e semmai riconoscono solo i crediti per l’esame di iscrizione al III anno degli Istituti professionali di Stato. Naturalmente, le due possibilità possono essere compresenti. 4) Circa lo stile di programmazione si sono ipotizzati due tendenze: a) Regioni con uno stile direttivo-accentrativo (ad esempio in tema di stan- dard, didattica, valutazione e certificazione), b) Regioni, al contrario, che consentono spazi di proposta da parte degli Enti, anche tramite ATS. 2.2. Risposte sulla programmazione Riportiamo le riposte fornite sul questionario dai referenti delle diverse Re- gioni coinvolte. 2.2.1. Abruzzo 1) Percorsi triennali integri. 2) Gli standard minimi delle competenze di base (Accordo Stato-Regioni del 15- 01-04). 3) La Regione Abruzzo non ha ancora definito il nuovo modello di qualifica. 4) Lo stile di programmazione consente spazi di proposta da parte degli Enti. 2.2.2. Calabria Circa l’offerta formativa è in corso un percorso triennale integro, del quale è terminato il I anno. Il percorso attuato dal CIOFS/FP di Reggio Calabria è stato presentato in ATS con un gruppo di Enti formativi della Calabria. Per il percorso è stata attivata una “Commissione interistituzionale” con un Istituto tecnico e un con- sorzio di aziende. Il nuovo piano per la formazione nell’obbligo formativo 2004 prevede invece percorsi triennali integrati con l’obbligo di realizzare 900 ore nella scuola. Di tali 900 ore la scuola è totalmente responsabile. Circa gli standard formativi non esiste un repertorio regionale. La Regione de- finisce il monte ore da dedicare alle competenze di base, trasversali e professionali 21 nel Bando e il gruppo di progettazione dell’Ente definisce gli obiettivi. Il nuovo piano e di conseguenza i progetti presentati sul nuovo Bando fanno riferimento agli standard minimi delle competenze di base (Accordo Stato-Regioni del 15-01-04). Circa il titolo di studio i percorsi mirano alle qualifiche tradizionali. Lo stile di programmazione è accentrativo in relazione al progetto approvato e alla documentazione, mentre consente spazi propositivi in tema di standard, meto- dologia didattica, modalità di valutazione. 2.2.3. Emilia Romagna In Emilia Romagna la situazione dei bienni è rimasta uguale anche dopo la ri- forma Moratti. Non è cambiato nulla se non le qualifiche rilasciate. I bienni con le “vecchie” qualifiche sono stati regolarmente portati a termine. 1) Offerta formativa: percorsi biennali integri (a totale responsabilità e gestione del CFP); percorsi integrati con forte rilievo della scuola 2) Standard formativi: gli standard minimi delle competenze di base (Accordo Stato-Regioni del 15-01-04); gli standard professionali relativi al repertorio della Regione, da integrare con i precedenti (ma non c’è il PECUP) 3) Titoli di studio: si continua con le qualifiche tradizionali e semmai si ricono- scono solo i crediti per l’esame di iscrizione al III anno degli Istituti Professio- nali di Stato. 4) Stile di programmazione: stile direttivo accentrativo. 2.2.4. Friuli Venezia Giulia 1) Offerta formativa: percorsi integrati con forte rilievo dei CFP. Oltre ai nuovi percorsi integrati di IeFP ci sono anche alcuni corsi in conclu- sione con i vecchi “Ordinamenti didattici regionali”: 1 percorso biennale a chiusura quest’anno (Elettricista impianti civili e industriali); 3 percorsi trien- nali a chiusura quest’anno (2 Automazione industriale e 1 Conduttore CNC); 4 percorsi triennali a chiusura il prossimo anno (2 Automazione industriale, 1 Conduttore CNC, 1 Montatore/manutentore). 2) Standard formativi: gli standard minimi delle competenze di base. Per gli stan- dard professionali si fa ancora riferimento ai vecchi percorsi (che erano già triennali), dato che la Regione non ha fornito un nuovo repertorio per gli stan- dard professionali. 3) Titoli di studio: qualifiche IeFP di nuovo tipo. Apertura al IV anno con il rico- noscimento dei crediti. 4) Stile di programmazione: spazi di proposta da parte degli Enti. Il riconosci- mento della pari dignità tra CFP e Istituto Statale, “dovrebbe” lasciare un’aper- tura agli Enti verso l’autonomia scolastica. 2.2.5. Lazio Percorsi biennali integri: biennali (1.100 h/anno) in alternanza. Rilascio di qualifica in base alla legge 144. Anche per quest’anno la Provincia di Roma pre- 22 vede un numero seppur ridotto di tali iniziative. Nell’articolazione dei due anni è stata introdotta, su precisa indicazione della Provincia, un modulo obbligatorio (così com’era stato per la sicurezza sui luoghi di lavoro) di ecologia. Secondo quanto indicato dal Bando, la formazione di base è da intendersi come l’insieme dei fondamenti della professionalità che il percorso intende formare: tranne i su ci- tati moduli non vi è alcun limite imposto all’Ente proponente che costruisce il per- corso sulla base dell’analisi dei compiti e delle competenze della figura professio- nale in oggetto. Il modello di seguito rappresentato è, quindi, un esempio di cosa ha prodotto il CIOFS/FP Lazio per un figura professionale in oggetto (i progetti ap- provati avevano come riferimento anche figure dell’area amministrativa, contabile, turistica). Percorsi triennali con forte rilievo dei CFP: il massimo dell’offerta formativa è costituita da triennali che, al termine del percorso, forniranno qualifica IeFP, di conseguenza consentono l’accesso al IV anno. Al momento, non ci sono né accordi con il MIUR né Circolari regionali o provinciali che destinino fondi all’attivazione del IV anno per il conseguimento del diploma nella FP. Quindi, i ragazzi dei sei percorsi triennali che quest’anno concluderanno il ciclo si rivolgeranno a Istituti statali. La percentuale di ragazzi – che grazie ai tre anni di formazione e alle atti- vità di rafforzamento dell’autostima, sostegno alla motivazione, costruzione del setting d’apprendimento, bilancio di posizionamento e capacità, d’orientamento alla scelta corretta e di accompagnamento – è salita notevolmente, tanto che già possiamo parlare di un buona percentuale di allievi che proseguono sino al di- ploma. L’offerta di servizi orientativi (informazione orientativa, formazione orienta- tiva, consulenza ed accompagnamento) è interna al percorso (con ore finanziate dentro le 1.100), ma anche esterna grazie alle attività dei responsabili dei Servizi d’orientamento che provvedono ad attivare interventi sull’aula ed individuali, par- tecipano, se del caso, ai Collegi dei formatori e incontrano famiglie ed operatori. Vista l’aumentata richiesta da parte dei CFP, ma anche del territorio, di azioni mirate alla prevenzione o alla riduzione del fenomeno dell’abbandono e grazie al- l’uscita di bandi ad hoc, presentiamo progetti che prevedono azioni di informa- zione, formazione, consulenza, counselling, bilancio e tutoring tutte mirate a far permanere il soggetto nel percorso di istruzione e formazione, ma anche ad agire sulle altre due componenti, docenti/formatori e famiglie, perché il sistema si adegui al rinnovato fabbisogno espresso dai giovani e risponda efficacemente alle sfide che da essi provengono. Si precisa che detti progetti non fanno riferimento ad un repertorio regionale (che per altro non c’è): l’unica richiesta è quella di far riferimento al “Codice ORFEO” per contestualizzare la figura oggetto di formazione in un preciso con- testo. Come si può evincere dal modello (che poi è la rappresentazione grafica del percorso richiestaci dal formulario provinciale) il progetto può situarsi fra un “ese- cutivo” e un “dettaglio”. 23 2.2.6. Liguria I progetti sono tutti a titolarità CNOS-FAP e si svolgono in taluni casi con la collaborazione delle istituzioni scolastiche. È stata attuata la tipologia di tipo b con elaborazione di progetti di massima triennali e con specifica contenutistica e metodologica per quanto concerne il I anno (indicazione delle UdA, obiettivi formativi, metodologie, durata, docenti pre- visti, ecc.). Allegati al progetto: qualifiche docenti, caratteristiche strutturali del Centro, schede finanziarie, modello di portfolio. La metodologia progettuale è stata oggetto di una forte azione di omogeneizza- zione metodologica raggiunta attraverso il lavoro di gruppi tecnici coordinati dalla Regione e attraverso i corsi di aggiornamento citati più avanti. In tal modo, si è pervenuti sostanzialmente ad un “modello ligure” di progetta- zione informato al principio della necessità di indicare a progetto obiettivi forma- tivi e struttura del corso in UdA, lasciando però una forte autonomia ai singoli Centri e ai collegi docenti sulle modalità concrete di svolgimento del percorso e di raggiungimento degli obiettivi stessi, in base alle esigenze dei gruppi classe e alle necessità di personalizzazione dei percorsi. 2.2.7. Lombardia 1) Offerta formativa: tutti i Centri della Lombardia (6 CIOFS/FP e 4 CNOS-FAP) hanno attivato percorsi biennali e triennali gestiti integralmente dalla FP. 2) Standard formativi: nei percorsi triennali (e nei biennali “riallineati” ai trien- nali) da quest’anno formativo si fa riferimento agli standard minimi dell’Ac- cordo Stato-Regioni. Le competenze professionali, invece, in assenza di indi- cazioni regionali, sono state definite dal coordinamento inter-Ente che sovrin- tende alla sperimentazione triennale. 3) Titoli di studio: nei corsi triennali (e nei biennali “riallineati” ai triennali) da quest’anno formativo viene rilasciata la “nuova” qualifica IeFP riconosciuta a livello nazionale. 4) Stile di programmazione: la Regione Lombardia pur invitando gli operatori a far riferimento alle “Linee guida” delle differenti comunità professionali ela- borate dal gruppo di coordinamento delle ATS che operano nella sperimenta- zione triennale, non vincola in modo categorico gli Enti e lascia spazi di pro- posta e di personalizzazione significativi. 2.2.8. Piemonte 1) Offerta formativa Percorsi biennali: in generale vengono proposti corsi biennali integri, a com- pleta gestione del CFP. Dal 2004-05 i percorsi biennali sono rivolti a allievi che abbiano frequentato almeno un anno nella scuola (con o senza successo) e che abbiano 15 anni. Alla fine dei due anni conseguiranno una qualifica che è la stessa dei triennali e sosterranno un esame finale identico a quello dei trien- 24 nali (i biennali sono corsi che permettono di gestire la fase transitoria di pas- saggio dai biennali vecchia maniera ai triennali del diritto-dovere). Percorsi triennali: in generale i corsi triennali sono in collaborazione con la scuo- la; in questi il CFP assume forte rilievo. Sia per i percorsi biennali che per quel- li triennali è stata firmata, con le varie scuole di riferimento territoriale, una Con- venzione che precisa l’area della collaborazione: lo studio dei propri percorsi in vista della certificazione dei crediti e quindi di eventuali LARSA. In generale si prevede che la scuola svolga presso il CFP sulle competenze di base (di solito, italiano, inglese e matematica) 200 ore il I anno, 130 il II anno e 70 il III anno. 2) Standard formativi Ci si riferisce agli standard minimi previsti dall’Accordo Stato-Regioni di cui sopra per quanto riguarda le competenze di base; per quel che riguarda invece l’ambito professionalizzante il riferimento cardine è il PECUP accompagnato dalle guide che le comunità professionali forniscono. In Regione Piemonte sono stati definiti gli standard sia sulle competenze di base che su quelle pro- fessionalizzanti in relazione al modello e al software di progettazione della Re- gione stessa. La definizione dei profili delle competenze di base sono stati con- cordati in un tavolo regionale che vede la presenza della Regione, del MIUR, delle Province, degli Enti di formazione professionale, delle Parti sociali, del- l’IRRE e di altri ancora. 3) Titoli di studio I corsi seguono la prima tipologia indicata. I titoli di studio rilasciati sono qua- lifiche triennali che forniscano credito agli allievi qualora questi ultimi vo- gliano proseguire come studenti scolastici previo azzeramento dei debiti for- mativi che la scuola determina in sede di prescrizione. Come modalità si se- guirà quella prevista dall’Accordo Stato-Regioni del 2004 relativa ai passaggi tra sistemi. Nel tavolo regionale, in accordo con il MIUR, si è predisposto il modello di gestione dei LARSA. La qualifica verrà certificata con il modello di quell’Accordo che prevede già la certificazione di qualifiche di nuovo tipo (qualifiche IeFP regionali valide a livello nazionale). Ad oggi non è prevista l’organizzazione del IV anno indicato dalla riforma. 4) Stile di programmazione Lo stile è di tipo direttivo/accentrativo per quanto riguarda l’emissione degli atti di indirizzo e dei Bandi. La Regione Piemonte prevede dei “profili stan- dard” che sono uguali per tutti (sono stati concordati all’interno di Commis- sioni regionali composte dagli Enti di FP), prevede un modello e un software di progettazione dei percorsi (SINFOD) e un software per la gestione della va- lutazione e di conseguenza della modalità di certificazione (VALUTA). Al- l’altro lato lascia agli Enti la scelta delle modalità di progettazione dei percorsi formativi, delle modalità didattiche e di valutazione. Con le sperimentazioni ha lasciato ampio spazio di proposta agli Enti costituitisi anche in ATS. 25 2.2.9. Puglia Circa l’offerta formativa, la Regione Puglia prevede percorsi integrati con forte rilievo del CFP che progetta l’azione formativa. I progetti devono rispondere ad alcuni principi: a) devono essere finalizzati ad assicurare ai giovani una proposta formativa di carattere educativo, culturale e professionale, in modo tale che ogni al- lievo ottenga un risultato soddisfacente in termini di acquisizione di una qualifica professionale, come supporto per l’inserimento lavorativo, e possa, qualora lo ri- tenga, proseguire il proprio iter formativo nell’ambito dell’istruzione o della forma- zione professionale; b) devono prevedere la realizzazione dell’attività tramite una metodologia didattica espressa in termini di competenze culturali di base, trasver- sali e tecnico-professionali e tramite stages formativi, in stretta collaborazione con le imprese del settore di riferimento; c) devono prevedere una rilevanza orientativa per sviluppare nell’allievo la consapevolezza del “proprio progetto di vita” e del percorso intrapreso. In fase di progettazione, la presenza della scuola si rivela decisiva in quanto, pena l’inammissibilità del progetto, deve essere presentato il parere favorevole del Collegio dei docenti dell’istituto scolastico all’attuazione dell’attività e una dichia- razione di intenti sottoscritta dai due rappresentanti legali con la quale i due sog- getti si impegnano a predisporre un’apposita Convenzione, qualora il progetto venga approvato. Le ore di docenza a carico della scuola sono 900 su un totale di 3.600 ore triennali e riguardano le discipline culturali di base (lingua italiana e in- glese, cultura storico sociale, diritto, economia, matematica e scienze). Circa gli standard formativi, la Regione Puglia non ha un repertorio di standard professionali e sono quindi utilizzati come fonti di riferimento gli standard minimi delle competenze di base (Accordo Stato-Regioni del 15-01-04); le competenze pro- fessionalizzanti sono stabilite dal CFP in fase di progettazione di massima. Circa il titolo di studio, la Regione Puglia prevede che per tutti i corsi sia rila- sciato un attestato di qualifica professionale; tale qualifica deve rientrare tra quelle riconosciute dal Ministero del Lavoro o da specifiche leggi nazionali e regionali, oppure qualifiche previste nei contratti nazionali di lavoro o contemplate nei reper- tori ISFOL, o indicate nella “Classificazione delle professioni” dell’ISTAT. Circa lo stile di programmazione, la Regione Puglia consente agli Enti spazi di proposta: sui contenuti; sulle metodologie didattiche che si intendono utilizzare; sui criteri di valutazione; sulla organizzazione dei moduli formativi; sulla metodologia per il riconoscimento dei crediti formativi e la certificazione delle competenze. Il tutto deve essere esplicitato nel progetto di massima. 2.2.10. Sardegna 1) Offerta formativa: percorsi triennali integri. 2) Standard formativi: standard professionali relativi al repertorio della Regione (integrati con gli standard formativi per i percorsi di IeFP modello CIOFS/FP - CNOS-FAP). 26 3) Titoli di studio: la Regione rilascia, per il percorso sperimentale di Formazione Professionale Regionale in rispondenza alla Legge n. 53/2003, la qualifica di: “Operatore/Operatrice polivalente area professionale: qualifica”. Le qualifiche sono rimaste quelle tradizionali. 4) Stile di programmazione: stile direttivo e accentrativo, in riferimento al “Pro- gramma delle attività inerenti al percorso sperimentale di formazione profes- sionale regionale in rispondenza alla Legge 53/2003 - Disposizioni attuative - Anno Formativo 2004/2005, della Regione Autonoma Sardegna - Assessorato del Lavoro, Formazione Professionale, Cooperazione e Sicurezza Sociale”. Le Disposizioni attuative si riferiscono a modalità di rilascio delle certificazioni intermedie ai fini del riconoscimento di crediti in ingresso finalizzato al pas- saggio tra i sistemi (si rinvia integralmente alle disposizioni contenute nell’Ac- cordo Quadro sancito dalla Conferenza Unificata nella seduta svoltasi il 28-10- 2004); impianto progettuale e articolazione didattica, crediti formativi, fre- quenza e dispersione formativa, diritti utenza, docenze, registro didattico, stage, azioni di personalizzazione, sistema di valutazione, tutor, monitoraggio, esami finali. 2.2.11. Sicilia 1) Offerta formativa 28 corsi triennali attivi nel 2005, della tipologia (b) “Percorsi triennali integri”, di cui: 13 di I anno; 13 di II anno; 2 di III anno; 3 percorsi della tipologia (f) “Integrazione curricolare”, moduli formativi tecnico-professionale svolti per studenti di 3 percorsi scolastici. 2) Standard formativi Gli standard minimi delle competenze di base (Accordo Stato-Regioni del 15- 01-04) sono pienamente presenti in tutti i primi anni, però sui secondi e terzi anni siamo molto vicini agli standard dell’Accordo stesso. Per quanto riguarda gli standard professionali, non esiste ancora un “Repertorio regionale”, per cui si fa riferimento al profilo professionale elaborato e proposto dalle Sedi nazio- nali di CIOFS/FP e CNOS-FAP. 3) Titoli di studio Nella Regione Sicilia già quest’anno vanno ad esami due percorsi triennali di nuovo tipo e si adotterà il nuovo tipo di certificazione (valida sul livello nazio- nale corrispondente al II livello europeo, perché coerente con gli standard). Nella Circolare di programmazione per il “Piano formativo 2004-2005” (del 11-06-2004) si parla di presentazione di progetti almeno triennali dell’istru- zione e della formazione professionale o dell’apprendistato (per i 15enni). Avendo già presentato (17-06-05), con la progettazione per l’anno 2005-2006, il progetto quadriennale (diploma) per “Tecnico dei servizi turistici”, per quegli allievi che in giugno andranno ad esami di qualifica triennale, possiamo affermare che ci è stato assicurato da parte dell’Assessorato Regionale che il 27 IV anno è del tutto possibile (pur non avendo, come la Liguria, una Conven- zione). Possiamo anticipare che tutti i nuovi progetti (14 corsi per il 2005- 2006) sono quadriennali. 4) Stile di programmazione La Regione Sicilia ha lasciato spazi sufficienti per esprimersi, da quest’anno ha imposto la declinazione degli standard minimi delle competenze di base con un monte ore non inferiore a 350 ore annue, l’area dei LARSA con orienta- mento iniziale, posizionamento e presentazione del percorso per un totale di almeno 250 ore, lo stage e attività di laboratorio e naturalmente le discipline professionalizzanti (per un totale di 450 ore). A livello di didattica, valutazione e certificazione non ha imposto nulla. 2.2.12. Umbria 1) Offerta formativa: percorsi biennali integri a totale responsabilità e gestione del CFP; percorsi integrati con forte rilievo della scuola 2) Standard formativi: si continuano ad adottare strategie legate alla prospettiva della “tradizionale” FP 3) Titoli di studio: si continua con le qualifiche tradizionali 4) Stile di programmazione: si consentono spazi di proposta da parte degli Enti, anche tramite ATS. 2.2.13. Veneto 1) Offerta formativa La Regione Veneto, per l’anno formativo 2002-2003, ha attivato una speri- mentazione rivolta solo ai corsi del settore secondario introducendo i percorsi triennali, della durata complessiva di 3.200 ore, configurandoli come “per- corsi integrati con forte rilievo dei CFP” al I anno (era ancora in vigore la legge 10/99), e come “percorsi triennali sperimentali, interamente FP” al II e al III anno. Dall’anno formativo 2003-2004, sono stati avviati in tutti i Centri percorsi triennali integri di 3.200 ore. Inoltre, ci sono i percorsi biennali in- tegri che arriveranno alla qualifica nell’anno formativo in corso (2004-2005). 2) Standard formativi Gli standard formativi sono stati messi nel Bando, le competenze in uscita sono in fase di elaborazione. Non sono stati predisposti nuovi standard profes- sionali, tuttavia un gruppo tecnico di FORMA ha elaborato un elenco dei com- parti e delle relative figure professionali, di comune accordo inserite nei pro- getti 2004/2005. 3) Titoli di studio Per i percorsi biennali integri in fase di completamento sono previste quali- fiche tradizionali; per i percorsi triennali integri si prevedono qualifiche di nuovo tipo. La prosecuzione nel IV anno è in fase di studio. 28 4) Stile di programmazione Lo stile di programmazione è un misto con la Regione che dà alcune indica- zioni vincolanti (macroprogrammazione), mentre la traduzione operativa viene lasciata al singolo Centro (microprogrammazione). 2.3. Commenti sulla programmazione Circa l’offerta formativa, prevalgono i percorsi triennali integri, cui segue una quota di percorsi biennali che si svolgono anche in collaborazione con la scuola il cui impegno appare peraltro contenuto all’area delle cosiddette discipline culturali di base. Ciò significa che in generale i percorsi evidenziati vedono una forte rile- vanza del CFP in quanto istituzione formativa titolare, in grado di dare vita ad una progettualità fortemente innovativa ed omogenea. Non emerge pertanto un utilizzo di questi ultimi come un sostegno “assistenziale” nei confronti di ragazzi iscritti ai percorsi scolastici e posti in situazione di difficoltà di apprendimento o di disagio personale e sociale. Solo in Emilia Romagna e in Umbria emergono percorsi se- condo il modello integrato che, prevedendo una forte prevalenza della scuola, sono da collocare entro questa tipologia. Circa gli standard formativi, il riferimento generale va gli standard minimi del- le competenze di base (Accordo Stato-Regioni del 15-01-04), con l’aggiunta degli standard professionali relativi ai vari repertori regionali. In Lombardia e Liguria que- sti ultimi sono stati elaborati dal coordinamento inter-enti formativi con apposite gui- de metodologiche per le diverse aree professionali coinvolte. Anche il Piemonte ha elaborato nell’ambito dell’associazione apposita delle guide che prevedono una ri- elaborazione degli standard formativi a partire dal PECUP; qui è presente un sistema piuttosto sofisticato di standard formativi elaborato entro una Commissione regiona- le. In Umbria non vi è riferimento ai nuovi documenti, neppure a quelli concordati in sede di coordinamento Stato-Regioni, visto che emerge la logica della FP tradizionale, antecedente addirittura all’obbligo formativo del 1999. In Veneto, pur in presenza di un disegno formativo nuovo, non vi è l’elaborazione degli standard professionali; si fa riferimento ad un documento proposto da un gruppo tecnico di FORMA. Circa i titoli di studio, la situazione presenta una rilevante dicotomia: da un la- to, troviamo un gruppo consistente di Regioni (Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sicilia) che adottano il nuovo titolo di istruzione e for- mazione professionale, valido su tutto il territorio nazionale ed aperto al IV anno di IFP; dall’altro, vi sono Regioni (Abruzzo, Emilia Romagna, Umbria) che continua- no con le qualifiche di vecchio tipo non valide per l’assolvimento del diritto-dovere. Probabilmente si tratta di una impostazione che è in via di modifica, visto che la pre- sa d’atto dell’approvazione dei decreti attuativi della legge 53/03 sembra aver ri- chiesto del tempo; ma va detto che questo ritardo di adeguamento crea un’effettiva discriminazione dell’utenza che potrebbe trovarsi di fronte ad un titolo che non ha va- lore di assolvimento del diritto-dovere, ciò che comporta gravi conseguenze nel fu- turo. Si fa anche riferimento ai passaggi al sistema scolastico, ma si tratta di una que- 29 stione di ordine differente, che attiene al sistema di riconoscimento dei crediti. Se in- vece i nuovi percorsi hanno solo valore di credito, si ripropone il problema della dis- criminazione di cui sopra, e si evidenzia il mancato riconoscimento della pari digni- tà dei percorsi, sempre con conseguenze negative sull’utenza. Circa infine lo stile di programmazione, emergono due gruppi: Regioni che consentono uno spazio di proposta da parte degli Enti: Abruzzo, Liguria, Lom- bardia, Sicilia; Regioni che invece presentano uno stile direttivo ed accentrativo (Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Piemonte, Sardegna, Umbria). Il Veneto presenta uno stile misto. 3. DATI SULLA TIPOLOGIA DEL PERCORSO Riportiamo quanto richiesto, le riposte fornite da ciascun referente dei due Enti coinvolti (CNOS-FAP e CIOFS/FP) e una analisi critica di sintesi conclusiva. 3.1. Dati richiesti sulla tipologia del percorso La tematica della tipologia del percorso è stata affrontata nel lavoro di monito- raggio distinguendo tra le seguenti voci. Per quanto concerne la presentazione dei percorsi formativi strutturati, si pro- pongono le seguenti variabili: a) titolarità (interamente FP; interamente integrato; misto scuola-FP); b) durata in anni (biennale o triennale); c) durata in ore. Inoltre, si chiede di precisare se vi sono anche iniziative diverse dai percorsi formativi strutturati, e precisamente: a) Alternanza b) Svantaggio c) Orientamento (quando sono attività ad hoc, che vanno oltre il livello di orien- tamento basilare tipico di ogni corso) d) Apprendistato in diritto dovere e) LARSA esterni sia orientativi sia formativi. 3.2. Risposte sulla tipologia del percorso Riportiamo le riposte fornite sul questionario dai referenti delle diverse Re- gioni coinvolte. 3.2.1. Abruzzo Percorso triennale di 3.000 ore globali (2.730 ordinario + 300 di LARSA), in- teramente FP; 910 ore di formazione ordinaria + 90 ore di LARSA = 1.000 ore an- nuali, con 500 ore di stage totali ripartite tra il II e il III anno (200 + 300). 30 3.2.2. Calabria Titolarità: interamente FP. Proponente: ATS P.O.F. Calabria Attuatore: CIOFS/FP di Reggio Calabria Percorso: Operatore installatore impianti idraulici e solari Durata: triennale, 3.200 ore Data inizio: 27 settembre 2004 Per la realizzazione del percorso è stato costituito un “Gruppo interistituzio- nale” composto da rappresentanti degli Istituti di secondo grado partner, del CIOFS/FP e delle aziende, coordinato dal Coordinatore del percorso formativo, con compiti di indirizzo a livello di attuazione progettuale, di monitoraggio dell’inter- vento, di accertamento e riconoscimento dei crediti. L’integrazione si realizza a livello di intervento (individuazione/progettazione dei prodotti, moduli frequentati nei laboratori dell’Istituto tecnico con docenti del- l’istituto tecnico, sistema di valutazione delle competenze, alternanza, visite azien- dali) non a livello di gestione (questo aspetto è interamente FP). 3.2.3. Emilia Romagna Le qualifiche rilasciate sono quelle previste dal Modello A, Accordo Stato-Re- gioni. Il CIOFS/FP nella sede di Bologna ha un biennio interamente FP (qualifica di “Operatore delle vendite - area informatica hardware”) e un biennio interamente integrato (insieme alla scuola abbiamo riprogettato il percorso biennale e alcuni no- stri docenti svolgono presso la sede della scuola stessa 300 ore di lezione). Il corso interamente FP ha la durata di 1.800 ore. A queste si aggiungono altre 150 ore di “Attività di accompagnamento e servizi alla persona” (suddivise in 70 ore di frisbee, 30 di arrampicata, 50 di cortometraggio). Perché si possa avviare un corso occorre raggiungere almeno i 15 iscritti e per poter proseguire con il percorso del II anno, occorre che gli iscritti non siano meno di 15 (questo limite cambia a seconda delle Province). L’approvazione dei corsi è quadriennale, quindi per quattro anni consecutivi noi potremo far partire un nuovo corso al momento del raggiungimento del numero sufficiente di iscritti. Ci sono Centri professionali (non salesiani) che visto l’alto numero di utenti sono riusciti a far partire contemporaneamente quattro corsi dello stesso profilo professionale. Solo gli Enti accreditati hanno potuto partecipare ai Bandi per i corsi biennali. 3.2.4. Friuli Venezia Giulia Attivati 5 primi corsi per un totale di 70 allievi. Tutti corsi triennali, integrati, 1.200 ore annuali così suddivise: 1.050 ore curri- colari (810 a carico dei formatori del CFP + 240 ai docenti della scuola); 150 ore di LARSA con possibilità di codocenza (150 recupero, 150 sviluppo, 50 passaggio). 31 – Titolarità: interamente integrato svolto al CFP – Durata in anni: triennale – Durata in ore: 1.200 per anno = 3.600 Ci sono anche iniziative diverse dai percorsi formativi strutturati: apprendi- stato in diritto-dovere. 3.2.5. Lazio Il CIOFS/FP ha in atto a tutt’oggi: 5 primi anni biennali modello “alternanza” (1.100 ore annue = 2.200 intero percorso); 11 primi anni triennali (1.100 ore annue = 3.300 intero percorso); 12 secondi anni triennali (1.100 ore annue = 3.300 intero percorso); 6 terzi anni triennali (1.200 ore annue = 3.600 intero percorso). Tutti i percorsi triennali sono realizzati in convenzione con scuole del terri- torio, secondo quanto previsto dal “Protocollo d’Intesa del 24 luglio 2003 fra la Re- gione, il MIUR e il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e successivo ac- cordo quadro tra Regione Lazio e Ufficio Scolastico Regionale per la realizzazione dall’anno scolastico 2003/2004 di un’offerta sperimentale di Istruzione e Forma- zione Professionale nelle more dell’emanazione dei decreti legislativi di cui alla Legge 28 Marzo 2003, n. 53”. 3.2.6. Liguria I progetti sono tutti a titolarità CNOS-FAP, si svolgono presso tre sedi opera- tive, due di essi prevedono il coinvolgimento di istituzioni scolastiche. Tutti i progetti hanno la seguente impostazione oraria: 3.2.7. Lombardia In Lombardia è stata avviata una sperimentazione a partire dall’anno 2002/2003, con 35 corsi triennali che hanno affiancato i tradizionali biennali, che sarebbero andati via via diminuendo. La sperimentazione è continuata l’anno suc- cessivo, con 92 nuovi corsi divenuti, nell’anno 2004/2005, circa 250 (saranno circa 400 nel 2005/2006). Nell’anno 2004/2005, sono state attivate anche alcune sperimentazioni ge- stite dalla scuola. Inoltre, il 30-12-2004 è stata inviata una Circolare ai dirigenti scolastici degli Istituti tecnici e professionali in cui si informava circa la possibi- lità di attivare percorsi triennali di istruzione/formazione per il prossimo anno scolastico. 32 I corsi triennali hanno una durata oraria di 3.150 ore complessive, i biennali di 2.100 ore complessive, i biennali nell’area dello svantaggio di 2.045 ore complessive. Tutti questi corsi sono unicamente di FP. 3.2.8. Piemonte In Piemonte sono state fatte 2 sperimentazioni a livello regionale: “Sperimen- tazione 1”, con 8 corsi (di cui 3 del CNOS-FAP) che al momento si trova alla terza annualità, e “Sperimentazione 2”, con 23 corsi (di cui 6 del CNOS-FAP) che al mo- mento si trova alla seconda annualità. In quest’ultimo anno sono stati fatti un Atto di indirizzo della Regione e i Bandi delle Province che hanno portato a regime la sperimentazione sia con corsi triennali per i 14enni che con corsi biennali a partire dai 15enni che hanno frequen- tato un anno delle superiori (in Regione tra biennali e triennali ci sono più di 100 corsi). Sia i triennali che i biennali portano alla stessa qualifica con lo stesso esame finale. Questi corsi al momento sono al I anno. Tutti i percorsi triennali sono di 3.600 ore (1.200 ore ogni anno). Tutti i percorsi biennali sono di 2.400 ore (1.200 ore ogni anno). In generale i percorsi si svolgono in integrazione con la scuola (dove i docenti della scuola generalmente insegnano le parti relative alle competenze di base in particolare italiano, inglese, matematica) con le seguenti considerazioni: – nella “Sperimentazione 1” al I anno i docenti hanno fatto da 300 a 400 ore nei percorsi, mentre nel II e III anno non risultano se non in modesta parte, ore dei docenti della scuola; – nella “Sperimentazione 2” si è verificato un fenomeno simile alla “Sperimenta- zione 1” con un leggero ridimensionamento delle ore dei docenti sul primo anno e un leggero incremento nel secondo anno; – nei triennali del Bando diritto-dovere dagli accordi fatti si ha che mediamente, nei percorsi triennali, i docenti della scuola fanno 200 ore il I anno, 130 il II e 100 ore il III; i Centri di Bra e Rebaudengo non prevedono ore della scuola; – nei biennali del Bando diritto-dovere in alcuni casi sono previste mediamente 100 ore il I anno e 80 il II; in generale non si prevede la presenza dei docenti della scuola. Vi sono anche iniziative diverse dai percorsi formativi strutturati; precisa- mente: – Svantaggio: in alcuni CFP vengono fatti corsi destrutturati, di circa 1.000 ore, compresi nella direttiva diritto-dovere. Inoltre ci sono percorsi per giovani se- gnalati dai servizi sociali che vengono presentati sulla direttiva “Mercato del lavoro”. – Orientamento: tutti i CFP fanno azioni di orientamento (da 30 a 60 ore) con i ragazzi delle terze medie. Inoltre, alcuni CFP fanno azioni di orientamento con i primi anni delle superiori. 33 – Apprendistato in diritto-dovere: nei CFP sono attivi percorsi di apprendistato nel diritto-dovere. Nella Provincia di Torino, il CNOS-FAP è capofila di una ATS per questi percorsi. – LARSA esterni: al bisogno, nei CFP vengono attivati LARSA esterni per la ge- stione dei passaggi tra sistemi. Le Province prevedono un finanziamento per i LARSA, dietro presentazione di un progetto. 3.2.9. Puglia I percorsi hanno durata triennale, sono misti scuola e FP per la durata di 3.600 ore. Sono realizzati dalla Regione Puglia progetti di alternanza (tirocini formativi) e l’apprendistato in diritto-dovere; sono previste anche iniziative ad hoc per l’area dello svantaggio. 3.2.10. Sardegna Il CIOFS/FP nell’annualità 2003/2004 ha attivato: sperimentazioni prima an- nualità dei percorsi triennali interamente FP; sperimentazioni prima annualità dei percorsi triennali di carattere misto scuola-FP, in riferimento all’Atto di indirizzo, della Regione Autonoma della Sardegna e l’Ufficio Scolastico Regionale della Sar- degna - Direzione Generale, per la realizzazione di percorsi sperimentali integrati per il recupero dell’abbandono scolastico indirizzato ai giovani sprovvisti del Di- ploma di Licenza Media ai sensi del punto B del Protocollo d’intesa siglato il primo agosto 2003 tra i Ministeri dell’Istruzione e del Lavoro e la Regione Auto- noma della Sardegna. È stato firmato un Protocollo di intesa fra il CIOFS/FP e la scuola media per la realizzazione del percorso formativo articolato in 540 ore della scuola e 510 della FP. In base alle nuove disposizioni della RAS, per l’annualità 2004/2005, l’attiva- zione dei primi anni dei percorsi triennali è vincolata al fatto che ragazzi abbiano compiuto i 15 anni, abbiano conseguito la licenza media inferiore e non siano iscritti alla scuola superiore. Nell’annualità in corso, il CIOFS/FP Sardegna ha potuto attivare soltanto il proseguimento dei secondi anni dei percorsi triennali, in quanto per i primi anni sono state annullate le iscrizioni dei ragazzi nati nel 1990 e dei ragazzi provenienti da transiti. Pertanto, in nessun Centro CIOFS/FP, vi sono prime annualità in atto. 3.2.11. Sicilia La titolarità di tutti i percorsi formativi di IeFP sono interamente della FP (CIOFS/FP Sicilia). Sono di durata triennale, per 1.050 ore annuali. Anche per i quadriennali la durata è di 1.050 ore annue. Attualmente si stanno realizzando due (dei tre iniziali) progetti integrati con la scuola superiore statale (moduli formativi tecnico-professionale svolti per studenti in percorsi scolastici). 34 3.2.12. Umbria Le informazioni riportate nel presente documento si riferiscono all’anno for- mativo 2003/2004 e alla sperimentazione svolta dalla sede di Perugia dell’Associa- zione CNOS-FAP Regione Umbria. Non tiene conto di altre sperimentazioni che si sono svolte o si stanno svol- gendo nella Regione Umbria (altre agenzie formative o CFP) le cui modalità sono difformi da quanto di seguito specificato. Il Collegio formatori-docenti FP-SSS ha elaborato la valutazione finale del I an- no che consiste nella rilevazione circa il raggiungimento o meno degli obiettivi mi- nimi di apprendimento. Di 10 allievi 7 hanno raggiunto gli obiettivi minimi, 3 allie- vi non li hanno raggiunti… Nessuno dei 10 allievi ha proseguito nel II anno del per- corso triennale (il secondo Avviso per la presentazione dei progetti del II anno è sta- to pubblicato ad agosto 2004 con scadenza 08-09-2005… l’Avviso è contraddito- rio… prevede la doppia iscrizione FP/SSS… prevede l’individualizzazione del per- corso… attribuisce alla FP solo il 15% del monte ore… abbiamo richiesto modifica all’Avviso (in accordo con ITIS…) nessuna risposta…non abbiamo presentato il progetto per il II anno e nemmeno per il I anno (2004/2005). In conclusione: 9 allievi su 10 si sono iscritti e frequentano il I anno dei corsi biennali di FP (presso la nostra sede) 1 allievo si è iscritto al I anno di SSS ITIS, nonostante il parere sfavorevole del Collegio formatori-docenti, nessuno di loro ha ottenuto il riconoscimento di crediti per l’inserimento in annualità diverse dalla prima sia nella FP che nella SSS… La sperimentazione del corso triennale è stata caratterizzata dalla completa in- tegrazione FP/SSS. Il Protocollo d’intesa, l’Accordo USR/Regione, le “Linee guida” riservano alla FP il 15% delle ore, parte della quota dell’85% del curriculum nazionale obbliga- torio può essere destinata ad interventi di personalizzazione (diventata individualiz- zazione nell’Avviso pubblico agosto 2004). L’integrazione fra sistemi FP/SSS è stato caratterizzato dalla complementarietà organizzativa, dalla coprogettazione del corso (ITIS “A. Volta” di Perugia e Asso- ciazione CNOS-FAP Regione Umbria, sede di Perugia). Alla FP è stata riservata l’erogazione delle discipline dell’area professionaliz- zante e trasversale; alla SSS l’erogazione dell’area degli standard formativi minimi con una ripartizione oraria del 50%. 3.2.13. Veneto Nella Regione Veneto è stata effettuata una sperimentazione di percorsi trien- nali sia integri, sia integrati con la scuola superiore. Quest’anno i corsi sperimentali sono giunti al termine e sono stati sperimentati per la prima volta i nuovi esami di qualifica professionale IeFP. A partire dal 2003/04 nei Bandi regionali sono stati inseriti i corsi di durata triennale integri la cui progettazione doveva far riferimento alle indicazioni prove- nienti dalla sperimentazione. 35 Tali indicazioni comprendevano la distribuzione dell’orario delle varie aree su un totale di 1.000 ore, quelle previste anche quest’anno per il I anno. Di queste ore si dava facoltà ai Centri di effettuare variazioni di attività rispetto a quella preventi- vata per un totale del 10% entro cui potevano essere organizzati percorsi persona- lizzati, i LARSA ed altre eventuali attività. I corsi avviati l’anno prima sotto forma di percorsi di qualifica biennale (che comprendono sia i corsi in obbligo scolastico, sia i corsi biennali per 15enni) prose- guivano il percorso regolare, progettato al I anno, che prevedeva 2.100 ore com- plessive come monte ore minimo per sostenere gli esami di qualifica. I secondi corsi a percorso triennale sperimentale si avviarono, invece, con un monte ore di 1.100 e con la possibilità di utilizzare durante il percorso il 10% delle ore complessive, a discrezione del Centro, per attività complementari. Nel 2004/05 la situazione della FP nel Veneto è stata la seguente: nel I e II an- no tutti i corsi sono stati di tipo “percorsi triennali integri” (1.000 ore al I anno e 1.100 ore al II anno); nel III anno si sono conclusi i corsi a qualifica tradizionale (quelli provenienti dall’obbligo scolastico 450+1.050+1.050= 2.550 ore) e i corsi sperimentali triennali nei quali gli allievi hanno sostenuto il nuovo tipo di esame con un monte ore complessivo di 3.200, di cui 1.850 relative alle competenze tecnico professionali (di cui al massimo 120 ore di tirocinio al II anno e 320 al III anno). Il progetto va presentato ogni anno. La Regione Veneto, inoltre, indice annualmente un Bando per progetti di orientamento i cui capofila possono essere solo Enti accreditati. Tali progetti preve- dono reti di Enti di formazione, scuole secondarie di primo e secondo grado, asso- ciazioni di categoria e terzo settore. Le attività da prevedere in questi progetti sono le seguenti: a) moduli formativi di orientamento relativi al passaggio fra primo e secondo ciclo del sistema di IeFP; b) moduli formativi di orientamento e riorientamento relativi alla possibilità di cambiare indirizzo all’interno del sistema dell’istruzione e della FP, nonché di passare da un sistema all’altro, con particolare attenzione alle discipline e ai saperi di base dei vari indirizzi e la valorizzazione del dossier o portfolio per- sonale dell’alunno, accoglienza, rilevazione delle situazioni di ingresso; c) incontri e attività con le famiglie; d) attività rivolte ai giovani finalizzate a sostenere e promuovere la realizzazione dei percorsi personali nell’esercizio-assolvimento del diritto-dovere all’istru- zione e alla formazione; e) attività specifiche per giovani svantaggiati e a rischio (portatori di handicap, extracomunitari, con difficoltà di relazione, a rischio di espulsione o abban- dono, …). La provincia di Padova, con fondi regionali, finanzia dei percorsi personaliz- zati per ragazzi in obbligo formativo che sono segnalati all’“Ufficio provinciale ob- 36 bligo formativo” in quanto non sono inseriti in nessuno dei 3 sistemi (scuola supe- riore, FP o apprendistato). Per loro sono individuati dei percorsi ad hoc che preve- dono un primo colloquio con il “tutor obbligo formativo” della Provincia che, in accordo con il ragazzo e la famiglia, costruisce un progetto individualizzato la cui realizzazione è affidata ad un CFP. Il progetto di solito prevede ore di orientamento e/o di formazione individualizzata e/o di stage orientativo. Il tutto con l’obiettivo di far rientrare i ragazzi in uno dei tre sistemi. 3.3. Commenti sulla tipologia del percorso I percorsi rilevati prevedono le seguenti tipologie: 1) la tipologia prevalente riguarda percorsi triennali interamente a titolarità dei CFP e della durata di 3.000-3.600 ore globali con circa il 10% di ore per i LARSA interni (Abruzzo, Calabria, Liguria, Lombardia, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Veneto); 2) seguono i percorsi sempre triennali, ma, per ciò che concerne le risorse impie- gate, parzialmente integrati o in convenzione con le scuola del territorio (Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Piemonte, Sardegna, Sicilia); 3) successivamente si trovano percorsi triennali interamente integrati (Emilia Ro- magna, Puglia, Umbria) con titolarità e prevalenza oraria delle scuole; 4) inoltre, con casi limitati, si ritrovano percorsi biennali interamente FP (Emilia Romagna, Lombardia); 5) vi sono infine anche percorsi biennali in alternanza (Lazio). Va segnalato come la Lombardia presenti una vasta varietà di possibilità: ac- canto ai percorsi triennali a titolarità dei CFP, si ritrovano pure percorsi triennali interamente gestiti da Istituti tecnici e professionali. La differenza fondamentale che si coglie nell’elenco precedente è tra le Re- gioni che considerano tendenzialmente l’intera varietà di opzioni che coinvolgono tutti i vari organismi senza preclusione per alcuno di loro, con modelli sia a ge- stione integrale sia a gestione integrata, ma sempre prevedendo la titolarità dei CFP, e Regioni che tendenzialmente mirano a precludere una gestione diretta da parte dei CFP che vengono in tal modo utilizzati sotto forma di laboratorio pratico riferito a studenti che le scuole indicano come soggetti in difficoltà di apprendi- mento. Ciò si coglie anche nel modo in cui si intende l’opzione dell’integrazione: essa appare nel primo caso come una soluzione organizzativa a disposizione del CFP, oppure nel secondo caso rappresenta una modalità di impiego di quest’ultimo come un organismo in grado di “correggere” la didattica disciplinare della scuola, ma garantendone titolarità e prevalenza oraria. Considerato tutto ciò, possiamo quindi pervenire ad una sintesi circa le diverse soluzioni che originano le esperienze analizzate: siamo infatti di fronte ad una du- plicità di tipologie-base ovvero a prospettive pedagogiche ed organizzative tramite cui si costruiscono i percorsi formativi. 37 La prima si riferisce ad una visione pluralistica del sistema educativo, nel quale convivono le Istituzioni scolastiche e, con pari dignità rispetto a queste, le Istituzioni formative rappresentate essenzialmente dai CFP cosiddetti “storici” che presentano requisiti di idoneità circa tale compito educativo. In questa pro- spettiva, l’enfasi viene posta sulla unitarietà dei fattori di sistema (mete, stan- dard, metodologie di valutazione e certificazione delle competenze, gestione dei crediti e dei passaggi…), mentre dal punto di vista gestionale emerge la solleci- tazione a che i diversi organismi pongano in atto proposte formative fortemente innovative secondo i criteri della personalizzazione, dell’interdisciplinarietà, della pedagogia dei compiti. Si noti come, in tale visione, siano possibili anche soluzioni integrate intese come opzioni organizzative a disposizione degli orga- nismi formativi. La seconda presenta una visione scolasticistica del sistema educativo, nel senso che dal punto di vista della titolarità dei percorsi si considerano esclusiva- mente le Istituzioni scolastiche mentre i CFP vengono mobilitati come apportatori di opportunità didattiche prevalentemente tecnico-pratiche rivolte a studenti che si trovano per lo più in condizione di difficoltà di apprendimento. Sul piano metodo- logico, questa tipologia può prevedere anche talune innovazioni didattiche ed orga- nizzative, come nel caso dell’Emilia Romagna dove vediamo una progettualità co- mune (l’espressione integrata non consente lo sviluppo di uno sforzo progettuale comune tra scuole e CFP, ma la prevalenza delle prime tende a riscontrarsi anche sul piano dei processi di apprendimento e di valutazione che riflettono una domi- nanza dell’approccio disciplinare e il dualismo tra teoria e pratica). Come si può vedere, la questione di fondo riguarda il modo in cui si intende il sistema educativo, e la considerazione o meno della varietà di risorse a disposi- zione. Si noti a questo proposito che le sperimentazioni oggetto di rilevazione ri- guardano prioritariamente i Centri di formazione professionale, mentre le scuole presentano una loro cospicua offerta ordinaria cui, nei casi di Regioni che adottano i modelli “integrati”, si aggiunge anche quella derivante dall’utilizzo di finanzia- menti che erano destinati alla formazione professionale, così che le Istituzioni sco- lastiche finiscono per ricevere un doppio finanziamento per realizzare attività cui sarebbero tenute in base al finanziamento ordinario. Sorge quindi la necessità di comprendere meglio che cosa si intenda per inte- grazione. L’integrazione dei percorsi è in effetti un’opzione metodologia che gli or- ganismi erogativi possono far valere nel momento in cui se ne pone la necessità o se ne coglie l’opportunità; in tal senso essa può benissimo coesistere accanto ad altre, purché non venga resa obbligatoria dalla Regione. In quest’ultimo caso essa pare concepita come strategia consistente, espressione della volontà di precludere la gestione di percorsi direttamente da parte dei CFP. Si tratta di una questione de- cisiva, sotto la quale si evidenzia il tentativo di non riconoscere la pari dignità della formazione professionale. Il maggiore pluralismo dell’offerta favorisce indubbia- mente il successo formativo dei giovani, nessuno escluso, cosa che si riscontra pun- 38 tualmente sulla base degli esiti delle verifiche e dei monitoraggi, mentre la sua me- nomazione mira a precludere pregiudizialmente i CFP dal diritto-dovere e conduce ad una scarsa efficacia degli interventi sostenuti con i finanziamenti relativi alle sperimentazioni. In tal senso, gli approcci che fanno riferimento alla prospettiva del pluralismo formativo risultano maggiormente in grado di favorire l’elevazione culturale dei giovani, specie, ma non esclusivamente, delle componenti più in difficoltà rispetto alle tradizionali proposte formative. 4. DATI SULLA PROGETTAZIONE Riportiamo quanto richiesto, le riposte fornite da ciascun referente dei due Enti coinvolti (CNOS-FAP e CIOFS/FP) e una analisi critica di sintesi conclusiva. 4.1. Dati richiesti sulla progettazione La tematica della progettazione è stata affrontata nel lavoro di monitoraggio distinguendo tra le seguenti voci. Si considerino 3 tipologie progettuali: 1) il progetto di massima o formale (necessario per ottenere l’approvazione da parte dell’Ente finanziatore) che richiede lo sviluppo a grandi linee del per- corso formativo indicando aree formative, metodologie; 2) il progetto di dettaglio o micro-progettazione ovvero l’articolazione puntuale di obiettivi, competenze, risorse, metodologie, attività; 3) la relazione o dossier che vengono elaborati al termine del percorso e che rac- colgono la documentazione, una relazione di sintesi sull’attività, talvolta anche in riferimento al portfolio. Nell’individuazione del modello progettuale si suggerisce di utilizzare il cri- terio base costituto dalla possibilità o meno di svolgere un approccio personalizzato (la richiesta in sede formale di un progetto di dettaglio ex ante). Quale approccio viene adottato dalla Regione in ordine alla progettazione. 4.2. Risposte sulla progettazione Riportiamo le riposte fornite sul questionario dai referenti delle diverse Re- gioni coinvolte. 4.2.1. Abruzzo Si richiede il progetto di massima ovvero lo sviluppo a grandi linee del per- corso formativo indicando aree formative, metodologie, unità di apprendimento chiave… 39 4.2.2. Calabria La Regione adotta la tipologia riferita al progetto di massima o formale (neces- sario per ottenere l’approvazione e al quale è obbligatorio attenersi nello svolgi- mento dell’attività) che richiede lo sviluppo del percorso formativo indicando aree formative, moduli e unità didattiche. L’Ente sviluppa il progetto di dettaglio basato sulle UdA che vengono concor- date con la scuola e le aziende e sviluppate con i docenti. Il dossier del corso viene elaborato in itinere e al termine del percorso e racco- glie la documentazione, le valutazioni intermedie, i prodotti e il materiale (foto e video) dell’attività, la relazione di sintesi. 4.2.3. Emilia Romagna Le qualifiche sono regionali e stilate in base al Repertorio regionale. Si prevede il progetto di massima ovvero lo sviluppo a grandi linee del per- corso formativo indicando aree formative, metodologie, unità di apprendimento chiave… 4.2.4. Friuli Venezia Giulia La Regione richiede il “Progetto formale” (il formulario) con elencate le UF, la durata di ogni UF, le competenze, i contenuti e a grandi linee le modalità di valuta- zione. Il progetto di dettaglio (operativo) viene sviluppato in autonomia da ogni Ente e non viene richiesto dalla Regione. Qualche Ente riesce a programmare per UdA, facendo degli incontri settimanali tra formatori FP e docenti IS, altri lasciano la programmazione ai singoli insegnanti, mono-disciplinarmente. Si va da un estremo all’altro. Al CFP CNOS-FAP Bearzi si fa una programmazione tra formatori della FP senza riuscire a coinvolgere i docenti della scuola. La Regione richiede solo il calendario settimanale e le date degli esami (su ap- posita modulistica regionale). Si costituisce in itinere un dossier del corso che raccoglie tutta la documenta- zione prodotta e una relazione finale in sintonia col sistema qualità eventualmente adottato dall’Ente. La Regione consente il passaggio alla fine della prima annualità di allievi tra corsi appartenenti alla stessa area professionale (per esempio, tra “Conduttori” e “Montatori” dell’area meccanica). Quindi la scelta definitiva della qualifica è ri- mandata all’inizio del II anno. La Regione si riserva il monitoraggio delle modalità di attuazione dei progetti nei singoli Enti (realizzazione dei progetti esecutivi). 4.2.5. Lazio La Regione prevede il progetto di dettaglio o micro-progettazione ovvero l’ar- ticolazione puntuale di obiettivi, competenze, risorse, metodologie, attività. 40 4.2.6. Liguria È stata attuata la tipologia di tipo (2), con elaborazione di progetti di massima triennali e con specifica contenutistica e metodologica per quanto concerne il I anno (indicazione delle UdA, obiettivi formativi, metodologie, durata, docenti pre- visti, ecc.). Allegati al progetto: qualifiche docenti, caratteristiche strutturali del Centro, schede finanziarie, modello di portfolio. La metodologia progettuale è stata oggetto di una forte azione di omogeneizza- zione metodologica raggiunta attraverso il lavoro di Gruppi tecnici coordinati dalla Regione e attraverso i corsi di aggiornamento di seguito citati. In tal modo, si è per- venuti sostanzialmente ad un “modello ligure” di progettazione informato al prin- cipio della necessità di indicare a progetto obiettivi formativi e struttura del corso in UdA, lasciando però una forte autonomia ai singoli Centri e ai collegi docenti sulle modalità concrete di svolgimento del percorso e di raggiungimento degli obiettivi stessi, in base alle esigenze dei gruppi classe e alle necessità di personaliz- zazione dei percorsi. 4.2.7. Lombardia Per quanto concerne la Regione Lombardia viene presentato un progetto for- male all’atto della presentazione della domanda di finanziamento per il corso ri- chiesto. Dall’inizio della sperimentazione (2002-03), i riferimenti di fondo di tale progetto vengono elaborati dal coordinamento inter-Ente che ha redatto le “Linee guida settoriali”. Successivamente, indicativamente, dopo circa un mese dall’avvio dell’attività formativa, per consentire ai formatori di conoscere il gruppo classe e la sua confi- gurazione a diversi livelli, ciascun Centro rielabora un progetto di dettaglio indi- cando aree formative, metodologie e unità di apprendimento. Il progetto di detta- glio viene periodicamente rivisto in modo da verificare se quanto programmato è stato realizzato e se quello che rimane da realizzare possa essere raggiunto nel tempo indicato. Al termine del percorso, non viene elaborato nessun progetto operativo, ma si verifica se e in quale misura gli obiettivi pianificati sono stati raggiunti. 4.2.8. Piemonte A livello di presentazione iniziale del progetto, la Regione prevede l’utilizzo del software dedicato della macroprogettazione: – procedura informatizzata “LIBRA”: scheda delle caratteristiche del percorso (denominazione, target, orario, preventivo di spesa, caratteristiche specifiche del percorso, innovazioni metodologiche); – procedura informatizzata “SINFOD”: descrizione del percorso a livello di ma- croprogettazione. Si può parlare di un progetto formale in alcune sue parti, con dichiarazione delle attrezzature e di una presentazione di un macroprogetto entro due mesi dal- 41 l’avvenuto inizio del corso. Con la macroprogettazione si definisce il progetto per aree formative, con strumenti, modalità ed elementi metodologici. Successivamente, al progetto di massima a livello di Ente e quindi di Centro, si inseriscono nello stesso tutti gli elementi programmatici necessari alla realizzazione del percorso e si entra così nel merito della microprogettazione che prevede gli obiettivi, il piano formativo, le competenze, le UdA interdisci- plinari, le risorse, le metodologie e le attività. Si prevedono aggiornamenti/tara- ture durante il percorso e se necessario si può variare in corso d’opera il pro- getto di massima. È previsto il dossier di corso (sia a livello di sistema qualità che a livello di modello proposto dalla sperimentazione) che viene elaborato in itinere e alla fine del percorso e che raccoglie tutta la documentazione del corso (dalla macroproget- tazione, alla microprogettazione, alle UdA, al libretto formativo, ecc.). Inoltre, è previsto il portfolio dell’allievo. 4.2.9. Puglia La progettazione richiesta dalla Regione è un formulario che richiede l’artico- lazione in obiettivi, competenze, risorse, metodologie, attività, più simile quindi a un progetto di dettaglio che a uno sviluppo a grandi linee. In seguito, il CIOFS/FP redige un progetto di dettaglio previsto dal Sistema Qualità, ma non richiesto dal- l’Ente finanziatore (Regione Puglia). Nell’ottica della personalizzazione, è preparato dopo un primo bilancio delle capacità e dei saperi di base degli allievi e può essere modificato, durante l’azione formativa, a seconda delle esigenze implicite ed esplicite espresse dagli allievi. Esso amplia i contenuti, gli obiettivi previsti, le azioni da realizzare presenti nel progetto di massima adattandoli alla situazione reale. La Regione Puglia non richiede a fine corso alcuna valutazione che è in- vece elaborata dal CIOFS/FP; al termine del percorso è realizzata, infatti, una valutazione sulla efficacia e sulla efficienza del percorso formativo concluso. I risultati sono esposti in una relazione che racconta la storia del percorso for- nendo dati significativi per la valutazione dell’efficacia dell’azione. Innanzi tutto sono descritti gli obiettivi previsti dal progetto di massima e se tali obiet- tivi rispetto al cliente finanziatore, al cliente destinatario e alla mission dell’Ente sono stati raggiunti. 4.2.10. Sardegna Progetto formale della RAS. I progetti inerenti alle aree professionali e alle re- lative qualifiche sono stati elaborati dal Coordinamento Enti Sardegna FP (CE- SFOP) e recepiti/integrati dalla RAS. Il progetto formale è concepito nei termini di progetto di massima, ovvero di sviluppo a grandi linee del percorso formativo secondo le citate Disposizioni attua- tive della RAS. In riferimento all’impostazione metodologica descritta nella legge 53/2003, la 42 progettazione è proposta per aree formative, all’interno delle quali sono indicati i risultati attesi e i contenuti a un livello macro, al fine di consentire ai formatori/orientatori una accurata contestualizzazione e strutturazione dei percorsi formativi in conformità alla caratteristiche specifiche degli allievi. Pertanto, cia- scun Ente di FP è chiamato a realizzare un’attività di micro-progettazione caratte- rizzata da principi di autonomia e creatività. 4.2.11. Sicilia La Regione chiede un progetto integrato, nel senso che tutti i percorsi che sono attinenti allo stesso obiettivo (nel nostro caso al “diritto-dovere all’istruzione e for- mazione professionale”) vengono presentati in un unico progetto di massima con un formulario abbastanza complesso, che richiede: analisi dei fabbisogni formativi, analisi del territorio, singoli moduli di ogni percorso, modalità di verifica e valuta- zione quali-quantitativa, descrizione delle metodologie, della strumentazione e dei sussidi didattici, profili professionali dei singoli formatori e degli operatori del Centro (compresi gli amministrativi, il tutor, ecc.), descrizione delle modalità di la- voro in stage, visite didattiche, project work e relativi partner. In fase di attuazione del progetto integrato finanziato, ciascuna sede elabora un progetto ancora più dettagliato per ogni singolo corso. In esso si esprime la perso- nalizzazione del percorso con le caratteristiche delle nostre procedure, delle scelte metodologiche e delle strategie di attuazione. 4.2.12. Umbria La Regione richiede il progetto formale (necessario per ottenere l’approva- zione da parte dell’Ente finanziatore); di fatto, poi, finanziano tutti fino ad esauri- mento fondi. 4.2.13. Veneto La progettazione viene svolta su una traccia che la Regione fornisce sotto forma di software scaricabile dal suo sito. Si tratta ovviamente di software dedicato alla macroprogettazione, in quanto la progettazione di dettaglio viene lasciata ai singoli Centri. Nel progetto richiesto dalla Regione si devono esplicitare: informazioni sul- l’Ente (dati identificativi, organizzazione, risorse, attività pregresse); descrizione dell’intervento e degli obiettivi formativi e professionali; articolazione del percorso formativo per aree disciplinari (area giovani), o struttura modulare (come previsto nei progetti FSE); descrizione delle singole aree disciplinari in termini di ore, obiettivi, contenuti (area giovani); descrizione dei singoli moduli in termini di obiettivi formativi; contenuti; tecnologie, attrezzature e strumenti didattici utilizzati (come previsto nei progetti FSE). Alla conclusione del progetto, la Regione chiede una relazione sintetica sul percorso. Si tratta dunque di un progetto formale, per quanto si riferisce alla progetta- zione di massima, e di una progettazione di Centro, per quanto si riferisce alla 43 strutturazione dettagliata del percorso, che viene fatta a livello di lavoro individuale (da parte dei singoli docenti), e di gruppo (a livello collegiale con i docenti suddi- visi per aree di competenza). Gli output di questa attività sono costituiti dal piano di lavoro di ogni singolo docente, formalizzato in un documento in cui sono descritte le competenze, i con- tenuti strutturati in unità didattiche, le metodologie adottate e gli strumenti di valu- tazione. Tale progettazione di dettaglio è soggetta ad una continua verifica e ritaratura durante il percorso formativo per adattare al meglio sia i contenuti che le metodo- logie alla popolazione reale. In questa ritaratura rientrano anche le eventuali varia- zioni d’orario, all’interno di un massimo del 10% consentito sul totale di ore del- l’anno formativo. 4.3. Commenti sulla progettazione Si è inteso rilevare quale approccio viene adottato dalle Regioni riguardo alla progettazione. Il dato prettamente quantitativo evidenzia tre orientamenti principali in ordine alle tipologie progettuali prese in considerazione: 1) in sei Regioni viene seguito il progetto di massima (Abruzzo, Emilia Ro- magna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Sicilia); 2) in quattro Regioni, il progetto formale (Calabria, Umbria, Lombardia, Veneto); 3) due Regioni segnalano la presenza della richiesta del progetto operativo (Lazio, Puglia); 4) in altre Regioni si riscontra una condizione mista tra progetto formale e di massima (per esempio, la Sardegna); 5) una Regione (Piemonte) prevede, come già indicato, un sistema progettuale al- tamente sofisticato basato su una serie di software per la progettazione di mas- sima e quella di dettaglio. Appare prevalente, quindi, da parte delle Regioni lo sforzo verso la definizione di una struttura di sistema su cui fondare l’iniziativa sperimentale, in coerenza alla quale vengono sollecitati gli organismi formativi a presentare una progettualità di massima in cui è indicata a grandi linee la struttura del percorso formativo e le op- zioni metodologiche ed organizzative che si intendono adottare per la costruzione operativa dei percorsi. Da questo punto di vista si possono riscontrare i seguenti stili di comporta- mento. Esistono Regioni (è il caso della Liguria e della Lombardia) nelle quali si è elaborato un modello condiviso di progettazione, a cui si è pervenuti attraverso il lavoro di gruppi tecnici di coordinamento ed accompagnamento e corsi di aggior- namento del personale coinvolto; tale modello stabilisce le mete e gli obiettivi for- mativi generali, la mappa delle figure professionali e dei relativi titoli, gli standard di riferimento sotto forma di competenze e infine il canovaccio del percorso forma- 44 tivo individuando le UdA prevalenti, ma lascia autonomia ai singoli Centri sulle modalità concrete di svolgimento del percorso. Esistono poi Regioni (è il caso ad esempio del Veneto, ma anche del Lazio, della Puglia e della Sicilia) per le quali il riferimento è rivolto alla struttura cor- suale nelle sue forme tradizionali, quindi richiedono un progetto formale con ele- menti di dettaglio, indicando obiettivi, struttura del percorso per aree formative/di- scipline ed articolazione (in moduli, unità didattiche o unità di apprendimento), in- fine per metodologie e risorse; progetto che a sua volta può essere rivisitato in quanto sottoposto a verifiche in itinere e finali. Esiste, infine, una Regione, il Piemonte, che richiede una progettualità molto impegnativa, prescritta dalla stessa Regione tramite uno specifico modello proget- tuale incorporato in un complesso software dedicato, in un primo livello, alla ma- croprogettazione, dove vanno esplicitate le aree formative, le metodologie, gli stru- menti, ecc. e, successivamente, alla microprogettazione, la quale a sua volta ri- chiede il piano formativo e tutti gli elementi programmatici necessari alla realizza- zione del corso. In sostanza, il tema progettuale riflette la filosofia metodologica adottata dalla Regione, ovvero la visione che questa ha elaborato circa il sistema e le sue caratte- ristiche. La tendenza che si coglie, rispetto alla visione tradizionale, consiste nel superamento della logica progettuale di dettaglio (che prevedeva un livello minimo di elementi di sistema, limitati normalmente alla mappa delle qualifiche e ai criteri amministrativi) sostituita da un lavoro di elaborazione di “strutture di sistema” che comprendono: mappa delle aree formative e delle figure professionali con relativi standard formativi; criteri metodologici fondati su fattori innovativi (personalizza- zione, didattica interdisciplinare e per compiti reali, ecc.); sistema di valutazione e certificazione per competenze; sistema di gestione dei crediti e dei passaggi; strut- tura di coordinamento e di monitoraggio delle iniziative. Nel momento in cui è presente tale struttura di sistema, il documento proget- tuale presentato dagli organismi formativi riflette le opzioni di fondo mentre viene progressivamente meno l’esigenza di un progetto formativo di dettaglio. Ciò pone in luce il riconoscimento, da parte della Regione, dell’autonomia delle Istituzioni scolastiche e formative che provvedono in tal modo a porre in atto la propria pro- posta in modo libero, ma nel contempo esplicito e quindi verificabile. Questa riflessione ci fa comprendere come la tematica progettuale sia rivela- tiva del grado di innovazione delle Regioni verso una soluzione di vera e propria governance educativa, culturale e professionale, che prevede una cultura della re- golazione dei fattori di accreditamento, delle condotte e dei rapporti tra soggetti au- tonomi verso il perseguimento delle mete del sistema, superando quindi la prospet- tiva tradizionale che presentava una duplice enfasi: da un lato legata alla visione della formazione come strumento esclusivamente delle politiche del lavoro (e quindi centrato sulla sola variabile dell’occupabilità degli allievi) e dall’altro di na- tura amministrativa riferita all’utilizzo delle risorse. 45 5. DATI SULLA PERSONALIZZAZIONE Riportiamo quanto richiesto, le riposte fornite da ciascun referente dei due Enti coinvolti (CNOS-FAP e CIOFS/FP) e una analisi critica di sintesi conclusiva. 5.1. Dati richiesti sulla personalizzazione L’area della personalizzazione è stata articolata in 7 sottosezioni, focalizzate intorno ai seguenti temi: 1) Orientamento, accoglienza, bilancio, progetto, orientamento continuo, colla- borazione con le famiglie 2) Differenziazione dei gruppi di apprendimento, recuperi e approfondimenti, so- stegno individuale, gestione passaggi e transizioni, LARSA interni 3) Piano formativo personalizzato 4) Unità di apprendimento e prodotti reali, stage e alternanza 5) Verifiche e valutazione compresi gli esami 6) Gestione dei crediti e passaggi a) Viene applicata l’OM del 26.01.2005 relativa ai passaggi ed alle certifica- zioni? b) Vi sono casi reali di passaggi sia in un senso (dalla scuola ai CFP) sia nel- l’altro (dai CFP alla scuola)? c) Vengono valorizzati gli anni di studio dei ragazzi, oppure vi è una perdita? 7) Handicap a) Come si gestiscono i portatori di handicap entro le attività formative? b) Con quale durata del percorso? c) Con quali certificazioni? 8) Altro 5.2. Risposte sulla personalizzazione Data la consistenza delle sollecitazioni in tema di personalizzazione, anche le risposte sono molte e articolate. Dunque, si riporta quanto espresso da ciascun refe- rente mantenendo la distinzione negli 8 sotto-quesiti. 5.2.1. Risposte su orientamento, accoglienza, bilancio, progetto, orientamento con- tinuo, collaborazione con le famiglie Riportiamo le risposte fornite al primo sotto-quesito della domanda sulla per- sonalizzazione. 5.2.1.1. Abruzzo Il primo confronto con l’allievo e la famiglia lo svolge il coordinatore dell’OF al momento dell’iscrizione, illustrando le caratteristiche della FP in generale, del progetto, del CNOS-FAP, facendo visitare i vari laboratori del CFP, svolgendo una prima fase di orientamento sui percorsi didattici. C’è da aggiungere che nel CFP 46 CNOS-FAP di L’Aquila ha ripreso da poco l’attività il Centro servizi di orienta- mento che a breve svolgerà anche questo compito; negli altri due CFP (Ortona e Vasto) i Centri svolgono tali funzioni già da oltre 10 anni. La seconda fase viene gestita dal docente di orientamento che, nel nostro caso, è laureato in psicologia; essendo anche il docente di “capacità personali” nei corsi di OF, ha un continuo contatto con tutti gli allievi ed è così in grado di rilevare eventuali nuove capacità, conoscenze o abilità degli allievi per un orientamento in itinere. Tutto il progetto è strutturato in modo che il percorso sia personalizzato il più possibile. Nel nostro CFP, essendo solo 11 allievi in un corso e 15 in un altro c’è un monitoraggio continuo tramite feed-back tra docenti e tutor sulle varie situazioni in essere sia a livello di singolo allievo che di corso. L’anno formativo è suddiviso in 2 cicli: per ogni ciclo sono adottate 2 valuta- zioni globali dell’allievo a cui corrispondono relativi incontri con i genitori: uno a metà e uno a fine ciclo in cui i genitori stessi sono invitati a partecipare insieme ai propri figli. Sommando anche l’incontro di inizio di attività, ne consegue che i ge- nitori incontrano i docenti ed il coordinatore del corso 5 volte all’anno, media- mente ogni 2 mesi. A tutto ciò va aggiunto il contatto telefonico pressoché giorna- liero che il coordinatore ha con le famiglie in ogni situazione di assenze degli al- lievi non preventivamente comunicate e/o situazioni di casi di anomalie nel per- corso didattico di ogni singolo allievo. Tutto ciò è possibile anche perché vi è co- pertura economica quasi completa per il coordinatore/tutor che si occupa esclusiva- mente di un corso. 5.2.1.2. Calabria Il percorso è semi-personalizzato. Nel senso che segue. In fase di iscrizione, un primo colloquio con l’allievo e i genitori è effettuato da un orientatore, il coordinatore e il direttore con l’obiettivo di presentare il per- corso e la sua collocazione nel panorama formativo. In una fase successiva, è stato realizzato un incontro di gruppo tra le famiglie, gli allievi e il direttore, il coordinatore e il tutor, finalizzato ad una presentazione dello staff alle famiglie ed agli allievi ed alla chiarificazione di un insieme di aspetti, per lo più logistici, del percorso. L’accoglienza è stata realizzata attraverso la realizzazione di un prodotto (dos- sier) sull’Ente e sul percorso con l’obiettivo di far socializzare i componenti del gruppo tra di loro e con il contesto e si è conclusa con la presentazione del dossier alle famiglie e la stipula del patto formativo. La rilevazione di capacità, conoscenze, abilità e competenze in ingresso (bi- lancio) è stata realizzata dai singoli docenti e non è stata in alcun modo formaliz- zata. I singoli docenti, in funzione del bilancio effettuato, hanno dato indicazioni e hanno collaborato alla definizione dei prodotti e delle UdA del percorso. Lungo tutto il percorso è stato realizzato l’orientamento che nel I anno è stato 47 personalizzato sulle esigenze degli allievi e ha contribuito alla definizione del piano formativo in itinere e al sostegno della motivazione. Sono realizzati, senza scadenze prefissate, colloqui tra direttore e/o coordina- tore e allievi, sia individualmente che in gruppo, al fine di verificare la percezione e la motivazione degli allievi e monitorare e valutare con costanza l’andamento. Le famiglie sono state incontrate regolarmente sia individualmente, su ri- chiesta loro o dell’Ente, sia in gruppo, per la presentazione dei prodotti realizzati dai ragazzi e in momenti specifici dell’attività. 5.2.1.3. Emilia Romagna Si effettua un primo colloquio con l’allievo e uno o entrambi i genitori in sede di iscrizione. Il colloquio è mirato a far capire bene all’utente di che tipo di corso si tratta, i moduli che vengono proposti e gli orari così che prima di ufficializzare l’i- scrizione abbia chiaro il percorso scelto. Il colloquio può essere effettuato sia dal tutor che dal coordinatore. Ci sono verifiche periodiche all’interno di un contesto di supervisione mensile per capire quanto il progetto iniziale, uguale per tutti, debba subire modifiche in re- lazioni ai singoli allievi. I colloqui tra allievi e tutor e/o coordinatore, per fare il punto della situazione, non hanno scadenze prefissate ma nascono da un attento monitoraggio della classe. I genitori vengono coinvolti nel momento in cui si ravvisa la necessità di un so- stegno più consistente da parte della famiglia, sia quando ci sono decisioni rilevanti da prendere riguardo a un eventuale piano formativo personalizzato. 5.2.1.4. Friuli Venezia Giulia Tutte le famiglie hanno avuto possibilità di colloquio con un incaricato per la presentazione del Centro e l’orientamento alla scelta (non un vero orientatore) prima dell’iscrizione al corso. Prima dell’inizio del percorso, è stato fatto un bilancio in ingresso (tramite questionario) che è stato utilizzato per la composizione dei gruppi-classe. Non è stato elaborato un piano formativo personalizzato; da vedere in itinere dopo i risultati scolastici che stanno per emergere dai prossimi scrutini di metà anno. Ancora non fatte verifiche del piano, tanto meno del progetto formativo. 5.2.1.5. Lazio Aderente a quanto prima descritto. Va aggiunto che la convenzione con le scuole è un motivo in più per curare l’orientamento continuo e la personalizzazione del percorso. 5.2.1.6. Liguria Incontro con le famiglie, gli orientatori e i tutor all’inizio del percorso (fase di accoglienza) e durante il percorso (in itinere e al termine dell’annualità formativa). L’orientamento viene svolto con la collaborazione di tre psicologhe che presie- 48 dono l’attività dello sportello dello studente e svolgono la loro attività in modo si- nergico (attività su allievi e famiglie e interazione fra l’attività di sportello e le atti- vità legate allo sviluppo delle “capacità personali” team psico-pedagogico del Centro). Viene svolto un bilancio delle competenze ad inizio anno e valutate attitudini e motivazioni in ingresso. Il piano formativo ha come punto di riferimento il “Progetto del corso” artico- lato per UdA. Queste ultime sono tarate sulle competenze “mappate” ad inizio anno dai singoli docenti/formatori delle diverse aree formative. Il piano formativo personalizzato viene individuato in itinere ed adattato in modo particolare durante lo svolgimento dei LARSA attraverso compiti differenziati da svolgere a casa, in aula, o in laboratorio. Sono attivati approcci metodologici differenziati a seconda delle specifiche esigenze di apprendimento emerse. Al termine di ciascun quadrimestre, è prevista una verifica del “Progetto orien- tativo” attraverso colloqui con le famiglie e i singoli allievi; questi incontri sono preceduti da una riunione tra orientatori e Collegio dei docenti (attività legata alla sezione “orientamento” del portfolio). 5.2.1.7. Lombardia La personalizzazione, anche del percorso di ingresso, è una delle idee centrali del progetto della sperimentazione triennale lombarda. Tra i due Enti si rilevano delle differenze. 1) CNOS-FAP La personalizzazione, anche del percorso di ingresso, è una delle idee centrali del progetto della sperimentazione triennale lombarda. Nel CFP di Arese c’è un’attenzione alla personalizzazione che nel percorso di ingresso si concretizza nella fasi a) e b) sopra indicate; le fasi c) e d) vengono attuate solo in parte e di fatto non costituiscono una prassi ordinaria e consoli- data. Si evidenziano, anche nelle attività che si svolgono ordinariamente e di prassi, alcuni limiti dovuti a una certa confusione di ruoli e di funzioni, ad azioni che si attivano in alcuni casi particolarmente problematici più che costituire un’at- tenzione rivolta a tutti gli allievi, a un intervento che avviene nella pratica più che essere previsto anche a livello progettuale. 2) CIOFS/FP Tutti i Centri CIOFS/FP Lombardia danno ampia possibilità di confronto con la famiglia e con l’allievo sia da parte dell’orientatore, del coordinatore che della Direzione. La periodicità, pur variando da Centro a Centro, prevede in- contri collettivi(sia all’inizio dell’anno che in itinere, di carattere informativo e formativo), sia incontri personali, su richiesta degli interessati. All’inizio del percorso formativo e, per alcuni Centri, prima dell’avvio, si pro- cede alla rilevazione delle capacità, delle conoscenze e delle competenze ivi 49 comprese le motivazioni che hanno determinato la scelta del percorso e questo sia attraverso la somministrazione di test che attraverso un dialogo individuale e di gruppo, con attività di simulazione o giochi di ruolo. Ogni allievo è seguito personalmente nel suo processo di sviluppo personale e cognitivo, tuttavia non viene formalizzato un preciso piano formativo persona- lizzato (ad eccezione per gli allievi con sostegno), ma un unico progetto di det- taglio per l’intera classe. Ciascun Centro della Lombardia prevede verifiche periodiche sia a livello di- sciplinare che interdisciplinare. Si effettuano inoltre verifiche sull’intero per- corso attraverso colloqui individuali, elaborati scritti a carattere auto-valutativo e attraverso la somministrazione di questionari di reazione allievi e famiglie. Sono inoltre valorizzati i momenti collegiali tra i formatori per fare il punto della situazione rispetto al cammino formativo e personale compiuto dal sin- golo allievo. 5.2.1.8. Piemonte Anche in Piemonte, i due Enti presentano delle differenze. 1) CNOS-FAP Circa le attività di accoglienza, di accompagnamento in itinere e finale i CFP seguono e realizzano le attività previste nei manuali. I progetti triennali prevedono 170 ore di cui 75 al I anno, 35 al II anno, 60 al III anno. I progetti biennali prevedono 110 ore di cui 55 al I anno, 55 al II anno. In tutti i nostri CFP è attivo un servizio di “sportello orientativo” e c’è la possibilità sia da parte dell’allievo che dei genitori di fare uno o più colloqui con il direttore, l’orientatore e i docenti. In alcuni casi questo servizio non è sfruttato da famiglie e allievi. Si prevede sempre un colloquio preventivo con il Direttore o l’orientatore. Dal monitoraggio delle “Sperimentazioni 1 e 2” in merito alle attività con le famiglie, si rileva: a) apprezzamento per i colloqui, intesi come elemento rile- vante dell’azione educativa, in quanto strumento di reciproco ascolto, comuni- cazione e proposta; b) attraverso questa modalità di rapporto, infatti, i genitori prendono visione di comunicazioni motivate in merito alle valutazioni ripor- tate dai figli; c) realizzazione degli incontri: ad inizio attività, per far conoscere il progetto educativo e per raccogliere al tempo stesso le aspettative delle fami- glie; in itinere, per informare sull’andamento didattico e consegnare le valuta- zioni; al termine dell’anno formativo, per verificare tramite apposito strumento di rilevamento il grado di soddisfazione delle famiglie in rapporto al servizio ricevuto; d) la messa in opera di interventi coordinati tra il Centro e le famiglie in caso di particolari problemi educativi o in situazioni di grave disagio so- ciale; e) la richiesta di collaborazione nell’elaborazione del progetto educativo e nella definizione della struttura del percorso, o di partecipazione al Consiglio d’istituto o di coinvolgimento in momenti formativi su approfondimenti tema- 50 tici; f) da ultimo vengono citati i questionari per le diverse verifiche sul corso e le comunicazioni scritte e telefoniche. Quindi i rapporti tra il Centro e le famiglie vanno da relazioni di natura ordi- naria (come l’iscrizione, le comunicazioni scritte e/o telefoniche, i colloqui pe- riodici con i formatori…), a quelle più impegnative e coinvolgenti quali la pro- mozione della conoscenza del quadro ispirativo dell’Ente, la sottoscrizione del patto formativo, la rilevazione periodica delle aspettative e della soddisfazione attraverso questionari e test, fino a realizzare riunioni educativo-formative con le famiglie. Il coinvolgimento delle famiglie si delinea nelle diverse fasi nel seguente modo. All’atto dell’iscrizione, mediante la consegna dei documenti richiesti, la presentazione del corso ed effettuando colloqui orientativi; nella fase di ac- coglienza, in genere, è stato fatto accenno ai colloqui individuali per rilevare le aspettative, promuovere la conoscenza del quadro ispirativo dell’Ente e sot- toscrivere il “patto formativo”; durante l’anno e al termine vengono effettuati, oltre alle comunicazioni scritte e telefoniche, colloqui di valutazione inter- media e finale, incontri individuali per eventi critici e incontri di gruppo- classe per la consegna delle pagelle, colloqui come strumento di reciproco ascolto, comunicazione dell’attività formativa e corsuale, incontri a scopo educativo-formativo per le famiglie, rilevazione periodica della soddisfazione rispetto alle aspettative, iniziative per i drop-out. Negli incontri periodici, at- traverso riunioni e assemblee (per fare il punto sulla situazione degli allievi e sull’andamento del corso, per la consegna della scheda di valutazione), op- pure mediante colloqui individuali con i formatori, e in qualche caso anche per mezzo di convegni mirati a monitorare lo stato di avanzamento della spe- rimentazione. Per quanto riguarda la collaborazione con gli allievi, è stato segnalato il ri- corso alle seguenti strategie. a) Colloqui individuali e di gruppo: viene data particolare importanza anzitutto a quelli con il tutor del corso e/o con il team- manager nella fase di accoglienza e ai momenti di accompagnamento lungo tutto il percorso formativo; in questi casi il tutor, interagendo in modo attivo sia col singolo che col gruppo-classe, viene ad assumere un ruolo determinante per favorire l’inserimento degli allievi nel contesto formativo; l’obiettivo che ci si pone è giungere ad una condivisione delle regole, unitamente a quello di stimolare la progettualità dei ragazzi, motivandoli e rimotivandoli durante l’in- tero percorso formativo. b) Rilevazioni: sono effettuate all’inizio, per racco- gliere le aspettative degli allievi, in itinere e alla fine, per verificare il loro grado di soddisfazione nei confronti del servizio offerto. In merito agli strumenti utilizzati per la progettazione educativo-formativa, ci si richiama alla “proposta formativa”, alla “Carta dei valori”, al “regolamento del Centro”, si fa ricorso al manuale dell’accoglienza e dell’orientamento e delle capacità personali. In alcuni CFP, particolare importanza assume il “patto 51 d’aula” che regola la relazione fra le diverse componenti delineando i reciproci diritti e doveri, Per quanto riguarda le metodologie, continuano pressappoco nelle stesse forme le modalità di coinvolgimento dei genitori, degli allievi e delle aziende: con le famiglie le collaborazioni vengono realizzate attraverso il “patto educativo”, gli incontri formativi per genitori, il monitoraggio del gradimento; con gli al- lievi, attraverso il “patto d’aula”, i colloqui (ri)-motivazionali con il team ma- nager, la rilevazione periodica del grado di soddisfazione; con le aziende, me- diante gli stage, la definizione dei bisogni formativi e il relativo coinvolgi- mento nella progettazione di nuove figure e dei percorsi formativi. In alcuni CFP, il bilancio personale è stato realizzato per lo più in itinere, at- traverso modalità che vanno dai colloqui personali, al supporto di strumenti di- dattici (questionari, test, ecc.), alla elaborazione di dati in schede riassuntive. Le modalità con cui esso è stato effettuato fanno riferimento ai documenti o ad altro materiale appositamente redatto (“Manuale per l’orientamento”), alle dis- pense ed altri supporti didattici, ai colloqui individuali con l’utente; inoltre, dal punto di vista temporale, questa attività viene collocata sia all’inizio che al ter- mine del corso e in qualche caso anche in itinere (trimestralmente). In quasi tutti i CFP, all’inizio del percorso la maggioranza dei docenti, con prove o test hanno rilevato delle indicazioni sulle conoscenze/abilità per elaborare un “piano formativo” il più possibile adatto al gruppo e alla persona. Si tende con i test iniziali a misurare, da parte di ogni formatore, la situazione generale del gruppo classe con l’obiettivo, se necessario, di andare a ricalibrare l’intervento formativo. In merito ai test di ingresso che rilevano le conoscenze/competenze di base, la Regione ha predisposto degli strumenti appositi che possono essere utilizzati dai CFP. In generale si sta implementando una modalità di personalizzazione che pre- vede già dall’inizio la realizzazione di un “piano formativo personalizzato” che viene sottoposto a periodiche verifiche, così come stabilito nelle “linee guida nazionali” e come descritto nel “Manuale per il coordinatore tutor”. I dati iniziali partono dal bilancio personale fatto all’ingresso. All’avvio del- l’anno, viene compilata una griglia per dare inizio a un cammino di personaliz- zazione che viene portato avanti lungo l’anno. Il “piano formativo personaliz- zato” viene realizzato attraverso affiancamenti individuali e/o di gruppo per gli allievi che presentano difficoltà nell’apprendimento. Il numero dei corsi spesso crea difficoltà organizzative nella gestione dei “piani formativi personalizzati”: si stanno facendo molti sforzi per ovviare. La situazione è molto diversificata: si va da CFP dove si prevede che ogni set- timana/10 giorni il team si incontra per verificare l’andamento del piano, a CFP dove periodicamente (mediamente ogni 2-3 mesi) l’équipe di formatori si ritrova per fare il punto della situazione per ogni allievo. In tutti i CFP si orga- nizzano degli incontri (bimestrali o trimestrali) tra il team di corso e le fami- 52 glie alle quali vengono fornite tutte le informazioni circa i progressi e le diffi- coltà che gli allievi presentano. 2) CIOFS/FP Nel manuale del “sistema qualità”, è stata inserita una procedura di erogazione e controllo dei percorsi in diritto-dovere da sperimentare nell’a.f. 2004/2005. Le attività descritte sono le seguenti. a) Incontro preliminare di natura informativa-orientativa con le famiglie prima dell’inizio del percorso circa il riferimento al contesto normativo del progetto triennale e alla sua articolazione, alla mission (“Carta dei valori” del CIOFS/FP) allo scopo di attivare il percorso di corresponsabilità con le stesse famiglie. Tale incontro è stato gestito dalla RdC e dal coordinatore di corso. I documenti in uscita di questa attività (seminario informativo) sono stati il “Contratto formativo” e l’“Accordo educativo” con le famiglie. b) Accoglienza (attività d’aula) gestita dal formatore e dal tutor di corso attra- verso un laboratorio (“Chi ben comincia”) i cui obiettivi formativi erano la socializzazione, la conoscenza, il lavoro in team, la comprensione delle consegne di lavoro, l’organizzazione e il metodo di studio, o una UdA (“Accoglienza parola che orienta”) il cui prodotto finale era la elaborazione di un diario di classe relativo alla prima settimana con l’obiettivo di pro- muovere la conoscenza della mission, facilitare la conoscenza della realtà formativa in cui erano inseriti, degli ambienti, dell’organizzazione, ecc. c) L’accoglienza finalizzata al posizionamento (dopo l’accoglienza in aula) e quindi gestita dal formatore tutor e/o orientatore con colloqui con ciascun utente utilizzando strumenti previsti dall’agenda di auto-monitoraggio (scheda anagrafica, scheda percorso scolastico, profilo orientativo iniziale). d) Personalizzazione: l’analisi dei dati emersi dai colloqui di posizionamento ha permesso al coordinatore, o al formatore tutor/orientatore, di elaborare un “Patto formativo personalizzato” stipulato con la RdC e socializzato con le famiglie. La verifica del PFP è prevista in occasione della consegna delle valutazioni intermedie (colloquio di riprogettazione del PFP con l’allievo e la famiglia). L’attività di verifica dei risultati è costantemente monitorata dal tutor e dal co- ordinatore, figure di raccordo dell’équipe formativa. Secondo l’organizzazione della sede operativa, la tempistica delle riunioni varia da una cadenza bisettimanale a una mensile. 5.2.1.9. Puglia La Regione Puglia prevede che siano presenti all’interno di ogni progetto ap- posite misure di accompagnamento, con particolare riferimento agli interventi di accoglienza, riallineamento, potenziamento, personalizzazione dei percorsi, orien- tamento. Le modalità di attuazione di tali attività sono scelte dall’Ente che deve de- scriverle nel progetto di massima. 53 Il percorso in ingresso, attuato nelle sedi del CIOFS/FP Puglia, è fortemente personalizzato come anche tutte le fasi previste durante l’espletamento dell’azione formativa. Nella fase iniziale, denominata “accoglienza”, il direttore di sede, il tutor e l’o- rientatore pongono le condizioni affinché gli allievi possano conoscere il gruppo, l’ambiente formativo del Centro e le opportunità che esso offre al destinatario stesso e alle famiglie. Inoltre viene effettuata una prima sensibilizzazione al ri- spetto delle norme di prevenzione e sicurezza. L’allievo e la famiglia sottoscrivono il “Patto formativo” con la sede operativa (accordo su regole, diritti e doveri nel rapporto soggetto/struttura formativa). La fa- miglia è così consapevole delle opportunità di formazione offerte agli allievi du- rante il percorso formativo e conosce, in tal modo, le regole del Centro, impegnan- dosi a supportare l’allievo nel rispettarle. Si realizzano successivamente, come previsto dal progetto, incontri con i geni- tori, di tipo: informativo-didattico (bimestrali, con i formatori, su apprendimenti e comportamenti); formativo (incontri con un esperto su tematiche di tipo psico-pe- dagogico). Nella sede operativa di “Paolo VI” è stato inoltre sperimentato il “Punto ascolto famiglie”, come opportunità di supporto finalizzato a: sostenere il ruolo educativo della famiglia, attraverso interventi mirati alla valorizzazione delle ri- sorse presenti all’interno del nucleo d’origine; coinvolgere i diversi membri nella ricerca delle modalità più adeguate per superare eventuali difficoltà anche in rela- zione alle diverse fasi del ciclo vitale della famiglia. Obiettivi specifici dell’inter- vento sono: ascoltare, sostenere, formare e informare i genitori che sentono il bi- sogno di “sapere” circa lo sviluppo dei figli e del ruolo educativo che sono chia- mati a svolgere; potenziare l’auto-consapevolezza dei genitori per migliorare la qualità delle relazioni all’interno della comunità di appartenenza e nella prospettiva del “successo formativo” dei figli. Un primo bilancio delle capacità e dei saperi di base avviene durante la sele- zione. Ai candidati si sottopongono prove scritte che permettono di verificare le co- noscenze/competenze possedute (es. matematica, inglese, italiano) e questionari psico-attitudinali (che mettono in evidenza attitudini, interessi, altro). Nella fase successiva, viene elaborato il “progetto di dettaglio” che coniuga obiettivi, contenuti, modalità didattiche, output; i docenti somministrano test d’in- gresso ed elaborano la “valutazione ex ante” sulla base della quale preparano un piano formativo “personalizzato” in quanto tiene conto delle conoscenze pregresse, delle esigenze formative, delle modalità di apprendimento tanto del gruppo classe che del singolo allievo; sulla base delle valutazioni in itinere e di fine ciclo, viene ulteriormente personalizzato il piano formativo (cfr. Mod. P08/5-B Rev. 0), con l’assegnazione di alcune ore di “recupero” o di “approfondimento”. Attraverso la consulenza orientativa, i due Centri tengono costantemente conto delle specifiche esigenze della persona e del contesto socio-culturale (spesso dis- 54 agiato) nel quale la stessa è inserita. Tale azione, che viene realizzata al di fuori dell’orario corsuale, mira a promuovere e sostenere la persona nella costruzione della propria progettualità e nello sviluppo del proprio futuro. Gli orientatori delle sedi facilitano, stimolano, valorizzano e migliorano la capacità di autovalutazione del soggetto; offrono un supporto alla esternazione, alla riflessione e all’analisi di sé in rapporto ad un percorso di maturazione e alla possibilità per il soggetto di af- frontare in modo adeguato la transizione evolutiva che lo impegna. L’allievo ana- lizza e finalizza le proprie risorse, abilità e interessi fino alla elaborazione del pro- prio “Progetto personale” al termine del II anno e del “Progetto professionale” al termine del III anno. Le fasi del servizio di consulenza sono: a) creazione di un rap- porto di fiducia con l’orientatore ed analisi del rapporto del soggetto con il proprio vissuto (“autoesplorazione”); b) analisi del rapporto del soggetto con il proprio vis- suto ed analisi del potenziale individuale (“riconoscimento”); c) restituzione delle informazioni alla persona (“elaborazione”); d) elaborazione del “Progetto perso- nale” e, successivamente, “professionale” (“decisione”). Output della consulenza orientativa è il “progetto personale” e quello professionale che vengono riportati nel “Libretto formativo dell’allievo”. Il Consiglio di corso verifica l’andamento di ogni allievo negli incontri siste- matici previsti e, sulla base delle esigenze riscontrate, effettua opportune modifiche e cambiamenti. 5.2.1.10. Sardegna L’articolazione del percorso di ingresso è stata caratterizzata dai seguenti aspetti. Nella fase dedicata alle iscrizioni ai percorsi triennali sono stati realizzati degli incontri con i ragazzi e le famiglie gestiti da un orientatore, incontri finalizzati a fornire accurate informazioni sulla tipologia dei corsi, offrire spunti di riflessione in merito alla scelta e al percorso formativo da intraprendere. Nella fase di inizio delle attività formative è stato realizzato un bilancio al fine di rilevare capacità, conoscenze e competenze di ingresso. Il bilancio è stato curato dall’équipe dei formatori attraverso azioni di carattere individuale e di gruppo. Per quanto concerne l’elaborazione di un piano formativo personalizzato non è stato possibile realizzare azioni diversificate per sotto-gruppi e azioni di carat- tere individuale. Si sottolinea, comunque, l’attenzione per un’accurata analisi del bisogno dei ragazzi che ha portato a realizzare interventi riferiti a problematiche inerenti la crescita e la valorizzazione della persona, i diversi stili di apprendi- mento e la costruzione di un progetto personale. Tutti gli interventi sono stati rea- lizzati con il gruppo classe in riferimento ad esigenze comuni rilevate nell’analisi del bisogno. 5.2.1.11. Sicilia Il percorso in ingresso prevede un incontro con allievo e famiglia prima dell’i- scrizione o con l’orientatore o con il Direttore del Centro. La rilevazione delle ca- 55 pacità e conoscenze in ingresso viene fatta dai formatori entro i primi 15 giorni di attività formativa, con compiti appositamente strutturati e con osservazioni dirette in aula. L’elaborazione di un “piano formativo personalizzato” viene fatto entro i primi 15 giorni di attività dedicati quasi elusivamente all’accoglienza, alla presentazione del percorso, alla elaborazione del proprio percorso personalizzato. Segue la pro- gettazione di dettaglio dei moduli formativi sulla base dei rilevamenti sulle cono- scenze e capacità degli allievi del corso. Le verifiche periodiche vengono fatte dai singoli formatori sul piano degli ap- prendimenti, dal Collegio di corso sul piano delle scelte e finalità degli interventi da attivare successivamente ai riscontri avuti dai singoli formatori e dal tutor d’aula che ha rilevato l’indice di soddisfazione degli allievi, delle famiglie e dei formatori stessi. Infine, al termine di ogni ciclo, viene fatta la verifica del progetto formativo personalizzato. Nel CIOFS/FP, ogni percorso prevede inizialmente circa 20 ore di orienta- mento, accoglienza, bilancio delle competenze, stesura di un progetto personale dell’allievo; la presentazione del percorso formativo annuale da parte del proget- tista o formatore incaricato e la presa di coscienza del patto formativo allievi viene fatto in presenza anche dei genitori per il loro reale coinvolgimento all’azione edu- cativa. 5.2.1.12. Umbria L’orientamento è stato svolto dai Centri per l’impiego che hanno definito i bi- sogni, la domanda formativa che ne consegue e la presentazione dell’offerta forma- tiva fornita dal territorio; il I dei tre anni è a carattere orientativo. Il bilancio delle competenze non è stato svolto. Il “Piano formativo personalizzato” non è stato ela- borato. Sono state svolte verifiche e monitoraggi costanti da parte dei tutor (FP/SSS); il Collegio formatori/docenti ha monitorato l’esito dell’attività; i tutor (FP/SSS) hanno mantenuto costanti rapporti con le famiglie degli allievi. 5.2.1.13. Veneto Nel corso degli anni, gli Enti hanno individuato delle proprie prassi che differi- scono significativamente da Centro a Centro. Le esperienze di seguito riportate sono quindi rappresentative di tutte le realtà. 1) La possibilità di confronto della famiglia e dell’allievo con un orientatore: questo confronto può iniziare molto presto, già dall’ottobre dell’anno prima dell’inizio dell’attività formativa, in occasione delle visite guidate al Centro, delle giornate di scuola aperta e del primo dei tre incontri previsti per la defini- zione dell’iscrizione e dell’accettazione del “patto formativo” sottoscritto dai genitori, dall’allievo e dal rappresentante del Centro. Tale attività di orienta- mento prosegue con la somministrazione di alcuni test psico-attitudinali prima dell’inizio dell’attività formativa e di un colloquio con l’orientatore/psicologo, 56 il tutto finalizzato alla composizione dei gruppi-classe. Prima dell’inizio delle lezioni, o poco dopo l’avvio del corso, è previsto un incontro tra i responsabili del Centro (direttore, coordinatore di settore, animatore pastorale, tutor, rap- presentanti dell’Associazione genitori...) con tutte le famiglie. In questo in- contro sono presentati la mission dell’Ente e il carisma salesiano, le linee guida dell’anno formativo che sta per cominciare, si richiamano alcuni punti salienti del “patto formativo” e si forniscono alcune informazioni di carattere organiz- zativo (servizio mensa, trasporti urbani ed extra-urbani, le scadenze più impor- tanti del calendario dell’anno formativo, ecc). Infine, nei primi giorni di corso, si svolgono le attività di accoglienza-orientamento che coinvolgono tutti i set- tori contemporaneamente, tutto secondo quanto previsto dalla procedura messa anche a “sistema qualità”. 2) La rilevazione di capacità, conoscenze, abilità e competenze in ingresso (bi- lancio): questa attività viene svolta nelle prime due settimane di corso da parte dei docenti. È finalizzata alla costruzione di un profilo del singolo allievo e del gruppo-classe. I risultati consentono al Consiglio di classe di effettuare la messa a punto del progetto ipotizzato e di intraprendere eventuali attività di al- lineamento differenziando l’attività in aula. In altri casi si procede alla sommi- nistrazione di questionari di posizionamento in alcune discipline di base prima dell’inizio delle lezioni così da avere delle informazioni utili per la composi- zione delle classi. 3) cfr. punto 5.2.3.13 4) Verifiche periodiche (condivise entro l’équipe formativa) del piano e del pro- getto orientativo tramite colloqui con l’allievo e la famiglia: le attività di veri- fica sono molteplici e continuative lungo tutto il percorso formativo triennale. Si tratta di valutazioni a cura dei singoli docenti che valutano in progress il li- vello di competenza raggiunto nelle aree formative attraverso strumenti di va- lutazione tradizionali e di valutazioni a livello di Collegio formatori (quattro volte l’anno, a cadenza bimestrale). In queste riunioni si valutano, oltre che i rendimenti nelle singole aree, anche le competenze trasversali, il comporta- mento, il grado di interesse, l’esecuzione dei compiti, ecc. A tutti gli incontri è presente anche l’orientatore. Con i genitori sono previsti tre colloqui alla fine di ogni bimestre in cui sono presenti docenti e allievi, e colloqui in itinere su iniziativa dei formatori e/o dei tutor o della stessa famiglia. Sono anche pre- visti incontri specifici, ad esempio, per le decisioni inerenti alle attività inte- grative per il passaggio ad altri tipi di scuola e per l’inserimento in un percorso lavorativo o per la soluzione di situazioni critiche. In alcuni Centri, l’Associa- zione dei genitori, assieme all’équipe di Direzione del Centro, organizza di- versi incontri durante l’anno formativo; ne ricordiamo alcuni: riunione per l’e- lezione dei rappresentanti dei genitori di corso per i primi corsi, cena di tutti i rappresentanti dei genitori con l’obiettivo, oltre che di socializzare, di pianifi- care le attività dell’associazione, vale a dire la “Castagnata” nella prima quin- 57 dicina di Novembre, la festa di Don Bosco, la serata carnevalesca, la festa di fine anno. Sono anche organizzati incontri del Comitato di Presidenza per la pianificazione di attività formative per i genitori degli allievi, in genere tre/quattro incontri-dibattito annuali, e nei quali il Direttore e i Coordinatori di settore hanno il compito di relazionare sull’andamento dell’anno formativo. 5.2.2. Differenziazione dei gruppi di apprendimento, recuperi e approfondimenti, sostegno individuale, gestione passaggi e transizioni, LARSA interni Riportiamo le risposte fornite al secondo sotto-quesito della domanda sulla personalizzazione. 5.2.2.1. Abruzzo Molte discipline sono preventivamente organizzate con metodologia di lavoro di gruppo e sottogruppi e pianificate prima dell’inizio di ogni ciclo su piani didat- tici che ogni docente prepara e consegna al coordinatore del corso. I LARSA sono regolarmente attuati con la suddivisione del gruppo classe in 2 sottogruppi: uno che svolge azione di potenziamento seguito dal docente della di- sciplina e l’altro che svolge azione di recupero seguito dal tutor/coordinatore del corso. Finora le discipline su cui si sono attivati i laboratori di recupero e sviluppo attività sono state principalmente: processi produttivi, comunicare in italiano e lin- guaggio logico-matematico. Il sostegno individuale nei momenti critici viene fornito, soprattutto a livello di motivazione, dal coordinatore/tutor, con il coinvolgimento dei docenti con cui l’al- lievo dimostra più di frequente problematiche comportamentali e/o di rendimento scolastico. Tali interventi vengono evidenziati principalmente nelle riunioni mensili del gruppo docente con la Direzione. Il sostegno di ingressi lungo il percorso finora è stato gestito con la disponibi- lità dei docenti del corso e l’affiancamento dei nuovi allievi, soprattutto nelle disci- pline pratiche, ad allievi con buone conoscenze/abilità. Non ci sono stati finora pas- saggi in uscita dal percorso ad altri tramite LARSA. C’è da aggiungere che nei no- stri progetti è previsto, ed è attuato presso tutti i CFP, il “gruppo di progetto”, in cui il personale del CFP è affiancato da docenti dell’Istituto tecnico industriale statale nominati dal Preside dell’Istituto e da rappresentanti delle realtà aziendali del set- tore di riferimento che ha tra i suoi compiti anche quello di gestire passaggi di per- corso in ingresso e, soprattutto, in uscita. 5.2.2.2. Calabria Il percorso è semi-personalizzato: 1) la differenziazione dei gruppi (gruppo classe, gruppo di livello, gruppo di inte- resse) è realizzata (ma non formalizzata) normalmente come metodologia di- dattica soprattutto in laboratorio, nella fase della realizzazione concreta dei prodotti e nei momenti di recupero e di approfondimento; 2) il sostegno individuale, specie nei momenti critici, ma pure per stimolare l’ela- 58 borazione di un cammino personale di eccellenza in base agli interessi e alle capacità: è realizzato e non formalizzato nel percorso orientativo; 3) il recupero e l’approfondimento: da progetto, sono previste 250 ore nel triennio, solo 50 ore al I anno all’interno del monte ore complessivo, da dedi- care al sostegno e all’approfondimento; alla luce delle verifiche e delle valuta- zioni periodiche e di fine I anno, sono stati attivati brevi laboratori di recupero; 4) il sostegno di ingressi lungo il percorso e la gestione di passaggi dal percorso ad altri tramite appositi LARSA: non è stato attivato. In occasione di ingressi in itinere è stato attivato l’orientamento individuale, la rilevazione delle capa- cità, conoscenze abilità e competenze in ingresso e in base ai risultati è stato realizzato il riconoscimento dei crediti e sono stati attivati momenti di recu- pero (individualmente, nel gruppo). 5.2.2.3. Emilia Romagna La differenziazione dei gruppi (gruppo classe, gruppo di livello, gruppo di in- teresse) è usata normalmente come metodologia didattica e anche per effettuare la- boratori di recupero e di approfondimento. In Emilia Romagna non sono previsti i LARSA. Da noi la stessa funzione è svolta dalle codocenze (come scelta del Centro) e con il “Pronto soccorso forma- tivo” (previsto dal Bando regionale). Il “Pronto soccorso formativo” consiste nella possibilità di attuare dei percorsi personalizzati, grazie allo stanziamento di un budget per delle ore di lezione (noi ne abbiamo previste 200, ma potrebbero au- mentare, decrementando il costo orario della docenza) abbinate o meno a periodi di stage. Fino ad ora noi lo abbiamo utilizzato nei seguenti casi: per alcuni utenti che desideravano competenze maggiori rispetto a quelle previste dagli obiettivi del corso (es. lezioni sul sistema operativo “Linux”); per un ragazzo che a causa di sue problematiche personali non poteva rimanere all’interno del gruppo classe; per il recupero di alcuni allievi. È anche possibile attuare quelli che tecnicamente vengono definiti “Percorsi individualizzati”. Dal momento che gli allievi non hanno l’obbligo di frequenza del 70% del monte ore previsto, ci è consentito, previo confronto e consenso della Pro- vincia, diminuire il numero delle ore di presenza in aula (semplicemente segnando assente l’utente) e aumentare quelle di stage. Ad esempio, abbiamo attuato un per- corso individualizzato per una ragazza le cui competenze erano molto alte rispetto al gruppo classe; viene a lezione due volte alla settimana e per il resto del tempo è in stage. Nel caso arrivino nuovi allievi a percorso già iniziato, verifichiamo le loro competenze e poi ci muoviamo con gli strumenti di cui sopra. 5.2.2.4. Friuli Venezia Giulia Prevista la differenziazione dei gruppi a seconda del livello piuttosto che di in- teresse a partire da metà anno formativo. I LARSA saranno attivati prossimamente per gruppi di livello. 59 Il sostegno individuale è affidato al tutor tramite colloqui individuali e la pos- sibilità di rivolgersi ad una psicologa dell’IRIPES presente settimanalmente al Centro. Criticità: nel nostro Centro c’è un solo tutor per i 5 primi corsi e fa molta fatica a seguire gli allievi. La Regione permette l’inserimento di allievi tramite l’attivazione di appositi “percorsi personalizzati” (di cui viene finanziato parzialmente il tutorato) finaliz- zati all’inserimento nel mondo del lavoro o nei percorsi regolari. Siamo in attesa del finanziamento per inserire 4 nuovi possibili allievi. 5.2.2.5. Lazio Prevede tutte le tipologie di intervento citate. Bisogna, però, dire che la diffe- renziazione in gruppi è ancora allo stato embrionale: sicuramente è prevista e rea- lizzata grazie al finanziamento di un (non eclatante) monte ore di tutoring ma, af- finché diventi una prassi efficace, bisogna che sia adeguatamente supportata in ter- mini di risorse umane e logistiche, nonché interiorizzata da formatori e tutor, so- prattutto come team educativo-formativo. 5.2.2.6. Liguria È prevista la differenziazione fra gruppi (di compito, o di livello), le attività LARSA differenziate per compiti in particolare su attività di carattere pratico. Sul piano delle competenze teoriche stiamo ancora lavorando sui gruppi di recupero, sia per gruppi ristretti che sul gruppo-classe. Nel limite delle ore di co-docenza disponibili riusciamo a scomporre la classe in piccoli gruppi anche con la collaborazione didattica del tutor (2-3 gruppi). Non si sono ancora delineati gruppi di particolare eccellenza data la qualità medio-bassa degli allievi sul piano cognitivo (e considerando anche la scarsa tenuta sui tempi le- gati alle diverse attività) Buoni risultati si stanno raggiungendo con l’esperienza dei LARSA e delle at- tività a classi aperte. Registriamo un notevole aumento nell’impegno e nella moti- vazione a fare e ad apprendere, facendo lavorare ed interagire ragazzi più grandi con ragazzi più piccoli. Stiamo cercando il più possibile di intensificare tali attività, compatibilmente con gli impegni e la disponibilità dei docenti e degli impegni dei formatori. Abbiamo avuto alcuni casi di inserimento al II anno o in itinere durante l’anno, sui quali si sono svolte attività di verifica rispetto ai crediti dichiarati. Non si sono ancora verificati casi di passaggio dal nostro Ente ad altre realtà educative. 5.2.2.7. Lombardia I referenti dei due Enti hanno presentato realtà differenziate. 1) CNOS-FAP a) avviene scarsamente, solo in alcuni casi ed occasioni; b) sono previsti dei LARSA (circa 60 ore annue per gruppo classe), anche se 60 appare ancora insufficiente la parte progettuale e il lavoro d’équipe ad essi connessi; c) sono previste attività di sostegno individuale sui livelli critici, per lo più fa- cendo ricorso all’intervento di volontari, mentre sono sostanzialmente as- senti interventi di stimolo sui percorsi di eccellenza; d) assenti attività di sostegno di ingressi lungo il percorso, mentre sono pre- viste attività per la gestione dei passaggi ad altri percorsi. 2) CIOFS/FP a) la gestione dei LARSA per ciascun Centro CIOFS/FP Lombardia avviene attraverso la differenziazione dei gruppi seppur con tempistiche diverse: durante la mattinata, nel pomeriggio, distribuiti lungo tutto il percorso, con- centrati in alcuni periodi strategici; b) viene offerta l’opportunità di LARSA (circa 60 ore annue per gruppo classe) attraverso ricerche, realizzazioni di casi aziendali, visite guidate; c) anche il sostegno individuale viene valorizzato sia in aula, mediante la co- docenza, che all’esterno, con colloqui o con confronti individuali o a coppie, con il supporto del formatore e del coordinatore; d) nei Centri in cui si sono verificati ingressi ad attività avviata, sono stati pre- disposti piani di recupero personalizzato al fine di favorire il transito presso il Centro. 5.2.2.8. Piemonte I referenti dei due Enti hanno presentato realtà differenziate. 1) CNOS-FAP a) In generale si tende a lavorare con il gruppo classe. Non in tutti i CFP si uti- lizzano i gruppi di livello (gli allievi appartenenti a diversi gruppi classe con difficoltà similari vengono talvolta inseriti in gruppi di livello per azioni di recupero). Molte volte i gruppi di livello sono associati alle attività di recu- pero e approfondimento. Qualche CFP realizza anche gruppi di interesse e altri stanno pensando ad attività per gruppi di interesse (per esempio, nel- l’ambito teatrale con sviluppo della comunicazione interpersonale e delle ca- pacità personali). Pertanto, in generale, sul piano metodologico si riscontra una ricchezza di strategie. Le lezioni frontali in situazione d’aula continuano ad occupare un posto importante nella didattica della FP, ma questo non è più né esclusivo, né prevalente. L’obiettivo finale è quello di offrire, in confor- mità con la riforma Moratti, dei percorsi personalizzati: pertanto agli inter- venti tradizionali si affiancano i lavori di gruppo, l’uso dei laboratori attrez- zati, la didattica attiva, il tutoring e l’auto-formazione assistita nel quadro di una pedagogia di progetto e di un apprendimento cooperativo. Il ricorso alle tecnologie dell’informazione e, in particolare, alle nuove tecnologie copre un’area che va dalle tecniche di animazione, alla simulazione d’impresa, ai supporti multimediali nell’area informativa e linguistica. 61 b) Per le azioni di recupero e approfondimento i progetti triennali prevedono 280 ore di cui 100 il I anno, 95 il II anno, 85 il III anno. I progetti biennali prevedono 135 ore di cui 85 il I anno, 50 il II anno. Le unità formative di potenziamento/approfondimento sono state realizzate in quasi tutti i Centri. Nella maggioranza dei Centri tali azioni sono state realizzate nel corso del- l’iter formativo, per quegli allievi che non avevano raggiunto gli obiettivi previsti in base ai risultati conseguiti nel primo quadrimestre. Per attuare tali azioni si è fatto uso di particolari metodologie didattiche, prima indivi- duando (su segnalazioni degli insegnanti) i singoli settori di problematicità (matematica, lingue, disegno, materie tecnico-professionali…) e quindi passando a potenziare/approfondire le competenze attraverso esercitazioni mirate, individuali o di gruppo. In taluni casi, gli interventi di potenzia- mento si sono svolti contemporaneamente a quelli di approfondimento me- diante l’inserimento di un co-docente sia durante le ore di materie di base che di laboratorio, così da favorire sia chi aveva difficoltà di base che chi non aveva un metodo di lavoro. Le unità formative di potenziamento: sono state realizzate in itinere, dopo una prima valutazione dei singoli allievi, scegliendo i contenuti curricolari delle competenze di base; e, nella fase finale, concentrando l’attenzione soprattutto sull’area tecnico-professionale, oppure mediante calendarizza- zioni personalizzate; la metodologia utilizzata fa capo all’apprendimento cooperativo ed è consistita nel lavoro in piccoli gruppi, nell’inserimento di un co-docente, nella predisposizione di materiali ad hoc per superare le lacune. Le unità formative di approfondimento sono state realizzate in genere nel corso dell’anno oppure durante le attività di sperimentazione oppure in con- temporanea con gli interventi di potenziamento; in questo caso la metodo- logia utilizzata ha fatto ricorso alla redazione di appositi percorsi ed eserci- tazioni più impegnative oppure ad incontri personalizzati al fine di miglio- rare le proprie prestazioni. Le attività di recupero e approfondimento si sono svolte in modo diversifi- cato a seconda dei CFP: in alcuni sono previste nel calendario settimanale e gestite separatamente nelle singole discipline, in altri nei periodi successivi alla valutazione bimestrale o trimestrale dedicando delle giornate ad hoc, in altri attivando dei momenti specifici quando necessitava, anche a cadenza settimanale. Si rileva la criticità dell’organizzazione dei recuperi/approfon- dimenti poiché in alcuni casi si devono prevedere più formatori che fanno l’attività in contemporanea, con un problema organizzativo, di risorse umane ed economico. Si rileva in alcuni casi la necessità nei laboratori di una collaborazione tra più formatori sia nella progettazione che nella ge- stione. In generale si tende maggiormente a gestire le attività di recupero più che quelle di approfondimento. In alcuni casi si tende a utilizzare le ore 62 di recupero/approfondimento, insieme a quelle per l’accompagnamento e a quelle delle capacità personali, per aumentare il numero delle ore professio- nalizzanti di officina. c) Il sostegno individuale viene effettuato soprattutto nei momenti critici, molto meno per stimolare l’eccellenza. In alcuni casi l’attività di sostegno, soprattutto nel caso di studenti integrati, si realizza tramite la metodologia del piccolo gruppo all’interno del gruppo-classe. d) Si prevedono modalità di gestione dei passaggi e di sostegno. Il sostegno è presente per ingressi lungo il percorso e gestione di passaggi dal percorso ad altri, con la collaborazione progettuale e fattiva degli altri Enti (Istituti) interessati. È possibile presentare dei progetti di LARSA di passaggio alle Province per ottenere un finanziamento. In alcuni CFP il sostegno in in- gresso è realizzato in modo integrato all’interno del gruppo-classe con eventuali momenti individualizzati finalizzati al recupero di competenze specifiche. Tra Regione e MIUR si sta definendo un modello di gestione dei passaggi a partire dall’Accordo Stato Regioni. La Regione al momento prevede la modalità di certificazione dei crediti in ingresso con i crediti ad personam. Per quanto riguarda la gestione dei crediti, è stata attuata sia in ingresso che in uscita. La gestione dei crediti in ingresso è stata effettuata attraverso il riconoscimento e/o la certificazione ad personam della scuola di provenienza; mentre quella in uscita è stata attuata compilando, per la scuola che riceverà il ragazzo, una serie di documenti, quali la certifica- zione delle competenze e i crediti ad personam. Per il riconoscimento dei crediti formativi in via normale si fa una distinzione a seconda che la ri- chiesta sia in entrata o in uscita: nel primo caso, ci si basa su certificazioni (scolastiche, di lavoro, di altre formazioni ricevute) e viene formalizzato nel modulo C. 2 (assegnazione crediti ad personam) che è vidimato dal ser- vizio ordinamenti didattici; nel secondo si utilizza il modello C. 1 (Certifi- cazione crediti e competenze in uscita dalla FP) previsto dagli standard for- mativi. Tuttavia c’è anche chi, per monitorare l’intero percorso formativo, fa uso di schede ad hoc e di moduli del sistema qualità. Passando alle pro- cedure per l’accreditamento e la certificazione, va anzitutto segnalato che per il riconoscimento dei crediti formativi si è ricorso a diverse strategie. Infatti si è proceduto attraverso il Consiglio di classe, mediante una valuta- zione interna, tramite schede per sondare l’intero percorso formativo, per mezzo della somministrazione di prove di verifica delle competenze dichia- rate, attraverso il “Libretto personale dell’allievo”, o mediante una prova in ingresso di accertamento delle competenze. 2) CIOFS/FP L’elaborazione di un PFP ha guidato la definizione e la realizzazione del per- corso formativo in corso d’opera in quanto ha consentito di organizzare atti- vità per gruppo classe e di individuare all’interno dello stesso, esigenze diver- 63 sificate di recupero e/o approfondimento (gruppo di livello) e di prevedere l’at- tivazione di LARSA sviluppati in alcuni casi anche in UdA, considerate mezzi efficaci per il raggiungimento degli obiettivi. I sostegni individuali sono stati attuati – a seguito del monitoraggio dell’équipe formativa e del tutor – dai singoli formatori, laddove si è manifesta una seria criticità, attraverso attività suppletive di esercizi di potenziamento con affian- camento individuale. I LARSA intesi come passaggio sono allo studio. Sono stati effettuati 3 inseri- menti nella FP. 5.2.2.9. Puglia La Regione Puglia lascia ampio spazio nella utilizzazione di metodologie di- dattiche attive e diverse che possano personalizzare il percorso formativo e devono essere specificate nel progetto di massima. L’Ente CIOFS/FP Puglia ha quindi inserito nei progetti come attività di accom- pagnamento delle ore di recupero e approfondimento, ossia LARSA interni, perché sono finanziati dal budget del progetto ma comunque extra-curricolari. a) Il percorso formativo all’interno dei due Centri è fortemente personalizzato; molte attività sono sviluppate attraverso la differenziazione degli allievi in gruppi, proprio per rendere maggiormente assimilabili i saperi. La personaliz- zazione è considerata indispensabile dal CIOFS/FP Puglia, perché gli allievi hanno modalità di apprendimento differenti. Per tale motivo l’opzione metodo- logica di fondo è lo sviluppo di una metodologia attiva, centrata sulle compe- tenze oltre che sui saperi. b) I LARSA sono stati approvati dalla Regione Puglia, solo per questi progetti, come attività curricolari, ossia facenti parte integrante delle 1.200 ore di cia- scuna annualità. La tendenza della Puglia in questo campo è infatti quella di privilegiare attività di recupero e approfondimento in ambito extra-curriculare. I LARSA previsti dal progetto hanno lo scopo di recuperare o di approfondire conoscenze, competenze ed esperienze tanto nell’ambito dei saperi di base che delle competenze professionalizzanti. c) Il percorso, così come configurato, tende ad essere, rispetto al destinatario, globale, originale, amichevole, personalizzato e fondato su una forte relazione didattico/formativa. Infatti considerando gli ostacoli tipici che i destinatari in- contrano, si cercano di avvicinare il più possibile le materie di area culturale con quelle dell’area tecnico professionale; gli allievi vengono stimolati alla co- struzione del loro progetto personale e affiancati nelle eventuali difficoltà, sia attraverso i recuperi che attraverso contatti individuali e la consulenza orienta- tiva. d) Sono stati realizzati anche LARSA extra-curricolari per favorire l’inserimento di allievi provenienti dai percorsi dell’Istruzione e non più motivati a prose- guire. 64 5.2.2.10. Sardegna Il percorso formativo può essere definito come “non pienamente riuscito”, in riferimento alla differenziazione in sotto-gruppi e alla possibilità di realizzare spe- cifici interventi individualizzati. Infatti anche se pensato e progettato in conformità con lo spirito della Riforma e dell’attenzione Salesiana per la persona nella sua glo- balità, ha dovuto subire una serie di limitazioni per le difficoltà amministrative ed organizzative incontrate. Tali difficoltà hanno impedito la differenziazione del gruppo classe in gruppi e la strutturazione di specifici interventi individualizzati. Le attività dedicate alla personalizzazione (300 ore secondo l’articolazione di- dattica definita dalla RAS) sono state strutturate in modo tale da contribuire alla costruzione di un progetto di sviluppo inteso come “percorso di gruppo” che pre- veda azioni educative mirate relative alla crescita affettiva e cognitiva di ciascun ragazzo, al rafforzamento dell’autostima, alla valorizzazione delle esperienze pre- gresse e alla costruzione di un progetto personale formativo/professionale. È stato elaborato un modello che supporta la progettazione delle azioni di personalizzazione attraverso una serie di schede strutturate che sintetizzano e chiariscono l’approccio metodologico da utilizzare. Il quadro progettuale nel quale le azioni si sviluppano è basato su una serie di opzioni formative riaggre- gate in un catalogo strutturato in modo da consentire all’équipe dei formatori di scegliere a seconda dell’analisi del fabbisogno le azioni di personalizzazione più adeguate. Le azioni previste sono: approfondimenti e/o recuperi didattici, incontri degli allievi con l’équipe formativa, attività ludico sportive, workshop tematici, incontri genitori-allievi, elaborazione del progetto personale-professionale, stage integrativo. Come evidenziato in precedenza, tutte le attività sono state concepite come gruppo-classe. 5.2.2.11. Sicilia La differenziazione dei gruppi non viene fatta in maniera stabile, i raggruppa- menti variano secondo i bisogni, le opportunità da sfruttare, o la scelte degli appro- fondimenti e gli obiettivi da raggiungere. In genere i gruppi di livello, di interesse, sono sempre stati gruppi interni al corso. Lungo il percorso formativo sono previste circa 120 ore annuali di LARSA che ogni allievo o gruppi di allievi utilizzano per laboratori di recupero o per approfon- dimenti. Il sostegno individuale è fatto in aula-laboratorio in orario scolastico o anche in orari extrascolastici, soprattutto se si tratta di finalizzarlo alle passerelle, con un impegno di volontariato da parte dei formatori. Le passerelle sono state una espe- rienza unilaterale, nel senso che se un/a ragazzo/a chiedeva di introdursi nel nostro percorso, il Centro si è sempre attivato con un corso di recupero; invece, allievi del Centro che, ottenuta la qualifica, chiedevano di passare all’istruzione hanno trovato 65 molti ostacoli da parte dei Presidi. Ultimamente la situazione è cambiata, in quanto quelle allieve che, nonostante le difficoltà, sono riuscite a farsi ammettere in per- corsi scolastici, hanno dato ottimi risultati, e hanno fatto cambiare parere ai Presidi, per cui ora sono loro che ci vengono a chiedere ragazzi. Nel CIOFS/FP, la differenziazione dei gruppi di apprendimento avviene lungo l’anno, man mano che si presenta la necessità, ma sono gruppi variabili a seconda delle necessità. Il sostegno ai passaggi e alle transizioni è avvenuto in un solo verso: dalla scuola all’IeFP, è stato gestito interamente dal Centro in ore extra con la disponibilità dei formatori. In itinere si utilizzano le ore di LARSA interni al per- corso per gli allievi del corso per il sostegno alle motivazioni, il recupero dei man- cati apprendimenti, e lo sviluppo di particolari attitudini e conoscenze per gli al- lievi che non hanno bisogno di recupero. 5.2.2.12. Umbria La durata della sperimentazione non ha permesso una reale personalizzazione, peraltro non prevista nel progetto. Non sono stati realizzati LARSA. Il sostegno individuale è stato fornito dall’attività di tutorato (un tutor FP, un tutor SSS) che ha favorito la tenuta del corso in termini di frequenza e di raggiun- gimento degli obiettivi minimi di apprendimento. Sono stati inseriti in itinere 4 allievi su 10 su indicazione del Collegio docenti della SSS; non sono stati predisposti particolari strumenti per la gestione degli inse- rimenti (passaggi SSS/FP). 5.2.2.13. Veneto Il sistema attuale di gestione e finanziamento regionale non permette a tutti gli Enti e a tutti i Centri di attuare la differenziazione dei gruppi o il sostegno indivi- duale, anche se per le caratteristiche dell’utenza sarebbe fondamentale poterli rea- lizzare. Dove ciò è possibile, eccone un esempio. a) La differenziazione dei gruppi (gruppo classe, gruppo di livello, gruppo di in- teresse): inizialmente si parte con il gruppo classe organizzato con il contri- buto principale del servizio di orientamento. Dopo i test d’ingresso comincia già a differenziarsi gradualmente l’attività del gruppo classe con la creazione di attività in gruppi di livello intercorso mirate soprattutto al recupero di al- cune competenze gravemente carenti (ad es. extracomunitari che non com- prendono la lingua italiana). Dopo la prima valutazione bimestrale, in base alle segnalazioni dei singoli docenti, il servizio di orientamento elabora un patto da sottoporre alle famiglie degli allievi più in difficoltà che prevede attività di re- cupero da erogare in parallelo o in aggiunta all’attività ordinaria, in orari extra formativi, sulle aree in cui sono in difficoltà; all’inizio si tratta soprattutto del- l’area delle competenze trasversali: metodo di studio, organizzazione dei 66 propri tempi, assistenza nell’esecuzione dei compiti, ecc.). Per gli allievi che, a seguito di valutazioni e colloqui con i tutor – col servizio di orientamento e con la propria famiglia, intendono passare o proseguire gli studi nel percorso di istruzione secondaria, sono organizzati gruppi di interesse intercorso che ap- profondiscono alcune competenze dell’area culturale scientifica e studiano ar- gomenti non previsti nella FP. Le attività integrative si svolgono per lo più nei pomeriggi in cui non è previsto il tempo pieno. Per i casi di grave difficoltà nell’apprendimento prosegue l’attività parallela di sostegno individuale. b) La presenza di opportunità di laboratori di recupero e di approfondimento (LARSA): nella Regione Veneto sono state previste un 10% di ore, sul totale annuale previsto, dedicate alla personalizzazione dei percorsi, anche se non tutti gli Enti riescono a prevederli. Ad esempio al “San Zeno”, come si può ri- levare da quanto descritto al punto a), si realizzano i LARSA anche se non sono state definite né la durata né la tipologia di questi laboratori in fase di pia- nificazione precedente all’avvio dei corsi. La flessibilità dell’impianto forma- tivo del Centro consente di progettare, pianificare ed erogare tali attività in gruppi di approfondimento di alcune competenze specifiche (laboratori di in- formatica, di progettazione CAD, delle lavorazioni meccaniche, lettura e com- posizione) oppure la costituzione spontanea di gruppi di interesse per la recita- zione, l’attività musicale, l’organizzazione e la conduzione di alcune manife- stazioni che coinvolgono tutto l’istituto, le attività sportive, i gruppi di im- pegno sul sociale. c) Il sostegno individuale, specie nei momenti critici, ma pure per stimolare l’ela- borazione di un cammino personale di eccellenza in base agli interessi ed alle capacità: la risposta pensiamo sia contenuta nei punti precedenti. d) Il sostegno di ingressi lungo il percorso e la gestione di passaggi dal percorso ad altri tramite appositi LARSA: Gli ingressi possono essere gestiti senza un percorso particolare; eventuali ore di recupero vengono svolte secondo i casi e le possibilità dei formatori o anche di volontari. In alcune Province della Re- gione esiste una procedura concordata con la “Rete territoriale per l’orienta- mento” a cui se ne aggiunge una predisposta dall’Ufficio scolastico regionale, anche se finora non sono state applicate (per motivi di organizzazione). Nel Centro “San Zeno” uno dei fiori all’occhiello è rappresentato dall’opportunità che gli allievi hanno di passare dalla FP all’istruzione tecnica e viceversa attra- verso accordi precisi tra CFP e ITIS che regolano il reciproco riconoscimento dei crediti. Da oltre 30 anni, hanno conseguito il diploma di perito più di 5.000 allievi provenienti dal CFP, parte dei quali hanno poi proseguito negli studi universitari conseguendo la laurea. Tutto questo è frutto di una cultura della promozione della persona che si traduce concretamente in azioni di motiva- zione/rimotivazione allo studio attraverso molteplici strumenti educativi e for- mativi tra i quali spicca l’adozione di una didattica più adatta a questo tipo di utenza che privilegia il metodo induttivo. 67 5.2.3. Piano formativo personalizzato Riportiamo le risposte fornite al terzo sotto-quesito della domanda sulla perso- nalizzazione. 5.2.3.1. Abruzzo Il servizio di personalizzazione è rivolto a chi, trovandosi inserito in un corso, presenta serie difficoltà di apprendimento. Il piano formativo personalizzato si realizza essenzialmente attraverso l’attiva- zione uno o più laboratori suddivisi per aree (area culturale, area scientifica, area linguistica, ecc.) a seconda delle necessità dei singoli individui. In questi laboratori, si privilegia la presenza di un numero limitato di utenti per personalizzare il più possibile l’intervento e valorizzare il rapporto di reciproca fiducia tra il tutor e il fruitore del servizio eliminando così il possibile distacco tra “docente” e “allievo” che potrebbe impedire una corretta acquisizione di nozioni. Lo strumento principale necessario per quest’azione è costituito dalla dota- zione di strumenti e metodologie di sostegno degli apprendimenti che consentono di dare vita a processi misti di formazione in chiave fortemente attiva. Si inizia con le prove d’ingresso di vari livelli di difficoltà, per verificare i prerequisiti. Serve come punto di partenza per progettare un percorso personalizzato a seconda delle varie tipologie di utenza. Si passa, quindi, all’allestimento di laboratori adottando le più appropriate metodologie. La modalità è quella di allestire uno o più locali suddivisi a seconda degli strumenti o risorse attivate (cartaceo, informa- tico e audiovisivo). Ogni laboratorio viene seguito da un docente o tutor che fa da sostegno e da accompagnamento durante il percorso. Nel caso in cui al soggetto manchino delle abilità pratiche, sarà inserito in laboratori interni di stage orienta- tivi. 5.2.3.2. Calabria Il piano formativo personalizzato viene realizzato, nel senso che le metodo- logie di lavoro attivate sono commisurate alle caratteristiche dei singoli allievi ma non sono formalizzate. Il team dei formatori attiva due modalità di lavoro: a) la prima, informale, con- siste in un dialogo costante tra formatori, direttore, coordinatore e tutor ed ha la fi- nalità di esplicitare, attraverso il confronto continuo, le caratteristiche dei singoli allievi, le metodologie di lavoro più idonee in relazione alle caratteristiche indivi- duali, le attività e le modalità migliori per consentire a ciascuno di raggiungere i propri obiettivi; b) la seconda, formale, prevede riunioni del team dei formatori, mirate principalmente a verificare l’andamento e a programmare le unità di appren- dimento, considerando in tale programmazione le caratteristiche di ciascuno. Si svolgono inoltre incontri con le famiglie e gli educatori, sia in gruppo che individuali, attraverso cui, soprattutto nella fase iniziale, si è mirato a conoscere la storia e le caratteristiche di ciascuno. 68 5.2.3.3. Emilia Romagna Nella sede del CIOFS/FP di Bologna avviene in pochi casi e non in maniera si- stematica. 5.2.3.4. Friuli Venezia Giulia In ogni Centro vi sono diverse strategie di valorizzazione delle capacità persona- li dei singoli allievi e diverse modalità di realizzazione di un piano formativo perso- nalizzato. Al momento la Regione non ha standardizzato le modalità di rilevazione e di sostegno per cui ogni singolo Centro opera in modo diverso rispetto alle attività di orientamento, raccolta delle informazioni, proposta di un piano personalizzato, orga- nizzazione dei LARSA, creazione del portfolio, monitoraggio dei risultati. Siamo in piena fase di sperimentazione, ci sono degli incontri tra coordinatori di progetto dei va- ri Enti per confrontarsi (a livello CONFAP, ma anche con altri Enti, IAL, ENAIP). Ma in realtà è tutto un lavoro da mettere in piedi. La Regione sta a guardare. Nota: in Regione sono previste e finanziate 150 ore di LARSA per ogni annua- lità su un totale di 1.200 ore annue (1.050 curricolari più 150 di personalizzazione). Tenendo presente che è obbligatoria un’integrazione con gli IS di almeno 180 ore (queste ore sono finanziate dal Ministero e non dalla Regione) sono proprio le ore di LARSA finanziate che permettono ad ogni Centro di sfruttare appieno le do- cenze interne. 5.2.3.5. Lazio Le tappe fondamentali del processo di personalizzazione sono costituite da: orientamento/bilancio; test d’ingresso; monitoraggio dell’apprendimento in itinere; programmazione di percorsi personalizzati; definizione di programmi d’adegua- mento; tirocini orientativi/formativi; colloqui, individuali e di gruppo, con allievi e famiglie; accompagnamento al lavoro/rientro scolastico. 5.2.3.6. Liguria Il piano formativo personalizzato si realizza in linea di massima presso le di- verse strutture regionali attraverso i seguenti passaggi: a) constatazione del livello di partenza e delle capacità iniziali degli allievi; b) incontro iniziale con allievi e famiglie; c) stesura del percorso formativo d’aula che tiene conto dei precedenti elementi; d) impostazione del portfolio personale; e) monitoraggio periodico sulle situazioni individuali ad opera del Collegio for- matori spesso affiancato da personale dedicato all’orientamento (orientatori e psicologi); f) individuazione e programmazione di azioni individualizzate inserite soprat- tutto nell’ambito dei LARSA. L’approfondimento delle misure sopra descritte varia da Centro a Centro, so- prattutto in ragione della presenza o meno di personale di carattere orientativo-psi- 69 cologico che affianca con efficacia il team di docenti durante questa attività che ri- guarda non solo le capacità di carattere tecnico o i saperi teorici, ma spesso gli aspetti personali dei ragazzi. Le azioni di personalizzazione sono fortemente attuate all’interno dei LARSA che, progettati durante lo svolgimento del corso, consentono di rispondere ad una duplice esigenza, individuale e di gruppo, o dell’intera classe: recupero di situa- zioni problematiche; approfondimento di argomenti specifici. Si è attuata la seguente impostazione organizzativa: – 1 pomeriggio alla settimana, 3 ore di recupero di gruppo sui temi professionaliz- zanti e su quelli culturali (3 ore per 24 settimane = 72 ore) su temi individuati dal Collegio formatori; – previsione di una settimana compatta di attività di LARSA di gruppo per un to- tale di 25 ore sempre su temi individuati dal Collegio formatori; – totale di recupero di gruppo: 97 ore; – ore a disposizione per approfondimenti e recuperi: 53 (di gruppo, in base alle segnalazioni che emergono dal Collegio formatori e dagli allievi, valutate co- munque dal Collegio formatori). 5.2.3.7. Lombardia I referenti dei due Enti hanno dato risposte diverse. 1) CNOS-FAP In tutti i Centri v’è un’attenzione costante alla metodologia del “piano forma- tivo personalizzato”, anche se in nessun Centro viene redatto un “piano” in maniera formale all’inizio del percorso; si sta però progressivamente introdu- cendo l’uso di un portfolio delle competenze. Con l’avvio dei percorsi triennali si registra, a diversi livelli ma in tutti i Centri, un aumento: del numero di incontri tra i formatori, anche finalizzati alla personalizzazione; dell’attenzione alle capacità personali; delle attività di orientamento. 2) CIOFS/FP All’inizio del percorso formativo, attraverso un articolato processo di orienta- mento si rilevano le capacità cognitive, affettive, relazionali, operative e pro- gettuali ivi compreso il metodo di studio di ciascun allievo. I risultati sono ri- portati in sintesi su una scheda di inizio attività. Successivamente il percorso si snoda tenendo conto di quanto pianificato nel progetto di dettaglio, del punto di partenza di ciascuno, degli esiti via via raggiunti dal gruppo classe. Mentre ogni allievo è seguito individualmente e periodicamente sia dal tutor/coordi- nato che dall’orientatore, di fatto non viene elaborato a livello formale/car- taceo un “piano formativo personalizzato”. 5.2.3.8. Piemonte I referenti dei due Enti hanno dato risposte diverse. 70 1) CNOS-FAP Nei CFP avvengono dei confronti periodici tra i formatori dei vari team. Si prevedono quindi dei recuperi e degli affiancamenti per quegli allievi che mo- strano forti difficoltà nell’apprendimento. In generale, i percorsi triennali tendono a una metodologia presentata nella “guida nazionale per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati”: UdA disciplinari e interdisciplinari, valutazione autentica, portfolio. Nei CFP si stanno implementando le UdA interdisciplinari (3 per CFP) che utilizzano la valutazione “autentica”. Si sta implementando il portfolio (siamo in una fase iniziale). I coordinatori tutor e i formatori sono in una fase iniziale di applica- zione del “piano formativo personalizzato” con la rilevazione delle capacità, punti di forza e di miglioramento dell’allievo. Permane la difficoltà ad avere incontri periodici e di una certa frequenza delle équipe dei formatori. 2) CIOFS/FP Formatori, coordinati dal tutor e dal coordinatore di corso, utilizzano le ore previste dal contratto per il “Collegio formatori” e elaborano il “piano forma- tivo di corso” e lo monitorano con scadenze concordate. Tale lavoro, in tutte le sedi, ha creato team stabili di progettazione e pianifica- zione delle UdA, ha implementato una mentalità progettuale e ha contribuito a lavorare in un’ottica di verifica dell’efficacia dei risultati. 5.2.3.9. Puglia Non sussiste una esplicita richiesta da parte della Regione di un “piano forma- tivo personalizzato”. I PFP vengono attuati nei nostri Centri al 100% anche se ri- chiedono una metodologia didattica e una formazione adeguata. I progetti prevedono molte ore di orientamento finalizzate a rilevare le capacità degli allievi; inoltre il Consiglio di corso discute periodicamente l’andamento degli allievi, i loro progressi o cambiamenti all’azione formativa e rilevate caratteristiche personali, modalità di apprendimento, ecc. 5.2.3.10. Sardegna Nella gestione del processo formativo viene costantemente tenuto in considera- zione il principio della personalizzazione. Tale principio presuppone un approccio aperto alle variabili del contesto, nel rispetto delle linee generali espresse dalle “Dis- posizioni attuative”. Ciascun Centro di FP opta per un modello di personalizzazione che esclude la presenza di programmazioni predefinite e opera attraverso un lavoro costante di diagnosi delle caratteristiche e capacità personali degli allievi. Particolare rilievo hanno le attività che, secondo l’articolazione didattica, ven- gono dedicate in maniera specifica alla personalizzazione (300 ore). Esse contribui- scono a costruire un progetto di sviluppo personalizzato inteso come “percorso di gruppo” che prevede azioni educative finalizzate alla crescita affettiva e cognitiva, al rafforzamento dell’autostima, alla valorizzazione delle esperienze pregresse e alla costruzione di un progetto personale formativo/professionale. 71 È stato elaborato un catalogo strutturato in una serie di opzioni (schede descrit- tive) che consente all’équipe dei formatori/orientatori di scegliere le azioni di per- sonalizzazione più opportune attraverso un’accurata analisi del fabbisogno. L’articolazione delle opzioni dedicate alla personalizzazione è: a) approfondi- menti didattici; b) incontri degli allievi con l’èquipe formativa; c) attività ludico sportive; d) workshop tematici (problematiche della crescita, qualità della vita e concetti di salute, cittadinanza attiva, ambiente e sviluppo); e) incontri genitori-al- lievi; f) progetto personale professionale; g) stage integrativo. 5.2.3.11. Sicilia La metodologia adottata dai nostri Centri prevede inizialmente circa 20 ore di orientamento-conoscenza dell’allievo, anche attraverso test di ingresso per le com- petenze di base e per le motivazioni e attitudini alla scelta o alla prosecuzione del percorso; la presentazione del percorso formativo annuale da parte del progettista o formatore incaricato, la presa di coscienza del patto formativo allievi che contiene anche un regolamento interno, la stesura di un breve progetto formativo personale fatto dall’allievo e condiviso con il tutor. In itinere si utilizzano le ore di LARSA per il sostegno alle motivazioni, il re- cupero dei mancati apprendimenti, lo sviluppo di particolari attitudini e conoscenze per gli allievi che non hanno bisogno di recupero. È un lavoro che richiede grande collaborazione tra i formatori, il tutor e il Direttore e che necessita di incontri men- sili di tutto il Collegio di corso per fare periodicamente il punto sulla situazione, programmare il lavoro successivo, con particolari modalità di collaborazione fra i diversi formatori, progettare unità di apprendimento pluridisciplinari per aiutare i ragazzi a evidenziare, attraverso alcuni prodotti finiti richiesti, le competenze po- tenziate attraverso gli apprendimenti fino allora maturati e le capacità sviluppate. Le verifiche in itinere e periodiche sono utilizzate non solo per monitorare gli apprendimenti e la maturazione graduale degli allievi, ma anche per migliorare la qualità del servizio educativo, in quanto le schede di sintesi, insieme ai questionari di reazione degli allievi e delle famiglie (indice del gradimento del servizio), ci per- mettono di avere un quadro della situazione globale e anche della capacità educa- tiva-formativa dei singoli formatori. Nel CIOFS/FP, le attenzioni del Collegio formatori puntate sul singolo allievo, mirano a rilevare punti di forza e di debolezza durante tutto lo svolgersi dell’azione formativa, in collaborazione con il tutor d’aula che fa un monitoraggio continuo non solo degli apprendimenti, ma dei comportamenti, delle motivazioni, delle rela- zioni sia con i coetanei singoli che con gruppi, del metodo di studio. Tutto il lavoro pedagogico di osservazione, piccoli interventi, incontri con i genitori, scambi di in- formazioni, trova il suo momento ufficiale negli incontri di Collegio formatori, dove si fa il punto della situazione e si registrano sulla scheda personale dell’al- lievo (prevista in procedura) gli interventi per il recupero degli apprendimenti, o per gli approfondimenti, e nella scheda di valutazione dove si registrano non solo 72 le valutazioni delle discipline delle varie aree, ma collegialmente si decide la valu- tazione di: grado di autonomia; capacità di relazione; interesse; partecipazione. 5.2.3.12. Umbria Negli avvisi pubblici per la presentazione dei progetti se ne fa cenno, di fatto mancano sempre le risorse e ci si limita a finanziare piccole attività che peraltro vengono approvate nella seconda metà di attuazione dei corsi stessi. 5.2.3.13. Veneto L’elaborazione di un piano formativo personalizzato: la personalizzazione è la- sciata ai singoli Centri e quindi ci sono modalità diverse a seconda delle caratteristi- che, della tradizione, dell’esperienza. In alcuni Centri, pur essendo attenti alle diver- se situazioni personali, non è per ora attuato un lavoro sistematico e formalizzato per la personalizzazione del piano formativo (metodi e obiettivi rimangono uguali per tut- ta la classe). In altri, il piano formativo personalizzato è da considerare di tipo dina- mico in quanto si costruisce durante il percorso. Gli allievi, cioè, attraverso le inte- razioni con i docenti e col supporto dei loro tutor e dell’orientatore, trovano nelle proposte personalizzate che il Centro offre loro (attività di recupero e/o approfondi- mento, attività in gruppi di interesse, attività formative integrative per consentire l’e- ventuale passaggio al percorso dell’Istruzione tecnica o al percorso dell’alternanza scuola-lavoro...) il percorso più idoneo alle proprie capacità ed aspirazioni. 1) CNOS-FAP La personalizzazione è lasciata ai singoli Centri e quindi ci sono modalità di- verse a seconda delle caratteristiche, della tradizione, dell’esperienza. 2) CIOFS/FP Conegliano e Padova (per le classi prime): viene fatta una rilevazione iniziale individuale tramite test e colloqui individuali, come previsto dalla “Scheda di valutazione ex ante” del “sistema qualità”, che riguarda i seguenti aspetti: ca- pacità espressiva, comunicazione, motivazione, maturità emozionale, capacità logico-matematiche, cultura generale. Gli orientatori/psicologa comunicano ai formatori i risultati e ognuno li tiene in considerazione nella propria attività. Durante l’anno ci si confronta come team di formatori, in particolare nel mo- mento delle valutazioni periodiche. Conegliano: all’inizio dell’attività formativa i formatori somministrano le prove di ingresso per rilevare la situazione iniziale degli allievi. Padova: oltre ai test della psicologa vengono somministrati test di posiziona- mento per le aree di lingua italiana, matematica e lingua inglese per rilevare i prerequisiti degli allievi e provvedere al riallineamento nel primo periodo del- l’anno formativo. Pur essendo attenti alle diverse situazioni personali, non è per ora attuato un lavoro sistematico e formalizzato per la personalizzazione del piano formativo (metodi e obiettivi rimangono uguali per tutta la classe). Esperienza di un caso di PEI per un’allieva certificata e 2 personalizzazioni re- 73 lative a corsi di I anno. In un caso si è provveduto a sdoppiare la classe nelle aree scientifica (matematica), dei linguaggi (italiano), storico-socio-economica e professionale (economia aziendale) per problemi legati a dinamiche relazio- nali problematiche. Nel secondo caso, poiché la classe presentava un gruppo di allievi con difficoltà cognitive ed un gruppo dotato di buone capacità, lo sdop- piamento permette il raggiungimento di livelli adeguati per i due gruppi. 5.2.4. Unità di apprendimento e prodotti reali, stage e alternanza Riportiamo le risposte fornite al quarto sotto-quesito della domanda sulla per- sonalizzazione. 5.2.4.1. Abruzzo In qualche CFP è stata realizzata la UdA relativa all’ideazione e realizzazione di un carro allegorico, per gli altri le UdA proposte dalla Sede Nazionale saranno oggetto di sperimentazione nel proseguo dei percorsi didattici. La definizione dei progetti di stage/alternanza di prossima attuazione su un cor- so di II anno sarà sicuramente personalizzato sulla base delle caratteristiche dei sin- goli allievi. In questo campo abbiamo a livello di CFP un’esperienza ultra trentenna- le di conoscenza e rapporti con aziende del settore (metalmeccanico) e di conseguen- za la possibilità di personalizzare i percorsi di stage sia per allievi che abbiano rag- giunto più che sufficienti conoscenze/abilità, sia per altri che non hanno raggiunto an- cora pienamente gli standard minimi. Quest’ultimi, in particolare, vengono collocati presso aziende gestite da nostri ex-allievi che conoscono fin troppo bene le realtà so- ciali di alcuni giovani che frequentano i CFP nel nostro contesto comprensoriale e che si sono sempre prestati a collaborare attivamente sia a livello tecnico che umano. L’esperienza di stage è sempre utilizzata come rafforzamento delle capacità personali per il proseguo del percorso didattico. 5.2.4.2. Calabria Le UdA vengono progettate dal gruppo didattico, su proposta del coordinatore e dei progettisti, in base alle reali caratteristiche del gruppo e all’evoluzione dello stesso. Si basano per lo più su prodotti reali che siano attraenti per i ragazzi. Stage/alternanza è realizzata sulla base delle caratteristiche (capacità, attitu- dini) della persona. Gli imprenditori sono entrati in aula per presentare il settore la- vorativo, hanno accompagnato i ragazzi nelle visite guidate, hanno indicato docenti che sono risultati pedagogicamente eccellenti e sono allineati sulla logica della pe- dagogia personalizzata. L’esercitazione sul campo realizzata in questo primo anno è stata organizzata con le imprese destinando le coppie di allievi nelle imprese più idonee alle caratteristiche di ciascuno ed è stato un momento sia nella fase prepara- toria in cui le imprese hanno incontrato lo staff, sia nella fase di start-up in cui hanno incontrato le famiglie insieme agli allievi, sia nella fase di realizzazione, che ha generato grande motivazione negli allievi e grande soddisfazione sia nelle im- prese che nelle famiglie e negli allievi. 74 L’accompagnamento personale dell’allievo e il coinvolgimento dell’impresa in una logica di pedagogia personalizzata: è realizzato sia sul piano dell’accompagna- mento individuale attraverso i tutor ed i docenti, sia per quanto detto al punto pre- cedente con le imprese. Le imprese partecipano al gruppo interistituzionale ed al gruppo didattico, pertanto sono consapevoli della metodologia di lavoro adottata (accompagnamento individuale e personalizzazione degli interventi), la condivi- dono e collaborano attivamente alla definizione di UdA e prodotti utili e motivanti. La valorizzazione delle esperienze ai fini del prosieguo del percorso: è realiz- zata nel modo seguente: alla fine di ogni prodotto si realizza un momento auto-va- lutativo finalizzato a far acquisire consapevolezza delle competenze acquisite con la realizzazione di quel prodotto. I prodotti vengono presentati alle famiglie, alla comunità, ai docenti, ad altre agenzie con l’obiettivo di valorizzare le esperienze e tenere alto il livello di motivazione. Nella relazione di una tirocinante presso il CIOFS/FP, a proposito di UdA, si legge: Il prodotto che più degli altri ha palesato i progressi di ogni singolo allievo è stato il pre- sepe. Più dettagliatamente gli allievi sono stati suddivisi in tre gruppi per la realizzazione di tre diversi presepi: due calabresi e uno napoletano. Cimentandosi in tale attività, è stato possibile acquisire delle competenze professionali: attraverso processi di saldatura, lavorazioni al banco e lavorazioni base di termoidraulica, si è pervenuti alla costruzione di cavalletti di sostegno ai presepi, o ancora, attraverso i processi di circuiti idrici ed elet- trici elementari i ragazzi hanno realizzato ruscelli, fiumi e laghi, e l’impianto di illumina- zione dei presepi; quest’ultimo, attraverso la riproduzione dell’alternanza di alba, giorno, tramonto e notte, ha saputo creare particolari emozioni e suggestioni. Allo stesso modo, la presenza nei presepi dei suddetti ruscelli, dei laghetti e delle fontane, delle miniature di ponti, massi, arbusti ed alberelli, ha saputo carpire l’attenzione degli spettatori nel- l’ammirazione dei dettagli. Da non sottovalutare poi l’utilizzo dei diversi strumenti ne- cessari per la costruzione delle case, delle strade: gli allievi hanno familiarizzato con pinze, seghetti, pistole a caldo… Ma ciò che ha rivestito importanza fondamentale è stata l’acquisizione di tutte le competenze di base correlate alla realizzazione del prodotto: la lingua italiana, con l’approfondimento sulla storia del presepe, la varietà dei presepi nel mondo, la tipologie dei presepi nel contesto nazionale, l’informatica, che ha permesso loro di trasferire ed elaborare tali informazioni in formato elettronico per meglio padro- neggiare con l’Office, e ancora la sicurezza sul lavoro, la chimica, la fisica, la matema- tica, ognuna con il suo precipuo contributo. I presepi sono stati iscritti a due concorsi cit- tadini raggiungendo ottimi piazzamenti. La motivazione è salita ed i ragazzi hanno ini- ziato a cogliere il senso della metodologia di lavoro per prodotto. 5.2.4.3. Emilia Romagna Non siamo ancora riusciti ad attuare le UdA (sebbene le avessimo già prepa- rate). Lo stage è definito in base alle capacità, attitudini e obiettivi dell’utente. Ci è per il momento difficile coinvolgere l’impresa in una logica pedagogica. 5.2.4.4. Friuli Venezia Giulia UdA previste nel progetto, ma ancora non progettate né attuate per difficoltà di incontro dei gruppi docenti-classe. Si pensa di progettarle in qualche modo prossi- 75 mamente, finalizzate al capolavoro di officina, multidisciplinari e rivolte all’intero gruppo-classe. Verranno attivati stage al II e al III anno (128+192 ore), sulla base delle carat- teristiche della figura professionale e creando degli abbinamenti allievo-azienda sulla base delle capacità e attitudini dell’allievo. C’è un unico tutor che segue appo- sitamente tutti gli stage del proprio settore. Ci saranno degli incontri tra il tutor interno, il tutor aziendale e l’allievo per monitorare l’andamento dello stage. 5.2.4.5. Lazio Assolutamente adeguato. L’anello debole sta nelle imprese che, per troppo tempo sono state usate o, meglio, hanno voluto essere usate solo come “campi di lavoro”. Il nostro Ente ha, però, da anni puntato sull’informazione e il marketing formativo presso le imprese del territorio e i risultati cominciano a vedersi. Gli im- prenditori della nostra rete sono, generalmente, più partecipi, collaborano alla ste- sura dei progetti individuali e pongono più attenzione alla valenza pedagogica, anche se nell’ottica del learning by doing. 5.2.4.6. Liguria Tutti i percorsi sono progettati e articolati per unità di apprendimento interdi- sciplinari di carattere professionalizzante (dove il prodotto finale è un prodotto della professione), di carattere culturale (con prodotto di natura non professionaliz- zante) e di natura orientativa-ambientale (es. accoglienza, orientamento finale, sportiva, ecc.). In linea di massima, in ogni UdA si affrontano temi di tutte le aree disciplinari. Si riporta di seguito lo schema tipo di UdA: 76 Relativamente allo stage, abbiamo operato la scelta di considerarlo una UdA a sé stante in quanto individuabile con precisi elementi corrispondenti a quelli sopra evidenziati. 5.2.4.7. Lombardia I referenti dei due Enti hanno dato risposte diverse. 1) CNOS-FAP In riferimento alle attività sopra elencate: a) Solo a partire dall’anno formativo 2004-05 si stanno progettando e propo- nendo (ancora con lentezze e fatiche) UdA nella logica dell’apprendere at- traverso il fare, nonostante questa sia una delle idee centrali nell’impianto metodologico e didattico della sperimentazione lombarda avviata ormai quasi tre anni fa. b) È ormai consolidata la pratica dello stage, con un buon livello di considera- zione delle caratteristiche della persona; il progetto della sperimentazione triennale (elaborato dal coordinamento inter-Ente) prevede una durata dello stage (210 ore al II anno, 350 al III) che pare eccessiva e pone qualche pro- blema (a partire dal progetto presentato nel 2004-05 – cioè per le seconde annualità dell’anno prossimo e per le terze annualità del 2006-07 – è stato introdotto un range orario per lo stage, compreso tra 160 e 210 ore al II anno e tra le 250 e le 350 ore al III). c) Avviene un accompagnamento personale dell’allievo durante lo stage, pur con diverse difficoltà nel coinvolgere le imprese in una logica pedagogica. d) La valorizzazione dell’esperienza dello stage nel prosieguo del percorso av- viene soprattutto (ma in un buon numero di casi) con l’eventuale assun- zione dell’allievo nell’azienda in cui ha svolto lo stage. 2) CIOFS/FP a) In ciascun Centro sono state già attuate alcune UdA sia di natura professio- nale e culturale, che di orientamento e legate allo sviluppo e alla valorizza- zione delle capacità personali. 77 b) Anche l’attività di alternanza, in modo particolare nella fase di abbina- mento allievo e azienda, viene fatta tenendo conto degli interessi, delle esi- genze del singolo, sia rispetto al settore, sia rispetto alla tipologia di azienda e alla sua ubicazione. c) L’accompagnamento personale e la visita individuale viene garantita a tutti gli allievi anche se non sempre si può parlare di un vero e proprio coinvol- gimento dell’impresa in una logica di pedagogia personalizzata, in quanto questo aspetto dipende molto dal tutor aziendale di riferimento e alla dis- ponibilità dell’azienda ad investire in termini di tempo e di cura sull’al- lievo. d) Lo stage diventa l’occasione privilegiata per la maggior parte degli allievi per trovare un’occupazione, già presso la stessa azienda o per formalizzare in modo più compiuto la propria scelta professionale. 5.2.4.8. Piemonte I referenti dei due Enti hanno dato risposte diverse. 1) CNOS-FAP In tutti i CFP si sta lavorando nella logica delle UdA interdisciplinari, con la costruzione del piano formativo, dell’UdA e del canovaccio dell’UdA. All’i- nizio dell’anno ci si era dato l’obiettivo di fare tre UdA per il I anno. A livello di Ente si stanno fornendo supporti metodologici e formativi ai formatori, pro- gettisti, coordinatori tutor dei corsi affinché si riesca a raggiungere l’obiettivo. In alcuni CFP si sono previste almeno tre UdA annuali di cui due professiona- lizzanti (prodotti reali). In altri sono in studio e sviluppo le prime UdA, non ancora verificata la loro validità nel tempo. In altri è stata realizzata la prima UdA professionale con esiti, secondo il parere dei formatori coinvolti, diversi: in alcuni casi infatti la progettazione dell’UdA si è rivelata poco adeguata alle reali capacità/possibilità degli allievi nonché alle concrete possibilità di svi- luppo e accompagnamento da parte dei formatori coinvolti. In altri casi, in- vece, l’UdA realizzata ha ottenuto lo scopo per la quale era stata progettata: porre i ragazzi di fronte ad un problema reale per la soluzione del quale era ne- cessario mettere in campo molte delle conoscenze fino a quel momento acqui- site. Le UdA vengono proposte ed attuate in numero ancora insufficiente per poter dire che la metodologia ad esse legata sia entrata a fare pienamente parte della proposta formativa; le poche esperienze fin qui attuate hanno dato buoni risultati. Emerge una difficoltà a coinvolgere i formatori e il team nella logica di un lavoro unitario, interdisciplinare in base alla novità della metodologia di- dattico-formativa. Nel progetto, lo stage ha una durata di 400 ore. Per i biennali, tutte al II anno (salvo qualche CFP che ha messo alcune ore anche al I anno), per i triennali 120 al II anno e 280 al III anno. L’attività di stage è il più possibile personaliz- zata e segue le metodologie previste nel “Manuale stage”. Il “Manuale stage” 78 copre le richieste dei punti 2, 3, 4. Come indica lo stesso manuale, la scelta dell’azienda tiene conto di capacità e attitudini della persona, che viene seguita nel suo percorso e aiutata a valorizzare l’esperienza. Nel Centro, vengono svolte le attività di stage/alternanza nelle quali si cerca di coinvolgere l’im- presa nella logica della pedagogia personalizzata; in molti casi occorre però fare i conti col tipo di azienda, la sua organizzazione interna e soprattutto la quantità di lavoro in cui versa nei periodi di stage. Queste tre componenti gio- cano un ruolo fondamentale nell’integrazione tra impresa e Centro per quel che riguarda gli aspetti formativi. 2) CIOFS/FP Ogni sede operativa ha previsto nel proprio PF lo sviluppo di almeno cinque UdA interdisciplinari in coerenza con le mete educativo-culturali, professionali specifiche del proprio percorso. Ad oggi sono state realizzate in ogni sede al- meno due UdA. Nella progettazione di queste UdA, l’équipe dei formatori ha come punto di riferimento il contesto classe e le situazioni singole; l’allievo è accompagnato dalla socializzazione di obiettivi, strumenti e risultati (guida) e le famiglie nella socializzazione del prodotto finale. 5.2.4.9. Puglia La Regione Puglia prevede che il percorso di apprendimento avvenga me- diante UF. Il CIOFS/FP Puglia, comunque, negli ultimi progetti approvati, ha inse- rito delle UdA (due o tre per ogni anno). a) In questi progetti, le UdA non sono state previste nel progetto di massima, ma, in via sperimentale, il Consiglio di corso ne ha concordate alcune da realizzare lungo il percorso, tra cui: una extra-curriculare (“Storie di ieri per vivere oggi”) il cui prodotto finale è la realizzazione di un musical; una curricolare (“Educazione alla legalità”), grazie alla quale gli allievi possono conseguire la “Patente A1” e che ha come prodotto finale la realizzazione di una campagna di sensibilizzazione al “vivere civile”. b) Lo stage è previsto in complessive 360 ore nel triennio. Durante il I anno, lo stage è sostituito da 100 ore di visite guidate, che hanno lo scopo di favorire un primo approccio alla realtà aziendale. Nel II e nel III anno, si ha l’inseri- mento effettivo nell’azienda. Lo stage viene progettato e personalizzato sul “profilo professionale dell’allievo”. L’abbinamento allievo/azienda viene rea- lizzato sulla base di: a) affinità del processo aziendale dove si dovrebbe svol- gere lo stage con la qualifica; b) esplicita richiesta dell’azienda di competenze possedute dallo stagista; c) esplicita e motivata richiesta dello stagista di effet- tuare lo stage presso l’azienda individuata con i criteri di cui sopra; d) ade- guato collegamento per il raggiungimento della sede da parte dello stagista. Il rapporto di stage è regolamentato da una “Convenzione di stage” ovvero l’ac- cordo tra la sede operativa e l’azienda sulle modalità di svolgimento dello stage e dal “Progetto di stage”, che comprende due allegati. Nel primo sono 79 individuati obiettivi e modalità di svolgimento delle attività, gli orari, gli obiet- tivi formativi, gli obblighi dello stagista. Nel secondo allegato, sono indivi- duati gli obiettivi formativi specifici dell’allievo. Lo stage è suddiviso in due fasi e per ogni fase vengono individuati obiettivi formativi specifici. Il pro- getto è sottoscritto dall’allievo, dalla famiglia, dal tutor aziendale e dal Diret- tore di Centro. Le attività svolte, le giornate e gli orari di permanenza nelle aziende sono raccolte nel registro di stage. Il percorso è poi valutato dal tutor aziendale sia sotto il profilo professionale che personale attraverso un’apposita scheda. c) Il tutor d’aula si reca presso l’azienda (come si evince dalle firme riportate sul registro di stage) per verificare che l’allievo sia integrato nell’ambiente lavora- tivo attraverso colloqui con lo stesso e colloqui con il tutor aziendale, e accer- tando che la frequenza sia quella prevista e gli obiettivi siano conseguiti in modo efficace. Gli strumenti utilizzati per la valutazione dell’esperienza di stage (alcuni utilizzati in forma sperimentale) sono: - la scheda di “verifica di stage” in cui l’allievo deve descrivere: il compito più difficile assegnato durante lo stage; il compito più interessante; le com- petenze acquisite in aula che ha potuto utilizzare; - la scheda di “auto-valutazione” in cui lo stagista è chiamato a valutarsi ri- spetto a dei livelli (esperto, competente e principiante) di cui sono descritte delle prestazioni; - il “diario di stage” (quotidiano e settimanale) discusso e confrontato setti- manalmente con l’orientatore, al rientro nel Centro, comprendente: atti- vità svolte, difficoltà incontrate, strategie di fronteggiamento, auto-valuta- zione. Gli stessi indicatori sono utilizzati nella scheda di valutazione da parte del tutor aziendale. Altri sono previsti dal “sistema qualità”: scheda di valutazione aziendale, in cui il tutor aziendale, in base a degli items specifici, valuta le ca- pacità personali e professionali (utilizzando una scala di valori da 1 a 5), a cui fanno seguito eventuali osservazioni; questionario di gradimento stage, in cui l’allievo è chiamato ad indicare la propria soddisfazione circa: la significatività del percorso di stage, il raggiungimento degli obiettivi prefissati, la prepara- zione di ingresso, gli strumenti utilizzati, l’acquisizione di nuove conoscenze, la collaborazione con il tutor aziendale; d) le esperienze che gli allievi maturano nelle aziende sono valorizzate e richia- mate durante l’attività formativa in aula dall’orientatore che ne promuove la condivisione. 5.2.4.10. Sardegna Secondo quanto evidenziato nelle “Linee guida” allegate ai “Progetti della spe- rimentazione dei percorsi triennali”, la progettazione formativa è proposta per aree formative all’interno delle quali sono indicati i risultati attesi e i contenuti ad un li- 80 vello macro, al fine di consentire all’équipe dei formatori/orientatori una precisa strutturazione dei percorsi formativi in coerenza con le caratteristiche specifiche dell’utenza. La strutturazione delle azioni formative presuppone quindi un’attività di micro-progettazione per la realizzazione di azioni educative strutturate in: UdA, per quanto possibile, di carattere interdisciplinare; laboratori; LARSA; attività di personalizzazione. Le attività formative si ispirano al criterio metodologico della centralità del- l’allievo e del suo successo formativo in una prospettiva che tende a valorizzare e potenziare le risorse personali; esse devono garantire la realizzazione di esperienze dotate di valenza culturale, pedagogica, sociale e professionale e devono essere funzionali alla crescita e alla valorizzazione della persona. Le attività di stage realizzate sono state di carattere esclusivamente orientativo, in quanto l’articolazione didattica, secondo delibera della RAS, prevede lo stage applicativo soltanto nella terza annualità. 5.2.4.11. Sicilia Il percorso di apprendimento prevede la proposta di UdA sia modulari che in- terdisciplinari, che valorizzano lo sviluppo soprattutto delle capacità di trasferire o di riadattare a contesti diversi quanto si è imparato a fare, o riprogettare fasi di la- voro secondo le commesse o consegne ricevute, e secondo le proprie capacità. Per lo stage è prevista una fase informativa, una orientativa, una progettuale e una esperienziale. Non ci è stato possibile fare scelte di aziende o di specifiche atti- vità personalizzate in stage sulla base di caratteristiche dell’allievo, a causa di scelta molto limitata delle aziende, la maggior parte dei corsi è attivata in piccoli Centri che non offrono ampia possibilità di scelta. L’accompagnamento è assicurato dalla presenza del tutor che segue l’attività di stage e tiene continui rapporti con l’allievo e con l’azienda. Il prosieguo del percorso molte volte si fa attendere per una situazione regio- nale che continua a perpetuarsi: i ragazzi fanno esami dopo sei mesi e qualche volta dopo un anno e più. Nelle sedi del CIOFS/FP, le UdA in genere vengono programmate a livello di- sciplinare da quasi tutti i formatori, le UdA pluridisciplinari sono progettate o dal- l’intero Collegio formatori o da un gruppo di essi, per dare ai ragazzi la possibilità di evidenziare, attraverso alcuni prodotti reali richiesti, le competenze, sviluppate attraverso gli apprendimenti, fino allora maturate e offrire la possibilità di saperle organizzare e gestire per un prodotto nuovo o diverso. Lo stage viene strutturato in modalità di simulazione al I anno (poche ore, da un minimo di 30 ad un massimo di 50), in azienda nel II e III anno. 5.2.4.12. Umbria Non sono state elaborate UdA. Avendo realizzato solo il I dei tre anni, lo stage non è stato svolto. Avendo realizzato solo il I dei tre anni, non è stata svolta attività di assistenza… 81 5.2.4.13. Veneto In questo caso le differenze tra i diversi Enti sono veramente significative. Non in tutti Centri si lavora allo stesso modo per cui si possono individuare esperienze molto diverse tra loro. Nel migliore dei casi troviamo un percorso d’apprendimento in cui sono pre- senti: a) la proposta di UdA che valorizzano le caratteristiche della persona: fin dalla sua origine, in perfetta sintonia con il principio ispiratore delle scuole profes- sionali salesiane che è fondato sul motto “vera scuola con vero lavoro”, soprat- tutto nell’area tecnico-operativa, si adotta il metodo delle UdA. Si tratta di “ca- polavori” via via più complessi e che fanno sintesi di competenze sempre più allargate che portano, nella parte terminale del percorso, a realizzare vere ap- parecchiature quali accessori alle macchine utensili o simulatori, del tutto si- mili a quelle costruite nelle aziende, inoltre, gli allievi acquisiscono non solo competenze tecniche che consentono loro di costruire facendo ricorso ai saperi teorici ed alle abilità su singoli compiti specifici, ma imparano ad assumere i ruoli caratteristici delle aziende. I laboratori, infatti, riproducono la realtà di un’azienda tipica del settore. Più difficile da realizzare è invece l’integrazione con le aree culturale e scientifica, nelle quali i docenti devono anche tener pre- senti la progressione degli apprendimenti e l’opportunità per gli utenti dei pas- saggi integrativi agli altri percorsi di Istruzione tecnica. In passato sono state costruite e sperimentate, in ottica interdisciplinare, UdA comuni; b) la definizione del progetto di stage/alternanza sulla base delle caratteristiche (capacità, attitudini, progetto) della persona: salvo poche eccezioni, non sono stati ancora organizzati veri e propri percorsi di stage/alternanza. Sono stati in- vece incentivati, a livello di approfondimento delle competenze tecniche e di occupazione positiva degli allievi durante le vacanze, i contratti di stage estivi, curando la scelta dell’azienda in collaborazione con la famiglia. In questo mo- mento, si sta sperimentando il progetto di stage/alternanza di alcuni allievi in forte stato di demotivazione allo studio e di disagio familiare mediante il coin- volgimento del servizio di orientamento, del tutor e di aziende particolarmente sensibili (in genere aziende in cui sono presenti dirigenti o lavoratori che sono ex-allievi del Centro). Anche in base ai risultati di questa esperienza, si pensa di applicare ed estendere progressivamente questo modello come una delle modalità di formazione offerte dal Centro; c) un accompagnamento personale dell’allievo e il coinvolgimento dell’impresa in una logica di pedagogia personalizzata: si attuano almeno quattro tipi di esperienze di stage: uno stage/visita tecnica di poche ore al I anno, uno stage orientativo di circa 80/100 ore ed eventualmente lo stage estivo al II anno, lo stage formativo di circa 160 ore al III anno, al quale generalmente segue l’ac- compagnamento al lavoro. Questa attività viene coordinata dal tutor dello stage e coinvolge in pratica, oltre che le famiglie che collaborano con il tutor 82 nella scelta dell’azienda fornitrice di stage, il Coordinatore di settore e tutti i docenti che durante lo stage, in accordo col tutor, si recano a far visita agli al- lievi nelle aziende. Durante le visite, i docenti raccolgono dei dati significativi confrontati, a fine stage, con quelli forniti dagli allievi e dalle aziende nei que- stionari di gradimento. È forse ancora carente la cura dei tutor aziendali, sia per la difficoltà di non gravare troppo sull’azienda, sia per mancanza di precise strategie di coinvolgimento e di formazione di questi tutor esterni. È sicura- mente un passo ulteriore questo, già a nostra portata. Si sottolinea che spesso i Centri sfruttano l’occasione dello stage, nel quale sono complessivamente se- lezionate ogni anno molte aziende, anche per effettuare il rilievo dei fabbisogni formativi delle aziende visitate, mediante la compilazione di un apposito for- mulario, e per la compilazione di un questionario a cura del “sistema di qua- lità” in cui si chiede alle aziende di esprimere una valutazione sul grado di qualità del servizio offerto dal Centro al territorio; d) una valorizzazione delle esperienze ai fini del prosieguo del percorso: al ter- mine del percorso dello stage, oltre alla compilazione del questionario di gra- dimento a cui si è già fatto riferimento, gli allievi sono invitati a redigere una relazione dettagliata dell’esperienza fatta descrivendo la tipologia d’azienda in cui sono stati ospitati, i prodotti tipici, l’organigramma aziendale, la struttura dei ruoli reali osservati, l’organizzazione dei tempi e degli spazi, il flusso delle lavorazioni/informazioni/documenti, il livello tecnologico presente nell’a- zienda. I dati sono quindi sintetizzati ed offerti a tutto il gruppo per animare il dibattito sull’esperienza dello stage appena concluso. In questo modo si pos- sono evidenziare e valorizzare al massimo livello i punti di forza dell’espe- rienza attuata. Il tutor degli stage, inoltre, si interfaccia in modo continuo con le aziende e le famiglie per l’eventuale accompagnamento ed assunzione al la- voro al termine dell’attività formativa. 5.2.5. Verifiche e valutazioni Riportiamo le risposte fornite al quinto sotto-quesito della domanda sulla per- sonalizzazione. 5.2.5.1. Abruzzo Sicuramente su prestazioni reali e adeguate, nell’ambito delle singole disci- pline didattiche. Il portfolio verrà messo in sperimentazione in tutti i CFP regionali a partire dall’inizio del secondo ciclo didattico (febbraio-giugno) secondo le modalità de- scritte nelle guide per l’elaborazione dei piani didattici personalizzati distribuite dalla Sede Nazionale. L’uniformità di percorso con la scuola statale superiore ci porta a due tipi di valutazioni: una didattica con votazione espressa in decimi, e una comportamen- tale, espressa dal Consiglio dei formatori, basata sulla valutazione dell’impegno, della motivazione e socializzazione degli allievi. 83 Nelle nostre realtà regionali, il CFP ha svolto da sempre il ruolo di “ufficio di collocamento” per allievi ed ex-allievi anche a distanza di molti anni dall’acquisi- zione della qualifica professionale. 5.2.5.2. Calabria Le valutazioni sono basate su prestazioni reali e adeguate e si compongono di un momento valutativo dei docenti ed auto-valutativo degli allievi sulle compe- tenze. Si elabora un portfolio progressivo che illustra i progressi della persona nel percorso: per ogni allievo esiste un portfolio con le valutazioni e le auto-valuta- zioni. Si elaborano sintesi valutative non formali, ma strettamente riferite alle capa- cità personali e alle esperienze svolte: il momento di confronto docenti-allievi dopo la valutazione e l’auto-valutazione potrebbe essere il momento di sintesi (non è re- gistrato su nessun documento). Si prevede l’accompagnamento nelle esperienze formative e lavorative succes- sive al percorso: è troppo presto ma è previsto. 5.2.5.3. Emilia Romagna Si elaborano sintesi valutative non formali, ma strettamente riferite alle capa- cità personali, all’impegno. Si prevede l’accompagnamento nelle esperienze forma- tive e lavorative successive al percorso. 5.2.5.4. Friuli Venezia Giulia Attualmente le valutazioni sono ancora fatte in maniera tradizionale, discipli- nare e con le vecchie “pagelline”. Il portfolio è ancora in fase di progettazione, c’è la volontà di costruirlo per ogni allievo. Valutazioni singole tradizionali, nel portfolio si cercherà di valutare le compe- tenze professionali e trasversali acquisite. Durante il III anno, finora, con i corsi tradizionali, è sempre stato individuato un gruppetto di allievi da preparare ed accompagnare all’esame di Stato per l’ac- quisizione della qualifica statale e l’inserimento al IV anno IPSIA. Per l’accompa- gnamento al lavoro, il tutor-stage, essendo un’importante interfaccia col mondo del lavoro ha sempre mediato le richieste di lavoro degli ex-allievi presso le aziende più idonee. 5.2.5.5. Lazio Non elaboriamo un portfolio, ma provvediamo ad implementare una scheda in- dividuale che riporta i livelli di raggiungimento degli obiettivi e i crediti acquisiti. Per quanto concerne il sistema d’accompagnamento è in evoluzione e, per il momento, si rivolge all’utente nei cosiddetti “momenti cerniera” (passaggi, passe- relle, fine del percorso, ricerca di nuova formazione, ricerca attiva d’occupazione). 84 5.2.5.6. Liguria Ciascuna UdA è finalizzata al raggiungimento di un compito/prodotto finale – capolavoro – che viene valutato dai docenti che hanno sviluppato l’intero per- corso, con particolare peso di coloro che hanno dedicato maggior tempo e risorse allo sviluppo del progetto. Il capolavoro può essere individuale o di gruppo, a se- conda degli obiettivi previsti e delle metodologie didattiche individuate. Normal- mente si tende a sviluppare UdA interdisciplinari (che prevedono ovviamente aree formative dominanti) allo scopo di coinvolgere il più possibile tutta la comu- nità educante e di rendere maggiormente consapevoli gli allievi dell’importanza degli insegnamenti sia teorici che pratici convergenti sul compito/prodotto da rea- lizzare. Al termine della UdA si procede alla valutazione in équipe e si delineano gli eventuali percorsi di recupero/approfondimento da sviluppare (attività LARSA), ri- spetto agli OSA pianificati. I docenti/formatori sono pertanto coinvolti in un’opera di riallineamento delle competenze anche attraverso la riprogettazione/revisione delle UdA per singoli gruppi di recupero. Si rivalutano a posteriori gli obiettivi spe- cifici di apprendimento man mano che le abilità e le conoscenze sono acquisite, avendo come meta minima da raggiungere ciò che è stabilito dagli standard minimi previsti dall’ Accordo Stato-Regioni del 15-01-2004. Il graduale processo di apprendimento viene “registrato” nel portfolio del sin- golo allievo (attualmente in fase di costruzione), archiviando compiti, relazioni, ve- rifiche, ricerche, ecc., costruendo nel tempo il dossier delle attività formative rea- lizzate dal singolo individuo (eventualmente implementabile dalla famiglia attra- verso la registrazione documentale di competenze acquisite in attività informali ex- trascolastiche). 5.2.5.7. Lombardia I referenti hanno dato risposte diverse. 1) CNOS-FAP Il progetto della sperimentazione triennale lombarda assume come propria la logica della “valutazione autentica”, scegliendo di utilizzare due strumenti: il portfolio e un “libretto di valutazione” che valuta più dimensioni (conoscenze e abilità, competenze, comportamenti e stage). 2) CIOFS/FP Le verifiche si riferiscono sia alle acquisizioni teoriche che alle prestazioni reali rispetto alla realizzazione di casi aziendali specifici o attività simulate di settore. Non tutti i percorsi triennali hanno formalizzato i progressi della persona attra- verso uno specifico portfolio (per i percorsi di prima annualità siamo in attesa di formalizzare un modello unico per tutti i Centri funzionale alle esigenze emerse dall’esperienza pregressa). Le sintesi a carattere valutativo riferite alle capacità personali e alle esperienze 85 svolte vengono elaborate in occasione di colloqui con l’orientatore o il coordi- natore o la Direzione, a seconda delle risorse presenti nel Centro, e della prassi abitualmente adottata. Tale valutazioni sono riportate formalmente nella scheda di valutazione personale o durante la presentazione del candidato all’e- same di qualifica. L’accompagnamento successivo è garantito da contatti telefonici da parte del- l’orientatore/segreteria del Centro o da visite periodiche degli ex-allievi, as- sidue soprattutto nei primi anni successivi, in modo particolare in occasione del monitoraggio semestrale e annuale in ordine allo stato occupazionale. 5.2.5.8. Piemonte I referenti hanno dato risposte diverse. 1) CNOS-FAP a) In generale su questo punto si è in una fase sperimentale e si stanno imple- mentando le modalità di valutazione autentica previste dal progetto, pur es- sendo consapevoli delle difficoltà a inserire e diffondere una modalità valu- tativa nuova presso i nostri formatori che in generale utilizzano valutazioni più tradizionali. In ogni caso, c’è una tendenza a utilizzare strumenti valuta- tivi diversificati. Si tende a passare da una valutazione di tipo scolastico a una autentica basata su prestazioni reali, almeno per le UdA. Al riguardo è stato segnalato l’utilizzo in ingresso, in itinere o alla fine di: test orali e scritti; prove pratiche; griglie di osservazione; strumenti di auto- valutazione degli allievi; azioni di recupero; colloqui individuali; report dei docenti, calendarizzati e compilati sia individualmente che in seduta ple- naria. Nel valutare i risultati si è fatto ricorso a strategie articolate. Dalle indica- zioni fornite dai coordinatori dei corsi emerge che durante il percorso for- mativo si utilizzano diverse tecniche, che nel complesso possono essere dis- tribuite in tre categorie: a) una prima riguarda le prove oggettive di valuta- zione, comprensive di: colloqui e test in ingresso sulle motivazioni, attitu- dini e competenze, autovalutazione dell’allievo, verifiche intermedie e fi- nali sulle competenze acquisite, valutazioni oggettive e interdisciplinari scritte/orali; b) una seconda si basa sulle riunioni di classe o di settore, sulla rilevazione dei crediti formativi e sulle griglie di osservazione; c) infine, si fa riferimento alla “Proposta CNOS-FAP”, al “sistema qualità” e all’accre- ditamento. L’applicazione delle strategie è distribuita secondo i tre momenti classici, ex-ante, in itinere, ex-post e, quindi, copre tutto l’arco del processo di inse- gnamento/apprendimento. In alcuni CFP le prove di valutazione legate alle UdA realizzate sono state elaborate sottoforma di prestazioni autentiche e valutate sulla base delle corrispondenti rubriche di valutazione. 86 In altri CFP i metodi di verifica e di valutazione si basano innanzitutto su quella che viene definita “valutazione tradizionale” per quel che riguarda discipline umanistiche e scientifiche. In ambito tecnico operativo la valuta- zione tiene conto invece delle varie componenti dell’apprendimento; si sti- lano giudizi relativi alle competenze e alle caratteristiche lavorative degli allievi seguendo delle griglie di osservazione che facilitano e guidano l’os- servazione. Tali griglie non sono definibili di “valutazione autentica”, pos- sono comunque esserne considerate una buona base di partenza. In generale si tende a implementare una valutazione basata su prestazioni reali e adeguate, con una buona prassi relativamente alla parte professiona- lizzante. Si sta lavorando in questa direzione anche per le parti collegate alle competenze di base. b) In questi primi mesi dell’anno l’attività principale è stata l’introduzione/for- mazione della metodologia legata all’utilizzo del portfolio quale strumento utile per far riflettere lo studente su se stesso, incoraggiare l’auto-valuta- zione, responsabilizzare lo studente riguardo al lavoro, accrescere la moti- vazione, fornire evidenza di ciò che lo studente è concretamente in grado di fare. In tutti i CFP si utilizza il “libretto formativo” e si sta implementando il portfolio nelle sue sezioni essenziali: anagrafica, orientativa, formativa e valutativa. Inizialmente il portfolio dei nostri allievi tende a illustrare il cammino svolto, presentando i lavori (UdA) più significativi. c) Viene attuato 2) CIOFS/FP Il sistema di valutazione è, attualmente, ancora un ibrido in quanto vengono adottate valutazioni di tipo tradizionale espresse in centesimi e valutazioni co- struite attraverso rubriche di valutazione ed etero-valutazioni riferite priorita- riamente ai prodotti delle UdA e delle innovazioni (laboratori). Un valido stru- mento, ancora parzialmente sfruttato nelle sue potenzialità, è il portfolio. 5.2.5.9. Puglia a) Oltre alle verifiche per disciplina in cui ciascun docente verifica e valuta gli apprendimenti relativi ai contenuti proposti, sono previste verifiche inter-disci- plinari per competenza, tanto a fine ciclo che a fine anno, sul modello del “Prototipo di prova di valutazione per la qualifica” in cui un compito reale, collocato in una situazione di simulazione vicina alla vita reale, deve essere realizzato con l’aiuto degli strumenti e delle risorse a disposizione. b) I tutor hanno il compito di organizzare il portfolio progressivo dell’allievo rac- cogliendo e ordinando i lavori svolti in modo da valutare i progressi e i miglio- ramenti. c) La valutazione non formale è affidata all’orientatore che, nelle ore di orienta- mento inserite nel percorso formativo e in particolare negli incontri personali di “consulenza orientativa”, elabora: al termine di ogni singolo colloquio, delle 87 note sintetiche sul cammino personale dell’allievo e il “compito di sviluppo” che gli affida fino all’incontro successivo; al termine del percorso, il “profilo dell’allievo” che evidenzia le capacità personali e le esperienze svolte, da ri- portare nel “Libretto formativo”. d) Questionari di follow-up (previsti dal “sistema qualità”) e somministrati a sei mesi e un anno dal conseguimento della qualifica, consentono di verificare l’efficacia della formazione ma non costituiscono “accompagnamento” nelle esperienze formative e lavorative successive al percorso. 5.2.5.10. Sardegna Il processo di valutazione svolge due compiti fondamentali: 1) la valutazione del raggiungimento della maturità globale del soggetto; 2) lo sviluppo nella per- sona della consapevolezza relativa al percorso intrapreso e al progetto personale. In coerenza con l’impostazione generale del progetto, la valutazione relativa alle UdA scaturite dalla micro-progettazione deve essere realizzata su due livelli: auto-valutazione, nella quale ciascun allievo verifica il percorso che ha operato e il livello in cui si pone rispetto agli obiettivi prefissati; etero-valutazione, nella quale l’équipe dei formatori valuta la padronanza dell’allievo nella risoluzione di un compito e nell’utilizzo delle proprie risorse in relazione a questo. Gli strumenti utilizzati sono: scheda valutativa; libretto formativo; scheda di auto-valutazione. 5.2.5.11. Sicilia Per quanto riguarda le verifiche e valutazioni, su molti Centri esse sono basate su prestazioni reali e adeguate, prestazioni richieste alcune volte da singoli forma- tori, altre volte dall’intero Collegio formatori. Per ogni singolo allievo si è elaborato il “libretto formativo” su cui si anno- tano: la provenienza scolastica o formativa; l’orientamento iniziale e in itinere; le competenze in ingresso; le esperienze significative; la registrazione delle cono- scenze e competenze in itinere; le esperienze di stage; l’oggetto del LARSA se di recupero o di approfondimento; le competenze professionali acquisite; la qualifica conseguita. Le sintesi non formali si possono ritrovare nella valutazione finale del per- corso, dove vengono indicate esperienze significative, maturazione degli allievi, particolarità del percorso, ecc. Più che accompagnamento nelle esperienze formative-lavorative successive alla qualifica, possiamo parlare di prolungamento di rapporto amichevole, di inte- ressamento pedagogico educativo e monitoraggio dell’inserimento lavorativo o prosecuzione di studi o formazione. Sicuramente siamo impegnati a proseguire il percorso con il IV anno e con gli IFTS o con percorsi di qualifiche post diploma o specializzazioni. Per quanto riguarda il CIOFS/FP, le verifiche in itinere sono effettuate da ogni formatore con modalità diverse e adatte alle aree di formazione: vanno dai test di 88 diversa natura, alla realizzazione di prodotti finiti. Le verifiche periodiche sono uti- lizzate almeno due volte l’anno in forma collegiale: si punta a verificare non i sin- goli apprendimenti, ma la capacità di utilizzare i vari apprendimenti per un pro- dotto finito più consistente e serve non solo per monitorare lo sviluppo delle com- petenze degli allievi, ma anche per migliorare la qualità del servizio educativo, in quanto le schede sintesi di valutazione, insieme ai questionari di indice del gradi- mento del servizio degli allievi e delle famiglie, ci permettono di avere un quadro della situazione globale e anche della capacità educativa-formativa dei singoli for- matori. La struttura degli esami è preparata da una commissione interna ma se- condo i tempi dati dalla Regione (uno, al massimo due giorni) per cui tante volte il Collegio formatori fa fare ai partecipanti un esame interno abbastanza elaborato, dove è veramente possibile valutare la maturazione dell’allievo e dà la possibilità anche al candidato di misurarsi e auto-valutarsi. È questo il momento più formativo degli esami. 5.2.5.12. Umbria La valutazione degli apprendimenti si è basata su prestazioni reali per quanto riguarda le discipline afferenti l’area professionalizzante e trasversale (curata dalla FP, per esempio: valutazione impianto elettrico, termoidraulico, particolare mecca- nico…); per quanto riguarda l’area degli standard formativi minimi (curata dalla SSS) su rilevazioni di tipo tradizionale. Il portfolio progressivo non è stato elaborato. Il Collegio formatori-docenti ha elaborato il documento “Sintesi delle valuta- zioni del percorso svolto” per ciascun allievo al termine del I anno. Essendo stato realizzato solo il I dei tre anni, si riporta una breve sintesi dell’e- sito dell’attività: di 10 allievi, 7 hanno raggiunto gli obiettivi minimi, 3 non hanno li hanno raggiunti; nessuno dei 10 allievi ha proseguito nel II anno del percorso triennale (il secondo Avviso per la presentazione dei progetti del II anno è stato pubblicato ad agosto 2004 con scadenza 08-09-2005… l’Avviso è contraddit- torio… prevede la doppia iscrizione FP/SSS… prevede l’individualizzazione del percorso… attribuisce alla FP solo il 15% del monte ore… abbiamo richiesto modi- fica all’Avviso (in accordo con ITIS…) nessuna risposta… non abbiamo presentato il progetto per il II anno e nemmeno per il I anno (2004/2005). In conclusione, 9 al- lievi su 10 si sono iscritti e frequentano il I anno dei corsi biennali di FP (presso la nostra sede), 1 allievo si è iscritto al I anno di SSS ITIS, nonostante il parere sfavo- revole del Collegio formatori-docenti. Nessuno di loro ha ottenuto il riconosci- mento di crediti per l’inserimento in annualità diverse dalla prima sia nella FP che nella SSS. 5.2.5.13. Veneto Anche qui le differenze tra i diversi Enti sono veramente significative. Non in tutti Centri si lavora allo stesso modo per cui si possono individuare esperienze molto diverse tra loro. 89 Nel migliore dei casi, troviamo un percorso d’apprendimento in cui le veri- fiche e le valutazioni: a) sono basate su prestazioni reali e adeguate: vedi punti precedenti (adozione del modello per UdA); b) si elabora un portfolio progressivo che illustra i progressi della persona nel percorso: un tratto rilevante del metodo didattico, adottato fin dagli anni ‘80, è costituito dalla costruzione del “quadernone”, vero e proprio portfolio nel quale trovano collocazione le rielaborazioni personali dei saperi (appunti) delle varie aree e gli elaborati (esercitazioni) più significativi prodotti durante il per- corso. Questo “quadernone” è presentato anche alla commissione degli esami finali durante il colloquio e concorre alla formazione del giudizio finale. Per quanto riguarda il “Libretto personale” e il meccanismo della registrazione dei debiti e dei crediti si tratta di un utile contributo di studio, anche se purtroppo non risolve il problema della valutazione delle competenze in quanto è ancora incentrato su una logica tradizionale che vede il sapere strutturato per argo- menti e per obiettivi specifici. Anche qui comunque il dibattito è apertissimo e le soluzioni, anche di tipo pratico quali la registrazione informatica di tutti i dati e la redazione materiale del “Libretto formativo”, a portata di mano; c) si elaborano sintesi valutative non formali, ma strettamente riferite alle capa- cità personali e alle esperienze svolte; d) si prevede l’accompagnamento nelle esperienze formative e lavorative succes- sive al percorso, anche se non sempre in modo formalizzato come accade in qualche Centro in cui esiste una specie di agenzia del lavoro (tipo la “Borsa del lavoro” presente in alcune scuole professionali spagnole gestita dall’Asso- ciazione ex-allievi), che si preoccupa di accompagnare assistere e convocare periodicamente gli allievi che hanno terminato e/o abbandonato il ciclo for- mativo. Fornisce inoltre un servizio ed assistenza diretta e continua ad ospi- tare nella propria struttura tutti gli allievi che transitano dal ciclo della FP al- l’istruzione tecnica per il conseguimento del diploma di perito. È impegnato infine ad attuare la riforma Moratti con il proseguimento al IV anno della FP che sta progettando e proponendo alla Regione Veneto come modello da spe- rimentare. 5.2.6. Gestione di crediti e passaggi Riportiamo le risposte fornite al sesto sotto-quesito della domanda sulla perso- nalizzazione. 5.2.6.1. Abruzzo Finora ci sono stati solo passaggi dalla scuola statale verso il CFP: in ogni singola situazione sono state attentamente valutate le esperienze, le capacità, i per- corsi scolastici dei giovani e quindi il miglior inserimento possibile nei corsi già attivati. C’è inoltre da sottolineare che nei casi di inserimenti in corsi in itinere spesso 90 la richiesta viene da giovani di 14/15 anni che abbandonano il I anno della scuola statale superiore e quindi non in possesso di particolari abilità e/o conoscenze. 5.2.6.2. Calabria Viene applicata l’OM del 26-01-2005 relativa ai passaggi ed alle certifica- zioni? Al momento non viene applicata. Vi sono casi reali di passaggi sia in un senso (dalla scuola ai CFP) sia nell’altro (dai CFP alla scuola)? Ad oggi un solo ingresso da scuola a CFP. Vengono valorizzati gli anni di studio dei ragazzi, oppure vi è una perdita? Il sistema è attivo da settembre 2004, pertanto non ci sono le condizioni per valoriz- zare nulla: o ci si inserisce al I anno o non ci sono al momento alternative. 5.2.6.3. Emilia Romagna a) Sugli integrati (perché in Emilia Romagna la sperimentazione è solo sugli inte- grati) b) No c) No 5.2.6.4. Friuli Venezia Giulia Premessa: in Regione generalmente i ragazzi che si iscrivono ai CFP non in- tendono continuare gli studi. In alternativa ci sono alcuni IPSIA piuttosto noti nel territorio, con numerosi allievi (2 di questi hanno circa 1.000 iscritti ciascuno), a cui si iscrivono direttamente gli allievi che desiderano arrivare al diploma. Noi sa- lesiani rappresentiamo però una realtà alternativa per chi ha avuto problemi di studio, per cui riusciamo a recuperare molti più allievi degli altri Centri. Que- st’anno al “Bearzi” su 30 allievi del III anno (pochissimi, sono l’effetto finale della riforma Berlinguer), ben 17 vengono seguiti perché rimotivati all’esame di quali- fica statale per il passaggio al sistema scolastico (IPSIA). Non mi risultano assolu- tamente casi analoghi in altri Centri. Premesso questo, parlo praticamente solo per il CFP “Bearzi”. a) L’OM del 26-01-2005 è stata applicata: c’è stato un Consiglio di classe effet- tuato presso l’Istituto scolastico in cui gli allievi dei nostri terzi anni hanno chiesto di effettuare l’esame di qualifica, a cui hanno partecipato gli insegnanti della scuola ed un rappresentante del Centro. In quella sede sono stati ricono- sciuti quasi tutti i crediti professionali e numerosi crediti delle materie trasver- sali (matematica, fisica, diritto, inglese). Gli allievi dovranno affrontare l’e- same di qualifica, ma in condizioni di estremo vantaggio rispetto a quanto av- venuto finora. b) Per i corsi sperimentali integrati abbiamo accolto alcuni ragazzi (6 su 70) in usci- ta dalla scuola fino a metà circa del I anno, riconoscendo i crediti acquisiti e sfruttando i LARSA o particolari percorsi personalizzati finanziati dalla Regio- ne. Non abbiamo avuto casi di richieste in senso opposto (da CFP alla scuola). c) Si valuta: a seconda dei casi si perde più o meno qualcosa. 91 5.2.6.5. Lazio a) Sì b) Sì c) Sì 5.2.6.6. Liguria In linea di massima, sì. Vi sono solo casi di passaggio dalla scuola al CFP; si registrano a volte difficoltà di rapporto con la scuola per l’ottenimento delle dichia- razione relative ai crediti raggiunti dagli allievi. Vengono valorizzati cercando di integrare quanto hanno assimilato nei precedenti percorsi nell’ambito del cammino formativo previsto nel Centro anche con ricorso a tracciati personalizzati (soprat- tutto LARSA). 5.2.6.7. Lombardia I referenti dei due Enti hanno dato risposte diverse. 1) CNOS-FAP a) Nessun Centro ha ancora applicato l’OM del 26-01-2005. b) Passaggi dalla scuola al CFP e viceversa avvengono al termine di ogni anno in tutti i Centri della Regione, e costituiscono ormai una consuetudine. De- cisamente più rari, e non superiori a qualche unità, i passaggi durante l’anno formativo. Tutti i Centri, peraltro, hanno al loro interno sia un CFP che un percorso scolastico, e questo ovviamente facilita i passaggi dall’una all’altra realtà. c) Nei passaggi alla scuola, la valorizzazione degli anni di studio dei ragazzi dipende ovviamente dai singoli casi. Il passaggio dalla scuola al CFP av- viene normalmente a seguito di una bocciatura e dunque l’allievo inizia il percorso dall’inizio. 2) CIOFS/FP a) Per la maggior parte dei Centri non si verificano passaggi formalizzati dalla scuola al Centro di formazione professionale e viceversa, unica eccezione il Centro di Cesano Maderno che nell’anno 2004-2005 ha formalizzato 5 pas- saggi in itinere. b) Sì, ma non notificati in quanto i ritiri ad attività avviata sono per lo più giu- stificati da inserimento lavorativo o da gravi disagi socio-familiari, anche se poi mediante l’attività di monitoraggio che comunque viene condotta a questo livello si scopre (casi molto rari) che l’allievo si è iscritto ai corsi di recupero anni, o in altre scuole private. Anche la richiesta di inserimento presso il Centro al II anno viene formalizzata al termine dell’anno scola- stico quando per l’allievo è certo l’esito negativo della scuola, di conse- guenza, i formatori provvedono un accompagnamento previo rispetto al percorso svolto nella prima annualità, un’analisi dei crediti maturati all’i- nizio del nuovo anno formativo e un monitoraggio in itinere durante la se- 92 conda annualità. Esistono rarissimi casi di passaggi alla SMS: a fine giugno ne formalizzeremo uno dopo l’esame di qualifica della ragazza che verrà inserita al III anno di un Istituto tecnico commerciale (Centro di Cesano Maderno). c) Fermo restando il possesso dei prerequisiti necessari da parte dell’allievo, di norma si tende a valorizzare gli anni di studio dei ragazzi. L’obiettivo principe è quello di verificare se l’allievo ha o potrà maturare competenze che gli consentiranno di inserirsi con successo nel mondo del lavoro. 5.2.6.8. Piemonte I referenti dei due Enti hanno dato risposte diverse. 1) CNOS-FAP a) In Regione Piemonte si dovrebbe iniziare ad applicare l’OM del 26-01-05 a partire dal mese di maggio. Si è predisposto un modello concordato tra Re- gione e MIUR pensato e costruito nel tavolo regionale descritto in prece- denza. Nel frattempo si è iniziato a provare tale modello all’interno dei per- corsi sperimentali. Al momento, i passaggi vengono regolamentati con i moduli “crediti ad personam”segnalando le ore svolte nel percorso in uscita e i dettagli delle attività. b) Esistono diversi casi di passaggio dalla scuola al CFP; i casi in cui avviene il contrario si verificano maggiormente dopo aver conseguito la qualifica. c) Vengono valorizzati i periodi di studio, registrando eventuali crediti forma- tivi posseduti dall’utente prima di iniziare a frequentare il corso (vedi “li- bretto formativo”). 2) CIOFS/FP a) Da settembre ad oggi sono stati effettuati passaggi dalla scuola al CFP ma non caratterizzati come veri e propri LARSA quanto piuttosto come inseri- menti con procedure CFP. b) La valorizzazione dei crediti “dipende” dal Dirigente scolastico e dal tipo di confronto, collaborazione concordata in itinere. 5.2.6.9. Puglia Viene applicata l’OM del 26-01-2005. Ci sono stati sia passaggi dalla scuola ai CFP che viceversa, dopo il consegui- mento della qualifica. Gli anni di studio dei ragazzi non vengono persi quando il percorso effettuato è coerente con quello del sistema ricevente (nel caso, del CFP). Nel caso del pas- saggio dal CFP alla scuola, i ragazzi sostengono gli esami per le materie che non sono state oggetto di studio nel CFP. 5.2.6.10. Sardegna a) Per il momento non abbiamo applicato l’OM 26-01-2005. 93 b) Si sono verificati due casi di inserimento alla seconda annualità provenienti dagli Istituti tecnici professionali, con nulla osta del Dirigente scolastico. c) Generalmente vengono valorizzati gli anni di studio dei ragazzi. 5.2.6.11. Sicilia a) Ultimamente, dopo l’OM del 26-01-2005, siamo riusciti ad avere, in un caso, la “certificazione” da parte della scuola di provenienza e abbiamo però dovuto verificare presso il CFP le competenze acquisite, in quanto la scuola non era in grado di usare correttamente la scheda ministeriale (non hanno certificato le competenze, ma indicato solamente quali discipline avevano frequentato). b) I passaggi dal sistema scolastico al sistema di IeFP sono stati in numero limi- tato durante la sperimentazione biennale, nella sperimentazione triennale, da due anni a questa parte, sono stati più diffusi e più frequenti. Nella prassi ordi- naria, il potenziale allievo e i genitori si presentano al CFP, per fare il pas- saggio dalla scuola alla FP avendo già frequentato il I anno, noi chiediamo alle scuole di provenienza la documentazione, che in genere ci viene negata, per diversi motivi; quindi invitiamo il giovane a fare un percorso preparatorio presso il nostro Centro (LARSA), dopo di che il giovane viene ammesso (in genere al II anno), alcuni con qualche debito ancora da saldare. Con la prassi appena descritta quest’anno abbiamo inserito nel 2004-2005 circa 45 allievi nei diversi Centri. c) Per quanto riguarda i passaggi dalla FP alla scuola si sono verificati diversi casi di richiesta non appena era stata conseguita la qualifica. Abbiamo cercato di favorire il passaggio, ma i presidi non hanno voluto sentire ragioni. Le al- lieve si sono sottoposte ad esami di ammissione, li hanno superati brillante- mente e diverse di loro sono risultate, lungo l’anno di frequenza alla classe ammessa, le migliori in assoluto. Dopo questa riprova qualche preside ci ha fatto pervenire la richiesta esplicita di invio di nostre allieve presso la loro scuola (ma non hanno parlato di passerelle). 5.2.6.12. Umbria a) No b) I passaggi che avvengono dal CFP alla scuola sono pochi e “volontari”; il nu- mero medio è di uno-due all’anno; più difficile dalla scuola al CFP in modo strutturato. Quasi sempre la scuola invita l’allievo all’accesso al CFP come “ultima spiaggia” e spesso è impedito al personale del CFP di accedere alla scuola per un orientamento. Il numero degli allievi che provengono dalla scuola dopo un insuccesso è di circa 15-20 unità all’anno. c) Gli allievi con 15 anni non compiuti sono costretti a frequentare un corso integrato con forte rilevo nella scuola. Il corso viene avviato con molto ritardo: gennaio-feb- braio. Solitamente l’Ufficio scolastico regionale non mette a disposizione il do- cente e, pertanto, gli allievi vengono inseriti nelle classi quando frequentano la scuola. Nella quasi totalità dei casi gli allievi si rifiutano di frequentare la scuo- 94 la. A 15 anni compiuti, si iscrivono al I anno dei corsi biennali del CFP o, in casi rari, tentano la scuola dove vengono inseriti al I anno. Di fatto perdono un anno. Il numero degli allievi nei nostri CFP è di 4-6 unità all’anno. 5.2.6.13. Veneto a) L’OM del 26-01-2005 relativa ai passaggi e alle certificazioni non è stata an- cora applicata, anche se è allo studio. b) Ci sono passaggi dalla scuola ai CFP (molti) e anche tra CFP e scuola (pochi). Il riconoscimento dei crediti avviene attraverso le commissioni provinciali pre- viste dalla legge. In alcuni casi per i passaggi è stato elaborato un Protocollo d’intesa tra le scuole aderenti alla rete per il progetto di orientamento regionale (ottobre 2004). In altri esistono convenzioni tra il CFP, ed altri istituti dello stesso settore per favorire i passaggi degli allievi senza far loro sostenere gli esami di idoneità ma prevedendo delle integrazioni nelle materie considerate essenziali per il proseguimento del corso di studi. I passaggi in questo modo evitano la perdita di anni di studio. c) Gli anni di studio dei ragazzi sono quasi sempre valorizzati, tranne quei casi in cui sono loro stessi in accordo con le famiglie a richiedere di cominciare il per- corso dall’inizio, o per fragilità della persona o perché provenienti da percorsi molto diversi. 5.2.7. Handicap Riportiamo le risposte fornite al settimo sotto-quesito della domanda sulla per- sonalizzazione. 5.2.7.1. Abruzzo a) Realizzazione di corsi ad hoc. b) I corsi in essere (“Decoratore in genere” e “Operatore informatico e multime- diale”) prevedono 1.600 ore distribuite su 2 annualità di 800 ore ognuna. c) Qualifica professionale e certificazione dei crediti. 5.2.7.2. Calabria Non ci sono stati casi. 5.2.7.3. Emilia Romagna a) Predisponendo un “Piano educativo personalizzato” e con un educatore di so- stegno (sia in aula che per attività extracorsuali per un totale di 250 ore in un anno) b) Come gli altri ragazzi c) Con le certificazioni della ASL 5.2.7.4. Friuli Venezia Giulia a) Si cerca di integrarli nei normali corsi. Gli sforzi sono a carico di ogni singolo Centro. 95 b) Sono molto rare le domande di iscrizione da parte di questi soggetti. Per lo più non si giunge alla qualifica come per gli altri allievi. L’obbiettivo è spesso quello di creare socializzazione con gli altri ragazzi. Ma spesso ci sono abban- doni. c) Si rilascia un attestato di frequenza con le competenze raggiunte. 5.2.7.5. Lazio a) Mediante personalizzazione dei percorsi b) Le medesime (1.100 ore) c) Rilascio crediti. 5.2.7.6. Liguria a) Con inserimento nell’ambito del gruppo classe b) Ogni disabile ha un sostegno personalizzato di 170 ore/anno c) Quelle analoghe ai normodotati N.B. Nella nostra esperienza abbiamo gestito inserimenti di soggetti non affetti da veri e propri handicap, ma piuttosto da difficoltà nell’apprendimento o caratte- rizzati da situazioni socio-ambientali particolarmente difficili. 5.2.7.7. Lombardia I referenti dei due Enti hanno dato risposte diverse. 1) CNOS-FAP In nessun Centro della Regione vengono realizzati corsi ad hoc per soggetti portatori di handicap. La presenza di allievi disabili (con apposita certificazione) nei corsi per nor- modotati è spesso nulla, e nei rari casi in cui esiste non supera una o due unità. In queste situazioni: a) gli allievi portatori di handicap vengono affiancati, al- meno per alcune ore del percorso, da personale loro dedicato, spesso attin- gendo ad obiettori di coscienza e/o a volontari; b) la durata del percorso è identica a quella dei normodotati. In Lombardia esistono dei corsi FLAD (ma non nei Centri CNOS-FAP) e dei corsi triennali appositamente pensati e rivolti a disabili. 2) CIOFS/FP a) Previa analisi della diagnosi funzionale e una più dettagliata conoscenza dell’allievo mediante colloqui con l’orientatore/psicologo, per il soggetto portatore di handicap viene elaborato un “piano formativo personalizzato” con la collaborazione di tutti i docenti. b) Durante il percorso formativo, dalla durata equiparata al gruppo classe di 1.050, viene seguito in modo individuale sia fuori dal gruppo classe che in aula, grazie alla presenza del co-docente per un totale variabile da 100 ore circa (il monte ore varia a seconda del numero e delle disponibilità finan- ziarie sul corso e questo da Centro a Centro). 96 c) Al termine del percorso riceve la qualifica regionale che non prevede diffe- renziazioni formali scritte sul documento. 5.2.7.8. Piemonte I referenti dei due Enti hanno dato risposte diverse. 1) CNOS-FAP a) I portatori di handicap vengono inseriti all’interno dei corsi per soggetti normodotati se si ritiene che essi possano essere resi partecipi di buona parte delle attività del corso; qualora gli allievi presentino problemi piut- tosto gravi vengono dirottati su corsi specifici. b) All’interno dei percorsi per allievi normodotati, i portatori di handicap hanno diritto ad un affiancamento di 200 ore annuali su 1.200. c) Se il portatore di handicap, attraverso gli affiancamenti, riesce a raggiun- gere le competenze minime per il conseguimento della qualifica questo sarà il titolo che gli verrà certificato previa partecipazione all’attività d’esame. Qualora l’allievo non raggiunga le competenze minime di cui sopra, verrà dotato di una certificazione nella quale siano dichiarate le capacità e com- petenze comunque sviluppate (certificazione di frequenza). 2) CIOFS/FP I diversamente abili hanno 1/6 di ore di sostegno relativo al monte ore (su 1.200 ore annue hanno 200 ore). Per essere ammessi al corso devono avere la certificazione della diagnosi fun- zionale da parte del referente ASL che attesta una insufficienza mentale medio/lieve o lieve, seguono il percorso con un sostegno prevalente nelle unità formative in cui risultano più carenti, perché l’obiettivo è quello di metterli in grado di conseguire la qualifica. Nell’anno formativo in corso esiste una procedura che monitora l’andamento degli allievi. La certificazione finale può essere la qualifica se sostengono l’esame come gli altri ragazzi, diversamente verrà loro rilasciato un attestato di frequenza con profitto. 5.2.7.9. Puglia Per il momento nei nostri Centri non ci sono portatori di handicap. 5.2.7.10. Sardegna Nei Centri FP è prevista una modalità informale di integrazione nei corsi per soggetti con difficoltà. Generalmente l’équipe formativa nella fase di accoglienza analizza la specifici- tà della situazione predisponendo una programmazione individualizzata, affinché sia- no garantiti interventi adeguati alla tipologia e alla gravità della problematica. Tale programmazione viene costantemente adeguata alle esigenze che si delineano nello svolgimento del percorso in un’ottica di flessibilità organizzativa e funzionale. 97 Si attiva inoltre una collaborazione con i Servizi sociali e con le strutture che nel territorio sono in contatto con la famiglia e il ragazzo. Evidenziamo che molto spesso è difficile ottenere la certificazione o diagnosi funzionale che evidenzi la compromissione funzionale e lo stato psicofisico dell’al- lievo, oltre che le potenzialità individuabili in tutti gli aspetti della personalità. In- fatti, sono frequenti i casi di mancato riconoscimento e di rifiuto da parte delle fa- miglie delle problematiche e difficoltà dei propri figli. 5.2.7.11. Sicilia a) I portatori di handicap sono inseriti nel percorso dei normodotati, ma vengono seguiti da un insegnante di sostegno, che, per i casi più significativi, ripro- gramma il percorso e lo ritaglia su misura dell’allievo. b) La durata del percorso non viene variata c) La certificazione, se si tratta di handicap limitante dei risultati, è di qualifica parziale o certificazione di alcune competenze. 5.2.7.12. Umbria Vengono inseriti nei corsi insieme ai normodotati con la realizzazione di per- corsi individualizzati, se finanziati; altrimenti si attiva il volontariato spontaneo. Il numero degli allievi con problemi di handicap è di 4-5; il numero di allievi con svantaggio socio-economico-culturale è molto più elevato: la presenza di giovani extracomunitari con serie difficoltà di lingua è di circa il 10-15%, pari a oltre 20 unità. Il percorso ha la durata stabilita dal progetto individualizzato elaborato con i Servizi sociali e le altre strutture di riferimento. Quando il progetto ha successo si rilascia la qualifica; diversamente un atte- stato di frequenza con indicazione delle abilità e competenze acquisite. 5.2.7.13. Veneto Nella Regione sono previste tutte e due le modalità a seconda della gravità del- l’handicap. Capita spesso che i soggetti certificati siano inseriti nei percorsi forma- tivi “normali”; non sono previsti adattamenti degli obiettivi, né la presenza di un docente “di sostegno”. I formatori cercano di essere attenti a queste situazioni, ma senza sostanziali modifiche dell’attività didattica. Questo tipo di gestione viene di- chiarato alla famiglia prima dell’iscrizione ed eventualmente la famiglia provvede, su propria iniziativa, a far seguire il ragazzo nel pomeriggio. In questo caso il per- corso non subisce variazioni di durata e se al termine l’allievo non consegue la qua- lifica si rilascia una dichiarazione di frequenza. 5.2.8. Altro Riportiamo le risposte fornite all’ottavo (e ultimo) sotto-quesito della domanda sulla personalizzazione. 98 5.2.8.1. Friuli Venezia Giulia Quasi tutti gli aspetti legati alla personalizzazione dei nuovi percorsi integrati si basano sulla disponibilità del tutor a seguire i vari casi e sull’attività di coordina- mento dei corsi da parte del coordinatore di progetto, soprattutto per quanto ri- guarda il coordinamento dei formatori interni e dei docenti esterni. Al Centro, queste figure sono affidate ad una sola persona fisica che non riesce a trovare suffi- ciente tempo e spazio per svolgere queste funzioni. Nei corsi tradizionali la figura del tutor è affidata all’insegnante classico di la- boratorio, il quale però ha già molte ore di lezione e fa comunque molta fatica a se- guire gli aspetti problematici legati all’allievo, alla famiglia e ad assolvere alla parte burocratica. 5.2.8.2. Liguria Ovviamente siamo in una fase di complessa transizione sia sul piano dei conte- nuti che sul piano metodologico-valutativo. L’esperienza nata in sinergia con la scuola è in fase di lento ma graduale miglioramento, considerando le diverse impo- stazioni metodologiche ed organizzative rispetto a quelle che tradizionalmente ven- gono attuate nei CFP di matrice salesiana. Le diverse mission che scuola, da una parte, ed Enti di formazione, dall’altra, portano avanti, devono ancora trovare un adeguato punto di convergenza, specie ri- spetto alla consapevolezza che tutti gli attori del sistema educante devono avere come denominatore comune il successo formativo dell’ utente. Non sempre tale at- teggiamento pare scontato e, di norma, dipende molto dai soggetti che interven- gono nel processo. Stiamo gradualmente migliorando anche in tal senso, ma esi- stono ancora alcune “resistenze” a far prevalere un atteggiamento troppo scolastico (e pertanto selettivo) su quello educativo mirato soprattutto al recupero e al reinse- rimento della persona più problematica. Si registra, per alcuni docenti della scuola, una scarsa disponibilità a lavorare in attività extrascolastiche non pienamente riconosciute a livello economico, salvo ovviamente i tempi destinati alle riunioni periodiche e alla valutazione. Occorre- rebbe una maggior disponibilità a dedicare tempo e risorse individuali su progetti ambiziosi come questi data anche la loro carica di innovazione sul piano sperimen- tale (ci stiamo provando!!). 5.2.8.3. Puglia Obiettivi di personalizzazione vengono perseguiti anche tramite attività extra- curricolari: musical, attraverso cui gli allievi spontaneamente si organizzano in “compagnia teatrale” scegliendo le attività più adeguate ai loro interessi tra recita- zione, canto, ballo, scenografie classiche e multimediali (videoclip e filmati per le canzoni); attività sportive, tale attività, coinvolgendo docenti, tutor e volontari in un clima “informale” favorisce l’individualizzazione della formazione e dunque la maturazione dell’allievo. 99 5.2.8.4. Umbria Presso le sedi CNOS-FAP Regione Umbria le attività relative alla fascia di al- lievi in diritto-dovere di istruzione e formazione sono quasi esclusivamente ricon- ducibili a percorsi di qualifica biennali (è in atto una sperimentazione triennale presso la sede di Marsciano). Ritengo utile segnalare una delle anomalie rilevate nel monitoraggio curato dall’ISFOL e pubblicato su “Rassegna CNOS” n. 3/2004 per quanto riguarda l’Umbria: si indica un numero di iscritti per ciascun corso di 15 allievi ma si indi- cano n. 24 allievi totali per n. 7 corsi svolti, in media 3 o 4 allievi per corso… 5.2.8.5. Veneto CNOS-FAP A livello di sperimentazione regionale, pensiamo che la personalizzazione dei percorsi abbia più senso (e sia più realistica) se riferita ad ogni singolo Centro. Questo vale anche per la figura del coordinatore-tutor. Nel breve periodo durante il quale abbiamo lavorato assieme non sono stati affrontati questi problemi. 5.3. Commenti sulla personalizzazione In merito alla prima domanda (su orientamento, accoglienza, bilancio, pro- getto, orientamento continuo, collaborazione con le famiglie) è possibile suddivi- dere le risposte tra coloro che hanno completato tutti e quattro i punti previsti al suo interno e quelli che ne hanno considerati solo una parte. Nel primo caso si ritrovano Veneto, Piemonte, Lombardia, Sicilia, Abruzzo, Liguria, Lazio, Puglia. In queste Regioni, il percorso personalizzato presenta di massima le seguenti fasi: a) al momento dell’accoglienza si offrono varie opportunità affinché l’allievo e la famiglia possano conoscere l’ambiente; il direttore di sede, il tutor e l’orienta- tore pongono le condizioni affinché gli allievi possano conoscere il gruppo, l’ambiente formativo del Centro e le opportunità che esso offre al destinatario stesso e alle famiglie; b) una volta fatta la scelta, l’allievo e la famiglia sottoscrivono il “patto forma- tivo” (accordo su regole, diritti e doveri nel rapporto soggetto/struttura forma- tiva…) con la sede operativa; la famiglia è così consapevole delle opportunità di formazione offerte agli allievi durante il percorso formativo e conosce, in tal modo, le regole del Centro, impegnandosi a supportare l’allievo nel rispettarle; c) successivamente, come previsto dal progetto, si passa a realizzare una serie di col- loqui e incontri, effettuati da psicologi-orientatori, direttori, tutor, coordinatori e ri- volti in due direzioni: agli allievi, per un primo bilancio delle capacità e dei sape- ri di base che permettono di verificare le conoscenze/competenze possedute; ai genitori, per sostenere/potenziare l’auto-consapevolezza del loro ruolo educativo; d) sulla base dei colloqui, i docenti a loro volta preparano un piano formativo “personalizzato” che tiene conto delle conoscenze pregresse, delle esigenze 100 formative e delle modalità di apprendimento tanto del gruppo classe che del singolo allievo; e anche là dove la “personalizzazione” del piano formativo non viene formalizzata, come nel caso della Lombardia, ogni allievo è co- munque seguito individualmente nel suo processo di apprendimento; e) a sua volta, il piano formativo viene ulteriormente “personalizzato” grazie alle verifiche intermedie e finali. Nelle rimanenti Regioni (Sardegna, Umbria, Emilia Romagna, Calabria, Friuli Venezia Giulia), il percorso in ingresso viene definito “semi-personalizzato”, in quanto limitato per lo più alle prime due azioni, ossia all’introduzione/orienta- mento degli allievi e delle rispettive famiglie e al bilancio di competenze. Anche in rapporto alla seconda domanda (differenziazione dei gruppi di ap- prendimento, recuperi e approfondimenti, sostegno individuale, gestione passaggi e transizioni) risultano in numero pressappoco uguale le Regioni dove le attività previste per attuare un percorso formativo personalizzato vengono realizzate in toto oppure in parte. Nel primo caso, si ritrovano Piemonte, Veneto, Lazio, Abruzzo, Puglia. Liguria e per la Lombardia il CIOFS/FP. In queste Regioni: a) la differenziazione per gruppi viene usata come metodologia didattica, in quanto la “personalizzazione” è considerata una variabile indispensabile af- finché gli allievi abbiano la possibilità di apprendimento differenziato; b) nella maggior parte delle Regioni, i LARSA sono previsti da progetto o co- munque vengono attuati in ragione stessa dell’attenzione che viene data alla differenziazione per gruppi; c) per il riconoscimento dei crediti formativi si fa ricorso a varie strategie; co- munque, in via normale si distingue a seconda che la richiesta sia in entrata o in uscita: nel primo caso ci si basa su certificazioni (scolastiche, di lavoro, di altre formazioni ricevute) e il riconoscimento viene formalizzato nel modulo C.2 (assegnazione crediti ad personam), che è vidimato dal Servizio ordina- menti didattici; nel secondo si utilizza il modello C.1 (certificazione crediti e competenze in uscita dalla FP) previsto dagli standard formativi. Nelle rimanenti Regioni (Umbria, Friuli Venezia Giulia, Calabria, Sicilia, Sar- degna, Emilia Romagna e Lombardia limitatamente però al CNOS-FAP), si parla ancora di un percorso “semi-personalizzato” in quanto incompleto di uno o più aspetti previsti nella domanda: in particolare non tutte le Regioni prevedono i LARSA, come pure non in tutti i Centri è stata effettuata (per vari motivi) la diffe- renziazione per gruppi. Quasi tutte le Regioni hanno risposto affermativamente in merito alla terza do- manda (realizzazione del piano formativo personalizzato). Nel descrivere l’azione si è cercato di distinguere tra le modalità di realizzazione e gli strumenti utilizzati. Il PFP in genere si realizza investendo molte ore nel rilevare le capacità degli allievi, attività che a sua volta richiede di tener conto di una serie di passaggi, tra cui i seguenti risultano tra quelli più segnalati: constatazione del livello di partenza 101 e delle capacità iniziali degli allievi; confronti periodici tra i formatori dei vari team; stesura del percorso formativo che tiene conto dei precedenti elementi; impo- stazione del portfolio personale; individuazione e programmazione di azioni indivi- dualizzate inserite soprattutto nell’ambito dei LARSA. Al contrario, tra gli “strumenti” utilizzati, si segnalano metodologie di sostegno degli apprendimenti che consentono di dare vita a processi misti di formazione: orien- tamento/bilancio; test d’ingresso; portfolio; UdA interdisciplinari; attivazione di uno o più laboratori suddivisi per aree (area culturale, area scientifica, area linguistica, ecc.); riunioni del team dei formatori, mirate principalmente a verificare l’andamen- to e a programmare le UdA; incontri con le famiglie e gli educatori, sia in gruppo che individuali; monitoraggio dell’apprendimento in itinere; programmazione di percor- si personalizzati; definizione di programmi d’adeguamento; tirocini orientativi/for- mativi; colloqui individuali e di gruppo con allievi e famiglie; verifiche periodiche in itinere e finali; stage; accompagnamento al lavoro/rientro scolastico. Alcune Regioni (come l’Emilia Romagna e l’Umbria) tuttavia fanno presente che il PFP si verifica in pochi casi e/o non in maniera sistematica, oppure che esso è previsto nella programmazione regionale ma poi non viene finanziato. Dalla analisi dei contenuti emersi nella parte dell’inchiesta su unità di appren- dimento e prodotti reali, stage e alternanza, risulta che pressoché tutte le azioni elencate sopra avvengono all’insegna della “personalizzazione”. In quasi tutte le Regioni (a parte il Friuli Venezia Giulia, l’Emilia Romagna e l’Umbria) si sta lavorando nella logica delle UdA, le quali vengono progettate in base alle reali caratteristiche del gruppo. Lo stage/alternanza è realizzato sulla base delle caratteristiche (capacità, attitu- dini...) della persona; nei suoi confronti tuttavia vengono rivolte alcune critiche, o perché è ritenuto troppo lungo (Lombardia), o perché viene sfruttato dalle imprese come “campo di lavoro” (Lazio). La Puglia segnala una modalità di abbinamento allievo-azienda che vale la pena riportare per intero in quanto può essere conside- rata una vera e propria “buona prassi” nell’attivare queste azioni. L’abbinamento allievo/azienda viene realizzato sulla base di: a) affinità del processo aziendale dove si dovrebbe svolgere lo stage con la qualifica; b) esplicita richiesta dell’a- zienda di competenze possedute dallo stagista; c) esplicita e motivata richiesta dello sta- gista di effettuare lo stage presso l’azienda individuata con i criteri di cui sopra; d) ade- guato collegamento per il raggiungimento della sede da parte dello stagista. Il rapporto di stage è regolamentato da una “Convenzione di stage” ovvero l’accordo tra la sede opera- tiva e l’azienda sulle modalità di svolgimento dello stage e dal “Progetto di stage”, che comprende due allegati. Nel primo sono individuati obiettivi e modalità di svolgimento delle attività, gli orari, gli obiettivi formativi, gli obblighi dello stagista. Nel secondo al- legato, sono individuati gli obiettivi formativi specifici dell’allievo. Lo stage è suddiviso in due fasi e per ogni fase vengono individuati obiettivi formativi specifici. Il progetto è sottoscritto dall’allievo, dalla famiglia, dal tutor aziendale e dal Direttore di Centro. Le attività svolte, le giornate e gli orari di permanenza nelle aziende sono raccolte nel regi- stro di stage. Il percorso è poi valutato dal tutor aziendale sia sotto il profilo professio- nale che personale attraverso un’apposita scheda. 102 Il tutor d’aula si reca presso l’azienda (come si evince dalle firme riportate sul registro di stage) per verificare che l’allievo sia integrato nell’ambiente lavorativo attraverso col- loqui con lo stesso e colloqui con il tutor aziendale, e accertando che la frequenza sia quella prevista e gli obiettivi siano conseguiti in modo efficace. Gli strumenti utilizzati per la valutazione dell’esperienza di stage (alcuni utilizzati in forma sperimentale) sono: - la scheda di “verifica di stage” in cui l’allievo deve descrivere: il compito più difficile assegnato durante lo stage; il compito più interessante; le competenze acquisite in aula che ha potuto utilizzare; - la scheda di “auto-valutazione” in cui lo stagista è chiamato a valutarsi rispetto a dei li- velli (esperto, competente e principiante) di cui sono descritte delle prestazioni; - il “diario di stage” (quotidiano e settimanale) discusso e confrontato settimanalmente con l’orientatore, al rientro nel Centro, comprendente: attività svolte, difficoltà incon- trate, strategie di fronteggiamento, auto-valutazione. Gli stessi indicatori sono utilizzati nella scheda di valutazione da parte del tutor azien- dale. Altri sono previsti dal “sistema qualità”: scheda di valutazione aziendale, in cui il tutor aziendale, in base a degli items specifici, valuta le capacità personali e professionali (utilizzando una scala di valori da 1 a 5), a cui fanno seguito eventuali osservazioni; que- stionario di gradimento stage, in cui l’allievo è chiamato ad indicare la propria soddisfa- zione circa: la significatività del percorso di stage, il raggiungimento degli obiettivi pre- fissati, la preparazione di ingresso, gli strumenti utilizzati, l’acquisizione di nuove cono- scenze, la collaborazione con il tutor aziendale; Le esperienze che gli allievi maturano nelle aziende sono valorizzate e richiamate du- rante l’attività formativa in aula dall’orientatore che ne promuove la condivisione. Anche l’accompagnamento dell’allievo in azienda viene promosso in una lo- gica della personalizzazione, nel tentativo di combinare i saperi e le attitudini del- l’allievo con le caratteristiche dell’impresa; combinazione di non sempre facile at- tuazione, per cui non sono rari i casi di malcontento da parte dei giovani o di man- cato coinvolgimento da parte dell’impresa. In ogni caso là dove l’azione si realizza viene sempre assicurata la presenza di un tutor, in qualità di interfaccia nei rapporti tra l’allievo e l’azienda. Nei casi ottimali questa pratica prevede, oltre al tutor, anche il coinvolgimento di altre figure di sistema (come il coordinatore e i docenti di settore) e in particolare delle famiglie. La valorizzazione delle esperienze è sempre finalizzata a far acquisire consa- pevolezza delle competenze acquisite. Tale azione si realizza ricorrendo a una o en- trambe le seguenti strategie: gli allievi al termine del percorso sono invitati a redi- gere una relazione dettagliata della propria esperienza, in base alla quale in seguito il gruppo classe si confronterà in un dibattito a scopo orientativo circa il prosieguo delle attività; oppure, realizzando un “prodotto finito” (carri allegorici, presepi…) che vengono poi esposti al pubblico. In merito alle azioni di verifica e valutazione (sottoquesito n. 5), si registrano ancora differenze tra le Regioni nel completare o meno le relazioni sui quattro punti della domanda. In particolare, l’assenza di risposte si registra in rapporto al portfolio (in alcune Regioni è ancora in fase di progettazione) e all’attività di ac- compagnamento. In genere, ciascuna UdA è finalizzata al raggiungimento di un compito/pro- 103 dotto finale, il così detto “capolavoro”, che può essere individuale o di gruppo a se- conda degli obiettivi stabiliti e delle metodologie didattiche individuate. Ulteriori “prestazioni reali”, utilizzate in ingresso, in itinere o alla fine, riguardano: test orali e scritti; prove pratiche; griglie di osservazione; strumenti di autovalutazione degli allievi; azioni di recupero; colloqui individuali; report dei docenti, calendarizzati e compilati sia individualmente che in seduta plenaria. Il graduale processo di apprendimento viene poi “registrato” nel portfolio del singolo allievo, in modo da costruire nel tempo il dossier delle attività formative realizzate. Su di esso si annotano: provenienza scolastica o formativa; orientamento iniziale e in itinere; competenze in ingresso; esperienze significative; conoscenze e competenze in itinere; esperienze di stage; oggetto del LARSA se di recupero o di approfondimento; competenze professionali acquisite; qualifica conseguita. Al termine della UdA si procede alla valutazione che, a seconda della prassi adottata, viene effettuata o in équipe di docenti/formatori raggruppati per UdA o mediante colloqui individuali e/o di gruppo con l’orientatore o il coordinatore di settore; in seguito si delineano gli eventuali percorsi di recupero/approfondimento da sviluppare (attività LARSA), rispetto agli obiettivi pianificati. Il sistema di accompagnamento va visto non solo e non tanto in funzione del- l’inserimento lavorativo ma afferisce a vari altri “momenti cerniera”, tra i quali at- tualmente prendono sempre più consistenza i passaggi/passerelle a fine percorso per la prosecuzione degli studi e/o per la ricerca di nuova formazione. In genere tali “mo- menti” si verificano grazie al prolungamento dei rapporti amichevoli tra l’ex-allievo e il Centro mediante servizi che quest’ultimo attiva (sportelli per l’impiego, colloqui con orientatori, contatti telefonici, inviti in occasioni delle principali festività…). Seppure i passaggi siano diventati ormai da tempo una consuetudine (siamo alla domanda su gestione dei crediti e passaggi) e anche se sono ormai una netta maggioranza le Regioni dove viene applicata l’OM del 26-01-2005 (in proposito mancano all’appello ancora la Sardegna, l’Umbria e il Veneto), tuttavia la situa- zione in merito a questa attività appare tuttora fluida, non del tutto sistematizzata. Anzitutto si nota che tali passaggi si verificano per lo più in senso unidirezio- nale, dalla scuola alla FP, e sono dovuti quasi sempre ad abbandoni; mentre, stando a quanto segnalato in Sicilia, Lombardia, Veneto, Piemonte e Puglia, dalla FP alla scuola si verificano sì, ma assai più raramente, e avvengono soprattutto dopo il conseguimento della qualifica. Di norma si tende a valorizzare gli anni di studio dei richiedenti, fermo re- stando il principio di verificare le competenze maturate dal soggetto. Per realizzare questo obiettivo tuttavia si segnalano procedimenti diversi, a seconda della dire- zione del passaggio: nel caso del trasferimento dalla scuola al CFP, quando il per- corso effettuato è coerente con quello del sistema ricevente, la prassi comune sta nel registrare i crediti formativi posseduti dall’utente, mentre la valorizzazione di tali crediti dipende dal tipo di collaborazione concordato tra i due sistemi; quando non si registra la coincidenza, per evitare la perdita degli anni, si ricorre alle inte- 104 grazioni programmando percorsi personalizzati attraverso i LARSA; viceversa, stando ancora a quanto segnalato, i crediti non vengono riconosciuti in altrettanto modo nel passaggio dal CFP verso la scuola, la quale ammette i qualificati solo sulla base di “esami di ammissione” o d’idoneità. Non si registrano casi di portatori di handicap da parte dei Centri della Lombar- dia (CNOS-FAP), Calabria e Puglia. Le rimanenti Regioni si dividono tra: a) quelle dove vengono predisposti “piani formativi personalizzati” e/o corsi ad hoc e/o mo- dalità informali di integrazione (Abruzzo, Emilia Romagna, Lazio, Sardegna); in que- sti casi il monte ore varia da Regione a Regione (le segnalazioni vanno dalle 300 al- le oltre 1.000 ore), e comunque viene previsto anche il sostegno di educatori specia- listici e del volontariato; b) quelle invece dove si cerca di integrarli nei corsi dei nor- modotati (Friuli Venezia Giulia, Liguria, Piemonte, Sicilia e Umbria), mentre in Ve- neto sono previste entrambe le modalità; anche in questi casi rimane sempre l’inter- vento di sostegno, mentre resta invariata la durata del percorso. Al termine del percorso, in tutte le Regioni è previsto, come per i normodotati, il rilascio di un “Attestato di qualifica” per coloro che sostengono l’esame; diversa- mente viene rilasciato un “Attestato di frequenza” che certifica le abilità e le com- petenze raggiunte. Rispetto all’ultima domanda che sollecitava ulteriori informazioni (altro), è emerso quanto segue. Da parte di un certo numero di Regioni si continua a far presente che quasi tutti gli aspetti legati alla personalizzazione dei percorsi formativi si basano sulla dispo- nibilità a collaborare da parte di alcune figure di sistema, oltretutto già sovraccariche di impegni, con particolare riferimento al tutor e al coordinatore del progetto. Un ulteriore elemento di criticità viene individuato nella scarsa disponibilità da parte del personale della scuola a collaborare ad attività integrate, in particolare quando non risultano riconosciute a livello retributivo. Ci si richiama di conse- guenza ad una maggiore disponibilità da parte di tutti gli attori che intervengono nel sistema educativo-formativo affinché assumano a denominatore comune il “successo” dell’utente. 6. DATI SULLA FIGURA DEL COORDINATORE TUTOR Riportiamo quanto richiesto, le riposte fornite da ciascun referente dei due Enti coinvolti e una analisi critica di sintesi conclusiva. 6.1. Dati richiesti sul coordinatore tutor L’attività tipica del coordinatore-tutor prevede, lungo l’intero percorso di for- mazione, le responsabilità riassunte nella tavola che segue. In riferimento alla stessa tavola, è stato richiesto di esplicitare le attività di co- ordinamento interno e del coordinamento esterno. 105 Inoltre, in base alla tavola che segue, è stato chiesto di indicare chi esercita le funzioni previste per il coordinatore-tutor e con quale tempo disponibile. 106 6.2. Risposte sulla figura del coordinatore tutor Riportiamo le risposte fornite sul questionario dai referenti delle diverse Re- gioni coinvolte. 6.2.1. Abruzzo Per il coordinamento interno: attività di natura preliminare; attività relativa alla costituzione del team; attività di coordinamento organizzativo interno; attività collegiali; attività di miglioramento continuativo. Inoltre, organizzazione e gestione di attività culturale, artistica, ricreativa… (2 ore ogni 15 giorni, non conteggiate nel monte ore/corso). Per il coordinamento esterno: attività di coordinamento organizzativo esterno; orientamento delle classi terze delle medie del comprensorio. Per l’esercizio delle funzioni previste per il coordinatore-tutor e con quale tempo disponibile, si riporta la tabella seguente. 6.2.2. Calabria Per il coordinamento interno: presiede alle fasi della progettazione; guida l’é- quipe dei progettisti; concorda le attività e il piano di lavoro; verifica la progetta- zione delle UdA; individua le risorse di concerto con il direttore; elabora il piano delle risorse; verifica la coerenza delle attività con il progetto approvato; elabora il piano temporale del progetto; verifica l’andamento temporale; coordina l’équipe dei formatori; propone le attività e le concorda con i formatori; presiede all’impo- stazione metodologica del percorso in relazione ad orientamento, formazione, va- lutazione, recupero, approfondimento. Per il coordinamento esterno: coordina il gruppo interistituzionale in merito alla progettazione congiunta, alla gestione dei processi di apprendimento special- mente quelli che coinvolgono le risorse indicate dai partner (in particolare: nella fase preparatoria per concordare le modalità di lavoro per prodotti; nella fase di progettazione della valutazione; nelle fasi della valutazione, degli ingressi e delle uscite di allievi). Per l’esercizio delle funzioni previste per il coordinatore-tutor e con quale tempo disponibile, si riporta la tabella seguente. 107 6.2.3. Friuli Venezia Giulia Per il coordinamento interno, nel nostro Centro, sono previste due figure di- stinte: coordinatore di progetto e tutor del corso. a) Coordinatore di progetto: è fisicamente rappresentato da una sola persona che se- gue tutti i corsi relativamente alle attività di: raccolta documentazione iniziale (progetto, elenco formatori, strumenti didattici), costituzione del team formato- ri, coordinamento organizzativo interno, coordinamento organizzativo esterno (rapporti con i docenti delle scuole coinvolti nei progetti integrati), attività varie di miglioramento continuo (è referente di qualità della prima formazione). b) Tutor: nei percorsi integrati segue le attività collegiali di colloquio con gli al- lievi e con le famiglie, dato che però è fisicamente la stessa persona in tutti i 5 primi corsi ed è la stessa persona che riveste il ruolo di coordinatore di pro- getto, riesce a dedicare poco tempo (purtroppo) a queste attività. In particolare è stata trascurata finora la parte relativa alla personalizzazione (accompagna- mento, verifica, riprogettazione, LARSA, portfolio). Nei percorsi tradizionali (secondi e terzi anni), il tutor è rappresentato da un docente di area pratica del corso in oggetto e segue i contatti con gli allievi e le famiglie, in più segue al- cune semplici parti burocratiche (firme sul registro). Per il coordinamento esterno, il coordinatore segue principalmente in contatti con i docenti delle scuole coinvolti nei progetti integrati. Per i contatti con le aziende coinvolte nello stage (secondi e terzi anni) è prevista una figura specifica di tutor-stage che tiene i contatti per tutti gli allievi dei corsi all’interno del settore. Per l’esercizio delle funzioni previste per il coordinatore-tutor e con quale tempo disponibile, si riporta la tabella seguente. 108 6.2.4. Liguria Per il coordinamento interno, le attività prevalenti sono: sensibilizzare i do- centi a seguire le UdA, a migliorarle, adattandole il più possibile alle reali esi- genze/potenzialità degli allievi; programmazione, insieme al tutor, delle riunioni di monitoraggio e di valutazione (UdA e pagelle); lavorare in sinergia con i referenti dei corsi (attività con la scuola); programmare, insieme al tutor, momenti di con- fronto fra docenti, famiglie e allievi e “Sportello dello studente” (attività psicope- dagogica di supporto); valutare, in sinergia con il tutor e i referenti di corso, le pro- blematiche disciplinari, motivazionali degli allievi in difficoltà; attivare, se neces- sario, percorsi alternativi alle ordinarie attività corsuali (percorsi individualizzati); pianificare, in sinergia con il tutor, i referenti di corso e i docenti, le gite scola- stiche, le uscite dal Centro/scuola programmando le attività formative correlate in armonia con lo sviluppo delle UdA; pianificare le attività di programmazione di- dattica assieme al tutor del corso (orari delle lezioni, qualità, portfolio, colloqui con le famiglie, colloqui presso il team psicopedagogico (“Sportello dello studente”), riunioni con il personale docente e formatori, riunioni per la valutazione sugli ap- prendimenti – pagelle e schede UdA –, assemblee di coordinamento. La funzione di tutor-coordinatore prevede anche la figura del tutor d’ambiente che cura le seguenti attività: monitoraggio dei momenti extrascolastici dell’attività (ricreazione, attività motoria, sport, ecc.); colloquio con i ragazzi sui diversi temi di loro interesse; disponibilità all’ascolto; contatto continuo con docenti e psicologo per monitorare lo stato di “benessere” degli allievi. La figura del coordinatore esterno è rappresentata dal progettista dei corsi; egli si relaziona periodicamente con il Preside dell’Istituto scolastico partner con il CFP per monitorare le attività in corso e per pianificare le future attività (progettazione congiunta). Inoltre pianifica e progetta, in sinergia con la Direzione, le attività in itinere e in divenire dei CFP del CNOS-FAP Liguria. Il coordinatore interno e il tutor dei corsi si relazionano con il Preside dell’Isti- tuto (per le attività in integrazione) e con la Direzione di Centro per le ordinarie at- tività di organizzazione e di utilizzo di ambienti e strutture. Per l’esercizio delle funzioni previste per il coordinatore-tutor e con quale tempo disponibile, si riporta la tabella seguente. 109 6.2.5. Lombardia Per il coordinamento interno, nei Centri del CNOS-FAP, la definizione dell’o- rario formativo e dei docenti, così come l’organizzazione logistica degli interventi formativi, è affidata alla figura del “Consigliere”, unica per tutto il CFP, che oltre a questo svolge numerosi ruoli e mansioni, sia di coordinamento che di tutorato. Molte attività di organizzazione legate alle aree tecnico-professionali sono svolte dal Coordinatore di settore. Nell’impianto della sperimentazione è prevista la fi- gura del coordinatore/tutor di corso, che nel CFP di Arese tuttavia non svolge al- cuna attività di coordinamento interno così come inteso nella tavola fornita. Per il coordinamento interno, nei Centri del CIOFS/FP, il coordinatore-tutor affianca la Direzione del Centro nella gestione della documentazione necessaria al- l’avvio dell’attività formativa, in modo particolare rispetto alla stesura del progetto di dettaglio e della raccolta e verifica dei materiali didattici implementati dai for- matori. Ciascuna risorsa operante nei Centri viene coinvolta sia a livello personale che attraverso i momenti collegiali con cadenze periodiche (settimanali, mensili) in modo da elaborare e gestire una comune linea di intervento formativo ed educativo. L’organizzazione temporale e la gestione delle risorse compete alla Direzione di Centro che, supportata dal coordinamento, pianifica interventi e opportunità forma- tive adeguate, finalizzate al successo formativo del gruppo classe e del singolo. I momenti collegiali, coordinati dal Direttore di Centro, hanno come oggetto l’analisi e la verifica dell’attività formativa erogata, gli esiti raggiunti dal singolo e dal gruppo classe e la gestione di eventuali momenti critici o eventi particolari. La pro- gettazione formalizzata all’inizio d’anno viene rivisitata periodicamente al fine di evidenziare quanto è acquisito e quanto rimane da acquisire ed eventualmente da variare perché inadeguato al gruppo di riferimento. Sono previsti, con cadenze pe- riodiche, momenti di confronto tra famiglie e formatori e momenti di verifica/auto- valutazione tra allievi e formatori/orientatore. Per il coordinamento esterno, nei Centri del CNOS-FAP, il “Consigliere” e l’orientatore si occupano dei rapporti con le famiglie, con i servizi sociali, con fi- gure esterne di tipo educativo e/o formativo. Il coordinatore del corso, la cui esi- stenza è prevista dall’impianto della sperimentazione triennale regionale, si oc- cupa (insieme al coordinatore di settore) dei rapporti con le aziende per lo stage e l’alternanza. (*) Docenti della scuola, referenti dell’Istituto scolastico partner con il CFP di GE – Quarto. Nota: I tempi indicati sono da ritenersi valori di minima in quanto quelli realisticamente necessari sono sovente superiori a quelli espressi, specie per le attività collegate direttamente alla gestione didattica, amministrativa e progettuale dei corsi. 110 Per il coordinamento esterno, nei Centri del CIOFS/FP, il tutor di Centro pia- nifica, coordina, accompagna e verifica l’attività di stage di ciascun allievo, dal contatto con l’azienda, all’accompagnamento e all’elaborazione del progetto perso- nale di stage del singolo. Momento privilegiato di confronto con il tutor d’azienda è la visita in loco da parte del formatore in presenza dell’allievo o con colloqui in- dividuali. Significativi sono anche i momenti di verifica mediante la somministra- zione di un questionario inerente all’esperienza di stage compilato sia dall’allievo che dal tutor aziendale. Per l’esercizio delle funzioni previste per il coordinatore-tutor e con quale tempo disponibile, si riportano le tabelle seguenti (i referenti dei due Enti hanno dato risposte diverse). 1) CNOS-FAP Preliminarmente è opportuno osservare che: – il coordinatore di un corso (b) svolge anche funzioni di tutor in quello stesso corso – il coordinatore di più corsi (d) coincide con la figura tradizionale del “Con- sigliere” – coordinatore di settore, coordinatore dei corsi sperimentali, responsabile della qualità (j) 2) CIOFS/FP 111 6.2.6. Piemonte I referenti dei due Enti hanno dato risposte diverse. 1) CIOFS/FP Per l’esercizio delle funzioni previste per il coordinatore-tutor e con quale tempo disponibile, si riporta la tabella seguente. 2) CNOS-FAP Per quanto riguarda il coordinamento interno, nei CFP CNOS-FAP del Piemon- te esiste la figura del coordinatore tutor (o referente progetto/corso). Nella mag- gior parte dei casi questa figura svolge sia le attività del coordinatore di corso che quelle di tutor. In alcuni CFP si è deciso di separare le due figure con ruoli diversi. Di solito il coordinatore-tutor si occupa delle seguenti attività: progettazione di massima; organizzazione del corso e monitoraggio ore (corso, formatori, UdA); gestione dei documenti del sistema qualità; rapporti con le famiglie e gli allie- vi; gestione team di corso (costituzione del team e suo coordinamento organiz- zativo; gestione/pianificazione del piano formativo e delle UdA; affiancamento nella stesura della progettazione di dettaglio e UdA interdisciplinari; coordina- mento della predisposizione del portfolio (raccolta degli elaborati da inserire nel portfolio); verifica e riprogettazione continua degli interventi; accompagnamento specie in riferimento ai passaggi tramite LARSA, elaborazione di documenti e dell’aggiornamento del portfolio. Nel caso in cui ci siano le due figure di coordinatore e tutor, il tutor si occupa dei rapporti con le famiglie e gli allievi mentre il coordinatore di tutte le altre fun- zioni già citate. 112 L’attività relativa alla costituzione del team viene fatta dalla Direzione nella fa- se iniziale e poi gestita dal coordinatore tutor nella fase operativa a partire dal- le riunioni collegiali di condivisione del progetto. In generale, ma non sempre, la funzione del coordinatore tutor viene svolta da una persona su più corsi, con l’accorgimento di avere un coordinatore tutor per ogni comunità profes- sionale. Per quanto concerne il coordinamento esterno, generalmente i rapporti vengono gestiti da altre funzioni (rapporti con le scuole, con le aziende, ecc.). In alcuni ca- si, il tutor segue le intese con la scuola media/CTP per il conseguimento della li- cenza media per gli allievi che ne fossero sprovvisti o la gestione dei passaggi. Inoltre, le attività di coordinamento organizzativo esterno si limitano a coordi- nare l’erogazione didattica degli insegnanti esterni che arrivano dalla scuola, cu- rando i rapporti coi docenti e coinvolgendoli nelle attività collegiali. Il coordinatore-tutor si occupa del colloquio con le famiglie, con gli educatori ter- ritoriali (qualora necessario) e con i formatori coinvolti. Lo stage ed il rapporto con le aziende è gestito da un coordinatore di stage che si avvale della collaborazione di tutor nei singoli corsi. Per l’esercizio delle funzioni previste per il coordinatore tutor e con quale tem- po disponibile, si riporta la tabella seguente. Nei CFP CNOS-FAP del Piemonte si è fatta la scelta che chi ha il ruolo di co- ordinatore tutor dei corsi deve anche svolgere delle ore di formazione all’inter- no dei corsi stessi. Circa la suddivisione delle ore è difficile dare dei valori suddivisi sulle diverse voci perché le situazioni sono diverse da CFP a CFP. Si può dire che circa la fi- gura del coordinatore tutor le situazioni complessivamente vanno da un minimo di 50-70 ore in due CFP un massimo di 300 ore in un altro con situazioni inter- medie generali di 100-150. A livello di sperimentazione si era data indicazione di ragionare su circa 350-400 ore/corso per la figura unica di coordinatore tutor. Forse il valore indicato è un po’ elevato e quindi si potrebbe ragionare su 250-300 ore; sicuramente il valo- re di 50-70 ore è un valore non sufficiente per svolgere tale funzione. 113 Ad esempio si riporta la tabella di un CFP che ha descritto in modo più analiti- co la suddivisione delle ore: 6.2.7. Puglia Per il coordinamento interno, le attività di natura preliminare vengono svolte da progettista e Direttore di sede. Il Direttore, con la collaborazione del tutor, incontra i formatori illustrando la mission dell’Ente, gli obiettivi previsti all’interno del progetto formativo, il piano formativo, le attività collegiali, un calendario di incontri e iniziative di formazione del personale; compie, con l’équipe prevista nel progetto di massima, la selezione degli allievi iscritti al corso, ne valuta la preparazione in ingresso, ottenendo così una prima conoscenza della personalità di ognuno. Il tutor gestisce il rapporto CFP/famiglia (la famiglia è totalmente coinvolta sin dal primo momento, con la sottoscrizione del “patto formativo”, alle attività svolte dall’allievo; è inoltre informata dal tutor e/o Direttore dell’andamento for- mativo e dei problemi che possono sorgere durante l’attività formativa); durante lo svolgimento delle attività, monitora le necessità degli allievi, dà il suo contributo al fine di migliorare le modalità didattiche per permettere un reale apprendimento delle conoscenze e dello sviluppo delle competenze; gestisce il portfolio dell’al- lievo, ampliandolo e documentandolo progressivamente; somministra agli allievi, secondo le procedure del sistema qualità, i questionari di gradimento relativi ad ogni disciplina secondo il planning contenuto nel “progetto di dettaglio”; compila le schede di osservazione relative ad ogni formatore per evidenziare i punti di forza o di debolezza dell’azione svolta. Per il coordinamento esterno, il tutor svolge attività di pubblicizzazione delle attività. La sua opera è fondamentale durante le attività di stage; infatti ha un ap- proccio diretto con l’azienda dove l’allievo svolgerà la sua formazione in alter- 114 nanza. Il tutor presenta il CFP e l’allievo all’azienda, descrivendo l’azione forma- tiva e le modalità di attuazione dello stage. Per l’esercizio delle funzioni previste per il coordinatore-tutor e con quale tempo disponibile, si riporta la tabella seguente. 6.2.8. Sardegna Per il coordinamento interno, il coordinatore-tutor cura il coordinamento in- terno relativo alle attività di micro-progettazione dei percorsi, alla gestione dei tempi e delle risorse umane, nel rispetto dell’articolazione didattica definita dalla Regione Autonoma Sardegna. Il coordinatore-tutor cura il coordinamento esterno per quanto concerne le at- tività di orientamento con le scuole e le attività di contatto e pianificazione delle aziende ospitanti per lo stage orientativo. Per l’esercizio delle funzioni previste per il coordinatore-tutor e con quale tempo disponibile, si riporta la tabella seguente. 6.2.9. Sicilia Nei nostri Centri sono previste tre figure che assicurano il presidio delle fun- zioni di coordinamento interno: Direttore, responsabile team di progetto, tutor d’aula. Direttore del Centro: a) gestisce la selezione del personale esterno, li porta a conoscenza e condivisione delle finalità formative e orientative, dei metodi educa- tivi e della politica per la qualità del CIOFS/FP; b) assicura l’attività di natura pre- liminare e la costituzione del team; c) effettua il coordinamento organizzativo in- terno coinvolgendo la responsabilità di ogni risorsa; d) elabora il piano delle ri- 115 sorse e dei tempi, in riferimento alle opportunità formative necessarie alla piena ri- uscita dei percorsi; e) valuta le prestazioni dei formatori durante e al termine del servizio e ne analizza le eventuali non conformità; f) valuta, con periodicità almeno annuale, i fabbisogni formativi delle persone di struttura, assicura lo sviluppo delle risorse umane e il miglioramento dei processi organizzativi interni in collabora- zione con le funzioni interessate; g) cura e promuove i rapporti con gli allievi e, ove è possibile, con le famiglie al fine di favorirne il coinvolgimento nella crescita umana e sociale; h) cura i rapporti con i soggetti istituzionali del territorio, orga- nismi esterni e aziende. Responsabile team di progetto cura: a) l’intesa reciproca intorno a un cano- vaccio di piano formativo e del piano delle attività collegiali; b) l’impianto gene- rale del progetto di dettaglio, la revisione delle singole progettazioni di dettaglio per verificarne la coerenza con il progetto di massima e la fattibilità in rapporto al gruppo-classe; c) collabora alle iniziative di formazione del personale. Il tutor d’aula ha i seguenti compiti: a) monitorare lo svolgimento dell’eroga- zione delle attività e in particolare gli interventi svolti in aula e stage, con le rela- tive dinamiche che si instaurano tra partecipanti e formatori, al fine di evidenziare particolari problematiche o miglioramenti da apportare al servizio formativo; b) svolgere attività di monitoraggio giornaliero delle presenze/assenze di allievi e for- matori, monitoraggio in aula sul processo di apprendimento e sul clima, collabora- zione con i formatori alle attività di valutazione complessiva, cura dei rapporti con le imprese per lo svolgimento dello stage, predisposizione e somministrazione dei questionari per la raccolta dell’indice di gradimento dei partecipanti e delle fami- glie; c) gestire i rapporti con il gruppo classe costituendone punto di riferimento per necessità e/o istanze o reclami; d) curare i rapporti tra allievi-formatori-Diret- tore di Centro. Per il coordinamento esterno, il Direttore di Centro: a) cura i rapporti con gli uffici periferici delle istituzioni (Ufficio provinciale del lavoro, banca, INPS, agenzie assicurative, ecc.); b) promuove le intese e le convenzioni con le aziende sia per l’erogazione dello stage, sia per altri servizi, quali interventi spe- cialistici o informativi in aula; c) promuove gli accordi per interazioni con asso- ciazioni, servizi comunali, ecc.; d) incarica il personale adatto per gestire e mo- nitorare il prosieguo delle attività in convenzione o accordo. Il tutor cura: a) i rapporti con le imprese per lo svolgimento dello stage (progettazione congiunta delle attività, monitoraggio degli obiettivi, degli apprendimenti, delle relazioni degli allievi con il personale dell’azienda, valutazione congiunta di ogni singolo allievo e dell’attività in generale); b) l’analisi dei fabbisogni formativi delle im- prese. Per l’esercizio delle funzioni previste per il coordinatore-tutor e con quale tempo disponibile, si riporta la tabella seguente. 116 6.2.10. Umbria Specificato che presso le sedi CNOS-FAP Regione Umbria le attività relative alla fascia di allievi in diritto-dovere di istruzione e formazione sono quasi esclusi- vamente riconducibili a percorsi di qualifica biennali, quanto segue è da riferire a tale realtà (nello specifico alla sede di Perugia). Per il coordinamento interno, tra le mansioni che competono al coordinatore si indicano le seguenti: svolge la funzione di supervisione, responsabilità e controllo, definisce gli incarichi di docenza, è responsabile dell’efficienza ed efficacia del ser- vizio formativo del CFP, organizza e coordina le attività educativo-formative. Tra le mansioni che competono al tutor si indicano le seguenti: svolge attività di raccordo tra le varie funzioni impegnate nell’erogazione del servizio attraverso la collaborazione nell’organizzazione delle attività didattiche, della gestione della documentazione tecnico-amministrativa, l’assistenza didattica, la gestione del budget del corso e il coordinamento degli acquisti relativi, l’animazione e facilita- zione dell’apprendimento individuale e di gruppo, il coordinamento degli interventi di manutenzione. Il tutor è il referente del CFP nei confronti delle famiglie degli al- lievi. Svolge attività di supporto nella predisposizione dei progetti per quanto di competenza tecnica. Per il coordinamento esterno, tra le mansioni che competono al coordinatore si indicano le seguenti: svolge funzioni di rappresentanza, nell’ambito delle direttive dell’Ente, rispetto ai soggetti istituzionali, socio-economici e culturali del proprio territorio e bacino di utenza; assicura la coerente e omogenea gestione delle poli- tiche del personale operante nelle strutture formative del CFP al fine di promuovere un costante adeguamento del personale alle esigenze dell’innovazione del sistema; cura le relazioni con le famiglie dei giovani sulle problematiche educativo-forma- tive. Tra le mansioni che competono al tutor si indicano le seguenti: predispone il manuale operativo stage, collabora con la segreteria didattica per la predisposi- zione della documentazione prevista per lo stage, coordina le visite agli allievi presso le aziende, raccoglie i dati ed elabora il report per il monitoraggio stage. 117 Per l’esercizio delle funzioni previste per il coordinatore-tutor e con quale tempo disponibile, si riporta la tabella seguente. Nota: Il rappresentante della Direzione/monitoraggio e valutazione supporta la Direzione/coordinamento del CFP nel coordina- mento di tutte le attività che possono influenzare la qualità del servizio erogato con l’obiettivo di verificare l’efficienza dei pro- cessi e garantire la rispondenza ai requisiti previsti dal sistema di gestione per la qualità. 6.2.11. Veneto Per il coordinamento interno, in questi anni, i diversi Centri hanno individuato delle figure di sistema per il coordinamento e il tutorato dei corsi che differiscono a seconda delle dimensioni del Centro e del numero dei corsi e a seconda del tipo di organizzazione che il Centro ha voluto adottare. In generale, il coordinatore tutor (inteso come coordinatore di settore, coordi- natore/tutor di corso, coordinatore di più corsi, orientatore di corso e/o di più corsi, tutor stage) svolge un po’ tutte le attività elencate nella tabella. In base anche al nu- mero dei corsi, svolge l’attività di coordinamento/tutorato a tempo pieno o parziale. I coordinatori/tutor dei corsi, invece, hanno un bonus di ore da impiegare in tale attività che varia in base al numero di corsi di cui hanno responsabilità. L’orientatore è molto spesso assunto a tempo pieno e opera in base allo svolgi- mento delle varie attività: a tempo pieno nelle fasi preliminari, e su richiesta du- rante la pianificazione e l’erogazione dell’attività formativa. Il tutor stage coordina le attività di molti docenti anch’essi impegnati in questo campo e, di solito, è anche il punto di riferimento per aziende e lavoratori in relazione a problemi di ricerca e assunzione di personale. Per il coordinamento esterno, sia nel CNOS-FAP che nel CIOFS/FP non sono stati ancora attuati percorsi in alternanza scuola-lavoro ed essendo tutti i corsi con 118 titolarità interamente dei CFP, il coordinamento esterno tiene i rapporti solo con reti di orientamento locali, con la Provincia o con la Regione. Per l’esercizio delle funzioni previste per il coordinatore-tutor e con quale tempo disponibile, si riportano le tabelle seguenti (i rappresentanti dei due Enti hanno dato risposte diverse). 1) CNOS-FAP 2) CIOFS/FP 6.3. Commenti sulla figura del coordinatore tutor Riportiamo i commenti a questo tema distinguendo i tre sottoquesiti: coordi- namento interno; coordinamento esterno, funzioni e tempi dedicati. 6.3.1. Commenti sul coordinamento interno Alla domanda sul coordinatore-tutor, in merito al coordinamento interno è emerso che in rapporto a queste figure si riscontrano forti divergenze tra le Regioni coinvolte nella sperimentazione. Una prima riguarda la suddivisione tra quelle che considerano separatamente le due figure di coordinatore e tutor (Friuli Venezia Giulia e Umbria) e quelle che non fanno distinzione (tutte le altre). Nelle prime esse presentano le seguenti carat- teristiche. a) Coordinatore In Friuli Venezia Giulia, è fisicamente rappresentato da una sola persona che segue tutti i corsi relativamente alle attività di: raccolta documentazione iniziale (progetto, elenco formatori, strumenti didattici), costituzione del team forma- 119 tori, coordinamento organizzativo interno, coordinamento organizzativo esterno (rapporti con i docenti delle scuole coinvolti nei progetti integrati), attività varie di miglioramento continuo (è referente di qualità della prima formazione). In Umbria svolge la funzione di supervisione, responsabilità e controllo, defini- sce gli incarichi di docenza, è responsabile dell’efficienza ed efficacia del servi- zio formativo del CFP, organizza e coordina le attività educativo-formative. b) Tutor In Friuli Venezia Giulia, nei percorsi integrati segue le attività collegiali di col- loquio con gli allievi e con le famiglie; dato che però è fisicamente la stessa persona in tutti i 5 primi corsi ed è la stessa persona che riveste il ruolo di co- ordinatore di progetto, riesce a dedicare poco tempo a queste attività. In parti- colare è stata trascurata finora la parte relativa alla personalizzazione (accom- pagnamento, verifica, riprogettazione, LARSA, portfolio). Nei percorsi tradi- zionali (secondi e terzi anni) il tutor è un docente dell’area pratica del corso in oggetto, segue i contatti con gli allievi e le famiglie e in più si occupa di alcune semplici parti burocratiche (firme sul registro). In Umbria svolge attività di raccordo tra le varie funzioni impegnate nell’eroga- zione del servizio attraverso la collaborazione nell’organizzazione delle attività didattiche, la gestione della documentazione tecnico-amministrativa, l’assisten- za didattica, la gestione del budget del corso e il coordinamento degli acquisti re- lativi, l’animazione e la facilitazione dell’apprendimento individuale e di grup- po, il coordinamento degli interventi di manutenzione. Il tutor è anche il referente del CFP nei confronti delle famiglie degli allievi. Inoltre, svolge attività di sup- porto nella predisposizione dei progetti per quanto di competenza tecnica. In tutte le altre Regioni ci si limita ad elencare le attività oppure si fa riferi- mento ad una serie di figure di contorno. Di conseguenza, pare utile riportare anzi- tutto i ruoli/compiti che vengono comunemente attribuiti a queste figure in pres- soché tutte le Regioni, per passare poi ad analizzare singolarmente le specificità di ciascuna. Ruoli/compiti abbastanza comunemente condivisi: verifica la progettazione delle UdA; verifica la coerenza delle attività con il progetto approvato; coordina l’équipe dei formatori; presiede alle fasi preliminari della progettazione; guida l’é- quipe dei progettisti; concorda con il corpo docente le attività e il piano di lavoro; individua le risorse ed elabora il piano delle risorse e dei tempi in riferimento alle opportunità formative necessarie alla piena realizzazione dei corsi; presiede all’im- postazione metodologica del percorso in relazione ad attività di orientamento, for- mazione, valutazione, recupero, approfondimento. Specificità regionali: a) in Abruzzo, viene affidato anche il compito di organizzare e gestire attività culturali, artistiche e ricreative; b) in Liguria, programma la qualità, il portfolio, i colloqui con le famiglie, gli orari delle lezioni, riunioni e assemblee; 120 c) in Puglia, illustra la mission dell’Ente, il piano formativo, le attività collegiali, fa la selezione degli allievi; d) in Sicilia, viene riportata non solo una specificità di ruoli, ma anche una serie di figure deputate a svolgerli che difficilmente possono essere riassunte in un unico prototipo, per cui si preferisce riportare per intero la risposta: Nei nostri Centri sono previste tre figure che assicurano il presidio delle funzioni di co- ordinamento interno: Direttore, responsabile team di progetto, tutor d’aula. Direttore del Centro: a) gestisce la selezione del personale esterno, li porta a conoscenza e condivisione delle finalità formative e orientative, dei metodi educativi e della politica per la qualità del CIOFS/FP; b) assicura l’attività di natura preliminare e la costituzione del team; c) effettua il coordinamento organizzativo interno coinvolgendo la responsabi- lità di ogni risorsa; d) elabora il piano delle risorse e dei tempi, in riferimento alle oppor- tunità formative necessarie alla piena riuscita dei percorsi; e) valuta le prestazioni dei formatori durante e al termine del servizio e ne analizza le eventuali non conformità; f) valuta, con periodicità almeno annuale, i fabbisogni formativi delle persone di struttura, assicura lo sviluppo delle risorse umane e il miglioramento dei processi organizzativi in- terni in collaborazione con le funzioni interessate; g) cura e promuove i rapporti con gli allievi e, ove è possibile, con le famiglie al fine di favorirne il coinvolgimento nella cre- scita umana e sociale; h) cura i rapporti con i soggetti istituzionali del territorio, orga- nismi esterni e aziende. Responsabile team di progetto cura: a) l’intesa reciproca intorno a un canovaccio di piano formativo e del piano delle attività collegiali; b) l’impianto generale del progetto di dettaglio, la revisione delle singole progettazioni di dettaglio per verificarne la coerenza con il progetto di massima e la fattibilità in rapporto al gruppo-classe; c) collabora alle iniziative di formazione del personale. Il tutor d’aula ha i seguenti compiti: a) monitorare lo svolgimento dell’erogazione delle attività e in particolare gli interventi svolti in aula e stage, con le relative dinamiche che si instaurano tra partecipanti e formatori, al fine di evidenziare particolari problematiche o miglioramenti da apportare al servizio formativo; b) svolgere attività di monitoraggio giornaliero delle presenze/assenze di allievi e formatori, monitoraggio in aula sul pro- cesso di apprendimento e sul clima, collaborazione con i formatori alle attività di valuta- zione complessiva, cura dei rapporti con le imprese per lo svolgimento dello stage, predi- sposizione e somministrazione dei questionari per la raccolta dell’indice di gradimento dei partecipanti e delle famiglie; c) gestire i rapporti con il gruppo classe costituendone punto di riferimento per necessità e/o istanze o reclami; d) curare i rapporti tra allievi- formatori-Direttore di Centro. Dall’insieme delle analisi riportate risulta comunque che queste figure rappre- sentano il nucleo organizzativo di ogni Centro, in quanto ad esse vengono affidati più funzioni e compiti. Ma un tale sovraccarico di lavoro, abbiamo visto in prece- denza, non sempre gioca a favore della qualità dell’offerta. 6.3.2. Commenti sul coordinamento esterno Per quanto concerne il coordinamento esterno, il ruolo da svolgere appare assai meglio definito in quanto sostanzialmente si tratta di coordinare le attività in- teristituzionali riguardanti il sistema di istruzione e quello produttivo. Nella prima fattispecie si tratta principalmente di tenere i contatti con i docenti delle scuole co- involte nei progetti integrati (orientamento, organizzazione, progettazione, valuta- 121 zione…). Nel rapporto con il sistema produttivo il riferimento allo stage con parti- colare riguardo alla pianificazione, attuazione, verifica, socializzazione dei risultati e successivo accompagnamento al lavoro. 6.3.3. Commenti sull’esercizio delle funzioni previste e sul tempo disponibile Per quanto concerne le risposte relative all’esercizio delle funzioni previste per il coordinatore-tutor e con quale tempo disponibile, attraverso il seguente quadro, si intende ricostruire in una visione sinottica le differenti figure che, a seconda delle segnalazioni offerte dalle Regioni, sono deputate a svolgere le attività elen- cate nella domanda. Legenda: Regioni: P = Piemonte; L = Lombardia; V = Veneto; F = Friuli Venezia Giulia; LI = Liguria; A = Abruzzo; PU = Puglia; C = Calabria; S = Sicilia; SA = Sardegna Figure: a) Unica figura di coordinatore tutor; b) Un coordinatore di corso; c) Un tutor di corso; d) Un coordinatore di più corsi; e) Un tutor didattico di più corsi; f) Un tutor per l’alternanza; g) Un orientatore di corso; h) Un orientatore di più corsi; i) Il diret- tore o vice-direttore; j) Altro In primo luogo, è necessario far presente che alla richiesta riportata sopra non hanno contribuito, seppure per ragioni diverse, l’Emilia Romagna e il Lazio. Pas- sando quindi ad analizzare il quadro sinottico nel suo complesso è possibile suddi- videre le risposte in base ad una lettura orizzontale (a seconda delle attività) e ver- ticale (a seconda delle Regioni). 122 Da una lettura in base alle attività, si rileva che: 1) le attività preliminari vengono svolte principalmente (in graduatoria) dal Diret- tore (o vice) e/o dal coordinatore di corso, mentre in casi più rari esse vengono attribuite anche al coordinatore di più corsi, al tutor di corso, all’orientatore e ad altre figure ancora; 2) quasi dappertutto, il team è costituito dal Direttore più una figura di sistema, che in genere è rappresentata dal coordinatore di corso o di più corsi o dal co- ordinatore-tutor; 3) del coordinamento organizzativo interno si occupa una coppia nella più parte dei casi formata dal coordinatore e dal tutor di corso, a cui si aggiunge talora anche il Direttore (o il suo vice); 4) mentre per il coordinamento organizzativo esterno la coppia ideale è composta anzitutto dal Direttore, per lo più unitamente al coordinatore di corso e (in casi minori) all’orientatore, oppure al tutor di corso; 5) per lo svolgimento delle attività collegiali in ciascuna Regione è presente un team composto dalla figura del tutor di corso, coadiuvato a sua volta dal co- ordinatore di corso e/o dal Direttore (o dal suo vice) e/o dall’orientatore e/o da altre figure ancora; rimane un dato di fatto comunque che, contestual- mente allo svolgimento di queste attività, il tutor di corso è presente dapper- tutto; 6) anche in funzione del miglioramento continuativo collabora un team di figure composto per lo più dal Direttore, unitamente al coordinatore e al tutor di corso; in sostituzione di questi ultimi, vengono di volta in volta l’orientatore e altre figure di sistema; 7) chiaramente, nell’osservare il quadro riportato sopra, va fatto presente che in merito a ciascuna di tali attività giocano anche varie altre figure con nomina- tivi diversi da quelli presenti nell’elenco che va da “a” ad “i”, e collocate tutte sotto la lettera “j”; e comunque un maggior numero di figure si rileva in merito allo svolgimento delle attività collegiali e di miglioramento. Da una lettura basata sulle figure presenti all’interno delle singole Regioni, quelle più segnalate e, quindi, maggiormente operative all’interno di ciascuna di esse, risultano: 1) in Piemonte, un numero piuttosto ridotto, che fa capo essenzialmente al coor- dinatore e al tutor di corso; 2) queste stesse figure valgono anche per la Lombardia, ma con l’aggiunta di altre figure di sistema le quali a loro volta fanno la differenza tra il CNOS-FAP (che predilige i coordinatori di più corsi e gli orientatori)2 ed il CIOFS/FP (che nella rosa prevede quasi sempre le Direttrici); 2 Tuttavia ai fini di una più dettagliata definizione di alcune di queste figure si consiglia di tener conto di quanto precisato nella “premessa” riportata più avanti dal CNOS-FAP Lombardia. 123 3) anche in Veneto sussiste una spiccata differenza tra i due Enti: mentre nel CIOFS/FP vige la formula del tutto simile a quella della Lombardia (Direttrice più coordinatore di corso), nel CNOS-FAP la rosa è composta da quattro fino a sei membri, di cui quelli più segnalati riguardano il coordinatore e/o i coordi- natori di corso, il tutor di corso, l’orientatore e il Direttore, con l’aggiunta in qualche caso di altre figure di sistema; 4) in Friuli Venezia Giulia, è presente dappertutto la formula “Direttore più coor- dinatore di corso”, cui viene aggiunto per certe azioni il tutor di corso e per altre l’orientatore; 5) in Liguria prevale quasi dappertutto il coordinatore di corso, con l’aggiunta del tutor e di altre figure di sistema; 6) in Umbria tutte le azioni sono svolte da una rosa composta da quattro figure: il Direttore, il tutor di corso, i coordinatori di corso e l’orientatore; 7) viceversa, in Abruzzo domina ovunque la figura del coordinatore-tutor, co- adiuvato talora dal Direttore o da altre figure; 8) in Puglia vale la combinazione Direttore, coordinatore e tutor di corso; 9) anche in Calabria la maggioranza delle azioni sono svolte per lo più dalla triade precedente, ma alcune prevedono anche l’intervento dell’orientatore e/o di altre figure; 10) in Sicilia tutte le attività vengono svolte dal Direttore, con l’ausilio in taluni casi del tutor di corso oppure dell’orientatore o di altre figure ancora; 11) infine in Sardegna è il coordinatore di corso a capo di pressoché tutte le azioni, a cui si aggiunge talora anche il tutor di corso. Ai fini di una descrizione più fedele e dettagliata delle modalità di gestione delle singole attività, si rimanda al prospetto così come è stato elaborato in cia- scuna Regione. Al tempo stesso ognuno di questi documenti permette di avere un’idea del tempo che in ogni Regione viene impiegato per svolgere le suddette at- tività; le notevoli discrepanze riscontrate tra Regione e Regione nel compilare questa parte dell’inchiesta non permettono infatti di ricostruire le informazioni al- l’interno di un quadro uniforme. 7. DATI SULLA GESTIONE DEI FORMATORI Riportiamo quanto richiesto, le riposte fornite da ciascun referente dei due Enti coinvolti e una analisi critica di sintesi conclusiva. 7.1. Dati richiesti sulla gestione dei formatori Anche questa domanda prevedeva due sotto-quesiti: uno relativo all’accorpa- mento delle aree formative, l’altro alla formazione formatori. Riguardo all’accorpamento per discipline, si chiedeva: “Nella gestione dei formatori, l’Accordo Stato-Regioni del 15-01-04 prevede il seguente accorpa- 124 mento: linguaggi; scientifica; tecnologica; storico-socio-economica; professionale. Nei Centri della Regione, vengono rispettate le aree formative previste, oppure si prevede una strutturazione per discipline?”. Riguardo alla formazione formatori, è stato richiesto se: 1) è prevista (iniziative regionali, iniziative di Ente/Centro, auto-formazione…), 2) è soddisfacente rispetto alle nuove funzioni di queste figure. 7.2. Risposte sulla gestione dei formatori Riportiamo le risposte fornite sul questionario dai referenti delle diverse Re- gioni coinvolte. 7.2.1. Abruzzo Le aree formative sono rispettate. Sono inoltre completate dall’area “Persona- lizzazione” (Laboratorio delle capacità personali) e dal “Laboratorio di recupero e sviluppo degli apprendimenti” (LARSA). L’attività di formazione dei formatori avviene generalmente attraverso incontri collegiali che mirano alle tecniche di gestione d’aula e la metodologia didattica at- tiva. Per favorire una formazione più completa si è data piena disponibilità e sup- porti logistici per l’accesso del personale docente e non docente alla piattaforma di- dattica predisposta dalla Sede Nazionale per la fruizione dei corsi in autoistruzione nelle modalità previste dalla piattaforma stessa. Inoltre nella sede di L’Aquila la Direzione ha attivato una collaborazione con la Associazione Italiana Formatori (AIF) per la libera partecipazione dei docenti interni ed esterni del CFP ai seminari che si svolgono con cadenza più o meno quindicinale. In ogni caso, i bisogni e le iniziative di formazione a 360°… non sono mai abbastanza. 7.2.2. Calabria Nel progetto attualmente in realizzazione è prevista una strutturazione per aree che sono leggermente diverse da quelle proposte, anche se simili sul piano logico (area linguistica, area delle scienze umane e dell’etica, area scientifica, area tecno- logica, area professionale, area capacità personali). Nei progetti presentati sul “Piano 2004” è stato rispettato l’accorpamento previsto dall’Accordo Stato-Re- gioni. L’attività di formazione-formatori non è stata realizzata in modo formale, anche se le riunioni di gruppo didattico sono momenti formativi a tutti gli effetti. Non è soddisfacente. Sarebbe utile prevedere un’attività di formazione-azione più organizzata e formalizzata. 7.2.3. Emilia Romagna Nel Centro di Bologna viene rispettata la nuova articolazione in aree forma- tive, ma non è prescrittiva per i corsi di formazione non integrati. L’attività di formazione-formatori è consistita in alcune iniziative dell’Ente e 125 del Centro (supervisione pedagogica mensile); iniziative provinciali per i tutor. Ab- bastanza soddisfacente. 7.2.4. Friuli Venezia Giulia La strutturazione è ancora per discipline, con lo sforzo di cominciare a vederle collocate nelle aree indicate. Principalmente sono gli insegnanti delle scuole coin- volte nei progetti integrati a capirci poco... Per quanto riguarda la formazione formatori, non ci sono attività previste dalla Regione, i singoli Centri attuano qualcosa, ma molto poco, visti i tempi ridottissimi a disposizione per poter effettuare un concreto aggiornamento. Le attività svolte non sono assolutamente soddisfacenti. 7.2.5. Lazio Esistono due livelli d’aggregazione: uno per aree e uno per discipline (es. area linguistica italiano, 1ª lingua straniera, 2ª lingua straniera). L’attività di formazione formatori viene svolta ed è soddisfacente. 7.2.6. Liguria Vengono rispettate le aree formative come strutturazione didattica, non sempre come impostazione organizzativa delle docenze; in alcune aree per determinati set- tori si fa ricorso a più docenti per esigenze organizzative e anche contenutistiche. Infatti, vi sono obiettivi formativi afferenti la stessa area che, per specificità parti- colari, prevedono il ricorso a professionalità di docenti differenziate. In tal caso, si fa particolare attenzione a mantenere alto il livello di interdisciplinarietà che, con il ricorso a un numero rilevante di docenti, può diventare più difficoltoso da man- tenere. Tra il 2004 e il 2005, sono stati svolti i seguenti percorsi di aggiornamento: due corsi residenziali per docenti e tutor della FP (coinvolti 95 formatori); un corso congiunto scuola formazione (coinvolti 60 formatori). È previsto un ulteriore corso congiunto entro l’estate 2005. Le iniziative sono state pienamente soddisfacenti. 7.2.7. Lombardia I referenti dei due Enti hanno dato risposte diverse. 1) CNOS-FAP Nella progettazione (così come richiesto dalla Regione Lombardia) vengono rispettate le aree formative previste, ma nell’attività didattica permane poi la “tradizionale” strutturazione per discipline. Tutti i Centri della Regione prevedono attività di formazione dei formatori in- terne al Centro e fanno riferimento ai corsi del CNOS-FAP nazionale e pro- poste dagli Enti regionali (IREF) e provinciali (ISFOR per Brescia). Non emergono particolari criticità, anche se l’introduzione di nuovi progetti (come i percorsi triennali) richiederebbe una ancor maggiore attenzione alla forma- zione dei formatori. 126 2) CIOFS/FP Nella Regione Lombardia vengono rispettate le aree formative proposte dal- l’Accordo. L’attività di formazione formatori è soddisfacente rispetto alle nuove funzioni di queste figure, tuttavia l’Ente CIOFS/FP propone sempre annualmente semi- nari formativi e di aggiornamento per i docenti con tematiche variabili. 7.2.8. Piemonte I referenti dei due Enti hanno dato risposte diverse. 1) CNOS-FAP In generale, nei CFP si prevede una strutturazione per aree formative (pur per- manendo casi di strutturazione per discipline). In questi anni si è cercato di in- dirizzare i CFP a organizzarsi per aree prevedendo all’interno dei corsi del di- ritto-dovere un numero limitato di formatori. Questo sforzo si scontra con gli accordi fatti con le scuole dove i docenti ragionano più per discipline e dove diventa difficile accorpare i formatori per aree formative. Per i formatori sono previste attività di formazione a livello di Ente. In questi anni sono state fatte attività di formazione sulla progettazione didattica nel di- ritto-dovere, sulla valutazione autentica, sulle capacità personali, sul ruolo del coordinatore tutor… L’attività formativa in merito alle nuove metodologie è soddisfacente però non raggiunge tutti e questo è uno svantaggio che si paga laddove debbano poi essere messe in pratica le scelte dell’Ente. 2) CIOFS/FP Vengono rispettate le aree formative previste. L’Ente utilizza la direttiva formatori (3 momenti/sportelli di presentazione di formazione alla Regione) per finanziare alcuni interventi, nell’anno formativo in corso si stanno svolgendo le seguenti attività formative: a) il tutor: figura chia- ve per lo sviluppo del percorso formativo; b) la gestione dei conflitti d’aula. Si attiverà con il terzo sportello la formazione sulla pianificazione, progettazione, sviluppo UdA. Oltre a questo pacchetto di formazione finanziato con la Diretti- va specifica, l’Ente organizza attività formative per i diversi ruoli rivestiti dai formatori: nell’anno in corso, formazione sulle innovazioni metodologiche, sul sistema di valutazione autentica, sulla formazione a distanza. Ogni formatore, se necessita, in accordo con la RdC, pianifica, le ore di auto-formazione. 7.2.9. Puglia Nei nostri Centri è presente l’accorpamento delle aree formative. L’attività di formazione dei formatori avviene sia a livello regionale che a li- vello di Ente/Centro. La formazione riguarda tutte le risorse umane che esercitano la funzione di coordinamento, tutoring, orientamento, docenza, ed è aperta anche alle risorse umane del sistema dell’istruzione che collaborano con il CFP. Questo tipo di formazione favorisce la condivisione dei medesimi obiettivi e dei medesimi 127 linguaggi. A livello di Ente si realizza periodicamente attraverso seminari; a livello di Centro a seconda delle esigenze e sulla base di una pianificazione annuale. Gli ambiti della formazione sono la progettazione, la realizzazione dei percorsi e le metodologie didattiche attive che possano stimolare l’attenzione degli allievi (co- operative learning). I formatori attuano anche la auto-formazione. I formatori sono invitati a formulare le loro richieste di formazione e gli ambiti in cui si sentono ca- renti. Questo consente di individuare quali sono gli aspetti da migliorare. 7.2.10. Sardegna Secondo le “Disposizioni attuative RAS”, i progetti prevedono le seguenti aree formative e strutturazione per discipline: azioni di accoglienza (10 ore); azioni di orientamento (20 ore); azioni di accompagnamento (10 ore); azioni di personaliz- zazione (300 ore); area linguistica (lingua italiana, 170 ore; lingua inglese, 170 ore; storia della Sardegna, 30 ore); area giuridico-sociale (educazione cittadinanza, 20 ore; economia di base, 30 ore; diritto del lavoro, 30 ore; deontologia professionale, 20 ore); area scientifica e logico-matematica (logico matematica, 200 ore; bio- logia, 30 ore; chimica e fisica, 30 ore; informatica, 130 ore; sicurezza e qualità, 20 ore); area artistico-musicale (elementi base musica, 50 ore; elementi conoscenza arte, 50 ore); area capacità personali (100 ore); competenze tecnico-professionali di base dell’area professionale (370 ore); competenze tecnico-professionali di spe- cifiche del profilo (990 ore); stage (orientativo, 60 ore; applicativo, 200 ore); atti- vità motorie (110 ore). Attualmente è in corso un’attività di formazione a distanza per l’aggiorna- mento degli operatori della FP (interni e con contratto di collaborazione esterna), nell’ambito del Progetto P.O.R Misura 3.5 Scheda B. 7.2.11. Sicilia La scelta di accorpamento per aree non è totale, là dove è possibile ci orien- tiamo secondo il curriculum del singolo formatore; non siamo neppure del parere di farlo in toto in futuro, perché l’orientamento, di avere docenti con titoli corri- spondenti alla classe di insegnamento, ci sembra rispettosa di quella “pari dignità” con il percorso scolastico proclamata dalla legge 53/2003. Per i formatori nuovi (in genere assunti a progetto) si segue una prassi di for- mazione che riguarda le metodologie, il carisma salesiano, le procedure del nostro “sistema qualità”, il potenziamento delle capacità didattiche attive. Questa forma- zione è delegata alle sedi locali, e per alcune tematiche è svolta in sede regionale. Per i formatori con esperienza pregressa presso i nostri Centri (in genere, di- pendenti a tempo indeterminato o a collaborazione da più anni), abbiamo istituito ogni anno corsi di aggiornamento a livello regionale, sulla programmazione, sulle verifiche, sulla valutazione, sulle metodologie attive, sul sistema qualità. Ultimo, di 100 ore, sulle metodologie specifiche della FP, conclusosi nel mese di ottobre 2004. La soddisfazione viene registrata per parecchi CFP, i cui formatori hanno mo- 128 strato flessibilità, capacità di aggiornamento, di auto-aggiornamento e di lavoro metodologico assiduo; per altri Centri possiamo dire che la soddisfazione è par- ziale, le varie funzioni stanno maturando con una gradualità più lenta. 7.2.12. Umbria I CFP di Foligno e Marsciano rispettano, quasi completamente, le aree previste dall’Accordo Stato-Regioni. Saltuariamente esiste la possibilità di frequentare iniziative regionali: que- st’anno potranno accedere circa 15 unità. Molto frequentata è l’attività organizzata del CNOS-FAP Sede nazionale: il numero dei partecipanti, in totale è di 10 unità, circa, ogni anno. Molto frequentata è l’auto-formazione attuata attraverso la piatta- forma CNOS-FAP Sede nazionale: le unità interessate sono circa 20. È poco il tempo a disposizione di ogni individuo. 7.2.13. Veneto La situazione è ancora di transizione e quindi sono presenti tutte le modalità. Da quest’anno, la Regione dà indicazioni più vincolanti per le aree. La Regione negli scorsi anni ha avviato numerose iniziative di formazione dei formatori. Attualmente le iniziative sono lasciate ai singoli Enti o addirittura al sin- golo Centro, anche se si sente la necessità di un’azione più organica e strutturata, soprattutto in vista dei cambiamenti in atto richiesti dall’imminente applicazione della riforma Moratti. 7.3. Commenti sulla gestione dei formatori In merito all’accorpamento per aree, sono state adottate più soluzioni. Quella seguita da Piemonte, Lombardia, Liguria, Sicilia appare connotata da una condizione ibrida dove formalmente nella progettazione viene rispettato l’ac- corpamento per aree formative, ma in seguito nella pratica didattica permane la tra- dizionale strutturazione per discipline; tale situazione in parte viene attribuita al fatto che l’accorpamento per aree si scontra poi con l’attività dei docenti del si- stema di istruzione, i quali ragionano più per discipline. Un maggior rispetto del- l’accorpamento per aree formative, come previsto dall’Accordo Stato-Regioni, è stato segnalato nella fascia geografica centro-meridionale-est, ossia Umbria, Abruzzo e Puglia. Viceversa il non rispetto dell’Accordo, e quindi il permanere della tradizionale strutturazione per discipline, viene apertamente dichiarato in Sar- degna, Friuli Venezia Giulia e Calabria. Infine, dal Veneto, dal Lazio e dall’Emilia Romagna viene segnalata una situazione di transizione e quindi di non prescritti- vità, per cui sono presenti ancora tutte le modalità. Riguardo alla formazione formatori, il dato più consolidato consiste nel fatto che le attività vengono realizzate dappertutto. E tuttavia, stando a quanto segnalato, risultano ancora una netta minoranza le Regioni dove esse sono previste e finan- ziate dalle Regioni stesse (Veneto, Umbria e Puglia). Nella maggior parte dei casi, 129 infatti, l’iniziativa è presa dall’Ente/Centro, il quale si avvale dei servizi promossi dalla Sede nazionale: piattaforma on line predisposta per l’auto-formazione e ini- ziative formative in presenza (corsi, seminari, incontri collegiali, riunioni di gruppo, supervisione pedagogica, ecc.). Gli argomenti principali sono di carattere didattico: cooperative learning, pia- nificazione, progettazione, metodologia didattica attiva, gestione della classe, tec- niche di gestione d’aula, gestione di conflitti d’aula, sviluppo delle UdA, valuta- zione autentica. Non mancano contenuti di natura più pedagogica come la spiritua- lità salesiana, gli aspetti educativi della professionalità dei formatori, la formazione delle capacità personali degli alunni. Vanno ricordate anche tematiche più specifi- camente organizzative, come la preparazione allo svolgimento del ruolo di coordi- natore-tutor. Inoltre, sono state date informazioni generali sul sistema qualità e sulla riforma Moratti. I destinatari sono tutte le risorse umane che esercitano la funzione di coordina- mento, tutoring, orientamento, docenza con particolare riguardo ai formatori e ai tutor. In Sicilia, si distinguono iniziative per due categorie di utenti: per i formatori nuovi, si segue una prassi di formazione che riguarda le metodologie, il carisma sa- lesiano, le procedure del sistema qualità, il potenziamento delle capacità didattiche attive; per i formatori con esperienza pregressa, si sono istituiti corsi sulla program- mazione, sulle verifiche, sulla valutazione, sulle metodologie attive, sul sistema qualità. Quanto alla soddisfazione, il giudizio è negativo in due Regioni: la Calabria, in cui sarebbe utile prevedere una attività di formazione più organizzata e formaliz- zata, e nel Friuli Venezia Giulia. Nelle rimanenti Regioni, la valutazione è positiva: però in una è solo abbastanza positiva, in altre non è sufficiente perché manca il tempo e non raggiunge tutti gli interessati, e in altre ancora è soddisfacente nella maggior parte dei CFP, ma non in tutti, o è buona per alcuni aspetti, ma non per altri. 131 RIFLESSIONI CONCLUSIVE Il quadro presentato ci consente di svolgere alcune riflessioni di sintesi sull’in- tero movimento sperimentale. Esso evidenzia come il modello integrale o puro pre- senti una maggiore consistenza metodologica e organizzativa e mediamente con- duca ad esiti più positivi rispetto al modello integrato. Da dati ISFOL parziali, emerge come il modello formativo puro presenta la migliore capacità di contenere l’abbandono, cui segue il modello di formazione professionale mista (puro con elementi di integrazione) e, infine, l’integrazione che presenta il livello più basso di successo specie nel passaggio dal I al II anno. È questo un elemento molto rilevante da considerare, confermato anche dai monitoraggi qui citati, che rende l’idea di una difficoltà del modello integrato di di- stinguersi da quello scolastico tradizionale. Ciò, probabilmente, per la rigidità della sua impostazione, che lo rende in sostanza una sorta di sotto-prodotto scolastico con talune integrazioni del metodo formativo-professionale che però non giungono a modificare il modo tradizionale della valutazione. In questo quadro, i ragazzi dopo il I anno sembrano preferire il modello tradizionale organico piuttosto che quello integrato che appare penalizzante dal punto di vista delle valutazioni finali. In linea generale, va inoltre ricordato, con ISFOL (2004), come le esperienze realizzate in questi anni nella sperimentazione di nuovi percorsi di istruzione e for- mazione professionale rappresentino una sfida per tutti i soggetti coinvolti, a partire dalle Amministrazione regionali e provinciali e dagli Uffici scolastici regionali. Per rendere più autentica e sistematica l’interazione tra le diverse istituzioni formative, sarà dunque necessario lavorare sulla capacità dei sistemi di dialogare in modo tale da rendere coerenti e condivise le modalità di progettazione, gli ap- procci, gli obiettivi, le metodologie e gli strumenti didattici, affinché la relazione tra le due parti, lontana dall’esprimersi nella mera combinazione o semplice scambio di elementi e procedure, comporti un lavoro fattivo e condiviso a tutti i li- velli e i cui risultati diventino un unico patrimonio comune. Ma questo dialogo tra sistemi non può essere utilizzato come pretesto per ne- gare la possibilità dell’espressione nel sistema educativo di una pluralità di ap- procci e modelli, innanzitutto quello formativo che mira alla didattica attiva per compiti reali e sulla personalizzazione dei percorsi. È proprio la presenza del mo- dello integrale o puro che interrompe l’omologazione delle pratiche scolastiche e introduce elementi di cambiamento di cui tutto il sistema ha estremo bisogno, al fine di uscire dallo stato di stallo attuale le cui performance negative non possono essere nascoste sotto il velo della diatriba ideologica. 132 Tre sono le azioni che si sollecitano al fine dell’affermazione del diritto-dovere di istruzione e formazione, così da garantire percorsi formativi di qualità per tutti i cittadini, nessuno escluso, tramite un sistema unitario e nel contempo differenziato. 1) Nuovo accreditamento In tema di diritto-dovere, risulta urgente realizzare un “nuovo accredita- mento” selettivo per le istituzioni formative, al fine di garantire le condizioni ne- cessarie per un servizio autenticamente educativo, culturale e professionale. I re- quisiti su cui sviluppare tale super-accreditamento sono quelli relativi ai “livelli essenziali delle prestazioni” previsti dal decreto sul secondo ciclo degli studi, in modo da garantire, anche con un sistema di valutazione rigoroso, che coinvolga tutti gli attori, le condizioni per l’erogazione di un servizio pubblico di qualità. Ciò può essere inteso come un primo passo per dare stabilità al sistema superando così la modalità del Bando ad evidenza pubblica che provoca incertezza e aleatorietà dei servizi. 2) Struttura di sistema Occorre inoltre porre mano ad una serie di operazioni in grado dare unitarietà ed organicità al sistema, che consentono di: a) identificare nel PECUP (Profilo educativo, culturale e professionale) il riferi- mento prioritario di ogni azione formativa in diritto-dovere; b) completare la definizione degli standard sotto forma di “Indicazioni regionali” che comprendano la mappa delle aree e delle figure professionali, gli obiettivi specifici di apprendimento, i vincoli e le risorse necessari per l’effettuazione dei percorsi; c) applicare le intese per il riconoscimento dei crediti formativi e la gestione dei passaggi da un percorso all’altro tramite LARSA, valorizzando a tale scopo il portfolio e la sua parte essenziale sotto forma di “Libretto formativo del citta- dino”; d) sviluppare un sistema di orientamento coerente con la nuova configurazione del sistema e le sue diverse opportunità; e) accompagnare, monitorare e valutare in modo organico le attività in corso; f) creare, a livello territoriale, comunità di pratiche che si arricchiscono della for- mazione congiunta, della riflessione sulle esperienze e dello scambio di mate- riali; g) assicurare un supporto finanziario adeguato e certo alle iniziative formative che garantiscano i requisiti richiesti. 3) Risorse umane Si propone infine un “piano di qualificazione delle risorse umane”, centrato su quattro punti: 133 a) elaborazione degli standard professionali b) compilazione del portfolio del formatore c) bilancio delle competenze e delle risorse e piano formativo di riallineamento con i requisiti dell’abilitazione d) certificazione di competenza rilasciata dalla Regione d’intesa con le Univer- sità. Gli standard professionali verranno definiti in base a ruoli a valenza educativa, coerentemente con la mission del diritto-dovere, sulla base di criteri di responsabi- lità, autorità e competenze. Il portfolio del formatore potrà contenere aspetti anagrafici, curricolo scola- stico e formativo, curricolo professionale, certificazioni ed evidenze professionali e formative. Il bilancio delle competenze e delle risorse delle figure sarà realizzato distin- guendo i docenti dagli esperti, e si svolgerà secondo un approccio essenziale e pro- mozionale. Il piano formativo, concordato con le Università, avrà il compito di fornire agli operatori la formazione integrativa di riallineamento mirata alle finalità dell’abilita- zione prevista dalla legislazione in corso. La certificazione di competenza, conseguente all’intero processo e in partico- lare basato sul project work realizzato a conclusione del percorso formativo di rial- lineamento, sarà rilasciata dalla Regione in accordo con le Università e avrà va- lenza di titolo equivalente alla abilitazione. Al fine di realizzare tale progetto, è ovviamente necessaria un’intesa con le Parti sociali del settore che verrà perseguita sulla base di una proposta aperta. 135 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI AJELLO A.M. (a cura di), La competenza, Il Mulino, Bologna, 2002. ALLULLI G. - NICOLI D. - MAGATTI M. (a cura di), L’opportunità della formazione. Nuovi modelli e pratiche della formazione iniziale in un quadro di sviluppo, Franco Angeli, Milano, 2003. BERTAGNA G., Piani di studio personalizzati e valutazione. Prospettive della valutazione interna ed esterna nell’ambito della riforma, paper, 2002. BOCCA G., Pedagogia del lavoro. Itinerari, La Scuola, Brescia, 1998. 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(a cura di), Dalla pratica alla teoria per la formazione: un percorso di ricerca episte- mologica, Franco Angeli, Milano, 2000. MONTEDORO C. (a cura di), Elementi di progettazione integrata per la formazione di qualità, Franco Angeli, Milano, 2000. MORIN E., La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2000. NICOLI D., La personalizzazione dei percorsi formativi, “Rassegna CNOS”, 2003, 1, 24-38. NICOLI D. Istruzione e formazione professionale. Nuovi modelli formativi per il bene della gioventù, “Rassegna CNOS”, 2004, 1, 28-40. NICOLI D., Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, Tipografia Pio XI, Roma, 2004. NICOLI D. - PALUMBO M. - MALIZIA G., Per una istruzione e formazione professionale di eccellenza. Nuovi percorsi formativi per la riforma del sistema educativo, Franco Angeli, Milano, 2005. 136 OCSE, Valutare l’insegnamento, Armando, Roma, 1998. PELLEREY M., Educare. Manuale di pedagogia come scienza pratico-progettuale, LAS, Roma,1999. PELLEREY M., Il portafoglio formativo progressivo come nuovo strumento di valutazione delle compe- tenze, “Professionalità”, 2000, 57, 5-20. RIFKIN J., L’era dell’accesso. La rivoluzione della new economy, Mondadori, Milano, 2000. SEELE BROWN J. - DUGUID P., Apprendimento nelle organizzazioni e “comunità di pratiche”. Verso una visione unificata di lavoro, apprendimento e innovazione, in: PONTECORVO C. - AJELLO A.M. - ZUCCHERMAGLIO C., I contesti sociali dell’apprendimento. Acquisire conoscenze a scuola, nel lavoro, nella vita quotidiana, LED, Milano, 1995. STERNBERG R.J., Stili di pensiero. Differenze individuali nell’apprendimento e nella soluzione di pro- blemi, Erickson, Trento, 1998. VARISCO B.M., Metodi e pratiche della valutazione: tradizione, attualità, nuove speranze, Guerini & Associati, Milano 2000. 137 APPENDICE MONITORAGGIO E ACCOMPAGNAMENTO DEI NUOVI PERCORSI DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE (SPERIMENTAZIONI) SCHEDA DI RILEVAZIONE 138 INDICAZIONI PER LA COMPILAZIONE Come detto nella e-mail di convocazione, i partecipanti agli incontri sono invi- tati a fornire informazioni sulle esperienze attivate nella Regione dai propri Enti di appartenenza in riferimento agli interventi di personalizzazione e alla figura del tutor-coordinatore. Per facilitare la strutturazione degli interventi, sono state elaborate alcune do- mande che costituiranno la traccia di riferimento per gli incontri. Il conduttore inviterà ciascun partecipante a riferire su ogni domanda per un tempo massimo di circa 2 minuti. Le risposte andranno organizzate sulla base dei seguenti criteri: 1) Occorre evidenziare per le questioni di ordine generale (programmazione, ti- pologia del percorso, progettazione) e per alcune opzioni metodologiche ed organizzative, un punto di vista unitario circa la realtà della Regione, in modo da coglierne la strategia e l’approccio di fondo alla costruzione dei percorsi sperimentali, evitando in tal modo una prospettiva parziale della realtà. Per questo si chiede ai referenti regionali uno sforzo di documentazione e di con- fronto al fine di compilare testi che rappresentino in modo puntuale la realtà Regionale. 2) Occorre superare la distinzione tra Enti e procedere all’elaborazione di un testo comune, e condiviso. Si chiede di realizzare un incontro tra i referenti re- gionali degli Enti in modo da trovare l’accordo su un testo unico che soddisfi le necessità per cui è stato elaborato. 3) Occorre rappresentare l’insieme dei fenomeni oggetto di rilevazione, in modo che tutti possano riferirsi ad essi nel cercare di spiegare la propria realtà. Nel caso in cui tali categorie non siano esaustive, si chiede di segnalarlo attra- verso anche la proposta di nuove tipologie interpretative. Va quindi evitata la semplice elencazione dei fenomeni, per puntare ad un approccio interpreta- tivo. 4) Occorre limitare il testo a ciò che è essenziale comunicare, quindi attraverso una presentazione sintetica e nel contempo esaustiva. 139 1. PROGRAMMAZIONE La tematica della programmazione è stata affrontata nel presente lavoro di monitoraggio di- stinguendo tra le seguenti voci: 1) Circa l’offerta formativa, si sono considerate le diverse possibilità: a) Percorsi biennali integri (a totale responsabilità e gestione del CFP) b) Percorsi triennali integri c) Percorsi destrutturati (per soggetti in difficoltà, anche nella forma dei LARSA) d) Percorsi integrati con forte rilievo della Scuola e) Percorsi integrati con forte rilievo dei CFP f) Integrazione curricolare (moduli formativi tecnico-professionali svolti per studenti presenti in percorsi scolastici) 2) Circa gli standard formativi, due sono le fonti di riferimento: a) gli standard minimi delle competenze di base (Accordo Stato-Regioni del 15-01-04) b) gli standard professionali relativi al repertorio della Regione, da integrare con i pre- cedenti, meglio se entro un disegno coerente con la bozza del PECUP del secondo ciclo al fine di garantire unitarietà all’insieme. c) Vi possono essere Regioni innovative; vi possono essere, di contro, Regioni che continuano ad adottare strategie legate alla prospettiva della “tradizionale” FP. 3) Circa il titolo di studio, si sono delineate le seguenti possibilità: a) percorsi che mirano alle qualifiche IeFP ovvero di nuovo tipo (regionali, valide sul li- vello nazionale perché coerenti con gli standard) che consentano il prosieguo for- mativo (non solo in quanto crediti) al IV anno b) percorsi che mirano a qualifiche tradizionali (solo regionali, solo di idoneità lavora- tiva) e semmai riconoscono solo i crediti per l’esame di iscrizione al III anno degli IPS. c) Naturalmente, vi possono essere ambedue le possibilità compresenti. 4) Circa lo stile di programmazione si sono ipotizzati due diversi stili delle Regioni: a) Regioni con uno stile direttivo accentrativo (ad esempio in tema di standard, didat- tica, valutazione e certificazione), b) Regioni, al contrario, che consentono spazi di proposta da parte degli Enti, anche tramite ATS. 2. TIPOLOGIA DEL PERCORSO Per quanto concerne la presentazione dei percorsi formativi strutturati, si propongono le seguenti variabili: a) titolarità (interamente FP / interamente integrato / misto scuola - FP); b) durata in anni (biennale / triennale); c) durata in ore. Inoltre, si chiede di precisare se vi sono anche iniziative diverse dai percorsi formativi strutturati, e precisamente: a) Alternanza b) Svantaggio c) Orientamento (quando sono attività ad hoc, che vanno oltre il livello di orientamento basilare tipico di ogni corso) d) Apprendistato in diritto dovere e) LARSA esterni, sia orientativi sia formativi. 140 3. PROGETTAZIONE Si considerino tre tipologie progettuali: a) il progetto di massima o formale (necessario per ottenere l’approvazione da parte del- l’Ente finanziatore) che richiede lo sviluppo a grandi linee del percorso formativo indi- cando aree formative, metodologie; b) il progetto di dettaglio o micro-progettazione ovvero l’articolazione puntuale di obiet- tivi, competenze, risorse, metodologie, attività; c) la relazione o dossier che vengono elaborati al termine del percorso e che raccolgono la documentazione, una relazione di sintesi sull’attività, talvolta anche in riferimento al portfolio. Nell’individuazione del modello progettuale si suggerisce di utilizzare il criterio base costituto dalla possibilità o meno di svolgere un approccio personalizzato (la richiesta in sede formale di un progetto di dettaglio ex ante). Quale approccio viene adottato dalla Regione in ordine alla progettazione? 4. PERSONALIZZAZIONE 4.1. Orientamento, accoglienza, bilancio, progetto, orientamento continuo, collabora- zione con le famiglie 4.2. Differenziazione dei gruppi di apprendimento, recuperi e approfondimenti, so- stegno individuale, gestione passaggi e transizioni, LARSA interni 4.3. Piano formativo personalizzato Il PFP consiste in una metodologia che rileva per ciascun destinatario le proprie capa- cità (cognitive, affettive, relazionali, operative, progettuali, del metodo di studio), indi- vidua punti di forza e punti di miglioramento, indica le attività e le attenzioni che i for- matori debbono seguire per realizzare gli obiettivi formativi personali. Ciò richiede un lavoro sistematico e periodico di diagnosi delle capacità personali e di verifica/miglioramento che coinvolge tutto il team dei formatori. Nell’elaborare le risposte, si consiglia di tenere conto che la personalizzazione è una metodologia che si rivolge a tutti gli allievi, non solo a chi è in difficoltà o in situazione di disagio. In quale misura questo accade entro i Centri della Regione? 4.4. Unità di apprendimento e prodotti reali, stage e alternanza Come definisce il percorso di apprendimento progettato nei Centri della sua Regione? 4.5. Verifiche e valutazione compresi gli esami Come definisce i processi di verifica e valutazione attivati nei Centri della sua Re- gione? Per chi conclude il triennio quest’anno (o il biennio “riallieneato”): quale metodologia viene utilizzata per la valutazione rivolta all’ammissione gli esami e quale per la valuta- zione finale? 4.6. Gestione dei crediti e passaggi a) Viene applicata l’OM del 26.01.2005 relativa ai passaggi ed alle certificazioni? b) Vi sono casi reali di passaggi sia in un senso (dalla scuola ai CFP), sia nell’altro (dai CFP alla scuola)? c) Vengono valorizzati gli anni di studio dei ragazzi, oppure vi è una perdita? 141 4.7. Handicap a) Due sono le modalità previste: l’integrazione nei percorsi per soggetti normodotati, la realizzazione di corsi ad hoc. b) Come si gestiscono i portatori di handicap entro le attività formative? c) Con quale durata del percorso? d) Con quali certificazioni? 4.8. Altro 5. FIGURA DEL COORDINATORE-TUTOR L’attività tipica del coordinatore-tutor prevede, lungo l’intero percorso di formazione, le responsabilità riassunte nella tavola che segue. 5.1. Coordinamento interno In riferimento a quanto indicato alla tavola precedente, quali attività di coordinamento interno svolge il coordinatore-tutor nei Centri della sua Regione? 5.2. Coordinamento esterno In riferimento a quanto indicato alla tavola precedente, quali attività di coordinamento esterno svolge il coordinatore-tutor del suo Centro (e/o Regione)? 5.3. Esercizio delle funzioni previste per il coordinatore-tutor Nel suo Centro (e/o nella sua Regione), chi esercita le funzioni previste per il coordina- tore-tutor e con quale tempo disponibile? 142 È invitato a compilare per iscritto la seguente tavola. 6. GESTIONE DEI FORMATORI 6.1. Accorpamento delle aree formative Nella gestione dei formatori, l’Accordo Stato-Regioni del 15-01-04 prevede il se- guente accorpamento: area dei linguaggi; area scientifica; area tecnologica; area sto- rico-socio-economica; area professionale. Nei Centri della Regione, vengono rispettate le aree formative previste oppure si pre- vede una strutturazione per discipline? 6.2. Formazione dei formatori È prevista un’attività di formazione dei formatori (iniziative regionali, iniziative di Ente/Centro, auto-formazione…) È soddisfacente rispetto alle nuove funzioni di queste figure? Grazie per la collaborazione 143 INDICE PRESENTAZIONE.............................................................................................................. 3 SOMMARIO...................................................................................................................... 5 SIGLE .............................................................................................................................. 7 INTRODUZIONE ............................................................................................................... 9 I PARTE: UN GRANDE IMPEGNO SPERIMENTALE .............................................................. 11 1. Aspetti emergenti dal monitoraggio ..................................................................... 11 1.1. Tipologia dei percorsi ...................................................................................... 11 1.2. Esiti dei percorsi .............................................................................................. 13 1.3. Personalizzazione dei percorsi......................................................................... 14 1.4. Risorse umane coinvolte nei percorsi .............................................................. 16 2. Una prospettiva di sistema .................................................................................... 18 II PARTE: ESITI DEL MONITORAGGIO .............................................................................. 19 1. Raccolta dati ........................................................................................................... 19 2. Dati sulla programmazione ................................................................................... 19 2.1. Dati richiesti sulla programmazione ................................................................ 19 2.2. Risposte sulla programmazione ....................................................................... 20 2.2.1. Abruzzo ................................................................................................ 20 2.2.2. Calabria ............................................................................................... 20 2.2.3. Emilia Romagna .................................................................................. 21 2.2.4. Friuli Venezia Giulia............................................................................ 21 2.2.5. Lazio..................................................................................................... 21 2.2.6. Liguria ................................................................................................. 23 2.2.7. Lombardia ............................................................................................ 23 2.2.8. Piemonte .............................................................................................. 23 2.2.9. Puglia ................................................................................................... 25 2.2.10. Sardegna .............................................................................................. 25 2.2.11. Sicilia ................................................................................................... 26 2.2.12. Umbria ................................................................................................. 27 2.2.13. Veneto ................................................................................................... 27 2.3. Commenti sulla programmazione .................................................................... 28 3. Dati sulla tipologia del percorso ............................................................................. 29 3.1. Dati richiesti sulla tipologia del percorso ........................................................ 29 3.2. Risposte sulla tipologia del percorso ............................................................... 29 144 3.2.1. Abruzzo ................................................................................................ 29 3.2.2. Calabria ............................................................................................... 30 3.2.3. Emilia Romagna .................................................................................. 30 3.2.4. Friuli Venezia Giulia............................................................................ 30 3.2.5. Lazio..................................................................................................... 31 3.2.6. Liguria ................................................................................................. 31 3.2.7. Lombardia ............................................................................................ 31 3.2.8. Piemonte .............................................................................................. 32 3.2.9. Puglia ................................................................................................... 33 3.2.10. Sardegna .............................................................................................. 33 3.2.11. Sicilia ................................................................................................... 33 3.2.12. Umbria ................................................................................................. 34 3.2.13. Veneto ................................................................................................... 34 3.3. Commenti sulla tipologia del percorso ............................................................ 36 4. Dati sulla progettazione ......................................................................................... 38 4.1. Dati richiesti sulla progettazione ..................................................................... 38 4.2. Risposte sulla progettazione ............................................................................ 38 4.2.1. Abruzzo ................................................................................................ 38 4.2.2. Calabria ............................................................................................... 39 4.2.3. Emilia Romagna .................................................................................. 39 4.2.4. Friuli Venezia Giulia............................................................................ 39 4.2.5. Lazio..................................................................................................... 39 4.2.6. Liguria ................................................................................................. 40 4.2.7. Lombardia ............................................................................................ 40 4.2.8. Piemonte .............................................................................................. 40 4.2.9. Puglia ................................................................................................... 41 4.2.10. Sardegna .............................................................................................. 41 4.2.11. Sicilia ................................................................................................... 42 4.2.12. Umbria ................................................................................................. 42 4.2.13. Veneto ................................................................................................... 42 4.3. Commenti sulla progettazione ......................................................................... 43 5. Dati sulla personalizzazione.................................................................................... 45 5.1. Dati richiesti sulla personalizzazione .............................................................. 45 5.2. Risposte sulla personalizzazione ..................................................................... 45 5.2.1. Risposte su orientamento, accoglienza, bilancio, progetto, orien- tamento continuo, collaborazione con le famiglie .............................. 45 5.2.1.1. Abruzzo................................................................................. 45 5.2.1.2. Calabria................................................................................. 46 5.2.1.3. Emilia Romagna ................................................................... 47 5.2.1.4. Friuli Venezia Giulia............................................................. 47 5.2.1.5. Lazio ..................................................................................... 47 5.2.1.6. Liguria................................................................................... 47 5.2.1.7. Lombardia............................................................................. 48 5.2.1.8. Piemonte ............................................................................... 49 5.2.1.9. Puglia .................................................................................... 52 5.2.1.10. Sardegna................................................................................ 54 145 5.2.1.11. Sicilia .................................................................................... 54 5.2.1.12. Umbria .................................................................................. 55 5.2.1.13. Veneto ................................................................................... 55 5.2.2. Differenziazione dei gruppi di apprendimento, recuperi e approfon- dimenti, sostegno individuale, gestione passaggi e transizioni, LARSA interni ...................................................................................... 57 5.2.2.1. Abruzzo................................................................................. 57 5.2.2.2. Calabria................................................................................. 57 5.2.2.3. Emilia Romagna ................................................................... 58 5.2.2.4. Friuli Venezia Giulia............................................................. 58 5.2.2.5. Lazio ..................................................................................... 59 5.2.2.6. Liguria................................................................................... 59 5.2.2.7. Lombardia............................................................................. 59 5.2.2.8. Piemonte ............................................................................... 60 5.2.2.9. Puglia .................................................................................... 63 5.2.2.10. Sardegna................................................................................ 64 5.2.2.11. Sicilia .................................................................................... 64 5.2.2.12. Umbria .................................................................................. 65 5.2.2.13. Veneto ................................................................................... 65 5.2.3. Piano formativo personalizzato ........................................................... 67 5.2.3.1. Abruzzo................................................................................. 67 5.2.3.2. Calabria................................................................................. 67 5.2.3.3. Emilia Romagna ................................................................... 68 5.2.3.4. Friuli Venezia Giulia............................................................. 68 5.2.3.5. Lazio ..................................................................................... 68 5.2.3.6. Liguria................................................................................... 68 5.2.3.7. Lombardia............................................................................. 69 5.2.3.8. Piemonte ............................................................................... 69 5.2.3.9. Puglia .................................................................................... 70 5.2.3.10. Sardegna................................................................................ 70 5.2.3.11. Sicilia .................................................................................... 71 5.2.3.12. Umbria .................................................................................. 72 5.2.3.13. Veneto ................................................................................... 72 5.2.4. Unità di apprendimento e prodotti reali, stage e alternanza .............. 73 5.2.4.1. Abruzzo................................................................................. 73 5.2.4.2. Calabria................................................................................. 73 5.2.4.3. Emilia Romagna ................................................................... 74 5.2.4.4. Friuli Venezia Giulia............................................................. 74 5.2.4.5. Lazio ..................................................................................... 75 5.2.4.6. Liguria................................................................................... 75 5.2.4.7. Lombardia............................................................................. 76 5.2.4.8. Piemonte ............................................................................... 77 5.2.4.9. Puglia .................................................................................... 78 5.2.4.10. Sardegna................................................................................ 79 5.2.4.11. Sicilia .................................................................................... 80 5.2.4.12. Umbria .................................................................................. 80 5.2.4.13. Veneto ................................................................................... 81 146 5.2.5. Verifiche e valutazioni.......................................................................... 82 5.2.5.1. Abruzzo................................................................................. 82 5.2.5.2. Calabria................................................................................. 83 5.2.5.3. Emilia Romagna ................................................................... 83 5.2.5.4. Friuli Venezia Giulia............................................................. 83 5.2.5.5. Lazio ..................................................................................... 83 5.2.5.6. Liguria................................................................................... 84 5.2.5.7. Lombardia............................................................................. 84 5.2.5.8. Piemonte ............................................................................... 85 5.2.5.9. Puglia .................................................................................... 86 5.2.5.10. Sardegna................................................................................ 87 5.2.5.11. Sicilia .................................................................................... 87 5.2.5.12. Umbria .................................................................................. 88 5.2.5.13. Veneto ................................................................................... 88 5.2.6. Gestione di crediti e passaggi ............................................................. 89 5.2.6.1. Abruzzo................................................................................. 89 5.2.6.2. Calabria................................................................................. 90 5.2.6.3. Emilia Romagna ................................................................... 90 5.2.6.4. Friuli Venezia Giulia............................................................. 90 5.2.6.5. Lazio ..................................................................................... 91 5.2.6.6. Liguria................................................................................... 91 5.2.6.7. Lombardia............................................................................. 91 5.2.6.8. Piemonte ............................................................................... 92 5.2.6.9. Puglia .................................................................................... 92 5.2.6.10. Sardegna................................................................................ 92 5.2.6.11. Sicilia .................................................................................... 93 5.2.6.12. Umbria .................................................................................. 93 5.2.6.13. Veneto ................................................................................... 94 5.2.7. Handicap.............................................................................................. 94 5.2.7.1. Abruzzo................................................................................. 94 5.2.7.2. Calabria................................................................................. 94 5.2.7.3. Emilia Romagna ................................................................... 94 5.2.7.4. Friuli Venezia Giulia............................................................. 94 5.2.7.5. Lazio ..................................................................................... 95 5.2.7.6. Liguria................................................................................... 95 5.2.7.7. Lombardia............................................................................. 95 5.2.7.8. Piemonte ............................................................................... 96 5.2.7.9. Puglia .................................................................................... 96 5.2.7.10. Sardegna................................................................................ 96 5.2.7.11. Sicilia .................................................................................... 97 5.2.7.12. Umbria .................................................................................. 97 5.2.7.13. Veneto ................................................................................... 97 5.2.8. Altro ..................................................................................................... 97 5.2.8.1. Friuli Venezia Giulia............................................................... 98 5.2.8.2. Liguria..................................................................................... 98 5.2.8.3. Puglia ...................................................................................... 98 147 5.2.8.4. Umbria .................................................................................... 99 5.2.8.5. Veneto ..................................................................................... 99 5.3. Commenti sulla personalizzazione .................................................................. 99 6. Dati sulla figura del coordinatore tutor ............................................................... 104 6.1. Dati richiesti sul coordinatore tutor ................................................................. 104 6.2. Risposte sulla figura del coordinatore tutor..................................................... 106 6.2.1. Abruzzo ................................................................................................ 106 6.2.2. Calabria ............................................................................................... 106 6.2.3. Friuli Venezia Giulia............................................................................ 107 6.2.4. Liguria ................................................................................................. 108 6.2.5. Lombardia ............................................................................................ 109 6.2.6. Piemonte .............................................................................................. 111 6.2.7. Puglia ................................................................................................... 113 6.2.8. Sardegna .............................................................................................. 114 6.2.9. Sicilia ................................................................................................... 114 6.2.10. Umbria ................................................................................................. 116 6.2.11. Veneto ................................................................................................... 117 6.3. Commenti sulla figura del coordinatore tutor ................................................. 118 6.3.1. Commenti sul coordinamento interno ................................................. 118 6.3.2. Commenti sul coordinamento esterno ................................................. 120 6.3.3. Commenti sull’esercizio delle funzioni previste e sul tempo disponibile 121 7. Dati sulla gestione dei formatori........................................................................... 123 7.1. Dati richiesti sulla gestione dei formatori ....................................................... 123 7.2. Risposte sulla gestione dei formatori............................................................... 124 7.2.1. Abruzzo ................................................................................................ 124 7.2.2. Calabria ............................................................................................... 124 7.2.3. Emilia Romagna .................................................................................. 124 7.2.4. Friuli Venezia Giulia............................................................................ 125 7.2.5. Lazio..................................................................................................... 125 7.2.6. Liguria ................................................................................................. 125 7.2.7. Lombardia ............................................................................................ 125 7.2.8. Piemonte .............................................................................................. 126 7.2.9. Puglia ................................................................................................... 126 7.2.10. Sardegna .............................................................................................. 127 7.2.11. Sicilia ................................................................................................... 127 7.2.12. Umbria ................................................................................................. 128 7.2.13. Veneto ................................................................................................... 128 7.3. Commenti sulla gestione dei formatori ........................................................... 128 RIFLESSIONI CONCLUSIVE .............................................................................................. 131 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ......................................................................................... 135 APPENDICE ..................................................................................................................... 137 INDICE ............................................................................................................................ 143 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@pcn.net Dicembre 2006

Atti del XVII Seminario di Formazione Europea. Il territorio e il sistema di istruzione e formazione professionale. L'interazione istituzionale per la preparazione delle giovani generazioni all'inserimento lavorativo in rapporto agli obiettivi di Lisbona

Autore: 
Sede Nazionale CIOFS/FP
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2006
Numero pagine: 
231
Il coordinamento scientifico del Seminario è stato condotto da Lauretta Valente e Angela Elicio della Sede Nazionale del CIOFS-FP. Autori del volume sono: Margherita Dal Lago, Graziano Milia, Roberto Neroni, Michele Pellerey, Dina Priori, Lauretta Valente (cap. 1) Valentina Aprea, Michele Colasanto (cap. 2) Anna D'Arcangelo, Maurizio Drezzadore, Fiorella Farinelli, Maria Grazia Nardiello, Mario Tonini, Marco Usai (cap. 3) Tommaso Grimaldi, Arduino Salatin, Olga Turrini (cap. 4) Giuditta Alessandrini, Amarildo Arzuffi, Francesco Manca, Dario Nicoli, Maria Maddalena Novelli, Pietro Paolo Spada, Alberto Valentini (cap. 5) Attilio Bondone, Oriana Putzolu, Bruno Stenco, Domenico Sugamiele, Sergio Trevisanato (cap. 6) Angela Elicio, Irene Gatti, Gilberto Marras, Dario Nicoli, Arduino Salatin, Domenico Sugamiele (cap. 7) Il cordinamento editoriale finale è stato curato da: Angela Elicio, Fabrizia Pittalà, Lauretta Valente Si ringraziano gli Operatori della Formazione Professionale e rappresentanti del: CIOFS-FP Abruzzo, CIOFS-FP Basilicata, CIOFS-FP Calabria, CIOFS-FP Campania, CIOFS-FP Emilia Romagna, CIOFS-FP Friuli Venezia Giulia, CIOFS-FP Lazio, CIOFS-FP Liguria, CIOFS-FP Lombardia, CIOFS-FP Piemonte, CIOFS-FP Puglia, CIOFS-FP Sardegna, CIOFS-FP Sicilia, CIOFS-FP Toscana, CIOFS-FP Veneto. Il Territorio e il Sistema di Istruzione e Formazione Professionale L’interazione istituzionale per la preparazione delle giovani generazioni all’inserimento lavorativo in rapporto agli obiettivi di Lisbona QU AR TU S .E LE NA - CA GL IA RI 8/ 10 SE TT EM BR E 2 00 5 CIOFS/FP Centro Italiano Opere Femminili Salesiane Formazione Professionale REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA Assessorato Affari Generali, Personale e Riforma della Regione Forma Associazione Nazionale Enti di Formazione Professionale Seminario di Formazione Europea XVI IEDIZIONE INDICE Premessa. Lauretta Valente - CIOFS-FP 7 1. Apertura del Seminario 1.1 - Saluti delle Autorità Margherita Dal Lago - CIOFS 9 Roberto Neroni - Regione Sardegna 11 Graziano Milia - - Provincia di Cagliari 15 Dina Priori - CIOFS-FP Sardegna 17 1.2 - Quadro di riferimento e contesto del seminario Lauretta Valente - CIOFS-FP 18 1.3 - Condizioni perché l'esercizio e l'esperienza del lavoro costituisca fondamento pedagogico-didattico nel Sistema di Istruzione e Formazione Professionale. Michele Pellerey - UPS 23 2. Normativa. Punti essenziali di riferimento 2.1 - Istruzione, Formazione, Lavoro, Welfare e Sviluppo: tra continuità e discontinuità. Michele Colasanto - Università Cattolica 43 2.2 - La riforma del sistema educativo in atto. 60 Valentina Aprea - MIUR 3. Diversificazione dell'offerta formativa come risposta alla domanda dei destinatari 3.1 - Introduzione. Maurizio Drezzadore - ENAIP 63 Intervengono: 3.2 - Maria Grazia Nardiello - MIUR 67 3.3 - Anna D'Arcangelo - ISFOL 70 3.4 - Mario Tonini - CNOS-FAP 73 3.5 - Fiorella Farinelli - Comitato Nazionale IFTS 88 3.6 - Marco Usai - Regione Sardegna 92 4. Interazioni istituzionali in rapporto agli obiettivi di Lisbona 4.1 - La nuova strategia di Lisbona. Olga Turrini - ISFOL 101 4.2 - Contesto Italiano in rapporto agli obiettivi U.E. - confronto con l'esperienza. Tommaso Grimaldi - AEFP 102 4.3 - Sistemi formativi europei e interazione con il mondo del lavoro. 105 Arduino Salatin - SISF - ISRE Venezia 3 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 5. Bisogni professionali delle imprese e domanda formativa a confronto 5.1 - Introduzione. Dario Nicoli - Università Cattolica 125 Intervengono: 5.2 - Maria Maddalena Novelli - Uff. Scol. Regionale per il Lazio 128 5.3 - Francesco Manca - Osservatorio Economico Regione Sardegna 133 5.4 - Giuditta Alessandrini - Università degli Studi Roma Tre 138 5.5 - Pietro Paolo Spada - Confartigianato Sardegna 141 5.6 - Alberto Valentini - Retecamere 143 5.7 - Amarildo Arzuffi - Fondimpresa 153 6. Prospettive di lavoro e di intervento. Pareri delle Istituzioni Intervengono: 6.1 - Bruno Stenco - Centro Studi Scuola Cattolica 159 6.2 - Sergio Trevisanato - ISFOL 162 6.3 - Domenico Sugamiele - Esperto in sistemi formativi 166 6.4 - Attilio Bondone - Confap 174 6.5 - Oriana Putzolu - CISL Sardegna 176 7. Contributi dei Gruppi di Lavoro 7.1 - Introduzione. Angela Elicio - CIOFS-FP 183 7.2 - Funzione formativa dell'alternanza, dei tirocini, dell'apprendistato... per l'interazione con il mondo del lavoro. Gilberto Marras - Api Sarda 185 7.3 - Aggancio della formazione di base con la formazione continua - criteri di continuità. Irene Gatti - MIUR 192 7.4 - Innovazione metodologica e interazione formazione-lavoro: elementi di forza e aspetti problematici. 195 Arduino Salatin - SISF - ISRE Venezia 7.5 - Campus - rete. Quale spazio per la IeFP e per l'interazione con il territorio. Domenico Sugamiele - Esperto in sistemi formativi 197 7.6 - La valutazione degli apprendimenti nel contesto lavorativo e formativo - peculiarità. Dario Nicoli - Università Cattolica 201 Conclusioni - Michele Pellerey - Università Pontificia Salesiana 219 8. Bibliografia/Sitografia 225 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 4 Premessa La pubblicazione degli Atti relativi ai Seminari di Formazione Europea prosegue ormai con sistematicità e puntualità rendendo possibile, ogni anno, la lettura di uno spaccato del dibattito e delle condizioni di avanzamento della Formazione Professionale nel nostro Paese. La XVII edizione, in linea con le due precedenti, ha dato ulteriore spazio allo stu- dio della riforma del sistema di Istruzione e Formazione sancito dalla Legge 53 del 2003, toccando, oltre alle prospettive di sistema: l'organizzazione e la qualità dei servizi; il filone della Formazione Professionale Superiore; la dimensione territo- riale in cui il servizio di Istruzione e Formazione viene erogato. Tema quest'ultimo della presente pubblicazione. L'insieme delle riflessioni, dei dibattiti e delle attività precedentemente sperimentate, hanno evidenziato la necessità di un impegno in rete e l'opportunità di verificare ed approfondire le esperienze fatte e la predisposizione del rafforzamento di interventi successivi in questa direzione. Di qui la necessità di dialogo tra le diverse Istituzioni Formative, le Realtà Imprenditoriali, i Servizi Territoriali, le Istituzioni Pubbliche chiamate a dare attuazione alla riforma e, non ultime, le Famiglie. La scelta della Regione Sardegna, come luogo di svolgimento dell'iniziativa, ha avuto lo scopo di avviare un dialogo più aperto tra le risorse impegnate nel setto- re ed i funzionari e politici preposti alla realizzazione della riforma, con partico- lare attenzione alla Regione ospite. Abbiamo sperato che da un confronto dettato da ricerca sincera potesse emergere una migliore comprensione dei problemi ed una adeguata valorizzazione delle risorse. Condizioni pregiudiziali non lo hanno consentito. Il seminario ha tuttavia portato i suoi frutti in termini di dibattito nazionale. Come evidenziano i contributi della pubblicazione, molti sono stati gli interventi di esperti e di rappresentanti delle Istituzioni. Un risultato certamente positivo ed arricchente è venuto, come per le altre edizioni, ai circa 200 partecipanti prove- nienti da quasi tutte le regioni italiane. Lauretta Valente 5 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1. APERTURA DEL SEMINARIO 1.2 - Saluti Autorità Margherita Dal Lago Presidente Ente CIOFS A nome di tutte le Figlie di Maria Ausiliatrice - Salesiane di don Bosco, saluto e ringrazio le autorità presenti, ecclesiatiche, civili e politiche. Grazie ai relatori che seguiranno la riflessione di questi giorni e a tutti quelli che daranno il contributo al dibattito del tema. Per la terza volta ci troviamo a riflettere su un aspetto della riforma del sistema educativo, ma la prospettiva di quest’anno è particolarmente scottante. Tanto più che il Seminario si realizza in Sardegna e a ridosso di scadenze decisive per l’av- vio della riforma stessa. I giovani e l’educazione prima di tutto Non è un mistero che - da educatrici - a noi stanno a cuore soprattutto i giovani, con le loro ansie, le loro speranza, il loro futuro. Vorrei richiamare l’attenzione di tutti noi su di loro, mettendo da parte altre logi- che pur importanti. Occorre guardare al cambiamento da una prospettiva peda- gogica per intrecciare le logiche economiche (e a volte le scelte di partito) con la realtà giovanile. Il sistema educativo - di istruzione e formazione professionale - deve allargare le maglie, anche in una positiva interazione con il territorio, per far sì che i giovani possano davvero sperare su un inserimento attivo nel mondo del lavoro perché sia effettivo lo sviluppo. Consapevoli che gli spazi e gli interstizi lavorativi si riducono sempre più, che i tempi di un inserimento attivo nel sistema sociale si dilazionano, siamo qui a stu- diare insieme come coniugare risorse ed esperienze diverse. Non possiamo nasconderci che molti giovani hanno bisogno di trovare dentro di sé motivazioni nuove. Molti hanno bisogno di imparare facendo. Molti hanno biso- gno di non essere abbandonati a se stessi perché la strada non è mai stata né sarà una buona maestra. Il problema reale, dal punto di vista educativo, è cosa fare di fronte alla disper- sione. Quali proposte attivare. Se la diversità dei percorsi aiuta i giovani a trovare risposte a questo ‘nodo cru- 9 APERTURA DEL SEMINARIO ciale’ della vita, tutti noi qui presenti (istituzioni pubbliche, responsabili del bene comune, imprese, operatori della formazione e della società civile) dovremmo esse- re consapevoli che solo l’interazione può dar vita ad un sistema diverso. La riflessione sui dati statistici ci porterebbe lontano. Mi limito, invece, a richia- mare tre elementi: sono un augurio e un impegno allo stesso tempo. Lo sforzo di costruire un sistema educativo nuovo… 1. Richiede creatività: non è mai mancata la fantasia al mondo salesiano nei 150 anni di storia passata e non verrà meno… lo affermo pensando a tutti i forma- tori qui presenti e a quelli che lavorano nei Centri di tutta Italia e che si gioca- no nella vita quotidiana, nel confronto con difficoltà e con successi. 2. Richiede collaborazione: siamo qui - noi Enti di formazione - ad offrirla agli Enti locali, agli amministratori, alle aziende. Il know how di ciascuno di noi, messo in rete dà vita a uno sviluppo nuovo diverso e partecipato. Questa è la forma più seria di democrazia, dove la partecipazione è davvero co- costruzione di modelli operativi ‘ritagliati’ sulle esigenze locali. 3. Richiede realismo e concretezza. Il confronto con dati certi ci aiuterà a costrui- re il sistema che non c’è. La verifica dei percorsi attivati ci permetterà di cor- reggere la traiettoria. Muoversi nell’incertezza è ormai abituale. Ma tracciare alcuni punti fermi ci aiuta a non perdere i riferimenti che contano. Se il futuro dell’umanità passa attraverso il cambiamento e attraverso i giovani che - in un certo senso lo rappresentano - gli scenari che andremo disegnando in questi giorni devono prospettare possibilità nuove di formazione. Sono tanti i ragazzi - anche in questa Regione - che aspettano un sistema forma- tivo e di istruzione più flessibile e aperto. L’invito è, ancora una volta, a non perderli di vista, travolti da altre ragioni eco- nomiche e/o politiche. Ringrazio fin d’ora tutti coloro che si impegnano nei Centri di formazione profes- sionale nella sperimentazione di un percorso di lungo termine, qualificato, con punte di eccellenza. Creare una nuova cultura del lavoro e della professionalità non è una sfida di poco conto. Ma la si può vincere solo insieme. Buon lavoro e buon seminario! ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 0 Roberto Neroni Direttore Generale Assessorato del Lavoro, Formazione Professionale, Cooperazione e Sicurezza Sociale - Regione Sardegna Buongiorno a tutti. Ho il gradito incarico di portare il saluto del Presidente della Regione a questo seminario di formazione europea, organizzato dal CIOFS-FP, con il patrocinio della Regione Autonoma della Sardegna. Impegni istituzionali hanno impedito all’onorevole Renato Soru di partecipare, come avrebbe voluto, all’apertura di questi lavori e a questa iniziativa di così rile- vante importanza che, ogni anno in una regione diversa, approfondisce per tre giorni i temi più attuali della formazione professionale. Porto anche i saluti dell’Assessore Maria Maddalena Salerno. Purtroppo il succe- dersi degli impegni e l’urgenza delle cose da fare ci toglie sempre più spesso spa- zio per preziose opportunità di studio e aggiornamento come questo seminario odierno. Questa volta è il turno della regione Sardegna ospitare il seminario di formazione europea, appuntamento di elevato livello culturale, scientifico e programmatico che anche nel 2005 vede protagonisti i rappresentanti delle istituzioni, esperti e studiosi provenienti dal MIUR, dall’ISFOL, dal mondo sindacale, dell’impresa, della cooperazione, da centri e istituti di ricerca regionali e nazionali. Sono sicuro che contribuiranno a individuare percorsi virtuosi per raggiungere nei fatti gli obiettivi che tutti ci poniamo, pur nei diversi ruoli, in questo microcosmo composito che si chiama formazione professionale. Ogni volta che anche un ristretto gruppo di persone si riunisce per costruire qual- cosa per la formazione professionale, questa fa un salto di qualità e progredisce. Ringrazio di questo il CIOFS-FP che, con sensibilità tutta salesiana, colloca lo stu- dio approfondito di queste tematiche al centro della sua programmazione attuale. Ritengo che a favore della scelta della Sardegna, quale sede di questo convegno, abbia contribuito il fatto che, per certi aspetti, la nostra regione oggi può essere considerata, in materia di formazione professionale, una sorta di laboratorio, un’officina in cui si costruisce qualcosa di nuovo, una realtà dove si va sempre più alla ricerca di soluzioni, anche innovative, nel tentativo di dare il massimo dell’ef- ficienza e della qualità al nostro sistema di istruzione e formazione professionale. Il quadro generale è ben delineato: la Regione, nella strategia di sviluppo dei pros- simi anni, si è proposta tre macro obiettivi: competitività, coesione sociale, occu- pazione (tutti elementi, per altro, che caratterizzano l’obiettivo che il Consiglio Europeo si è dato a Lisbona nel marzo del 2001). 1 1 APERTURA DEL SEMINARIO Sono sei le linee strategiche che la Regione ha individuato per realizzare questi tre obiettivi. Lo scenario in cui si collocherà tutta questa architettura programmatica, organiz- zativa, culturale, ordinamentale e istituzionale è il territorio nelle sue articolazio- ni e specificità, in modo da dare risposte formative agli effettivi bisogni locali, ovviamente all’interno di una visione generale unitaria. Con questi macro obiettivi di riferimento è evidente una considerazione: investire in istruzione e formazione professionale in Sardegna è oggi fondamentale per favorire il processo di crescita e sviluppo della regione. Una scelta dettata, dunque, non solamente della scadenza temporale del 2010 che impone ai Paesi dell’Unione europea di: 1. ridurre la percentuale degli abbandoni precoci; 2. aumentare il numero dei laureati in matematica, scienze e tecnologia; 3. incrementare il numero dei giovani che completano gli studi secondari; 4. ridurre la percentuale dei quindicenni con scarsa capacità di lettura; 5. far crescere la media europea di partecipazione a iniziative di lifelong learning, formazione per tutto l’arco della vita. In tutte queste cinque aeree prioritarie d’intervento la Regione Sardegna deve fare la sua parte. È noto che oltre il 50% dei nostri disoccupati è senza qualifica professionale e privo di titolo di studio, abbiamo il più alto tasso di dispersione scolastica e di abbandoni nella scuola secondaria superiore (il 17,3% nel primo anno e 8,1% nel secondo anno). Anche la normativa obbliga oggi tutti noi a profondi cambiamenti: le modifiche al Titolo V della Costituzione, la piena attuazione della legge Bassanini, la riforma del mercato del lavoro (in Sardegna è un po’ in ritardo per via dell’approvazione della legge sulla riforma dei sistemi dei centri per l’impiego e del mercato del lavo- ro) e la riforma della secondaria superiore impongono di realizzare al più presto il decentramento gestionale alle Province mentre la Regione conserverà compiti di coordinamento, programmazione e controllo. Nel mese di settembre la Commissione Consigliare ha fatto le audizioni proprio per il disegno di legge di riforma in cui è previsto il trasferimento delle competenze di formazione professionale alle Province con le relative risorse finanziarie. Quindi gli ambiti di intervento saranno: 1. la pari opportunità; 2. la società dell’informazione e sviluppo locale (come priorità trasversali da per- seguire attraverso la valorizzazione del ruolo del partenariato); 3. la spendibilità dei titoli delle qualifiche professionali, mediante accordi con le componenti del sistema formativo integrato con le parti sociali; ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 2 4. il rafforzamento della formazione superiore; 5. il potenziamento e il governo del sistema di formazione permanente e lo svi- luppo di un’offerta personalizzata, attraverso l’erogazione di voucher per il finanziamento della domanda di formazione espressa dai lavoratori; 6. la rete regionale integrata per l’orientamento, incentrata su un sistema territo- riale policentrico volto alla razionalizzazione del coordinamento degli interven- ti e delle politiche, puntando alla qualità dei servizi erogati; 7. la messa a regime dell’offerta formativa dell’apprendistato, garantendo un’of- ferta di qualità e modelli organizzativi amplificati e flessibili; 8. il sostegno alle imprese e ai lavoratori, con particolare riferimento ai lavoratori anziani, al fine di accrescere il tasso di attività e prolungare la vita attiva, e ai lavoratori atipici, per rafforzare le loro competenze e favorirne la permanenza qualificata nel mondo del lavoro; 9. l’utilizzo di Enti e Istituti altamente qualificati con competenze specifiche nel settore. Per quanto riguarda la formazione continua la Regione attiverà iniziative condivi- se con le forze sociali, per arrivare alla definizione di accordi e ad armonizzare gli obiettivi dei fondi interprofessionali e gli indirizzi programmatici regionali. Ormai tutto concorre perché solo una formazione di qualità abbia vita: corsi alta- mente rispondenti ai bisogni formativi richiesti dalle aziende, corsi coerenti con il mercato del lavoro e con il programma di sviluppo socio-economico della Sardegna, corsi dove l’integrazione tra la scuola e il mondo del lavoro non sia un’e- nunciazione di principio, ma una realtà vera e da perseguire. Con il corollario d’interventi elencati, questo sistema richiede perciò più valuta- zione e monitoraggio delle attività, standard formativi, filtri sempre più stretti nel- l’accreditamento, potenziamento della cultura di base della formazione professio- nale perché sia veramente attuabile il passaggio da un canale all’altro del sistema scuola formazione. Si va alla nuova costruzione del sistema professionale, che ovviamente sarà codi- ficato da una legge regionale perché i molti soggetti che agiscono nel settore abbia- no tutti un ruolo ben definito: Regione, Province, Agenzie formative. Perché i gio- vani e i meno giovani conoscano tutte le opportunità formative che potranno incrociare in ogni momento e condizione della loro vita. Perché scuola e mondo del lavoro siano parte integrante di questo sistema. In questi ultimi mesi siamo tutti attesi da un forte impegno innovativo e creativo. Sarà una sfida non facile per almeno due motivi: primo, perché non esiste un siste- ma tipo di formazione professionale adattabile ad ogni contesto e situazione; secondo, perché dobbiamo costruire e governare un sistema che si rivolge non a macchine e numeri, ma a persone, che riguarda la loro vita e il loro futuro. 1 3 APERTURA DEL SEMINARIO L’ultimo obiettivo strategico individuato a Lisbona chiede di aprire la formazione al resto del mondo. Con l’aiuto e la collaborazione di tutti, quindi anche vostra, di questo convegno, questo obiettivo sarà raggiungibile anche in Sardegna. Grazie per l’attenzione e buon lavoro. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 4 Graziano Milia Presidente Provincia di Cagliari Buongiorno a tutti, vi ringrazio per l’invito e per aver scelto la sede di Quartu - dove sono stato Sindaco per otto anni - per questo seminario sulla formazione, per aver scelto una realtà complessa e difficile come la Sardegna, dove negli ultimi anni si è avviata una discussione sul tema della formazione e dell’istruzione scola- stica. I dati in nostro possesso certificano una realtà ancora molto pesante. I limiti e le difficoltà della formazione, la dispersione scolastica, sono tutti proble- mi che incidono profondamente sullo sviluppo economico, ma anche su quello sociale e culturale. Ecco perché noi come classe dirigente dobbiamo avere la capacità di non ridurre sempre la nostra discussione solo ad un settore. Anche le scelte che si fanno in altri campi possono avere infatti ricadute sull’i- struzione. La città di Quartu ha conosciuto uno sviluppo incentrato esclusivamente sull’edi- lizia e questo ha creato uno scarto a livello culturale: le relazioni e i rapporti socia- li si sono spezzati e così nelle famiglie è emersa la convinzione che tutto sommato studiare sia inutile, meglio imparare un mestiere. Conseguenza di ciò è che nella nostra realtà sia avvenuto un distacco tra la for- mazione e la crescita culturale delle nuove generazioni da una parte, lo sviluppo economico dall’altra. Difficile quindi uscire da queste situazioni. Deve emergere da parte di tutti la capacità e l’impegno di realizzare un sistema per risolvere questo problema, cen- trale per lo sviluppo di qualsiasi comunità. Ritengo sia necessario creare un rapporto sempre più forte, organico e sistemati- co tra le Regioni e il Ministero competente, creare sinergie, fare squadra; solo così possiamo uscire dalla situazione in cui ci troviamo, purtroppo ancora grave. Occorre puntare sullo sviluppo locale, ma per fare ciò servono le competenze, la professionalità, la motivazione, tutte conseguenze naturali della cultura e della formazione. Sicuramente in questi anni il sistema complessivo della formazione professionale, la stessa riforma della scuola, non hanno funzionato perfettamente. L’innalzamento dell’obbligo formativo dai sedici ai quattordici anni ha indubbia- mente creato ulteriori problemi. Quest’ultimo, infatti, ha sostanzialmente indotto gli enti preposti ad operare quasi 1 5 APERTURA DEL SEMINARIO esclusivamente in questo settore e questo non ha apportato dei vantaggi, in quan- to ha avuto come conseguenza una perdita di professionalità, riportando inoltre tutto ad una sorta di supplenza rispetto all’intervento della scuola statale. Proprio questa parte deve essere riconsiderata. Roberto Neroni citava la delibera del 17 marzo, anche lì ci sono dei problemi. 1. Il primo è il numero limitato, che contrasta con la legge 53 che non enuncia nes- sun numero chiuso. 2. Il secondo, che riguarda la crescita di una società, è la questione della disabi- lità; la delibera, non nel testo scritto ma nei fatti, esclude la disabilità, che come ben sappiamo spesso crea difficoltà a conseguire il titolo di licenza media entro i quattordici anni. Mettere questo limite significa non consentire a numerosi ragazzi di partecipare a questo percorso. Grazie e buon lavoro. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 6 Dina Priori Presidente CIOFS-FP Sardegna Sono particolarmente lusingata di accogliere, come CIOFS-FP - Sardegna, questa XVII edizione del seminario di Formazione Europea e di dare il benvenuto a tutti i partecipanti.. Saluto in particolare, le autorità civili e religiose, nazionali e regionali, i funzionari, i relatori e tutti coloro che interverranno a portare il loro contributo al dibattito. Ringrazio dell’interesse e della attenzione prestata a questo evento in un partico- lare momento storico che la Formazione Professionale vive nel nostro Paese ed in particolare nella nostra Regione, la Sardegna. L’auspicio è quello che si possa dare l’avvio ad una riflessione seria ed impegnata sul valore, l’opportunità e la risorsa che la Formazione Professionale rappresenta. Il Seminario Rappresenta un contributo particolare per la Regione Sardegna che in questo momento lavora per predisporre la legge che dovrà configurare la Formazione Professionale nella Regione. Il Seminario potrà costituire un punto di riferimento per il dibattito. Anche in altri momenti siamo riusciti, come CIOFS - FP, e come Enti impegnati nella Formazione Professionale in Sardegna, ad offrire contributi allo sviluppo del servizio.nel Seminario del del 1992. Grazie per l’impegno! Buon lavoro e felice permanenza in Sardegna! 1 7 APERTURA DEL SEMINARIO 1.3 - Quadro di riferimento e contesto del seminario Lauretta Valente Associazione CIOFS-FP Il Seminario di Formazione Europea, divenuto ormai istituzionale non solo per il CIOFS-FP ma per gli organismi storici che operano da anni nella Formazione Professionale, ha ospitato nel corso della sua storia pluriennale numerosi dibattiti su temi organizzativi, gestionali, di governance, formativo/didattici... In partico- lare la riforma del sistema educativo nazionale ha polarizzato l’attenzione di tutte le realtà impegnate nel servizio formativo e ha richiesto di dedicarvi l’organizza- zione dei seminari degli ultimi tre anni. Il Seminario tenutosi a Maratea (PZ) nel 2003 ha posto particolare attenzione all’avvio della riforma con l’approvazione della legge delega n. 53 dell’aprile `03 ed alle prospettive di decretazione per l’attuazione. L’aspetto innovativo viene riscontrato nel valore formativo attribuito alla dimensione professionale e del lavo- ro, dando l’avvio alla istituzione del Sistema di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP). Il seminario realizzato nel 2004 a Tirrenia (PI) ha evidenziato la necessità di dare compiutezza e dignità al nuovo sistema prevedendo l’istituzionalizzazione della Formazione Professionale Superiore (FPS), che potrebbe prevedere accanto al primo ciclo universitario e all’IFTS, una struttura di Formazione Professionale Superiore, in continuità con il Sistema di IeFP. L’impostazione dovrebbe essere di una consistente stabilità, in continuità con le filiere di qualifica prevista dall’IeFP, ed in rapporto alle esigenze peculiari del territorio. Il dibattito avviato nei seminari ha contribuito a spingere la riflessione sulla pecu- liarità e sulla specifica identità dell’IeFP; sui fondamenti epistemologici e metodo- logici chiamati a dare consistenza al sistema stesso. Si è attivata tra gli organismi una mole consistente di lavoro. Si sono avviate commissioni di esperti e si è lavo- rato sul valore da attribuire ai concetti di compito e di competenza come punti di riferimento contenutistico, metodologico e didattico; si è cercato di collocare le discipline in rapporto alle competenze; si sono prodotte e diffuse guide sulle Famiglie (o Comunità) Professionali ed i relativi sistemi di qualifiche, diplomi pro- fessionali, diplomi professionali superiori; costruito prove di verifica delle compe- tenze acquisite con relative procedure di valutazione; si è ragionato sulla gover- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 8 nance, sulle interrelazioni e integrazioni tra sistemi (campus, poli, partenariati, ...) ed oltre alle sperimentazioni previste, si sono attivate iniziative di collaborazione. In sintesi la riforma è giunta a spronare ulteriormente l’attività progettuale degli Organismi operanti nella Formazione Professionale già, per altri versi, sollecitata dalle richieste sempre nuove dei programmi comunitari e delle esigenze applicati- ve del FSE. Il Territorio Perché dunque a completamento dei precedenti seminari la scelta del Territorio come tema di riflessione per il seminario di Cagliari? Si vuole promuovere ulteriore impegno di ricerca nella direzione delle peculiarità specifiche del sistema di IeFP. Il postulato del seminario sostiene che il territorio costituisce contenuto, metodo, confronto applicativo, verifica e valutazione oltre che terreno di apporto per lo svi- luppo delle competenze che man mano vengono acquisite nel sistema di IeFP. Dunque, soprattutto nel contesto del sistema dell’IeFP, l’interazione metodologica con la configurazione occupazionale e con il sistema socio-economico del territo- rio, domanda una soluzione istituzionale percorribile e trasparente. Tuttavia il concetto di territorio a cui vogliamo faccia riferimento il sistema di IeFP accoglie una pluralità di dimensioni che caratterizzano la sua identità: la dimensione umana con le tipicità e le risorse di cui è portatrice; le peculiarità natu- rali ed economiche; la cultura; il patrimonio artistico, storico, ambientale, paesag- gistico ed archeologico. L’intero scrigno di valori che esso racchiude e di cui un nucleo di cittadini fanno parte. E, dunque, è comprensivo di tutti quegli aspetti del patrimonio locale che possono suscitare nelle nuove generazioni nuove voca- zioni, progetti di impegno professionale e scelte di vita. Non è però lo scopo di questa introduzione imbastire una definizione di territorio centrato sulla educazione e la formazione. I lavori del seminario dovranno spen- dere impegno per questo. Ci aspettiamo di portare via un contributo alla com- prensione di questo particolare costrutto di territorio. Gli apporti che verranno dai relatori, dai partecipanti ai lavori di gruppo e dalla nostra capacità di operare rica- dute operative sul nostro territorio, potranno attivare vivacità operativa in grado di contribuire alla comprensione ed alla costruzione di questo concetto a cui, in particolare, il sistema di IeFP è chiamato a rivolgersi. 1 9 APERTURA DEL SEMINARIO Il Partenariato e la Rete La costruzione di Reti e di rapporti stabili di partenariato costituisce strategia o/e il metodo operativo, che può consentire di lavorare nella direzione della nostra rifles- sione. Dopo tutto, nel contesto della Formazione Professionale abbiamo continuato a lavorare su base di partenariati per la realizzazione di progetti previsti dai program- mi comunitari e dal FSE. Non siamo sprovveduti per poter avviare riflessioni e pro- gettare un lavoro di valorizzazione del territorio dal punto di vista formativo. Viene, inoltre, da più parti sottolineata la necessità di alleanza con le università, con centri specializzati, con parchi tecnologici, con imprese, con le organizzazioni e i servizi loca- li. Viene suggerito di agire sui metodi, sulle tecnologie didattiche; di integrare le poli- tiche formative con quelle sociali, con i piani di sviluppo del territorio; di attivare rela- zioni con il sistema economico e del lavoro (cfr. relazione di Michele Colasanto, Istruzione, Formazione, Lavoro, Welfare e Sviluppo: tra continuità e discontinuità). Importante inoltre, come già accennato, non trascurare l’ambiente e le risorse tipiche che fanno di un particolare territorio un macroprodotto dato, da valorizzare e gesti- re. Un contesto stimolante, motivante, capace di suscitare idealità e progettualità. Questo è ancora quanto può costituire un formidabile e specifico contenuto formati- vo atto a produrre una comprensione più equilibrata del fenomeno dell’internaziona- lizzazione e capacità di affrontare la globalizzazione con l’approccio giusto di apertu- ra che consente tuttavia di salvaguardare i valori locali. Come già detto, il contesto attuale della Formazione Professionale è di fatto già in rete con il territorio ed è capace di curarne il rapporto costante. Occorre però lavo- rare sulla dimensione istituzionale che questo rapporto dovrà assumere nel porre in essere il sistema dell’IeFP ed evidenziare le responsabilità educative e formati- ve della comunità locale. Lisbona Queste ed altre riflessioni vengono fatte nei nostri ambienti di lavoro e messe a confronto con la verifica del livello di raggiungimento degli obiettivi di Lisbona nel nostro Paese e in quelli dell’Unione. II programma di Lisbona verrà bene analiz- zato dai diversi relatori. Desidero qui solo richiamare alcune date che hanno scan- dito gli impegni scaturiti da quel Consiglio Europeo: • 2000 - Consiglio di Presidenza Europeo a Lisbona. Qui il Consiglio ha preso coscienza della necessità di rispondere senza indugi alla svolta epocale consistente nella globalizzazione e nell’evento di una economia basata sulla conoscenza1; ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 2 0 1 MALIZIA G., L’Europa dell’istruzione e della formazione professionale. Da Lisbona a Maastrict: il bilancio di un quinquennio, in «Rassegna CNOS», a. 21, n. 2, 2005. • 2002 - Dichiarazione di Copenhagen. Nel documento le rappresentanze euro- pee dei sindacati e degli imprenditori convengono nell’attribuire alla promozio- ne delle competenze e delle qualifiche dei lavoratori un ruolo determinante rela- tivamente al potenziamento della competitività delle imprese europee nel pro- cesso di globalizzazione in corso; • 2002 - Consiglio Europeo di Barcellona. Approvazione di un programma det- tagliato per il raggiungimento degli obiettivi di Lisbona; • 2003 - Consiglio Europeo “istruzione”: messa a punto degli indicatori quanti- tativi del programma dettagliato di Barcellona; • 2004 - Consiglio Europeo di Bruxelles per la relazione intermedia del pro- gramma; • 2004 - Comunicato di Maastricht: approvazione da parte dei Ministri respon- sabili delle priorità in materia di istruzione e formazione professionale, con lo scopo di riaffermare la sinergia tra interventi nazionali e comunitari in vista della realizzazione del programma avviato a Lisbona. In questo contesto occorrerà superare molte delle diatribe nazionali e produrre dei programmi seri e serrati che ci avvicinino un po’ al benchmark previsto. La pari dignità dei sistemi di offerta La pari dignità ed il valore formativo dei percorsi non viene dal fatto di rendere omogenee le possibilità di offerta. II preconcetto che solo un certo tipo di forma- zione o istruzione rende ai cittadini una pari dignità e porta al superamento delle discriminazioni personali e sociali, costituisce ormai un approccio da tempo supe- rato e obsoleto. La pari dignità dei sistemi formativi e dei percorsi proviene dalla qualità del servi- zio, dagli obiettivi previsti e raggiunti, dalla capacità di comprendere le risorse dei destinatari, di leggerne la domanda formativa e di saper personalizzare l’iter di cre- scita. Aggiungiamo anche, di saper dialogare con il territorio. Inoltre, possiamo con- siderare come valore ed elemento di qualità la possibilità di scelta di percorsi rite- nuti più adeguati e rassicuranti da parte dei destinatari e delle loro famiglie. Un ele- mento di qualità questo rispetto alla progettualità personale del futuro. La differenziazione dei sistemi formativi e dei percorsi rappresenta una ricchezza che può favorire emulazione, confronto, ricerca, collaborazione, scambio delle migliori prassi e, non ultimo, maggiore attenzione al servizio e ai destinatari. Il raggiungimento degli obiettivi di Lisbona potrebbe risultare addirittura para- 2 1 APERTURA DEL SEMINARIO dossale senza una adeguata differenziazione della offerta formativa. La politica di graduale attenzione alla realizzazione dell’intero sistema di IeFP fino alla formazione superiore, continua e permanente, può contribuire significa- tivamente, in particolare in Italia, alla crescita culturale e professionale, al miglio- ramento delle risorse umane ed alla loro valorizzazione, a qualunque livello pos- sedute, in rapporto alla costruzione di una cittadinanza attiva. L’incremento di risorse pro capite auspicato dagli obiettivi di Lisbona, in questa prospettiva potrebbe essere indirizzato in previsione di una possibile differenzia- zione di offerta nel sistema educativo nel nostro Paese. Valore sociale dell’IeFP L’IeFP, qualunque sia la modalità della sua realizzazione, raccoglie l’eredità di una funzione sociale significativa ricoperta dagli organismi che hanno finora svolto il servizio formativo per il nostro Paese. II valore sociale che dovrà assicurare il siste- ma di IeFP, in rapporto alla comprensione e interazione con il territorio, include, certamente, e supera il recupero del disagio sociale e dei drop out, e non per que- sto può dirsi di serie B, tuttavia il valore sociale dovrà accogliere, dall’eventuale nuovo sistema, l’attenzione alla persona, l’accompagnamento graduale allo svi- luppo formativo e alla maturazione professionale, la preparazione alla capacità di interagire con i servizi e le disponibilità del territorio e all’inserimento lavorativo. La cura dell’approccio all’apprendimento della tipologia dei destinatari che approdano all’IeFP, costituisce anch’essa un elemento sociale nel senso di cui già detto, sia per la personalizzazione degli interventi sia per il collegamento che il sistema è chiamato ad operare con il territorio. II seminario vuole rendere concreta una opportunità di riflessione sull’interazione che il concetto di territorio può stimolare in rapporto alla Formazione Professionale delle risorse umane ed in rapporto agli obiettivi programmati al Consiglio di Lisbona in un momento difficile per la nostra Europa. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 2 2 1.4 Condizioni perché l’esercizio e l’esperienza del lavoro costituisca fondamento pedagogico-didattico nel Sistema di Istruzione e Formazione Professionale Michele Pellerey Università Pontificia Salesiana 1. Breve inquadramento storico sul valore educativo delle esperienze di lavoro Occorre rileggere a volo d’uccello le radici storiche di alcune diffidenze ancora ben presenti sul valore educativo del lavoro nella formazione del cittadino. Tali radici affondano nella cultura greco-romana che ha alimentato l’umanesimo europeo. In Grecia, come a Roma, i cittadini si dividevano in due grandi categorie: gli uomini liberi e i servi. Ai primi, nell’espressione latina, l’otium, cioè le attività culturali e spirituali; agli altri, il negotium, cioè lo svolgimento delle attività materiali e pro- duttive. L’educazione dei primi poteva era detta liberale, cioè il tipo di educazio- ne che conviene all’uomo libero; agli altri, l’addestramento allo svolgimento dei vari mestieri. È una concezione che è durata fino a tutto il Rinascimento, con l’u- nica eccezione data dalla regola di Benedetto da Norcia, che voleva sia nel proces- so educativo monasteriale, sia nello stile di vita, associare in modo equilibrato atti- vità spirituali e culturali e attività pratiche e manuali: ora et labora. Era la pro- spettiva evocata nel Nuovo Testamento: la famiglia artigiana del Cristo, Paolo tes- sitore di tappeti, gli apostoli, i pescatori. Nel Rinascimento a partire da Leon Bat- tista Alberti si affermano gli artisti-ingegneri. Esempio luminoso, Leonardo da Vinci. Si rivalutano in questo modo le arti meccaniche e il lavoro. Le vicende sto- riche seguenti portarono a una progressiva rivalutazione del ruolo dell’esperienza lavorativa nella formazione umana. I grandi pedagogisti del seicento e settecento ne mettono in evidenza gli aspetti formativi, anche se continuano a sottolinearne più gli aspetti utilitaristici e per certi versi quelli etici. È con Johan Heinrich Pestalozzi che, nel passaggio tra il settecento e l’ottocento, per la prima volta l’at- tività lavorativa pratica entra a far parte del nucleo fondamentale del processo educativo. Egli sostituisce al trinomio educazione morale educazione intellettuale educazione fisica, il trinomio: educazione della mente, del cuore e della mano. Comunque, anche sotto l’influsso dello sviluppo delle società industriali, la metà dell’ottocento segna una svolta più diffusa nell’accogliere le esperienze di lavoro in 2 3 APERTURA DEL SEMINARIO un contesto educativo più globale e diretto alla crescita di tutta la persona umana e non solo all’apprendimento di un mestiere. Le scuole professionali promosse da don Bosco e da altri educatori del tempo intendevano costruire un ambiente nel quale la dimensione del lavoro si integrava con quella dell’arricchimento non solo religioso e morale, ma anche culturale. Nel passaggio dall’ottocento al novecento Georg Kerschensteiner ha elaborato una vera e propria pedagogia del lavoro e l’at- tivazione di scuole del lavoro che integravano in un unico processo formativo com- ponenti culturali ed attività lavorative vere e proprie. Il secolo passato ha segnato una svolta significativa nell’analizzare l’apporto per molti versi essenziale dell’e- sperienza lavorativa nel contesto dell’educazione fondamentale del cittadino. Basti qui citare due apporti di orientamento assai differente: quello di John Dewey e quello di Jacques Maritain. J. Maritain in particolare nella sua Educazione al bivio afferma: «Ciò significa che fin dall’inizio e per quanto è possibile, per tutti gli anni della giovinezza, mani e mente devono lavorare insieme. Questo punto è stato messo in luce particolarmente viva dalla pedagogia moderna […]. L’importanza del lavoro manuale che accompagna l’educazione della mente durante le scuole superiori […] è sempre più riconosciuta. Non c’è posto più vicino all’uomo di un laboratorio, e l’intelligenza dell’uomo non è solo nella sua testa, ma anche nelle sue dita. Il lavoro manuale non favorisce soltanto l’equilibrio psicologico, ma anche potenzia l’ingegnosità e la precisione, ed è la base prima dell’attività arti- stica» (Maritain, 1955, 67-68). E l’autore prevedeva che nel futuro scomparirà la separazione sociale tra l’homo falere e l’homo sapiens. Non si tratta dunque solo di riconoscere la pari dignità di due processi formativi, dei quali uno è metodologicamente più centrato all’apporto della cultura scritta, mentre l’altro è più aperto all’attività pratico-produttiva, quanto di affermare che si tratta di due componenti essenziali della crescita personale, sulla base di cia- scuna delle quali è possibile promuovere lo sviluppo personale del cittadino e del lavoratore, a patto di favorire la loro integrazione soggettiva. A questo fine è necessario rileggere il concetto di intelligenza pratica e di pratica umana, per coglierne il senso pedagogico più profondo. 2. L’intelligenza pratica Gli apporti psicologici sulle forme di intelligenza hanno evidenziato la differenza tra un’intelligenza definita di tipo accademico o scolastico e una intelligenza di tipo pratico. Questo tipo di intelligenza ha natura del tutto differente da quella di tipo accademico. Già Neisser (1976) aveva evidenziato alcune caratteristiche di quest’ultima, che contrastano profondamente con quella pratica. I compiti che l’intelligenza scolastica permette di affrontare validamente: a) sono formulati ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 2 4 dagli altri, b) spesso sono di nessun o minimo interesse per lo studente, c) tutte le informazioni necessarie sono disponibili fin dall’inizio, d) sono sganciati dall’e- sperienza ordinaria del soggetto. L’intelligenza pratica tende ad affrontare compiti e situazioni che coinvolgono l’acquisizione di competenze percepite come necessarie per la vita quotidiana e/o per l’attività professionale che si intende svolgere nel presente o nel futuro. Tali compiti nel contesto dell’attività formativa sono certamente indicati dai docenti, o dai tutor aziendali, ma la loro natura è chiaramente collegata con le necessità di sviluppo personale, sociale o professionale. Il loro interesse deriva proprio dal lega- me che essi hanno con le competenze personali da raggiungere. Molto spesso si tratta di compiti o problemi che richiedono non solo una capacità abbastanza impegnativa di definizione e comprensione, ma anche un percorso risolutivo nel quale si dovranno acquisire conoscenze e informazioni che non fanno parte già del patrimonio conoscitivo di partenza. Lo studio relativo alle differenze individuali sul piano dell’intelligenza hanno por- tato a distinguere una molteplicità di loro caratterizzazioni. H. Gardner ha indivi- duato sette-otto tipi di intelligenza. Sterberg ne ha individuate tre fondamentali, di cui una è proprio quella pratica (Sternberg-Wagner, 1986). L’approccio costruttivistico dell’apprendimento ha ulteriormente messo in eviden- za le necessità di promuovere un ruolo attivo del soggetto che apprende. Se si vuole che le nuove acquisizioni siano ben innestate sul patrimonio conoscitivo di espe- rienze, concetti, abilità, valori, interessi e motivazioni già costituito, occorre che egli non solo possa, ma voglia farlo e metta in atto tempi, impegno e strategie adatte a ottenerlo. La domanda che potremmo porre e che diventa l’obiezione fondamentale spesso avanzata è: la prevalenza di un tipo di intelligenza è segno di limitazione? Essa è fonte di impossibilità di sviluppo di conoscenze e competenze ritenute necessarie per la vita e il lavoro? Essa può dunque costituire la base di una discriminazione sociale? La risposta a queste obiezioni era già stata elaborata nell’antica Grecia, anche se in maniera non sempre facilmente trasferibile nel contesto culturale attuale. Sia Platone, sia Aristotele, avevano messo in evidenza i caratteri della razionalità teo- rica e pratica e il fatto che si poteva partire nel primo caso dalla discussione per giungere a conclusioni valide sul piano più universale, oppure dalla riflessione cri- tica relativa all’esperienza e alla comparazione tra i diversi apporti empirici per conseguire conoscenze a carattere generale. I risultati ottenuti per queste due stra- de manifestavano caratteristiche comuni1. Sul piano didattico, come su quello 2 5 APERTURA DEL SEMINARIO 1 Vedi ad esempio la discussione in merito sviluppata da G. Bertagna (La scuola tra theoria, techne e apprendistato: Limiti e virtù di un (dis)adattamento epistemologico, in «Orientamenti pedagogici», 2003 (50), 2, 215-240) della razionalità impiegata, si evidenziano così due possibili percorsi. Nel primo caso si parte da affermazioni generali, da posizioni concettuali già elaborate, e le si sottopone a una dialettica argomentativa basata sull’evidenziare le contraddi- zioni interne delle posizioni da rifiutare. Il ruolo del docente è proprio quello di sollecitare e guidare tali approfondimenti, mettendo in crisi molte volte le concet- tualizzazioni limitate o erronee dei propri discepoli. Nel secondo caso è l’appren- distato che viene a costituire la strada maestra. Esso implica la presenza di una maestro, di un esperto, che evidenzia non solo come, ma anche perché si deve ope- rare in una certa maniera. Inizialmente l’allievo deve imitare il modello, per poi, a poco a poco sviluppare non solo le abilità, ma anche le conoscenze necessarie a portare a termine l’“opera d’arte” in maniera autonoma e valida. Molte di queste conoscenze sono di natura cosiddetta “tacita”, non esprimibili attraverso principi e regole generali: è un sensibilità che si sviluppa nel tempo, riflettendo su quanto si sta facendo. Come si vede la pratica diventa il luogo della formazione non solo professionale, ma anche personale e culturale dei giovani. 3. Il concetto di pratica come fondamento dello sviluppo del capitale umano e sociale Si è spesso evidenziato come il rapporto tra territorio e formazione sia di tipo cir- colare, nel senso che il capitale umano e sociale è a fondamento dello sviluppo eco- nomico e produttivo e questo a sua volta induce e sollecita lo sviluppo del capita- le umano e sociale. Un circolo virtuoso tra i due riferimenti permette uno svilup- po armonico e positivo; un circolo vizioso promuove disarmonia e, alla lunga, declino e disagio diffuso. Lo sviluppo del capitale umano e sociale è legato certa- mente alla cultura di appartenenza e alla sue caratteristiche, esso è, però, anche fortemente influenzato dalla forme educative e formative messe in atto. Per capi- re l’importanza nello sviluppo del capitale umano di una formazione strettamente connessa con la pratica, sia essa professionale o sociale, occorre riflettere breve- mente sul concetto di pratica e sul suo ruolo nella crescita umana. Il concetto di pratica umana è stato definito in maniera particolarmente accurata da Alasdair MacIntyre nel 1981 nella sua opera After virtue2. Essa è vista come: «qualsiasi forma coerente e complessa di attività umana cooperativa socialmente stabilita, mediante la quale valori insiti in tale forma di attività vengono realizza- ti nel tentativo di raggiungere quei modelli che appartengono ad essa e parzial- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 2 6 1 Il volume di A. MacIntyre è stato pubblicato in inglese nel 1981 (After virtue. A study in moral theory, Notre Dame, University of Notre Dame Press). La sua traduzione italiana con il titolo Dopo la virtù è apparsa nel 1988 nella collana «Campi del sapere», Feltrinelli, Milano. mente la definiscono. Il risultato è un’estensione sistematica delle facoltà umane di raggiungere l’eccellenza e delle concezioni umane dei fini e dei valori impliciti» (MacIntyre, 1988, 225). McIntyre chiarisce nel suo saggio sia il concetto di pratica umana, sia quello di eccellenza in essa, sia quello di valore interno e di valore esterno a essa. Per far questo egli presenta in particolare due esempi: uno tratto dall’apprendimento del gioco degli scacchi, l’altro dalla pratica della pittura. «Consideriamo l’esempio di un bambino di sette anni molto intelligente a cui io voglia insegnare a giocare a scacchi, benché egli non abbia particolare desiderio di imparare questo gioco. Il bambino ha invece un fortissimo desiderio di caramelle, e scarse opportunità di ottenerle. Perciò io dico al bambino che se giocherà a scac- chi con me una volta alla settimana gli darò 2 euro di caramelle; gli dico anche che giocherò sempre in modo tale che per lui sia difficile ma non impossibile vin- cere, e che se vincerà riceverà 1 euro di caramelle extra. Motivato in tal modo, il bambino gioca, e gioca per vincere. Osserviamo però che finché le caramelle rap- presentano l’unica buona ragione che ha il bambino per giocare, egli non ha alcun motivo per non barare e tutti i motivi per barare, purché possa farlo con succes- so. Ma possiamo sperare che giungerà un momento in cui il bambino troverà un nuovo insieme di ragioni nei valori specifici del gioco degli scacchi, nel consegui- mento di una certa particolarissima specie di capacità analitica, immaginazione strategica e intensità competitiva: ragioni, a questo punto, non soltanto per vince- re in una determinata occasione, ma per cercare di eccellere in tutto ciò che è richiesto dal gioco degli scacchi. Adesso, se il bambino bara, non sconfigge me, ma se stesso» (Ibidem, 226). Vi sono dunque due tipi di valori che possono essere ottenuti da una pratica. Da un lato valori connessi in modo estrinseco e contingente, come vantaggi economi- ci, prestigio, posizione sociale. Dall’altro valori insiti nella pratica considerata, che non possono essere ottenuti in nessun modo se non impegnandosi a fondo in quel- la pratica, in quanto possono essere identificati e riconosciuti soltanto mediante l’esperienza acquisita partecipando alla pratica in questione. «Chi è privo dell’e- sperienza pertinente, è perciò stesso incompetente come giudice dei valori insiti nella pratica» (Ibidem, 227). La seconda esemplificazione concerne la pratica della pittura di ritratti quale si è sviluppata nell’Europa occidentale dal tardo medioevo al diciottesimo secolo. «Il ritrattista di successo è in grado di ottenere molti valori che sono, nel senso appe- na definito, esterni alla pratica del ritratto: fama, ricchezza, posizione sociale, in certe circostanze persino potere e influenza presso le corti. Ma questi valori ester- ni non vanno confusi con i valori che sono interni alla pratica. I valori interni sono quelli che derivano da un continuo tentativo di esprimere l’animo umano attra- 2 7 APERTURA DEL SEMINARIO verso le sembianze fisiche. «Vi è innanzitutto l’eccellenza dei prodotti, sia nella prestazione dei pittori sia di ciascun ritratto in se stesso. Questa eccellenza, come suggerisce il verbo stesso «eccellere», va intesa storicamente. Le successioni di sviluppo trovano il loro fine e proposito in un progresso verso e al di là di una molteplicità di tipi e forme di eccellenza. Vi sono ovviamente successioni tanto di decadenza quanto di progres- so, ed è raro che il progresso possa essere considerato rettilineo. Ma è nella parte- cipazione ai tentativi di incrementare il progresso e di rispondere creativamente ai problemi che bisogna ricercare il secondo tipo di valore interno alle pratiche della ritrattistica» (Ibidem, 228). D’altra parte il giudizio sui valori interni alla pratica del ritrattista richiede come minimo il genere di competenza che può essere acquisito soltanto praticando la pittura, oppure studiando sistematicamente ciò che il pittore di ritratti ha da inse- gnare. Inizialmente quindi occorre rifarsi a dei modelli di eccellenza, ma, dal momento che le pratiche hanno una storia e sono segnate culturalmente, anche i modelli possono, e debbono, essere criticati. Da queste considerazioni deriva la possibilità di definire la virtù come «una qualità umana acquisita il cui possesso ed esercizio tende a consentirci di raggiungere quei valori che sono interni alle pra- tiche, e la cui mancanza ci impedisce effettivamente di raggiungere qualsiasi valo- re del genere» (Ibidem, 228). Il soggetto agente impegnato in una molteplicità di pratiche, delle quali cerca di realizzare i beni interni a esse, può passare dalla considerazione delle singole pra- tiche alla vita umana complessiva vista come una pratica unitaria, la pratica di una vita significativa, finalizzata alla realizzazione del bene inteso, in senso pro- spettico la felicità. Le varie pratiche e i beni che ne conseguono vengono così inte- grati in un quadro unitario in vista della crescita e compimento della persona umana. Ciò che dà unità e specificità alla vita di ciascuno è la sua storia persona- le, la narrazione che egli ha sviluppato, sviluppa e svilupperà nel corso della sua esistenza. Di conseguenza nei vari campi della crescita personale, culturale e professionale come nel campo della crescita morale emerge la necessità di sviluppare forme ade- guate di apprendistato pratico che non solo promuovano comportamenti validi, ma aiutino l’esperienza e l’interiorizzazione di valori significativi interni alle pra- tiche stesse e quelle competenze cognitive, operative e affettive, che stanno alla base dell’agire umano intenzionale. E ogni apprendistato ha bisogno di confron- tarsi con modelli di competenza da interiorizzare e ai quali fare riferimento nel contesto dell’esercizio pratico. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 2 8 4. Prospettive psicologiche dell’apprendistato pratico e cognitivo e i suoi limiti nella società attuale Come accennato, una delle forme fondamentali di sviluppo delle conoscenze e delle competenze personali è l’approccio formativo definito “apprendistato”. Questa metodologia formativa va distinta, anche se non separata, dalla modalità di inserimento lavorativo denominato “apprendistato”. La psicologia socio-cogni- tiva ha esaminato questo approccio sulla base dei processi di apprendimento da modelli. Questi si basano sul meccanismo psicologico dell’esperienza vicaria. Ne sono stati evidenziati quattro livelli. Il primo livello è fondamentalmente legato all’osservazione di modelli che inducono a ipotizzare gli elementi fondamentali che concorrono a formare una competenza. L’esperienza vicaria, attivata dalla presenza di un modello già competente, per- mette di osservare direttamente le modalità attraverso le quali è possibile e utile attivare conoscenze e abilità già possedute a un livello adeguato di significatività, stabilità e fruibilità per orchestrarle al fine di affrontare positivamente la situa- zione o il problema in oggetto. Zimmerman (2000, 29), ad esempio, ricorda i risultati di alcune ricerche che mostrano come la perseveranza di un modello nel portare a termine un compito complesso e impegnativo influisca sulla perseveran- za di coloro che lo osservano. La variante dell’apprendistato cognitivo implica, poi, la manifestazione esterna di processi e strategie messe in atto in maniera non evidente. Ciò può essere fatto mediante tecniche di verbalizzazione analoghe a quelle proprie del cosiddetto thinking aloud o della réflexion parlée, rispettiva- mente descritte da Newell e Simon e da E. Claparède. Si tratta di evidenziare e favorire l’interiorizzazione di alcune abilità strategiche e di alcuni processi cognitivi e affettivi, come l’avere a disposizione standard di valutazione della prestazione, seguire orientamenti motivazionali congruenti, esse- 2 9 APERTURA DEL SEMINARIO Livello 1 2 3 4 Nome Osservazione Imitazione Auto-controllo Auto-regolazione Descrizione Si inducono le competenze tramite l’esperienza vicaria che si ha osservando attentamente un modello Prestazioni di tipo imitativo di forme generali o di stile di un modello sotto modalità di guida sociale Manifestazione di competenze riscontrate nel modello messe in atto in maniera indipendente anche se in contesti strutturati Uso adattativo di competenze in condizioni personali e ambientali variate re sensibili a valori di riferimento, persistere nell’attività nonostante elementi di disturbo sia cognitivo, sia emozionale, ecc. La constatazione che l’esperienza vicaria non sia sufficiente per passare all’effet- tiva manifestazione autonoma della competenza, implica come primo sviluppo la necessità di passare a prestazioni di natura imitativa di modalità o stili generali d’azione, legati ad abilità che possono essere guidate e corrette socialmente. Si tratta del livello denominato dell’emulazione. Tuttavia, ben difficilmente il sog- getto che apprende riesce a realizzare prestazioni che si avvicinano alla qualità generale di quelle del modello. Un miglioramento si può avere se il modello adot- ta un ruolo docente e offre guida, feedback e sostegno durante l’esercizio pratico. D’altra parte, il riuscire a emulare almeno in alcuni aspetti generali il modello ha effetto sulla motivazione a impegnarsi ulteriormente. Occorre segnalare come a questi due primi livelli la fonte di apprendimento delle abilità auto-regolatrici è esterna al soggetto che apprende. Negli ulteriori livelli di sviluppo di tali abilità, come vedremo subito, il riferimento diventa interno. Il terzo livello si raggiunge quando si è in grado di sviluppare forme indipendenti d’abilità, esercitate in contesti e condizioni strutturate. È il livello denominato del- l’autocontrollo. Non basta infatti la presenza di un insegnante o di un modello, occorre una estesa e deliberata pratica personalmente esercitata: prestazioni che si svolgono in contesti organizzati affinché i soggetti si impegnino a migliorare e ad auto-osservarsi. Il modello, o i modelli, non è più presente e il riferimento a stan- dard di qualità è interno, si tratti di immagini e di verbalizzazioni. Il raggiungere livelli desiderati di qualità sostiene e alimenta la motivazione a impegnarsi. Infine, si raggiunge il livello della competenza vera e propria quando il soggetto rie- sce ad adattare da solo le proprie prestazioni sulla base delle condizioni soggettive e ambientali varianti. Egli riesce a mutare le sue strategie in maniera autonoma. La motivazione può fare riferimento a sentimenti di auto-efficacia. Non c’è più grande bisogno di auto-monitoraggio. D’altra parte, dal momento che le competenze dipen- dono anche dalle condizioni esterne, possono presentarsi nuove situazioni che evi- denziano i limiti delle competenze già acquisite ed esigono nuovi apprendimenti. Zimmerman (2000, 31) mette in luce il fatto che non sempre occorre passare attraverso i quattro livelli, ma che questi indicano solo che la padronanza rag- giunta in ognuno di essi facilita l’apprendimento successivo. Le intenzioni antici- patrici, gli sforzi per raggiungere prestazioni migliori e l’auto-riflessione sono atti- vità assai esigenti e la persona può rinunciare a esse se si sente stanca, disinteres- sata, non impegnata. Le indicazioni che provengono dagli studi socio-cognitivi insistono, dunque, sul valore delle forme di apprendistato pratico e cognitivo. D’altra parte, il concetto di competenza assunto può suggerire altre forme di intervento formativo. Si può, infat- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 3 0 ti, intervenire per rafforzare e migliorare i singoli processi che si attuano nelle tre fasi ricordate, favorire la capacità di gestire tali processi in maniera meglio coordinata e fluida al fine di raggiungere le finalità desiderate, arricchire e potenziare le varie risorse interne che via via emergono come necessarie e sostenere la disponibilità a valersi di risorse esterne, come colleghi di lavoro o persone più esperte. L’obiezione centrale che può essere sollevata di fronte a processi formativi basati sul- l’apprendere da modelli, che in molti casi possono essere riletti come una forma di affiancamento, sta nel carattere fortemente evolutivo delle tecnologie e dell’organiz- zazione del lavoro. Lo sviluppo di abilità, anche se a livello sufficiente di autonomia e flessibilità, non garantisce la capacità di adattamento a cambiamenti più o meno profondi. Basta qui accennare alla trasformazione avvenuta nel corso degli ultimi vent’anni a causa dell’introduzione massiccia delle nuove tecnologie o della presen- za sempre più forte di mano d’opera proveniente da paesi extracomunitari. Passare da interagire direttamente con macchine a rapportarsi con loro attraverso sistemi simbolici che mediano i nostri comportamenti può condurre a difficoltà non indiffe- renti di adattamento. Si tratta infatti di saper rappresentare cognitivamente proces- si materiali e concreti, che oramai sono eseguiti da macchine. Il momento proget- tuale del prodotto e del processo e quello del controllo della loro qualità diventano prevalenti rispetto alle abilità pratiche manuali. In alcuni casi si devono mettere in atto processi organizzativi anche di personale extracomunitario, con esigenze di comunicazione e di relazioni interpersonali positive, e di decisione rispetto anche a situazioni abbastanza complesse. I processi formativi più che sul saper fare imme- diato tendono a dover dedicare più attenzione e finalizzazione allo sviluppo di qua- lità personali più generali, anche di natura etica. In sintesi, nel mondo del lavoro le discontinuità introdotte dal post-fordismo nella sua realtà, insieme alla diffusione delle innovazioni tecnologiche, hanno compor- tato un’estensione del lavoro indiretto. L’attuale modello post-fordista evidenzia l’importanza di soggetti aventi abilità decisionali, gestionali e sociali. Esso richie- de, infatti, la gestione di una densità di informazioni che costringe ad uno sforzo cognitivo senza precedenti, oltre alla necessità di relazionarsi con altri ruoli lavo- rativi. Da ciò discende quindi la necessità di sviluppare competenze sempre più cognitive, astratte e generalizzabili. La natura della trasformazione che investe il lavoro comporta la promozione di competenze connesse a processi di interpreta- zione e di decodifica, tese a valorizzare le capacità di comunicazione, di decisione e di reattività, in particolare quelle "capacità aspecifiche" di natura sostanzial- mente attitudinale e comportamentale, comprendenti caratteristiche individuali quali la diligenza, l’attenzione ai particolari, la capacità di andare a fondo nelle questioni, nonché la disponibilità ad assumersi delle responsabilità. Si richiede, dunque, non tanto la padronanza di un insieme di abilità, che appaio- 3 1 APERTURA DEL SEMINARIO no legate ad un’idea di cognizioni tecniche, quanto piuttosto la competenza, ossia un mix specifico, per ciascun individuo, di abilità acquisite attraverso la forma- zione tecnica e professionale, di comportamento sociale, di attitudine al lavoro di gruppo, di iniziativa e disponibilità ad affrontare i rischi. In questo modo qualità altamente soggettive, innate o acquisite, si combinano con conoscenze e cognizio- ni tecniche per andare a formare la competenza, le cui componenti sociali, l’im- parare a essere ed a vivere insieme, acquistano rilievo sempre maggiore. Guy Le Boterf (2000, 51-54) ha metto in luce come il mondo del lavoro e delle professioni stia evolvendo rapidamente sotto l’influsso della competitività indotta dalla globalizzazione dei mercati e dell’introduzione sempre più massiccia delle nuove tecnologie e di nuove forme organizzative del lavoro, e presenti una molte- plicità di esigenze che hanno come corrispondente un’accentuazione del ruolo del- l’agire rispetto al solo saper fare. Egli indica un continuo collocato tra due poli. Un polo è rappresentato dalle situazioni di lavoro caratterizzate dalla ripetizione, dalla routine, dalla semplicità, dall’esecuzione di consegne. L’altro polo è invece caratterizzato da dover affrontare l’incertezza, l’innovazione, la complessità, la presa d’iniziativa. Si nota un passaggio dal saper fare a un saper agire, che tende ad accelerarsi sempre più. L’insistenza sulla valorizzazione nel contesto formativo di obiettivi formativi basati sul concetto di competenza, inteso come saper agire in situazioni moderatamente sfidanti, nuove e complesse, deriva anche da questa constatazione generale. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 3 2 PRESCRITTIVITÀ STRETTA ORGANIZZAZIONE TAYLORIANA - ESECUZIONE - ESIGENZA UNIDIMEN- SIONALE (tecnica) - RIPETIZIONE - SEMPLICITÀ PRESCRITTIVITÀ APERTA ORGANIZZAZIONE “LAVORO COMPLETO” SAPER FARE (eseguire una ope- razione prescritta) SAPER AGIRE (gestire situazioni complesse e impreviste; prendere iniziative) - INIZIATIVA - ESIGENZE PLURIDIMENSIONALI (tecniche, economiche, qualità, relazionali) - INNOVAZIONE - COMPLESSITÀ Fig. 1 - La transizione tra il “saper fare” e il “saper agire” nel contesto del mondo del lavoro e delle professioni. Oggi convivono spesso, soprattutto per i lavori più ripetitivi, ancora aspetti di semplicità e pura esecuzione di operazioni prescritte, ma sempre più si richiedono competenze legate al saper agire in situazioni più o meno complesse e con caratteri di novità (Le Boterf, 2000, p.53). Dal punto di vista della dimensione intersoggettiva della competenza si può insiste- re anche sul concetto di competenza collettiva, cioè di competenza che viene copro- dotta dai membri di una organizzazione o di una comunità, come quella formativa, che vengono così a configurare una rete di competenze che non solo collaborano nel- l’attività realizzativa propria dell’organizzazione, ma anche nel suo sviluppo. Diviene così centrale il concetto di cooperazione tra persone che sanno interagire, che possono interagire, che vogliono interagire in maniera valida e feconda. Ciò com- porta costruzioni e apprendimenti condivisi di rappresentazioni, riflessione comune sull’esperienza e i risultati dei progetti, messa in opera di metodi di lavoro appro- priati e di funzioni di mediazione; ma anche un’architettura e una gestione delle competenze che diano spazio alla complementarità, all’interfacciamento, allo scam- bio; che motivi e valuti i risultati anche in termini di collaborazione, che faciliti le relazioni di solidarietà e di convivialità (Le Boterf, 2000, cap.6). Tutto ciò ha riflessi anche nel mondo dell’educazione. Le competenze base o, come oggi si preferisce dire, le competenze chiave del cittadino e del lavoratore hanno oggi un’incidenza sulla vita e sui progetti di inserimento sociale e professionale della massa degli studenti assai più forte e decisiva rispetto a pochi decenni or sono. 5. Il concetto di competenza professionale e il suo sviluppo Una competenza è definibile a partire dalla tipologia del compito, o dell’insieme dei compiti, che si deve saper svolgere validamente ed efficacemente. D’altra parte, i compiti stessi sono caratterizzati, rispetto a chi li deve affrontare, dalla loro com- plessità e novità, complessità e novità sempre relativa al soggetto agente. In sostan- za, una competenza si manifesta perché si riesce a mettere in moto e coordinare un insieme di conoscenze, abilità e altre disposizioni interne al fine di svolgere positiva- mente il compito o l’attività da affrontare; inoltre, per svolgere bene il proprio com- pito occorre saper individuare, utilizzare e coordinare molto spesso non solo le risor- se interne necessarie, ma anche quelle esterne disponibili (Pellerey, 2004). Ripercorrendo circa mezzo secolo di storia della presenza del concetto di compe- tenza nei processi educativi e formativi, si può mettere in evidenza come i compi- ti, e le risorse interne ed esterne, che occorre saper attivare e coordinare per svol- gerli positivamente, non solo debbano essere colti e interpretati validamente, ma anche essere assunti come intenzioni, finalità del proprio agire. I processi di acqui- sizione del sapere e del saper fare devono essere finalizzati al saper agire. Le cono- scenze e abilità apprese sono risorse interne da mettere in moto e utilizzare in maniera sempre più pertinente e agevole nei vari contesti esperienziali: di appren- dimento professionale, di vita sociale e civile, di consapevolezza e lettura critica della realtà, di scelte di vita e di comportamento. Il senso e il perché dell’appren- 3 3 APERTURA DEL SEMINARIO dimento dei vari saperi e saper fare e la loro agevole fruibilità nello svolgimen- to dei compiti richiesti possiamo dire che costituiscono il nerbo del processo for- mativo. Lo sviluppo del concetto di competenza ha comportato la necessità di elaborare riferimenti sufficientemente chiari e definiti anche a livello internazionale. Ad esempio l’OCSE, organizzazione che raggruppa i Paesi più sviluppati industrial- mente, nell’ambito del programma DeSeCo (Definitions and Selection of Competencies: Theoretical and Conceptual Foundations) ha sviluppato un approccio che si appoggia sull’assunzione che le competenze si strutturano in rap- porto alle richieste che sollecitano i compiti che devono essere assolti. “Fronteggiare efficacemente richieste e compiti complessi comporta non solo il possesso di conoscenze e di abilità, ma anche l’uso di strategie e di routines neces- sarie per l’applicazione di tali conoscenze e abilità, nonché emozioni e atteggia- menti adeguati e un’efficace gestione di tali componenti. Pertanto la nozione di competenza include componenti cognitive ma anche componenti motivazionali, etiche e sociali relative ai comportamenti. Costituisce l’integrazione di tratti stabi- li, risultati di apprendimento (conoscenze e abilità), sistemi di valori e credenze, abitudini e altre caratteristiche psicologiche. Da tale punto di vista, leggere, scri- vere e far di conto sono abilità che, ai livelli di base, rappresentano le componen- ti critiche di numerose competenze. Mentre il concetto di competenza si riferisce alla capacità di far fronte a richieste di un elevato livello di complessità e comporta sistemi di azione complessi, il termine conoscenze è riferito ai fatti o alle idee acquisiti attraverso lo studio, la ricerca, l’osservazione o l’esperienza e designa un insieme di informazioni che sono state comprese. Il termine abilità viene usato per indicare la capacità di utilizzare le proprie conoscenze in modo relativamente age- vole per l’esecuzione di compiti semplici”3. Nel profilo educativo, culturale e professionale di fine primo ciclo scolastico si afferma: “Un soggetto è riconosciuto competente, infatti, quando, mobilizzando tutte le sue capacità intellettuali, estetico-espressive, motorie, operative, sociali, morali, spirituali e religiose e, soprattutto, amplificandole ed ottimizzandole, utilizza le conoscenze e le abilità che apprende e che possiede per arricchire creativamente, in ogni situazione, il personale modo di essere nel mondo, di inte- ragire e stare con gli altri, di affrontare le situazioni e risolvere i problemi, di incontrare la complessità dei sistemi simbolici, di gustare il bello e di conferire senso alla vita”. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 3 4 3 V. Scalera, Il Progetto Ocse/Pisa-Cc. In Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell’istru- zione (Cede), Ricerche valutative internazionali 2000, Milano, F. Angeli, 2001, 166. In una lettura, che coniuga le prospettive sopra richiamate, si possono esaminare con più puntualità le risorse interne da promuovere e da sollecitare nello sviluppo di competenze sempre più elevate. a) Conoscenze. Per il documento dell’OCSE il termine conoscenze è riferito ai fatti o alle idee acquisiti attraverso lo studio, la ricerca, l’osservazione o l’esperienza e designa un insieme di informazioni che sono state comprese. Prevale da que- sto punto di vista l’aspetto concettuale. Si parla spesso di sapere o di conoscen- ze di natura dichiarativa. b) Abilità. Per lo stesso documento il termine abilità viene usato per designare la capacità di utilizzare le proprie conoscenze in modo relativamente agevole per l’esecuzione di compiti semplici. Vengono abbastanza comunemente raggrup- pate sotto la voce saper fare. In psicologia spesso esse sono definite conoscenze di natura procedurale. c) Disposizioni interne stabili. Nello stesso testo s’insiste sulla necessità di inclu- dere nella nozione di competenza, oltre alle componenti cognitive, anche com- ponenti motivazionali, etiche, sociali e relative ai comportamenti, sistemi di valori e credenze, abitudini e altre caratteristiche psicologiche. Anche in questo caso sono state utilizzate espressioni come saper essere, saper stare con gli altri. In psicologia per quest’area dell’identità personale si utilizza in genere l’espres- sione “disposizioni interne stabili”, in quanto si tratta di caratteristiche perso- nali non occasionali che orientano, dispongono, sollecitano la persona ad agire in una certa maniera. Il termine atteggiamento può dar luogo a interpretazioni equivoche. Con esso, infatti, si intendono spesso cose differenti, ad esempio il modo di atteggiarsi, cioè di porsi di fronte a cose, persone, avvenimenti, oppu- re sentimenti profondi, valori, opinioni. Così si dice che una persona ha un atteggiamento spavaldo o timoroso, un atteggiamento umile e dimesso oppure presuntuoso e invadente, ecc. Si parla anche di atteggiamenti religiosi, morali, sociali, intendendo quindi sistemi di valori e comportamenti esterni che ne deri- vano e ne sono segno. In un senso generale, si può definire un atteggiamento come una disposizione interna sufficientemente stabile, che influenza le scelte e le azioni personali nei riguardi di categorie di persone, di oggetti o di avvenimenti. È una disponibilità di base, che si è venuta a costituire a poco a poco sulla base dell’esperienza e della riflessione, che esercita un’influenza orientativa e propulsiva sul tipo e le modalità di azione e di relazione nei riguardi di persone, cose, situazioni, avvenimenti. Ogni atteggiamento ha quindi un nucleo cognitivo, più o meno chiaro e articolato, che fa da riferimento esplicativo delle proprie scelte e dei propri comportamenti. Un secondo aspetto riguarda l’emozionalità. Cioè il livello di sentimenti positivi o negativi nei riguardi di cose, persone, o avvenimenti. Un terzo aspetto riguarda la 3 5 APERTURA DEL SEMINARIO disponibilità o prontezza a impegnarsi nell’azione. Un atteggiamento posseduto nel vero senso del termine è possibile individuarlo attraverso la facilità con cui uno studente accetta di fare o di scegliere qualcosa o un’attività, ovvero si dirige spon- taneamente verso di essi. Assai vicino a quello che si è detto per un atteggiamen- to, può essere inteso da un punto di vista evolutivo un valore, con la differenza che l’accento è posto maggiormente sull’apporto di significato personale e sul contri- buto alla crescita che ne deriva. Questo accenno comporta una conseguenza, che un valore non è una qualsiasi tendenza alla scelta e all’azione, bensì una disposi- zione interna stabile generale. I valori sono collocati alla radice degli stessi atteg- giamenti. Essi forniscono il senso e la forza motivante alla scelta e all’azione. Una definizione di competenza può suonare così: “Capacità di mettere in moto e di coordinare le risorse interne possedute e quelle esterne disponibili per affronta- re positivamente una tipologia di compiti da affrontare o di problemi e situazioni sfidanti”. Esplicitando questa definizione si possono evidenziare le caratteristiche principali di una competenza. 1) Una competenza è definibile a partire dalla tipologia di compiti o attività che si devono svolgere validamente ed efficacemente. Esse, in base ai compiti per i quali sono richieste, possono essere più specificatamente legate a una discipli- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 3 6 CONOSCENZE ABILITÀ DISPOSIZIONI INTERNE Fig. 2 - Se consideriamo le risorse interne fondamentali che concorrono allo sviluppo di una compe- tenza, queste si possono considerare come vertici di un triangolo. Un competenza specifica richiede l’orchestrazione di conoscenze e abilità sotto l’influsso di disposizioni interne stabili al fine di svolge- re validamente ed efficacemente un compito. Il punto P e la sua distanza dai tre vertici del triangolo indicano il particolare equilibrio che la messa in opera di una competenza esige di fronte a un com- pito specifico. P na o materia di insegnamento, oppure avere carattere trasversale. In questo secondo caso i compiti hanno caratteristiche comuni quanto a conoscenze, abi- lità e disposizioni interne che devono essere attivate e coordinate. 2) La complessità e novità del compito o della attività da sviluppare caratterizza- no anche la qualità e il livello della competenza implicata. Tali caratteristiche dipendono dall’età e dall’esperienza dello studente. È ben diversa la situazione di uno scolare del primo ciclo, di uno studente del primo anno della formazio- ne professionale, dell’ultimo anno di essa. 3) Una competenza si manifesta perché si riesce a mettere in moto e coordinare un insieme di conoscenze, abilità e altre disposizioni interne al fine di svolgere positivamente il compito o l’attività prescelta. Queste risorse interne debbono essere quindi possedute a un grado di significatività, stabilità e fruibilità ade- guato, tale cioè da poter essere individuate e messe in moto quando esse siano necessarie per affrontare il compito richiesto. 4) Tra le risorse che occorre saper individuare, utilizzare e coordinare molto spes- so occorre considerare non solo risorse interne, ma anche risorse esterne. Non si tratta solo di risorse di natura fisica o materiale come libri, strumenti di cal- colo, computer, attrezzature strumentali, macchine in genere, ma anche umana come il docente stesso, i compagni, altre persone che è possibile coinvolgere nella propria attività. Si parla oggi di comunità di studenti per indicare che molte volte è la capacità di coordinare la pluralità delle competenze possedute dai membri del gruppo che consente di portare a termine il compito o i compi- ti assegnati. 6. Un modello di pratica formativa basata sull’esperienza del lavoro Nella rilettura dei processi formativi diretti allo sviluppo di competenze, è utile rileggere una significativa proposta sviluppata principalmente in contesti di for- mazione professionale o di educazione pre-professionale. Guy Le Boterf (2000) ha delineato alcuni tratti di un percorso formativo che con- senta di promuovere sia il “saper agire” professionale, sia il “voler agire” profes- sionale. Anch’egli parte da un concetto ormai dato per acquisito: si apprende dal- l’esperienza. In effetti egli subito mette in evidenza come una persona che sia capace di agire con pertinenza in una situazione particolare deve possedere una doppia capacità di comprensione: quella della situazione nella quale interviene e quella della propria maniera di intervenire. Comprendere una situazione significa costruire una rappresentazione concettuale che permetta di agire in essa con effi- cacia. Attraverso questa rappresentazione si passa, come è stato ben evidenziato nello studio sulla soluzione di problemi, da una percezione della situazione inde- 3 7 APERTURA DEL SEMINARIO terminata, fluida, indistinta a una definizione più chiara e definita (lo spazio del problema, secondo la terminologia di Newell e Simon; il momento del cosiddetto problem setting) e quindi prefigurare adeguate strategie di intervento (il problem solving). È questo un processo di modellizzazione, di distanziazione, di concettua- lizzazione, una costruzione di natura cognitiva. La riflessione implica per un soggetto un prendere le distanze da una situazione affrontata, da una pratica lavorativa, in modo da rendere esplicita, nella misura in cui ciò è possibile, la sua maniera di rappresentarle e di utilizzare o sviluppare gli schemi operatori già posseduti. Le Boterf reinterpreta il ciclo proposto da Kolb per descrivere un apprendimento basato sull’esperienza, tenendo conto degli apporti di derivazione piagetiana (Fig. 3). 1) Si parte dall’esperienza vissuta. Il soggetto è impegnato nell’azione, nella rea- lizzazione di un’attività, di un progetto, nella soluzione di un problema. È l’in- dispensabile momento di avvio, ma se ci si limita a questo si cade nella ripeti- tività. 2) Si passa alla fase di esplicitazione, il primo momento di riflessività, un raccon- tare a se stesso ciò che è avvenuto nell’esperienza vissuta. Non si tratta solo di rappresentare in qualche forma l’esperienza, bensì di trasformare gli avveni- menti in una storia, di renderli intelligibili, fornirli di senso. È una forma di reinterpretazione, di ricostruzione tramite quella che Piaget denominava “astrazione riflettente”. Questa fase non è automatica. Essa ha bisogno di mediatori che sappiano porre le giuste domande al soggetto. 3) Segue la fase di concettualizzazione e di modellizzazione. La ricostruzione e reinterpretazione raggiunta con la narrazione conduce ora ai modelli d’azio- ne, ai cosiddetti suoi invarianti operatori, ciò che resta come struttura fonda- mentale rispetto a ciò che varia, o può variare, come dettaglio contestuale. È un sapere pragmatico che si appoggia su un processo di decontestalizzazione e di elaborazione di schemi o modelli che hanno carattere più generale, più astratto. 4) La quarta fase concerne il trasferimento degli schemi operativi o dei modelli elaborati nel contesto di una nuova situazione o di un nuovo problema. È il momento della ricontestualizzazione. Più la nuova situazione è simile a quella precedente più il processo è agevole (fino ad essere automatico). Più essa è distante più sarà grande l’impegno di trasformazione e di “accomodamento” degli schemi o modelli d’azione già elaborati. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 3 8 7. Conclusione Da questa sommaria carrellata di proposte di modalità operative si possono trar- re vari spunti per identificare alcuni principi di metodo, principi che devono gui- dare ogni pratica formativa che sia diretta alla promozione di competenze educa- tive, culturali e professionali in stretta relazione con esperienze di lavoro.. Primo principio. Le competenze si sviluppano in contesti nei quali l’allievo è coin- volto direttamente o indirettamente in un’attività sia di studio, sia di lavoro che lo coinvolge più o meno profondamente, ma che comunque ha per lui un senso. Il coin- volgimento diretto implica la messa in atto di una vera e propria dinamica che parte da uno stato motivazionale per elaborare un’intenzione d’azione e una gestione della sua realizzazione valida ed efficace. Il coinvolgimento indiretto riguarda la cosiddet- ta esperienza vicaria, cioè l’interiorizzazione di una modalità d’azione, che è stata messa in opera da altri e che può essere rievocata in circostanze simili. Si tratta in ogni caso di una costruzione significativa e stabile di conoscenze, di abilità e di atteg- 3 9 APERTURA DEL SEMINARIO Concettualizzazione dell’esperienza e costruzione di schemi interpretativi e operativi Esperienza vissuta Ritorno alla pratica: trasferimento e contestua- lizzazione degli schemi operativi Esplicitazione e narrazione dell’esperienza Apporti d’esperienze e di concetti ulteriori Apporti di conoscenze teoriche App App App Fig. 3 - Il ciclo di un apprendimento basato sull’esperienza. Adattamento da Le Boterf (2000, p.85). giamenti che sono facilmente aperti a una loro mobilizzazione e valorizzazione nel contesto dell’attività scolastica ed extrascolastica. Secondo principio. La progettazione di un’attività formativa diretta allo sviluppo di competenze di questo tipo implica, da una parte, la individuazione delle carat- teristiche e delle componenti di una specifica competenza e, dall’altra, l’effettua- zione di un bilancio delle competenze già acquisite da parte del soggetto. Dal con- fronto tra questi due riferimenti è possibile elaborare un progetto formativo, che assuma la forma di una orchestrazione di esperienze di lavoro, incluse forme di stage, tirocinio e alternanza, e di una sistematica stimolazione alla riflessione su di esse in vista di una loro concettualizzazione e comparazione critica, di guida alla costruzione di schemi interpretativi e operativi aperti a nuove contestualizzazioni più o meno impegnative. Terzo principio. Se è importante sollecitare, guidare e sostenere l’attività riflessi- va, interpretativa, di concettualizzazione dell’esperienza e di ricontestualizzazione, è altrettanto importante tener conto della necessità di nutrire la componente moti- vazionale e volitiva dell’azione. In particolare occorre sostenere: la percezione di autodeterminazione, cioè il senso di essere all’origine della proprie scelte e delle proprie azioni; la percezione di competenza nello svolgere le attività proposte, il sentirsi capaci di portare a termine i compiti affidati o scelti; il senso di progres- so, il percepire che attraverso il proprio impegno si migliora in qualche compo- nente della competenza intesa; una percezione più chiara del significato della com- petenza sviluppata e del suo ruolo nella vita attuale e/o futura, cioè un’adeguata attribuzione di valore al raggiungimento dell’obiettivo formativo proposto; lo svi- luppo della capacità di gestire se stesso nel condurre a termine un’attività o un impegno con costanza e ferma decisione. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 4 0 2. NORMATIVA. PUNTI ESSENZIALI DI RIFERIMENTO 2.1 - Istruzione, Formazione, Lavoro, Welfare e Sviluppo: tra continuità e discontinuità Michele Colasanto Università Cattolica 1. Considerazioni preliminari. Il territorio: una rilevanza che cambia 1.1 La dimensione normativa Non c’è dubbio che il “territorio”, oltre ogni suo significato cangiante nelle tra- sformazioni economico-sociali, costituisca un riferimento prioritario per le politi- che formative. La legge costituzionale 3/2001, del resto, è punto di partenza, ma al tempo stes- so l’espressione di un processo che, per quanto riguarda l’attribuzione di compe- tenze alle Regioni anche dell’istruzione professionale - senza più alcuna possibilità di moratoria - oltre che della formazione, si era già avviato con la legge 59/1997 e i decreti Bassanini. In ogni caso tutto l’impianto del Fondo Sociale Europeo, recepito dall’ordinamen- to amministrativo regionale, ha come pilastro fondamentale il “bottom-up” e lo sviluppo locale è una delle tre linee trasversali che lo hanno segnato, con le pari opportunità e la società dell’informazione. C’è qualche incertezza, invero, per quanto riguarda la formazione continua, quanto meno quella aziendale, come ci ricorda una recente sentenza della Corte Costituzionale che riferisce questa atti- vità al sinallagma contrattuale. Questo processo si proietta, in prospettiva, nella legge 53/2003 e 30/2003, che peraltro si collocano anche esse in continuità con la normativa precedente, in par- ticolare il Pacchetto Treu e l’obbligo formativo previsto con la legge 144/1999. 1.2 Politica e politiche Proprio in ragione di questa declinazione del decentramento (o federalismo), ma in ragione anche dell’ambivalenza e parzialità che ormai caratterizzano con evi- denza l’attuazione della riforma, per quel che riguarda la formazione (ma non solo), occorre dare per scontato un suo esito plurale, per ragioni di carattere strut- turale (i diversi sistemi produttivi locali), ma anche per scelte politiche, più che evidenti in un percorso dove, lo si può verificare ancora nel pronunciamento della Conferenza Stato-Regioni sul secondo ciclo del 14 luglio 2005, non c’è omogeneità (non c’è mai stata) di giudizio sulla riforma stessa; e non c’è soprattutto una sua declinazione univoca nei contesti regionali, come dimostra la gestione dell’inte- 4 3 NORMATIVA. PUNTI ESSENZIALI DI RIFERIMENTO grazione tra scuola e formazione professionale: almeno due linee diverse, una lom- barda/veneta, se così si può dire, che valorizza la diversificazione delle filiere, l’al- tra emiliana, con il loro utilizzo contestuale (meticciato per riprendere un termine in voga), per quanto entrambe queste linee nascano dall’obiettivo di contenere la dispersione, e però si delegittimano “pubblicamente” l’un l’altra sotto il profilo della qualità e, alla fine, del successo formativo. In particolare la linea “emiliana” rimprovera ai percorsi di formazione professio- nale autonomi - il triennio così come è stato sperimentato altrove - di confermar- si canale separato per i giovani con maggiori difficoltà. 1.3 L’idea di sviluppo Inoltre da un punto di vista complessivo, della regolazione dell’intero sistema sociale, lavoro e formazione non possono che pensarsi in rapporto alla dimensio- ne territoriale (locale). L’industrialismo aveva in sé forze propulsive di tipo omo- logante, produceva standardizzazione economica e sociale (almeno in via tenden- ziale). La società post-industriale è, per definizione, indeterminata nei suoi esiti, contiene formidabili fattori di omologazione, anch’essa, legati a ciò che chiamia- mo globalizzazione; ma esalta al tempo stesso i differenziali di ogni tipo legati ai contesti territoriali; genera internazionalizzazione, abbatte barriere, riconosce i “nomadismi” di carattere economico così come valoriale e sociale (le migrazioni), ma fa nascere o rinascere i localismi. È dunque rispetto alle ragioni vecchie e nuove che definiscono la rilevanza, le necessità, anzi di riferirsi al territorio, che possiamo affrontare il rapporto che for- mazione e lavoro hanno tra di loro e rispetto al territorio stesso; anticipando peral- tro la tesi di fondo che va tenuta presente e che è una tesi di discontinuità rispet- to al passato, anche se recente. Non smentisce l’intero dibattito, il consolidato di sperimentazioni, le acquisizioni concettuali acquisite; ma certo li supera, conferi- sce nuovi significati, propone soluzioni politiche e dispositivi istituzionali inediti. 2. Formazione, lavoro e sviluppo (nelle società locali) Prima ancora che non il lavoro, la formazione, come è noto, a lungo è stata posta in relazione con lo sviluppo, nel suo significato più ampio di progresso economico ma anche civile e sociale. 2.1 Più analiticamente, gli storici dell’economia anzi fanno intravedere che la lunga durata su cui viene misurato lo stesso capitalismo e la sua evoluzione è intes- suta di questo nesso con l’istruzione e la conseguente qualificazione della risorsa o capitale umano che ne discende. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 4 4 Bonvicino da Ripa, autore di un De Magnalibus Urbis Mediolani, segnala come dato rilevante che verso la fine del Duecento a Milano erano presenti 70 pedago- ghi (pedagogii plures quidem LXX sunt numero). Ma un po’ dovunque nell’Italia municipale del medioevo la scuola costituiva un indicatore di vivacità economica. A Lucca, per fare un altro esempio, nel 1388 venivano assunti maestri di strada perché i fanciulli fossero ammaestrati bene nell’arte dell’aritmetica, affinché fos- sero poi “accorti e scaltri negli affari”. Ed esemplari sono le pagine che Carlo R. Cipolla dedica agli artigiani d’Europa che tra il Cinque-Seicento furono protago- nisti, con la loro diaspora per ragioni religiose o belliche da paesi come l’Italia o i Paesi Bassi o la Germania, di contaminazioni produttive con paesi meno avanzati tecnologicamente, facendo la fortuna di interi territori, ad esempio innescando la nascita della industria dell’orologio a Londra o a Berna. Per venire ai giorni nostri, a partire soprattutto dagli anni ‘90, la discussione sul rapporto tra istruzione crescita e sviluppo è ripresa in seguito all’emergere della società della conoscenza come esito della post-modernità e dei processi produttivi post-industriali; una società (quella della conoscenza) dove con evidenza ciò che più conta è la partecipazione ai processi di apprendimento: tramite tali processi non solo si accede alla conoscenza accumulata, ma si partecipa (o si dovrebbe par- tecipare) ai processi di produzione di nuova conoscenza (Rullani, L’economia della conoscenza, Carocci, 2004). Parimenti si sostiene che nella società (e nell’economia) della conoscenza lo svi- luppo, il vantaggio competitivo, il valore economico è sempre più dipendente dalla conoscenza. Una affermazione, questa, ampiamente condivisa a livello internazio- nale e sostenuta dalle politiche tanto dell’Unione europea quanto dagli orienta- menti dell’Ocse, dell’Unesco, dell’Ilo. Per citare uno dei tanti possibili esempi, basti pensare come alla base dei più recenti documenti redatti dall’ILO venga posta l’immagine della società della conoscenza quale contesto di riferimento, imprescindibile per qualunque politica di sviluppo economico e sociale a livello locale, nazionale, internazionale. Si pensi poi al noto documento Apprendre et se former dans la société des savoirs (2000): esso ribadisce la centralità delle conoscenze e delle competenze, nonché a ben vedere delle risorse umane che ne sono portatrici, e sostiene che gli investimenti nei sistemi scolastico e formativo consentono di aumentare la produttività delle imprese, elevare il reddito delle persone e favorire la partecipazione di tutti alla vita economica e sociale. Sulla stessa linea d’onda si sono posti da tempo il Parlamento Europeo e Consiglio d’Europa e recentemente (COM 2004 493 definitivo del 12 luglio 2004) è stata presentata la proposta di revisione del Regolamento del FSE ai fini della nuova programmazione 2007-2013 che rafforza il legame tra tale strumento finanziario 4 5 NORMATIVA. PUNTI ESSENZIALI DI RIFERIMENTO dell’Unione Europea, la SEO e gli obiettivi dell’Unione in materia di integrazione sociale, istruzione e formazione, nell’ambito dei due obiettivi “Convergenza” e “Competitività regionale e occupazionale”. Ancora una volta si ribadisce con forza la centralità dei sistemi formativi ai fini dello sviluppo e la centralità della conoscenza che in essi viene prodotta, diffusa, partecipata. Poiché la conoscenza “produce sviluppo”, si trasforma in “valore”, nella misura in cui può essere diffusa e condivisa. A consentire tale condivisione sono soprattutto quelli che Rullani chiama i media- tori cognitivi: teorie, convinzioni, significati che incorporano ogni nuova esperien- za compiuta nelle strutture cognitive attraverso cui rappresentiamo il mondo esterno e noi stessi. Mediatori cognitivi che vengono sviluppati dentro, ma anche inevitabilmente fuori dal sistema formativo. Questo alla fine è lo scenario proposto da Lisbona con le sfide lanciate per fare del- l’economia europea la più competitiva a livello mondiale, salvandone però al tempo stesso lo specifico modello (il “sogno” dell’americano Rifkin) di coesione sociale; promuovendo per tutti l’accesso alla formazione; garantendo in misura adeguata lavoro decente per quantità e qualità. In questo contesto i problemi da affrontare sono sostanzialmente due: a) adegua- re i sistemi di istruzione, integrando soprattutto scuola e lavoro perché da questa integrazione dipende la possibilità di innestare un circolo virtuoso, un processo di capitalizzazione tra conoscenze contestuali e conoscenze formali; b) disporre di un sistema sociale orientato al conseguimento di entrambi e cioè caratterizzato dalla presenza di un livello sufficiente di capitale sociale (cioè relazioni sociali coopera- tive, di natura fiduciaria, sensibili ai beni collettivi, anzi, al bene comune), consa- pevole che di questo capitale sociale fa parte con evidenza una cittadinanza atti- va come capacità di partecipazione. Tutto questo vale in via generale, ma si costruisce per esperienza storica su base locale, cioè sul territorio o meglio sui singoli territori con il loro carico di vincoli ma anche di opportunità. Non a caso a lungo il paradigma socio-produttivo di rife- rimento è stato, nell’esperienza italiana, ma non solo, quello dei distretti, che con- sentiva di cogliere la valenza delle variabili storico-culturali, quelle sociali e quel- le produttive. Rispetto a questa problematica, e ragionando per livelli di analisi specifici, stru- menti di spiegazione e orientamento delle politiche formative, è possibile fare rife- rimento a due ambiti concettuali ma anche operativi per più aspetti prioritari, su cui non a caso disponiamo di un più elevato consolidato di esperienze: • la misura della qualità dell’istruzione e della formazione; • i fabbisogni professionali. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 4 6 2.2 La qualità dei sistemi di istruzione e formazione Generalmente, e genericamente spesso, il capitolo sulla qualità si apre con il tema della valutazione, che in Italia appare peraltro in ritardo e con una sorta di para- lisi istituzionale per le implicazioni che le si vogliono (o non) riconoscere sulla car- riera dei docenti e per la tensione tra valutazione esterna ed interna, valutazione delle politiche e valutazione degli apprendimenti. È un’impasse alla quale si sot- traggono alcune esperienze locali e l’azione di alcuni soggetti: di interesse è certo, a questo riguardo, la proposta per l’accreditamento interno avanzata dalla Confap in collaborazione con il Centro Studi Scuola Cattolica. Per superare queste difficoltà, è interessante e proficuo anche sul piano operativo rifarsi agli indicatori che sono stati collegati agli obiettivi di Lisbona e che riguar- dano, come è noto, la lotta alla dispersione, la produttività quantitativa e qualita- tiva del sistema, l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, gli studi tecnico/scientifici. Il benchmark rapportato a specifiche situazioni locali (è stato fatto ad esempio per il Trentino), ai dati nazionale e a quelli europei, fornisce pre- ziose indicazioni sui punti di forza e sui punti di debolezza di un determinato siste- ma formativo. Posizione del Trentino rispetto agli obiettivi del processo di Lisbona (a) Questo dato comprende anche coloro che hanno conseguito la qualifica all’interno della forma- zione professionale triennale. Il dato relativo ai soli diplomati è 66.4%. 4 7 NORMATIVA. PUNTI ESSENZIALI DI RIFERIMENTO 1) Percentuale di popolazione 18-24enne che ha concluso al massimo la scuola secondaria inferiore non impegnata in attività di istruzione e formazione - 2004 2) Percentuale di 20-24enni che hanno completa- to almeno la scuola secondaria superiore (Isced3) - 2004 3) Percentuale di alunni con basse competenze di lettura (fino al I livello nella scala PISA) - 2003 4) Percentuale di popolazione 25-64enne che ha partecipato ad attività di istruzione e formazio- ne nelle 4 settimane antecedenti l’intervista - 2004 5) Percentuale di popolazione 30-35enne in pos- sesso di laurea tecnico-scientifica 10 85 decremento del 20% 12.5% 15.9 76.4 19.8 9.4 20.1 69.9 23.9 4.7 4.2 12.2 85.3 (a) 3.7 8.2 3.2 TrentoItaliaEU 25Benchmark 2.3 I fabbisogni professionali È questo uno strumento presente ma poco utilizzato anche perché per più versi lontano dall’avere acquisito la sistematicità e l’organicità di altri Paesi, in specie quella inglese e quella francese. Ciò non toglie che anche in Italia non si possa accedere a esperienze - specie su base locale - ma anche di carattere nazionale, non del tutto soddisfacenti, ma che tuttavia consentono di valutare in qualche modo le dinamiche occupazione/for- mazione. Il sistema di Borse del lavoro regionali, previsto dal Ministero del Lavoro e già sperimentato in alcune realtà, come la Lombardia, sarà un passo in avanti non irrilevante. Ad oggi la scelta operata nel nostro Paese è stata quella di sostenere lo sviluppo di due fondamentali direttrici di osservazione, che non risultano appunto ancora pie- namente raccordate tra di loro: quella dei fabbisogni professionali e formativi veri e propri, da un lato; quella della domanda di lavoro e delle sue caratteristiche, dal- l’altro. Ciò che dunque si è cercato di promuovere in Italia, attraversando successive fasi di sviluppo, è stata la realizzazione di un ampio e complesso sistema di osservazio- ne che si incentrasse su una molteplicità di indagini promosse a livello nazionale e locale, supportata a propria volta dalla messa a regime di un sistema informativo in grado di fornire indicazioni quantitative sulla domanda di lavoro e di formulare previsioni almeno di breve termine circa i trend che caratterizzeranno i principali aggregati occupazionali che compongono la struttura professionale del Paese. A partire dall’Accordo del luglio ‘93, e attraverso anche il riconoscimento attri- buito dal Patto del lavoro del ‘96, l’osservazione dei fabbisogni ha preso concre- tamente avvio su impulso del Ministero del Lavoro con una sperimentazione affi- data agli Organismi Bilaterali e ad Unioncamere (Isfol, 2004). Con la legge 236/93 sul finire degli anni ‘90 sono state finanziate delle indagini nazionali spe- rimentali condotte da 7 Oo.Bb. (Agriform, agricoltura; Ebnt, turismo; Mastermedia, ICT; Chirone 2000, trasporti; Enfea, PMI; Enbicredito, credito; Coop-form, filiere agroalimentari e distribuzione, servizi sociali). Con la programmazione 2000-2006 dei Fondi strutturali, così come previsto nei PON Ob. 3 e Ob. 1, le iniziative hanno preso nuovo impulso, in triplice direzione: • è proseguita, con indagini nel triennio 2000-2003, l’esperienza di osservazione da parte degli Oo.Bb.; • è proseguito, altresì, lo sviluppo di iniziative a carattere locale, regionale e pro- vinciale; • soprattutto, è stata attivata (con D.m. 13/I/04 del 18 gennaio 2004) una cabi- na di regia a cui è stato assegnato il compito di indirizzare, coordinare e valuta- re l’insieme delle iniziative per il miglioramento del sistema. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 4 8 Nonostante tali sforzi, sulla scorta del quadro sin qui tracciato si comprende come le esperienze di analisi dei fabbisogni professionali e formativi sviluppatesi nel nostro Paese fin dai primi anni ‘90 scontino ancora rilevanti elementi di debolez- za, che si manifestano soprattutto nel momento in cui si volesse - e si tratta appun- to di un tentativo attualmente in corso - portare a sistema l’eterogeneità delle ini- ziative in atto o già concluse. Ma il punto non è questo. Gli elementi di difficoltà e ritardo che caratterizzano questo aspetto delle politiche del nostro Paese non impediscono di prendere atto di una serie di fenomeni di particolare interesse per organizzare e migliorare l’of- ferta formativa e che la produzione in materia di fabbisogni mette in luce. a) Esiste in primo luogo un problema costituito dalla “qualità” della domanda di lavoro, ovvero dalla disponibilità sul mercato del lavoro di posti di lavoro quali- ficati. Secondo, nonostante tassi di occupazione che sono mediamente cresciuti in quasi tutto il Paese, la popolazione ha subito un invecchiamento molto intenso, che ha prodotto un sensibile calo della popolazione in età lavorativa; i giovani tro- vano ancora difficoltà ad entrare nel mercato del lavoro e le imprese, la cui pro- duzione è rallentata nel corso degli ultimi anni, non sembrerebbero riuscire ad esprimere una domanda consistente per profili lavorativi qualificati. b) Sotto il profilo quantitativo, l’analisi dei dati aggregati (Istat in particolare) fa emergere: • la persistenza nell’insieme della popolazione di un gap quanto alla qualifica- zione delle risorse umane tra il nostro Paese e i Paesi UE e OCSE; • segnali di inversione di tendenza però per quanto riguarda i più recenti flussi di offerta di risorse qualificate, che negli ultimi anni sono cresciuti in modo consi- stente a livello sia di diploma secondario che di laurea; questo incremento però non modifica il rapporto tra laureati nelle discipline tecnico-scientifiche e disci- pline umanistiche, che resta squilibrato a favore di queste ultime; • alcuni, più limitati segnali di incremento per quanto riguarda la domanda di risorse qualificate da parte delle imprese; la domanda si indirizza decisa- mente più sulle competenze tecniche (ingegneristiche, chimiche, farmaceuti- che, economiche) rispetto a quelle scientifiche; • il discreto vantaggio competitivo nel mercato del lavoro italiano delle perso- ne in possesso di laurea rispetto ai diplomati, inferiore però al vantaggio che hanno i laureati negli altri Paesi; • la forte segmentazione del mercato del lavoro a livello geografico tra Nord, Centro e Sud; • la penalizzazione della offerta di lavoro femminile qualificata nell’accesso all’occupazione ai livelli medio-alti, mentre l’intervento della formazione pro- fessionale produce esiti più omogenei tra i due sessi; 4 9 NORMATIVA. PUNTI ESSENZIALI DI RIFERIMENTO • la carenza di offerta di risorse umane con qualifiche intermedie, sia per quan- to riguarda il percorso post-obbligo (qualifica professionale), sia per quanto riguarda il percorso post-secondario (diplomi tecnici superiori, lauree brevi); questa carenza contrasta con il discreto interesse da parte delle imprese nei confronti dei livelli intermedi di professionalità. c) In ogni caso, pur in un quadro disomogeneo e parziale, mentre è possibile, gra- zie soprattutto ai dati prodotti dall’indagine Excelsior di UnionCamere, coglie- re alcune tendenze di fondo, si possono “confezionare” bilanci di domanda ed offerta, borsini delle professioni, che offrono indicazioni preziose quanto meno sugli scompensi esistenti tra domanda di lavoro e l’offerta e l’evoluzione di breve-medio periodo della prima. Evidentemente le caratteristiche strutturali del nostro sistema economico, basato in larga parte sulle piccole e piccolissime imprese, e su produzioni a tecnologia matura, e le scelte che vengono effettuate in termini di strategie aziendali non hanno favorito in passato e non favoriscono attualmente un deciso investimento strategico sulle risorse altamente qualificate. Dall’altra parte la limitatezza di pro- spettive occupazionali condiziona negativamente le scelte dei giovani, i quali non investono decisamente sui percorsi di studio; anzi l’accesso ai corsi di studio supe- riori è talvolta motivato, più che dall’interesse verso gli studi o dalle prospettive di occupazione più qualificata, dalla mancanza di occupazione con il titolo possedu- to. Ciò che sembra mancare, da parte dei giovani e delle imprese, è propria una forte idea di investimento sul proprio e altrui capitale di competenze. Le incerte prospettive professionali producono anche una dilatazione dei tempi del corso di studi, con il risultato di produrre un’età media molto elevata. Secondo gli ultimi dati di Almalaurea (indagine sui laureati 2005) l’età media dei laureati nel 2004 è di 27,8 anni. Ovviamente ci si riferisce ai corsi del vecchio ordinamento, in quanto i dati relativi ai laureati triennali del nuovo ordinamento (26,2 anni) non sono significativi, in quanto si tratta ancora in gran parte di studenti passati dal vecchio al nuovo ordinamento. Una spiegazione di questa situazione, al di là delle caratteristiche del sistema pro- duttivo, risiede anche nella mancanza di collegamento tra scuola e lavoro, che rende il passaggio dalla scuola al lavoro più simile ad un salto che ad un processo di transizione condiviso e graduale. La ridotta diffusione di stage e tirocini, la mancanza di un vero processo comunicativo tra scuola ed azienda, la parzialità del sistema di formazione professionale iniziale e la debolezza di quella continua sono tutti elementi che diminuiscono la propensione delle aziende ad avvalersi di risor- se umane qualificate, ma prima ancora, a monte, ad investire sull’innovazione. Occorre invece favorire una vera osmosi tra l’impresa ed i luoghi dove si produco- no le competenze, ovvero i centri di formazione, le scuole e le università. In que- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 5 0 sto modo è possibile promuovere un circuito virtuoso tra introduzione dell’inno- vazione in impresa e valorizzazione del capitale umano. La introduzione più dif- fusa di schemi di alternanza e la proposta di istituire dei poli tecnologici a livello secondario (all’interno di una organizzazione di rete), dove si incontrano struttu- ralmente la scuola, la formazione e l’impresa potrebbe ricreare quel circuito vir- tuoso di integrazione tra scuola e impresa caratteristico di alcuni storici istituti tec- nici e della formazione professionale regionale migliore. Altro aspetto da curare riguarda la formazione di professionalità intermedie tra la licenza media ed il diploma e tra il diploma e la laurea lunga. Le più recenti innova- zioni del sistema scolastico e formativo, quali l’apprendistato, i percorsi di istruzione e formazione professionale, l’istruzione e formazione tecnica superiore, le stesse lau- ree brevi vanno in direzione di colmare questo gap. Ma per il momento i numeri sono molto bassi, oppure si tratta di iniziative con prevalenti caratteristiche sperimentali. Infine l’ampiezza del deficit formativo della popolazione adulta richiede, come è noto, di richiamare l’attenzione, oltre che sulle iniziative rivolte prevalentemente alla fascia giovanile, sugli interventi rivolti a riqualificare la fascia adulta, occupata e non. La prospettiva dell’apprendimento permanente, richiamata con forza anche dall’Unione Europea, rappresenta la direzione verso cui indirizzarsi e la sfida degli anni futuri. 3. Le discontinuità emergenti Mettere a regime le implicazioni connesse con i tre ambiti appena evocati sarebbe già un fatto straordinario che segnerebbe il superamento delle vischiosità e dei ritardi che sono riconosciuti al sistema di istruzione e formazione del nostro Paese, posto che in ogni caso sembra esistere comunque una effervescenza delle istituzio- ni formative che tenta continuamente di compensare il deficit di azione politica e amministrativa. Tuttavia occorre prendere atto di una situazione ormai evidente: mentre la scuola, l’intero sistema formativo ancora combatte per gli obiettivi di modernizzazione che sono diventati parte della cultura degli addetti ai lavori quando non della stes- sa opinione pubblica, ecco che si fanno avanti fenomeni che configurano nuove discontinuità e quindi la necessità di nuove politiche. 3.1 La metamorfosi dello sviluppo La prima di queste discontinuità riguarda la categoria stessa dello sviluppo e la tipologia delle sue determinanti. Non è in discussione la rilevanza che è stata data al mix di variabili strutturali e culturali, ormai patrimonio comune della ricerca. Ma certo la globalizzazione, quanto meno l’accentuarsi dei processi di internazionalizzazione, mettono in evi- 5 1 NORMATIVA. PUNTI ESSENZIALI DI RIFERIMENTO denza una crescente incidenza dell’ambiente esterno, contro la convinzione legata alla prevalenza delle variabili endogene. Di fatto delocalizzazione, aggressività dei nuovi competitors internazionali, un più accentuato nomadismo (di conoscenze, culture, uomini, capitali, tecnologie) hanno in un certo modo ridimensionato il ruolo del capitale sociale, ritenuto una variabile esplicativa per più versi determi- nante, fino a rischiare di deprezzarlo agli occhi delle stesse comunità locali. Di contro, prende piede un’idea di sviluppo capace di misurarsi con i fenomeni appena accennati e di reagire soprattutto attraverso una più elevata creatività. Come sempre, le discontinuità in realtà recuperano e inglobano parte almeno di ciò che pre-esisteva: è un percorso di tipo evolutivo quello che è implicito nello svi- luppo, non necessariamente lineare, naturalmente, anzi frutto piuttosto di anda- menti ondulatori o quanto meno a scala. Ma è il nuovo mix che determina il cam- biamento, la presenza di nuovi fattori e il modo con cui i vecchi si intrecciano anche tra loro che segna la differenza. Sinteticamente sono le tre T, talento, tecnologia e tolerance che - si afferma - sono alla base dei nuovi “territori” di successo, dove la tecnologia è in realtà progresso tecnico legato alla ricerca e la conoscenza entra direttamente nei processi di pro- duzione. Non a caso l’impresa è definita come organizzazione cognitiva, che apprende, ma trasforma anche le conoscenze acquisite e le fa diventare parte della sua missione e della sua identità. La tolerance recupera a sua volta il valore della cultura, ma porta quest’ultima a misurarsi in particolare con l’apertura all’altro, al diverso; è una nuova forma di cosmopolitismo che già il “vecchio industrialismo” aveva sperimentato con suc- cesso, ma per le élite; che il più recente fordismo-taylorismo aveva subito con le migrazioni del “secolo breve” provocate dalla fame di operai della grande impre- sa; e che invece, attraverso la tolerance, per l’appunto, si fa quasi senso comune, diventa, può diventare, moneta valoriale corrente di una determinata società. Il talento, il terzo fattore, recupera il valore del fattore umano come risorsa, ma va oltre le nozioni di qualità del lavoro e di imprenditività, per collegare più stretta- mente queste nozioni all’istruzione, alla ricerca, alla cultura come coltivazione del bello oltre che dell’utile. La nuova “classe creatrice”, garante dello sviluppo, della sua quantità e qualità, è fatta di scienziati, ricercatori, insegnanti, ma anche arti- sti, musicisti, scrittori. È questo insieme che crea l’humus che è fatto tanto di qualità della vita quanto di qualità dell’istruzione e della ricerca: loisir e università, scuole e teatri. Anche in Italia recentemente il Censis ha disegnato una mappa delle realtà locali a più elevato svi- luppo che coincide con quello definito dagli indicatori della qualità della vita; è il qua- drilatero del “bene vivere”, la Toscana, l’Umbria, l’Emilia Romagna, le Marche. Dal punto di vista delle politiche dello sviluppo stesso un obiettivo generale è la ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 5 2 coltivazione di tutti questi fattori attraverso la contestuale crescita interna e attrat- tività dall’esterno, nel contesto di una nuova città ideale. Non viene meno la necessità di disporre di un capitale sociale, ma in primo piano va in scena quello umano, e il problema dello sviluppo diventa quello di integrare i talenti creativi nel tessuto sociale ed economico della città e del territorio in cui si trovano, in modo che essi vi trovino le condizioni per restare e contribuire alla loro crescita economica. 3.2 Le nuovissime politiche del lavoro Una seconda grande discontinuità che è importante rilevare riguarda il lavoro, il suo modo di essere. Una discontinuità che rappresenta in qualche modo l’altro volto della società creativa, la versione invero un po’ meno ottimistica e che viene di solito vissuta schizofrenicamente. Il lavoro, in particolare, sembra prigioniero di una serie di ossimori che rendono problematico l’utilizzo delle vecchie politiche dell’occupazione (quelle passive) come di quelle più recenti (le attive) che assumono come centrale l’offerta di lavo- ro, la sua qualificazione e il suo sostegno. Non a caso sta cambiando il concetto di occupabilità: sono gli ossimori del lavoro flessibile e sicuro; dell’anziano che si vuole attivo ma che deve lasciare il posto ai giovani; di questi ultimi che devono avere già esperienza per trovare lavoro… Più compiutamente, è noto che l’ingresso in quella che viene ormai comunemente definita la “società dei lavori” delinea uno scenario di pluralizzazione del lavoro sotto il profilo professionale e settoriale, della prestazione e della tutela. Si inde- bolisce il “compromesso fordista” di un lavoro a tempo pieno e indeterminato, garantito e stabile, definito nelle mansioni, nelle competenze e nella formazione necessarie per compierlo. In epoca moderna, tale tipo di lavoro funzionava sostan- zialmente come “istituzione regolatrice” in grado di stabilire la posizione sociale dell’individuo, condizionarne il livello di sicurezza e protezione sociale, l’accesso ai servizi, la capacità di consumo, perfino il godimento dei diritti di cittadinanza. Il passaggio alla società post-fordista segna invece lo sgretolamento di tale com- promesso, e della correlazione un tempo garantita tra lavoro stabile, inserimento relazionale solido, integrazione sociale e cittadinanza: vengono cioè meno i dispo- sitivi di protezione sociale legati al posto di lavoro; diventa più difficile progettare nel lungo periodo non solo la propria carriera, ma la stessa vita individuale e fami- liare; muta la posizione del lavoro nella società e nella biografia dei soggetti, con esiti ambivalenti e non scontati. Da un lato si registrano la professionalizzazione della struttura occupazionale (crescono i lavori ad alto contenuto di conoscenza ed autonomia), l’innalzamento del livello di qualificazione richiesto per l’accesso al mercato del lavoro, il miglioramento della qualità di molti mestieri; dall’altro si 5 3 NORMATIVA. PUNTI ESSENZIALI DI RIFERIMENTO evidenziano nuove linee di stratificazione sociale che segmentano il mercato del lavoro. Il diverso grado di flessibilità, di sicurezza dell’impiego, di tutela e prote- zione non solo disegnano un universo lavorativo estremamente eterogeneo, ma evi- denziano il rischio di irrigidire la disuguaglianza tra quanti possiedono le risorse per vivere la flessibilità (e tutto ciò che essa comporta anche sul piano esistenzia- le) come una opportunità e quanti invece la subiscono, restando intrappolati in circuiti di precarizzazione che diventano vulneranti non solo sotto il profilo lavo- rativo, risorse tra le quali spicca pur sempre l’importanza della famiglia. I problemi appena accennati fanno parte in realtà di un dibattito non proprio recente che data dagli anni ‘80 e attraverso il quale le politiche del lavoro si sono progressivamente affermate come politiche attive, come si è appena detto, carat- terizzate dalla centralità assegnata all’offerta. Il ruolo dell’istruzione iniziale e della formazione continua e permanente si è rive- lato ben presto come determinante in tali politiche. Ma è emersa altresì la neces- sità di un insieme di dispositivi tesi a sostenere anche per altra via l’accesso e la permanenza nel mercato del lavoro, attraverso in particolare gli incentivi per l’as- sunzione di disoccupati, in particolare giovani e quelli di lunga durata; la diffu- sione di sistemi di alternanza scuola-lavoro (tirocini, borse di lavoro, apprendista- to); il sostegno alla nuova imprenditorialità; l’informazione e l’orientamento. Questo complesso di misure, variamente sperimentato nelle diverse esperienze nazionali (e locali), oggi si configura rafforzato ma soprattutto ampliato nella direzione in cui si stanno muovendo tutte le politiche di welfare: una più marcata promozionalità che tende ad accrescere il protagonismo dei soggetti che si trova- no in situazione di marginalità o disagio sociale, attraverso forme di inclusione ottenuta prioritariamente tramite l’inserimento lavorativo. In via generale si trat- ta, come recentemente affermato dall’OCSE (OCSE, Extending opportunities. How active local policies can benefit us all, Parigi, 2005), di cercare “di cambia- re le condizioni nelle quali gli individui sviluppano il loro potenziale, piuttosto che limitarsi a migliorare la situazione di bisogno provocata da tali condizioni”. L’ambizione di queste politiche è di spostare l’accento da un approccio “corretti- vo” basato sui trasferimenti sociali, ad uno più “attivo” basato sull’investimento e mirato a massimizzare il potenziale degli individui perché possano diventare mem- bri autosufficienti e autonomi della società. In altri termini, l’obiettivo è quello di sviluppare un nuovo sistema di welfare che, partendo dall’esigenza di una revi- sione del suo impianto di sostenibilità finanziaria, finisce con il rivedere l’approc- cio tra welfare e cittadini sin dalle fondamenta di tale relazione. Tornando più precisamente al lavoro, questa prospettiva implica: • rinforzare le riforme che hanno l’obiettivo di favorire il passaggio dall’assisten- za sociale al lavoro, in particolare per le famiglie monoparentali, e per quanto ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 5 4 possibile per le persone affette da handicap; • migliorare l’assistenza sociale a chi già lavora, in particolare attraverso politiche mirate a rendere il lavoro più remunerativo e a migliorare le prospettive lavora- tive (di conservare il posto di lavoro e di carriera) per i lavoratori meno pagati; • rafforzare l’efficacia dei programmi sociali destinati alle persone che hanno minori possibilità di trovare un lavoro remunerato nell’economia di mercato attraverso misure che estendano la copertura dei programmi esistenti a tutte le persone in condizioni di bisogno, assicurando prestazioni adeguate ed evitando di fare del lavoro l’unica priorità delle politiche sociali; • promuovere la coerenza delle differenti politiche finalizzate a ridurre la povertà e l’esclusione sociale, anche attraverso la formulazione di obiettivi di lungo periodo. La convinzione di fondo, tanto nella job strategy dell’OCSE, quanto nella employ- ment strategy dell’Unione Europea, è che in ogni caso lavoro e welfare si compe- netrano e che l’approdo al primo costituisce sempre (salvo poche eccezioni) un miglioramento rispetto alla situazione di “assistenza”. Di qui un approccio alle politiche sociali definito di “attivazione” (activation policies) che punta, come già si è detto, il più possibile ad interventi diretti a sostenere l’auto- promozione delle persone in difficoltà attraverso le misure di volta in volta più ido- nee. È questo il senso di una nuova sfida per la società e la politica, che si traduce in una nozione di integrazione che riguarda l’istruzione e il lavoro, ma ormai anche le politiche sociali, fuori però da logiche assistenziali o di scambio tra reddito e lavoro. 4. La risposta delle istituzioni e della società A fronte di questo quadro composito, contraddittorio, ma anche ricco di opportu- nità, è certamente lecito attendersi una risposta da parte delle istituzioni e della politica meno incerta e riduttiva. È problema di risorse, come è noto, ma è anche problema di uso di esse, come testimoniano le recenti vicende legate al trasferimento dei fondi per il diritto dove- re dello Stato alle Regioni. Ma è anche problema di cultura politica e sociale, di orientamenti normativi meno legati e preoccupazioni di gestione, più esposte sul fronte dei cambiamenti e del loro governo, e, non da ultimo problema, di comportamenti sociali ancora più con- sapevoli del ruolo della società civile e delle sue organizzazioni, dei suoi soggetti. Non è detto che quest’ultima - la società civile - riesca là dove le istituzioni appaio- no in difficoltà. Ma è un fatto che le riforme, quando sono insufficienti, possono essere modificate, cambiate, almeno per alcuni aspetti, dalla società. Nel caso della formazione professionale il problema che condiziona molto è oggi quello delle risorse; visto che per altri aspetti, e pur nella parzialità della legge 53, 5 5 NORMATIVA. PUNTI ESSENZIALI DI RIFERIMENTO la qualità dell’offerta, l’evoluzione di parti significative di essa verso il modello agenziale, la rendono idonea ad affrontare le questioni che restano aperte sul fron- te delle politiche formative. Semmai c’è un problema di metodo da suggerire al decisore pubblico: non partire dall’implementazione delle riforme, ma piuttosto dai problemi che un determina- to contesto territoriale presenta, e su questi applicare la riforma come opportunità, piegandola piuttosto che irrigidire i problemi stessi dentro di essa. È in questa prospettiva che diventano rilevanti quattro temi: l’organizzazione del- l’offerta formativa, la programmazione, l’innovazione, il ritorno dalle competenze alla competenza. 4.1 L’organizzazione dell’offerta formativa C’è un caposaldo che ormai è un’evidenza empirica e che è costituito dal plurali- smo delle agenzie formative come costitutivo della differenziazione dell’offerta, indispensabile per ogni avanzamento sul fronte del successo formativo. È un plu- ralismo che deve però poter trovare forme organizzative appropriate, in cui ogni agenzia possa trovare una pienezza di ruolo. La rete è l’immagine oggi proposta con più insistenza ed è preferibile al modello dei campus che è con la rete stessa compatibile, se viene reinterpretato come uno dei suoi nodi. Naturalmente le rete non è un semplice sistema di comunicazioni di tipo “fer- roviario”; ha una sua qualche forma di identità, deve possedere qualche opportunità di autogoverno, come sembra emergere dall’ipotesi del distretto formativo. 4.2 La programmazione Anche per essa diventa determinante il pluralismo, se si vogliono attuare quei pro- cessi di governance, utili alla mobilitazione (e responsabilizzazione) delle risorse esistenti; ma utili anche a sostenere le debolezze delle istituzioni di governo di fronte alla complessità. Per questo sono preferibili modelli di programmazione ispirati al welfare plurale, dove è riconosciuta l’associazione alla formazione delle decisioni, piuttosto che negli stessi modelli di welfare mix, dove le istituzioni programmano e il plurali- smo pubblico/privato “gestisce”. La sfida semmai è che ormai non solo parti del sistema di istruzione e formazione, ma tutto questo sistema va riferito programmaticamente alla responsabilità delle Regioni. 4.3 L’innovazione Per le istituzioni formative, tutte, si tratta di abbandonare l’ottica meramente adat- tiva e sentirsi parte di quella società creativa che è il fronte dello sviluppo. I gradi sono diversi, le opportunità differenziate, ma le esigenze in ogni caso già non man- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 5 6 cano. Si tratta di prendere atto che l’innovazione è organizzativa, come hanno dimo- strato i CFP in questi anni, ma anche sociale quando si traduce in capacità di influi- re, orientare la domanda che proviene dagli studenti e dalle famiglie e quella stessa delle imprese, convincendole della necessità di investire in formazione. L’innovazione è, ancora, praticabile, quando nella rete si recuperano i centri di ricerca, le università e si sfruttano le opportunità di internazionalizzazione. L’innovazione ha bisogno di supporti e sostegni, è politica ma è anche capacità di leggere con intelligenza il mercato stesso: la diminuzione della domanda di for- mazione in un certo comparto, in un certo territorio, non è di per sé preludio al declino, ma può diventare occasione per un’azione di qualificazione, come mostra la ricerca educativa applicata al “mercato” dell’istruzione e formazione. 4.4 Dalle competenze alla competenza È un’affermazione che può apparire provocatoria, ma che ha un senso se appena si richiama il nuovo significato che sta assumendo l’occupabilità e il ruolo che viene assegnato alla persona nelle politiche di welfare to work. Non si nega il lungo e tormentato percorso che ha portato, tra l’altro, a fare delle competenze una base di legittimazione della “rivoluzione” dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. La questione è che il problema non va definito entro i confini delle competenze come acquisizione di skill oppure delle competenze come prodotto (standard) dell’attività formativa. Esiste anche la competenza, come ricorda Barnett (The Limits of Competence, Open University Press, 1994), competenza che è un insieme di meta- abilità mediante il quale il soggetto mobilita se stesso e la sua azione ed è quindi più coerente con l’idea di creatività; dall’altro, proprio perché chiama in causa la perso- na, essa così intesa ci aiuta a riproporre la centralità di quest’ultima nel percorso for- mativo, che dunque alla fine resta un processo, nella sua essenza, educativo. Non è questa, sempre più nella società che viviamo, un’affermazione retorica, un richiamo alla fine necessario per recuperare un minimo di senso all’agire dei forma- tori, che comunque con persone hanno a che fare, non con “prodotti” formativi. Gli ossimori del lavoro, le stesse nuove politiche di welfare richiamano forti capa- cità di autonomia e di identità. Dall’altra parte, le disuguaglianze si combattono offrendo opportunità; le differenze, che sono costitutive della persona, si possono affrontare solo attraverso il rispetto, come ricorda Sennett (Rispetto. La dignità umana in un mondo di diseguali, Il Mulino, 2004), che è riconoscimento di una condizione di interdipendenza e si traduce quindi nella valorizzazione delle capa- cità presenti in ognuno di noi, qualunque esse siano. Ma questa è un’opzione che ha un fondamento evidentemente valoriale e proprio per questo ha un enorme bisogno di educazione. 5 7 NORMATIVA. PUNTI ESSENZIALI DI RIFERIMENTO 2.2 - La riforma del sistema educativo in atto Valentina Aprea Sottosegretario Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca Vi ringrazio per aver saputo organizzare un momento così importante di riflessio- ne sul sistema di istruzione e formazione professionale legato al territorio, quindi legato a tutte le realtà sociali e imprenditoriali e, soprattutto, alle esigenze forma- tive dei ragazzi, dei giovani, che devono trovare nel sistema di istruzione e forma- zione un modo per realizzarsi, un modo per diventare cittadini attivi, un modo per costruire la propria personalità e per avere quelle competenze che devono sapersi tradurre anche in occupazione. In Europa i livelli di occupazione sono ancora bassi, sono molte le risorse umane, i cittadini, che non possiedono capacità lavorative tali da consentire il pieno inse- rimento nel mondo del lavoro. Questo ci fa comprendere come le nostre scuole prima, i nostri istituti di istruzione formazione professionale poi, possano garanti- re un’educazione alla cittadinanza attiva e solidale in una prospettiva di lifelong learning, di formazione permanente e di occupabiltà. È certamente una sfida alta. È per questo che ringrazio nuovamente voi e tutta l’istruzione professionale, che vede da sempre nel modello salesiano un punto di riferimento forte, non solo per quello che ha già fatto, ma per quello che sa fare: la ricerca continua dell’evolu- zione di un modello vincente che non si fermi, ma che sappia affrontare le nuove sfide. L’inizio dell’anno scolastico formativo del 2005/2006 rappresenta un momento delicato in quanto coincide con una fase strategica della Riforma. Nel mese di set- tembre ci siamo confrontati con le Regioni, le Province e i Comuni in sede di Conferenza Unificata per il secondo ciclo e per la prima volta, all’interno del dirit- to-dovere, principio innovativo che supera e ingloba il concetto di obbligo scola- stico e formativo, si sono inseriti a pieno titolo nel sistema educativo nazionale i percorsi di istruzione e formazione professionale. Più che di un reale confronto e di una vera collaborazione istituzionale, ci ritro- viamo troppo spesso a registrare contrapposizioni di posizioni pregiudiziali che certamente non aiutano, bensì complicano l’iter istituzionale e interistituzionale che invece dovrebbe essere uno strumento di forza del nostro sistema repubblica- no e in modo particolare del nuovo sistema educativo. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 5 8 Tuttavia abbiamo cercato di superare anche queste difficoltà aprendo dei tavoli tecnici istituzionali su cinque materie che voglio qui elencare proprio perché ci sia un ulteriore elemento di discussione sugli scenari possibili a partire dal 15 set- tembre, giorno in cui è stato espresso definitivamente il parere da parte della Conferenza Unificata sul decreto del secondo ciclo. A partire dai primi giorni di settembre sono stati attivati tavoli tecnici istituziona- li allo scopo di esaminare questo tipo di tematiche: 1) individuazione dei titoli di studio in uscita dai percorsi del secondo ciclo di istruzione e delle figure professionali. La spendibilità di questi titoli anche in relazione all’accesso all’università e/o alle professioni ( la delegazione del Governo comprende una rappresentanza del Ministero del Lavoro e del Gruppo che opera presso la Presidenza del Consiglio per l’attuazione del decreto legi- slativo 112 e per l’attuazione della legge 131. La questione riguarda, pertanto, non soltanto il Ministero dell’Istruzione, ma più soggetti istituzionali sia regio- nali che nazionali); 2) definizione di una norma transitoria di passaggio dall’attuale sistema al nuovo, anche attraverso l’identificazione di un percorso di trasformazione delle istitu- zioni scolastiche che tenga conto delle competenze regionali; 3) individuazione di procedure e criteri di luoghi istituzionali e di tempi definiti per assegnare le risorse finanziarie alla copertura dell’intero sistema formativo, nonché riprogrammazione del Fondo sociale europeo. L’obiettivo istituzionale è, infatti, quello di garantire la continuità di questi finanziamenti, le modalità sono tutte da definire in parte in Europa, in parte nel nostro Paese; 4) definizione delle quote di orario obbligatorie spettanti alle regioni e alle istitu- zioni scolastiche, con riferimento al livello di autonomie scolastiche e regionali; 5) definizione con tempi e modalità certe delle risorse umane e finanziarie per garantire l’esercizio delle competenze in materia di istruzione e formazione fis- sate dal riformato Titolo V della Costituzione. Il nostro sforzo si è concentrato sull’individuazione di modalità e di tempi per l’at- tuazione di tutte queste materie. Dal 7 settembre i livelli tecnici dei Ministeri, delle Regioni, delle Province e dei Comuni hanno cominciato a lavorare e si sono impegnati a consegnare al Governo e al Coordinamento degli Assessori regionali dell’istruzione e della formazione, un documento (13 settembre), che ha per oggetto un confronto nella seduta della Conferenza Unificata alla presenza dei Presidenti delle Regioni, del Ministro La Loggia, del Ministro Moratti. Anche questo passaggio è sicuramente ricco di nuove proposte di novità sul piano isti- tuzionale, ma proprio perché si tratta del livello più alto, le ricadute sul livello gestio- nale, sul livello didattico, sul livello delle risorse finanziarie non saranno secondarie. 5 9 NORMATIVA. PUNTI ESSENZIALI DI RIFERIMENTO Il percorso è stato proficuamente avviato nel 2003 con l’accordo in Conferenza Unificata, che ha consentito di attivare nell’anno scolastico 2003/2004 i percorsi di istruzione e formazione professionale, partendo da alcuni vincoli istituzionali, quali la durata triennale, la personalizzazione, la flessibilità in accordo alle esi- genze di ogni studente, la previsione di attività e le discipline attinenti sia alla for- mazione culturale generale sia a specifiche aree professionali, la possibilità di effettuare esperienze di alternanza scuola-lavoro, il rilascio di una qualifica pro- fessionale riconosciuta a livello nazionale ancorché i corsi fossero regionali. Ricordiamo inoltre, gli standard minimi formativi individuati con un secondo accordo siglato in Conferenza Stato-Regioni in data 15 gennaio 2005, che ci ha consentito per la prima volta di irrobustire sul piano istituzionale il versante cul- turale, quello delle competenze di base. È l’ultima tappa di questa intensissima attività sperimentale, quella del 28 otto- bre 2004 e la stipula dell’accordo sulla certificazione delle competenze che ci spin- ge ad ipotizzare di poter dare maggiore concretezza e stabilità a questi percorsi, nei diversi livelli, sia sul piano teorico culturale, come state facendo voi, che sul piano istituzionale, come stiamo tentando di fare noi. Con la piena consapevolez- za, inoltre, che benché ci possa essere un’istruzione e formazione di pari dignità dei percorsi liceali, previste all’interno dello stesso secondo ciclo, rimangono anco- ra molte sfide da superare e molti nodi da sciogliere. Sono sicura che gli Atti del vostro Seminario come sempre, ancora una volta, ci faranno fare un passo in avanti verso quella cultura del lavoro che passa attraver- so la prima formazione, ovvero l’istruzione e la formazione professionale finora negata al nostro Paese, ma che grazie a persone come voi potranno avere un esito positivo. Dobbiamo avere molto coraggio e andare avanti, anche se in questo momento è difficile trovare alleati così convinti come voi. Quindi io mi unisco a voi, sperando di raggiungere insieme i risultati che ci auguriamo ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 6 0 3. DIVERSIFICAZIONE DELL’OFFERTA FORMATIVA COME RISPOSTA ALLA DOMANDA DEI DESTINATARI 3.1 - Introduzione Maurizio Drezzadore Ente Nazionale ACLI Istruzione Professionale Ringrazio Don Bruno Stenco (cap. 6.1) che con il suo intervento ci ha richiamato i principi orientativi del nostro essere quotidianamente presenti nell’agire nella for- mazione professionale con vocazione educativa, con attenzione integrale alla perso- na, in stretto rapporto con la famiglia, anticipando in tal modo il cuore della rifles- sione di questo nostro pomeriggio. L’approccio che intendo dare al tema della diversificazione dell’offerta formativa come risposta alla domanda dei destinatari parte da un approfondimento sulle espe- rienze e sugli indirizzi che hanno caratterizzato l’agire della formazione professiona- le in questo ultimo decennio. Nella convinzione che tracciare un percorso che anno- da le vicende e le esperienze che ci sono state nella formazione professionale del pas- sato con i mutamenti attuali e con la discussione sul futuro, ci potranno servire a ricostruire con maggiore precisione l’identità di questo sistema e la sue caratteristi- che peculiari. La prima considerazione da fare è che la diversificazione è una ricchezza. Per gli enti storici di formazione (tanti tra noi hanno alle spalle trenta, cinquanta e più anni di esperienza formativa) si può dire che la diversificazione è stata una palestra di inno- vazione, dove dai tradizionali percorsi degli anni ‘80 si è passati alla sfida degli anni ‘90 con l’affermazione di modelli sempre più proiettati all’inserimento lavorativo. In tal modo qualificando la formazione professionale come attore di primo piano nelle politiche attive del lavoro e nei processi dello sviluppo locale, ma anche come sog- getto capace di dare una risposta differenziata alla domanda dei destinatari. Contrariamente ad altre istituzioni, in particolare quella scolastica, che è passata incontaminata ed indenne dentro alle trasformazioni economiche e sociali di questi anni passati, la formazione professionale ha saputo cogliere al meglio sia i muta- menti del mercato del lavoro che quelli dell’impresa ed anche quelli, molto più inci- sivi ed impetuosi, derivati dalle tecnologie e dalla società della conoscenza. Dentro a questi mutamenti, spesso impetuosi come ho detto, quattro motori hanno contribuito a dare una spinta alla differenziazione dell’offerta formativa. Il primo motore è riconducibile alle contraddizioni del mercato del lavoro che negli anni ‘90 si è contraddistinto per un elevato tasso di disoccupazione, per un crescen- 6 3 DIVERSIFICAZIONE DELL'OFFERTA FORMATIVA COME RISPOSTA ALLA DOMANDA DEI DESTINATARI te divario tra nord e sud e per una elevatissima percentuale di giovani disoccupati. In questo quadro si è sviluppata un’azione di attenuazione di tali squilibri, a cui la formazione professionale ha contribuito, introducendo profili corsuali più brevi e mirati, ammodernando notevolmente la tipologia delle proprie qualifiche, promuo- vendo azioni di accompagnamento all’inserimento lavorativo e dedicando una forte attenzione al successo occupazionale di tutti i propri percorsi di qualifica. Il secondo motore che ha spinto in modo innovativo la formazione professionale è stato l’estendersi dei contratti cosiddetti a causa mista: quei contratti cioè di appren- distato e di formazione e lavoro che, avendo all’interno una propria e specifica valen- za formativa, sono diventati validi strumenti attraverso i quali molti giovani hanno avuto modo di inserirsi nel mercato del lavoro. Anche qui la formazione professio- nale è stata in grado si proporre nuovi ed adeguati percorsi che, pur nella loro bre- vità, hanno consentito di fare da partner a molte aziende nella realizzazione della formazione esterna, e in alcuni casi, anche interna all’impresa. Anche in questo caso la capacità di stare al passo con i mutamenti ha consentito alla FP di diventare un attore significativo nel concorrere al perseguimento dell’obbligo formativo nell’ap- prendistato Terzo motore è stata la formazione continua. Anche in questo versante sono interve- nuti mutamenti fondamentali: si è passati da poche iniziative all’inizio degli anni ‘90 ad un segmento strutturato e presente, anche se ancora insufficiente, com’è oggi. Anche qui si sono affermate varie e diversificate azioni formative promosse dalle Regioni, sia beneficiando delle risorse nazionali della legge 236, sia utilizzando risor- se del Fondo Sociale Europeo, fino all’organizzazione dei percorsi individuali soste- nuti dai voucher, che presuppongono un’offerta formativa a catalogo erogata dagli enti di formazione. Recentemente si è profondamente modificata l’organizzazione dei soggetti gestori nell’ambito della formazione continua con la nascita dei Fondi Interprofessionali, la formazione dei lavoratori temporanei, la formazione per l’ag- giornamento dei dipendenti della pubblica amministrazione. Anche su questo ver- sante la FP è stata in grado di fornire qualificati interventi, significativamente orien- tati alle specializzazioni e che hanno intessuto un crescente rapporto anche di natu- ra culturale tra il sistema formativo e le imprese, al passo con la trasformazione sociale ed economica. Quarto ed ultimo motore della diversificazione è l’introduzione di una serie di norme di legge che hanno variato l’esercizio della funzione formativa: dall’obbligo formati- vo all’introduzione della formazione tecnico superiore, alla riforma Moratti, che introducendo il triennio della sperimentazione, ha riportato su degli standard e su degli obiettivi didattici diversi il tradizionale compito della FP. In entrambi gli scenari legislativi gli Enti di formazione di ispirazione cristiana hanno saputo costruire una nuova didattica per obiettivi ed un adeguamento orga- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 6 4 nizzativo che ha portato prima alla gestione dell’offerta biennale dell’obbligo for- mativo, poi all’organizzazione triennale dei percorsi per il conseguimento della qua- lifica nell’ambito del diritto-dovere all’istruzione ed alla formazione, ed infine, con il quarto anno, ai percorsi per il conseguimento del diploma formativo. Tutto questo proliferare di progetti e di percorsi formativi ha rappresentato la cre- scita di un grande patrimonio di innovazione e di flessibilità di cui gli Enti sono oggi portatori, ma tutto ciò rappresenta anche una grande occasione mancata. Una occa- sione nella quale non si è saputo portare tutto questo gran brulicare di esperienze alla costruzione di un vero sistema della formazione professionale in Italia, con il risultato che nelle Regioni oggi si ha una enorme frantumazione di attori e di pro- getti e la diversificazione è divenuta polverizzazione insignificante, ove operano i soggetti più insignificanti e dove proliferano i mestieri più diversi, dove l’enorme spesa di due settennati di risorse comunitarie si è dispersa in mille inutili rivoli. E allora, guardando all’interno di ognuna di queste fasi che hanno contraddistinto i mutamenti della formazione professionale, si intravedono poche luci e molte ombre. Si percepisce che il valore educativo della formazione professionale si è smarrito nella mera dimensione addestrativa, verso la quale l’hanno sospinta alcune scelte politiche degli anni ‘90, anni nei quali si sono progettati e realizzati percorsi di qua- lifica di un anno o addirittura di 6 mesi; si percepisce che in quegli anni la FP è stata espropriata delle proprie prerogative di essere soggetto di insegnamento tecnico e culturale; si percepisce che in apprendistato, ma più in generale nei contratti a causa mista, la formazione è diventata un inutile soprammobile, sovrastata dalle imme- diate esigenze dell’impresa e incapace di una vera innovazione didattica per cui gli abbandoni in questi percorsi sono elevatissimi. Anche la politica e i progetti di riforma hanno contribuito a questa inconcludenza, trascinando prima la formazione verso l’impresa, poi verso i giovani con percorsi for- mativi brevi, dopo ancora nel ridisegnare i percorsi di qualifica triennali. L’impressione che si ricava è che tutte le scelte politiche di questi anni abbiano avuto poca lungimiranza e siano state messe in campo per accondiscendere ai desiderata di questo o quell’interesse corporativo. Se pertanto guardiamo alle nostre spalle tro- veremo assieme alle stagioni della politica la stagione dell’obbligo formativo, quella degli IFTS, quella delle sperimentazioni triennali, e chissà quante altre stagioni brevi e caduche ci preparerà il futuro se non si smetterà di pensare agli ordinamenti in maniera puramente ideologica. Tutto questo disordine legislativo ha ulteriormente reso precaria la già provvisoria presenza della formazione professionale e ci rimanda ai temi di fondo a cui questo Paese non ha mai saputo dare risposta: ma la politica a che cosa crede serva la for- mazione professionale? Se serve a qualcosa, quale mestiere vorrebbe farle fare? Sono ormai 15 anni che gli Enti di formazione smontano e rimontano macchine organiz- 6 5 DIVERSIFICAZIONE DELL'OFFERTA FORMATIVA COME RISPOSTA ALLA DOMANDA DEI DESTINATARI zative complesse, inseguendo generiche disposizioni che mai dimostrano di avere una adeguata stabilità. Può sembrare un po’ provocatorio introdurre la discussione di questa tavola roton- da sulla diversificazione verso orizzonti così radicali, ma credo che da troppa diver- sificazione si rischia di essere disorientati. E perciò, senza avere la pretesa di costrin- gere nessuno a seguire questa pista, debbo ammettere che dopo tanti anni, sono profondamente convinto che senza porci le domande e darci le risposte di fondo rischieremo ancora una volta di costruire sulla sabbia. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 6 6 6 7 DIVERSIFICAZIONE DELL'OFFERTA FORMATIVA COME RISPOSTA ALLA DOMANDA DEI DESTINATARI 3.2 - Intervento tavola rotonda Maria Grazia Nardiello Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca Le riflessioni proposte dai partecipanti a questa tavola rotonda offrono molti spunti per un ulteriore approfondimento sul tema del pluralismo formativo. In proposito, vorrei richiamare il percorso che l’Accordo in sede di Conferenza uni- ficata 16 giugno 2003 ha avviato nel nostro Paese, con l’obiettivo di valorizzare e rafforzare l’offerta educativa di istruzione e formazione professionale. Il difficile lavoro degli Enti di formazione professionale “di qualità” comincia ad avere primi importanti riconoscimenti, come dimostra il perfezionamento del Decreto Legislativo n. 76 sul diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 5 maggio 2005. La sua applicazione, a partire dal- l’anno scolastico 2005/2006, dovrebbe costituire un tema da proporre all’atten- zione e alla considerazione delle famiglie, dei giovani, dell’opinione pubblica, delle Parti sociali e di tutti i decisori politici, in quanto è la prima volta che, nel nostro ordinamento giuridico, viene riconosciuto alle istituzioni formative un ruolo di effettiva pari dignità rispetto alle istituzioni scolastiche. Il concetto di istituzione formativa non esisteva, infatti, nel nostro previgente ordinamento. Le istituzioni formative hanno, ora, bisogno di essere concretamente configurate sotto il profilo giuridico con la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, nell’ambito dei quali va codificata la loro soggettività istituzionale e la loro auto- nomia didattica, organizzativa, finanziaria, di ricerca e sviluppo, che già appar- tiene alle istituzioni scolastiche, seppure con alcuni limiti da superare. A questo fine, la spendibilità nazionale dei titoli e delle qualifiche, rilasciate a con- clusione dei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale di cui al richiamato Accordo, costituisce un primo importante risultato, in quanto partia- mo da una situazione nella quale questo valore non è stato mai riconosciuto ai corsi di formazione professionale. Il decreto legislativo n. 76/05 costituisce il “filo d’Arianna” che collega le innova- zioni di questa legislatura con quelle introdotte nella precedente dalla legge n. 144/99 in materia di obbligo formativo che, con l’articolo 68, poteva essere assolto anche nella formazione professionale, oltre che nella scuola e nell’apprendistato. Dal 2002 l’Unione europea sta attribuendo un ruolo sempre più strategico (“Key to the future”) all’istruzione e formazione professionale e nessun Paese - tra quel- li più evoluti - ha un sistema di formazione professionale così fragile come il nostro. La transizione verso il nuovo sistema di istruzione e formazione professionale, auspicato dall’Ue e delineato dalla legge n. 53/03, non sarà né facile né breve, anche perché nel frattempo è cambiato, con la legge costituzionale n.3/01, l’ordi- namento costituzionale della nostra Repubblica e non sono stati ancora compiuta- mente definiti gli strumenti per attuarlo. La complessità e la difficoltà del percorso che abbiamo davanti non possono, però, indurci al disimpegno. Dobbiamo considerarle, invece, opportunità per sviluppa- re il dialogo tra i sistemi formativi e per innovare, perché ci sono i presupposti per proseguire il percorso di cambiamento che l’Accordo del 2003 ha avviato e che il decreto legislativo n. 76/05 ha sanzionato giuridicamente. I passi da compiere dovranno tenere conto della situazione internazionale, nazio- nale, regionale e locale esistenti. Non è possibile, infatti, fondare o rifondare un sistema educativo di istruzione e formazione e realizzare una programmazione rispettosa del pluralismo educativo, senza tenere conto dei retaggi e dei vincoli presenti. Nel passato, alcune situazioni sono degenerate a livello regionale proprio perché non si è avuta la consapevolezza dell’importanza di questi aspetti. Vorrei richiamare, ora, anche la necessità di sviluppare un forte sistema di istru- zione e formazione professionale in senso verticale, sino a livello terziario, con l’i- stituzione di percorsi non solo triennali per il conseguimento di qualifiche per ope- ratori professionali, ma anche quadriennali, per il conseguimento di un diploma professionale di tecnico, cui aggiungere un ulteriore anno per chi volesse prose- guire nell’università oppure uno o due anni per conseguire il diploma professiona- le di tecnico superiore. Non è possibile realizzare percorsi di soli 3 anni per accedere alla formazione supe- riore; occorre aggiungere un quarto anno, se vogliamo promuovere una formazio- ne dei giovani sempre più elevata. I dati relativi al monitoraggio dei percorsi IFTS dimostrano, infatti, che sono pochissimi i ragazzi che, provenendo dai corsi di for- mazione professionale, sono in grado di frequentarli. Quest’ anno ci sono le condizioni per cominciare ad attuare il quarto anno dei citati percorsi nelle Regioni che lo richiederanno. Da settembre 2006, quest’ opportunità potrebbe essere offerta a tutti gli interessati, ove fossero reperiti i necessari stanziamenti nella legge finanziaria 2006. Vorrei sottolineare che la Formazione Professionale è una competenza che la Costituzione ha attribuito alla esclusiva competenza delle Regioni. Ciò stante, molti si chiedono perché solo poche Regioni abbiano previsto ordinari stanzia- menti nei propri bilanci per sostenerne la realizzazione e lo sviluppo. La maggior ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 6 8 parte delle Regioni si avvale, infatti, soltanto delle risorse messe a disposizione dal Fondo Sociale Europeo e dal Ministero del lavoro. Alcune Regioni si sono trovate anche nelle condizioni di non poterle utilizzare pienamente per motivi diversi. L’incapacità di spesa è un problema che affligge gravemente i contesti territoriali più deprivati. Per questo, il nostro Paese è stato, sino ad oggi, un contribuente che ha conferito all’Ue più di quello che ha avuto. Se vogliamo un forte sistema di istruzione e formazione professionale dobbiamo quindi affrontare molti problemi connessi anche alla capacità organizzativa e gestionale di coloro che ne hanno la responsabilità, approfondendone le ragioni e i condizionamenti per sostenerli in uno sforzo di progressivo miglioramento. Nell’immaginario collettivo la formazione professionale viene quasi sempre asso- ciata ad una considerazione negativa di residualità e di marginalità. Questa visio- ne va superata per la crescita delle persone e per lo sviluppo del Paese. In applicazione del decreto legislativo n. 76/05, a partire da quest’ anno, le risor- se destinate alla formazione professionale dal Ministero del Lavoro e dal Ministero dell’Istruzione dovranno divenire stabili ed essere progressivamente incrementate. Anche tutte le Regioni dovrebbero assicurare la loro parte. Le istituzioni formati- ve vanno, inoltre, messe nelle condizioni di poter ricevere questi finanziamenti per tempo, in modo da presentare la loro offerta educativa ai giovani e alle loro fami- glie contestualmente alle istituzioni scolastiche. In estrema sintesi, diversificare l’offerta di istruzione e formazione significa rispet- tare le scelte e le vocazioni delle persone ed offrire nuovi strumenti per lo svilup- po economico e la coesione sociale in un contesto culturale sempre più multietni- co e plurale. Questo impegno, al di là dei diversi orientamenti ideologici, dovreb- be costituire una priorità per più legislature, anche allo scopo di sostenere lo sfor- zo di quanti, come voi, stanno operando per dare a questo Paese più opportunità per competere. 6 9 DIVERSIFICAZIONE DELL'OFFERTA FORMATIVA COME RISPOSTA ALLA DOMANDA DEI DESTINATARI 3.3 - Intervento tavola rotonda Anna D’Arcangelo Area Sistemi Formativi ISFOL Per avviare una riflessione sullo sviluppo di una offerta diversificata di istruzione e formazione iniziale è opportuno tracciare un rapido riepilogo della situazione della formazione professionale iniziale nel nostro Paese, in termini di modalità di partecipazione dei giovani in età di diritto-dovere. Dai dati emersi dall’ultimo monitoraggio che l’ISFOL realizza sulla base delle informazioni fornite dalle Regioni - riferito all’anno formativo 2004-05 - si rileva che oltre il 90% dei giovani nella fascia di età 14-17 anni è iscritto ai percorsi di secondaria superiore; una quota pari a quasi il 4% frequenta la formazione pro- fessionale, il 3% è coinvolto in percorsi di apprendistato (ma solo una ridotta per- centuale di essi svolge le attività di formazione professionale previste per legge) e poco meno del 4% non fruisce di alcuna opportunità formativa. Ciò significa in valori assoluti che oltre centomila giovani, e si tratta con ogni probabilità di un dato sottostimato, sono assolutamente esclusi dalla partecipazione al sistema edu- cativo - formativo. Va inoltre considerato che il 4,5% dei quindicenni non possie- de ancora la licenza media e che il tasso di dispersione nel biennio della scuola secondaria superiore continua a presentare valori preoccupanti. La situazione appena descritta testimonia che ad oggi l’accesso ai canali formati- vi è per molti giovani una strada accidentata e che il successo formativo non è un diritto ancora garantito a tutti i giovani cittadini, con gravi ripercussioni sulla con- figurazione dei loro percorsi di transizione al lavoro e della costruzione di un patri- monio di competenze di base utilizzabili per la vita sociale e per l’occupabilità. Non è un buon segnale che il 30% dei giovani 19enni non abbia ottenuto il diplo- ma secondario superiore e che circa un quarto dei giovani tra i 20 ed i 24 anni sia privo di tale titolo e non sia coinvolto in alcun intervento di orientamento o for- mativo. Ritengo che a seguito della legge 144/99 sull’obbligo formativo qualche passo avanti sia stato fatto. Mi riferisco alla costruzione delle anagrafi dei giovani, rea- lizzate o avviate (con modelli diversi e varietà di flussi informativi) in diverse Regioni prevalentemente al Centro-Nord, sia pure con livelli di implementazione e standard di risultato piuttosto diversificati. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 7 0 I centri dell’impiego, anch’essi con una forte diversificazione territoriale, special- mente tra Centro - Nord e Sud, hanno sviluppato la loro offerta di servizi di orien- tamento e di supporto per oltre 35.000 ragazzi, indirizzando le loro scelte forma- tivo-occupazionali: almeno 8000 giovani hanno potuto fruire di attività di tuto- raggio, ovvero di servizi personalizzati finalizzati al successo formativo. Segnali quindi positivi, ma non sufficienti per tracciare un bilancio soddisfacente per la lotta contro la dispersione formativa. La situazione che si viene oggi a determinare per la riforma del sistema di istru- zione e formazione professionale appare complicata, di difficile soluzione a breve termine. Molti sono i nodi da sciogliere ed investono il sistema di governo, le modalità di finanziamento, l’organizzazione dell’offerta sul territorio, le strutture e la risorsa docente ed, infine, i modelli derivanti da diverse strategie di politiche formative in materia. Come sempre il cuore del problema è rappresentato non tanto e non solo dalla con- cezione alla base del disegno della riforma e della revisione dell’impianto del siste- ma educativo e formativo, ma dalle condizioni che la rendono realmente applica- bile. Il monitoraggio svolto dall’ISFOL per conto del gruppo di partenariato istituzio- nale creato in seguito all’accordo di giugno 2003 per l’avvio delle sperimentazio- ni triennali, mette in evidenza alcuni aspetti. Primo tra questi la presenza di una domanda di formazione professionale consi- stente da parte dei giovani e delle famiglie, con oltre 66.000 giovani iscritti ai 3800 percorsi avviati a seguito del citato Accordo. Altro aspetto di rilievo per un ragionamento in prospettiva sulla applicazione della L. 53/03 è rappresentato dalla varietà di modelli e di tipologie formative realiz- zate con la sperimentazione. Descrivendo brevemente le tipologie: 1. il modello della formazione professionale, di durata triennale, gestito dai CFP, prevede l’uscita con un attestato di qualifica, la presenza di docenti apparte- nenti al CFP. È il modello più vicino alla pedagogia e all’organizzazione della formazione professionale; 2. una seconda tipologia presenta un modello misto, dove si riscontrano le mede- sime caratteristiche della precedente tipologia; la differenza consiste nella com- presenza dei docenti della scuola per l’insegnamento di competenze di base; 3. una terza tipologia è quella dell’integrazione, che a sua volta annovera una casi- stica molto variegata di progettazione dell’intervento formativo che va dall’in- tervento interamente co-progettato e cogestito all’arricchimento curricolare basato sulla flessibilità del 15% del monte ore. I giovani sono iscritti a scuola e l’esito in termini di certificazione è il diploma. 7 1 DIVERSIFICAZIONE DELL'OFFERTA FORMATIVA COME RISPOSTA ALLA DOMANDA DEI DESTINATARI 4. una quarta, infine, è stata realizzata per ora solo in Lombardia. Il percorso triennale può essere gestito negli istituti scolastici tecnici e professionali e nei Centri di formazione professionale; il percorso è basato sugli stessi contenuti e le strutture educative e formative sono tenute a seguire le medesime Linee d’in- dirizzo regionali. Tuttavia non è la diversificazione delle tipologie il principale aspetto problematico. Ritengo che la formazione professionale iniziale soffra da anni di carenze, che si possono richiamare in breve: disomogeneità territoriale nella qualità dell’offerta, un precario sistema di finanziamento a bando che non riesce a sostenerne la sta- bilità e la crescita, la mancanza di standard formativi che ne garantiscano la tra- sparenza e la riconoscibilità in termini di esiti e di certificazioni, la mancata costruzione di un percorso ulteriore, di tipo tecnico superiore, che possa dare il senso di una continuità formativa che al momento non c’è e che rende il percorso di formazione professionale poco appetibile per i giovani e le famiglie. È su questo terreno che si confronterà l’applicabilità della riforma in atto e il futu- ro della formazione professionale iniziale. Non è la prima volta che la formazione professionale iniziale vive una stagione di incertezza e di difficoltà; l’augurio è che si continui a lavorare perché non venga sottovalutata la formazione professionale quale opzione pedagogica e sociale per almeno due motivi: perché risponde ad una domanda di diversificazione dell’of- ferta realmente rilevabile (si pensi ai dati sugli iscritti prima richiamati) e perchè ha fatto della lotta contro l’esclusione formativa uno dei suoi obiettivi prioritari. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 7 2 3.4 - Intervento tavola rotonda Mario Tonini Federazione CNOS-FAP Centro Nazionale Opere Salesiane Formazione Aggiornamento Professionale 1. Le domande dei destinatari I giovani e le famiglie mostrano di preferire, in maniera crescente, la scuola secon- daria superiore e l’università; scelte alternative (apprendistato, formazione pro- fessionale iniziale) si attestano su percentuali molto contenute. 1.1. La domanda crescente di iscrizione alla scuola e all’università È pressoché unanime la sottolineatura di questo fenomeno nei più recenti rappor- ti o studi: Rapporto Censis 2004 «Se la piena scolarità è ormai diffusa in tutto il ciclo dell’obbligo, anche nella secondaria di II grado il trend crescente sembra essere confermato e addirittura rafforzato, nonostante l’abolizione della legge sull’innalzamento dell’obbligo sco- lastico: il valore dell’indicatore passa, infatti, dal 91,5% del 2002/2003 al 94% dell’anno successivo»1. Rapporto ISFOL 2004 «Il complessivo grado di partecipazione della popolazione italiana alle attività del sistema educativo e formativo è in crescita ormai da oltre un decennio, soprattut- to grazie ad un intenso processo di scolarizzazione delle generazioni più giovani avviatosi all’inizio degli anni Novanta. Negli ultimi anni, inoltre, il processo rifor- matore culminato con l’introduzione del diritto - dovere ad istruzione o formazio- ne sino al compimento del diciottesimo anno di età ha ulteriormente accresciuto, tra i giovani, il numero di quanti permangono nei canali formativi»2. CNEL - Consiglio Nazionale dell’economia e del lavoro «Studiare rende: in Italia, come all’estero, maggiore è l’investimento in istruzione, migliori sono le opportunità di trovare lavoro. Questa affermazione è confermata 7 3 DIVERSIFICAZIONE DELL'OFFERTA FORMATIVA COME RISPOSTA ALLA DOMANDA DEI DESTINATARI 1 CENSIS, 38° Rapporto sulla situazione sociale del paese, Franco Angeli, 2004, p. 141. 2 ISFOL, Rapporto ISFOL 2004, Tiellemedia editore, Roma 2004, p. 215-216. dall’andamento del tasso di disoccupazione, che diminuisce all’aumentare del tito- lo di studio»3. Alcuni dati del MIUR e dell’ISFOL esemplificano quanto sopra. • L’aspetto quantitativo della scuola statale (o della Repubblica)4 Con i suoi 7 milioni e 600 mila alunni frequentanti scuole statali, dall’infanzia alle superiori, - oltre 8 milioni e mezzo se si considerano anche le scuole parita- rie - e con circa un milione e 100mila unità di personale scolastico statale dipen- dente, il sistema scuola colpisce innanzitutto per l’impressionante grandezza dei valori che lo connotano. Se a questi semplici dati interni al sistema scolastico si aggiungono anche quelli relativi a tutte le altre persone che direttamente o indi- rettamente hanno con la scuola rapporti organici e continuativi, si può ancor meglio cogliere, sotto l’aspetto del mero dato dimensionale, tutta la portata e la rilevanza di un sistema pubblico che, con l’ulteriore riferimento a circa 17 milio- ni di genitori (senza considerare altri familiari che, soprattutto nella prima età dei minori, assistono e accompagnano), coinvolge quasi la metà della popola- zione nazionale. I tassi di scolarità5 dei giovani in età compresa tra i 15 e i 18 anni è in forte aumento: nel 2003/2004 si attesta al 82,5%. Nell’anno 2004/2005 la scolariz- zazione dei ragazzi di 15 anni è quasi totale (97,1%); si riduce, però, all’86% a 16 anni, fino ad arrivare al 69% per i 18. Va considerato, tuttavia, che parte di questi ragazzi potrebbero essere iscritti ad altra tipologia di formazione, avere già conseguito il diploma o essere in possesso di una qualifica professionale. • L’evoluzione della domanda di formazione professionale6 La formazione professionale raggiunge complessivamente oltre 900.000 utenti, di cui: - circa 140.000 impegnati nella formazione professionale iniziale, rivolta a gio- vani in uscita dalla scuola dell’obbligo; - oltre 180.000 nella formazione professionale superiore (2° livello e IFTS); ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 7 4 3 CNEL, Educazione e formazione, aprile 2005, pag. 4. 4 MIUR, La scuola in cifre 2005. 5 I tassi di scolarità si riferiscono ai giovani di 15 - 18 anni iscritti ad un qualsiasi livello scolastico, esclusa l’università. Non sono compresi gli studenti di altri tipi di corsi (formazione professionale regionale ecc.). 6 I dati si riferiscono all'anno 2002/2003 e sono in ISFOL, Rapporto ISFOL 2004, Tiellemedia edito- re, Roma 2004. - più di 530.000 nella formazione continua (disoccupati, occupati, occupazione critica, apprendisti); - quasi 60.000 nella formazione per soggetti a rischio di esclusione. Gli apprendisti minori Una nota sugli apprendisti minori: il dato più recente riferito al totale degli apprendisti con età compresa tra i 15 e i 17 anni che risultano occupati al 31 ottobre 2003 fa riferimento a 44.051 unità. Rispetto all’articolazione per singo- le età va notato che la maggioranza di apprendisti minori ha compiuto 17 anni (56,9%), circa un terzo sono i 16enni (31,5%) mentre quelli che entrano in apprendistato a 15 anni rappresentano una quota residuale (11,6%). Un gruppo “al di fuori di ogni ambito formativo” C’è anche chi è “al di fuori di ogni ambito formativo”. Il Rapporto ISFOL 2004 quantifica intorno al 3,4% i 15-24enni che, ancora nel 2003, risultano essere in possesso al massimo della licenza elementare. Si tratta, in valori assoluti, di circa 220.000 giovani inseriti in situazione di estremo disagio sociale ed econo- mico, terreno fertile per fenomeni di devianza giovanile per lo più concentrati in specifiche aree del Paese. • La nuova proposta dei percorsi formativi triennali a partire dai 14 anni7 A seguito dell’Accordo quadro del 19 giugno 2003 tra Stato, Regioni e Autonomie locali, le Regioni hanno dato vita ad una offerta formativa speri- mentale organizzata in percorsi di istruzione e formazione professionale di dura- ta triennale e certificati, al termine, con una qualifica professionale riconosciuta a livello nazionale e corrispondente almeno al secondo livello europeo. Nell’anno scolastico 2004/2005 si sono registrati 3.448 percorsi di istruzione e formazione professionale, frequentati da 62.695 allievi. Le Regioni con il maggior numero di iscritti sono stati il Veneto (9.216) e la Lombardia (7.341). Rispetto alla prima applicazione dell’Accordo - quadro 2003-2004, i dati rile- vati dagli Uffici scolastici regionali e dall’ISFOL evidenziano un incremento del 59% degli allievi e del 52% dei percorsi. È largamente condivisibile la considerazione del MIUR: «In questo modo il nostro Paese ha avviato il processo di costruzione di un forte sistema di istru- zione e formazione professionale, che l’Unione europea considera una priorità 7 5 DIVERSIFICAZIONE DELL'OFFERTA FORMATIVA COME RISPOSTA ALLA DOMANDA DEI DESTINATARI 7 MIUR, La scuola in cifre 2005, Scheda 2 - Gli studenti, La scuola secondaria di II grado. per il suo sviluppo sociale ed economico nel quadro degli obiettivi fissati dal Consiglio europeo di Lisbona per il 2010»8. 1.2. La domanda della scuola e della fp cristianamente ispirata9 Tra le domande di istruzione e formazione va segnalata anche quella delle fami- glie che chiedono una formazione cristianamente ispirata sia all’interno della scuola paritaria che in quella della formazione professionale. Anche questa domanda è importante e non va soffocata. Il quadro fotografato dal Centro Studi Scuola Cattolica A fronte di una crescita di scuole e di alunni tra il 1980 e il 2000 in Africa, in Asia e in America (+ 30% delle scuole; + 32% di alunni), si registra un progressivo calo in Europa e, più in particolare, in Italia. Tra il 1980 e il 2000 in Italia le scuole sono diminuite globalmente di un quinto (-20,5%), quasi quattro volte più che in tutta l’Europa. Il CSSC nel 2003 registrava oltre 600.000 studenti che frequentavano le scuole cattoliche e circa 70 mila gli allievi che frequentavano i CFP della CONFAP. 2. L’offerta formativa Questo scenario, a giudizio di molti, presenta punti di forza ma anche punti di debolezza. La crescente scolarizzazione, divenuta “di massa”, è stata ed è ancora oggi ogget- to di analisi e di progetti di riforma per adeguare l’offerta alla domanda. È senz’altro positiva la scolarizzazione crescente. «Studiare rende: in Italia, come all’estero, maggiore è l’investimento in istruzione, migliori sono le opportunità di trovare lavoro»10. Ma l’organizzazione di una offerta di tali dimensioni sta mostrando oggi anche i suoi limiti. Scrive il prof. Chiosso Giorgio a proposito del rapporto tra titolo di studio e status sociale: «Ancora oggi questo modo di guardare alla scuola è assai diffuso. Molte famiglie sono convinte che il prolungamento degli studi dei figli sia associabi- le ad uno status più elevato. Ma questo è vero solo in minima parte: la scolarizza- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 7 6 8 MIUR, La scuola in cifre 2005, Scheda 3 - Istruzione e formazione. I nuovi percorsi di istruzione e formazione professionale. 9 CSSC - Centro Studi Scuola Cattolica, Dirigere e coordinare le scuole. Scuola Cattolica in Italia, Sesto rapporto, Editrice la Scuola, Brescia 2004, p. 212-214. 10 CNEL, cit. p. 4 zione “lunga” non dà alcuna garanzia assimilabile a quella del passato»11. Punti di forza e punti di debolezza del sistema formativo italiano, visti dal CNEL Tra le varie analisi che in questi anni di dibattito sono state compiute sui punti di forza e sui punti di debolezza del sistema formativo italiano, scelgo, per questa tavo- la rotonda, un passaggio tratto da un recente documento del CNEL, già citato. «Pur muovendosi da una posizione di ritardo rispetto al resto dell’Unione, l’Italia non ha conseguito tutti i risultati che ci si poteva aspettare ed è tra i paesi che hanno fatto meno progressi nello sviluppare la Strategia di Lisbona. Ne danno conto i parametri prescelti sulle tematiche dell’istruzione e della formazione: la dispersione scolastica raggiunge il 24% dei giovani; solo il 73% completa almeno l’istruzione secondaria superiore; la percentuale di allievi con competenze di base insufficienti è tra le più elevate; la quota di adulti interessati da azioni di forma- zione permanente è meno della metà della media UE attuale, circa 1/3 di quella». Come emerge anche dal recente Rapporto sul Mercato del Lavoro del CNEL, in Italia: • per quanto la quota di popolazione in età lavorativa in possesso di almeno un titolo di studio di scuola secondaria sia notevolmente cresciuta, il divario con la media degli altri paesi dell’OCSE non è stato scalfito. Le comparazioni interna- zionali lasciano un margine di incertezza nel campo dell’istruzione, ma nel com- plesso si può dire che la popolazione scolastica italiana è ancora poco istruita. • Solo poco più del 70 - 75% completa almeno l’istruzione secondaria superiore rispetto ad un obiettivo fissato a Lisbona dell’85%. A trend invariati di crescita sarebbero necessari vent’anni per conseguire l’obiettivo. • È particolarmente alta la dispersione scolastica, interessando quasi un quarto dei giovani, e l’uscita dal sistema scolastico tra i 15 ed i 16 anni è particolar- mente accentuata nelle regioni del Sud. • La misurazione delle competenze linguistiche, matematiche e scientifiche mostra che gli alunni italiani a livello di scuola elementare sono significativamente sopra la media, ma nei cinque anni successivi la situazione si rovescia. Gli studenti ita- liani presentano risultati sotto il dato complessivo dell’OCSE ed una scarsa pre- senza nelle situazioni di eccellenza. Lo svantaggio dell’Italia si accumula, dun- que, nel corso della scuola media e principalmente all’ingresso della secondaria. La situazione è molto variegata a livello territoriale, con performance nel Nord Est migliori di quelle degli Stati Uniti e, viceversa, peggiori nelle regioni del Sud dove fino ad un terzo degli studenti ha competenze acquisite insufficienti. Qui la 7 7 DIVERSIFICAZIONE DELL'OFFERTA FORMATIVA COME RISPOSTA ALLA DOMANDA DEI DESTINATARI 11 CHIOSSO G., Una storia all’insegna dello scuolacentrismo, in «Rassegna CNOS», anno 21, n. 2 maggio - agosto 20005, p. 110. bassa performance dell’apprendimento scolastico, la dispersione scolastica e i condizionamenti culturali dell’ambiente tendono mutuamente a rafforzarsi. • La distribuzione degli studenti per tipo di scuola secondaria dipende in buona parte dall’ambiente familiare di provenienza, secondo le risorse materiali, in ter- mini di spazi e mezzi per lo studio, ed immateriali che questo è in grado di for- nire. Tali risorse influenzano sia la performance scolastica sia il livello delle aspi- razioni. Esiste un problema di persistenza intergenerazionale nei livelli di scola- rità che riflette la persistenza nei livelli delle competenze. In altri termini vi è una sottile discriminazione a cui sono esposti i ragazzi provenienti da ambienti fami- liari più svantaggiati. • Per le donne ottenere un titolo di studio è un prerequisito per una partecipazio- ne al lavoro che diventerebbe altrimenti difficile e subalterna. Il tasso di parte- cipazione femminile è strettamente correlato al titolo di studio conseguito con differenziali molto ampi. Solo il 39% delle donne senza titolo di studio superio- re lavora contro il 61% delle diplomate ed il 79% delle laureate. Per una donna intraprendere un percorso di studi è la manifestazione precoce di una partecipa- zione al lavoro altrimenti non scontata. • Le ragazze mostrano una propensione agli studi maggiore di quella dei ragazzi, ma le giovani, a parità di titolo conseguito, hanno più difficoltà ad inserirsi. Infatti tra le ragazze sono più frequenti gli indirizzi di studio meno spendibili, ma anche le giovani che scelgono i titoli più favoriti sul mercato risultano svan- taggiate rispetto ai loro coetanei. In Italia come negli altri paesi, secondo i dati OCSE, le donne guadagnano meno degli uomini a livelli equivalenti di istruzio- ne; i differenziali possono essere ricondotti alle disuguaglianze nelle scelte pro- fessionali e di carriera, alla maggiore incidenza del part time, al minor numero di ore lavorate. • Nell’area dei diplomi la probabilità di trovare lavoro è decisamente più alta per chi ha una qualificazione specifica. Al contrario, nonostante il prestigio sociale e l’impegno richiesto, generalmente considerato maggiore, chi proviene dai licei e non prosegue gli studi è più in difficoltà, perché la qualificazione è più generica per una formazione sostanzialmente incompiuta. Per coloro che provengono dai licei e non arrivano a laurearsi è più alto il rischio di disoccupazione sia in età giovanile che in età più matura, di inserimento in posizioni di bassa qualifica, di condizione lavorativa di maggiore precarietà. Molti di coloro che vengono dagli istituti tecnici, provenendo da famiglie meno agiate, preferiscono non iscriversi all’università, per cui avrebbero capacità e titolo, e trovarsi un lavoro. Gli stu- denti che ottengono i migliori risultati accademici sono quelli che provengono dai licei, mentre quelli che incontrano le maggiori difficoltà sono gli studenti usciti dagli istituti professionali. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 7 8 • In Italia ci sono ancora pochi laureati ed i meccanismi di selezione sfavoriscono coloro che provengono da contesti familiari e classi di reddito medio bassi. Meno di un giovane su due arriva ad iscriversi all’università; tra i diplomati negli istitu- ti tecnici, anche con punteggio elevato alla maturità, soltanto una minoranza si iscrive all’università. Il tasso di abbandono in Italia è il più elevato rispetto a tutti i paesi dell’OCSE. Solo il 17% dei giovani di 25 anni riesce a laurearsi, ancora con forti differenziazioni territoriali a scapito del Sud. Nella comparazione internazio- nale siamo, in effetti, tra i primi paesi per quanto riguarda il conseguimento del titolo universitario di tipo lungo e tra gli ultimi in relazione a quello di tipo breve. La riforma dei cicli universitari con l’introduzione delle lauree triennali ha porta- to però ad un aumento delle immatricolazioni, dopo che nella seconda metà degli anni Novanta era progressivamente calata la propensione dei giovani ad iscriversi all’università. È cambiato radicalmente il panorama dell’offerta formativa acca- demica, che indirizza oggi le scelte dei giovani verso corsi di durata più breve e a taglio maggiormente professionalizzante. La minore durata dei nuovi corsi di lau- rea di primo livello, oltre ad anticipare l’età media di inserimento nel mercato del lavoro dei nostri laureati, dovrebbe produrre effetti positivi sulla dispersione e sulla regolarità dei percorsi di studio. La probabilità di successo nel conseguimento della laurea rispetto alla situazione precedente è cresciuta, ma rimane ancora molto con- sistente il tasso di abbandono. • Il nostro Paese mostra un fabbisogno crescente di offerta di lavoro con forma- zione universitaria, che possa favorire lo sviluppo della conoscenza scientifica e delle nuove tecnologie, fattori alla base della competitività internazionale del “sistema Paese”. Le lauree scientifiche e tecniche presentano rilevanti vantaggi sul mercato del lavoro; rispetto alle facoltà umanistiche danno luogo a tassi di occupazione più elevati, maggiore stabilità del lavoro, a più elevata probabilità di inserimento in realtà professionali all’altezza della preparazione e delle aspet- tative. È sempre più evidente, invece, un fenomeno di costante riduzione di inte- resse dei giovani per i percorsi universitari a contenuto scientifico. Appare diffi- cile infatti, in questo scenario, poter far fronte alla crescente richiesta del nostro sistema produttivo di ricercatori e tecnici di alta qualificazione scientifica, con l’inevitabile risultato di una perdita di competitività internazionale. • La maggiore propensione femminile ad iscriversi all’università dopo il diploma di scuola superiore è controbilanciata dalla maggiore presenza nei corsi indiriz- zati all’insegnamento e nel gruppo linguistico e psicologico che sono più deboli sul mercato del lavoro. Le donne sono, invece, poco presenti nei corsi di laurea che danno una maggiore probabilità di trovare un’occupazione stabile. Vi è, infatti, già in età molto precoce una tendenza delle ragazze all’autolimitazione ed una riluttanza a misurarsi con i saperi scientifici e tecnologici. È vero che nel- 7 9 DIVERSIFICAZIONE DELL'OFFERTA FORMATIVA COME RISPOSTA ALLA DOMANDA DEI DESTINATARI l’equilibrio tra i generi il paese non sfigura a livello internazionale. Secondo i dati OCSE, l’Italia presenta anche una posizione più favorevole rispetto agli altri paesi per quanto riguarda la percentuale di donne che raggiungono livelli di alte qualifiche nel settore della ricerca, come i dottorati. • Il campo della formazione professionale, con la sua articolata utenza di giovani, adulti in difficoltà (disoccupati e persone a rischio di esclusione), occupati, è in una fase di profonda trasformazione strutturale da vari punti di vista. Scontiamo un ritardo nella cultura della formazione, che ha determinato una limitatezza delle risorse investite sia dal settore pubblico che da quello privato. Un’area di criticità è data dalla formazione professionale indirizzata ai giovani: questo per- corso, proposto sulla carta di pari dignità rispetto ai canali alternativi dei licei tecnici e dell’istruzione professionale, va sostanziato con la trasmissione di sape- ri di base, trasversali, indispensabili per la costruzione di un adeguato capitale umano, che consenta, peraltro, la mobilità professionale a medio - lungo termi- ne. Stesso discorso vale per i tre livelli dell’apprendistato, di cui al decreto legi- slativo 276 del 2003, per i quali sono in corso di definizione gli interventi nor- mativi delle regioni sulla base del confronto delle parti sociali. Una seconda cri- ticità è data dalla formazione continua con la necessità di internalizzare per i protagonisti (lavoratori ed imprese) i benefici degli investimenti nei saperi, che diversamente non verrebbero effettuati. Vi sono, quindi, complesse questioni relative a: una governance con assetti istituzionali in evoluzione e una pluralità di soggetti che dovrebbero essere portati a cooperare tra loro senza sovrapporsi; il riconoscimento del valore nazionale delle qualifiche; la definizione del libretto formativo; la disponibilità di risorse anche dopo l’allargamento dell’Unione; la valutazione dei costi e dei benefici della formazione professionale. • Il nostro Paese registra una delle performance peggiori nella formazione perma- nente, dato dalla quota di adulti che partecipano a programmi formativi o di istruzione. Nella fascia tra 25 e 64 anni tale quota è per l’Italia pari al 4,2% (dati al 2003) molto inferiore rispetto al 9,6% della media UE, che, comunque, è da considerare insoddisfacente. Inoltre negli anni scorsi la posizione del paese si è andata deteriorando, con il valore dell’indicatore che è calato, a fronte di una tendenza all’aumento nel resto d’Europa. I paesi con una situazione più favore- vole sono quelli scandinavi e il Regno Unito, dove la quota va tra il 20 ed il 35%. Occorre tener conto che nei prossimi anni il nostro sistema paese conoscerà non solo un rapporto numerico più difficile tra attivi e pensionati, ma anche un mer- cato del lavoro caratterizzato da una maggiore presenza di lavoratori senior. Bisognerà, inoltre, recuperare un più elevato tasso di attività per i lavoratori sopra la soglia dei cinquanta anni. La formazione permanente assume un’im- portanza strategica per le fasce del mercato del lavoro, che, come le donne, ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 8 0 hanno frequenti ingressi ed uscite dal mercato del lavoro. La facilità di accesso a programmi formativi o di istruzione per gli adulti aumenta il tasso di attività, soprattutto nelle età avanzate, riduce la quota di disoccupati di lungo periodo, favorisce la mobilità occupazionale e la stabilità del rapporto di lavoro, rafforza la posizione degli occupati, la produttività e l’efficienza organizzativa dentro le imprese12. Il quadro tracciato dal CNEL è ampio ed articolato. Per le riflessioni che interessano questa tavola rotonda, tuttavia, ritengo utile aggiungere un aspetto che il CNEL non ha sottolineato: il livello di “produttività della scuola media”. Mi servo, per questo aspetto, di una riflessione di Domenico Sugamiele13. «Basterebbe analizzare i risultati della scuola secondaria di primo e secondo grado per constatare che il modello della “scuola unica” è un colossale fallimento. Serve un’analisi seria sui risultati della scuola secondaria altrimenti nessuna riforma avrà la forza di modificare l’attuale situazione che ha carattere di vera drammati- cità. E non basta aver istituito un Servizio nazionale di valutazione. La ‘produttività’ della scuola media, per esempio, è disastrosa e bisogna pren- dere coscienza che i risultati negativi dei quindicenni dipendono in larghissima misura da questo segmento di istruzione, nonostante il dibattito si concentri quasi esclusivamente sulla secondaria di secondo grado. La scuola media, nonostante assorba ingenti risorse finanziarie e umane, non è riuscita a svilup- pare un’organizzazione pedagogica e didattica capace di portare i ragazzi a risultati diffusamente positivi. Il 13% degli studenti è in ritardo di scolarità, circa il 40% è licenziato con “sufficiente” e il 30% con “buono”: valutazioni che portano gli stessi insegnanti della scuola media a ritenere che soltanto il 35- 40% degli studenti di terza media raggiunge pienamente gli obiettivi di appren- dimento fissati. Eppure la legge 517 del 1977 dava a questa scuola l’opportunità di organizzare l’attività didattica in modo da rispondere a bisogni, capacità, attitudini differen- ziati con la possibilità di utilizzare fino a 160 ore annue del curricolo che potesse- ro “comprendere attività scolastiche di integrazione anche a carattere interdisci- plinare, organizzate per gruppi di alunni della stessa classe o di classi diverse, ed iniziative di sostegno, anche allo scopo di realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni”. Niente di tutto ciò. La legge è stata pra- ticamente ignorata. È prevalsa l’organizzazione burocratica delle cattedre e delle 8 1 DIVERSIFICAZIONE DELL'OFFERTA FORMATIVA COME RISPOSTA ALLA DOMANDA DEI DESTINATARI 12 CNEL, cit. p. 5-9. 13 SUGAMIELE D., L'attuazione della legge 53 del 2003 tra innovazione e spinte conservatrici e cor- porative, in «Rassegna CNOS», anno 21, n. 1 gennaio - aprile 2005, p. 81-82. discipline per una offerta nazionale uniforme: tutti i giovani sono stati costretti ad apprendere con gli stessi strumenti, con gli stessi modi, con gli stessi tempi. Come se gli obiettivi di apprendimento e formativi possano essere raggiunti solo con la collazione diacronica dei saperi disciplinari, peraltro parcellizzati. Estendere que- sto modello a tutta la scuola secondaria, facendone una grande “Scuola media della socializzazione”, sarebbe deleterio perché aggraverebbe la già drammatica situazione attuale». 3. Il sistema educativo tra innovazione e nodi ancora da sciogliere Il dibattito sulle proposte di riforma del sistema educativo e le soluzioni legislative adottate o in corso di adozione hanno dato l’opportunità, anche agli Enti di forma- zione professionale, di riflettere su specifiche “questioni” quali gli aspetti pedagogi- ci e didattici della FPI, la differenziazione dell’offerta formativa, il pluralismo dei soggetti erogatori della formazione e di avanzare coerenti proposte sperimentali14. Del mondo della scuola sono stati ampiamente evidenziati i segni di malessere che si manifestano nel fenomeno dell’abbandono dei percorsi scelti, nella demotiva- zione, nell’assenteismo ecc., imputabili sia a debolezze interne alla scuola quali l’organizzazione didattica, lo stile di insegnamento, il contesto relazionale e comu- nicativo, il disagio dei docenti sia a influssi esterni quali il contesto socio - econo- mico, familiare e personale. Anche il sistema di formazione professionale sconta, d’altra parte, la vocazione ad intervenire nell’area della sofferenza scolastica, la residualità, la disomogeneità regionale e, soprattutto, il “non essere sistema”. In estrema sintesi, almeno tre sono state le questioni affrontate dagli Enti cui hanno fatto seguire proposte sperimentali coerenti. • La questione pedagogica e didattica Le riflessioni sulla condizione giovanile oggi e sulle nuove funzioni della scuola intesa in senso lato hanno fatto emergere la necessità di innovare le azioni peda- gogiche e didattiche, in risposta alle attuali sfide educative15. Facendo leva anche su un patrimonio storico legato agli sviluppi della formazione professionale di competenza regionale, gli Enti di formazione professionale hanno ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 8 2 14 BECCIU M. - COLASANTI AR., Lo schema di Decreto sul secondo ciclo: le risposte della riforma per l'adolescente di oggi, in «Rassegna CNOS», anno 21, n. 2 aprile - agosto 2005, p. 117-136; CAMPIONE V - FERRATINI P - LUISA R., Tutta un’altra scuola. Proposte di buon senso per cam- biare i sistemi formativi, Il Mulino 2005., p. 45- 64. 15 MALIZIA G. - NICOLI D., Lo schema di Decreto sul secondo ciclo tra conservazione e riforma. Un primo commento, in «Rassegna CNOS», anno 21, n. 2 maggio - agosto 2005, p. 26. puntato ad un rinnovamento delle pratiche pedagogiche, attraverso una metodo- logia - collocata entro un approccio formativo coerente - che mira non solo a ciò che un allievo sa, ma a ciò che “sa fare con ciò che sa”, fondandosi su una pre- stazione reale e adeguata dell’apprendimento che risulta così significativo, poiché riflette le esperienze reali ed è legato ad una motivazione personale. L’esito del processo formativo è dato dalle competenze che identificano non tanto una dota- zione data una volta per tutte e predefinita, quanto una disposizione particolare del soggetto ad essere protagonista della sua crescita attraverso un particolare pro- cesso formativo di riferimento. Questa proposta è andata ad affiancarsi e a distinguersi da una prassi pedagogica e didattica del sistema educativo italiano che, preso nel suo complesso, invece, risente di una forte connotazione culturale di tipo filosofico-umanistico ed è segna- to gravemente dalla scissione tra questo paradigma culturale e quello scientifico- tecnologico considerato non in grado di sviluppare appieno un processo educati- vo. La cultura operativa, poi, non viene neppure assunta come materiale utile per l’educazione e la crescita culturale, essendo concepita al più come “stage” ovvero occasione di pratica sostitutiva delle lezioni teoriche quando la persona sia consi- derata scarsamente intelligente. • La questione della differenziazione dell’offerta formativa Il più volte richiamato fenomeno della “licealizzazione” dell’istruzione tecnica e professionale e la dissociazione tra cultura e professionalità hanno fatto emergere l’esigenza di proporre un’offerta formativa in quegli aspetti di cui l’Italia era più carente, articolata in percorsi formativi che trovano nella cultura del lavoro il pro- prio giacimento educativo. Anche le ricerche sui fabbisogni formativi di lavoro e di professionalità delle imprese mettono in evidenza una richiesta, su base 100, di 60 giovani qualificati, 30 diplomati e 10 laureati ed altro; l’offerta attuale del sistema educativo è gra- vemente carente di figure qualificate che vengono surrogate attraverso la disper- sione scolastica ed i lavoratori immigrati, mentre i diplomati anche quelli profes- sionalizzanti risultano non raramente generici; da anni si assiste, infine, ad una caduta verticale di iscritti alle facoltà universitarie scientifiche e tecnologiche. «L’occupazione cresce in Italia grazie alle piccole e medio - piccole imprese che continuano a svolgere un ruolo sociale che merita rispetto e attenzione. Rispetto al 2004, il bilancio sarà più magro, per un totale di quarantamila unità: è il prezzo che le nostre imprese pagano alle difficoltà che sta vivendo l’economia. È un prez- zo salato, che comunque non fa che mettere ulteriormente in luce le trasformazio- ni in corso nel tessuto economico. Infatti, a trainare l’occupazione saranno le imprese più innovative e quelle presenti stabilmente sui mercati internazionali»16. 8 3 DIVERSIFICAZIONE DELL'OFFERTA FORMATIVA COME RISPOSTA ALLA DOMANDA DEI DESTINATARI L’organizzazione di una nuova offerta formativa, distinta ma non separata da quella dei licei, caratterizzata dall’aspetto professionalizzante, cioè in grado di dotare la persona di requisiti di competenza tali da consentirle di immettersi nel mercato del lavoro e delle professioni andava a colmare, pertanto, una lacuna nella gamma delle offerte. È questo uno degli aspetti compresi nella legge 53/03 che ha fatto maggiormente “sognare” gli enti di FP: l’organizzazione, anche in Italia, di uno specifico sistema di istruzione e formazione professionale dai 14 anni fino ai 21 anni, articolato in percorsi triennali, quadriennali e aperti alla formazione superiore e continua in un quadro di formazione permanente fino ad immaginare una “università del lavo- ro”, distinta da quella accademica. • La questione del pluralismo dei soggetti Anche i soli dati contenuti nel presente appunto evidenziano la “ristrettezza” dello spazio per una scuola e un sistema formativo non solo “della repubblica” ma anche “della società civile”. In molti ritengono necessario dare attuazione ad espe- rienze di “sussidiarietà orizzontale”, tali da potenziare quegli spazi in cui i sog- getti, che sono espressione della società civile, possano agire. Sotto questo aspetto i decreti attuativi della legge 53/30, in particolare il decreto legislativo concernente il diritto dovere all’istruzione e alla formazione (D.Lgs 76/05), sono apprezzabili in quanto aprono la strada, oltre che ad una pluralità di offerte formative, anche ad una pluralità di soggetti che sono coinvolti nell’or- ganizzazione dell’offerta: «il diritto - dovere si realizza nelle istituzioni del primo e del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, costituite - dalle istituzioni scolastiche - dalle istituzioni formative accreditate dalle Regioni […] - anche attraverso l’apprendistato […] - ivi comprese le scuole paritarie riconosciute ai sensi della legge 10 marzo 2000, n. 62, …» (Art. 1, comma 2). Gli enti ritengono che le risposte date alle questioni sopra esposte abbiano trova- to soprattutto nella partecipazione alla progettazione ed alla sperimentazione dei percorsi triennali e quadriennali in atto nelle varie Regioni una prima organica e innovativa proposta. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 8 4 16 UNIONCAMERE. PROGETTO EXCELSIOR, Rapporto Excelsior 2005, Sintesi per la stampa, p. 1. I percorsi formativi sperimentali, infatti: - scommettono sulla innovazione pedagogica e didattica I percorsi puntano in primo luogo alla centralità della persona all’interno dei pro- cessi che tali percorsi rendono possibili; questo significa porre il primato della risorsa umana - riferita ad una persona matura, responsabile, critica nel pensare, nel fare e nell’agire - come fondamento e condizione prima per lo sviluppo socia- le e quindi economico; puntano, in secondo luogo, alla unitarietà del sapere supe- rando la tradizionale gerarchizzazione e separazione tra theorìa e téchne, tenendo anche conto che l’attuale scenario della società cognitiva esige un processo circo- lare tra saperi, esperienze, educazioni nella prospettiva del lifelong learning; si muovono, in terzo luogo, nel solco della affermazione del valore pienamente cul- turale e quindi educativo dei percorsi di istruzione e formazione professionale e della loro pari dignità rispetto ai percorsi liceali; assumono, infine, la affermazio- ne della priorità dei compiti/problemi e dei progetti, piuttosto che delle discipline di studio, nella costruzione dei piani di studio personalizzati che mirano alla acquisizione di competenze che consentono alla persona di svolgere un ruolo atti- vo e protagonista nella realtà sociale e lavorativa. - Concorrono ad arricchire l’offerta formativa L’offerta dei percorsi triennali e quadriennali non si sovrappone ma arricchisce il ventaglio delle opportunità formative - di pari dignità e tra di loro equivalenti ai fini del perseguimento delle mete proprie del Pecup ovvero del diritto-dovere di istruzione e formazione - che si propongono al giovane specie dopo la conclusione del primo ciclo degli studi; la molteplicità delle opportunità formative consente potenzialmente una maggiore corrispondenza con le differenti caratteristiche cognitive, ma anche sociali dei giovani. - Concorrono all’affermazione di un modello policentrico L’offerta è erogata, in fase transitoria, anche da enti le cui sedi sono accreditate dalle Regioni ai sensi del DM 166/01 e a regime da istituzioni formative accredi- tate secondo livelli essenziali di prestazione definiti a norma dell’articolo 117 della Costituzione. Una articolazione, quella prefigurata dal D.Lgs 76/05, all’insegna di un modello formativo “policentrico” e non più solamente “scuolacentrico”, pur consapevoli che questo modello ha trovato e trova tanta resistenza ad affermarsi anche in Italia17. 8 5 DIVERSIFICAZIONE DELL'OFFERTA FORMATIVA COME RISPOSTA ALLA DOMANDA DEI DESTINATARI 17 CHIOSSO G., cit. p. 115. 4. I problemi aperti La proposta recente di innalzare l’obbligo scolastico, proposta peraltro già affron- tata nella precedente legislatura, quale correttivo ad aspetti specifici della riforma appare agli Enti un passo indietro rispetto all’ordinamento realizzato dall’appro- vazione del Decreto legislativo concernente il “diritto - dovere all’istruzione e alla formazione” (D.Lgs 76/2005). Varie sono le questioni da affrontare per dare compiutezza alla riforma. Una piccola sintesi del cammino che la riforma ha compiuto può aiutare a com- prendere la complessità delle problematiche ancora aperte. Cito ancora il prof. Chiosso: «Nei documenti preparatori della riforma l’ipotesi del secondo ciclo poggiava sulla convinzione che fosse giunto il momento, anche in Italia, di costruire un doppio percorso scolastico secondario capace, d’un lato, di soddisfare le attese sia dell’istruzione (con un forte impianto culturale generale con il completamento degli studi in sede universitaria o di formazione superiore) sia della professionalizzazione (con titoli coerenti a ruoli propri del mondo del lavoro e pari possibilità di accesso agli studi superiori). Il progetto era quello non solo di superare l’impostazione gerarchizzata tipica della tradizione scolastica ita- liana, ma anche di interpretare in modo coerente il dettato del nuovo testo del Titolo V …»18. Lo schema di Decreto legislativo del secondo ciclo al momento prevede, tuttavia, rispetto al progetto originario, due sottosistemi del tutto disomogenei: un forte sistema liceale e un debole sistema di istruzione e formazione professionale. «Mentre all’interno dell’istruzione liceale saranno assorbite tutte le forme scolasti- che tradizionalmente più qualificate (licei e istituti tecnici, questi ultimi attraver- so un ardito processo di “licealizzazione”), il settore dell’istruzione e formazione professionale continuerà a rappresentare un canale destinato a raccogliere gli allie- vi con maggiori difficoltà sul piano della socializzazione e dell’apprendimento»19. Almeno fino a questo momento, anche l’attuale riforma sembra, quindi, più cen- trata sull’obiettivo di razionalizzare l’esistente che avviare un vero processo di diversificazione dell’offerta. Senza addentrarmi in questioni che sono ancora oggetto di trattativa anche se fondamentali per l’attuazione della riforma (il com- pletamento del quadro ordinamentale, la definizione delle risorse a sostegno della domanda degli allievi, le misure per fronteggiare la disomogeneità regionali, l’a- dozione di appositi interventi formativi a favore dei giovani classificati “a rischio” …), mi limito a richiamare l’attenzione sui riflessi che si avrebbero, recependo la ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 8 6 18 CHIOSSO G., cit. p. 109-110. 19 CHIOSSO G., cit. p. 108. proposta di innalzare l’obbligo scolastico. Una simile proposta, almeno nell’immediato, porterebbe a riposizionare l’offerta formativa sul modello scolastico, già dominante e all’origine del malessere sopra indicato e a rimandare l’approccio alla cultura del lavoro e alla professionalizza- zione a tempi successivi all’obbligo scolastico; a ridurre il ventaglio delle offerte formative in quanto, con l’innalzamento dell’obbligo scolastico, si avrebbe in maniera quasi esclusiva l’offerta dei licei, col pericolo di creare una sorta di pro- lungamento della scuola media sulle cui lacune si è fatto cenno sopra, a scapito di una specifica formazione professionale iniziale che si sta, invece, rivelando idonea alla formazione della cittadinanza e base necessaria per l’affermazione di un siste- ma formativo che trova il suo sviluppo coerente nella formazione superiore, con- tinua e permanente; a ridurre gli spazi del pluralismo istituzionale. Un giovane fino a 18 anni avrebbe, infatti, le offerte organizzate nel sistema dell’istruzione liceale o dell’istruzione e formazione professionale di competenza delle Regioni o la via dell’apprendistato. L’offerta della formazione professionale sarebbe ridotta a svolgere, in questo arco di età, al più un compito di supplenza e di rimotivazio- ne di quei giovani in difficoltà presenti nel mondo scolastico. Sarebbe tolto agli Enti, in altre parole, la possibilità di una propria proposta formativa. Anche solo per questi motivi gli Enti spingono nella direzione del cammino intra- preso con l’ordinamento realizzato dall’approvazione del Decreto legislativo con- cernente il “diritto - dovere all’istruzione e alla formazione. 8 7 DIVERSIFICAZIONE DELL'OFFERTA FORMATIVA COME RISPOSTA ALLA DOMANDA DEI DESTINATARI 3.5 - Intervento tavola rotonda Fiorella Farinelli Comitato Nazionale IFTS Solo con la legge 144/1999 si arriva ad una prima rottura della diversificazione tradizionale dell’offerta formativa, contrassegnata com’è noto da: - un impianto fortemente gerarchizzato basato sul presunto maggior valore dei saperi culturali generalisti/umanistici rispetto a quelli tecnici; - una netta divisione tra attività formative più lontane dalla professionalizzazione e attività formative a ridosso del lavoro; - una validità legale/nazionale dei titoli dell’istruzione e una (incertissima) vali- dità solo locale dei titoli della formazione professionale; - insediamenti sociali e “di merito scolastico”, lungo la linea che va dai licei gene- ralisti alla formazione professionale, tendenzialmente coerenti con l’attribuzione del massimo valore ai primi e del minimo all’ultima. È infatti solo con “l’obbligo formativo” che si afferma la pari dignità dei diversi percorsi, la possibile equivalenza degli esiti formativi e la loro riconoscibilità ai fini della navigabilità - in orizzontale e in verticale - dell’intero sistema da parte dei soggetti, la sostanziale unitarietà del “sistema”, la necessità di mettere al centro della progettazione/pianificazione dell’offerta formativa la persona e la densità delle sue attitudini, propensioni, stili di apprendimento: in una strategia centrata sull’inclusione di tutti nel sistema educativo e sull’innalzamento dei livelli di istru- zione/formazione dei giovani. Elementi distintivi dell’impianto non sono solo l’affiancamento della formazione professionale all’istruzione e la filosofia del contributo congiunto dei due canali alla qualificazione dei giovani ma anche: • l’introduzione nel sistema educativo per i 15-18enni dei percorsi misti di for- mazione-lavoro che fanno centro sul lavoro ( apprendistato ); • l’attivazione degli IFTS - percorsi integrati di istruzione, formazione professio- nale, università, formazione /lavoro - come segmento alto di formazione tecni- co-specialistica di livello alto, alternativo all’università; • la centralità riconosciuta all’orientamento, inteso come sostegno di un servizio - “terzo” rispetto ai diversi percorsi formativi - alla elaborazione delle scelte dei giovani e delle famiglie. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 8 8 Si tratta di un disegno con evidenti bisogni di ulteriore implementazione e svilup- po (le 240 ore di formazione per gli apprendisti con meno di 18 anni, per esem- pio, sono solo un primo passo se raffrontato con le ben più mature e civili espe- rienze di altri Paesi Ue; l’orientamento sia interno alle strutture scolastiche sia esterno è tutto da costruire; bisognerà sviluppare i sistemi locali di formazione professionale per renderli adeguati ai nuovi compiti ecc.), ma la sua finalità è trac- ciata in modo sufficientemente chiaro e convincente. Dietro, ci sono le esigenze di fondo di una modernizzazione/democratizzazione del sistema educativo: - la necessità di contrastare un’esclusione formativa che, nel nostro Paese, ha i caratteri di una vera e propria emergenza, sociale ed economica: il 30% circa di 19enni fuori da ogni percorso formativo e privi di diploma o qualifica; una delle più basse percentuali di diplomati (42%), anche nelle fasce di età più giovani, dell’intera Unione europea; una consistenza di qualifiche professionali ricono- sciute che non supera il 10% nella forza lavoro attiva; - la necessità di dotare il Paese di un’offerta formativa che tenga finalmente conto della diversità di propensioni, interessi e attitudini, linguaggi e stili di apprendi- mento, “intelligenze”, dei giovani e che contrasti anche per questa via il caratte- re evidentemente patologico di un insuccesso scolastico non superato del tutto neppure nella scuola media (2,5% di uscite senza il conseguimento della licenza, e quindi senza possibilità di ulteriori proseguimenti formativi) e superiore di 10 punti circa alla media europea; - l’indispensabilità di soluzioni adeguate - nel quadro di un innalzamento per tutti dei livelli di istruzione e formazione, anche per consentire l’accesso alla forma- zione continua e permanente - anche per i giovani che, per bisogno, per scarsa motivazione all’apprendimento strutturato o per altri motivi - vogliono accedere prima dei 18 anni al lavoro; - l’importanza di una valorizzazione dell’apprendimento contestualizzato e dell’i- nevitabile intreccio tra sapere e saper fare in tutto il sistema educativo, inno- vando così anche le culture professionali e le impostazioni pedagogico-didattiche tradizionali che hanno responsabilità decisive nella demotivazione, nell’insuc- cesso scolastico, nell’esclusione formativa di tanti giovani. Una svolta, dunque, culturale e politica molto promettente, nonostante i limiti del quadro istituzionale di riferimento e altre difficoltà, interne ed esterne al sistema educativo, che emersero immediatamente. Successivamente, con la riforma del Titolo V della Costituzione, si spalanca un quadro di riferimento istituzionale che sembra poter tagliare alla radice alcune delle difficoltà strutturali dell’impianto dell’obbligo formativo. I due canali dell’i- struzione e della formazione professionale, che l’obbligo formativo si limita ad 8 9 DIVERSIFICAZIONE DELL'OFFERTA FORMATIVA COME RISPOSTA ALLA DOMANDA DEI DESTINATARI “affiancare”, possono nel nuovo contesto istituzionale diventare effettivamente parti di un sistema educativo unico capaci di coordinamento, integrazione, intera- zione reciproca. In effetti, sia pure con diversità significative, il quadro mantiene elementi di importante continuità anche nella legge 53/2003. La diversificazione dell’offerta formativa si accompagna all’affermazione della pari dignità dei canali e del prin- cipio della reversibilità delle scelte, il sistema diventa “di istruzione e di istruzio- ne e formazione professionale”, l’obiettivo dell’inclusione di tutti nel sistema edu- cativo fino ai 18 anni si afferma attraverso il “diritto dovere all’istruzione e for- mazione per tutti per dodici anni “. La riforma del Titolo V apre la strada, seb- bene attraverso una complessità di articolazione tra le competenze che richiede ulteriori interpretazioni/specificazioni, ad una collaborazione tra Stato e Regioni che dovrebbe finalmente condurre al superamento del diverso valore dei titoli del- l’istruzione e della formazione professionale tramite la definizione di standard nazionali di riferimento delle qualifiche. Ma il percorso, in verità, è inciampato rapidamente in una serie di criticità molto acute che determinano di fatto sostanziali arretramenti. In sintesi: - l’attivazione, per via “sperimentale”, dei percorsi formativi triennali, che viene per lo più molto apprezzata dagli attori dei sistemi locali di formazione profes- sionale come la prova provata di una diversificazione dell’offerta che finalmen- te si concretizza, si accompagna a condizioni di alto rischio per lo sviluppo di una sua effettiva credibilità e autorevolezza sociale. Contribuiscono a questa situa- zione di rischio. - l’anticipazione del momento della scelta ad un’età ed a un segmento scolastico in cui sono impraticabili per diverse ragioni effettivi percorsi di orientamento basati sull’esperienza diretta delle diverse alternative (dei diversi contesti e metodi di apprendimento), espone la scelta della formazione professionale alla riproposizione dell’idea tradizionale di un canale che si “sceglie” per demeriti piuttosto che per propensioni, per destino sociale piuttosto che in base ad un pro- getto individuale. Un’idea già fortemente radicata nell’opinione pubblica e nelle famiglie, che costituisce - come sanno bene gli attori della formazione professio- nale - l’ostacolo maggiore ad un suo ragionevole sviluppo; - la diversità dei “modelli” attivati dalle diverse Regioni - dai percorsi triennali interamente dentro l’istruzione, a quelli variamente “integrati”, a quelli intera- mente praticati dentro la formazione professionale, con relativa chiusura - anche per i saperi comuni - all’apporto professionale del mondo dell’istruzione rende poco visibile e poco comprensibile una formazione professionale non canale di adattamento formativo alle variabili esigenze dei mercati del lavoro locali, ma ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 9 0 offerta formativa di ordinamento che dà competenze e titoli validi nell’intero contesto nazionale; - la fretta con cui è stata avviata l’intera operazione - prodotta com’è noto dalla necessità di offrire un’alternativa immediata dopo la forzatura dell’abolizione del nono anno di istruzione obbligatoria - non ha consentito né la definizione di un repertorio nazionale delle qualifiche e degli standard nazionali di riferimento né l’avvio dei necessari processi di riconoscimento dei titoli da parte del mondo del lavoro; - l’incertezza che tuttora pende sulla fattibilità in tutte le aree regionali e sulla fisionomia del quarto anno di specializzazione e la certezza, invece, che i nuovi percorsi non hanno continuità “in alto” (gli IFTS, al momento, non costituisco- no la possibile sequenza successiva) impedisce il salto di qualità che sarebbe necessario a fronte di una domanda sociale di istruzione-formazione che, tranne nei suoi segmenti più svantaggiati, tende a guardare anche oltre i livelli inter- medi di qualificazione ed è scoraggiata da canali ciechi. A tutto ciò deve aggiungersi che l’intero segmento dell’istruzione e formazione professionale non gode, al momento, di finanziamenti nazionali che lo sottragga- no alla dipendenza dalle risorse del FSE e siano adeguati a un suo sviluppo “ordi- namentale”. Altre criticità, nell’impianto del sistema, vengono dalla legge 30 che ha annullato la quantificazione formalizzata del monte-ore di formazione non addestrativa per l’apprendistato prima dei 18 anni. Un passaggio stranamente oscurato dal dibat- tito politico e professionale sul sistema educativo, che segnala la persistenza di una sottovalutazione delle centinaia di migliaia di giovani che accedono al mercato del lavoro e che dovrebbero essere messe in grado di acquisire Può sembrare, infine, secondario, ma è invece importante che il nuovo impianto non consideri minimamente - come del resto anche l’obbligo formativo della legge 144 - il contributo che la formazione professionale, integrata con l’educazione degli adulti, dovrebbe dare al reinserimento nel sistema educativo dei drop out della scuola media; e, più in generale, a percorsi di “riallineamento” delle compe- tenze di base e della rimotivazione all’apprendimento dei soggetti più deboli. In questo contesto, è indispensabile il recupero di un ragionamento complessivo a tutto campo sulla diversificazione dell’offerta formativa, che tenga conto, fra l’al- tro, degli effetti in termini di demotivazione e di esclusione formativa, della licea- lizzazione spinta dell’intero sistema di istruzione così come viene disegnata dal decreto di attuazione del secondo ciclo. 9 1 DIVERSIFICAZIONE DELL'OFFERTA FORMATIVA COME RISPOSTA ALLA DOMANDA DEI DESTINATARI 3.6 - Intervento tavola rotonda Marco Usai Assessorato del Lavoro, Formazione Professionale, Cooperazione e Sicurezza Sociale - Regione Sardegna Cercherò di fornire alcuni dati scaturiti dalla mia esperienza di funzionario dell’Assessorato del Lavoro, che affronta quotidianamente le svariate problemati- che legate al mondo della formazione. In particolare, i campi d’intervento che mi occupano maggiormente sono quelli relativi ai percorsi sperimentali triennali della formazione professionale e all’ac- creditamento. Un dato positivo da evidenziare è costituito, innanzitutto, dalla circostanza che oggi il sistema della formazione in Sardegna si sta rimettendo in moto, grazie alla diversificazione - da parte della Regione Autonoma della Sardegna - dell’offerta formativa. Nello specifico, quest’ultima ha provveduto ad organizzare l’offerta in diversi set- tori d’intervento, quali: 1. l’apprendistato, nell’ambito del quale sono stati registrati risultati assoluta- mente positivi ed incoraggianti, come dimostrato dai dati in nostro possesso. Infatti, attualmente sono in essere circa 12.000 contratti di apprendistato. A fronte di tale ultimo dato, si evidenzia che soltanto il 10% dei destinatari dei predetti contratti sono stati avviati alla formazione, perché le risorse destinate sono unicamente quelle rese disponibili dal Ministero del Lavoro; 2. la formazione continua (ex L. 236/93), relativamente alla quale è stato chiuso in tempi recenti il bando e sono stati avviati gli affidamenti delle relative atti- vità corsuali; 3. sono state concluse da poco le misure dei voucher ricadenti sulle misure del POR Sardegna 2000/2006. Inoltre, sono state completate le azioni dei voucher riferite alla legge 53/2000 (c.d. legge Turco), che hanno consentito di formare 843 lavoratori in tutta la Regione Sardegna; 4. ai settori d’intervento sopra indicati deve essere aggiunto quello relativo agli IFTS. Infatti, sebbene a seguito di una decisione della precedente Giunta la competenza in materia sia stata attribuita all’Assessorato della Pubblica Istruzione, l’Assessorato del lavoro continua ad occuparsi della formazione della terza area, che ricomprende i corsi svolti nel quarto e quinto anno degli istituti ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 9 2 professionali di Stato. Infatti, i progetti relativi a tali attività devono essere approvati dall’Assessorato del Lavoro, che provvede, inoltre, ad istituire le com- missioni d’esame ai sensi dell’art. 7 della L.R. 47/89; 5. ultimamente, poi, sono state avviate le attività di formazione per la pubblica amministrazione (Misura 3.9 del POR Sardegna), che coinvolgono circa 6000 dipendenti pubblici; 6. inoltre, sono state finanziate a valere sui fondi POR le attività dei finalizzati aziendali. Per quanto concerne il settore dei percorsi sperimentali triennali, si devono evi- denziare le nuove problematiche di natura organizzativa scaturite dal cambio di Giunta. Infatti, nelle annualità passate gli enti di formazione acquisivano direttamente le domande d’iscrizione, formavano le classi e la Regione finanziava le attività for- mative, mentre con il sistema attuale la Giunta ha deciso di contingentare il nume- ro degli allievi che possono partecipare alla formazione. Tale cambio di rotta è stato determinato da due ordini di motivi, uno di natura economica e l’altro più strettamente politico. Per quanto concerne quest’ultimo, l’attuale Giunta ha giudicato prioritario il fatto che gli allievi dei percorsi sperimentali stiano nella scuola fino al raggiungimento del diciottesimo anno d’età e si avvicinino alla formazione soltanto in un momen- to successivo. Il problema finanziario, poi, è noto a tutti: il disavanzo che si è creato nelle casse della Regione è di notevole entità. A tale riguardo, nello scorso mese di giugno, l’Assessorato ha effettuato, per conto del Ministero del Lavoro, il monitoraggio dei dati fisici e finanziari relativi ai corsi del percorso sperimentale triennale. Ebbene, a fronte di 63 milioni di euro di spesa effettiva realizzata, il Ministero del Lavoro ha destinato alla Regione Sardegna sol- tanto 5 milioni e 800 mila euro, nonostante le reiterate promesse dei ministri che si sono succeduti dal 2004 ad oggi. Riguardo a tale situazione, il ministro Moratti ha inviato, tempo addietro, una let- tera al Presidente della nostra Regione, nella quale si affermava che l’offerta for- mativa in Sardegna era troppo abbondante e che il parametro finanziario utiliz- zato doveva essere ridimensionato. A fronte di siffatta posizione, la Giunta - con due successive delibere - ha provve- duto a ridurre il numero degli allievi partecipanti, in considerazione del fatto che le iscrizioni per il 2004 alla seconda annualità riguardavano 4150 ragazzi. Per il primo anno, a fronte di 4567 domande, è stato deciso di avviare alla for- mazione duemila unità. In considerazione delle difficoltà logistiche legate alla particolare configurazione 9 3 DIVERSIFICAZIONE DELL'OFFERTA FORMATIVA COME RISPOSTA ALLA DOMANDA DEI DESTINATARI morfologica del territorio della nostra regione, l’Amministrazione regionale è riu- scita ad avviare alle prime classi 1840 ragazzi. Per contingentare i numeri degli allievi per i primi anni, la scelta operata a livello politico è stata quella di lasciare fuori i ragazzi nati nel 1990 e, di conseguenza, di destinare alla formazione soltanto le classi ‘89 e ‘88. Tale scelta ha generato, inevitabilmente, malumori e delusioni ed ha portato alla proposizione di ben 65 ricorsi innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale avverso l’Amministrazione regionale, peraltro tutti rigettati. Per quanto concerne la sperimentazione, la Giunta ha approvato, nello scorso mese di maggio, una delibera dedicata alle “misure di prevenzione della disper- sione scolastica.” A seguito di numerosi incontri tra gli assessorati competenti, la Direzione Scolastica Regionale ed i dirigenti degli istituti, sono stati individuati nel territo- rio regionale 30 scuole, che hanno fornito la propria disponibilità ad accogliere 1304 ragazzi. Le iscrizioni scadevano il 20 agosto ultimo scorso, ma alcune fonti riferiscono che l’iniziativa non ha riscosso il successo sperato, anche a causa del ritardo con cui è stata avviata tale iniziativa. Tale ultima attività formativa dovrebbe essere svolta da istituti pubblici, che hanno fornito la loro disponibilità per lo svolgimento dell’85% del monte ore com- plessivo e, per il residuo 15%, dalle agenzie formative che hanno assicurato la pro- pria disponibilità e che si dovrebbero convenzionare con i suddetti istituti. Per quanto riguarda il progetto relativo alla prosecuzione della 2° e 3° annualità dei Percorsi Sperimentali Triennali, soltanto il 5 agosto u.s. la Giunta ha appro- vato una delibera nella quale si dispone che 28 milioni di euro - liberati dalle risor- se POR disponibili - possano essere impiegati per finanziare, in aggiunta ai già citati 5 milioni e 800 mila euro forniti dal Ministero del Lavoro, le attività del secondo e terzo anno, escludendo però dalle attività formative gli allievi ripetenti del primo anno, che devono passare al progetto della Pubblica Istruzione. L’obiettivo della nostra Amministrazione è quello di avviare le attività formative il prossimo 19 settembre per i corsi di secondo e terzo anno che hanno completato a luglio l’attività ed il 3 ottobre per quelli terminati a settembre. L’unico dato che possiamo esporre è quello ricavabile da una sorta di screening sui ragazzi che dovevano proseguire, effettuato nello scorso mese di luglio dall’Am- ministrazione. Dall’analisi effettuata emerge con evidenza che per un numero considerevole di ragaz- zi (circa mille) è stato registrato un gran numero di assenze, che ne ha poi determi- nato l’esclusione dal sistema. In altri termini, il fenomeno della dispersione non è pro- prio soltanto della scuola ma è presente anche nella formazione professionale. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 9 4 In Sardegna, infine, è stato rivisto il sistema dell’accreditamento delle sedi scelte per lo svolgimento degli interventi formativi riconosciuti e/o autorizzati dall’am- ministrazione regionale: si è passati da un sistema imperniato sulle sedi formati- ve, che si occupava soltanto in maniera trasversale delle caratteristiche dell’ente di formazione, ad un nuovo sistema che prevede un elenco di soggetti abilitati a pre- sentare e realizzare attività di formazione professionale, nel quale vengono inseri- te le agenzie formative in possesso dei requisiti previsti dal nuovo modello. L’accreditamento della sede diventa un fatto successivo ed eventuale: soltanto a seguito dell’aggiudicazione di un bando pubblico o dell’approvazione di un pro- getto didattico da realizzare in autofinanziamento, infatti, viene avviata la relati- va procedura. Inoltre, l’accreditamento della sede ha una durata temporalmente limitata alla svolgimento dell’attività corsuale indicata in progetto. Il cambiamento di sistema è stato determinato anche dalla circostanza che negli anni passati sono state accreditate circa 400 sedi formative, a fronte di un nume- ro nettamente inferiore di sedi effettivamente utilizzate (circa 100), con un dispen- dio enorme di energie. I partecipanti potranno approfondire gli argomenti sopra richiamati visionando le apposite sezioni ad essi dedicate nel sito della Regione Sardegna (www.regio- ne.sardegna.it). 9 5 DIVERSIFICAZIONE DELL'OFFERTA FORMATIVA COME RISPOSTA ALLA DOMANDA DEI DESTINATARI 4. INTERAZIONI ISTITUZIONALI IN RAPPORTO AGLI OBIETTIVI DI LISBONA 4.1 - La nuova strategia di Lisbona Olga Turrini Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori Nel marzo 2000, com’è noto, il Consiglio europeo tenutosi a Lisbona fissava un obiettivo strategico per l’Europa: diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggior coesione sociale. Questo obiettivo comportava una serie di tappe e scadenze volte a modernizzare il modello sociale europeo investendo nelle persone e costruendo uno stato sociale attivo. Che significa ‘Modello sociale europeo’? A Lisbona lo si è definito: - investire su istruzione e formazione per vivere e lavorare nella società dei saperi; - creare posti di lavoro più numerosi e migliori e sviluppare una politica attiva per l’occupazione; - modernizzare la protezione sociale e promuovere l’inclusione sociale. Il modello sociale europeo, assieme alla dimensione della sostenibilità della cresci- ta definita nel successivo Consiglio di Goteborg, costituisce la peculiarità e la con- dizione imprescindibile con cui l’Europa assume la sfida del rilancio della propria economia. A Lisbona si definisce anche un metodo: il metodo aperto di coordinamento, con il quale si dovranno perseguire gli obiettivi definiti. Esso si basa su: - la definizione di orientamenti dell’Unione con calendari specifici; - la determinazione di indicatori e parametri di riferimento come strumenti per confrontare le buone pratiche; - la trasposizione degli orientamenti europei nelle politiche nazionali e regionali fissando obiettivi specifici; - il periodico monitoraggio, verifica e valutazione inter pares, organizzate nel qua- dro di un processo di apprendimento reciproco. A distanza di cinque anni, si è effettuato un bilancio di quanto realizzato. Sulla base di valutazioni intermedie su temi specifici, nonché di studi e analisi compiu- te da esperti, la Commissione ha elaborato delle proposte, recepite dal Consiglio europeo di primavera 2005. In sostanza si è preso atto che la strategia era troppo ambiziosa e che l’Unione non era in grado di raggiungere gli obiettivi prefissati. 9 9 INTERAZIONI ISTITUZIONALI IN RAPPORTO AGLI OBIETTIVI DI LISBONA Fattori non prevedibili come il rallentamento della crescita, il terrorismo e la guer- ra, hanno imposto una riflessione. L’Europa si trova inoltre in questa fase a dover affrontare nuove sfide: sul piano interno le conseguenze dell’allargamento, che ha moltiplicato le disuguaglianze e i gap territoriali e sociali. Ma anche il problema demografico e le possibili conse- guenze dell’invecchiamento della popolazione. Sul fronte esterno, l’Europa deve fare i conti con l’economia globalizzata e con i cambiamenti velocissimi che essa comporta. Tutti elementi che richiederebbero un’Unione forte e decisa nella defi- nizione di strategie di ampio respiro, e che invece si collocano in un quadro poli- tico estremamente complesso e contraddittorio, nel quale tornano a prevalere le sovranità nazionali e si diffonde un clima di sfiducia, come testimonia la vicenda della Costituzione e la difficoltà di definire le prospettive finanziarie e il bilancio dell’Unione per i prossimi anni. Tuttavia, nel Consiglio di primavera e in quello di giugno è prevalsa una conside- razione: i costi di una rinuncia alla strategia di Lisbona sarebbero maggiori di quelli di una sua revisione. Ne è scaturito il rinnovamento della strategia di Lisbona, che si concretizza nella definizione di due grandi obiettivi: crescita e occupazione, da perseguire con una nuova metodologia volta ad integrare mag- giormente le politiche per accrescerne l’impatto. Tale metodologia prevede che gli Stati membri elaborino, a partire dall’ottobre di quest’anno, dei Piani nazionali di riforma per la crescita e l’occupazione, sulla base di un documento di orientamenti predisposto dalla Commissione. Esso si arti- cola in 24 linee guida, delle quali 16 fanno parte dei cosiddetti indirizzi per le poli- tiche economiche e 8 costituiscono di fatto la nuova Strategia europea per l’occu- pazione (SEO) prevista dal Trattato di Amsterdam. Le 24 linee guida sono inte- grate tra loro anche con espliciti richiami. La rinnovata strategia di Lisbona dà pertanto il via al rinnovamento di tre percorsi: - la SEO; - l’Agenda sociale (avviata nel 2000 con il Consiglio europeo di Nizza per pro- muovere l’attuazione del modello sociale europeo); - il programma “Istruzione e formazione 2010” (avviato con il cosiddetto proces- so di Bruges-Copenhagen). La nuova SEO si incentra su tre priorità: - attrarre in modo permanente un maggiore numero di persone verso il mondo del lavoro, aumentare l’offerta di manodopera e modernizzare i sistemi previdenziali; - accrescere la capacità di adattamento dei lavoratori e delle imprese; - promuovere maggiori investimenti in capitale umano migliorando l’istruzione e le qualifiche. La nuova Agenda sociale, a sua volta, si incentra su tre priorità: ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 0 0 - sviluppare un nuovo approccio intergenerazionale. Partendo dalla considerazio- ne dei problemi che i cambiamenti demografici e l’invecchiamento della popola- zione porranno nei prossimi decenni, si lancia una sfida a sviluppare proposte e politiche in grado di mettere insieme i problemi dei giovani e quelli degli adulti in età avanzata; - promuovere partenariati per il cambiamento; - sviluppare la dimensione estera, ossia la dimensione sociale della globalizzazione. Le priorità sono: - la realizzazione di piena occupazione; - lo sviluppo di una nuova dinamica nelle relazioni industriali; - la creazione di un mercato europeo del lavoro; - una società più solidale e pari opportunità per tutti; - lotta alla povertà e promozione dell’inclusione sociale; - promozione delle diversità e della non discriminazione; - servizi sociali di interesse generale. In sostanza, emergono i temi rilevanti per i prossimi anni: - i problemi dei giovani (per i quali il Consiglio di primavera ha adottato un “Patto europeo per la gioventù”); - le politiche per ampliare l’offerta di lavoro, inducendo a presentarsi sul mercato anche coloro che tenderebbero a porsi come inattivi (donne, lavoratori anziani, soggetti svantaggiati); - la creazione di condizioni per lo sviluppo della mobilità a livello europeo; - la messa in campo di politiche di conciliazione per favorire il nuovo approccio alle politiche per l’occupazione basato sul ciclo di vita; - l’investimento sul capitale umano, e quindi su competenze e qualifiche di giovani e adulti e sul miglioramento e la qualità dei sistemi di istruzione e formazione. Anche la riforma dei Fondi strutturali dovrà sostenere la rinnovata strategia di Lisbona. Di conseguenza i nuovi regolamenti e gli orientamenti proposti dalla Commissione per la definizione dei nuovi documenti di programmazione dovran- no assumere gli stessi obiettivi, pur coniugandoli secondo le specificità dei diversi strumenti e contesti. L’autunno ci riserva dunque una fase importante di definizione di strategie per i prossimi anni. Pur in un quadro che presenta ancora molte, troppe incertezze, sia sul piano europeo che sul piano nazionale, il nostro Paese dovrà definire la sua strategia per i prossimi anni e ogni Regione dovrà impostare l’analisi dei problemi e ipotizzare le proprie priorità. Scelte difficili, quando il quadro finanziario prefi- gura consistenti riduzioni delle risorse complessive ed in particolare di quelle per il Fondo sociale europeo. 1 0 1 INTERAZIONI ISTITUZIONALI IN RAPPORTO AGLI OBIETTIVI DI LISBONA 4.2 - Contesto italiano in rapporto agli obiettivi U.E. - con- fronto con l’esperienza Tommaso Grimaldi AEFP - Associazione Europea per la Formazione Professionale Il tema della formazione e dell’educazione, in riferimento al rapporto con il terri- torio, induce a fare alcune considerazioni: 1. Come possono la formazione e l’educazione “mettersi al servizio” contribuire allo sviluppo delle realtà territoriali? La formazione e l’educazione possono certamente dare un contributo rilevante in tale ambito, in quanto il territorio non è in grado di produrre da solo tutte le rispo- ste e di mettere in atto tutti gli strumenti necessari per favorire il proprio svilup- po. Al tempo stesso, però la formazione da sola non è sufficiente; pertanto è neces- sario coinvolgere tutti gli attori presenti nel campo, compresi gli esponenti delle autorità locali. Ovviamente non bisogna dimenticare la funzione strategica dei partenariati locali. Tutti questi elementi sono stati integrati in modo brillante in determinate esperienze europee, in cui è considerato fondamentale il ruolo del for- matore, elemento essenziale di tutto questo processo. 2. Come agisce il formatore? Come può contribuire, attraverso la propria attività, allo sviluppo delle realtà territoriali? Un esempio di come la formazione possa fornire il proprio contributo, è secondo me ritrovabile nella “Strategia di Lisbona”. Credo che il Consiglio europeo di Lisbona abbia il merito fondamentale di aver dato all’Europa un progetto, quello dell’economia basata sulle conoscenze. Tutti sono d’accordo nel considerare Lisbona come un obiettivo strategico fondamenta- le, che delinea il progetto di un’Europa che, pur con molte difficoltà, riesca a dare delle risposte concrete. Cosa s’intende per società della conoscenza, economia della conoscenza, in riferimento all’Europa di oggi? Nell’ambito della “Strategia di Lisbona”, è stato rilevato come le strategie sia nazionali che europee per la creazione di nuovi posti di lavoro, e quindi il rag- giungimento degli obiettivi di Lisbona, non possano avere successo senza il coin- volgimento delle autorità regionali e locali. Quindi perché la battaglia contro la povertà e la disoccupazione abbia successo, è necessario il sostegno di tutte le ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 0 2 risorse disponibili a livello regionale e locale. Per questo motivo oggi le politiche di sviluppo e le iniziative locali molto più che in passato integrate nelle politiche nazionali ed europee. L’azione locale ha trovato il proprio posto di riguardo nel- l’ambito delle politiche comunitarie, dal momento che le autorità locali sono sem- pre più coinvolte non solo nel trasferimento, ma anche nella progettazione e nello sviluppo di politiche di inclusione sociale e di creazione di nuovi posti di lavoro. Esperienze concrete, esempi di come società della conoscenza e sviluppo locale possa andare di pari passo e agire insieme: 1. Il primo esempio che si può citare a tal proposito, riguarda la città di Glasgow, dove si è stimato che il 30% della popolazione fosse disoccupata e trascorresse 70% del proprio tempo davanti alla televisione. Sono stati attuati vari progetti, al fine di creare un partenariato molto forte tra autorità pubblica e privata, tra i college, le biblioteche, le aziende, i comitati di quartiere. L’obiettivo era quel- lo di aumentare gli spazi dove fosse accessibile la cultura, non soltanto biblio- teche, ma anche luoghi dove trovare opportunità formative per incrementare le proprie conoscenze. Questo ha fatto capire alle aziende che non era importante investire solo sul mercato, ma anche sulle persone. Tutti questi elementi hanno creato una nuova dinamica nella città. 2. Il secondo esempio si riferisce alla città di Bilbao. Nel 1999 è stato attuato un progetto, denominato “Bilbao Metropoli 30”, con il quale le autorità locali, insieme a tutti gli attori locali hanno tentato di rivitalizzare il territorio. Questi due esempi dimostrano che, proprio partendo dalle necessità di sviluppo del territorio, sono state articolate soluzioni e progetti che hanno ridato vitalità alle diverse città. In Italia, nonostante questo paese abbia dato un grande contributo a livello comu- nitario, a livello europeo, si riscontra l’incapacità di valorizzare adeguatamente questi risultati sul proprio territorio, contrariamente agli altri Paesi europei. In Itali, infatti, nonostante ci siano ottime potenzialità e capacità d’inventiva, manca spesso l’abilità di metter in pratica in modo proficuo le idee maturate in fase di progettazione. Ritengo necessario mettere a regime le esperienze acquisite in que- sti anni e sottolineare come il sistema e l’approccio italiano occupino un posto di rilievo nelle discussioni europee. Voglio, inoltre, riportare altri esempi legati ad esperienze maturate all’interno dell’AEFP. Innanzitutto Vi presento l’approccio dell’AEFP, che è quello della rete. La nostra rete, composta da varie strutture, conta 19 soci, riuniamo 50,000 formatori, dai 2 ai 3 mila centri di formazione, e quindi abbiamo un grosso potenziale di speri- mentazione. Siamo auto finanziati, quindi la nostra rete non ha l’ambizione di ottenere dei finanziamenti dall’Unione europea. Negli ultimi quattro anni abbia- 1 0 3 INTERAZIONI ISTITUZIONALI IN RAPPORTO AGLI OBIETTIVI DI LISBONA mo messo in atto le condizioni informatiche necessarie per creare un software che ci permetta effettivamente di condividere le conoscenze degli uni e degli altri. Ad esempio, in questo software è possibile trovare le domande e le richieste di infor- mazioni da parte di formatori finlandesi che poi trovano risposte nelle conoscenze dei formatori greci. Questo significa che tutti questi strumenti ci avvicinano e tro- viamo degli spazi importanti per la condivisione e la discussione su quelle che sono considerate le buone prassi. Questo strumento crea, inoltre, le condizioni per defi- nire settori di intervento molto specifici. Abbiamo creato dei gruppi di lavoro transnazionali, auto finanziati, per un perio- do di un anno e mezzo circa, con un budget non superiore ai 10mila euro, e l’ab- biamo articolato intorno ad alcuni temi molto importanti. Un primo tema è quel- lo della certificazione delle aziende. Abbiamo ritenuto opportuno creare le condi- zioni e i criteri, condivisi da tutti i partner, che permettano di certificare le azien- de che sono disposte a ad offrire la possibilità di svolgere periodi di tirocinio pres- so le loro sedi. Questa certificazione è fondamentale, perché è alla base del rico- noscimento e della validità di un periodo di formazione / tirocinio svolto all’este- ro. Un esempio di settore a cui è stata applicata la certificazione delle qualifiche è il turismo. A tal fine è stato portato avanti un lavoro di circa un anno e mezzo e la documentazione relativa ad esso è disponibile presso la nostra associazione. In questo momento ci stiamo preparando per una fase di sperimentazione, che avvieremo l’anno prossimo, e che coinvolgerà diversi Paesi, in modo tale che, un’a- zienda italiana o di un altro paese che sia stata certificata, e quindi introdotta nel software, si dichiari disposta ad accogliere un tirocinante proveniente da un altro stato membro dell’Unione europea, ad esempio olandese. Il tirocinante olandese, grazie a quest’azienda, può svolgere un periodo di tirocinio, riconosciuto nel suo paese d’origine e non solo, proprio perché l’azienda è stata riconosciuta sulla base di criteri condivisi dai diversi partner. Un altro gruppo si occupa della trasparenza delle qualifiche: si è tentato di capi- re, tramite una matrice specifica, quali sono gli elementi che permettono di defi- nire meglio i prodotti necessari per far fronte ai bisogni del mercato. Un altro elemento fondamentale riguarda lo sviluppo di diverse piattaforme infor- matiche, che utilizziamo e che creiamo anche noi, ma che spesso non sono in grado di comunicare tra loro. È necessario capire come si deve agire in un determinato territorio, se sono neces- sarie determinate risposte formative. Siamo propensi a dire che occorre creare queste soluzioni: ampliando l’idea di territorio possiamo cercare di trovare rispo- ste per una data situazione locale, anche in altri territori. Ritengo, quindi, che l’a- pertura al transnazionale sia importantissima, perché dà spazi e quadri di riferi- mento che possono essere d’ausilio per un lavoro più efficace e più utile. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 0 4 4.3 - Sistemi formativi europei e interazione con il mondo del lavoro Arduino Salatin SISF-ISRE Venezia Premessa I sistemi europei di istruzione e formazione professionale iniziale (IVET) sono stati contrassegnati negli ultimi 3 decenni da cambiamenti in molti casi radicali, per lo più collegati all’emergenza di nuovi fabbisogni a livello economico, organizzativo e socio-culturale, all’esigenza di un nuovo approccio all’apprendimento, a nuovi profili di domanda sociale da parte dei giovani. La capacità dei vari sistemi nazionali di adattarsi, accompagnare o addirittura prevenire questi cambiamenti risulta piuttosto eterogenea, con esiti ancora molto differenziati in termini di performance a livello educativo ed occupazionale. Questa eterogeneità appare attribuibile sia alla specificità dei singoli contesti sto- rici ed istituzionali, sia alle politiche seguite dai governi nazionali che si sono via via succeduti. L’istanza di convergenza rappresentata dalle politiche dell’UE ha contribuito a ridurre alcuni ritardi, a migliorare il confronto e la circolazione delle buone prati- che, ad avvicinare il traguardo di un sistema europeo dei credi e delle qualifiche, ma molto resta da fare per assicurare a tutti i giovani europei pari opportunità di accesso all’istruzione e di prospettiva di sviluppo personale e professionale nella nuova società della conoscenza. In occasione della Conferenza Europea di Maastricht del dicembre 2004 è stato fatto il punto sui progressi finora realizzati e su quanto resta da fare in relazione agli obiettivi europei per il 2010. Tra questi obiettivi quello di una più stretta interazione tra mondo della forma- zione e mondo del lavoro rimane certamente uno degli ambiti decisivi di lavoro, anche se particolarmente complesso. Per analizzare adeguatamente in termini comparati questo tipo di relazione e i suoi possibili modelli, appare pertanto necessario integrare diverse prospettive e livelli di indagine, tra cui: - quella relativa a confronto tra i sistemi istituzionali di offerta formativa, 1 0 5 INTERAZIONI ISTITUZIONALI IN RAPPORTO AGLI OBIETTIVI DI LISBONA - quella relativa al rapporto tra i vari attori istituzionali, economici e sociali, - quella relativa ai percorsi sociali di inserimento lavorativo dei giovani. Il presente contributo intende fornire qualche elemento di approfondimento in tali direzioni, selezionando gli elementi più utili per inquadrare il caso Italia. Le fonti utilizzate sono soprattutto quelle rese disponibili dagli istituti di ricerca dell’UE, in particolare le ricerche promosse dal Cedefop1 nell’ultimo quinquennio e dall’ILO. 1. I cambiamenti nelle politiche e nei sistemi IVET in Europa: linee di tendenza in materia di interazione tra formazione e lavoro La principale mission dei sistemi VET (vocational education and training) in Europa secondo la Commissione Europea2 (CE) è quella di supportare l’Agenda di Lisbona e gli obiettivi di innovazione, competitività e coesione sociale. I veloci cambiamenti dell’organizzazione del lavoro, il cambiamento tecnologico delle ICT si riflettono infatti sui contenuti e sui metodi di apprendimento e richie- dono nuove competenze tecniche e nuove abilità sociali (tra cui quella “imprendi- toriale”). Per questo i principali obiettivi di riforma dei sistemi VET secondo la CE sono quelli di: - migliorare la qualità e l’efficacia della VET alla luce dei nuovi requisiti della società della conoscenza e del cambiamento dei modi di apprendere e di inse- gnare”, - realizzare un nuovo sistema di crediti (ECVT) nel quadro dell’European Framework Qualification (EQF). ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 0 6 1 DECSY P., TESSARING M. (eds), Training in Europe. Second report on vocational training resear- ch in Europe 2000, Vol. 1 e 2, Cedefop reference series, OPP Luxembourg, 2001; DECSY P., TES- SARING M., Objectif compétence: former et se former, Cedefop reference series, OPP Luxembourg, 2002; LENEY T. (ed.), Achieving the Lisbon goal: the contribution of VET, Final report to the European Commission, paper, Maastricht, 1-11-2004. 2 Cfr. Rapporto di Maastricht, dicembre 2004. Per capire questa nuova focalizzazione è opportuno considerare anzitutto le diffe- renti funzioni storiche dei sistemi VET nei paesi europei. Nella fig. 1 ne sono ripor- tati i principali vettori: Fig. 1 - Le differenti funzioni sociali dell’istruzione e della formazione professionale Se si guarda poi alle concrete tendenze di riforma dei sistemi IVET in Europa, si può osservare i seguenti obiettivi: - sul piano istituzionale, rafforzare i collegamenti della formazione con il mondo del lavoro (in funzione dell’occupabilità); - sul piano curriculare, puntare sulle competenze chiave (come base per il lifelong learning); - sul piano sociale, rendere i percorsi più attrattivi, puntando su una qualità più ele- vata e su maggiori collegamenti con la formazione superiore; - sul piano metodologico, rendere i percorsi più flessibili (modularizzazione, persona- lizzazione). Si tratta di compiti impegnativi che richiedono un forte integrazione delle politiche pubbliche e dell’iniziativa sociale ed economica, soprattutto a livello territoriale. 1 0 7 INTERAZIONI ISTITUZIONALI IN RAPPORTO AGLI OBIETTIVI DI LISBONA Le differenti funzioni della VET Innovazione Adattibilità e riproduzione Il cittadino educato Il lavoratore qualificato Competenze riflessive Partecipazione, sviluppo risorse umane Conoscenze dichiarative, saperi Apprendimento adattivo Fig. 2 - Livelli ed interazioni tra politiche della VET Tra le principali evoluzioni registrabili nei sistemi IVET dei paesi europei, possia- mo individuare una serie di configurazioni, in cui si evidenzia abbastanza netta- mente come variabili chiave: a) il ruolo dell’alternanza e delle relazioni territoriali, b) il rapporto tra formazione iniziale e formazione continua. Fig. 3 - Tipologie di principali sistemi IVET in Europa ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 0 8 Livelli e interazioni tra politiche della VET Istruzione Formazione Mercato del lavoro Imprese Sviluppo regionale Innovazione Ricerca e sviluppo Mondo reale Politiche Gruppi/ imprese persone Sistemi formativi nazionali Sistemi sovranazionaliReti sociali Sistemi socio- economici Tipologie dei sistemi IVET in Europa (fonte: Rapporto Maastricht, 2004) Predominanza del sistema duale e dei percorsi di apprendistato (es. Germania) Sistemi basati sulla scuola (soprattutto profes- sionale) (es. Finlandia) Mix di sistemi di tipo scolastico e di percorsi di apprendistato (es. Regno Unito) Sistemi basati sulla scuola (soprattutto pre- professionale) (es. Irlanda e Italia) Per quanto riguarda il rapporto tra formazione iniziale (IVET) e formazione conti- nua (CVET) è utile considerare il seguente quadro comparativo: Fig. 4 - Tipologie di principali sistemi IVET in Europa 2. La domanda delle imprese e le aspettative dei giovani: alcuni risultati di recenti ricerche comparate Molte ricerche condotte soprattutto nei paesi del nord Europa esprimono alcune esi- genze e raccomandazioni convergenti espresse dai principali attori dell’integrazione, le imprese, le parti sociali e i giovani. Le imprese europee avanzano alcune richieste comuni sottolineate nel Rapporto di Maastricht 2004: o a chi lavora è richiesta sempre maggiore flessibilità, • il focus si sposta sempre più sul team, sulle competenze di lavoro in gruppo rispet- to a quelle individuali, • sono richiesti più alti livelli e nuovi tipi di conoscenze e abilità in tutta la società. In questa prospettiva il Rapporto 2004 avverte inoltre che i percorsi di professiona- lizzazione stanno cambiando in modo radicale. Ciò apre numerosi problemi, tra cui 1 0 9 INTERAZIONI ISTITUZIONALI IN RAPPORTO AGLI OBIETTIVI DI LISBONA LIVELLO DI PARTECIPAZIONE IN IVET E IN CVET IN EUROPA Tasso di studenti in FP sul totale degli studenti del livello 3 ISCED Dati 2003/2004 Alto (>=50%) Medio (30<50%) Basso (<30%) ITALIA POLONIA ROMANIA BULGARIA, GRECIA, UNGHERIA, MALTA CIPRO, LITUANIA, PORTOGALLO Basso (0-5%) AUSTRIA, BELGIO, REP. CECA, FRANCIA, SLOVACCHIA, SLOVENIA LUSSEMBURGO SPAGNA LETTONIA ESTONIA IRLANDA Medio (5<12,5%) DANIMARCA, FINLANDIA, OLANDA, NORVEGIA, REGNO UNITO ISLANDA SVEZIA Alto (>=12,5%) Tasso di partecipazione degli adulti alla formazione in particolare quello di come incoraggiare un maggiore investimento dei singoli e delle imprese nella formazione, in funzione dei reciproci vantaggi derivanti dal migliora- mento delle competenze, ma senza aumentare le disuguaglianze sociali. Dal canto loro, i giovani3 intervistati evidenziano in particolare la necessità di: • un ciclo di apprendimento su misura che parta dai bisogni dello studente e non dal- l’offerta formativa esistente, • programmi flessibili con la possibilità di prender parte a programmi/corsi integra- tivi e di approfondimento, • valutazione dei deficit di competenza e di supporto al miglioramento delle compe- tenze, • tutoring extra corso,o maggiori passerelle con programmi formativi di livello supe- riore o di latri ordini di scuola, • accesso a programmi formativi più focalizzati su problemi reali dei vari settori lavo- rativi di potenziale inserimento, • una migliore organizzazione dei corsi (sia verso un uso più efficace del tempo scuola e come prerequisito per una più adeguata auto-organizzazione della pro- pria vita quotidiana). Tra le priorità merita ricordare che i giovani intervistati mettono comunque al primo posto il cambiamento dell’organizzazione didattica. L’interazione tra formazione e lavoro appare fortemente condizionata dai modelli di inserimento lavorativo dei giovani; tali modelli risultano costruiti o correlati a fattori istituzionali e sociali quali: la regolazione del mercato del lavoro interno ed esterno alle imprese, la rigidità o flessibilità dei sistemi formativi, le modalità di apprendi- mento sul posto di lavoro, le forme di cooperazione tra attori a livello locale, regiona- le o nazionale. A seconda del mix di queste variabili è possibile individuare delle tipo- logie rispetto a cui interpretare i vari “posizionamenti” e linee evolutive dei casi nazio- nali di IVET, tra cui quello italiano. Per comprendere le interazioni tra sistema formativo e mondo del lavoro, è necessa- rio tuttavia porre attenzione sia alle forme specifiche e ai percorsi di transizione indi- viduale dei giovani, sia ai contesti istituzionali più generali del mercato del lavoro. 3. I modelli di transizione e di interazione tra formazione e lavoro nei siste- mi nazionali: alcune linee interpretative Una indagine promossa dalla CE4 a partire dalla rilevazione periodica europea sulle forze di lavoro, ha studiato i modelli di inserimento professionale in modo compara- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 1 0 3 Rapporto Indagine nazionale Job su un campione di giovani studenti dei corsi di livello 2 e 3 ISCED, Olanda 2003. 4 cfr. CATEWE - TSER project, 2001. to nei vari paesi europei (UE 15). Sul piano metodologico, lo studio ha seguito un modello che distingue tra mercato interno alle singole aziende e mercato esterno del lavoro. Fig. 5 - Modelli di transizione tra i mercati del lavoro Dall’indagine risulta in particolare che i modelli di inserimento professionale dei gio- vani sono influenzati soprattutto da: - i sistemi di regolazione e incentivazione rispetto a chi entra e/o a chi c’è già, - il ruolo di gerarchizzazione o meno dei titoli di studio sul mercato del lavoro, - il peso della struttura famigliare e delle reti di prossimità nella ricerca di un posto di lavoro (come ad esempio nei paesi del sud Europa), - la soglia di età alla quale i giovani diventano autonomi e socialmente indipendenti dalle famiglie di origine, - il livello di studi che contribuisce ai processi di esclusione sociale, - la struttura delle relazioni istituzionali tra i due sistemi, soprattutto rispetto ai modelli in alternanza. Qui si può osservare in particolare che: - quando i mercati professionali (esterni) sono dominanti, la formazione iniziale è preponderante e viene regolata in modo concertato con le parti sociali, con titoli apprezzati dalle aziende; 1 1 1 INTERAZIONI ISTITUZIONALI IN RAPPORTO AGLI OBIETTIVI DI LISBONA Modelli di mercati del lavoro Mercato del lavoro interno Mercato del lavoro esterno Lavoratori qualificati Lavoratori semi-qualificati Lavoratori de-qualificati Cfr. anche LASSNIGG Lorenz, Lifelong learning, school to work and labour market transitions, paper, EQUIIHS, Wien, November 2004 - quando invece sono i mercati interni dominanti, la IVET è utilizzata dalle imprese solo come segno di “un’attitudine” e prevale l’anzianità aziendale come criterio di remunerazione. Utilizzando questo punto di vista (vedi fig. 5), è possibile comprendere meglio non solo i regimi di transizione (come dialettica tra gli spazi di qualificazione e quelli orga- nizzativi), ma anche il posizionamento specifico dei sistemi di formazione iniziale nei vari paesi, interpretabili su almeno 2 assi5: - quello della normalizzazione istituzionale, cioè della regolazione pubblica naziona- le (generalmente in forma centralizzata) dell’offerta e della sua qualità, - quello della differenziazione interna del sistema e dell’offerta, in particolare per quanto riguarda la relazione tra insegnamento generale e professionale, tra le varie filiere, gli ordini di scuola, le forme di selezione e passaggio. Fig. 6 - Processi di istituzionalizzazione dei sistemi VET e mercato del lavoro ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 1 2 5 cfr. DECSY P., TESSARING M., Objectif compétence: former et se former, rapport Cedefop, 2002, pp. 378-380. Grado di istituzionalizzazione del sistema VET (fonte: ricerca CATEWE, 2000) Tipologia collegamenti scuola-mercato del lavoro a) Forte integrazione e cogestione tra sistema formativo e sistema impresa (sistema duale) b) Forte integrazione, ma con ruoli gestionali net- tamente differenziati c) Debole collegamento tra sistemi, ma forte attenzione ai segnali di mercato d) Debole interazione, ma forte attenzione ai segnali di mercato e forte funzione della scuo- la nel collocamento lavorativo e) Scollegamento tra i due sistemi e scarsa inci- denza dei segnali del mercato del lavoro alto Grado di differenziazione per filiere professionali basso alto basso alto basso Germania, Danimarca Austria, Svizzera, Olanda Regno Unito, Francia, Italia, Portogallo, Finlandia, Svezia, Irlanda, Giappone USA Le politiche più seguite dagli Stati membri per migliorare la cooperazione tra forma- zione e mondo del lavoro, secondo il Rapporto di Maastricht (2004) risultano essere le seguenti: - in 21 paesi la priorità è la cooperazione tra le scuole, i CFP e le aziende a livello loca- le e regionale, - 9 paesi hanno aumentato la cooperazione a livello settoriale o nazionale - 2 paesi hanno identificato come essenziali degli incentivi finanziari per la coopera- zione delle parti sociali. Tra i contributi della ricerca, merita di essere segnalato inoltre uno studio comparato dell’istituto di ricerca francese CEREQ sul ruolo dei giovani che entrano nei mercati del lavoro in Europa (cfr. “Bref”, maggio 2000) e sul rapporto tra i “novizi” e i già inseriti, e dunque sul rapporto tra esperienza e formazione6. Ne sono risultate 3 situa- zioni tipo: a) Primo polo Le condizioni di inserimento professionale sono essenzialmente legate alla qualifica- zione acquisita nella formazione iniziale. L’esperienza accumulata sul mercato del lavoro gioca un ruolo secondario. Questa situazione conduce ad una omogeneizzazio- ne abbastanza rapida delle situazioni professionali dei novizi rispetto a quella dei lavoratori più sperimentati aventi lo stesso grado di qualificazione. La Danimarca è un buon esempio di questo caso. Qui il 60% dei giovani in for- mazione iniziale è occupato. Essi vengono inseriti in tutti i settori economici e i percorsi di carriera sono piuttosto rapidi, mentre la remunerazione varia in fun- zione del livello di diploma che gode di un prestigio riconosciuto. I paesi di questo polo sono caratterizzati da un ottimo sistema di formazione iniziale con strette relazioni con il mondo del lavoro. b) Secondo polo Le condizioni di attività professionale dei novizi sono molto diverse da quelle dei lavoratori più sperimentati. La formazione iniziale gioca un ruolo minore nel pro- cesso di inserimento. I giovani novizi costituiscono l’ultimo gruppo dei lavoratori e il loro accesso all’impiego è spesso difficile. Le prospettive di avanzamento pro- fessionale sono più ridotte e sono riservate ai settori meno retribuiti e attrattivi. L’inserimento professionale appare come un percorso piuttosto lungo. 1 1 3 INTERAZIONI ISTITUZIONALI IN RAPPORTO AGLI OBIETTIVI DI LISBONA 6 Gli indicatori comparati applicati alla Francia, all'Italia, alla Danimarca e al Regno Unito sono i seguenti: • tasso di disoccupazione, • tasso di disoccupazione e livello di diploma, • vulnerabilità alla disoccupazione, • concentrazione dei “novizi” per settori di attività. L’Italia e la Grecia sono un buon esempio di questo caso. Qui il tasso di disoccu- pazione resta alto come media a livello nazionale e i giovani sono stigmatizzati nel mercato del lavoro, con forti differenze retributive rispetto ai più anziani e con poca influenza del titolo di studio. Ma una volta ottenuto un contratto di lavoro, la situazione tende a stabilizzarsi, anche se ciò varia da settore a settore. c) Terzo polo Qui le condizioni di accesso del mercato del lavoro sono più aperte che negli altri due poli e la mobilità professionale è più importante. L’esperienza accumulata e le qualificazioni acquisite nella formazione iniziale giocano un certo ruolo, ma sono considerate parzialmente sostituibili dal punto di vista delle imprese. In ogni caso il vantaggio di avere un diploma resta marcato e crea situazioni molto competiti- ve tra i giovani. La Francia e il Regno Unito sono un buon esempio di questo caso, ma anche il Belgio, la Spagna e la Svezia. Qui i novizi sono più esposti alla disoccupazione rispetto ai lavoratori più sperimentati e la loro situazione professionale è più fra- gile. Tuttavia i problemi più grossi li hanno quelli con bassa qualificazione. Nel Regno Unito la remunerazione è legata sia al diploma iniziale che all’esperienza di lavoro; per contro in Francia per le qualifiche più basse conta di più l’esperienza. Un altro ambito di analisi non può trascurare altri elementi: - i modelli di regolazione (ruolo della Pubblica amministrazione, delle parti socia- li, del mercato), - le modalità e livelli di partnership con le imprese e/o altri attori sociali, - i modelli formativi per l’alternanza e l’apprendimento in situazione lavorativa, - le forme di flessibilizzazione e innovazione dell’offerta e dei percorsi formativi. È interessante al riguardo riportare le indicazioni di uno studio dell’ILO7, secondo cui la tendenza prevalente dei sistemi VET è verso una “collaborazione comple- mentare” tra settore pubblico e gli stakeholders degli organismi privati, soprat- tutto in considerazione: - della crisi fiscale, derivata dalla cronica incapacità della finanza pubblica di rispondere alla crescita della domanda di formazione, - delle nuove sfide dell’economia di mercato a fronte della richiesta crescente delle imprese di competenze nuove o strategiche, - dei rapidi e continui cambiamenti tecnologici, dell’organizzazione del lavoro e delle competenze richieste che si traducono in una domanda di formazione con- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 1 4 7 Fonte: ILO, The Changing Role of Government and Other Stakeholders in Vocational Education and Training, Geneva, Switzerland, 2001. tinua e che richiedono la riforma del sistema di formazione iniziale, - dell’inadeguatezza dei sistemi pubblici di VET a rispondere velocemente ai nuovi requisiti del mercato del lavoro. Fig. 7 - Paradigmi di regolazione dei sistemi di istruzione e formazione professionale Per preparare questo nuovo ambiente di apprendimento si richiede ai vari paesi un’a- zione su vari piani, con una maggiore enfasi: - sulla preparazione scientifica e tecnologica per l’innovazione, - sugli standard di competenza, - su una più stretta connessione tra formazione professionale e formazione accademi- ca, tra imprese e scuola, - sul fronte dell’orientamento professionale (e della Career education). Per quanto riguarda i processi di innovazione, le determinanti principali di tipo cul- turale evidenziate sono le seguenti. 1 1 5 INTERAZIONI ISTITUZIONALI IN RAPPORTO AGLI OBIETTIVI DI LISBONA Vecchio paradigma VET Nuovo paradigma VET Approccio basato sull’offerta Formazione per l’occupazione Focus sul formatore Specializzazione Rigidità in entrata e in uscita Focus sul settore formale Formazione per un’occupazione retribuita e stabile Sistema centralizzato Politiche ed erogazione dominata dallo Stato Governance dominata dallo Stato Fonte: ILO, The Changing Role of Government and Other Stakeholders in Vocational Education and Training, Geneva, Switzerland, 2001. Approccio basato sulla domanda Apprendimento per l’occupabilità Focus sul discente Approccio multi-skilling Flessibilità di entrata e uscita Considerazione dei bisogni anche degli ambiti informali e non formali Formazione per l’autoimpiego Sistemi e istituzioni decentralizzati Separazione delle politiche e dell’erogazione gui- data dal mercato Governance partecipativa comprendente molte- plici attori e dialogo sociale Fig. 8 - Determinanti di innovazione delle culture dell’IVET 4. I modelli di interazione tra sistemi formativi e mondo del lavoro: anali- si di alcuni casi nazionali Per cogliere alcuni aspetti più specifici delle forme di interazione, è utile richia- mare brevemente alcuni casi nazionali esemplificativi delle tipologie sopra richia- mate, con particolare riferimento alle tipologie di sistemi, ai modelli di regolazio- ne, ai modelli di relazione formazione-lavoro, alle forme di innovazione dell’offer- ta formativa8. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 1 6 Determinanti di innovazione delle culture della IVET Pratiche (operatori, utenti, società) Ricerca Politiche (governi, parti sociali) Ambiente di apprendimento Contenuti Metodi e mezzi Valutazione e certificazione formatori Sviluppo qualità continuo incidentale tempo Singolo contesto formativo Cambiamento sistemico spazio 8 Cfr. Tassaring M., Wannan J, La formation et l'enseignement professionnels: une clé pou l'avenir, Etude de Maastricht, Synthèse Cedefop, Luxembourg, 2004; Profili nazionali Cedefop - Eurydice (schede di sintesi e monografie); www2.trainingvillage.gr. 1 1 7 INTERAZIONI ISTITUZIONALI IN RAPPORTO AGLI OBIETTIVI DI LISBONA FRANCIA Tipologia sistema IVET Modelli di regolazione Modalità e livelli prevalenti di partnership formazione-imprese Modelli formativi per l’alternanza Forme di flessibilizzazione e innovazione dell’offerta formativa School based (con licei professionali separati dalle istituzioni della formazione professionale) (Riformato dal 2003) Mercato del lavoro interno Leggi statali (centralizzazione) Diretta a livello locale Mediata dalle parti sociali a livello settoriale nazionale Apprendistato Stage e tirocinio Modularizzazione e personalizzazione dei percorsi Investimenti nelle TIC BELGIO Tipologia sistema IVET Modelli di regolazione Modalità e livelli di partnership formazione-imprese Modelli formativi per l’alternanza Forme di flessibilizzazione e innovazione dell’offerta formativa School based su 4 macro filiere professionale e 3 livelli (riforma nel 1999 e 2001 ancora in corso) Mercato interno “Federalismo asimmetrico” (comunità linguisti che, regioni, …) Attraverso Comitati delle Comunità (CCPQ) organizzati per settori professionali Stage in impresa (obbligatori dal 2001 nell’insegnamento professionale secondario) CEFA (centri di educazione e formazione in alternanza) Apprendistato Diversificazione filiere e certificazione competenze con incentivazione equivalenze e passaggi Integrazione tra orientamento e formazione (Cfr. i Carrefours formation) + TIC ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 1 8 DANIMARCA Tipologia sistema IVET Modelli di regolazione Modalità e livelli prevalenti di partnership formazione-imprese Modelli formativi per l’alternanza Forme di flessibilizzazione e innovazione dell’offerta formativa DUALE, basato su istituti professionali e tecnici (riformato a partire dal 2000) Mercato del lavoro esterno ed interno Cooperazione volontaria parti sociali Mediata attraverso accordi tra lo Stato, i Comitati nazionali e locali di parti sociali Con gli enti locali per i giovani in difficoltà Diretta con i giovani tramite accordi individuali (The Act on Individually Organised Youth Education or Open Youth Education) Corsi sandwich con periodi di formazione teorica e di formazione pratica in azienda (apprendistato) Contenuti formativi in continuo adattamento alla evoluzione delle esigenze del mercato e delle imprese e larga diffusione delle TIC Corsi ad hoc biennali per i ragazzi con difficoltà a carattere pratico con 20-40 settimane di formazio- ne teorica GERMANIA Tipologia sistema IVET Modelli di regolazione Modalità e livelli di partnership Modelli formativi per l’alternanza Forme di flessibilizzazione e innovazione dell’offerta formativa DUALE, ma tendente al “plurale” Mercato del lavoro professionale (esterno) Accordi Stato - regioni - parti sociali (in particolare per le professioni dell’artigianato) A livello istituzionale per settore di qualifica A livello locale tramite accordi diretti tra scuole professionali e imprese Su base settimanale o mensile Rafforzamento del tutorato in impresa Aumento della permeabilità ed equivalenza tra filiere professionali e tra IVET e CVET, con parti- colare attenzione alle categorie svantaggiate Sviluppo approccio modulare e riforma del siste- ma degli esami (Camere di commercio) Piano sviluppo ICT 1 1 9 INTERAZIONI ISTITUZIONALI IN RAPPORTO AGLI OBIETTIVI DI LISBONA OLANDA Tipologia sistema IVET Modelli di regolazione Modalità e livelli di partnership formazione-imprese Modelli formativi per l’alternanza Forme di flessibilizzazione e innovazione dell’offerta formativa School based (per lo più privato, con un canale secon- dario specifico detto MBO) - Formazione superiore pro- fessionale impostata su base DUALE Mercato interno e professionale Principio della libertà di scelta dell’educazione A livello locale con gli Enti locali, imprese e organismi formativi (approccio integrato) A livello nazionale tramite accordi parti sociali Criterio: passaggio dalle qualifiche alle competenze e promozione dell’apprendimento sul posto di lavoro Percorsi mirati formazione-lavoro con supporto tutoriale Promozione trasparenza qualifiche e flessibilità offerta Innovazione dei metodi didattici (pratica-teoria) e della personalizzazione (cfr. il ruolo del CINOP, centro nazio- nale per l’innovazione) SPAGNA Tipologia sistema IVET Modelli di regolazione Modalità e livelli di partnership Modelli formativi per l’alternanza Forme di flessibilizzazione e innovazione dell’offerta formativa MISTO con 2 sottosistemi (istruzione e insegnamento professionale integrati) e formazione “occupazionale”) – cfr. nel quadro della riforma 1998-2002 per un unico siste- ma nazionale delle competenze Mercato professionale e interno Concertazione Stato, Comunità autonome e parti sociali (lista dei diplomi professionali, dei moduli, sistemi di valu- tazione,...) Scuole e centri integrati di formazione e imprese (attraver- so dei contratti di formazione, scambio di personale, …) Principio: Capitalizzazione delle competenze acquisite anche in sottosistemi diversi tramite sistema di corri- spondenze Generalizzazione di una quota di formazione professiona- le di base per tutti (125 + 75 ore) – contratti di formazione + stage Rinforzo insegnamenti professionalizzanti Scuole-laboratorio e “case dei mestieri” Rinforzo opportunità di formazione a distanza e TIC Altri esempi di cooperazione a livello sociale ed istituzionale: Repubblica Ceca: incoraggiamento dei rapporti diretti tra istituti scolastici e for- mativi e le parti sociali a livello regionale, Lituania: modifica dello statuto degli istituti scolastici e della VET che sono diven- tati entità autonome e cooperano con le imprese, le parti sociali e altri organismi pubblici Norvegia: realizzazione di un “osservatorio delle condizioni di apprendimento” nel contesto della formazione lungo tutto l’arco della vita, con il sostegno delle impre- se e delle parti sociali. Conclusioni Apertura al confronto, orientamento all’innovazione, partenariati con il coinvolgi- mento degli stakeholders locali, territoriali o aggregati di reti, sembrano essere anche per il contesto italiano le condizioni per reggere la nuova sfida dell’educa- zione e del lifelong learning. Nelle varie esperienze europee, proprio le situazioni di autonomia e di responsabilizzazione degli attori a livello locale sembrano esse- re il fattore critico di successo dei sistemi VET. Oggi si può rilevare sempre più chiaramente in tutta Europa la transizione in atto da un sistema centrato sulla struttura scolastica ad uno policentrico e integrato. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 2 0 REGNO UNITO (Inghilterra e Galles) Tipologia sistema IVET Modelli di regolazione Modalità e livelli di partnership formazione-imprese Modelli formativi per l’alternanza Forme di flessibilizzazione e innovazione dell’offerta School based con forte autonomia, aperto alla forma- zione post-obbligatoria (further education) Riforma dal 2004 (Education Bill) Mercato interno in prevalenza + standard nazionali Enti locali e authority nazionali (QCA, GCE, …) Tra scuole di diverso ordine e grado e Università Con gli Enti locali, le imprese, le associazioni di volon- tariato Apprendistato Schemi apprendimento sul posto di lavoro Aumento programmi su misura per i giovani (apprendi- mento flessibile) Promozione dell’eccellenza (anche a partire dalla ricerca didattica e dalla diffusione delle TIC ) e inco- raggiamento della formazione superiore Va sottolineato che l’integrazione non significa tuttavia omogeneizzazione, ma diversificazione entro un quadro flessibile di offerte tra loro coordinate capaci di rispondere alle domande provenienti dai giovani, dalle famiglie, dalle imprese e dalle realtà locali. La formazione professionale non viene più concepita come un addestramento finalizzato esclusivamente all’insegnamento di destrezze manuali, né la distinzio- ne con l’istruzione è vista nel fatto che questa si focalizza nell’acquisizione di sape- ri astratti rispetto al contesto socioeconomico e culturale. Per quanto riguarda in particolare l’IVET, emergono alcuni orientamenti comuni: o la priorità dell’accesso alle opportunità di conseguimento delle competenze chia- ve necessarie nella nuova società della conoscenza, o la padronanza delle TIC, o l’integrazione dell’apprendimento in situazione lavorativa. L’alternanza è in questo senso il modello prevalente di apprendimento. La parte- cipazione delle imprese ne è una componente essenziale. Il problema principale consiste nel valorizzare l’impresa come “ambiente di apprendimento” e partner formativo, internalizzando in essa maggiori competenze di gestione e sviluppo delle risorse umane, in grado di superare sia modelli coercitivi sia percorsi solo informali9. Nelle esperienze europee analizzate, infine, l’impegno di partnership non è rivolto solamente alla realizzazione di scambi o di forme di alternanza, ma soprattutto alla identificazione e anticipazione dei nuovi bisogni a partire da quelli territoriali. 1 2 1 INTERAZIONI ISTITUZIONALI IN RAPPORTO AGLI OBIETTIVI DI LISBONA 9 Come purtroppo non sembra avvenire ancora nell'esperienza italiana di apprendistato. 5. BISOGNI PROFESSIONALI DELLE IMPRESE E DOMANDA FORMATIVA A CONFRONTO 5.1 - Introduzione Dario Nicoli Università Cattolica di Brescia La doppia criticità: impresa e scuola La realtà economica italiana presenta alcune caratteristiche - specie per le dimen- sioni delle imprese, ma anche per la loro struttura e cultura - tali da delineare un sistema di gestione e cura delle risorse umane non strutturato né formalizzato, ma in gran parte informale e intuitivo. I processi di apprendimento avvengono in forma prevalentemente implicita, per affiancamento e imitazione, ed in ogni caso attraverso l'approccio della soluzione dei problemi per tentativi ed aggiustamenti. Le dinamiche delle relazioni industriali hanno tendenzialmente inteso la forma- zione come strumentale all'abbattimento del costo del lavoro. Accanto a questo, a causa delle problematiche storiche del sistema di istruzione che vedono un pregiudizio idealistico contro la cultura scientifica e specialmente tecnica e riflettono la scelta degli anni '80 di fare della scuola un luogo di sospen- sione sociale e di rinvio delle scelte, si coglie una progressiva tendenza alla liceiz- zazione dei percorsi tecnici e professionali, che porta ad un modello educativo e formativo non rispondente in buona parte alle esigenze delle imprese. L'idea di “aggiustare” i percorsi aggiungendo moduli o esperienze di natura professionaliz- zante non risolve il problema e finisce per rendere i curricoli pesanti e confusi. Necessità di una effettiva strategia formativa e professionale delle imprese L'attuale contesto del mercato globale impone politiche e comportamenti diffe- renti anche in modo sostanziale rispetto alle due dinamiche indicate. In particola- re, il sistema delle imprese è chiamato ad una nuova responsabilità in tema di sistema di istruzione e formazione professionale, sulla base delle seguenti opzioni. • Individuazione di una mappa delle famiglie e delle figure professionali caratte- rizzata da essenzialità, centratura sulle competenze (in senso autentico), verti- calità (dinamica di filiera), condivisa a livello nazionale, coerente con le tenden- ze europee, entro un dispositivo che possa essere revisionato ogni tre-quattro 1 2 5 BISOGNI PROFESSIONALI DELLE IMPRESE E DOMANDA FORMATIVA A CONFRONTO anni. Ciò significa evitare la frammentazione dei repertori professionali, i tecni- cismi esasperati dei modelli per competenze, l'eccesso di specialismo e di prati- cismo delle figure. • Definizione delle caratteristiche della qualità dei processi formativi connessi all'ambito dell'istruzione e formazione professionale, con riferimento alla pro- gettazione, alla costruzione dei piani formativi personalizzati, alla didattica per compiti reali ed all'alternanza, alla valutazione ed alla certificazione. Ciò com- porta la distinzione tra referenziale professionale e referenziale formativo, la valorizzazione dell'autonomia degli organismi formativi, la centratura dei pro- cessi formativi sulla persona nel contesto ed il suo successo, l'avvio di una didat- tica autentica. • Risoluzione delle problematiche relative alle figure sottoposte a specifiche nor- mative, in modo da evitare corporativismi, garantire l'accessibilità, qualificare i percorsi. La professionalizzazione delle figure lavorative deve quindi potersi esprimere entro un sistema aperto che garantisca trasparenza, mobilità, compe- titività e cooperazione circa le pratiche professionali (comunità di pratiche). • Definizione di un modello di intesa tra comparti/ambiti economici e sistema di istruzione e formazione professionale, con il pieno coinvolgimento delle Regioni e degli enti locali, basato sulla strategia delle reti territoriali e settoriali (poli for- mativi, Campus…). Tale modello deve poter evitare l'autoreferenzialità degli organismi formativi (fornire un'offerta basata preferibilmente sui bisogni del- l'organizzazione), consentire un sistema di cooperazione tra organismi formati- vi, imprese ed altri attori portatori di interessi, condurre a piani formativi di insieme esito di intese effettive, verificabili concretamente e modificabili in base agli esiti reali. • Individuazione di una strategia di formazione continua e permanente che con- senta alle imprese di qualificare e specializzare le risorse umane, alle persone di valorizzare le proprie potenzialità, alle comunità locali di prevenire e combatte- re i fenomeni di esclusione sociale e di disagio. Condizioni Tali opzioni richiedono necessariamente da parte di tutti gli attori, in primo luogo le Regioni, ma anche delle Associazioni di impresa per l'ambito della formazione continua, la scelta di un modello di programmazione del sistema di istruzione e ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 2 6 formazione basato sui criteri della professionalità e della occupabilità, oltre che della cooperazione tra i vari attori in gioco. Occorre un piano di lavoro concordato tra Regioni e Governo centrale per l'attua- zione della riforma 53/03, che consenta il superamento da un lato del processo di liceizzazione e dall'altro della frammentazione dei fondi sociali europei, in modo da dare vita ad un sistema veramente di qualità. Ciò richiede necessariamente atti- vità sperimentali guidate e coordinate, con il concorso di tutti, sulla base dei livel- li essenziali delle prestazioni (Lep) cui dovrebbero sottostare tutti gli organismi erogativi. 1 2 7 BISOGNI PROFESSIONALI DELLE IMPRESE E DOMANDA FORMATIVA A CONFRONTO 5.2 - Intervento tavola rotonda Maddalena Novelli Direzione Generale Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio La tematica rappresentata assume carattere di particolare interesse e di pressante attualità, in quanto dà corpo ad una delle sfide più stimolanti che il sistema for- mativo nel suo complesso è chiamato a raccogliere per contribuire al raggiungi- mento degli obiettivi di Lisbona. Le strategie europee per la valorizzazione e lo sviluppo del capitale sociale e umano nella società dei saperi riconoscono un ruolo fondamentale all'innovazione e all'adeguamento dei sistemi di istruzione e formazione, e promuovono una mag- giore cooperazione in materia di istruzione e formazione professionale. Come è noto, il Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000 ha fissato come obiettivo strategico dell'Unione Europea quello di diventare la più dinamica economia basata sulla conoscenza e ha individuato, nello sviluppo di una istru- zione e di una formazione professionale di qualità elevata, un elemento crucia- le di tale strategia, soprattutto per quel che riguarda la promozione dell'inclu- sione sociale, della coesione, della mobilità, dell'occupabilità e della competiti- vità. La Relazione intermedia del Consiglio Europeo su Istruzione e formazione 2010, del 30 aprile 2004, sottolinea inoltre come, a fronte dell'allungamento della dura- ta media della vita e ai sempre più repentini cambiamenti economici e tecnologi- ci, i cittadini si trovino nella necessità di aggiornare continuamente le proprie qua- lifiche e competenze e come la promozione stessa dell'occupabilità e della mobilità generi una nuova domanda di istruzione e formazione. Diventa, pertanto, necessario instaurare e intensificare i rapporti fra il sistema formativo e il mondo delle imprese, perché si comprendano meglio le rispettive esigenze e insieme si possa meglio rispondere ai nuovi bisogni di sviluppo della persona. In questa linea si pone la legge n.53 del 28 marzo 2003, che conduce a sistema i principi e i profili di una istruzione e di una formazione di qualità, assicurando il diritto/dovere all'istruzione e alla formazione fino al 18° anno di età e indivi- duando strategie e strumenti nuovi per realizzare una forte integrazione tra le poli- tiche educative e quelle del lavoro. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 2 8 Con il processo di riforma in atto, infatti, il sistema scuola abbandona definiti- vamente la sua autoreferenzialità e si confronta con il sistema della formazione professionale, con il mondo produttivo ed il mercato del lavoro, interazioni necessarie perché si realizzi un effettivo apprendimento lungo tutto l'arco della vita, condizione essenziale per lo sviluppo del capitale umano e della competiti- vità economica. In questa direzione muovono in particolare i decreti attuativi sull'alternanza scuo- la/lavoro e sul diritto/dovere alla formazione fino al 18° anno di età nonché i per- corsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale. L'alternanza scuola/lavoro si connota di una forte dimensione innovativa, in quanto si configura come modalità di realizzazione della formazione del 2° ciclo per assicurare ai giovani, oltre ad una buona formazione nelle competenze di base, l'acquisizione di competenze spendibili nel mercato del lavoro attraverso l'alter- nanza di periodi di studio e di lavoro in coerenza con la scelta effettuata relativa- mente al corso di studi. Appare chiaro, allora, come sia di fondamentale importanza promuovere e sup- portare una più stretta interazione tra l'offerta formativa, le istanze del mondo produttivo, raccordando energie, progettualità, risorse professionali e finanziarie, per un progetto complessivo, condiviso a livello territoriale, che avrà certamente effetti positivi sia per la qualità del sistema scuola, sia per l'autorealizzazione e l'occupabilità dei giovani, sia per la stessa competitività delle imprese. Tale raccordo, peraltro, nel quadro dell'attuale processo innovativo, assume rilevanza trasversale in tutti i percorsi formativi, interessando, ad esempio, i già richiamati percorsi in alternanza, l'educazione permanente, i percorsi speri- mentali triennali di istruzione e formazione professionali, i corsi IFTS, l'orien- tamento. In questa prospettiva si è sviluppata, nel Lazio, una cultura dell'integrazione, con- solidata attraverso la realizzazione di esperienze, progetti e buone pratiche, anche sperimentali, da tempo attivate. Tra queste vorrei rammentare che sono in fase di svolgimento, complessivamente fra 1° e 2° anno, 172 corsi sperimentali integrati di istruzione e formazione pro- fessionale, in attuazione del protocollo di intesa del 24 luglio 2003 tra il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della ricerca, il Ministero del Lavoro e delle poli- tiche Sociali e la Regione Lazio, nell'ambito dell'Accordo quadro sancito in Conferenza Unificata il 19 giugno 2003. Attivati dall'anno scolastico 2003/04, a seguito di Intesa interistituzionale opera- tiva del 21 ottobre 2003 tra la Regione Lazio e questa Direzione generale, i corsi sono riconducibili ai seguenti sub-comparti economici desunti dalla codifica ISFOL-ORFEO, definiti a livello regionale dal Tavolo di Coordinamento e di indi- 1 2 9 BISOGNI PROFESSIONALI DELLE IMPRESE E DOMANDA FORMATIVA A CONFRONTO rizzo sulla base dei fabbisogni emergenti nei diversi contesti territoriali: Meccanica - Metallurgia cod. ISFOL-ORFEO 05 Elettricità-Elettronica cod. ISFOL-ORFEO 06 Grafica-Fotografica-Cartotecnica cod. ISFOL-ORFEO 11 Turismo cod. ISFOL-ORFEO 17 Lavori di ufficio cod. ISFOL-ORFEO 19 Industria Alberghiera-Ristorazione cod. ISFOL-ORFEO 21 Informatica cod. ISFOL-ORFEO 26 L'Intesa interistituzionale ha anche messo a punto le modalità di attivazione del partenariato fra istituzione Formativa e Istituti Superiori, il modello formativo, la coprogettazione, l'organizzazione didattica, il raccordo con il mondo del lavoro, il monitoraggio e la valutazione dei singoli percorsi, la certificazione dei crediti per eventuali passaggi fra sistemi. L'esperienza costituisce un'efficace risposta ai bisogni di una formazione più fles- sibile, più personalizzata e maggiormente in grado di attrarre gli studenti, atte- nuando quegli ostacoli che più facilmente portano all'insuccesso e all'abbandono; alla luce degli incoraggianti risultati ottenuti con i circa 3.500 allievi in formazio- ne, sarebbe auspicabile anche per il Lazio un protocollo di intesa tra MIUR, MLPS e Regione (come in Liguria, in Lombardia e nella Provincia autonoma di Trento) per la realizzazione di progetti pilota, finalizzati a far conseguire un diploma pro- fessionale (quarto anno) a coloro che concludono i percorsi sperimentali triennali previsti dall'Accordo quadro Conferenza Unificata Stato - Regioni del 19.06.2003. In prospettiva si verrebbe a delineare un sistema di istruzione superiore di alta qualità che colloca gli attuali IFTS nell'ambito di un disegno organico e progres- sivo; infatti la possibilità di frequentare il 4° anno apre la strada ai percorsi di istruzione superiore e può rappresentare un'opportunità di ripresa del cammino formativo per le persone in possesso di qualifica professionale del vecchio tipo (precedente alla legge 53/2003) o per chi ha abbandonato precocemente gli studi, incoraggiati da un'alternativa formativa più accessibile. Quanto ai percorsi in alternanza, è utile ricordare che la Direzione Generale Lazio, sulla base di un Protocollo di intesa con la FILAS -Finanziaria Laziale di Sviluppo, oltre ad instaurare un rapporto stabile di collaborazione per la realizza- zione di una serie di iniziative nel campo della formazione, dell'istruzione, del lavoro e dei processi innovativi in atto, ha dato l'avvio ad un progetto di percorsi in alternanza scuola/lavoro coerenti con le caratteristiche dei fabbisogni di pro- fessionalità espressi dalle Piccole e Medie Imprese del Lazio. Già da tempo si era sviluppata sul territorio una esperienza, che costituiva in qualche modo un'antici- pazione di percorsi in alternanza previsti dall'art.4 della legge 53/2003, con due ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 3 0 progetti sperimentali di integrazione fra scuola e lavoro di indubbia efficacia, i cui esiti positivi sono stati verificati con i risultati del monitoraggio effettuato dall'USR Lazio. Obiettivo dell'attuale progetto, elaborato d'intesa con la Regione Lazio, è la rea- lizzazione di un percorso di Ricerca - azione per la costruzione di un modello ter- ritoriale di alternanza scuola/lavoro come metodologia didattica all'interno del curricolo, declinato in rapporto alla specificità delle varie tipologie di istruzione secondaria di secondo grado, da proporre all'autonoma progettazione e program- mazione delle Istituzioni scolastiche. I percorsi in alternanza favoriscono anche la conoscenza dei fabbisogni professio- nali potenziando la formazione orientativa dei giovani che, nel percorso formativo in azienda, vengono in contatto con una famiglia professionale e non solo con una singola figura professionale, con più competenze attinenti ad un determinato com- parto produttivo o di servizi. È ancora opportuno ricordare che sono state attivate Imprese Formative Simulate in 31 Istituti superiori del Lazio, con una stretta collaborazione tra l'Istituto e una o più realtà operative del territorio, per attuare processi di simulazione aziendale e la realizzazione di una metodologia didattica basata sulla sperimentazione inte- grata con realtà aziendali di riferimento. Ritengo, sulla base di tali premesse, che siano ormai predisposti gli strumenti nor- mativi e strategici per un costruttivo confronto fra i bisogni professionali delle imprese e la domanda formativa. È d'obbligo, a questo punto, rilevare l'importanza dell'orientamento e del riorien- tamento come sistema integrato, aperto verso l'esterno, con la collaborazione di tutti i soggetti interessati (Scuola, Regioni, Enti locali, Università, Famiglia, Associazioni e Mondo del lavoro) che, sia pure nella specificità dei loro ruoli e delle loro competenze, integrino le rispettive risorse in funzione progettuale, per forni- re gli strumenti necessari per consentire ai giovani di trovare il proprio punto di equilibrio fra le aspirazioni e le motivazioni personali e le richieste del mondo pro- duttivo costruendo con consapevolezza un proprio progetto di vita, di realizzazio- ne personale, sociale e professionale. L'orientamento e il riorientamento, tra l'altro, si inseriscono nell'innovazione ordi- namentale, assicurando la possibilità di cambiare indirizzo all'interno del sistema dei licei e dell'istruzione e formazione professionale o da un sistema all'altro attra- verso il riconoscimento e la certificazione dei crediti formativi. Da ultimo, ma non ultimo per importanza, vorrei far cenno agli specifici interventi di potenziamento della formazione dei docenti che sono stati predisposti per l'an- no in corso e destinati alla elaborazione di metodologie didattiche adeguate al con- solidamento della cultura della valutazione e di interventi formativi per lo svilup- 1 3 1 BISOGNI PROFESSIONALI DELLE IMPRESE E DOMANDA FORMATIVA A CONFRONTO po di competenze trasversali e disciplinari, con particolare attenzione alla forma- zione scientifica. In particolare, per quanto attiene alle tematiche oggetto del presente incontro: • interventi di formazione in servizio per il personale docente coinvolto nelle azio- ni di potenziamento dell' EdA, nel quadro degli obiettivi di Lisbona e delle nuove opportunità di sviluppo della Formazione Continua; • interventi di formazione dei docenti impegnati nei percorsi IFTS, anche alla luce di quanto previsto dall'Accordo Stato-Regioni del 25/11/2004; • interventi rivolti ai docenti di istruzione secondaria superiore in relazione alle problematiche legate alla certificazione per il riconoscimento dei crediti, al fine di consentire l'effettivo passaggio fra i sistemi (O.M. n. 87 del 3/12/2004; D.M. n. 86 del 3/12/04 MIUR- MLPS; Conferenza Unificata 28/10/2004). ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 3 2 5.3 - Intervento tavola rotonda Francesco Manca Osservatorio Economico Regione Sardegna La prima questione che voglio citare rispetto al tema “Bisogni professionali delle imprese e domanda formativa” è il gap temporale esistente tra le necessità del mercato e la capacità di adeguarsi da parte delle strutture che si occupano di for- mazione. Nel senso che la domanda formativa, in un sistema in cui l'innovazione anche delle figure professionali la fa da padrone e i nuovi mestieri cambiano in continuazio- ne, un po’ come la legge di Moore, è in continua evoluzione e a fronte di questa evoluzione non vi è la necessaria elasticità da parte del sistema formativo di ade- guarsi con la tempestività che il mercato richiede. Il superamento di questo gap è decisivo sia per la componente della domanda sia per l'offerta, soprattutto perché il capitale umano è fondamentale per lo sviluppo delle società avanzate: • lo sviluppo economico non si fonda solo sulla presenza di risorse materiali; • è necessario investire in conoscenze, capitali intellettuali e gestionali. Le università italiane sono agli ultimi posti nei vari ranking internazionali. Il sistema scolastico italiano ha una bassa probabilità di transizione dalla scuola secondaria all'università e un elevato numero di abbandoni. Il livello di istruzione della popolazione sarda è inferiore alla media nazionale e del mezzogiorno. La maggioranza dei sardi (72,7%) possiede la sola licenza media e/o elementare (68,2% in Italia, 71,8% nel mezzogiorno). Una cifra così alta di popolazione dequalificata non può incidere positivamente sul processo di sviluppo. Tuttavia tra il 1998 e il 2002 il livello di istruzione della popolazione sarda è cre- sciuto. In particolare i laureati crescono ad un tasso medio annuo del 5,4% quan- tunque questa quota continui ad essere molto bassa. • Coloro che possiedono solo la licenza media sono il 33,6%, quella elementare o addirittura nessun titolo il 39,1%. • Anche i diplomati sono gradualmente aumentati nel periodo in esame con una media del 2,7% all'anno, raggiungendo nel 2002 il 19,7 % della popolazione locale. 1 3 3 BISOGNI PROFESSIONALI DELLE IMPRESE E DOMANDA FORMATIVA A CONFRONTO • Tra i possessori delle lauree/diploma di laurea e della maturità prevale, per tutti gli anni in esame, la componente femminile: nel 2002 il 3% della popolazione sarda risulta costituito da donne laureate o con un diploma di laurea contro il corrispondente 2,2% dei laureati maschi; • il 10,6% della popolazione risulta inoltre composta da donne con la maturità contro il 9,1% degli uomini. Emerge in maniera nitida come per livelli di istruzione medio alti la componente femminile incida a partire dal 2000 in misura superiore, dopo che nei primi due anni i pesi maschili e femminili sono stati molto vicini. L'incremento medio annuo delle laureate è infatti dell'8,8% e dell'1,4% per i maschi. Il tasso di attività femminile in Sardegna è particolarmente basso se confrontato a quello di altre nazioni. In particolare: - in Danimarca è pari al 75,8% - in Finlandia 74,1% - in Francia 62,5% - in Italia 47,1% - in Sardegna 34,2%. Nella regione ben 256 mila donne dichiarano di non voler lavorare su un totale di 718 mila donne. La percentuale di riferimento è del 35,6%. Uno sguardo al mercato del lavoro Mentre il tasso di occupazione dei maschi rimane stabile tra il 52 e il 53%, quel- lo femminile seppure parta da un livello decisamente più basso appare in costan- te ascesa dal 22,4% del 2000 al 26,2% del 2003. Più marcato appare il calo del tasso di disoccupazione che per i maschi si attesta al 13% (dal 15,2 % del 2000), mentre per le donne passa dal 30,6 % del 2000 al 23,4 % del 2003. Questi valori e questa tendenza appaiono distribuiti su tutto il territorio regiona- le. Infatti tutte e quattro le province sarde evidenziano un aumento del tasso di occupazione e una diminuzione del tasso di disoccupazione femminile, con parti- colare riferimento alla provincia di Cagliari dove il tasso di disoccupazione dimi- nuisce di quasi 10 punti dal 35,3 al 25,9 %. A Nuoro il calo è limitato a 4 punti, così anche a Oristano, mentre nella provincia di Sassari diminuisce di 6 punti Per lo sviluppo dell'imprenditoria è necessario intervenire su quelle che possiamo chiamare le precondizioni per lo sviluppo: - l'inefficienza del Terziario Pubblico regionale; - mancanza di una dotazione adeguata di infrastrutture; ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 3 4 - sistema di istruzione (nazionale e regionale) tra i più arretrati e inefficienti tra i paesi industrializzati. Il settore pubblico - Il 33,7% degli occupati sardi è nel settore pubblico. - La produttività del terziario pubblico sardo ha i valori più bassi in Italia (31,9 contro 33,7). - I costi sostenuti per il terziario pubblico nel sud e in Sardegna sono più elevati rispetto alle altre aree del paese. - Il bisogno di formazione per questo settore è particolarmente elevato soprattutto nel mezzogiorno e in Sardegna, mentre nella generalità dei casi questo è un setto- re molto trascurato sia dalla dirigenza interna che dalle strutture della formazione e forse questo è uno dei motivi per i quali ci ritroviamo un terziario pubblico così inadeguate alle necessità sia dei cittadini che dello sviluppo in generale. Indici delle infrastrutture economiche (Italia =100) 1 3 5 BISOGNI PROFESSIONALI DELLE IMPRESE E DOMANDA FORMATIVA A CONFRONTO Indice generale infrastrutture (economiche e sociali reti bancarie e servizi vari strutture e reti per la telefonia e la telematica impianti e reti energetico-ambientali aeroporti (e bacini di utenza) porti (e bacini di utenza) rete ferroviaria rete stradaleMezzogiorno Sardegna 0 20 40 60 80 100 120 140 78,1 57 61 48,1 65 32,8 63,8 30,5 60,5 77 109,2 132,9 84,7 24,5 91,8 63,2 Il rapporto imprese/istruzione Le imprese sarde non attribuiscono grande rilievo ai rapporti con università e centri di ricerca ( sia regionali che nazionali) dato che oltre due terzi delle aziende locali li considerano “per niente importanti” o “poco importanti”. Nonostante le imprese non mostrino di valutare appieno il ruolo dei centri di ricerca ed istruzione superiore, l'enfasi posta sulla qualità delle risorse umane conferma la rilevanza dei sistemi universitari e di ricerca, quali laboratori di formazione delle risorse umane specializzate e di alto livello. L'atteggiamento professionale delle risorse umane ha tuttavia una rilevanza apparentemente superiore alle mere conoscenze. Le imprese sarde vedono infatti la professio- nalità, ossia quella miscela di serietà, puntualità ed affidabilità nei rapporti col cliente come la vera arma vincente nel mercato. Per circa un quinto delle imprese questo è il vero vantaggio comparato. La competenza tecnica e il know how del personale, pur importanti, sono considerati la strategia vincen- te solo dal 15 % delle aziende. Nel corso dell'analisi si è cercato di dare conto dell'importanza della ricerca e dell'istruzione per lo sviluppo dell'economia e non soltanto dell'ICT. Si è anche posto in evidenza il corto circuito esistente tra sistema dell'istruzione e della ricerca e sistema delle imprese. Due mondi che sembrano non intender- si e appaiono molto distanti e non comunicanti. Il giudizio delle imprese sui soggetti è fortemente critico, nonostante le aziende siano consapevoli dell'im- portanza della ricerca e della conoscenza ai fini del raggiungimento degli obiettivi aziendali e le accordino il primo posto tra le iniziative da finanziarie da parte del settore pubblico. Quindi le imprese attribuiscono grande impor- tanza alla ricerca, ma non sembrano avere fiducia nei soggetti che la svolgo- no. Lo dimostra anche il fatto che non viene attribuito grande valore al titolo di studio e si preferisce l'esperienza lavorativa.Questo filo interrotto deve esse- re ripristinato trovando modalità di dialogo e di lavoro tra queste due entità che sono fondamentali per accrescere le prospettive di sviluppo della Sardegna. Il problema di non facile soluzione è dunque da una parte quello di ripristi- nare un certo grado di fiducia nel sistema mercato e nei suoi rapporti con il sistema dell'istruzione e ricerca all'impresa, dall'altra quello di incoraggiare le imprese ad un uso più sofisticato delle nuove tecnologie. Lo scollamento tra imprese e sistema di mercato appare confermato dalla posizione contradditto- ria delle imprese che sottolineano enfaticamente l'importanza del fattore umano, ma poi minimizzano il ruolo delle fabbriche di conoscenza e ricercano personale privo di titoli di studio. Una tale contraddizione implica che per gli ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 3 6 imprenditori sardi le qualifiche conferite dal sistema istruzione e formazione non rappresentano un indicatore attendibile del valore della risorsa umana. È dunque necessario un lavoro complesso di mediazione tra i diversi attori allo scopo di facilitare la cooperazione e la creazione di circoli virtuosi ed econo- mie positive nel sistema. 1 3 7 BISOGNI PROFESSIONALI DELLE IMPRESE E DOMANDA FORMATIVA A CONFRONTO 5.4 - Intervento tavola rotonda Giuditta Alessandrini Università degli Studi Roma Tre Vorrei ricollegarmi al discorso già affrontato in sede di seminario sull'esigenza di comprendere lo scenario dei fabbisogni formativi. Non ci sono modalità univoche per comprendere questo scenario, ma ci sono diverse modalità interpretative. Il discorso dell'analisi dei fabbisogni formativi è oggi molto più complesso del pas- sato, siamo di fronte ad un intreccio diverso, ad un'esigenza di costruire modelli cognitivi diversi. Come università abbiamo effettuato una serie di ricerche, anche nell'ambito dei progetti europei, sul tema dell'analisi dei fabbisogni. Nell'ambito di questi proget- ti ho avuto la fortuna di collaborare con la Sardegna, con un istituto superiore di Olbia, per il progetto Musinet che ha avuto un riconoscimento dall'Unione euro- pea per la capacità innovativa. Se è vero che la modalità di lettura e di descrizione dei fabbisogni formativi si è fortemente diversificata di recente, questo dipende da fattori che sono legati a fenomeni relativi alle trasformazioni del mondo del lavoro. Mi sembra che uno dei fili rossi del convegno sia stata anche una lettura pedagogica del lavoro. Ci sono ambiti di studio, che sono la pedagogia del lavoro e la pedagogia delle risorse umane, dove si cerca di individuare, dal punto di vista della dimensione antropo- logica oltre che sociologica, gli elementi che mutano in funzione delle variabili macroeconomiche e sociali che conosciamo e che stanno ricreando le condizioni per una rilettura del lavoro. Che senso ha il lavoro per la persona, che senso ha la professionalità, l'apprendimento formale e informale? Qual è l'intreccio che si verifica tra vita professionale e della persona? Si è parlato molto di numeri e percentuali; tuttavia non bisogna considerare la per- sona solo in ambito “funzionalista” ma per ottenere uno sviluppo è necessario vederla nell'ottica della propensione ad apprendere. Se pensiamo alla dimensione persona come elemento fondamentale di questa nuova geografia del lavoro, dob- biamo pensare soprattutto di sviluppare questa propensione ad apprendere e quin- di creare le condizioni perché poi emerga dall'interiorità del soggetto 'persona' la possibilità di costruire nuovi profili e nuove avventure professionali. Il concetto di capitale umano, in un'ottica centrata sulla persona, va visto come opportunità di ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 3 8 crescita della persona. Dal punto di vista pedagogico, si parla di crescita delle organizzazioni, crescita del territorio, ma nella misura in cui questo si coniuga con la crescita della persona e quindi, anche con la consapevolizzazione della persona, che, per esempio, cambia lavoro nel corso della vita. Nell'ambito universitario lo studente tradizionale quasi non esiste più oggi, la maggior parte della popolazio- ne iscritta è superiore ai 35 anni, perché si tratta di persone che rileggono le pro- prie intenzionalità nel corso della vita e costruiscono nuovi percorsi, nuovi itine- rari di apprendimento, di formazione, ma anche professionali. Emergono nuove motivazioni, che vanno lette in maniera attenta. Un altro aspetto importante è l'enfasi sui processi di apprendimento informale, lega- ti alla condivisione, alla comunità di pratica. È una materia nuova sulla quale biso- gna fare ancora indagini anche diverse. Inoltre, c'è un elemento da ricordare: siamo in una situazione di transito, in cui ci sono processi di trasformazione profondi, che non sono soltanto quelli della diffusione della connettività e delle reti, ma sono anche quelli legati al declino dei sistemi standardizzati e quindi, all'emergenza di nuove culture del lavoro. Emerge ad esempio il fenomeno nuovo della divaricazione, in cui come richieste di professionalità emergono i talenti o le persone poco professionaliz- zate, mentre la fascia intermedia è quella più problematica. Questo fenomeno va stu- diato sia dal punto di vista della mera rilevazione descrittiva, sia dal punto di vista antropologico, in quanto non possiamo dimenticare che tutto ciò comporta proble- mi anche per i processi di identità dell'uomo e della donna. Un altro fenomeno è quello della diffusione dei cosiddetti mobile workers, nuove geografie di lavoratori, che spesso incontrano problemi di identità, di appartenen- za, di correlazione all'ambito di impresa in cui operano. Il capitale umano diventa così anche driver del valore. Se è vero che viviamo in questa economia della conoscenza, è vero anche che sono urgenti investimenti in capitale umano e quindi, in formazione (formazione continua). La mancata for- mazione non produce innovazione, il non aver prodotto innovazione ci fa arretra- re rispetto agli indici di competitività internazionale. In questo discorso si inserisce il concetto di territorio come capacità di far fronte all'innovazione, non soltanto di prodotto ma anche di processo, che è crescita dei singoli individui e della capacità di collaborare. Viene fuori quindi, la dimensione intersoggettiva delle comunità locali. Alcuni dati sono estremamente preoccupanti. Faccio riferimento alla scenario Isper 2005, un rapporto pubblicato prima dell'estate in cui è stata coniata la paro- la “aprogettualità”, indicativa della stagnazione che stiamo vivendo. Insieme a diversi dati negativi emerge che i direttori del personale e gli amministratori delle risorse umane pensino soprattutto all'ottimizzazione piuttosto che alla valorizza- zione delle risorse. 1 3 9 BISOGNI PROFESSIONALI DELLE IMPRESE E DOMANDA FORMATIVA A CONFRONTO Dal punto di vista del Rapporto ISFOL, è interessante verificare come la quota più alta dei lavoratori che ha partecipato alla formazione appartenga alla categoria degli autonomi, il che significa che si comprende la rilevanza delle formazione per la crescita. Tendenzialmente la formazione è crescita, 4,5% in più per i dipenden- ti e 5% per gli autonomi, è indubbio però che ci siano delle disuguaglianze. Emerge chiaramente dal Rapporto ISFOL che fa formazione soprattutto chi ne ha meno bisogno in quanto è già formato perché viene da background medio alti, ad esempio chi occupa ruoli dirigenti, e questo è un elemento estremamente negati- vo. Altro elemento negativo è il fatto che l'e-learning non cresca, anche qui stia- mo fuori rispetto alla media europea, mentre è interessante l'attenzione all'ap- prendimento informale, implicito. In conclusione, direi che è importante migliorare l'interattività sociale e quindi, pro- durre situazioni in cui a livello di comunità locale nasca e cresca la propensione ad apprendere, la comprensione della crucialità dell'elemento apprendimento, perché la propensione ad apprendere può essere in realtà una sorta di “vitamina per l'innova- zione”, significa anche voglia di rischiare, capacità di tollerare l'errore. Secondo la mia prospettiva, una nuova lettura dei fabbisogni può verificarsi lavo- rando sulle aree di confine, com'è emerso anche da altri interventi, inoltre, può costruire un'intenzione positiva verso gli imprenditori nei confronti della propen- sione ad apprendere. Infine, sostenere la valorizzazione del vissuto esperienziale del soggetto, laureare l'esperienza, come si dice in alcuni progetti. Dalla tematica di Lisbona emerge la legittimità di percorsi di apprendimento che non passano dai circuiti istituzionali, ma che vanno riconosciuti attraverso un portfolio visibile, che consenta al soggetto la possibilità di costruire percorsi di vita che possono essere diversificati nel tempo, lifelong learning. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 4 0 5.5 - Intervento tavola rotonda Pietro Paolo Spada Confartigianato Sardegna Provenendo da un'organizzazione che rappresenta gli interessi della piccola impresa, qual è Confartigianato, sono portato a porre al centro del tema che noi trattiamo l'esigenza dell'impresa. L'impresa di per sé qualifica i propri dipenden- ti, li qualifica nel momento in cui riconosce determinate competenze. Quindi riten- go sia importante sia la formazione che segue le linee ufficiali ma anche quella non convenzionale, il valore di un lavoratore non deriva da un titolo di studio o da un determinato percorso formativo, ma da quanto risponde alle esigenze dell'azienda in cui lavora. Ecco perché in taluni casi si verifica proprio il paradosso della for- mazione: si è portati ad assumere personale anche senza alcun titolo ma con qual- che competenza (adesso è facile acquisire competenze senza che vi sia la possibi- lità di provarlo ufficialmente con il dilagare del lavoro nero…), perché risponde alle esigenze dell'azienda in maniera più adeguata rispetto a chi può presentare un curriculum ufficiale. La piccola impresa artigiana rappresentata da Confartigianato fotografa un con- testo di basso profilo organizzativo, che tuttavia deve operare in ogni caso nella complessità che è comune ai competitori di maggiori dimensioni. Ovviamente, come in altri contesti anche in queste imprese sono presenti delle realtà più evolu- te, più strutturate, che si muovono nei mercati al pari di qualunque altro sogget- to economico. E proprio queste imprese, che rappresentano la fascia più alta del comparto, utilizzano tutti gli strumenti finanziari e le agevolazioni, e risultano essere già attente ai mutamenti del mercato e alle esigenze di formazione, riu- scendo a trovare solitamente le risposte adeguate ai loro problemi. È diversa la situazione delle micro imprese, i cui titolari spesso privilegiano, per necessità, il mero aspetto produttivo e sono essenzialmente operai imprenditori, generalmente proprietari degli strumenti aziendali, che si avvalgono di consulenti esterni per svolgere le funzioni più complesse. Questi piccoli imprenditori spesso non riescono a cogliere gli elementi di innovazione perché hanno delle difficoltà culturali, faticano a tenersi aggiornati in merito agli obblighi, alle opportunità, ai processi di rinnovamento tecnologico, e quindi si trovano ad avere anche degli strumenti non più adeguati alla trasmissione delle conoscenze, cioè mancano gli 1 4 1 BISOGNI PROFESSIONALI DELLE IMPRESE E DOMANDA FORMATIVA A CONFRONTO strumenti pedagogici per riuscire a parlare in maniera adeguata, senza rifarsi ai modelli formativi precedenti. Nel mercato dell'offerta della formazione professio- nale i titolari delle micro imprese sarebbero teoricamente gli utenti ideali per inter- venti brevi di aggiornamento e riqualificazione, spesso riservati solo ai loro dipen- denti. Da una ricerca effettuata sulla piccola e piccolissima impresa è emerso lo scarso interesse verso interventi di formazione. Da parte mia posso confermare questi dati ma devo sottolineare che molto spesso la proposta formativa riservata alle piccole piccolissime imprese è assolutamente inadeguata. Se si propone ad un imprenditore artigiano corsi di duecento o più ore, è probabile che si riceva un rifiuto. Viceversa se si offrono moduli più adeguati, molto particolari, è molto più probabile ricevere una risposta diversa da parte di quelli più attenti. La mancan- za di collegamento tra l'offerta e la domanda formativa a cui spesso assistiamo ci deve fare riflettere sui sistemi di valutazione e di programmazione attivati. Le dinamiche dei bisogni di formazione, di aggiornamento professionale delle impre- se, sono state e sono sempre oggetto di incessante studio da parte di numerosi atto- ri istituzionali o appartenenti al mondo datoriale e sindacale. Il percorso logico che porta dall'indagine sui fabbisogni formativi alla predisposi- zione di un catalogo di attività è posto in alternativa con il processo speculativo, che tende ad anticipare il fenomeno sulla base di indicatori fondati su dati ten- denziali dei settori produttivi in crescita. Notevole attenzione deve essere concessa al supporto dell'autoimprenditorialità, rendendola, anche mediante idonei stru- menti di agevolazione, una valida alternativa al lavoro dipendente. La volontà di dedicarsi alla valorizzazione delle idee imprenditoriali è forse la politica attiva più incisiva verso il comparto produttivo della piccola e media impresa e dell'artigia- nato. Ritengo utile proporre investimenti dedicati all'orientamento teso a scoprire vocazioni imprenditoriali che a volte rimangono inespresse. Proporre investimenti dedicati all'orientamento e alla formazione garantirebbe la nascita di un sistema di nuovi imprenditori più consapevoli del proprio ruolo, a discapito delle aziende nate in maniera casuale e senza alcun supporto in affiancamento. In conclusione, vorrei esprimere un parere favorevole verso una politica attiva, in raccordo ad esempio con le scuole secondarie superiori, che sia finalizzata alla rea- lizzazione di progetti di impresa simulata, di interventi da parte di giovani imprenditori, nei quali affrontare le dinamiche di impresa sotto l'aspetto pratico cercando di suscitare il massimo interesse. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 4 2 5.6 - Intervento tavola rotonda Alberto Valentini Comitato Scientifico Retecamere 1. Premessa Vorrei presentare alcuni dati e alcune riflessioni collegate premettendo che consi- dererò la dimensione nazionale, pur specificando che le stesse informazioni sono fruibili a livello regionale e provinciale. Il sistema informativo Excelsior è, infatti, in grado di fornire le informazioni che seguiranno articolate sotto il profilo territoriale . Si tratta di un'indagine a carat- tere annuale, condotta su un campione rappresentativo delle imprese italiane del settore industria e servizi. Il sistema è ormai in atto da cinque anni e i confronti fatti successivamente con i dati ISTAT, sulla base delle rivelazioni delle forze campionarie di lavoro, hanno permesso di verificare una sostanziale coincidenza. L'indagine periodica, svolta e presentata annualmente, permette di disporre dei dati relativi alle previsioni di assunzione da parte delle imprese italiane a breve termine; i dati che di seguito vengono presentati riguardano le assunzioni previste per gli anni dal 2002 al 2005. Si consideri che è importante disporre della domanda delle imprese di nuove assunzioni per poter programmare, a livello sia istituzionale che di centro opera- tivo, percorsi di formazione professionale, di istruzione professionale, di istruzio- ne tecnica, etc. Lo diceva Dario Nicoli, di considerare in maniera ragionevole e ragionata, la domanda, non per tradurla immediatamente e meccanicamente in processi e programmi formativi, ma per poter programmare le attività formative, non alla cieca o peggio sulla spinta dell'offerta, ma avendo un punto di riferimen- to collegato alle probabili assunzioni. L'indagine Excelsior viene svolta su un campione rappresentativo delle imprese italiane con più di un addetto; su oltre 5 milioni di imprese che esistono in Italia soltanto il 20% circa è in questa condizione, le altre sono imprese singole, hanno un imprenditore, un lavoratore autonomo e quindi possono essere prese in consi- derazione con altre metodologie. L'indagine viene svolta attraverso un sistema che prevede l'invio di una scheda 1 4 3 BISOGNI PROFESSIONALI DELLE IMPRESE E DOMANDA FORMATIVA A CONFRONTO molto semplice, ad un campione rappresentativo formato da 100 mila imprese e poi, successivamente, in un secondo momento, si raccolgono i dati attraverso un colloquio telefonico. Le imprese di maggiori dimensioni vengono invece intervi- state tutte, sempre attraverso la stessa metodologia. Questo campione esclude l'agricoltura e la pubblica amministrazione; quest'anno, per la prima volta, uno studio a parte è stato dedicato all'agricoltura. In questo settore, nel 2005 si prevedono assunzioni per 11.800 lavoratori, mentre i lavora- tori stagionali sarebbero circa 456.000. Non considero, quindi, nella mia esposizione le assunzioni dell'agricoltura e della pubblica amministrazione; mi soffermo invece sulle assunzioni previste, nel 2005, dalle imprese industriali e di servizi. 2. Le tendenze in Italia delle assunzioni per gruppi professionali Dalle tendenze complessive delle nuove assunzioni in Italia dal 2002 al 2005 (Tab. 1), per i settori industria e servizi, si nota, nel complesso, un lieve calo (da 686 mila a 648 mila richieste annue)1. Se si considerano le tendenze, nello steso periodo, per i diversi gruppi professio- nali, si osserva che: (a) i livelli elevati di professionalità (dirigenti e professioni scientifiche) hanno ten- denze complessivamente in lieve, sostanziale crescita: ciò vale per i dirigenti e anche per le professioni intellettuali scientifiche e di elevata specializzazione (i due gruppi nel 2003 erano il 4,26%; nel 2005 salivano al 4,98%); (b) i livelli professionali tecnici superiori (professioni tecniche) mostrano anch'es- si tendenze in lieve complessiva crescita (in sintesi nel 2002 erano l'11,76%, nel 2005 diventano l'11,95%); (c) i livelli professionali tecnici inferiori (amministrazione e gestione, vendite e ser- vizi per le famiglie) mostrano una tendenza in crescita (da 29,94% o 31,08%); (d) i livelli specializzati inferiori (operaio specializzato e operatori macchina) ten- dono a decrescere (nel 2002 erano il 38,80%, nel 2005 diventano il 34,79%); (e) i livelli non qualificati (personale generico) mostrano una marcata tendenza alla crescita (da 13,72% nel 2002 al 17,19% nel 2005). Si può complessivamente notare che i livelli di professionalità elevata, i tecnici superiori e quelli inferiori, hanno delle tendenze in lieve crescita. Per questi tre livelli si passa, nel periodo esaminato, dal 46% al 48%. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 4 4 1 Tutti i dati sono ricavati da: Unioncamere, Progetto Excelsior-Sistema informativo per l'occupazio- ne e la formazione, Sintesi dei principali risultati-2005. La tendenza è positiva anche se di dimensioni oggettivamente ridotte. Tab. 1 - Assunzioni in Italia per gruppi professionali dal 2002 al 2005 (valori assoluti e percentuali) Fonte: Elaborazione su dati Unioncamere-Ministero del Lavoro, Sistema Informativo Excelsior, 2005 Il calo dei livelli specializzati inferiori (operai specializzati e operatori macchine), esaminato congiuntamente all'incremento significativo del personale generico, mostrano uno scenario abbastanza preoccupante. Si potrebbe pensare ad un seg- mento della nostra economia che tende addirittura alla despecializzazione o forse più probabilmente al lavoro sommerso. L'economia italiana complessivamente appare, nel periodo 2002-2005, in una sostanziale difficoltà di assorbimento di quote maggiori di personale professional- mente preparato, adatto ad innovare e ad esercitare un ruolo di traino e sviluppo. 3. Assunzioni in Italia per settori di attività economica Se si considerano le assunzioni previste, negli anni dal 2002 al 2005 per settori economici, si colgono le seguenti tendenze (Tab. 2): - l'industria decresce molto rapidamente (in quattro anni un calo di quattro punti 1 4 5 BISOGNI PROFESSIONALI DELLE IMPRESE E DOMANDA FORMATIVA A CONFRONTO Gruppi professionali 2002 2003 2004 2005 Dirigenti e direttori Professioni intellettuali scientifiche e di elevata specializzazione Professioni tecniche Professioni esecutive relative all'amministrazione e alla gestione Professioni relative alle vendite ed ai servizi per le famiglie Operai specializzati Conduttori impianti, operatori macchinari e operai montaggio industriale Personale non qualificato Totale (valore percentuale) Totale (valore percentuale) 0,37 5,42 11,76 9,25 20,69 25,40 13,40 13,72 100,00 685,888 0,27 3,99 12,23 8,53 21,85 25,72 13,28 14,14 100,00 673,498 0,40 4,46 12,63 9,04 18,97 23,64 13,99 16,87 100,00 673,763 0,39 4,59 11,95 9,14 21,94 20,98 13,81 17,19 100,00 647,750 è particolarmente preoccupante); - le costruzioni mostrano una crescita significativa (dal 13% al 14%); - il commercio complessivamente mantiene la precedente capacità di assorbimen- to (circa 17%); - il turismo cala drammaticamente se si considera che l'Italia è un paese a grande vocazione turistica (dal 15% al 9%); - i servizi sono il settore che ha permesso alla nostra occupazione di reggere (pas- sano dal 25 al 34%). Come si nota il Sistema Informativo Excelsior consente di conoscere quali siano le professionalità maggiormente richieste per ciascuno dei settori considerati. Si con- sideri che sono disponibili i sotto settori dettagliati. Se si prende in esame, ad esempio, l'industria alimentare si può vedere che il “tec- nico di produzione e controllo qualità” è la professione più richiesta. Nel settore delle costruzioni è “l'assistente di cantiere edile” la professionalità maggiormente ricercata. Nel commercio all'ingrosso sono ricercati in maggior numero i “venditori rappre- sentanti”. Nel turismo sono soprattutto richiesti i “banconisti di agenzia viaggi”. Nei servizi le figure più ricercate sono: i programmatori informatici, i disegnatori cad-cam, gli “esperti in servizi finanziari e assicurativi”, “agenti immobiliari”, gli insegnanti di scuola materna, infermieri,ecc. Tab. 2 - Assunzioni in Italia per settori di attività economica dal 2002 al 2005 (valori assoluti e percentuali) Fonte: Elaborazione su dati Unioncamere-Ministero del Lavoro, Sistema Informativo Excelsior, 2005 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 4 6 Settori di attività economica 2002 2003 2004 2005 Industria Costruzioni Commercio Turismo Servizi Totale (valori percentuali) Totale (valori assoluti) 30 13 17 15 25 100 685.888 28 13 18 15 25 100 673.498 26 15 17 8 33 100 673.763 26 14 17 9 34 100 647.750 Sono solo alcuni possibili esempi per cercare di spiegare che dall'intreccio tra i set- tori economici e i livelli professionali si può riuscire ad avere utili elementi per valutare le tendenze delle nuove assunzioni. Queste informazioni sono particolarmente utili per la programmazione a livello regionale e provinciale, ma anche a livello territoriale distrettuale, per la defini- zione dei percorsi annuali e/o pluriennali di offerta di formazione professionale. 4. Assunzioni previste in Italia nel 2005 per gruppi professionali, setto- ri economici e per alcune competenze di base L'intreccio evocato può essere esplorato - ad esempio per il 2005 - tenendo conto che la maggiore domanda, sotto il profilo delle professioni, è prevista per (Tab. 3): - professioni vendite e servizi alle famiglie (per i settori: commercio, turismo e ser- vizi) per complessivi 142 mila addetti; - operai specializzati (per i settori: costruzioni, industria e commercio) per com- plessivi 136 mila addetti; - personale non qualificato (per i settori: servizi, costruzioni e industria) per com- plessivi 111 mila addetti. Le imprese che esprimono detta domanda sono per il 40% sopra i 50 addetti, per il 41% sono fino a 9 addetti e per il restante 19% sono imprese nella classe di dimensioni intermedia. Per il 60% si tratta perciò di piccole imprese. Se si considera la domanda di nuove assunzioni sulla base dei livelli di studio pos- seduti (Tab. 4) si vede che: - per il 37,5% non è richiesto nessun titolo (scuola dell'obbligo); obbligo che, come è noto, non è neppure conseguito in una percentuale ancora troppo alta; - il 33,6% della domanda è riferito al diploma di scuola superiore; - il 13,7% richiede istruzione professionale e tecnica (3-4 anni dopo l'obbligo); - l'8,8% l'università; - il 6,4% l'attestato di qualifica (formazione professionale regionale); Per quest'ultima categoria si tratta di circa 41.660 richieste per la formazione pro- fessionale e 88.730 per l'istruzione professionale. In aggiunta andrebbero poi considerati i 242 mila dipendenti richiesti senza pre- parazione professionale (nessun titolo); per questi soggetti dovrebbe essere verifi- cato se hanno ottenuto il conseguimento dell'obbligo e se si può comunque ipotiz- zare la necessità di almeno alcuni elementi di prima professionalità. 1 4 7 BISOGNI PROFESSIONALI DELLE IMPRESE E DOMANDA FORMATIVA A CONFRONTO Tab. 3 - Assunzioni in Italia previste nel 2005 per gruppi professionali e per settori economici (valori assoluti) Fonte: Elaborazione su dati Unioncamere-Ministero del Lavoro, Sistema Informativo Excelsior, 2005 Tab. 4 - Assunzioni previste in Italia nel 2005: per titolo di studio posseduto e per alcune competenze di base richieste Fonte: Elaborazione su dati Unioncamere-Ministero del Lavoro, Sistema Informativo Excelsior, 2005 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 4 8 Gruppi professionali Totale Dirigenti e direttori Professioni intellettuali scientifiche e di elevata specializzazione Professioni tecniche Professioni relative alle vendite ed ai servizi per le famiglie Operai specializzati Conduttori impianti, operatori mac- chinari e operai montaggio industria Personale non qualificato Totale 2.550 29.760 77.420 59.220 135.900 89.470 111.320 647.750 Servizi 1.470 17.410 36.780 33.160 7.420 22.610 64.770 219.400 Turismo 70 80 2.420 3.310 490 120 6.710 59.980 Commercio 160 3.080 11.260 11.690 11.590 4.130 11.430 108.650 Costruzioni 30 970 4.880 2.820 58.580 7.830 15.280 90.850 Industria 820 8.220 22.080 80240 57.820 54.780 13.130 168.870 Titolo di studio posseduto Nessun titolo richiesto (scuola dell'obbligo) Attestato professionale (regionale) Istruzione professionale e tecnica (3-4 anni) Diploma superiore (5 anni) Titolo universitario Totale 94,6% 93,1% 79,2% 42,9% 13,0% Conoscenza informatica 0,3% 0,4% 0,9% 3,1% 9,6% 5,0% 6,6% 0,9% 3,1% 9,6% 96,9% 94,2% 91,9% 73,4% 44,6% Lingua straniera Non richiesta 3,1% 5,8% 8,1% 26,6% 55,4% Valore percentuale 37,5 6,4 13,7 33,6 8,8 100,0 Valore assoluto 242.840 41.660 88.730 217.610 56.910 647.750 Non richiesta Da pro- grammatoreRichiesta Da utilizzatore Il Sistema Excelsior permette di riflettere su due aspetti qualitativi: la conoscenza di lingua straniera e l'informatica. Sul versante della conoscenza della lingua straniera si può osservare, dai dati esposti in tabella, che viene richiesta dalle imprese al crescere del livello di studio posseduto. Si nota, in generale, una tendenza quasi di reciprocità: la conoscenza linguistica si chiede al diplomato e al laureato e non ai livelli scolastici minori. Anche la conoscenza informatica, per quel che concerne la capacità di utilizzarla, viene richiesta con intensità crescente dall'istruzione professionale, al diploma, alla laurea. In ogni caso sia la lingua e sia l'informatica appaiono richieste in via di sviluppo, nel senso che l'impresa sarà via via più portata dagli effetti della competizione a richie- dere di più queste due importanti competenze. 5. Assunzioni in Italia nel 2005 per gruppi professionali e titolo di studio La domanda di professionalità da parte delle imprese si modifica di anno in anno. Nel 2005 si possono cogliere alcuni elementi a partire dal livello di istruzione posseduto, visto in relazione con la domanda articolata per gruppi professionali. Si possono così vagliare i gruppi professionali di assunzioni per livello di preparazio- ne scolastica e formativa: - coloro che non hanno nessun titolo (scuola dell'obbligo) si collocano dal personale non qualificato, ai conduttori impianti, agli operai specializzati, alle professioni addetti alle vendite e ai servizi per le famiglie; - attestato di qualifica professionale (regionale) sono richiesti nelle professioni relati- ve alle vendite ed ai servizi per le famiglie, tra gli operai specializzati, i conduttori impianti e al monitoraggio, nonché tra il personale non qualificato; - istruzione professionale e tecnica (3-4 anni) si collocano tra gli operai specializzati, le professioni addetti alle vendite e ai servizi per le famiglie, nonché a livello inter- medio inferiore nei gruppi professioni esecutive relative alla amministrazione e alla gestione e nelle professioni tecniche; - diploma superiore (5 anni) si concentrano come richiesta nei livelli intermedi infe- riori, nei livelli intermedi superiori e nei livelli dirigenziali; - titolo universitario sono richiesti dalle professioni dirigenziali ed anche dai livelli intermedi soprattutto superiori. L'insieme di queste considerazioni permette di verificare che la domanda di profes- sionalità espressa dalle imprese spesso acquisisce competenze non ancora compiuta- mente preparate, sotto il profilo scolastico e/o professionale, portandole, anche attra- verso percorsi di rapido addestramento, ad esercitare ruoli e mansioni sostanzial- 1 4 9 BISOGNI PROFESSIONALI DELLE IMPRESE E DOMANDA FORMATIVA A CONFRONTO mente più elevati. Le imprese dichiarano di aver dovuto ulteriormente preparare persone dopo l'assun- zione attraverso dei corsi. Si tratta di personale con: - 16% nessun titolo - 28% attestato di qualifica professionale - 26% istruzione professionale e tecnica - 28% diploma superiore - 51% università. Tutto ciò sta a significare che tra preparazione ed esigenze delle imprese non avviene ancora processualmente quel dialogo che permetterebbe di evitare costi sociali ed eco- nomici alle persone e alle imprese. Si tenga conto che complessivamente nel 2004 le imprese dell'industria e dei servizi hanno ospitato allievi in tirocinio per circa il 10%. Si è cioè in presenza di un dialo- go avviato ma non certo ancora soddisfacente. 6. Lavoro dipendente o indipendente? La domanda non è retorica. Spesso i sistemi scolastici e formativi non tengono conto che almeno il 28% dell'occupazione in Italia è complessivamente rappresentata da lavoro indipendente. Si tratta in prevalenza di lavoratori autonomi, artigiani e commercianti, poi di imprenditori e liberi professionisti. Anche Excelsior ha tentato per il 2005 una valutazione delle entrate previste per posi- zione professionale2. Su un'entrata di circa 930 mila persone si stimano: per il settore privato il 70,9%; per la pubblica amministrazione il 7,4%; per i lavoratori autonomi il 17% e per i liberi professionisti il 4,7%. Sotto il profilo della formazione professionale si deve rilevare che sussiste un ambito spesso non sufficientemente esplorato. Le ragioni come sempre sono molteplici e complesse a partire dalle disattenzioni dei programmi e bandi emanati dalle differenti regioni. Si tratta però di non sottovalutare queste potenzialità da parte del sistema di forma- zione professionale, impegnandolo a meglio rapportarsi con le organizzazioni dei lavoratori autonomi dei differenti settori di attività economica. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 5 0 2 cfr.: Unioncamere, Rapporto Excelsior 2005, Alcune tendenze evolutive del mercato del lavoro in Italia, Roma, 2005 (pag. 55). 7. Considerazioni conclusive La domanda di capitale sociale del sistema delle imprese e del mondo del lavoro, come si è potuto vedere, non viene storicamente corrisposta da un'offerta capace di assicurare le competenze professionali necessarie ai vari livelli e nei differenti distretti produttivi (secondo il sistema informativo Excelsior mediamente il 25% delle assunzioni del 2005 da parte delle imprese ha avuto necessità di formazione ulteriore corsuale interna o esterna). L'offerta scolastica, quella universitaria e anche quella di formazione professiona- le, sono ancora strutturalmente troppo rigide, incapaci di coniugarsi flessibilmen- te alle esigenze poste dalla società della conoscenza, dallo sviluppo, dal lavoro e dalla cultura. A tale proposito occorre utilizzare la formazione professionale come strumento di sostegno della politica dello sviluppo e dell'innovazione in relazione alle esigenze poste dai differenti distretti produttivi (si pensi alla crisi del tessile, del cuoio, del- l'oreficeria, e così via, ma anche alle esigenze di integrazione dell'immigrazione). Occorre, perciò, favorire il dialogo tra esigenza della domanda del sistema econo- mico-sociale e offerta del sistema formativo giovanile e ricorrente per gli adulti. Bisogna inoltre evitare che continui l'abbandono prematuro dalla scuola, impo- stata deduttivamente secondo modalità che non motivano i giovani all'apprendi- mento (soprattutto di estrazione socialmente modesta) che poi si presentano, di conseguenza, al mondo del lavoro senza un minimo di preparazione scolastica e professionale (completamento della scuola media e conseguimento di un primo attestato di qualifica). Si noti che attualmente si accumulano i ritardi nella scuola media, alcuni allievi si perdono nel passaggio alla scuola secondaria di secondo grado e, in questa, si hanno perdite che si attestano intorno al 6% (complessivamente le perdite scola- stiche sono stimabili in circa 240 mila persone). Bisogna altresì evitare che il modello di riferimento scolastico e formativo preva- lente sia quello del lavoro dipendente, mentre quasi il 30% è occupato in attività indipendenti (autonome, imprenditoriali, professionali). In questa prospettiva occorre rilanciare, d'intesa con le Regioni, la formazione pro- fessionale a tutti i livelli di professionalità affinché divenga, non un canale forma- tivo alternativo (è sbagliato trasferire gli istituti professionali di Stato alle Regioni perché vorrebbe dire scolarizzare la formazione professionale), ma: - un ponte di collegamento tra le esigenze del lavoro e delle imprese e l'offerta sco- lastica ai vari livelli (inserimento occupazione flessibile); - un momento di recupero degli ancora troppi abbandoni prematuri dalla scuola e di loro prima professionalizzazione (collaborazione scuola e formazione professionale); 1 5 1 BISOGNI PROFESSIONALI DELLE IMPRESE E DOMANDA FORMATIVA A CONFRONTO - un sistema flessibile caratterizzato da percorsi di preparazione specializzata per il conseguimento dell'attestato di qualifica (primo livello), per ruoli tecnici inter- medi (secondo livello) e per ruoli tecnici superiori (terzo livello); - un luogo incentrato sul metodo induttivo capace di coniugare le competenze lavorative della persona con quelle richieste dall'impresa (declinate territorial- mente); - un sistema di agenzie formative multiservizi operanti sul territorio (realizzate dal pluralismo esistente), capaci di progettare la formazione professionale in relazione alle competenze richieste dalle imprese e a quelle possedute dalle per- sone. L'armonizzazione dei sottosistemi scolastico e di formazione professionale, in stretto collegamento col ruolo formativo del contratto di apprendistato, nonché del riconoscimento dei crediti formativi acquisiti sul lavoro, avrà il compito di rea- lizzare un sistema integrato di formazione. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 5 2 5.7 - Intervento tavola rotonda Amarildo Arzuffi Fondimpresa Sono qui a parlare di Fondi interprofessionali. Questi Fondi si chiamano così per indicarne la loro natura confederale e trasversale, infatti qualsiasi soggetto econo- mico che si giovi di lavoro dipendente nell'esercizio delle proprie attività, appar- tenente a categorie economiche e settori differenti si può iscrivere a un qualsivo- glia Fondo di suo gradimento. Le aziende, per il loro personale dipendente, ver- sano lo 0,30; questa quota viene rigirata dallo Stato ai Fondi, qualora i titolari del rapporto di lavoro decidano di aderirvi. Si tratta di una quota derivante da una trattenuta obbligatoria che insiste sulle buste paga dal 1978, inserita all'interno dell'assicurazione contro la disoccupazione involontaria, che doveva esser destina- ta già allora a finanziare la formazione continua. Le Parti Sociali sono riuscite a destinare tale ritenuta al proprio scopo originale, il finanziamento della formazione continua, solo due anni fa, dopo una discussione che è durata vent’anni. Cosa finanziano i Fondi? I Fondi dovranno finanziare i “Piani formativi aziendali interaziendali settoriali e territoriali”, ciascun Fondo in modo originale, perché ogni fondo ha podestà rego- lamentativa e stabilisce le proprie modalità di funzionamento nell'ambito delle disposizioni di legge. Quindi Fondimpresa ha proprie regole operative specifiche. Il Fondo degli Artigiani ha altre regole, studiate per intervenire nel proprio mercato di riferi- mento, gli altri Fondi altre regole ancora. Ne discende che i Fondi dovrebbero, secondo la volontà del legislatore, farsi con- correnza tra di loro; questa è la loro natura interprofessionale, nel senso che, a seconda delle strategie messe in campo e delle politiche di mercato prescelte, dovrebbero “catturare” aziende esterne al perimetro associativo dei Soci. Per esempio un'azienda iscritta alle Confederazioni datoriali artigiane potrebbe aderi- re a Fondimpresa e non al Fondo Artigiani perché trova più confacente alle pro- prie esigenze il servizio offerto. Esiste un altro problema: si dice che noi finanziamo dei Piani, ma c'è differenza tra Piano e Progetto. Il Ministero del Lavoro continua ad utilizzare Piano come 1 5 3 BISOGNI PROFESSIONALI DELLE IMPRESE E DOMANDA FORMATIVA A CONFRONTO equivalente di Progetto, oggi questo problema lessicale è molto serio. I Fondi oggi esistenti in Italia sono destinati ai lavoratori dipendenti, dalla quali- fica più bassa fino a quella di quadro, con l'esclusione però di una serie di figure professionali e soprattutto degli apprendisti, per cui non incorre l'obbligo di ver- sare questo contributo (ad esempio i Fondi non si possono pagare le attività for- mative inerenti l'apprendistato perché gli apprendisti non versano lo 0,30). I fondi oggi attivi e destinati al lavoro dipendente sono otto: di essi Fondimpresa è il più grande per numero di lavoratori occupati nelle aziende associate. Esistono poi tre Fondi destinati ai Dirigenti. Undici Fondi sono oggettivamente molti; vi è un immaginario diffuso che fanta- stica sulle quantità di risorse disponibili, sovrastimandole. Il gettito complessivo del contributo dello 0,30 ammonta a circa cinquecento milio- ni di euro, che dovrebbero essere spesi per la formazione continua. Ai fondi arriva- no i soldi delle aziende aderenti, che vengono raccolti dall'INPS e quindi versati ai Fondi stessi. Oggi i Fondi raccolgono poco meno del 50% di questo gettito, quindi il valore complessivo delle gestioni si aggira intorno ai 250 milioni di euro. Lo scopo dei Fondi è quella di cercare di aumentare e qualificare la spesa forma- tiva attraverso l'organizzazione della domanda. È questo è il nostro obiettivo. In Italia il sistema delle imprese è sostanzialmente affetto da nanismo e non é in grado di rappresentare autonomamente il proprio bisogno di formazione. La gran- de impresa se la cava da sola, da sempre ha scuole aziendali. Ma le PMI, che sono il vero asse portante dell'economia nazionale non hanno mai risolto pienamente il problema dell'accesso e del buon uso della risorsa formazione continua. Da qui è nata l'idea di costruire i fondi come espressione della domanda di for- mazione: le parti sociali che rappresentano direttamente la domanda di formazio- ne acquisiscono direttamente le risorse così da poter meglio indirizzare la spesa. Fondimpresa aveva iscritto lo scorso anno quasi 40mila aziende, che impiegano 2 milioni 200 mila lavoratori e quest'anno dovrebbe avere un gettito intorno ai 130 milioni di euro, cioè da solo è circa il 46% delle risorse raccolte dai Fondi. Il Fondo PMI aveva 29mila imprese iscritte (368mila lavoratori), il Fondo Artigiani 143mila imprese (597mila lavoratori). Foncoop, il Fondo facente capo al sistema delle imprese cooperative, raccoglie circa la metà delle imprese appar- tenenti a tale sistema e 250mila lavoratori. Fonprofessioni, costituito da commer- cialisti, notai, studi medici, è piccolissimo, ha solo 33mila lavoratori. Fonter conta circa 40mila imprese e 274mila lavoratori, mentre Forte organizza imprese che contano circa un milione di lavoratori ed è il secondo Fondo, per dimensioni di raccolta, dopo Fondimpresa. Fondimpresa è passato da 35mila imprese nel 2003 a 40mila nel 2004, siamo cre- sciuti di 200mila lavoratori e si è abbassata lievemente la media del gettito per ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 5 4 ogni lavoratore (circa 72 euro a testa l'anno). Questo è un dato da tener presente parlando di formazione continua: il costo medio della formazione continua è intorno ai 20 euro ogni ora, quindi con quan- to raccogliamo siamo in grado di finanziare malamente 3 ore pro capite per lavo- ratore occupato in ogni azienda iscritta. Si tratta di risorse ancora insufficienti, assolutamente esigue se paragonate a quanto viene investito ogni anno, su scala europea, in Formazione continua. È necessario aumentare l'efficienza dei sistemi e far costare di meno la formazione, ma occorrerà, in un futuro non molto remoto, riflettere su come incrementare il gettito. Come dicevamo il problema specifico del nostro Paese è l'accesso delle PMI e delle micro imprese alla Formazione Continua. Persino Fondimpresa, che nell'immagi- nario collettivo rappresenta la grande impresa, ha una strana morfologia organiz- zativa: infatti il 4% delle imprese iscritte conta circa un milione di addetti, men- tre il restante 96% delle imprese iscritte dà lavoro ad un milione e trecento mila addetti. Si pone quindi, per Fondimpresa, il problema di costruire una duplice strategia di mercato: una rivolta alle grandi e grandissime imprese ed una rivolta alle PMI. Metà del sistema d'imprese italiano non è ancora scritto ai Fondi, ma per “cattu- rarlo”, per costruire una strategia di marketing del fondo, l'elemento fondamen- tale è costituito dalla capacità di immaginare politiche specifiche per la piccola e media impresa. Noi stiamo pensando ad un meccanismo che si sostanzia nel favorire l'aggregazio- ne delle imprese e costruire corsi interaziendali. Solo la grande impresa è autosufficiente dal punto di vista delle strutture e delle strategie formative, la piccola e media impresa ha bisogno di organismi interme- diari che si occupino di strutturare l'attività e realizzarla. Ritengo che in questo abbia un grande ruolo il sistema dell'education, ovvero il sistema della formazione professionale, dell'istruzione professionale, dell'univer- sità e della scuola perché per raggiungere questa platea immensa di soggetti e riu- scire a spendere efficacemente le risorse disponibili occorre dispiegare una rete capillare di offerta formativa. Ma nel contempo è necessario che i soggetti prota- gonisti dell'offerta formativa si ristrutturino e si ridisegnino per adeguare le pro- prie capacità alle richieste del mondo dell'impresa e del lavoro. Fare formazione continua è differente dal fare formazione d'inserimento, i lavora- tori sono più maturi e richiedono differenti strategie pedagogiche; sicuramente la formazione continua deve avere una spendibilità significativa nel mercato del lavoro, deve incontrare i bisogni del lavoratore e dell'impresa. Quindi la program- mazione e la progettazione della FC deve essere strettamente legata a processi di 1 5 5 BISOGNI PROFESSIONALI DELLE IMPRESE E DOMANDA FORMATIVA A CONFRONTO contrattazione fra le parti sociali e non totalmente delegate ai tecnici. Questo aumenta anche il costo ed i tempi di istruzione di un sistema così complesso. I formatori spesso non sono capaci di dialogare con le parti Sociali, vi sono molte incomprensioni, delle quali tante ascrivibili ad un problema di linguaggi e di codi- ci specialistici non condivisi. Quindi uno dei primi problemi da porsi per ristrutturare il sistema è quello di attrez- zare le strutture formative a dialogare, intervenire e sapersi rapportare con le impre- se e con le parti sociali. Inoltre, esiste un significativo problema negli orari, nel tempo dedicato alla formazione. I tempi delle imprese non sono i tempi degli enti di for- mazione e così gli orari: si pone un problema di armonizzazione dell'orario di lavo- ro dell'offerta capace di venire incontro ai tempi tipici della domanda. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 5 6 6. PROSPETTIVE DI LAVORO E DI INTERVENTO. PARERI DELLE ISTITUZIONI 6.1 Intervento tavola rotonda Bruno Stenco Ufficio Nazionale per l'Educazione, la Scuola e l'Università della CEI In qualità di direttore dell'ufficio nazionale della CEI per l'educazione, la scuola e l'università sono qui ad esprimere l'attenzione della Chiesa per il vostro lavoro in questo particolare frangente della vita sociale e del processo di riforma del siste- ma di istruzione e formazione del nostro Paese. La comunità ecclesiale conosce e apprezza il vostro servizio. Gli enti CIOFS-FP e CNOS-FAP sono consapevoli del servizio di evangelizzazione e di annuncio di Cristo nel mondo del lavoro e della formazione professionale compiuto in modo peculiare e specifico attraverso l'attività formativa. In particolare, i responsabili e gestori dei centri di formazione professionale hanno una consapevolezza di ciò che collega, nell'esercizio della loro opera formativa, fede e promozione umana. Ma anche i collaboratori laici che operano in questo campo maturano, proprio attra- verso la loro esperienza personale, la consapevolezza dell'intreccio profondo tra l'annuncio di Cristo, la fede e la cultura del lavoro, affinché diventi motivo di cre- scita e di liberazione per tanti giovani. L'obiettivo di un centro di formazione professionale è sicuramente quello di inse- rirsi nelle politiche attive del lavoro, ma in concreto ed essenzialmente, è quello di creare le condizioni migliori perché un giovane giunga a riconoscere il mistero e le finalità ultime della propria esistenza, e diventi capace di fare delle scelte come persona e come cittadino, come cristiano e come uomo responsabile verso se stes- so e verso la società. Anche per Don Bosco il punto culminante di tutta l'attività formativa è la religione. Se si perde questo punto di riferimento viene a mancare la pietra angolare sul quale poggia tutto l'impianto pedagogico e sociale della for- mazione professionale. Considerando che il tema principale di questo seminario è il territorio, vorrei sof- fermarmi sul fatto che la comunità cristiana e la chiesa particolare ne sono parte costitutiva e vanno richiamati e stimolati ad essere interlocutori attivi delle politi- che formative e dei soggetti che, come il CIOFS-FP, vi operano. È questo il com- pito dell'Ufficio che dirigo in stretta collaborazione con quello della pastorale sociale e del lavoro il cui direttore è Mons. Paolo Tarchi. Infatti, questo settore della formazione professionale può essere compiutamente affrontato solo se inte- 1 5 9 PROSPETTIVE DI LAVORO E DI INTERVENTO. PARERI DELLE ISTITUZIONI ragiscono il mondo dell'istruzione e quello del mondo del lavoro: è questa la nuova collocazione prevista dalla Legge di riforma Moratti n. 53/03, dal decreto appli- cativo sul diritto-dovere n. 76/05 e da quello sul secondo ciclo n. 226/05. Nella Chiesa locale ci sono alcune forze che operano nel mondo del lavoro, le ACLI per esempio, ma anche le associazioni dei docenti e le associazioni dei genitori. Mi riferisco alla comunità cristiana, quindi a genitori, adolescenti, ragazzi che fre- quentano le nostre parrocchie e che andrebbero adeguatamente informate e coin- volte in una tematica che li riguarda. I percorsi dell'istruzione liceale e quello dell'istruzione e formazione professionale devono essere adeguatamente presentati alle famiglie e alle famiglie delle nostre comunità cristiane. Esse ne hanno diritto e chiedono ad un centro o ad una scuo- la che la formazione sia completa e riguardi valori autentici che accompagnino i ragazzi per tutta la vita. L'educazione religiosa è al centro di questa domanda edu- cativa e quindi lo deve essere anche da parte dell'offerta, ma sottolineerei che c'è una forte attenzione alla qualità globale dell'educazione e alla realizzazione di un progetto professionale. Quando si parla di formazione professionale è luogo comune pensare che si opera con ragazzi che presentano delle problematiche nella loro situazione familiare e hanno scelto il centro come opzione di ripiego, non avendo avuto successo nella frequenza di altri indirizzi del secondo ciclo. L'esperienza consolidata da decenni della formazione professionale di ispirazione cristiana in Italia, in Europa e nel mondo è giunta alla conclusione che la formazione professionale, nella sua pecu- liarità formativa, può costituire un'offerta completa, sul piano culturale ed educa- tivo, per la formazione della persona, del cittadino e del lavoratore. Poiché questo principio è stato riconosciuto anche dalla Legge di riforma e dalla conseguente decretazione, dobbiamo pensare che questo sia un momento importante. L'offerta diversificata dei percorsi formativi nell'età dell'assolvimento del diritto-dovere all'istruzione e alla formazione (obbligo scolastico e formativo) e, in particolare, nell'età 14-17, ci appare come il riconoscimento di un principio importante, con- fermato dagli studi più accreditati della psicologia dell'apprendimento (cfr. la relazione del prof. Michele Pellerey). Un'offerta formativa diversificata proposta in età evolutiva adolescenziale non significa prefigurare una sorta di discrimina- zione sociale o proporre dei canali separati destinati ad acuire il solco che separa i differenti destini sociali, ma significa piuttosto distinguere senza separare per rispondere alle caratteristiche e alle qualità della persona Questo principio potreb- be essere assunto con una maggiore consapevolezza da parte della comunità cri- stiana e maggiormente tutelato. Giustizia ed eguaglianza delle opportunità non può significare omologazione dei soggetti dentro percorsi indifferenziati. Lo Stato dovrebbe garantire che presso qualunque istituzione istruttiva e formativa siano ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 6 0 salvaguardati dei livelli essenziali inderogabili, ma non imporre un'unica soluzio- ne per tutti. Questi principi, in effetti, ci sembrano espressi correttamente nel dise- gno riformatore della Legge 53/03. Per questa ragione ci sembrano non ragionevoli le difficoltà opposte dalle ammi- nistrazioni di alcune regioni italiane, compresa quella della Sardegna, di non voler o poter accogliere le richieste delle famiglie e degli allievi che scelgono la forma- zione professionale al termine del percorso formativo del primo ciclo. Ci sembra che le scelte delle famiglie debbano essere ascoltate piuttosto che giudicate dalla pubblica amministrazione! Occorre produrre uno sforzo particolare di sensibilizzazione per aiutare le famiglie e i ragazzi, soprattutto nell'età dell'adolescenza, a scegliere bene ed in modo moti- vato. Una scuola uguale per tutti fino a 18 anni contribuisce a spostare continua- mente il tema dell'identità e delle scelte. Ritengo che educatori, psicologi, orienta- tori delle comunità cristiane debbano mostrare un maggiore coraggio nel far capi- re al ragazzo che le scelte individuali devono rispondere alle caratteristiche perso- nali, e non alle attese dei familiari o alle aspettative del mondo degli adulti. L'associazione FORMA, con l'appoggio dei due Uffici Nazionali CEI per la scuola e il lavoro si è attivata proponendo l'avvio di percorsi triennali per gli allievi dai 14 ai 17 anni e sperimentandoli nel contesto del diritto-dovere all'istruzione e for- mazione professionale. Ora stiamo cercando di fare in modo che queste sperimen- tazioni possano essere effettivamente valutate per la loro qualità e per le risposte che danno ai giovani e alle loro famiglie. Stiamo anche proponendo di garantire uno sbocco post qualifica (il diploma professionale) con l'attivazione del quarto anno. Sappiamo che in questo momento ci sono difficoltà economiche, ma anche tanta incertezza e confusione tra gli assessori regionali e le direzioni scolastiche regionali di molte regioni italiane. A questo proposito abbiamo pensato di avviare una iniziativa congiunta del Centro Studi per la Scuola Cattolica (diretto dal prof. Guglielmo Malizia) e del gruppo scuola-lavoro della CEI, per giungere, attraverso la stesura di un manuale della qualità, a verificare il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni da parte dei trienni sperimentali. Inizieremo nei prossimi mesi con un protocollo della qualità basandoci sui livelli essenziali delle prestazioni, ma guardando anche alla caratterizzazione vocazionale, e quindi umana e cristiana, delle nostre istituzioni. Considereremo anche l'educazione religiosa e l'IRC come una componente essenziale dell'offerta formativa. Rivolgo a tutti i presenti un cordiale saluto e il sentimento di una grande ricono- scenza per il servizio che svolgete a favore dei giovani e della loro formazione umana e cristiana. 1 6 1 PROSPETTIVE DI LAVORO E DI INTERVENTO. PARERI DELLE ISTITUZIONI 6.2 Intervento tavola rotonda Sergio Trevisanato Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori Nonostante le difficoltà del nostro Paese sul raggiungimento degli obiettivi di Lisbona, credo ci sia comunque la necessità di trovare una serie di strumenti e di azioni sul sistema che stiamo mettendo in piedi come beneficiari di finanziamen- ti, ma anche come erogatori di attività formative in un contesto complesso quale è il sistema educativo in senso generale. Ritengo che la riforma in atto del sistema educativo, pur con i suoi limiti e nono- stante le problematiche che sottendono all'impianto complessivo, evidenzi un aspetto di grande spessore perché mette in campo una serie di strumenti reali di confronto tra il sistema educativo e il sistema del mercato del lavoro, che in pas- sato era semplicemente e solamente prerogativa degli enti di formazione. La gran- de sinergia tra la legge 53 e la legge 30 ha caratteristiche che dovrebbero in qual- che misura far bene a tutto il sistema. Le riforme scolastiche hanno sempre avuto grandissimi problemi nella loro attua- zione e soprattutto nella loro applicazione. Credo sia una delle prime volte che si affronta la riforma del sistema dell'educazione e dell'istruzione a tutto campo; in tutto questo contesto interviene un aspetto di grande rilievo: il riparto tra le com- petenze nazionali e le competenze regionali, con materie esclusive di competenza statale e con materie concorrenti tra il sistema nazionale e i sistemi regionali. Su questo si è aperto un grandissimo dibattito con azioni che, dal mio punto di vista, molto spesso sono di ordine politico invece che di ordine contenutistico. Oggi non si può sostenere che un sistema educativo non possa essere confrontabile con i bisogni e i fabbisogni del mondo del lavoro, e d'altra parte che la conoscenza e le capacità, meglio le competenze, degli allievi che escono dal sistema dell'istru- zione e della formazione, non debbano necessariamente essere verificate, valutate, certificate, ma contemporaneamente essere allineate con l'esigenza del territorio. Il territorio è un sistema complesso dove confluiscono elementi di tipo produttivo, elementi educativi, elementi politici, che in qualche misura consentono, se bene orchestrati, di creare quelle sinergie e quelle reti che mettono a sistema le proble- matiche legate ai processi educativi. Il 16 settembre non credo sia stata una tappa conclusiva ma piuttosto l'avvio di ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 6 2 una tappa nuova, che dovrà necessariamente cominciare ad analizzare tutti i pro- blemi e tutte le sperimentazioni che in questi anni sono state fatte. La triennalità nella formazione in qualche misura pone certamente dei problemi: è stato assolto un compito, garantito da servizi che nessun altro era in grado di fornire nel siste- ma dell'istruzione e della formazione professionale, ma rimane la necessità di avviare una serie di azioni e di proposte. L'ISFOL, che opera su quasi tutti i tavoli esistenti, istituzionali e non, su temati- che diverse, dedica risorse e aiuti alle Regioni, e instaura dei rapporti con loro, non solo con il sistema appunto istituzionale. È evidente la situazione e la posizione delicata che l'Istituto ha nel confrontarsi sui temi e nel proporre soluzioni di tipo sperimentale. La finalità è quella di orientare e mettere sul campo, in collaborazione con le Regioni da una parte e con i Ministeri dall'altra, tutti quegli strumenti che con- sentano poi alla fine di creare un sistema della formazione particolarmente rile- vante, e quindi fornire quegli strumenti che nessun altro credo in Italia è in grado di poter fare. La grande peculiarità che ha l'ISFOL è quella di confrontarsi rego- larmente con il territorio e di fare ricerca basata sul territorio. So che la tendenza del sistema formativo è quella di puntare non solo sull'estensione della triennalità, ma di garantire anche dei percorsi oltre la triennalità. Tendenzialmente questo potrebbe far presagire la possibilità di passare dal terzo al quarto anno e dal quar- to anno al quinto, e dal quinto forse all'università o all'integrazione. Mi sto chie- dendo se questo sistema non tenda troppo a scolarizzare la formazione; il perico- lo che intravedo è che con questo trend si corra il pericolo di spostare l'asse della formazione di base, del saper fare, verso un sistema che semplicemente affianchi l'istruzione, senza coglierne il meglio ma, piuttosto, trascinando la formazione in un percorso che tende ad emulare quello dell'istruzione. Invito a fare una seria riflessione su questo concetto: ritengo che la grande forza della formazione professionale storica, almeno in Veneto e in Lombardia, consista nell'aver visto sempre un indirizzo e un'attività individuale basata sulla persona e sulle peculiarità del territorio in relazione con il mondo del lavoro vero, con una partecipazione delle aziende presso gli enti di formazione, nello scambio e nella collaborazione. Non vorrei mai che questo sistema, che oggi in alcune regioni è attuato sperimentalmente in tre anni, si spostasse al quarto e proseguisse in una logica che va a perdere nel tempo la peculiarità della formazione. Questo è un cruccio che mi sento di esprimere. Se pur parliamo di diritto-dovere e superiamo quello che prima si chiamava obbli- go non significa che automaticamente le risorse che vengono erogate al sistema dell'istruzione siano pari a quelle della formazione professionale. Questa è la sen- sazione che ho, mi auguro che non sia così, però certamente questo è un tema sul 1 6 3 PROSPETTIVE DI LAVORO E DI INTERVENTO. PARERI DELLE ISTITUZIONI quale varrebbe la pena fare delle serie verifiche e sperimentazioni. Licenziato il decreto attuativo, credo sarebbe opportuno che venissero aperti dei tavoli nei quali cominciare ad esaminare tutta una serie di valutazioni, e l'ISFOL in questo campo è pronto a mettersi a disposizione, non solo con le l'istituzioni, in particolare ovvia- mente le Regioni e i Ministeri, ma anche in un confronto attivo con gli enti di for- mazione, o meglio con gli operatori, che possa consentire di stabilire insieme quali siano le peculiarità di un territorio. Ci sono dei territori dove è inutile proporre delle attività formative che non trovano una reale corrispondenza con le esigenze specifiche di quella tipologia sociale, come pure, d'altra parte, in un sistema glo- balizzato, non si può pensare di operare nel mercato del lavoro guardando solo all'ambito della propria casa. È evidente quindi che dovremmo fare delle serie considerazioni sul sistema, sul numero dei potenziali allievi, sulla distribuzione degli istituti professionali all'interno dei sistemi regionali, sulle potenzialità degli enti di formazione che devono avviare, evidentemente, anche una riqualificazione del personale che opera e quindi degli operatori. Esiste a livello comunitario, oltre alla certificazione di qualità delle attività, in genere comprese le scuole, anche la certificazione delle capacità formative dei soggetti che si occupano appunto di atti- vità formative. Ritengo che dovranno essere definite tutta una serie di precondi- zioni per consentire di fornire un servizio di alta qualità a vantaggio dell'alunno e a vantaggio soprattutto delle famiglie. Il CIOFS-FP in questo senso ha una tradi- zione e credo che la possibilità di migliorare ulteriormente questa tradizione lo pone certamente in vantaggio rispetto agli altri sistemi. La preoccupazione è che non vi trasformiate tutti tendenzialmente in un sistema dell'istruzione, ma che manteniate molto forte il legame col territorio a livello imprenditoriale, perché qualche aspetto della riforma scolastica per certi versi mi preoccupa. Per citarne qualcuno, ricordo che negli anni '60 gli istituti tecnici erano guardati con molta attenzione dalle aziende, tanto che erano le aziende che andavano ad individua- re i ragazzi anche prima che essi uscissero dagli istituti tecnici; il che voleva dire che c'era una particolare attenzione del sistema educativo a quello che succedeva fuori dall'ambito scolastico. Oggi voi dovete continuare a garantire questo percor- so, ovvero il passaggio dalla scuola al mercato del lavoro, per esempio attraverso le azioni che la Riforma Biagi ha messo in moto: dall'apprendistato in obbligo all'apprendistato professionalizzante, per un confronto continuo con il mercato del lavoro. L'alternanza scuola - lavoro prevista consente sì di avviare dei processi anche nell'ambito dell'istruzione, ma quante scuole riescono a fare l'alternanza? In Veneto abbiamo avviato l'alternanza in coincidenza con la riforma, abbiamo coinvolto 20 scuole e altrettanti enti di formazione e abbiamo moltiplicato per 5 le aziende, non potendo pensare di mandare una classe all'interno di un'unica azienda, soprattutto in una realtà territoriale dove le piccole e medie imprese ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 6 4 hanno 2, 3, 5, 10 addetti. Non abbiamo in realtà coinvolto 20 scuole, abbiamo coinvolto 20 classi. Provate a pensare di estendere questo istituto a tutte le scuole esistenti, non dico in Veneto, in tutta Italia. Mi sto chiedendo se le imprese deb- bano trasformarsi per svolgere attività formative. Questo è un problema: fatto salvo il confronto tra la scuola e il mercato del lavoro, per costruire il sistema vanno affrontati gli aspetti organizzativi. Il riconoscimento dei crediti per i giovani che vanno in alternanza deve essere in qualche misura definito, bisognerà, alla fine di un percorso, stabilire il tipo di libretto formativo, quali siano le caratteristiche compatibili con il mercato del lavoro e, infine, vedere se il mercato del lavoro terrà conto di questi nuovi svilup- pi che si stanno affrontando a livello territoriale e educativo. Il percorso che ho in mente consentirebbe a tutti gli allievi, a tappe diverse, di arrivare potenzialmente al massimo del livello, ma cercando di intersecare tra loro i sistemi. Non si può pensare di realizzare sistemi paralleli, ritengo piuttosto che anche attraverso la for- mazione si possa raggiungere il livello alto a seconda, evidentemente, delle condi- zioni, delle capacità, e credo che sia la strada che tutti noi siamo orientati a per- seguire. Dovremmo cominciare a lavorare in questa direzione: l'ISFOL è a dispo- sizione anche degli operatori, i suoi ricercatori, che conoscono bene il territorio, sono anche nella condizione di creare quella inevitabile, necessaria mediazione che ci consenta di utilizzare la riforma del sistema educativo e formativo e la riforma del mercato del lavoro in una logica che ci permetta di allinearci ai livelli comu- nitari, livelli che, purtroppo, non abbiamo ancora raggiunto. 1 6 5 PROSPETTIVE DI LAVORO E DI INTERVENTO. PARERI DELLE ISTITUZIONI 6.3 Intervento tavola rotonda Domenico Sugamiele Esperto in sistemi formativi Quello che segue rappresenta un contributo per avviare la riflessione sulle oppor- tunità che un'organizzazione di rete possa offrire. Si è ritenuto importante riflet- tere sulla dimensione “istituzionale” dei cambiamenti che favoriscono lo sviluppo di politiche di governance perché l'idea di Campus o di Polo formativo, come spes- so sono state presentate nel dibattito di questi mesi, appaiono rispondere a due visioni distinte ma che hanno un filo comune: tentare di risolvere le contraddizio- ni che la riforma costituzionale del Titolo V pone per la fase di attuazione della legge 53/03 nella distinzione tra “ordinamentale” (percorsi e piani di studio) e “organizzativo-gestionale”. Il dibattito è apparso poco attento alle potenzialità dell'organizzazione di rete che risponde ad un nuovo modello di governo delle politiche pubbliche valorizzando soprattutto il principio di sussidiarietà. In premessa ritengo utile riportare integralmente l'articolo 7 del DPR 275/99 (Regolamento dell'autonomia) e il comma 4 dell'art. 1 della bozza di D.Lgs sul secondo ciclo che stende l'autonomia a tutte le istituzioni del secondo ciclo: Art.7 Reti di scuole 1. Le istituzioni scolastiche possono promuovere accordi di rete o aderire ad essi per il raggiungimento delle proprie finalità istituzionali. 2. L'accordo può avere a oggetto attività didattiche, di ricerca, sperimentazione e sviluppo, di formazione e aggiornamento; di amministrazione e contabilità, ferma restando l'autonomia dei singoli bilanci; di acquisto di beni e servizi, di organizzazione e di altre attività coerenti con le finalità istituzionali; se l'ac- cordo prevede attività didattiche o di ricerca, sperimentazione e sviluppo, di formazione e aggiornamento, è approvato, oltre che dal consiglio di circolo o di istituto, anche dal collegio dei docenti delle singole scuole interessate per la parte di propria competenza. 3. L'accordo può prevedere lo scambio temporaneo di docenti, che liberamente vi ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 6 6 consentono, fra le istituzioni che partecipano alla rete i cui docenti abbiano uno stato giuridico omogeneo. I docenti che accettano di essere impegnati in pro- getti che prevedono lo scambio rinunciano al trasferimento per la durata del loro impegno nei progetti stessi, con le modalità stabilite in sede di contratta- zione collettiva. 4. L'accordo individua l'organo responsabile della gestione delle risorse e del rag- giungimento delle finalità del progetto, la sua durata, le sue competenze e i suoi poteri, nonché le risorse professionali e finanziarie messe a disposizione della rete dalle singole istituzioni; l'accordo è depositato presso le segreterie delle scuole, ove gli interessati possono prenderne visione ed estrarne copia. 5. Gli accordi sono aperti all'adesione di tutte le istituzioni scolastiche che inten- dano parteciparvi e prevedono iniziative per favorire la partecipazione alla rete delle istituzioni scolastiche che presentano situazioni di difficoltà. 6. Nell'ambito delle reti di scuole, possono essere istituiti laboratori finalizzati tra l'altro a: a) la ricerca didattica e la sperimentazione; b) la documentazione, secondo procedure definite a livello nazionale per la più ampia circolazione, anche attraverso rete telematica, di ricerche, esperien- ze, documenti e informazioni; c) la formazione in servizio del personale scolastico; d) l'orientamento scolastico e professionale. 7. Quando sono istituite reti di scuole, gli organici funzionali di istituto possono essere definiti in modo da consentire l'affidamento a personale dotato di speci- fiche esperienze e competenze di compiti organizzativi e di raccordo interistitu- zionale e di gestione dei laboratori di cui al comma 6. 8. Le scuole, sia singolarmente che collegate in rete, possono stipulare convenzio- ni con Università statali o private, ovvero con istituzioni, enti, associazioni o agenzie operanti sul territorio che intendono dare il loro apporto alla realizza- zione di specifici obiettivi. 9. Anche al di fuori dell'ipotesi prevista dal comma 1, le istituzioni scolastiche pos- sono promuovere e partecipare ad accordi e convenzioni per il coordinamento di attività di comune interesse che coinvolgono, su progetti determinati, più scuole, enti, associazioni del volontariato e del privato sociale. Tali accordi e convenzioni sono depositati presso le segreterie delle scuole dove gli interessati possono prenderne visione ed estrarne copia. 10. Le istituzioni scolastiche possono costituire o aderire a consorzi pubblici e pri- vati per assolvere compiti istituzionali coerenti col Piano dell'offerta formati- 1 6 7 PROSPETTIVE DI LAVORO E DI INTERVENTO. PARERI DELLE ISTITUZIONI va di cui all'articolo 3 e per l'acquisizione di servizi e beni che facilitino lo svol- gimento dei compiti di carattere formativo. Articolo 1 (Secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione) 4. Tutte le istituzioni del sistema educativo di istruzione e formazione sono dotate di autonomia didattica, organizzativa, e di ricerca e sviluppo. 1. Le politiche di integrazione tra istruzione, formazione e lavoro che inducono lo sviluppo dell'organizzazione di rete La legge 59 del 1997 “Delega al governo per il conferimento di funzioni e compi- ti alle Regioni ed Enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”1, introduce l'autonomia delle istituzioni scola- stiche e ridisegna l'assetto istituzionale con la distribuzione dei poteri tra i diversi livelli di governo. In particolare, sono trasferite alle Regioni le funzioni ammini- strative di competenza dell'Amministrazione statale. Nel sistema di istruzione l'ar- ticolo 21 della legge, nel conferire l'autonomia alle istituzioni scolastiche, attri- buisce alle scuole autonome tutte le funzioni di gestione di competenza del Ministero e dei Provveditorati. Le istituzioni scolastiche autonome sono definite come Autonomie funzionali. La legge Costituzionale n. 3 del 20012 introduce importanti novità nel contesto istituzionale del nostro Paese e consolida molte innovazioni introdotte dalla legge 59/97. Essa modifica la sostanza della costituzione della Repubblica conferendo alle Regioni e agli Enti locali poteri di governo di funzioni pubbliche che erano di competenza dello Stato. Si disegna un sistema che vede nelle Autonomie territo- riali e nelle Autonomie funzionali il livello ottimale di governo pubblico. Si passa cioè dal modello accentrato dello Stato che amministra e gestisce tutte le funzioni pubbliche ad un modello policentrico ove ai vari soggetti istituzionali vengono assegnate specifiche funzioni di governo secondo il principio di sussidiarietà. Non più lo “Stato gestore” ma lo “Stato regolatore”. L'amministrazione statale come centro propulsore e di indirizzo. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 6 8 1 Nota come legge Bassanini, avvia un profondo processo di trasferimento di poteri dalle ammini- strazioni statali alle strutture periferiche. 2 Legge di modifica costituzionale approvata nella scorsa legislatura e ratificata con referendum confermativo il 18 ottobre 2001. Essa modifica il Titolo V della Costituzione ridisegnando i pote- ri costituzionali dello stato e delle autonomie locali. Dal government alla governance La profondità dei cambiamenti che stanno interessando il campo organizzativo dell'istruzione delineano la crescita di autonomia delle scuole manifestata essen- zialmente nello sviluppo di accordi di rete e protocolli d'intesa con altri soggetti pubblici e privati nel territorio. Cambiamenti che prefigurano un cambio di rotta nelle modalità di intervento dello Stato, spostando funzioni e competenze, sinora di esclusiva competenza delle burocrazie statali, verso altri attori sociali pubblici e privati. Si tratta di un processo che porta ad un mutamento radicale nella dire- zione del superamento del government dell'istruzione verso un nuovo modello organizzativo di vera e propria governance. Questo processo subisce un'accelerazione con il riconoscimento costituzionale del- l'autonomia scolastica. L'autonomia implica che ogni singola istituzione scolasti- ca acquisisca un ruolo diverso: da terminale di un sistema gerarchico passa a cen- tro di un sistema di erogazione di servizi di istruzione e formazione. L'azione di governance si esplica con la costituzione di un insieme di regole, che lascino ai diversi soggetti gli spazi per valorizzare le loro capacità e sviluppare l'autonomia. Essa sposta l'asse culturale del sistema di istruzione e formazione dalla “verticalità” delle procedure di gestione alla “orizzontalità” del servizio per favorire la libera iniziativa dei soggetti istituzionali pubblici e privati. 2. Il pluralismo degli attori istituzionali - La rete territoriale: autonomie territoriali e funzionali Si tratta di un processo che vede nelle Autonomie locali (Regioni, Comuni, Province), nelle Autonomie funzionali (Istituzioni scolastiche, agenzie formative, enti pubblici), nelle agenzie private (il terzo settore, il volontariato, ..) i soggetti capaci di interpretare la domanda dei giovani e del sistema sociale e produttivo e trasformarla in un'offerta pubblica, diffusa e diversificata, di istruzione e forma- zione. L'organizzazione policentrica del governo delle funzioni amministrative e di gestione investe gli enti locali nella programmazione e individuazione di centri di servizio nel territorio capaci di sostenere gli attori istituzionali nell'esercizio delle funzioni ad essi attribuiti. La creazione di reti di scuole e reti miste, fra scuole e altri soggetti istituzionali e sociali, rappresenta una innovazione capace di modificare, nel tempo, il sistema di relazioni istituzionali nel governo locale delle politiche dell'istruzione, della for- mazione e della transizione al lavoro. Lo sviluppo di reti è una condizione indi- spensabile per lo sviluppo stesso dell'autonomia, considerando soprattutto che i 1 6 9 PROSPETTIVE DI LAVORO E DI INTERVENTO. PARERI DELLE ISTITUZIONI processi di accumulazione del sapere, nella maggior parte dei casi, sono il frutto del concorso di una pluralità di soggetti interni ed esterni al sistema educativo (istruzione non formale e informale) e che la qualità delle politiche formative è determinata dalla capacità delle scuole di coinvolgere altre agenzie formative e soggetti sociali. La rete fornisce alle scuole quel bagaglio di conoscenze che con- sente loro di uscire dall'autorefenzialità, coniugando i vantaggi della piccola dimensione con quelli che la rete offre in termini di ottimizzazione dell'uso delle risorse e di diffusione delle conoscenze. Tipologie di reti nel sistema di istruzione e formazione Le diverse tipologie di rete che si potranno costituire dipendono in larga misura dagli obiettivi e dai requisiti organizzativi delle reti stesse: il consorzio finalizzato all'ottimizzazione degli acquisti si fonda su requisiti diversi dalla rete per l'inclu- sione sociale e il successo formativo. In linea generale si possono prevedere diverse tipologie di organizzazione a rete che dovranno, comunque, interagire nel territorio. La rete di governo del sistema formativo regionale appare un organismo necessa- rio per la pianificazione dell'offerta formativa territoriale e per evitare sovrappo- sizioni di iniziative. Essa dovrà assumere il ruolo di elemento regolatore delle inte- razioni tra gli enti locali e le istituzioni scolastiche e formative anche tramite la costituzione di centri di servizio e di sostegno alla progettazione territoriale. Le istituzioni scolastiche e formative autonome entreranno a far parte integrante della rete di governo regionale, sono dotate di un elevato grado di autoregolazio- ne e saranno chiamate a sviluppare modelli organizzativi e gestionali inseriti in un sistema policentrico di cui esse stesse sono nodi attivi. Lo sviluppo di reti organizzative tra scuole e tra scuole e istituzioni formative diventa cogente per sviluppare competenze professionali, per ottimizzare risorse, per sviluppare il rapporto con il territorio e con il sistema produttivo. In questo senso assume rilevanza la rete di sviluppo dell'offerta formativa che opera principalmente sulla funzione tecnica dell'istruzione e formazione e in par- ticolare sull'innovazione pedagogico - didattica, sull'ampliamento dei piani di stu- dio, sulla diversificazione dei percorsi formativi, sulle politiche della prevenzione della dispersione e dell'orientamento. Essa potrà essere estesa anche a soggetti esterni al sistema di istruzione e forma- zione, con l'obiettivo di ampliare i servizi formativi e di integrazione con il siste- ma sociale e produttivo locale. Per realizzare le indicazioni poste dalla riforma, soprattutto nella prospettiva del raccordo tra le politiche formative e del lavoro, è necessario, infatti, che gli attori ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 7 0 in gioco sviluppino processi di partenariato coinvolgendo i soggetti sociali e istitu- zionali del territorio e favorendo reti organizzative che vedano l'interazione di più soggetti: istituzioni scolastiche, istituzioni formative (enti di formazione), struttu- re per l'orientamento, servizi per l'impiego, soggetti di intermediazione di lavoro, associazioni di volontariato, istituzioni di formazione superiore e di ricerca. Ciò potrà consentire di disegnare una mappa organizzativa dell'offerta formativa capace garantire i fabbisogni del territorio, sviluppando e rafforzando modelli gestionali di rete che garantiscano l'autonomia delle singole istituzioni e nel con- tempo siano in grado di rispondere compiutamente alla programmazione dell'of- ferta formativa, secondo requisiti di alta qualità e funzionalità. L'obiettivo da perseguire è quello di creare strutture organizzative che siano in grado di realizzare, almeno per aree professionali, le tre tipologie di percorsi, la qualifica e i diplomi, in maniera che la programmazione dell'offerta formativa sia in stretta relazione alle politiche di sviluppo territoriali per regolare in modo proat- tivo la domanda e l'offerta di formazione. Un processo che valorizza il ruolo dell'utenza, del sistema produttivo e sociale e degli Enti territoriali, e che necessita di una pianificazione di tipo regolativo capa- ce di sviluppare politiche formative che incentivino la costituzione di strutture di eccellenza, magari in coincidenza con i distretti industriali. La necessità di sviluppare il sistema formativo come strumento di politica attiva del lavoro legandolo al sistema produttivo prefigura un forte legame con la pro- grammazione territoriale delle politiche di sviluppo locale. In questo senso si potrebbero costituire delle istituzioni che facciano riferimento a specifici settori produttivi del territorio e comprendano tutti i livelli di formazione tecnico professionale (dalla formazione delle qualifiche ai diplomi tecnico profes- sionali superiori, dalla formazione continua alla ricerca industriale). Si tratta, in definitiva, di prefigurare un modello organizzativo che vede lo svilup- po di “Campus”3,“Poli formativi”, organizzati nell'ambito del sistema dell'istru- zione e formazione professionale, distinti per aree (settori/famiglie/comunità) pro- fessionali, che siano da riferimento per il settore produttivo nel territorio. I “Campus” o “Poli formativi” dovrebbero rispondere sia alla domanda consoli- data del sistema produttivo, sia allo sviluppo e al rilancio di settori industriali, sia ad anticipare le tendenze di sviluppo del sistema produttivo, favorendo iniziative capaci di sostenere la creazione di nuovi ambiti di ricerca e sviluppo d'impresa. In questo senso l'organizzazione e lo sviluppo degli stessi non potrà prescindere da una gestione unitaria, fortemente ancorata alla dimensione regionale, di tutte le filiere di formazione tecnico professionale. In questo modo si realizzerebbe una 1 7 1 PROSPETTIVE DI LAVORO E DI INTERVENTO. PARERI DELLE ISTITUZIONI 3 Bertagna lo individua come “Campus a rete formativa territoriale”. concreta interlocuzione con il sistema produttivo ed economico del territorio che coinvolga il sistema delle imprese nelle attività formative di livello medio alto (Diplomi tecnico professionali di 5, 6 e 7 anni) e nello sviluppo di attività forma- tive in alternanza, in apprendistato e di stage. Lo sviluppo di reti organizzative delle tipologie evidenziate comporterà per le isti- tuzioni scolastiche e formative la necessità di prevedere l'organizzazione di reti tecnico - gestionali, interne al sistema istruzione e formazione, per ottimizzare le risorse. Si tratta di prevedere una organizzazione di rete per gestire congiunta- mente servizi comuni, ottimizzazione dell'uso delle infrastrutture, acquisto di beni, esternalizzazione di servizi. Considerazioni finali La principale difficoltà nel comprendere l'organizzazione a rete consiste nel fatto che si tenta di strutturare un modello di governo “a-centrato” e policentrico all'in- terno di un sistema di gestione e di programmazione ancora centralizzato e gerar- chico. Gerarchia che spesso è invocata dalle stesse istituzioni scolastiche al fine di sentirsi “tutelate” sulle scelte rispetto alla stessa utenza. L'autonomia viene vissuta più come opportunità (libertà) di accedere a specifici progetti (quasi sempre considerati “aggiuntivi” alla normale programmazione didattica) e ad ulteriori fonti di finanziamento, che come opportunità (necessità) di rapportarsi all'interno di un modello di governo policentrico e di integrazione delle politiche. In generale non pare che le scuole si rendano compiutamente conto delle potenzialità e delle opportunità che l'autonomia offre loro anche nella rea- lizzazione degli stessi percorsi ordinamentali. In verità, esse sono frenate ancora da una invadenza dell'amministrazione centrale e periferica che interferisce pesante- mente in tutte le procedure di gestione. D'altro canto, le Regioni (salvo qualche eccezione) e le Autonomie locali hanno poco sviluppato politiche di coordinamen- to e di programmazione nel campo dell'istruzione. L'organizzazione di una rete di governo nel territorio rappresenta il passaggio dalla gestione e programmazione centralizzata ad un sistema di governo “a-cen- trato” fondato su autonomie funzionali e centri di servizio. Non appare ancora compiutamente interiorizzato il fatto che un sistema policentrico individuato dal nuovo quadro istituzionale, compresa l'autonomia delle scuole, comporta la ride- finizione dei “protocolli di comunicazione” che passano da una struttura vertica- le ad una orizzontale. In questo senso si nota la difficoltà di interpretare le reti come organizzazioni con condizioni di funzionamento che si differenziano dal modello classico della burocrazia: le articolazioni del MIUR in Uffici Scolastici Regionali e Centri di servizi amministrativi provinciali e le scuole come terminali ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 7 2 dell'Amministrazione. L'organizzazione a rete è efficace se l'interazione degli attori del sistema è il risul- tato di un processo intenzionale delle singole autonomie che conduce ad una “rete governata” autonomamente e necessita di una specifica programmazione. In questo senso si dà luogo ad una rete quando si definiscono gli obiettivi, le rela- zioni tra gli attori, i processi da gestire, le risorse umane in termini di definizione di management della “rete” e del progetto, il sistema di governo. È evidente, quindi, che un accordo di cooperazione o la gestione di un progetto non implica un'organizzazione a rete, perché l'interazione può nascere e morire con il progetto stesso. Tipica è la rete o la partnership per l'accesso a progetti finanziati dal Fondo sociale europeo che spesso non hanno dato luogo ad una rete, forse perché non necessitano di un sistema di governo dei processi. L'azione della maggior parte degli attori è passiva e comunque di delega principale alla struttu- ra “capofila” del progetto, anche perché ne ha la responsabilità amministrativa verso l'istituzione. Serve una spinta che, nel quadro di governance, faccia crescere la cultura dell'or- ganizzazione orizzontale e dell'organizzazione a rete da strumento di accesso a finanziamenti a sistema di governo delle politiche pubbliche nel territorio. 1 7 3 PROSPETTIVE DI LAVORO E DI INTERVENTO. PARERI DELLE ISTITUZIONI 6.4 Intervento tavola rotonda Attilio Bondone Confederazione Nazionale Formazione Aggiornamento Professionale Ritengo questo seminario di formazione europea molto importante perché si col- loca in un momento fondamentale della storia di questo Paese, alla fine di una legislatura e quasi alla conclusione di una serie di passaggi di riforma che durano da molti anni, come ben ha ricordato Domenico Sugamiele nel suo intervento. Rispetto alle cose che sono state dette, come presidente della Confap, e cioè di un'Associazione che, per merito un po' di tutti, ma in particolare del CIOFS-FP e del CNOS-FAP, ha continuato in questi anni ad insistere sul tema della riforma, studiandola, proponendo emendamenti, accrescendola e sperimentando percorsi, alcune risposte mi sono state date, altri elementi tuttavia rimangono ancora diffi- cili e preoccupanti. Per esempio, riteniamo di dover difendere la pari dignità, la non subalternità della formazione professionale rispetto alla scuola di Stato. Noi abbiamo il dovere di difendere questa pari dignità perché riteniamo imprescindibile la libertà di scelta dei giovani e delle famiglie, anche rispetto a percorsi che probabilmente, come diceva Arduino Salatin, hanno più l'attenzione all'apprendere attraverso il fare rispetto ai normali processi di apprendimento propri della scuola. Queste difficoltà dei giovani possono condurre a tassi elevati di rifiuto della scuola già nel percorso della media inferiore. Quindi, emerge da una parte la necessità di fare riferimen- to alle istanze dei giovani per favorire il superamento delle loro difficoltà e dal- l'altra di riflettere sugli obiettivi previsti a Lisbona e Barcellona per i prossimi anni e a come l'Italia possa rispondere e raggiungere questi traguardi. Ancora, nell'ambito della filiera formativa, dalla formazione di base alla forma- zione superiore alla formazione continua, non si può parlare di competenze sepa- rate; va quindi rilanciato il tema della rete, occorre proporre sistemi integrati sul territorio che tengano conto delle diverse istanze, delle urgenze sociali da un lato e delle necessità imprenditoriali dall'altro. Infine, il tema delle risorse è molto importante. Ci sono due modi per “uccidere” la formazione professionale: uno, quello rapido basato su una visione ideologica che decide di fare a meno della formazione professionale, l'altro, forse più elegan- te, prevede la liquidazione lenta per asfissia da carenza di risorse. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 7 4 In questo percorso pluriennale di riforma del sistema scolastico è proprio il siste- ma della formazione professionale che ha messo in piedi questo percorso speri- mentale, che effettivamente si misura con un diverso modello pedagogico, che mette in gioco tutta la propria credibilità e che nonostante tutto trova estreme dif- ficoltà a far partire il quarto anno, primo anello di un ragionamento di filiera della formazione professionale. Noi riteniamo fondamentale il fatto di aver sperimenta- to un modello pedagogico diverso che parte dalla logica del fare e dell'apprende- re, da un'attenzione particolare ai giovani, che fa riferimento ad obiettivi ben pre- cisi, a patti formativi, che in qualche modo ragiona sullo stage, anche proprio come momento formativo vero, interno all'impresa stessa, come rapporto interes- sante e sinergico tra l'istituzione formativa e l'impresa. Tutto questo, di cui abbia- mo raccolto con certosina pazienza i risultati, riusciremo a renderlo pubblico, o forse verremo semplicemente snobbati quando cercheremo di proporre i nostri dati? Credo che sia nostro compito rendere manifesto quello che stiamo facendo, al di là dell'autonomia della scuola, che certamente produce delle esperienze professio- nali rispettabilissime, ma non fa riferimento ad un modello di sperimentazione del percorso o di parte del percorso così come ha fatto con una sperimentazione dif- fusa la formazione professionale. Tutto questo lavoro e questo impegno ci consola e ci dimostra la vitalità dei nostri formatori e delle nostre opere. Le nostre proposte, il nostro lavoro, il nostro impegno rappresentano elementi fon- damentali per un sereno dibattito di idee senza pregiudiziali ideologiche, nella consapevolezza che il bene dei giovani, la loro promozione umana e sociale, il loro successo rappresentano la nostra mission e costituiscono l'obiettivo vero delle nostre istituzioni. 1 7 5 PROSPETTIVE DI LAVORO E DI INTERVENTO. PARERI DELLE ISTITUZIONI 6.5 Intervento tavola rotonda Oriana Putzolu CISL Sardegna Il tema della formazione professionale è molto caro a noi della CISL, è un tema che stiamo affrontando, soprattutto in questi ultimi anni, nei confronti con le Istituzioni e in particolare con il nostro Governo regionale, a cui cerchiamo di inviare tutti i segnali possibili di attenzione alla questione formazione professio- nale, pur nella considerazione che l'attuale Governo della Regione Sarda sembra colpito da una sorta di sonnolenza su questi temi in particolare. Per consuetudine personale mi è utile ricordare che il territorio della Sardegna è principalmente composto di piccoli territori. Rispetto al territorio nazionale la Sardegna è una regione che ha una dimensione e una collocazione geografica ben precisa ed in particolare, essendo un'isola, è conseguentemente strutturata in piccoli comuni, soprattutto nell'area interna, con dimensioni demografiche piccole (ben 277 su 377 comuni hanno popolazioni al di sotto di 5000 abitanti). La Sardegna è una regione che vive una condizione di grande disagio economico e di grande disoccu- pazione. In questi ultimi anni i principali indicatori economici attestano, infatti, una crescita del tutto inadeguata alle necessità di recuperare il gap soprattutto con il centro nord e di garantire un significativo calo della disoccupazione. Il tasso di disoccupazione è ancora pari al 16,9%, valore che sale al 43,6% per la fascia gio- vanile, mentre quello femminile di lunga durata rivela un preoccupante 60,4%. Per questo siamo convinti che il mercato del lavoro e la situazione dell'economia regionale è determinante per garantire il successo o l'insuccesso delle politiche for- mative. Nella comprensione dei meccanismi utili a sostenere una migliore compe- titività del sistema Sardegna e ad individuare il reale fabbisogno formativo, sono gli indicatori regionali legati al grado di istruzione ,dove la Sardegna, purtroppo, manifesta alcuni valori fortemente negativi. Sono convinta che la nostra isola sia rimasta il fanalino di coda in materia di istruzione e formazione professionale. Infatti: - il tasso di abbandono nel secondo anno delle scuole secondarie superiori rivela il dato più elevato (8,1% su una media nazionale del 4%), ma anche quello rela- tivo al primo anno registra punte elevatissime (17,3%9; la tendenza di questi dati, inoltre, è di un peggioramento a partire dall'anno scolastico 2000-2001); ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 7 6 - per quanto concerne la composizione per titolo di studio, è da rilevare che la popo- lazione regionale presenta valori medi in linea con quelli del Mezzogiorno (l'inci- denza dei laureati è di un punto inferiore a quella media italiana),ma si hanno valori decisamente negativi se ci si concentra sul campo delle forze lavoro); - in particolare, appare preoccupante il livello di istruzione delle persone di età 25- 64 anni che rivela per la Sardegna il peggior valore a livello nazionale (il 62,8%); - inoltre, il 60,5% delle persone in cerca di occupazione possiede un livello di istruzione basso, essendo in una delle seguenti condizioni professionali: licenza elementare e nessun titolo, licenza media, qualifica senza accesso; - per contro, appena il 5,8% delle persone in cerca di lavoro possiede una laurea ( solo la Val d'Aosta e la Sicilia hanno valori più bassi); - questa tendenza si manifesta anche nella classe giovanile 15-29 anni, dove il 54% dei giovani in cerca di occupazione ha conseguito, al massimo, la licenza media e appena il 5,3% possiede una laurea; - anche i dati forniti dagli Uffici del Lavoro confermano che, storicamente, una consistente percentuale di iscritti al collocamento risulta non classificabile in alcun settore (ca.55%) e priva di qualifica (ca. 45%). Dal 2000/2001, sotto l'aspetto sindacale in rappresentanza dei lavoratori della scuola pubblica, in Sardegna abbiamo perso circa 5000 posti di lavoro per effetto della riforma Moratti, un po' per i processi di nazionalizzazione del sistema scola- stico, un po' per i tagli delle finanziarie. E naturalmente per le decisioni assunte dalla Direzione scolastica regionale che di fatto ha applicato provvedimenti disa- strosi per il sistema della scuola sarda. Si è trattato di una razionalizzazione che ha fatto soffrire il sistema dell'istruzione nonché il sistema economico di questa regione, che ha un altro primato, di essere la regione più povera d'Italia. Altro dato davvero allarmante, dal 2000 fino ad oggi si sono persi 17mila ragazzi che non vanno più a scuola, non raggiungono il diploma, ma soprattutto restano emarginati a forte rischio sociale. Noi del sinda- cato abbiamo posto all'attenzione della Regione questa situazione, non recentissi- ma ma già conosciuta, perché riteniamo necessario adoperarci per fare un'analisi e capire come poter risolvere questo problema, perché poi è attuale il dibattito su quelle che sono le responsabilità istituzionali in capo allo Stato e alle Regioni, dopo la riforma costituzionale in capo al Titolo V della Costituzione. Cosa vuol fare lo Stato e cosa vogliono fare le Regioni? Rispetto a questo siamo fortemente preoc- cupati, perché mentre si discute su cosa decidere in termini di competenza, abbia- mo una perdita di posti di lavoro e soprattutto un grande disagio sociale che vede migliaia di ragazzi non andare a scuola. L'istruzione è il primo fattore importan- te per la crescita di una comunità, si deve avere la conoscenza, l'istruzione, la for- mazione per crescere, sviluppare e creare ricchezza, per ridistribuirla nel territorio 1 7 7 PROSPETTIVE DI LAVORO E DI INTERVENTO. PARERI DELLE ISTITUZIONI e per stare bene. In Sardegna si è cercato di affrontare questa situazione con l'al- ternativa alla formazione professionale che ha una tradizione in questa regione: attraverso gli enti (circa 53), 3000 operatori. Persone che ruotano dentro ad un sistema di formazione professionale che ha fun- zionato nell'ambito di una programmazione regionale nei precedenti governi e che si è trovato a dover svolgere ancora una volta quella funzione fortissima nel territorio. A tal proposito la legge Moratti ha introdotto la sperimentazione sull'obbligo for- mativo dando il diritto di scelta ai ragazzi di andare a scuola o di scegliere i corsi della formazione professionale. Purtroppo sono stati generati una serie di luoghi comuni per cui si è ingenerato nell'immaginario collettivo che la formazione stia in una posizione subalterna rispetto alla scuola pubblica, creando anche tra i lavo- ratori dell'uno e dell'altro sistema dei grandi disagi. Noi continueremo a lottare, perché per noi i lavoratori della scuola sono uguali ai lavoratori della FP. I due sistemi davvero hanno pari dignità. Riprendendo il discorso dei ragazzi fuoriusciti dalla scuola e recuperati nel siste- ma della formazione professionale sardo. Cosa è successo? Al momento della sperimentazione del diritto-dovere per i ragazzi vennero messe a disposizione le risorse relative per tutto territorio nazionale: 97mila euro di risor- se inserite nell'attività di recupero di questi ragazzi. La nostra Regione, per sba- glio interpretativo, pensò che tutte le risorse fossero a disposizione per la Sardegna, di fatto ne spettavano molto meno. Quando è partita la sperimentazio- ne per recuperare la dispersione scolastica, i centri di formazione professionale hanno realizzato dei programmi integrati con l'istruzione, per il recupero dei ragazzi, inserendoli nei corsi di formazione professionale. Purtroppo il business ha fatto il danno. Date le risorse nacquero molti nuovi enti di formazione e quando si scoprì che le risorse spettanti alla Sardegna erano molto meno di quelle ipotizza- te, immediatamente si è verificata una situazione di riduzione dell'offerta forma- tiva, creando uno stato di grande confusione nel sistema istruzione e formazione professionale. Come si affrontò il problema? Decidendo di 'chiudere i rubinetti'. Niente risorse e niente corsi di formazione professionale. Il sistema di formazione professionale della Sardegna è dunque in collasso, soprattutto nell'attività corsuale che vede l'assenza non solo della continuità della sperimentazione, ma anche per quella attività corsuale finalizzata a quella fascia di età giovanile che vorrebbe entrare nel mercato del lavoro. Attualmente abbiamo una situazione di degrado assoluto. Da un lato ci troviamo con il problema della scuola pubblica, su cui si aprirà una vertenza con la dire- zione scolastica. Anche in questo abbiamo chiesto alla Regione di assumersi la sua ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 7 8 responsabilità, visto anche il riferimento alla sentenza costituzionale in cui si ride- finisce che in materia di personale e di organici della scuola pubblica la Regione può e deve intervenire. Rispetto a questo l'Assessorato alla Pubblica Istruzione di questa regione è completamente latitante, totalemente assente. Abbiamo chiesto di incontrarci per parlare del problema o perlomeno per discutere l'idea di un pro- getto di sistema istruzione e formazione professionale per la nostra Regione. Dall'altro lato, rispetto alla formazione professionale, non solo non c'è stata data risposta, se non quella di “rottamare” il personale e mandarlo a casa con un fati- scente esodo incentivante, e annullare tutte le attività corsuali formative, fatte salve quelle previste per la cosiddetta “alta formazione”, di cui però non è dato sapere di che trattasi. Crediamo sia riferito alla decisione della Giunta Regionale sarda di deliberare il vou- cher di 3mila euro ai bravissimi laureati che possono andare all'estero a fare un master di perfezionamento. Abbiamo un tasso di abbandono scolastico da primato, un tasso di spopolamento altissimo, una situazione tale per cui lo sviluppo economi- co e sociale in questa regione non è ancora delineato, ma vengono dati 3mila euro in termini di voucher a questi giovani laureati per perfezionarsi culturalmente, affin- ché tornino per capitalizzare l'esperienza della professionalizzazione. Come può conciliarsi questo progetto con la condizione di ritardo dello sviluppo e dell'economia della Sardegna Al momento ci pare che il terreno dello sviluppo e dell'economia sarda sia proprio incolto e arido. Non ci sono affatto segnali di rilan- cio per la competitività e per la produttività della nostra economia, siamo ancora in forte ritardo e peggio ancora la politica attuale pensa solo alle ragioni del pareg- gio di bilancio, sottraendo ogni possibile investimento di risorse per l'occupazione. È un modo come un altro, a mio giudizio, di offrire un biglietto di sola andata a questi giovani, in più a quelli che già sono partiti in cerca di fortuna oltre mare, e aumentare il saldo demografico di questa regione. Ad ogni modo continuiamo ad essere ottimisti perché siamo convinti che una maggiore e migliore competitività del sistema Sardegna vada perseguita e stabilmente realizzata anche e soprattutto con una grande progettualità sull'istruzione, la formazione, l'università e la ricer- ca. Questi sono temi in grado di condizionare positivamente e con effetti moltipli- catori lo sviluppo dell'isola e il rilancio del lavoro. Ecco perché settori come la scuola e la formazione professionale sono importanti per la Sardegna, investire nella conoscenza ma partendo dagli ultimi per dare loro le opportunità di crescita individuale, educativa, formativa e culturale. 1 7 9 PROSPETTIVE DI LAVORO E DI INTERVENTO. PARERI DELLE ISTITUZIONI 7. CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO 7.1 Introduzione Angela Elicio Associazione CIOFS-FP La Formazione Professionale va sempre più guardata in prospettiva di formazio- ne superiore in una logica di integrazione verticale e di formazione continua e per- manente per far fronte ai cambiamenti dell'economia e del lavoro. La formazione iniziale nell'organizzare le conoscenze e le competenze da offrire dovrà agire in prospettiva di formazione superiore nonché continua e permanente. Se è vero che le persone e le specifiche risorse personali saranno sempre più la base per accrescere l'occupabilità ed esercitare una cittadinanza attiva, il “diritto-dove- re” dovrà proiettarsi oltre i 18 anni e oltre il conseguimento della qualifica. I lavori di gruppo proposti, in rapporto all'attenzione di questo seminario (Il Territorio e il Sistema di Istruzione e Formazione Professionale - L'interazione istituzionale per la preparazione delle giovani generazioni all'inserimento lavora- tivo in rapporto agli obiettivi di Lisbona), affrontano alcuni temi di approfondi- mento che spaziano dalla formazione iniziale alla continua, alle metodologie, all'assetto organizzativo, alla valutazione, considerando lo scenario della forma- zione nella sua completezza. È ormai noto che, soprattutto in rapporto alla formazione e allo sviluppo di com- petenze professionali, l'esperienza, la vita attiva e quotidiana, la conoscenza del territorio e delle prospettive che questo può offrire, i servizi che attiva, conferisco- no alla risorsa umana aspetti peculiari di dinamicità, informazioni, conoscenze ed anche formazione. Nel contesto dell'IeFP (Istruzione e Formazione Professionale) l'attenzione al ter- ritorio costituisce, dalla prima formazione alla formazione superiore, continua e permanente, un elemento di qualità, di innovazione e di specificità ai diversi livel- li di crescita formativa. Ai coordinatori dei lavori è stato chiesto di leggere il tema proposto dal punto di vista della possibilità di creare interazione tra IeFP e l'organizzazione posta in essere dalla configurazione territoriale: dai servizi attuati, dalle risorse che detie- ne, dall'effettiva capacità di valorizzarne il potenziale, … In effetti la realtà territoriale possiede di per sé e, in qualche modo, offre un con- sistente contributo al patrimonio di informazioni e conoscenze delle risorse umane 1 8 3 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO che ospita in rapporto ad apprendimenti non sempre considerati, ad es. la valuta- zione di diversi tipi di professionalità, la occupabilità che può sviluppare, la con- figurazione socioeconomica che presenta, le prospettive di sviluppo che è in grado di prevedere in vista dell'integrazione sia sociale che lavorativa ed economica delle risorse umane. Questo punto di vista può essere posto a confronto con gli obiettivi di Lisbona, che hanno accentuato la necessità di una qualità della formazione riletta in rapporto a diversi fattori: la competitività tecnologica, la società della conoscenza, il rilan- cio dell'economia e dunque la crescita delle competenze umane con un impegno consistente per la Formazione Professionale delle giovani generazioni nonché con- tinua. A questi obiettivi vogliamo aggiungere la formazione umana e la capacità delle persone di acquisire e conferire valore alla dimensione ed all'impegno pro- fessionale che ciascuno è chiamato a svolgere. Temi dei Lavori di gruppo 1. Funzione formativa dell'alternanza, dei tirocini, dell'apprendistato…per l'inte- razione con il mondo del lavoro Gilberto Marras - Api Sarda 2. Aggancio della formazione di base con la formazione continua - criteri di con- tinuità. Irene Gatti - MIUR 3. Innovazione metodologica e interazione formazione-lavoro: elementi di forza e aspetti problematici. Arduino Salatin - SISF-ISRE - Venezia 4. Campus - rete. Quale spazio per la IeFP e per l'interazione con il territorio. Domenico Sugamiele - Esperto in sistemi formativi 5. La valutazione degli apprendimenti nel contesto lavorativo e formativo - pecu- liarità. Dario Nicoli - Università Cattolica ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 8 4 7.2 Funzione formativa dell’alternanza, dei tirocini, dell’apprendistato per l’interazione con il mondo del lavoro Gilberto Marras Api Sarda Obiettivo L'obiettivo dei lavori è quello di individuare sia in termini strategici che operativi gli strumenti utili a favorire l'avvio o l'implementazione o ancora il consolida- mento di un processo di miglioramento o potenziamento delle risorse umane nei nostri territori. In questo senso, in questo gruppo di lavoro, l'interazione tra sistema formativo in generale (istruzione e formazione professionale) e territorio dovrebbe essere letta in maniera funzionale alla individuazione delle leve operative, mediante cui i siste- mi della formazione, produttivo e istituzionale, possano interagire concretamente e dare avvio ad un nuovo processo di sviluppo della competitività basato sulla pro- mozione della conoscenza e della capacità umana (realizzazione dell'uomo). Il punto di partenza della riflessione è un punto fermo della programmazione eco- nomica e sociale delle società sviluppate: in particolare esso è dato dalla convin- zione che solo puntando sulla produzione e diffusione di conoscenza sia possibile competere sullo scenario internazionale ed evitare un processo di declino e margi- nalizzazione, che probabilmente è in parte già in atto in Italia, e che invece sia per contro possibile avviare un percorso di sviluppo economico e sociale più che di cre- scita economico-finanziaria. La traccia che ci viene chiesto di seguire in questo percorso di riflessione sulle tematiche appena enunciate è quello della rilevanza che ha la funzione formativa dell'alternanza, dei tirocini, dell'apprendistato per l'interazione delle persone con il mondo del lavoro, in particolare alla luce delle esperienze in corso di matura- zione o già realizzate nei vari territori rappresentati in questa sede. 1 8 5 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO Scenario Potrebbe risultare utile inquadrare questi elementi di riflessione nello scenario evolutivo in generale, di cui si possono inizialmente mettere in evidenza tre ele- menti particolarmente pregnanti. Il primo è l'evoluzione normativa nel settore della contrattualistica del lavoro, soprattutto finalizzata all'inserimento lavorativo da parte di giovani e non, oltre che all'allargamento e alla specializzazione delle competenze già impegnati in aziende. Il cosiddetto Pacchetto Treu, varato dall'allora Ministro del Lavoro che diede il nome alla riforma, a partire dal 1996 diede il via ad un cambiamento notevole dando essenzialmente risposta alle difficoltà di coloro che non riuscivano a trova- re occasioni di inserimento lavorativo. La sacca dell'inoccupazione aveva raggiunto dimensioni drammatiche sino a quel momento difficilmente contrastabili solo con interventi funzionali a stimolare la imprenditorialità giovanile, pure importanti. Soprattutto occorreva evitare che i giovani vedessero andare in obsolescenza le competenze professionali acquisite nel percorso di istruzione e formazione profes- sionale prima di riuscire ad inserirsi nel mercato del lavoro e tendessero anche a perdere stima e fiducia in se stessi, divenendo anche incapaci di proporsi alle imprese. Naturalmente sono seguiti numerosi interventi ad integrazione e miglioramento della Riforma Treu, anche con l'introduzione di normative comunitarie di orientamento, oltre che di agevolazione, che hanno reso più flessibile il mercato del lavoro non solo sul versante strettamente contrattuale, bensì anche del costo del lavoro. In altri termini, per le imprese cominciava ad essere possibile, innanzitutto in quanto molto più economico, favorire l'inserimento nei propri organici di persone che avevano maturato anche competenze teoriche piuttosto avanzate, ma che non riuscivano se non dopo molto tempo a tradurre in operatività e quindi in produt- tività aziendale quelle stesse competenze. È indubbio, infatti, che negli anni passati una delle ragioni che spingevano le impre- se a non assumere persone, nonostante vi fossero le possibilità e in molti casi anche la necessità, era soprattutto la rigidità del mercato del lavoro, a fronte peraltro dei costi di “inserimento” insiti nella scarsa produttività del lavoro, determinata dal basso livello di competenze operative dei lavoratori, anche con importanti titoli di studio, che si cimentavano per la prima volta o quasi nel sistema produttivo. Si tratta evidentemente di una descrizione generale della situazione esistente e delle relative cause, che tuttavia, con le dovute eccezioni, rappresenta una situa- zione assai diffusa. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 8 6 Dopo il varo di questi strumenti la situazione del mercato del lavoro è cambiata notevolmente. Non va sottovalutata l'importanza del ciclo economico di espansio- ne che caratterizzava la Sardegna e in generale l'Italia, soprattutto il Sud; tutta- via, si può affermare che gli strumenti di cui sopra hanno contribuito notevol- mente a far crescere il numero di imprese che hanno ampliato i propri organici. Solo qualche dato. Dai Rapporti Congiunturali API Sarda emerge che mentre nel 1996, ultimo anno della crisi economica di fine secolo e anno di inserimento della Riforma Treu, il 24% delle PMI aveva ridotto gli organici e il 23% li aveva amplia- ti, negli anni immediatamente successivi sino al 2003 in media il 15% delle stes- se PMI aveva ridotto il numero di occupati e il 33% lo aveva aumentato. Sottolineo che è certamente importante leggere questi dati tenendo conto che si era in una fase espansiva del ciclo economico ed erano abbondanti le occasioni di abbattimento del costo del lavoro grazie alle leggi di agevolazione in materia allo- ra decisamente più generose. Tuttavia, è altrettanto rilevante evidenziare che negli stessi anni prima citati: • ben l'87% delle imprese contattate annualmente (un campione in genere di almeno 300 PMI) riteneva utile il tirocinio e altre forme simili di inserimento lavorativo in vista di una futura assunzione a tempo indeterminato e che: • il 46% degli imprenditori preferiva avere a disposizione maggiori strumenti di flessibilità in entrata, rispetto al 52% che invece preferiva comunque l'abbatti- mento del costo del lavoro. Il tirocinio si è rivelato un ottimo strumento per far incontrare domanda e offerta di lavoro. Solo per citare l'ultimo Rapporto Congiunturale 2004-2005, lo scorso anno nel 48% dei casi, a tirocinio concluso, i giovani sono stati inseriti in azienda, per lo più con contratti aventi carattere di stabilità (tempo indeterminato), ovve- ro con strumenti quali apprendistato, CFL, contratto a tempo determinato. Un primo punto di riflessione che andrebbe approfondito, con riferimento a que- sto primo scenario, è relativo proprio al livello di importanza (operativa) attribui- ta alla formazione in questi periodi di inserimento. Probabilmente andava già dall'inizio e andrebbe ulteriormente oggi enfatizzato il ruolo del processo formativo che coinvolge il giovane e l'azienda. In particolare dovrebbe essere previsto formalmente un processo di formazione, flessibile nel tempo, che favorisca proprio il trasferimento delle competenze tecni- che acquisite dal giovane verso l'azienda da un lato, e il trasferimento e la specia- lizzazione delle competenze organizzative dall'azienda verso il giovane dall'altro. Le prime domande che si pongono sono relative al tipo di interazione, a quel punto necessaria, tra sistema formativo e sistema produttivo; più specificamente, tra ente scuola, ente di formazione professionale o ente università da un lato e 1 8 7 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO azienda dall'altro. Che tipo di contatto dovrebbe instaurarsi tra i due sistemi? Si può immaginare un contatto occasionale e non strutturato da parte di ciascuno dei due sistemi in dialogo tra loro o è ipotizzabile che la parte istituzionale (pub- blica) si attrezzi per diffondere in misura massiccia e sistematica l'uso di questo strumento, da sviluppare in particolare mediante percorsi progettati ad hoc sulla base delle istanze delle imprese? In tale direzione, che ruolo potrebbero avere (certamente in parte già hanno, soprattutto in alcune realtà territoriali amministrativamente più avanzate) gli enti strumentali regionali e locali, spesso chiamati agenzie per le politiche del lavoro, i servizi per l'impiego…? D'altra parte, le premesse perché si sviluppi in modo diffuso questa che potrebbe essere definita “buona prassi” e diventi un vero e proprio strumento di formazio- ne e lavoro vi sono tutte. Basti pensare che le PMI, sempre sulla base delle ricer- che condotte da API Sarda nel 2005 con riferimento allo scorso anno, considera- no il percorso formativo del tirocinante in senso ampio (77%) e la fiducia perso- nale (85%) i più importanti criteri di selezione dei giovani. Titolo di studio o espe- rienza acquisita sul campo, dunque, sono le basi sulle quali costruire un ulteriore livello di conoscenza e nuove abilità o professionalità. Esistono, in altri termini, le premesse per parlare di progetto di sviluppo di risor- se umane da parte delle imprese, funzionale allo sviluppo della stessa organizza- zione aziendale. Queste considerazioni portano alla introduzione del secondo scenario che riguar- da proprio il sistema produttivo, le sue caratteristiche quantitative e qualitative. Non è necessario dilungarsi sul tema oltre modo. Va solo evidenziato che la realtà produttiva nazionale è caratterizzata in misura massiccia dalla presenza di impre- se di piccole e piccolissime aziende. In realtà come quella sarda, dove le imprese hanno in media 3 addetti, questa caratteristica è ancora più spiccata. Oggi, contrariamente a quanto si affermava solo 8-10 anni or sono, siamo entrati in una dimensione dove "piccolo" non è più bello: probabilmente in Sardegna pic- colo non è mai stato bello per ché non si è mai riusciti a fare sufficientemente rete tra le imprese. Anzi, le piccole dimensioni possono rappresentare per un'azienda una caratteristica molto pericolosa in uno scenario competitivo come quello che si è sviluppato. Le possibilità di sviluppo aziendale sono affidate a variabili che i modelli organiz- zativi adottati spesso dalle piccole e piccolissime aziende non considerano strate- giche. Tra queste, in particolare la centralità delle risorse umane, non solo in chiave pro- duttiva, ma anche organizzativa. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 8 8 In altri termini, la formazione e lo sviluppo costante delle risorse umane, l'inno- vazione, la qualità, un nuovo marketing orientato al cliente più che al prodotto rappresentano gli elementi che tenderanno sempre più a distinguere tra imprese competitive e imprese destinate alla estinzione, spesso tendenti anche a rifugiarsi nel sommerso economico. Ribaltando la logica sin qui seguita, forse anche po' provocatoriamente, si può affer- mare che è decisivo, questa volta per la competitività aziendale prima che per innal- zare i livelli occupativi dei giovani, favorire un innesto di nuove competenze e capa- cità professionali, con cui ammodernare e dare slancio all'attività aziendale. Per questo è importante, molto probabilmente, utilizzare in misura massiccia stru- menti come quelli del tirocinio formativo e lavorativo, dei piani di inserimento lavorativo, degli stage inseriti all'interno dei percorsi formativi ecc. Di nuovo, come in precedenza, tornano: • l'importanza del progetto di inserimento in azienda, che sia a fini formativi o da subito lavorativi non è importante, • la capacità attuale della parte istituzionale di dare risposte a questo tipo di esi- genza che, a questo punto, è oltre che dei giovani e del sistema formativo anche del sistema produttivo. Sarebbe importante, su questo punto, far emergere nel confronto in seno a questo gruppo, le esperienze maturate in tal senso nei vari territori. Sullo sfondo rispetto ai due scenari sin qui brevemente illustrati vi è il terzo sce- nario, più generale, che ha condizionato e condiziona sostanzialmente i primi due: il cambiamento del lavoro, del concetto stesso di lavoro, della sua organizzazione: si è passati e si continua a passare dal lavoro inteso come “posto” al lavoro inteso come “spazio”, in cui è necessario (e richiesto) un livello di coinvolgimento non solo tecnico relativo alla produzione, ma anche manageriale inerente l'organizza- zione dei processi e la stessa valutazione. È evidente che già in precedenza sono stati numerosi i collegamenti con questo tema. Non di meno appare importante evidenziare come questo cambiamento abbia il proprio fulcro nel fatto che la conoscenza è sempre più la risorsa centrale delle organizzazioni e che lo stesso lavoratore deve essere capace di organizzare il proprio percorso professionale, tenendo presente la necessità di aggiornare e pos- sibilmente specializzare le proprie competenze professionali. Le competenze e la conoscenza in generale sono anche lo strumento principale per accedere e contribuire a costruire le reti sociali nelle quali si attivano i processi di inclusione sociale e, per contro, si combatte la marginalizzazione. Su questo solco sarebbe interessante inserire anche una riflessione, da sviluppare magari durante il successivo confronto, circa la “formazione umana”, oltre che professionale; in particolare, appare importante cercare di capire come oggi si svi- 1 8 9 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO luppa la capacità delle persone di conferire un valore alla dimensione lavorativa proprio alla luce del cambiamento di cui sopra. Tema del Lavoro di Gruppo Entrando infine nel merito specifico del tema, ovvero l'importanza della forma- zione nelle esperienze dell'alternanza, del tirocinio, dell'apprendistato in vista della facilitazione dell'interazione della singola persona con il mercato del lavoro, cerchiamo di individuare, magari portando testimonianze circa le varie realtà ter- ritoriali, quali strategie e/o quali strumenti operativi potrebbero essere attivati. Evidentemente emerge l'importanza del binomio “formazione di base e speciali- stica teorica” - “esperienza diretta pratica”. Una formazione operativa, che è pensabile sia acquisibile anche e forse soprattut- to con un percorso che tocchi più realtà aziendali, almeno sino ad un certo perio- do di vita e formazione. Nel tentativo di lanciare qualche spunto di riflessione per il confronto che segue, chiedo se, con riferimento ai tirocini e agli stage formativi in particolare, vi sia la possibilità che le scuole soprattutto, ma anche le università e gli enti di formazio- ne, per quanto questi ultimi siano decisamente già orientati in tal senso, possano rendere maggiormente flessibili i programmi didattici, per esempio rispetto alle esigenze del sistema produttivo circa le competenze da acquisire con l'introduzio- ne in azienda di nuovo personale. Le riforme in atto sia nella scuola che nell'università sembrerebbe abbiano dato una risposta in tal senso, che tuttavia appare generalmente parziale innanzitutto in quanto autoreferenziata, non concertata con gli attori del territorio. D'altra parte, ci si può chiedere se il sistema imprenditoriale sarebbe concreta- mente e diffusamente disponibile a confrontarsi su questi temi con il sistema del- l'istruzione e della formazione. Nei nostri territori, che motivazioni hanno le imprese a voler condizionare le scel- te organizzative e didattiche del sistema dell'istruzione e della formazione? Altro tema fondamentale è quello della governance amministrativa del sistema di inserimento lavorativo, che passa per la istruzione/formazione, orientamento, accompagnamento, consolidamento della posizione nel mercato del lavoro. Viene da chiedersi qual è il livello di integrazione strategica e operativa tra tutti i soggetti coinvolti: • scuole ed enti di formazione e università, • enti strumentali, agenzie governative…, • enti intermediari, che gestiscono DB relativi a domanda e offerta di lavoro. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 9 0 Quanto dialogano tra loro tali sistemi? Con obiettivi propositivi, chiedo quanto siano orientati all'utente/cliente in modo coordinato tra loro, in particolare in termini di capacità di fornire una risposta logica e coerente rispetto alle sue aspettative ed ai suoi bisogni. Un ulteriore e decisivo aspetto su cui è importante attivare il confronto in questo gruppo di lavoro, pertanto, è quello delle modalità di avvicinamento tra sistema produttivo e sistema della formazione e dell'orientamento. Un avvicinamento e in prospettiva una integrazione da realizzare in vista del potenziamento delle risorse umane. Un esempio di ambito in cui è decisamente richiesto un forte livello di coordina- mento è quello della richiesta di formazione e specializzazione di nuove compe- tenze professionali e manageriali. In particolare, a questo proposito voglio segnalare una delle proposte che il siste- ma imprenditoriale, a partire dall'API Sarda, sta iniziando a formulare circa gli interventi da prevedere in tema di formazione e inserimento lavorativo: le impre- se chiedono l'attivazione di meccanismi con i quali consentire a propri quadri e addetti di formarsi nel corso di periodi anche prolungati (6 mesi o anche 1 anno), essendo sostituiti da persone formate con un periodo di affiancamento in azienda ai medesimi quadri o addetti, che sarebbero pertanto nelle condizioni di rispon- dere alle principali e immediate esigenze. Una possibile proposta potrebbe essere quella di avere degli incentivi indiretti in conto formazione rappresentati dall'inserimento di tirocinanti a titolo gratuito per il periodo di distacco dei dipendenti e costituiti anche da un cofinanziamento delle spese di formazione avanzata presso altre realtà specializzate. Sarebbe importante verificare se questa esperienza è praticata in altri contesti ter- ritoriali e/o se esistono esperienze simili ed eventualmente che risultati sono stai ottenuti. A proposito di confronto e avvicinamento tra sistema produttivo e sistema formati- vo, una ulteriore riflessione riguarda la possibilità di costituire un Forum tra realtà diverse appartenenti ai mondi della istruzione-formazione e imprenditoriale. Esso potrebbe perseguire l'obiettivo di studiare specifici fenomeni, programmare strategie e progettare interventi, sino a scrivere proposte normative da consegnare alle istituzioni competenti. Il tutto anche a prescindere dall'input organizzativo e/o dalla presenza istituzionale. A questo proposito, torno a chiedermi e a chiedere perché i sistemi succitati oggi non dialogano tra loro in modo strutturato? È pensabile che il Forum di cui sopra organizzi un incontro generale ogni 6 mesi, delegando a specifici gruppi tecnici il compito di preparare le riunioni con lo stu- dio delle problematiche e delle relative proposte tecniche? 1 9 1 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO 7.3 Aggancio della formazione di base con la formazione continua - criteri di continuità Irene Gatti Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca Il rapporto di continuità tra la formazione di base e la formazione continua sarà indagato partendo dall'individuazione degli stakeholder della formazione conti- nua ed esaminando dal loro punto di vista le implicazioni e le conseguenze della continuità con la formazione di base. Con il termine ‘stakeholder’ si indicano normalmente tutti i soggetti che hanno un interesse legittimo (stake) nell'attività esaminata e che influenzano o sono influen- zati dalle decisioni assunte in merito. L'elenco che segue ne propone una prima individuazione; durante il seminario sarà preso in considerazione il punto di vista di ciascuno di loro, in relazione alla continuità tra fb e fc e si ragionerà intorno a come si possano prevedere e gestire in modo utile le dinamiche future. - Pubblica amministrazione - Contesto locale - Gli utenti - I soggetti erogatori di formazione di base e formazione continua - I formatori - La società civile (Ong, volontariato,...) - L'impresa - .......................... Si tratterà di individuare gli obiettivi da perseguire nella formazione di base come un punto di partenza per la formazione continua; in particolare si tratta di valu- tare la necessità e l'opportunità di accelerare la messa a punto del sistema o cana- le di IeFP al fine di costruire un aggancio concreto che possa fondare la istituzio- ne della formazione continua. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 9 2 Spunti di riflessione intorno al tema della formazione continua La formazione continua1 è una formazione in età adulta e nella prospettiva del- l'integrazione della formazione formale, non-formale e informale. La costruzione di un sistema di offerta di formazione continua richiede: 1. articolate conoscenze dei metodi, delle tecniche e delle strategie dell'apprendi- mento adulto e delle motivazioni al cambiamento delle abilità individuali e di gruppo nonché delle tecniche di assessment individuale e collettivo; 2. avanzata capacità di analisi: delle dinamiche del mercato del lavoro, anche in relazione al marketing e alla comunicazione interna ed esterna alla organizza- zione; delle pratiche della formazione continua; della produzione e dell'innova- zione, della certificazione e della valutazione delle competenze nei differenti contesti (locale, nazionale, europeo); 3. conoscenza criticamente elaborata delle specificità dei bisogni e delle strategie e di formazione continua, nonché dei vincoli e delle opportunità di mercato nei diversi ambienti: impresa, organizzazioni profit e non profit della società civile, pubblica amministrazione; 4. padronanza delle metodologie di progettazione, organizzazione e sviluppo delle azioni di formazione continua conoscenza specialistica della lingua inglese e conoscenza di base di una seconda lingua europea. Il campo prioritario di intervento è costituito dai servizi educativi e formativi, ero- gati da enti pubblici o privati, nel campo della formazione professionale e nell'e- ducazione degli adulti. I Soggetti eroganti: aziende private, agenzie ed Enti di formazione professionali, servizi alle imprese, servizi per l'impiego, servizi socio-educativi e culturali, orga- nismi del Terzo Settore, nonché servizi formativi della Pubblica Amministrazione. 1 9 3 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO 3 Per formazione continua si intende l'adeguamento delle competenze del lavoratore richiesto dal- l'impresa, come risorsa per l'organizzazione del lavoro (Legge n. 196/97 e Patto Sociale per lo svi- luppo e l'occupazione del dicembre 1998); per formazione permanente si intende la richiesta del- l'individuo per lo sviluppo della propria qualificazione (Decreto n. 112/98 e Patto Sociale per lo svi- luppo e l'occupazione del dicembre 1998). Concettualmente parte di quest'ultima categoria, ma diversa perché risponde ad una domanda sociale, oltreché economica, e personalizza i percorsi prescindendo dalla condizione professionale dei destinatari degli interventi, è l'educazione degli adulti. Questa tipologia costituisce infatti l'insieme delle opportunità educative formali (istruzione e for- mazione professionale certificata) e non formali (cultura, educazione sanitaria, sociale, formazione alla vita associativa, educazione fisico motoria) rivolte a cittadini in età adulta, certificabili ed aven- ti per obiettivo la formazione di competenze personali di base nei diversi campi e di competenze di base trasferibili e certificabili. (Legge n. 440/97, art.10 Legge n. 144/99, Testo EDA del 2/3/00, Patto Sociale per lo sviluppo e l'occupazione). Gli utenti principali sono adulti in situazione professionale, anche coinvolti in con- testi di apprendimento non formali ed informali. Richiede due tipi di integrazione: un'integrazione verticale con le strutture della educazione formale ed un'integrazione orizzontale delle politiche educative e della formazione con le politiche per l'occupazione, sociali ed economiche. In questa ottica l'OCSE consiglia agli stati membri per la formazione degli adulti: • di stringere patti di collaborazione con le parti sociali per incentivare una for- mazione di qualità a livello regionale e locale; • di arricchire e ampliare quei percorsi formativi che dopo l'obbligo scolastico, possono facilitare il passaggio al mondo del lavoro; • di incentivare le imprese ad incrementare investimenti in risorse umane e ad organizzare una stretta connessione tra apprendimento e lavoro; • di creare incentivi e sgravi fiscali per soggetti singoli, imprenditori ed istituzioni che provvedano alla formazione continua; • di impiegare maggiormente la tecnologia e la telematica per ampliare l'accesso e introdurre sistemi innovativi di insegnamento personalizzato, combinandoli con i sistemi di insegnamento formali; • di potenziare i sistemi di orientamento formativo e la valutazione della qualità dell'insegnamento; • di trasformare le tradizionali istituzioni in “centri di apprendimento e formazio- ne” che offrano varietà di programmi e di metodologie; • di riconoscere l'importanza della formazione per adulti non professionale per la coesione e la partecipazione sociale. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 9 4 7.4 Innovazione metodologica e interazione formazione- lavoro Arduino Salatin SISF-ISRE Venezia In apertura dell'incontro il coordinatore Arduino Salatin ha richiamato alcune delle tendenze esistenti a livello europeo in ordine all'evoluzione della formazione iniziale (IVET) e ai processi di innovazione a livello di sistema e di offerta forma- tiva (contenuti, metodi e processi organizzativi). Ha poi sollecitato i partecipanti ponendo alcuni quesiti sui: - percorsi di innovazione in atto nei CFP sul piano metodologico, - sulle culture dell'innovazione prevalenti, - sulle buone pratiche esistenti, - sugli ostacoli e sulle criticità esistenti, - sugli effetti attesi e/o possibili. È stata fatta poi una rassegna delle esperienze dei partecipanti (Lazio, Sicilia, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna, Piemonte) che hanno evidenziato una situazione fortemente eterogenea sia tra le regioni presenti, sia a livello locale tra i vari centri. Tra le osservazioni emerse sono state rilevate alcune convergenze sui seguenti aspetti: a) le difficoltà esistenti - il problema dell'utenza giovanile (i ragazzi “distruttivi”, i bulli, …) e della leva motivazionale, che tuttavia obbliga a trovare o creare anche nuove solu- zioni, - la situazione di fragilità educativa delle famiglie e delle altre agenzie educati- ve a livello locale, - l'esistenza di un certo scarto tra innovazione percepita ed innovazione reale (ad esempio nel caso dell'introduzione o dell'utilizzo delle TIC, tecnologie del- l'informazione e della comunicazione), - la disponibilità delle imprese alla cooperazione formativa, nelle esperienze di alternanza e stage, - la resistenza dei formatori a modificare il proprio approccio didattico e men- tale, 1 9 5 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO - l'instabilità del corpo docente, a seguito dei fenomeni di precarizzazione in atto in molte regioni; b) le buone pratiche - la diffusione della cooperazione e dei partenariati a livello locale, soprattutto nei progetti con Enti locali, centri per l'impiego, scuole, aziende, - la diffusione di progetti di sistema a livello di Ente, - la sperimentazione di strumenti innovativi di intervento con le utenze più dif- ficili (es. bilanci di competenza, bilanci di prossimità, interventi individualiz- zati e portfolio, simulimpresa, modelli di autovalutazione, metodologie didat- tiche “per prodotti” e “per progetti”, co-tutorship aziendale, ...) - la sperimentazione di approcci partecipativi, sia in ambito curriculari (es. UDA e atelier pedagogici), sia extracurriculari, in particolare per il coinvolgi- mento dei genitori, dei ragazzi e delle aziende, in prodotti collettivi, eventi da realizzare (es. feste) ed altre iniziative a livello locale. Complessivamente il quadro a livello locale appare in movimento, anche se in forma di bricolage e senza una chiara direzione di marcia, soprattutto in prospettiva. I formatori da un lato cercano di far fronte alle emergenze e ai nuovi bisogni o utenze (es. giovani adulti) con iniziative spesso a carattere volontaristico e “arti- gianale”, dall'altro trovano difficoltà a formalizzare, consolidare e diffondere le esperienze più positive, mancando sia un quadro di riferimento sistemico a medio lungo termine sia dei “centri di risorse” in grado di sostenere l'azione di innova- zione. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 9 6 7.5 Campus - rete. Quale spazio per la IeFP e per l'interazione con il territorio? Domenico Sugamiele Esperto in sistemi formativi Nel contesto della XVII edizione del Seminario Europa e nell'ambito del dibattito sono emerse alcune problematiche relative all'organizzazione di rete di scuole, tut- tora non risolte e i cui risvolti non sono ancora chiari, che fanno parte di un pro- cesso in atto, ma non ancora compiutamente strutturato. In primo luogo andrebbe avviata una riflessione più attenta ai temi istituzionali e al modello di governo a-centrato che il nuovo quadro costituzionale prefigura, anche per meglio inquadrare le molteplici esperienze di organizzazione di rete o di relazioni tra varie istituzioni che, con luci e ombre, sono state attivate a livello locale. Siamo in presenza di un contesto completamente nuovo delle politiche di governo dei sistemi di istruzione, di formazione e di lavoro. Un contesto nel quale si sta tentando di passare da un sistema di governo centralizzato ad un sistema di gover- no decentralizzato o a-centrato che si basa su politiche di governance che innova- no sostanzialmente il sistema di relazioni tra i diversi soggetti istituzionali e non. Nel sistema di governo centralizzato, com'è l'attuale sistema di istruzione, i citta- dini e gli stessi soggetti istituzionali delegano allo Stato centrale non solo le linee di politica generale e di indirizzo, ma anche tutti gli aspetti relativi all'attuazione e alla gestione del sistema stesso. Il MIUR gestisce oltre un milione e centomila per- sone, le assegna alle scuole, programma il numero di ore relative alle varie disci- pline e definisce l'organizzazione delle cattedre di insegnamento sia per i singoli corsi che per la scansione nelle classi. Un sistema che, mutuando dalla lingua inglese, è identificabile nella politics (la politica) e nel government (il Governo). Un sistema a-centrato e autonomistico come quello delineato dal nuovo quadro costituzionale si basa, invece, sui policy e sulla governance. È un processo in cui tutti i soggetti intermedi tra lo Stato e il livello più basso hanno responsabilità pubbliche di governo, comprese le istituzioni terminali che erogano il servizio, e definiscono, quindi, proprie politiche nell'ambito dei poteri ad essi attribuiti. Uno sviluppo “orizzontale” delle politiche e delle responsabilità di gestione del sistema. Nel sistema scolastico questo processo si è avviato con l'autonomia delle scuole: le 1 9 7 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO scuole (dal 1999) non sono più (o meglio non dovrebbero essere) le istituzioni ter- minali di un sistema burocratico dello Stato, ma sono, per le funzioni che ad esse sono state attribuite, le funzioni tecniche dell'istruzione e della formazione, vere autonomie funzionali, come le camere di commercio e le università, pur rimanen- do nell'ordinamento statale. Parallelamente sono stati trasferiti poteri organizzativi e di gestione del sistema educativo agli Enti territoriali, in particolare le funzioni amministrative sono state attribuite ai comuni, per cui si prefigura un modello di governance in cui gli atto- ri principali sono la scuola e gli enti locali. Ciò comporta la necessità di ridisegna- re il sistema di governo delle relazioni istituzionali, dalla prevalenza “verticale” e gerarchica (organizzazione piramidale) alla prevalenza “orizzontale” e funzionale (lo Stato regolatore), per il governo dei processi. Il dibattito nel gruppo di lavoro ha risentito, come era prevedibile e naturale, delle difficoltà di un approccio, anche teorico, al quale non siamo abituati. Si è, tutta- via, focalizzata l'attenzione su alcuni punti desumibili anche dalle esperienze di rete in atto nei vari territori. Il primo punto trattato è quello dell'identità. Noi siamo abituati ad avere come riferimento il sistema nazionale che presenta un'identità unica; la scuola di Stato è stata e rimane ancora il modello di riferimento pedagogico, didattico, organiz- zativo. La stessa legge paritaria, in un certo senso, “statalizza” la scuola libera. Lo Stato diventa pervasivo perfino sui modelli dell'organizzazione, anche didattica, e professionali. L'autonomia delle scuole mette in crisi questo modello anche per la scuola stata- le: due istituzioni statali, anche contigue, possono sviluppare, con l'autonomia, un proprio progetto educativo che le connota di una propria identità pedagogica e didattica. Un processo identitario che comporterà un diverso rapporto anche tra l'istituzione scuola e il personale docente. Un progetto educativo connotato di una propria specificità pedagogica e didattica implica, infatti, una sorta di “filiazione” al progetto e, conseguentemente, alla scuola del personale docente. Il processo di riforma si è mosso in questa direzione. I piani di studio personaliz- zati, l'attenzione alla centralità della persona e alle teorie dell'apprendimento, piuttosto che dell'insegnamento, rappresentano questa inversione di tendenza che consente alle istituzioni scolastiche e formative di realizzare un progetto educati- vo che le connota di una specifica identità. Il problema dell'identità si avverte maggiormente quando si prospetta un'organiz- zazione di rete. Quando, cioè, soggetti diversi, che realizzano insieme su un pro- getto, hanno la necessità di conservare e salvaguardare la propria identità. Passando alla proposta del “Campus” o del “Polo formativo tecnologico”. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 1 9 8 I due termini, contrariamente a quanto appare, non sono sinonimi e rispondono ad obiettivi diversi, anche se non completamente antitetici. Si tratta di due configurazioni organizzative, entrambe valide, che sono state prese in considerazione come modello logistico dei percorsi del secondo ciclo e, pertan- to, inseriti nel decreto legislativo attuativo. Il Campus nasce dall'esigenza di sviluppare la partecipazione degli allievi e delle famiglie, fornendo un'offerta di istruzione ampia ed articolata in maniera da con- sentire lo sviluppo di azioni formative e attivazione di laboratori di recupero e svi- luppo degli apprendimenti che possano favorire effettivamente processi di orien- tamento e le fasi di passaggio tra percorsi e indirizzi. L'obiettivo del Campus è l'u- nitarietà del sistema e la pari dignità dei percorsi. Esso ha come priorità la perso- nalizzazione e il suo sviluppo non è circoscrivibile esclusivamente alle specificità dei contesti produttivi territoriali. Il Polo formativo nasce, invece, dalle esigenze del sistema delle imprese di avere uno sviluppo di filiere formative di tipo tecnico-professionale funzionali ai conte- sti produttivi locali. Il centro è, quindi, l'impresa e il suo sviluppo è connaturato con le specificità vocazionali del territorio: in particolare i distretti industriali. Entrambe le finalità possono, tuttavia, convivere per creare Campus e Poli forma- tivi che rappresentano strutture a vocazione territoriale, finalizzate anche a rilan- ciare l'economia dei territori e l'occupabilità attraverso filiere che assicurino il rac- cordo tra percorsi liceali, percorsi dell'istruzione e formazione professionale, il mondo produttivo, il mondo accademico e la ricerca. Il rischio è che il polo tecnologico, così come inizialmente proposto, potrebbe svi- lupparsi esclusivamente come una struttura ordinata attorno all'attuale istruzione tecnica e, nel futuro, al liceo tecnologico rendendo residuale il sistema di istruzio- ne e formazione professionale. Si verrebbe a prefigurare, cioè, un modello funzionalista, basato sull'integrazione di percorsi piuttosto che sull'integrazione delle politiche, che renderebbe l'istru- zione e formazione professionale subalterna al sistema liceale. Il liceo tecnologico, in questa ipotesi, diventerebbe il polo formativo di riferimento nel territorio che, in ciascun settore (meccanica, tessile …), sviluppa tutta la formazione intermedia e la ricerca applicata nella formazione tecnica superiore in interazione con il siste- ma delle imprese. Il sistema dell'istruzione e formazione professionale resterebbe privo dello sbocco in verticale e confinato nella “produzione” delle qualifiche triennali e dei percorsi di recupero. Sul modello organizzativo definito in rapporto ai costrutti di “polo” e di “campus” si pone il problema del finanziamento che, se non risolto, condurrà al consolida- mento dell'attuale struttura a centralità statale: i Poli o i Campus avranno sempre il governo statale. Infatti, il sistema che si prefigura è configurato nel modo 1 9 9 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO seguente: i percorsi di liceo tecnologico rimangono in capo allo Stato mentre i per- corsi di istruzione e formazione professionale sono in capo alle Regioni. Questa distinzione creerà difficoltà alle Regioni nelle politiche di governance territoriale fino a quando tutta la gestione delle risorse umane e finanziarie non sarà trasferi- ta agli Enti locali, come sancito dalla sentenza della Corte costituzionale del 13.01.04. La preoccupazione è legittima e nasce dalla diversa natura degli stru- menti di accreditamento dei percorsi per le istituzioni non statali: la legge 62 per i licei non prevede nessun finanziamento, mentre il sistema di accreditamento delle sedi formative per i percorsi di istruzione e formazione professionale consente il finanziamento anche a soggetti non statali. È evidente la disparità di condizioni e il rischio che la rete dei poli formativi si riduca soltanto alla rete statale dei licei tecnologici, ed è altrettanto evidente che il nodo da sciogliere è quello dell'attua- zione completa della parità con l'estensione dei finanziamenti alle istituzioni non statali del servizio pubblico. Il gruppo di lavoro, infine, ha sostenuto che l'autonomia è uno strumento potente che dovrà consentire agli attori di organizzarsi in rapporto alle esigenze del terri- torio e dell'utenza e sviluppare modelli organizzativi di rete. Il punto sul quale unanimemente si conveniva, ritenuto esiziale per il successo di un'organizzazione di rete, è che il percorso di organizzazione risponda ad una scel- ta intenzionale degli attori che devono condividere gli obiettivi, il progetto, i pro- cessi da gestire, le risorse umane e le figure pedagogiche, professionali e gestiona- li da utilizzare, individuando un management di rete sulle funzioni del sistema di governo. Un'ultima riflessione è stata fatta sull'autonomia territoriale: lasciare, cioè, gli attori territoriali liberi di definire i modelli e le tipologie di organizzazione in rete, creando strutture e strumenti che sono più adeguati e coerenti con le politiche regionali. È essenziale, comunque, sviluppare relazioni con altri soggetti sui piani persona- lizzati di studio, sui laboratori di orientamento e di accompagnamento, sull'inter- cettazione dei bisogni formativi, sullo sviluppo dell'alternanza scuola lavoro e dell' apprendistato, anche al fine di favorire l'interazione tra i sistemi e costituire utili strumenti di governo sul territorio. In definitiva, il Polo o il Campus dovrà essere una struttura organizzativa, più ampia possibile, in grado di raccordarsi realmente con il territorio e con altri soggetti e ser- vizi (Servizi per l'impiego, borsa lavoro …) e basata su un modello di programma- zione regolativo tra domanda e offerta, in cui si sviluppa l'integrazione delle politi- che territoriali sull'istruzione e formazione, sulla ricerca e sul lavoro. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 2 0 0 7.6 La valutazione degli apprendimenti nel contesto lavorativo e formativo Dario Nicoli Università Cattolica di Brescia 1. Valutazione tradizionale e valutazione autentica Nella letteratura appare sempre più spesso la definizione di valutazione “tradizio- nale” rispetto alla valutazione “autentica”. Per “tradizionale” si intende solitamente una modalità di valutazione del profitto scolastico che risulta dal confronto dei risultati ottenuti dagli studenti con i risul- tati attesi, normalmente espressi in obiettivi resi in modo tale da poter essere rile- vati empiricamente ed indicanti “valori di soglia” per determinarne il livello. È in base alla vicinanza o distanza dei risultati che si traggono inferenze sul grado di apprendimento. Tale operazione richiede pertanto una riduzione del fenomeno complesso denomi- nato apprendimento in comportamenti osservabili (performance) e trattabili come oggetti tramite l'applicazione di metodi quantitativi. A fronte dell'esigenza di garantire una misura che fosse il più possibilmente precisa, si è fatto soprattutto ricorso a prove standardizzate applicabili su popolazioni omogenee. Tali prove hanno visto un'applicazione che in molti casi ha tracimato rispetto all'alveo euri- stico entro cui queste erano state pensate. Di conseguenza, invece che risultare strumenti atti a rilevare soltanto il successo oppure l'insuccesso dell'apprendimento per suggerire interventi di rinforzo o di aiuto, le prove standardizzate si sono diffuse generalmente come un sistema di giu- dizio selettivo in base al quale stabilire il contenuto, la validità ed il livello degli apprendimenti degli studenti e degli alunni. Ma tale esito non si giustifica a parti- re dal metodo adottato. Infatti questo consente piuttosto di registrare ciò che una persona “sa” inteso come ripetizione del contenuto della lezione e del testo scrit- to, mentre non è in grado di rilevare la capacità di “costruzione” della conoscen- za e neppure la “capacità di applicazione reale” della conoscenza posseduta. Di contro, la valutazione “autentica” rappresenta una metodologia - collocata entro un approccio formativo coerente - che mira a verificare non solo ciò che un allievo sa, ma ciò che “sa fare con ciò che sa” fondato su una prestazione reale e 2 0 1 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO adeguata dell'apprendimento che risulta così significativo, poiché riflette le espe- rienze reali ed è legato ad una motivazione personale. Lo scopo principale consi- ste nella promozione di tutti offrendo opportunità al fine di compiere prestazioni di qualità. Tale valutazione, coinvolgendo gli allievi, le famiglie ed i partner for- mativi, mira pertanto alla dimostrazione delle conoscenze tramite prestazioni con- crete, stimolando l'allievo ad operare in contesti reali con prodotti capaci di sod- disfare precisi obiettivi. Particolarmente rilevante è il “capolavoro” che l'allievo esegue al termine del percorso formativo e che documenta nelle forme e linguag- gio proprio della comunità professionale la sua preparazione, giustificando il rila- scio della relativa qualifica professionale. In questo senso, muta la prospettiva dell'intera attività formativa: se la prima forma di valutazione è intesa come verifica circa l'apprendimento da parte dello studente di una conoscenza trasmessa dall'insegnante, la valutazione autentica si muove in chiave formativa, ovvero in modo da consentire un incremento del pro- cesso di apprendimento e di consapevolezza da parte dell'allievo. In questo modo la valutazione è essa stessa formazione e non un'interruzione del cammino. Da qui la pratica del Portfolio delle competenze personali. Esso rappresenta una raccolta significativa dei lavori dell'allievo che racconta la storia del suo impegno, del suo progresso o del suo rendimento. Tramite esso è pos- sibile capire la storia della crescita e dello sviluppo di una persona, corredandola con materiali che permettono di comprendere “che cosa è avvenuto” dal momen- to della presa in carico della persona (che richiede un'attenta osservazione delle sue capacità e acquisizioni previe) fino al momento della partenza, passando per le varie fasi di cui si compone il percorso formativo. In questo senso, il cuore della valutazione sta il più possibile nei prodotti di cui l'allievo va orgoglioso e che segnalano (a se stesso, ai formatori ma anche agli altri attori, compresa la famiglia) le sue acquisizioni ed in particolare il grado di pos- sesso delle competenze. 2. La metodologia dell'istruzione e formazione professionale Un tale approccio valutativo si applica pienamente ai percorsi formativi che si rea- lizzano nel sistema di istruzione e formazione professionale, purché rispondano ai seguenti criteri. a) Si ispirano al criterio della centralità dell'allievo e del suo successo formativo, al fine di assicurare ai giovani una proposta dal carattere educativo, culturale e professionale che preveda risposte molteplici alle loro esigenze. Ogni destinata- rio può trasformare le proprie capacità - attitudini, atteggiamenti, risorse, voca- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 2 0 2 zione - in vere e proprie competenze, al fine di ottenere comunque un risultato soddisfacente in termini di conseguimento di una qualifica professionale coe- rente con i principali sistemi di classificazione disponibili, garanzia di un sup- porto all'inserimento lavorativo; possibilità di una prosecuzione della formazio- ne nell'ambito dell'anno di diploma di formazione come pure nell'ambito della Formazione professionale superiore ed eventualmente nella prosecuzione nell'Istruzione e nell'Università. È pure assicurata, in ogni momento del per- corso, la possibilità di passare ad altri ambiti del sistema educativo con l'ausi- lio di Laboratori di recupero e sviluppo degli apprendimenti, d'intesa tra entrambi i team implicati. b) Si fondano sull'ipotesi pedagogica che la professionalità intesa in senso proget- tuale, a qualunque livello, costituisce lungo l'intero arco della vita, particolar- mente nei giovani, una formidabile leva motivazionale e formativa dal valore educativo e culturale oltre che sociale. L'azione educativa connessa alla pro- gettazione professionale rende possibile l'acquisizione e la gestione dinamica dei diversi saperi di cui la persona dispone, la loro finalizzazione, il loro accre- scimento, orientandoli verso la maturazione di una professionalità competente, comprendendo in ciò tutti gli adeguamenti che si rendano necessari a seguito dell'evoluzione delle prassi professionali e del contesto in cui queste vengono esercitate. La progettualità professionale si configura come un processo forma- tivo peculiare sostenuto dalla valenza culturale del lavoro, intendendo con ciò un insieme organico di disposizioni personali, di conoscenze ed abilità, di pro- cessi e strutture operative, di criteri e regole deontologiche che costituiscono il corpo di ogni specifica comunità professionale. c) Si riferiscono al profilo educativo, culturale e professionale comune al secondo ciclo del sistema educativo in relazione alla specifica comunità professionale, sostenendo quindi una prospettiva finalizzata alla riflessione critica sul sapere, sul fare e sull'agire, allo sviluppo dell'autonoma capacità di giudizio e l'eserci- zio della responsabilità personale e sociale. In tal senso le competenze identifi- cano non tanto una dotazione data una volta per tutte e predefinita, quanto una disposizione particolare del soggetto ad essere protagonista della cultura del lavoro come partecipazione responsabile e dotata di senso ad un'esperienza di crescita personale e collettiva nell'ambito delle realtà di riferimento. d) Forniscono una formazione più ampia e più ricca della qualifica o del lavoro scelto, superando la prospettiva specialistica per quella più ampia e aggregata della comunità professionale, in modo da essere consapevoli delle trasforma- zioni e delle necessarie nuove acquisizioni che consentano di essere protagoni- 2 0 3 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO sti di uno scenario professionale fortemente dinamico. Il disegno formativo pro- posto prevede la continuità da un lato con la formazione in servizio, e dall'al- tro con le ulteriori formazioni di diploma e di diploma superiore. e) Richiedono nei formatori l'atteggiamento professionale predominante della pro- gettazione, della creatività e dell'autonomia. Ciò significa innanzitutto perse- guire una visione unitaria della cultura a partire dall'esperienza, evitando la meccanica trascrizione degli obiettivi generali del processo formativo e degli obiettivi specifici di apprendimento in chiave di didattica disciplinare. Al con- trario, i formatori si impegnano a mirare l'azione educativa in riferimento ad obiettivi formativi significativi e motivanti per gli allievi, nella forma dei Piani Personalizzati degli Studi che ogni gruppo docente è chiamato a realizzare strutturandoli in Unità di Apprendimento. Ciò comprende pure l'adozione del Portfolio delle competenze individuali, in grado di documentare concretamente i progressi dell'allievo e la storia del suo impegno, evidenziandone le compe- tenze acquisite ed inoltre il loro valore in termini di crediti formativi. In grado nel contempo di consentire una valutazione “autentica” di taglio fortemente formativo. f) Prevedono una metodologia formativa basata sulla didattica attiva e sull'ap- prendimento dall'esperienza, ovvero su compiti reali, il più importante dei quali è il “capolavoro”, anche - a partire dai 15 anni di età - tramite tirocinio/stage formativo in stretta collaborazione con le imprese in cui opera la comunità pro- fessionale di riferimento. Risulta quindi prevalente la didattica di laboratorio rispetto a quella di aula. Il percorso avrà una rilevanza orientativa, in modo da sviluppare nella persona la consapevolezza circa le proprie prerogative, il pro- getto personale, il percorso intrapreso. g) Richiedono l'adozione di una valutazione “autentica” che miri a verificare non solo ciò che un allievo sa, ma ciò che “sa fare con ciò che sa” fondato su una prestazione reale e adeguata dell'apprendimento che risulta così significativo, poiché riflette le esperienze reali ed è legato ad una motivazione personale. Lo scopo principale consiste nella promozione di tutti offrendo opportunità al fine di compiere prestazioni di qualità. Tale valutazione, coinvolgendo gli allievi, le famiglie ed i partner formativi, mira pertanto alla dimostrazione delle cono- scenze tramite prestazioni concrete, stimolando l'allievo ad operare in contesti reali con prodotti capaci di soddisfare precisi obiettivi. Particolarmente rile- vante è il “capolavoro” che l'allievo esegue al termine del percorso formativo e che documenta nelle forme e linguaggio proprio della comunità professionale la sua preparazione, giustificando il rilascio della relativa qualifica professionale. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 2 0 4 h) Prevedono l'utilizzo nell'attività formativa di personale che presenti requisiti di motivazione, preparazione ed esperienza coerenti con le necessità richieste dalla modalità formativa individuata. Per la conduzione dell'équipe dei formatori si prevede la presenza di un tutor coordinatore; l'impegno orario di tali figure sarà riferito non solo all'area formativa di specifica competenza (comunicazione, scientifica, professionale), ma pure ad un ampio ventaglio di funzioni tra cui l'orientamento, lo sviluppo di capacità personali, il recupero e lo sviluppo degli apprendimenti, lo stage e l'alternanza formativa. Assicurano inoltre la forma- zione dei formatori attraverso modalità che valorizzino l'esperienza intrapresa. Un'organizzazione flessibile consentirà la forte personalizzazione dei percorsi per consentire un adattamento al target ed un accompagnamento ai cammini di ogni singola persona. i) Richiedono un'azione di rete condivisa fra più organismi che sviluppano inter- venti della stessa natura, al fine di dar vita ad attività di accompagnamento, monitoraggio e valutazione delle azioni ai vari livelli (didattico-formativo, orga- nizzativo-gestionale, territoriale…), in grado di rilevare il raggiungimento degli obiettivi indicati, di ricostruire le prassi adottate, di qualificare e valicare conti- nuativamente la proposta formativa. Il progetto è pertanto centrato sul prodotto - che in termini professionali prende il nome di “capolavoro” - in modo che acquisisca una utilità riconosciuta social- mente, ovvero tenendo conto del quadro di riferimento dell'allievo e del contesto in cui è inserito; e l'organismo formativo deve porsi il compito di far svolgere agli allievi il più possibile prodotti finiti, socialmente riconoscibili, collocati entro tutti i domini del sapere. L'attività educativa deve tendere a rendere i giovani compe- tenti, a partire dai loro obiettivi formativi, non già da quelli della programmazio- ne didattica. Ciò conduce a realizzare il più possibile Laboratori di apprendimento (personali, sociali, professionali) specificati in compiti e prodotti che richiedono una integra- zione delle diverse discipline o aree formative coinvolte. Questo al fine di realizza- re un approccio amichevole che valorizza l'esperienza dei giovani e conduce in modo induttivo verso traguardi di sapere soddisfacenti orientati a compiti concre- ti e dotati di senso dal punto di vista dell'allievo, valutati sulla base di specifiche performance. L'attività formativa prevede differenti modalità organizzative: a) il Gruppo classe, cioè un insieme numeroso di allievi chiamato a svolgere insie- me attività prevalentemente omogenee ed unitarie; b) il Gruppo di livello, nel quale gli allievi lavorano in aggregazioni definite dal 2 0 5 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO tipo di obiettivi e di compiti che debbono affrontare e che li distinguono dagli altri sotto-gruppi (es.: attività di recupero e potenziamento di singoli apprendi- menti); c) il Gruppo di compito ed elettivo che può coinvolgere anche un sottogruppo di allievi dello stesso gruppo classe oppure allievi di diversi gruppi classe sulla base di attività opzionali, corrispondenti ad interessi e scelte peculiari (si pensi, ad esempio all'inglese o a determinate attività espressive, motorie, informatiche, sociali…). L'utilizzo delle tre modalità di impostazione del percorso di apprendimento (grup- po classe, sottogruppo classe, grande gruppo fra allievi di più classi) consente di sviluppare maggiormente apprendimenti personalizzati, di valorizzare le capacità di ciascuno, di variare e qualificare l'uso delle risorse, di arricchire il percorso di stimoli ed opportunità. È sulla scorta dei principi metodologici indicati e dell'approccio per progetto inter- disciplinare centrato sulle diverse situazioni di apprendimento, che si può deli- neare un percorso di gestione del processo formativo lungo il quale va costante- mente tenuto presente il principio della personalizzazione. Si tratta del principio fondamentale del processo di apprendimento. Il concetto di personalizzazione è strettamente connesso a quello di successo formativo. Esso si realizza nel momento in cui la persona è in grado di trasformare le proprie capa- cità (attitudini, atteggiamenti, risorse, vocazione) in competenze, al fine di otte- nere comunque un risultato soddisfacente nel senso del conseguimento di una qua- lifica professionale, garanzia di supporto all'inserimento lavorativo; della possibi- lità di una prosecuzione della formazione (diploma di formazione, diploma di for- mazione superiore) e di un passaggio anche nei Licei e nell'Università. 3. Portfolio delle competenze personali Il portfolio delle competenze personali, che rappresenta una raccolta significativa dei lavori dell'allievo capace di raccontare la storia del suo impegno, del progres- so e del suo rendimento. Con esso si mira a rilevare il patrimonio di capacità, conoscenze, abilità e competenze del destinatario, utilizzando una metodologia che consente di giungere a risultati certi e validi. Attraverso l'utilizzo di questo strumento si intende superare la modalità tradizio- nale della valutazione del profitto scolastico che risulta dal confronto dei risultati ottenuti dagli studenti con i risultati attesi, poiché in tal modo si giunge a regi- strare ciò che una persona “sa”, inteso come ripetizione del contenuto della lezio- ne e del testo scritto o dei gesti lavorativi appresi per addestramento, mentre non ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 2 0 6 si è in grado di rilevare la capacità di “costruzione” della conoscenza e neppure la “capacità di applicazione reale” della conoscenza posseduta. Tramite il portfolio è possibile capire la storia della crescita e dello sviluppo di una persona, corredandola con materiali che permettono di comprendere “che cosa è avvenuto” dal momento della presa in carico della persona (che richiede un'at- tenta osservazione delle sue capacità e acquisizioni previe) fino al momento della partenza, passando per le varie fasi di cui si compone il percorso formativo. Il portfolio comprende i seguenti ambiti: anagrafico, orientativo, formativo e valu- tativo, certificativo. 1) Ambito anagrafico: comprende i dati personali dell'allievo, descrive la sua vicen- da formativa ed eventuali esperienze di apprendistato e, nel caso in cui siano state realizzate, riporta significative esperienze in campo lavorativo. Inoltre, vanno inserite anche le descrizioni di esperienze (in ambito sportivo, artistico, culturale, sociale, hobbies, ecc.) che l'allievo valuta come significative. 2) Ambito orientativo: comprende le attività di orientamento svolte, il progetto personale e le eventuali variazioni incorse. Tale dimensione orientativa è sem- pre intrecciata con la dimensione valutativa in quanto l'unica valutazione posi- tiva per l'allievo è quella che contribuisce a conoscere l'ampiezza e la profon- dità delle sue competenze e, attraverso questa conoscenza progressiva e siste- matica, a fargli scoprire ed apprezzare sempre meglio le capacità potenziali per- sonali, non pienamente mobilitate, ma indispensabili per avvalorare e decidere un proprio progetto di vita. 3) Ambito formativo e valutativo: riguarda la valutazione dei prodotti realizzati nelle UdA. Per tale valutazione è possibile fare riferimento a tre schede, pre- sentate di seguito, che si svolgono sui due livelli precedentemente indicati, ovvero autovalutazione ed eterovalutazione. La prima (cfr. tavola 2 e 3) è una scheda di autovalutazione, correlata di relativa rubrica con parametri di riferi- mento, che si propone come strumento attraverso cui l'allievo può verificare il percorso che ha operato nella realizzazione del prodotto e il livello a cui ritiene di fissarsi rispetto al raggiungimento degli obiettivi. La seconda (cfr. tavola 4 e 5) e la terza (cfr. tavola 6) sono schede di eterovalutazione, che si propongono come strumenti di base, da adattare alle singole UdA, attraverso cui il forma- tore può operare la sua valutazione del percorso dell'allievo. La prima di esse è la scheda di valutazione delle competenze generali, attraverso cui il formatore, facendo riferimento alla rubrica allegata, può valutare il raggiungimento o meno degli obiettivi formativi (che hanno come riferimento il PECUP), coglien- do la capacità dell'allievo di risolvere, in senso generale, il problema davanti al quale è posto e di incrementare e/o utilizzare le proprie risorse personali in 2 0 7 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO ordine all'assolvimento del compito e quindi nel diventare “competente”. La scheda di valutazione di abilità e conoscenze, in secondo luogo, è uno stru- mento attraverso cui il formatore valuta il raggiungimento delle singole abilità e conoscenze, il cui apprendimento è richiesto per la corretta soluzione del com- pito in riferimento alle diverse aree formative. In tal senso valutazione delle competenze e valutazione delle conoscenze ed abi- lità rappresentano due momenti dello stesso processo valutativo, riferito alla stessa sequenza di unità di apprendimenti e riferiti alla medesima persona. 4) Ambito certificativo (libretto formativo): comprende i documenti di certifica- zione delle acquisizioni che accompagnano il percorso dell'allievo, con indica- zione del valore in termini di credito. 4. Metodologia valutativa Al centro dell'azione educativa e come soggetto ed oggetto privilegiato della qua- lità di ogni processo educativo c'è la persona, quindi tanto la persona dell'edu- cando quanto quella dell'educatore, come due protagonisti che si trovano conti- nuamente in collegamento e in un rapporto di crescita e di apprendimento. L'educatore ha il compito di essere allo stesso tempo guida e mediatore del pro- cesso di crescita dell'educando. L'educatore, infatti, è colui che ha a disposizione le nozioni teoriche in base alle quali risolvere i problemi e che si pone come un osservatore attento del comportamento e dei bisogni dell'educando, sapendo cogliere i momenti di maggiore disponibilità del soggetto per proporre i passi del cammino di crescita. L'educatore, in quanto mediatore del rapporto educativo, deve saper passare da una comprensione esterna ad una comprensione sempre più profonda della realtà dell'educando, in modo da stimolare in quest'ultimo la capa- cità di utilizzare le proprie risorse per fronteggiare i problemi, individuando le soluzioni adeguate per uno sviluppo ed una crescita sempre più maturi. In sede valutativa non si possono pertanto non tenere in considerazione entrambi i protagonisti dell'azione educativa anche a questo livello. In conseguenza di quan- to detto e per coerenza con l'impostazione generale, riteniamo che la valutazione rispetto alle singole UdA debba essere effettuata a 2 livelli. 1) Autovalutazione: in essa l'allievo verifica il percorso che ha operato ed il livel- lo a cui ritiene di situarsi rispetto al raggiungimento degli obiettivi prefissati (si vedano le tavole allegate nn. 1-2). 2) Eterovalutazione: in essa è l'équipe dei formatori, possibilmente insieme con l'allievo, che esprime la valutazione rispetto a due parametri. Da una parte valuta il raggiungimento o meno degli obiettivi formativi (che hanno come rife- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 2 0 8 rimento il PECUP), cioè valuta la padronanza dell'allievo nel risolvere, in senso generale, il problema davanti al quale è posto e di incrementare e/o utilizzare le proprie risorse personali in ordine all'assolvimento del compito, ovvero la sua competenza. Dall'altra valuta il raggiungimento delle singole abilità e cono- scenze il cui apprendimento è richiesto per la corretta soluzione del compito in riferimento alle diverse aree formative (si vedano le tavole allegate nn. 3-4-5). L'elemento fondamentale dell'approccio valutativo è costituito dalla relazione che intercorre tra il cuore del processo di apprendimento e quindi di valutazione, ovve- ro la competenza, le capacità della persona ovvero le sue potenzialità, ed infine le risorse mobilitate dalla persona (conoscenze ed abilità). È necessario che tutto ciò divenga leggibile entro un'esperienza formativa concreta che è rappresentata dalla situazione di “soluzione del problema” di cui l'allievo è protagonista. Tale approccio ci consente inoltre, in forza di tale strutturazione, di considerare egualmente fenomeni formativi sia formali, sia informali e non formali, in modo da ricostruire le acquisizioni significative della persona indistintamente dal modo e dal luogo in cui sono avvenuti. A tale scopo, il processo di valutazione (e successivamente di certificazione) si avvale anche di appositi strumenti definiti prevalentemente sotto forma di “Rubriche di competenza”, che consentono di sviluppare un linguaggio comune e nel contempo di dare fondatezza a quanto certificato. Tali condizioni (comunanza del linguaggio e fondatezza dei riferimenti) sono soddisfatte dalla possibilità di esplicitare le relazioni che si instaurano tra la competenza oggetto della certifica- zione, le fonti di legittimazione, i descrittori delle azioni su cui la persona si è eser- citata ed i livelli di padronanza (expertise) raggiunti. In tal modo viene assicurata la varietà dei processi formativi e la riconoscibilità delle acquisizioni, mantenendo nel contempo la necessaria caratterizzazione contestuale della competenza, condizione indispensabile perché essa sia autentica e sostanziale. Le acquisizioni da accertare sono distinte secondo i seguenti tre assi di osserva- zione: 1. le competenze, che esplicitano le padronanze1 delle persone - in termini di messa in atto delle risorse possedute - nel portare a termine in modo adeguato ed in contesti definiti compiti unitari, sensati, compiuti e dotati di valore sociale; 2. le conoscenze e le abilità che costituiscono le risorse culturali attivate dalle stes- se persone nell'affrontare e portare a soluzione i compiti sopra indicati ed acquisite in varie modalità (per esempio durante le azioni formative); 2 0 9 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO 1 Da intendersi nel senso di “expertise” o “perizia” 3. i fattori quali atteggiamenti, comportamenti, creatività, esecutività, passività, sicurezza, determinazione etc., che costituiscono le capacità personali che con- corrono nel portare a termine il compito-problema posto. Disporre di tali strumenti equivale a garantire condizioni formali e criteri di rap- presentazione che possiedano una valenza comunicativa uniformemente interpre- tabile. Tutto ciò equivale, in sostanza, a definire - secondo caratteristiche e criteri formali - il rapporto tra ciò che si accerta e ciò che si certifica, tra il contenuto a cui un credito si riferisce e ciò per cui esso costituisce credito. Per realizzare tale sistema, è richiesto ad ogni équipe di operatori che sviluppano un processo di accertamento e di certificazione, uno sforzo teso ad identificare le competenze della persona - riferite necessariamente ad un percorso personalizza- to e contestuale dell'allievo, descritto sotto forma di azione tesa a fronteggiare e risolvere un problema avente rilevanza (personale, sociale, professionale), che nel caso di percorso formativo a carattere formale risulta strutturato per UA - attra- verso un'operazione complessa che consenta di procedere: - alla identificazione della competenza entro le specifiche fonti di riferimento generale (Pecup, Lep, Indicazioni e Repertorio), - alla individuazione dei descrittori in rapporto ai quali viene accertata la com- petenza in riferimento alle conoscenze, alle abilità ed ai fattori personali attiva- ti nel portare a termine il compito-problema, - alla definizione del grado della competenza entro una serie nota di livelli che consentano di specificare la padronanza con cui è agita dalla persona. Un ruolo centrale nel processo è rappresentato dalla Rubrica della competenza; essa costituisce uno strumento in grado di proporre un insieme ordinato di indi- cazioni e di ausili operativi che, condiviso dalla comunità dei formatori, è finaliz- zato alla descrizione in termini di competenze dei risultati attesi e/o acquisiti da un soggetto sia attraverso la frequenza ad un percorso formativo sia con altre e diverse modalità di apprendimento informale o non formale. La scelta della Rubrica come strumento per l'accertamento e nel contempo di cer- tificazione nasce dalla convinzione che una valutazione del possesso di conoscen- ze, abilità, competenze sia per i processi a cui appartengono (apprendimento), sia per la varietà dei percorsi che li generano (insegnamento formale, induzione infor- male ecc.), sia per la natura e la varietà delle prestazioni che vi si possono asso- ciare, richieda un approccio fenomenologico: descrittivo (di ciò che certifica) e dimostrativo (dei fattori che giustificano il riconoscimento del credito), elementi che non possono essere garantiti da giudizi sintetici (si/no, voto) attribuiti a com- ponenti disciplinari o interdisciplinari (saperi, abilità) o ad espressioni che ne impoveriscano e rendano irriconoscibile la complessità. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 2 1 0 L'impiego della Rubrica a fini certificativi esalta il valore dichiarativo delle aspet- tative rispetto ad una qualsiasi prestazione, nonché la selezione preventiva delle condizioni e degli strumenti di accertamento e di misura. La Rubrica consente in tal modo due possibili tipi di accertamento: - l'accertamento di elementi (conoscenze, abilità, competenze) riferiti alle Indicazioni coincidenti con il profilo professionale o il livello conclusivo atteso; - l'accertamento di elementi (conoscenze, abilità, competenze) parziali in ragione della relazione di affinità con profilo di riferimento. La scelta metodologica - centrata sulla relazione di affinità e non di meccanica coincidenza tra gli elementi in gioco - coniuga con evidenza formale l'elemento accertato (la competenza) al riferimento più ampio per cui assume senso indipen- dentemente dalle modalità (formali, informali e non formali) con cui è stata acqui- sita. Tutto sembra - allo stato - permettere il massimo di innovazione e flessibilità del percorso con la necessaria univocità associabile ad elementi certificativi. Infatti la competenza non è data dalla somma delle sue componenti (conoscenze, abilità, disposizioni personali), ma richiede e si rende evidente attraverso un com- pito portato a termine personalmente dal soggetto (che lo coglie come soggetto unitario, in grado di decisione e nel contempo di mobilitazione delle risorse neces- sarie), che dimostra un livello di padronanza (qui utilizzato come sinonimo di expertise o perizia) comparabile con gli “standard essenziali”2 e compiti chiave della vita personale, sociale e professionale. Con l'espressione “compiti chiave” si intendono i compiti/problema che costitui- scono le sfide più rilevanti (di carattere personale, sociale e professionale) che la persona è chiamata a fronteggiare nel trasformare le proprie capacità in compe- tenze, secondo una strategia che non può essere predefinita a priori, ma può esse- re osservata valutata e quindi, descritta in rapporto agli esiti ed ai criteri di qua- lità intrinseci ed estrinseci al compito stesso. 5. Certificazione La certificazione degli apprendimenti rappresenta un'azione che mira a descrive- re in modo sistematico le acquisizioni della persona, preferibilmente sotto forma di competenze, ed a registrarle in un formato condiviso tra i diversi attori del siste- ma educativo di istruzione e formazione professionale, compresi i soggetti econo- mici. 2 1 1 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO 2 Si preferisce tale espressione a quella usuale di “minimi” che appare statica e riduttiva, oltre che destinata fatalmente alla decadenza (il “minimo del minimo”) La certificazione mira pertanto a connotare il documento prodotto in stretto rife- rimento al merito delle acquisizioni della persona, di cui questa si è dotata attra- verso le più diverse esperienze formative (formali, non formali ed informali). La certificazione si riferisce a due categorie di fenomeni: - in primo luogo le competenze intese come fattori che qualificano il grado di auto- nomia e di responsabilità della persona a fronte di specifiche categorie di com- piti/problema dal rilevante valore personale, sociale e professionale; - nel contempo, essa specifica le conoscenze e le abilità, ovvero le risorse di cui la persona si è impadronita e che ha saputo certamente mobilitare nel lavoro di soluzione dei compiti/problema indicati. In quanto tale, l'azione di certificazione non può essere concepita come una mera compilazione, ma rappresenta un'azione complessa, tale da richiedere la soddisfa- zione di diversi criteri, tra cui: - la comprensibilità del linguaggio, che deve riferirsi - in forma narrativa e non quindi con linguaggi stereotipati - a locuzioni e sintagmi che consentano ai diver- si attori di visualizzare le competenze; - l'attribuibilità delle competenze al soggetto con specificazione delle evidenze che consentano di contestualizzare la competenza entro processi reali in cui egli è coinvolto insieme ad altri attori; - la validità dei metodi adottati nella valutazione e validazione delle competenze stesse, con specificazione del loro livello di padronanza. Il credito formativo rappresenta una documentazione che attribuisce alla persona in possesso di un'acquisizione un valore esigibile presso un organismo formativo, in vista del raggiungimento di uno specifico titolo. Perché il credito relativo ad un'acquisizione formativa sia effettivamente esigibile, occorre che l'organizzazione ricevente riconosca la certificazione fatta da quella inviante ed attribuisca a questa certificazione un valore affinché possa essere dav- vero utilizzata per accedere a (o progredire in) un percorso formativo o lavorativo senza che alla persona titolare sia imposto di ripetere le attività di apprendimen- to riconosciute. Di conseguenza, il credito formativo indica il valore di una certificazione e sanci- sce l'accettazione da parte dell'organismo ricevente della validità della formazio- ne impartita allo studente da altri organismi e viceversa, a condizione che venga- no soddisfatte le tre successive condizioni: a) che l'organismo rilasciante sia accreditato secondo le procedure appositamente previste e che in particolare preveda una funzione organizzativa personale ade- guata a tale compito e che adotti la metodologia prevista; ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 2 1 2 b) che il credito ed il suo valore sia chiaramente riferito al Pecup ed alle Indica- zioni regionali; c) che contenga le informazioni necessarie ad individuare le attività formative svolte, le competenze personali e professionali maturate dal titolare, le cono- scenze e le abilità che egli ha acquisito e che sono iscritte nelle competenze maturate. Il riconoscimento di un credito avviene mediante un processo di bilancio che pre- vede anche l'analisi dei materiali di valutazione e di documentazione contenuti nel Portfolio delle competenze personali dello studente. Tale analisi riguarda la pre- senza delle condizioni di validità del credito stesso e di norma non prevede una prova di accertamento di tipo valutativo poiché l'attestazione soddisfa già i requi- siti di trasparenza necessari. In questo senso, la certificazione costituisce un atto con cui viene accertato il pos- sesso di una competenza determinata ovvero il possesso di un credito formativo, ma il cui valore effettivo dipende però dall'organizzazione presso cui viene proposto. 2 1 3 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO ALLEGATI ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 2 1 4 DIAGNOSI DELLE CAPACITÀ PERSONALI E PIANO FORMATIVO PERSONALIZZATO Allievo/a Curricolo formativo Capacità del soggetto Punti forti Punti deboli Indicazioni della famiglia Progetto orientativo personale Attenzioni educative, culturali e professionali specifiche per la persona Attività volte a sostenere le capacità dell'allievo e ad ovviare alle sue lacune Cognitive Affettive Relazionali Spirituali Estetiche Operative Progettuali Metodo di studio Gruppo-classe Recupero Sviluppo Gruppo elettivo Individualizzate Tavola 1 - Scheda di autovalutazione (a cura dell'allievo) 3 2 1 5 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO NOME E COGNOME CORSO ANNO FORMATIVO DI CHE PRODOTTO SI TRATTA QUANDO HAI COMINCIATO A REALIZZARLO QUANDO LO HAI TERMINATO COME LO HAI REALIZZATO (i passi che hai fatto per arrivare al prodotto) A CHE COSA SERVE IL PRODOTTO CHE HAI REALIZZATO COME LO VALUTI * QUALI SONO I TUOI PUNTI FORTI (abilità, capacità che hai scoperto di avere e che hai messo in atto) QUALI SONO I TUOI PUNTI MIGLIORABILI (difficoltà, problemi, …) COSA TI IMPEGNI A FARE NELL'IMMEDIATO FUTURO PER MIGLIORARTI 3 Questi due strumenti sono tratti da CIOFS-FP, CNOS-FAP, Guida per l'elaborazione dei piani for- mativi personalizzati, Istituto Salesiano Pio XI, Roma, 2004 * Compila la rubrica di autovalutazione del prodotto allegata di seguito mettendo una X negli spazi appositi e riporta nella scheda il tuo giudizio sintetico evidenziando quello prevalente. Tavola 2 - Rubrica di autovalutazione del prodotto (a cura dell'allievo) ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 2 1 6 COMPETENZE LIVELLI Utilizzo dei materiali Gestione del tempo Collaborazione con i compagni Risoluzione dei problemi Risoluzione del compito Principiante Capace Esperto Ho usato più materiale di quello necessario Ho usato tutto il tempo a disposizione ma non ho finito il prodotto Ho contribuito poco al lavoro di gruppo con i compagni Ho avuto bisogno dell'aiuto del formatore per risolvere i problemi Ho avuto bisogno di molte spiegazioni Non ho completato il compito Ho usato tutto il materiale messo a disposizione Ho utilizzato tutto il tempo a disposizione e ho finito il prodotto Ho collaborato con i compagni per lo svolgimento del lavoro solo quando mi veniva richiesto Sono stato capace di risolvere i problemi con i consigli del formatore Ho risolto il compito con l'aiuto di alcuni chiarimenti Ho completato il compito, facendo anche osservazioni su di esso Ho usato il materiale in modo funzionale al prodotto da realizzare Ho terminato il prodotto in meno tempo rispetto a quello previsto Ho collaborato con i compagni durante tutto lo svolgimento del lavoro Ho risolto i problemi in modo autonomo Ho compreso con chiarezza il compito richiesto Ho completato il compito e sono capace di riportare ad altre situazioni simili ciò che ho imparato attraverso questo lavoro 2 1 7 CONTRIBUTI DEI GRUPPI DI LAVORO Competenza Nel contesto lavorativo comprende, interpreta, seleziona, documenta, rinvia e archivia le informazioni in entrata e in uscita utilizzando sia il formato cartaceo sia quello elettronico. Esempi: mail, fax e lettere relative alla gestione degli appuntamenti, al materiale amministrativo (bolle, fatture, ...), all'approvvigionamento di prodotti/servizi esterni. Fonti di legittimazione - Bozza Repertorio della Regione Lombardia delle comunità e dei profili professionali per i percorsi di istruzione e formazione professionale - Linee guida dell'Area Professionale Servizi all'Impresa per l'elaborazione dei piani formativi anno formativo 2004/2005 Indicatori Livelli di padronanza 1 PARZIALE 2 BASILARE 3 ADEGUATO 4 ECCELLENTE Legge e comprende i testi riferiti all'attività lavorativa, attivando strategie di compren- sione diversificate e individuando gli inter- locutori interessati. Produce lettere com- merciali e altri docu- menti relativi all'atti- vità lavorativa utiliz- zando la terminologia specifica e una cor- retta sintassi. Archivia il materiale ricevuto e inviato in modo ordinato e reperibile. Evidenzia difficoltà nella comprensione di testi semplici sia informativi sia legati a istruzioni/procedu- re per l'attività lavo- rativa. Crea documenti imprecisi sia nei con- tenuti sia nella forma grammaticale e sin- tattica. Aggiorna in modo discontinuo l'archivio delle informazioni in entrata ed uscita, rendendo difficilmen- te reperibili i docu- menti e non permet- tendo una visione complessiva delle comunicazioni azien- dali. Legge e comprende le informazioni ine- renti agli aspetti della propria attività lavo- rativa e alle procedu- re ad essa legate. Secondo schemi pre- strutturati produce lettere commerciali e altri documenti in modo corretto. Inserisce il materiale prodotto e ricevuto in modo autonomo all'interno dell'archi- vio già esistente in azienda, seguendo le procedure standar- dizzate. Comprende, identifi- ca e distingue le informazioni primarie e secondarie dei documenti, indivi- duando in modo effi- cace ed efficiente gli interlocutori di riferi- mento. Elabora in modo autonomo e rispon- dente alle necessità i diversi tipi di docu- menti, utilizzando correttamente le regole grammaticali, di sintassi e la termi- nologia tecnica. Gestisce con una visione sistematica le informazioni, riuti- lizzando in modo effi- cace ed efficiente i documenti necessari all'attività lavorativa. Identifica le informazioni contenute nei documenti, attivando strategie di ricerca di ulteriori notizie e conoscenze per imple- mentare la propria com- prensione e fornire un servizio efficace ed effi- ciente all'interno ed all'e- sterno dell'organizzazione in cui è inserito/a. Struttura documenti cor- retti grammaticalmente e terminologicamente, rac- cogliendo le informazioni utili per la loro creazione. Organizza e gestisce in modo sistematico l'archi- vio attraverso i supporti informatici di archiviazio- ne e ricerca, utilizzando una classificazione razio- nale e condividendo que- sta con il resto della strut- tura rendendo così reperi- bili tutti i documenti. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 2 1 8 Competenza In un contesto di vita quotidiana è in grado di comprendere, applicare e rispettare le regole primarie della cittadinanza, con riferimento ai diritti e ai doveri fondamentali. Esempi: inviare e ricevere comunicazioni postali, richiedere copia di documenti anagrafici e personali, eseguire pagamenti, predisporre e compilare modulistica specifica, raccogliere e interpretare correttamente informazioni relative a specifici argomenti, rispettare le regole fondamentali di convivenza nell'ambiente scolastico e formativo, non discriminare i coetanei. Fonti di legittimazione - Bozza PECUP 2° ciclo, Standard formativi minimi area storico-socio-economica accordo Stato-Regioni punti 1,2,3 - Linee guida della sperimentazione triennale Indicatori Livelli di padronanza 1 PARZIALE 2 OPERATIVO 3 ADEGUATO 4 ECCELLENTE È in grado di utilizzare per i propri scopi i principali servizi (ser- vizi sanitari, socio- assistenziali, servizi scolastici, servizi della pubblica ammi- nistrazione, servizi per l'impiego) e di relazionarsi corretta- mente con i diversi interlocutori. Nel confronto tra pari, riconosce e applica un sistema di regole fondato sul riconosci- mento dei diritti umani fondamentali, con particolare riferi- mento al rispetto delle condizioni di minoranza e di disa- gio. Riconosce con una certa difficoltà il ruolo e le funzioni dei principali servizi. Non è in grado di utilizzare tali servizi in modo autonomo. Riconosce ed applica con difficoltà e incer- tezza le regole. Evidenzia difficoltà di comprensione e con- divisione del rispetto dei diritti e dei doveri reciproci. Riconosce il ruolo e le funzioni dei princi- pali servizi. È in grado di utilizzarli in autonomia solo per la gestione e l'assol- vimento di attività semplici e di routine (prendere appunta- menti, richiedere copia di documenti anagrafici e perso- nali…). Comprende ed appli- ca concretamente le regole più elementari su cui si fonda il rico- noscimento dei diritti umani fondamentali. Evidenzia una suffi- ciente consapevolez- za del significato attribuito al rispetto dei diritti e dei doveri reciproci. Riconosce il ruolo e le funzioni dei princi- pali servizi. Sa utiliz- zare correttamente tali servizi per la gestione e l'assolvi- mento di diverse atti- vità, non necessaria- mente di routine. Comprende ed appli- ca concretamente le regole principali su cui si fonda il ricono- scimento dei diritti umani fondamentali. Evidenzia una buona consapevolezza del significato attribuito al rispetto dei diritti e dei doveri reciproci. È in grado di individuare in modo autonomo i servizi a cui rivolgersi per soddisfa- re un determinato biso- gno. Sa utilizzare corretta- mente tali servizi per la gestione e l'assolvimento di molteplici attività anche complesse, relazionandosi senza difficoltà con tutti gli interlocutori. Comprende ed applica concretamente tutte le regole su cui si fonda il riconoscimento dei diritti umani fondamentali. Evidenzia una piena con- sapevolezza del significa- to attribuito al rispetto dei diritti e dei doveri reci- proci. Conclusioni Michele Pellerey Università Pontificia Salesiana A conclusione dei lavori esprimo alcune considerazioni/sottolineature. Le famiglie Nel corso del seminario si è parlato poco del collegamento tra il territorio e il siste- ma delle famiglie, definite un tempo il tessuto fondamentale della comunità. La scel- ta da parte di molti ragazzi della formazione professionale è dovuta spesso alla fidu- cia delle famiglie e, quindi, il primo rapporto forte con il territorio consiste proprio nella fiducia che hanno le famiglie nell'affidare alla FP l'educazione dei propri figli. Disse un noto sindacalista della CGIL, Inghilesi, a Bologna, sul problema della for- mazione professionale grafica: «La valutazione vera e propria attivata in Emilia Romagna deve partire dal grado di fiducia e di soddisfazione della famiglia nel processo educativo e formativo dei propri figli». Le reti tra istituzioni È un collegamento che pone delle grosse difficoltà quello delle reti con le altre isti- tuzioni. In molti casi un lavoro di rete è favorito nella stessa istituzione per la pre- senza di più livelli, come ad esempio in molti dei centri di formazione professio- nale o istituti salesiani, del nord in particolare, che hanno l'istituto tecnico insie- me ai corsi di formazione professionale. È chiaro che da un certo punto di vista sono favoriti e poi molte volte questi hanno un forte collegamento con grandi aziende. L'Istituto San Zeno di Verona è un esempio classico, però il collegamen- to con il territorio risulta un po' “perturbato”, perché il 60% di quelli che fre- quentano la formazione professionale va a finire nell'istituto tecnico. Viene a man- care quindi la formazione per le figure intermedie; cosa che capita anche nell'Istituto Agrario San Michele all'Adige, dove sia l'istruzione professionale che l'istruzione tecnica si riversa nella scuola, mentre la domanda fortissima del terri- torio è di figure intermedie, tipo i cantinieri, che non hanno una formazione ade- guata. 2 1 9 CONCLUSIONI La prospettiva di filiera a lungo termine È necessario che la formazione professionale superiore non sia un privilegio della for- mazione professionale, dati i numeri e date le situazioni, anche in provincia di Trento, dove per legge è stata istituita la formazione professionale superiore. Deve essere aper- ta, evidentemente, a quelli che vengono dagli istituti tecnici e professionali, adesso, poi si vedrà nel futuro. Questo provocherà, però, dei problemi di squilibrio. Come pensare, allora, l'impianto della formazione professionale superiore tenen- do conto di una molteplicità di provenienze, anche dal mondo del lavoro? Perché in Europa la formazione professionale superiore favorisce la possibilità di reinse- rimento nella formazione superiore delle persone che sono attive nel lavoro, e quindi emergono problemi di formazione serale, di formazione a distanza,… Si intende così favorire una modalità di formazione continua che possa portare a qualcosa che l'istruzione attuale, l'IFTS, non dà: diplomi, titoli, non quelle forme mitiche di certificazione delle competenze, che non si comprende come vengano valorizzate dalle aziende. I contratti di lavoro si basano sulle competenze e non sui titoli e questo ancora non è in atto in Italia. Il collegamento con il mondo dei politici ai vari livelli: locali, provin- ciali, regionali, nazionali, europei È chiaro che questo è un problema complicato e non può trattarsi solo di un col- legamento informale, bisogna avere la possibilità di un dialogo, per raggiungere un minimo di pari dignità, trovare delle mediazioni. I politici dovrebbero prende- re consapevolezza che il bene comune, come ha illustrato molto bene qui la rap- presentante della CISL Sardegna, Oriana Putzolu, è molto consistente, e il disagio giovanile richiede interventi in questa direzione. Quindi l'altro sistema che va costruito è con il mondo dei politici. È stato molto citato il mondo delle imprese. È chiaro che il mondo delle imprese è fondamentale perché è il collegamento principale, da un certo punto di vista, di riferimento. Però esiste il pericolo di dissociazione, tra politici e imprese, ma anche tra centri di formazione professionale e mondo delle imprese e del loro sviluppo, ma qualche volta è anche sbagliato essere prigionieri delle condizioni del sistema delle imprese. Allora il rapporto anche sistematico con il mondo del lavoro, il mondo delle impre- se, deve alimentare forme di sinergia per prospettive di sviluppo del territorio. In caso contrario c'è il pericolo di delocalizzazione, perché alcune forme di delocaliz- zazione sono date dal costo del lavoro, ma anche dalla carenza di lavoratori ade- guati. Perché la Lufthansa ha il suo sistema di prenotazione degli aerei in India? ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 2 2 0 Perché in India c'è un'altissima qualità dal punto di vista informatico, tecnologi- co, a costi contenuti. I servizi per l'impiego È stato fatto un grande lavoro per l'istituzione provinciale di servizi che hanno competenze, quindi dovrebbe esserci una sinergia molto forte tra scuola, forma- zione professionale, servizi per l'impiego e aziende, ma non è così. Molte volte emergono difficoltà di supplenza a una carenza di sistema, come giustamente è stato detto nel corso del seminario. Di un sistema che coordini in modo appro- priato le varie componenti di una comunità, regionale, provinciale, locale, euro- pea. Ed è il centro di formazione professionale che si trova a dover fare opera di supplenza, perché viene a mancare il supporto dei servizi dell'impiego, di politi- che adeguate, molte volte manca anche la possibilità di interagire in maniera isti- tuzionalmente ben organizzata con le aziende, perché ogni centro deve avere la rete di amici, costruirsi tutto un sistema di rapporti perché istituzionalmente è molto difficile trovare stabilità. La riflessione di questo seminario europa ha contributo ad acquisire la consape- volezza della complessità e delle difficoltà, ma ha ribadito che la formazione pro- fessionale può dare un apporto anche ad una concezione un po' più sistematica di come può essere gestito un territorio, una comunità, e di quanto la formazione professionale sia essenziale dentro il sistema. È stato questo il compito del seminario di quest'anno, che si tenterà di riportare come follow-up dello stesso. Il fatto che il seminario sia itinerante, di regione in regione, ha l'obiettivo di far prendere in consapevolezza al sistema dei vari territori. 2 2 1 CONCLUSIONI 8. - BIBLIOGRAFIA/SITOGRAFIA 2 2 5 BIBLIOGRAFIA/SITOGRAFIA RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Giuditta Alessandrini • ALESSANDRINI G., Manuale per l'esperto dei processi formativi, Carocci, Roma, 2005. • ALESSANDRINI G. (a cura di), Formazione e sviluppo organizzativo, Carocci, Roma, 2005. Michele Colasanto • BARNETT R., The Limits of Competence, Open University Press, 1994. • OCSE, Extending opportunities. How active local policies can benefit us all, Parigi, 2005. • RULLANI E., L'economia della conoscenza. Creatività e valore nel capitalismo delle reti, Carocci Editore, Roma, 2004. • SENNETT R., Rispetto. La dignità umana in un mondo di diseguali, Il Mulino, 2004. Dario Nicoli • AA.VV., Il capitale sociale. 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SITOGRAFIA Di seguito alcuni riferimenti sitografici sul tema del territorio in rapporto al siste- ma di istruzione e Formazione Professionale, in cui l'argomento è trattato con rife- rimenti documentali e contributi chiari ed esaustivi. Regione Sardegna Il sito offre una panoramica completa sul tema della formazione professionale nel territorio sardo. La sezione dedicata alle attività dell'Assessorato al Lavoro, Formazione Professionale, Cooperazione e Sicurezza sociale presenta le normative (regionali, nazionali ed europee), le iniziative per favorire l'occupazione e la for- mazione professionale, le attività centrate sui problemi dello sviluppo locale e le opportunità di finanziamento a sostegno. www.regione.sardegna.it Europa.it Portale dell'Unione Europea che offre una panoramica completa dell'attività dell'UE nei diversi settori (economia, ambiente, occupazione, politica sociale...). All'indirizzo sotto indicato è possibile consultare i documenti relativi alle politiche europee dell'occupazione, in particolare alla strategia di Lisbona (Consiglio euro- peo straordinario di Lisbona del 2000 e Consiglio europeo di primavera del 2005). www.europa.eu.int Polaris Sito delle Camere di Commercio per l'orientamento, i tirocini e l'alternanza scuo- la-lavoro. P.O.L.A.R.I.S. è un progetto delle Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura che mira a favorire il collegamento tra i sistemi formativi e mondo del lavoro. Si tratta di un'iniziativa con cui il sistema camerale, grazie alla sua carat- teristica peculiare di vicinanza al territorio, mira a creare una rete di sportelli destinati ad offrire servizi per l'orientamento, i tirocini formativi, la promozione dell'alternanza tra scuola e lavoro ed altre iniziative volte a facilitare la transizio- ne dei giovani dalla scuola al lavoro. www.polaris.unioncamere.it/new/alternanza/ ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2005 2 3 0 Indire Istituto nazionale di documentazione per l'innovazione e la ricerca educativa. Il sito presenta una documentazione piuttosto ricca sui temi della formazione (alternanza scuola-lavoro, e-learning, educazione degli adulti, IFTS) e della didat- tica. Offre inoltre, un'area dedicata ai sistemi educativi europei, che contiene rife- rimenti alla certificazione delle competenze in Europa, alla mobilità e alla traspa- renza delle competenze acquisite. www.indire.it Unioncamere Il sito delle Camere di Commercio propone diversi spunti su formazione, mondo del lavoro, orientamento. In un’area dedicata viene messo in evidenza l'impegno delle camere nel campo dell'orientamento, della formazione professionale, mana- geriale e imprenditoriale e per il raccordo tra sistema imprese-scuola-università. Inoltre, al fine di collegare formazione e occupazione, si propone una risposta ai quei settori produttivi che maggiormente favoriscono lo sviluppo socio-economico e occupazionale. www.unioncamere.it Europass Il sito è stato strutturato in modo da facilitare la mobilità professionale dei citta- dini europei attraverso la valorizzazione delle conoscenze teoriche e pratiche acquisite nel tempo. L'obiettivo è quello di far conoscere l'organizzazione e l'atte- stazione dell'iter di formazione professionale in linea con le modalità, gli obiettivi e i contenuti del percorso europeo. www.europass-italia.it Trainingvillage Training village è il sito del villaggio di addestramento professionale che offre spunti, materiali, informazioni sul tema della formazione professionale a livello europeo: documenti legislativi, inviti alla presentazione di proposte, programmi conformi alle linee proposte dalla comunità europea, pubblicazioni del Cedefop (Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale). Il sito offre soprattutto, la possibilità di usufruire di una piattaforma su cui trovare diversi livelli di informazioni, pareri, suggerimenti. www.trainingvillage.gr 2 3 1 BIBLIOGRAFIA/SITOGRAFIA

Etica della persona e del lavoro

Autore: 
Giuseppe Ruta
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2007
Numero pagine: 
438

Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare senso e prospettiva al proprio impegno nell'apprendere lungo tutto l'arco della vita

Autore: 
Michele Pellerey
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2007
Numero pagine: 
201
Michele PELLEREY Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona Dare senso e prospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita 3 PRESENTAZIONE La legge 53/2003 all’art. 2 afferma: “a) è promosso l’apprendimento in tutto l’arco della vita e sono assicurate a tutti pari opportunità di raggiungere elevati li- velli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze, attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte personali, ade- guate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, anche con riguardo alle dimensioni locali, nazionale ed europea; b) sono promossi il conseguimento di una formazione spirituale e morale, anche ispirata ai principi della Costituzione, e lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla co- munità nazionale ed alla civiltà europea”. Finalità analoghe sono presenti nella Legge inglese del 1988. Essa infatti richiede che il curricolo scolastico “promuova lo sviluppo spirituale, morale, culturale, mentale e fisico degli alunni frequentanti la scuola e la società; e prepari questi alunni per le opportunità, le responsabilità e le esperienze della vita adulta”. L’espressione “sviluppo spirituale” era già com- parsa nell’Educational Act inglese del 1944. Essa venne ripresa nelle sessioni pre- paratorie alla redazione dell’articolo 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Il gruppo di lavoro, infatti, aveva approvato in una delle sessioni la se- guente formulazione, poi emendata: “L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo fisico, spirituale e morale della personalità umana” (Cfr. UNESCO, Rap- porto mondiale sull’educazione 2000, Roma, Armando, 2000, 106). Lo stesso H. Gardner, nell’esaminare le varie forme di intelligenza, rileva l’importanza nel suo quadro delle intelligenze multiple di un aspetto della spiritua- lità: il pensiero esistenziale. «L’intelligenza esistenziale implica nell’uomo la capa- cità di rivolgere e ponderare grandi interrogativi: “Chi siamo? Perché esistiamo? A che cosa siamo destinati? Perché moriamo? Qual è, infine, la ragione di tutto?”. In ogni parte del mondo, bambini e adulti si pongono queste domande, e molti “si- stemi di simboli” – religiosi, artistici, mitologici e filosofici – sono nati nel tenta- tivo di rispondervi (o perlomeno di formularle) nel modo più convincente. Questa intelligenza è conforme ai criteri psicologici e biologici che possono identificarla come tale. Per esempio, l’intelligenza esistenziale si è evoluta in modo caratteri- stico su tutto il pianeta: ovunque si sono sviluppati diversi sistemi di simboli ca- paci di cogliere le ansie e gli interrogativi salienti dell’esistenza» (GARDNER H., Changing Minds, Harvard, Harvard University Press, 2004). La questione che si pone nella scuola e nella formazione professionale sia ini- ziale, sia continua, è: quale ruolo può avere il tener conto in maniera esplicita e si- stematica delle dimensioni spirituali e morali della crescita personale, sociale, cul- turale e professionale dei vari soggetti. In particolare, nella sempre più complessa 4 realtà culturale e religiosa di coloro che frequentano le istituzioni formative, come è possibile prendere in considerazione in maniera sistematica, ma rispettosa dell’i- dentità di ciascuno, delle implicazioni di una educazione che tenga conto dello svi- luppo della capacità di attribuire senso e prospettiva esistenziale al proprio ap- prendimento e alla propria attività lavorativa? In altre parole, il contesto sociale, culturale e materiale attuale spinge a un ri- pensamento profondo del rapporto tra spiritualità, morale ed educazione. La pre- senza sempre più diffusa di giovani e adulti che hanno riferimenti culturali e reli- giosi molteplici sollecita una riflessione attenta sulle finalità e modalità d’azione formativa che ne derivano. D’altra parte, emergono in campo internazionale e na- zionale segnali di interesse per una rilettura in profondità della dimensione morale e spirituale dell’educazione che, pur non essendo esplicitamente religiosa, tuttavia rimane aperta a un suo approfondimento in tale direzione. Occorre probabilmente prefigurare forme di tirocinio che avviino, anche in campo culturale e professio- nale, la ricerca di una visione più incisiva sulla realtà umana, personale e sociale, e sulla realtà dell’universo che ci circonda. Occorre che i percorsi formativi siano luogo e tempo d’esperienze etiche, estetiche e veritative autentiche, d’esperienze esistenziali che sollecitano un risveglio dell’interiorità, d’accompagnamento per le vie di un viaggio, di un’avventura spirituale verso il senso ultimo della vita, verso le finalità fondamentali dell’esistenza. L’attuale indagine tende a esplorare in profondità gli apporti che la ricerca degli ultimi anni ha fornito a questo proposito, soprattutto da due punti di vista: quello teorico-filosofico e quello psicologico-educativo. E tutto ciò in una prospet- tiva multi-culturale e multi-religiosa. Dal punto di vista della dimensione spirituale apporti significativi sono venuti in particolare dalla ricerca psicologica e dal mo- vimento che prende la denominazione di psicologia positiva. Tuttavia sono ormai numerose le proposte e le sperimentazioni sia in ambito di prima formazione pro- fessionale, sia di formazione professionale continua di sollecitazione della capa- cità di dare senso e prospettiva esistenziale alla propria vicenda personale e comu- nitaria. In maniera analoga la questione dell’educazione morale è stata riletta in contesti pluriculturali e multireligiosi come educazione del carattere, ciò soprat- tutto in contesti anglofoni. In genere ci si rifà al modello proposto da Aristotele e ripreso da A. MacIntyre. Recenti contributi dell’American Psychological Associa- tion ne indicano la fruibilità a vari livelli di formazione professionale. Su questa base è stato redatto il rapporto che è articolato secondo il seguente sommario. Prima parte. Inquadramento della problematica Seconda parte. La dimensione spirituale Terza parte. La dimensione morale Quarta parte. Primi orientamenti operativi e alcune indicazioni per una spe- rimentazione Allegati Bibliografia 5 Prima parte Inquadramento della problematica In questa prima parte vengono presentati e commentati alcuni documenti, con- tributi e sono avanzate alcune riflessioni originali circa la rilevanza soprattutto oggi di prendere in seria considerazione l’impegno educativo delle istituzioni for- mative nel campo dell’educazione spirituale e morale dei giovani. Questa impresa si presenta particolarmente urgente e complessa proprio per i profondi cambia- menti di natura sociale e culturale in atto nella nostra società, ma anche per la presenza sempre più consistente e determinante di giovani allievi provenienti da contesti geografici, culturali, linguistici e religiosi assai diversi da quelli tradizio- nalmente presenti. In particolare si nota spesso una apertura e sensibilità verso la dimensione spirituale dell’esistenza assai più acuta e diffusa presso giovani prove- nienti da Paesi africani e asiatici di quella che emerge in quelli italiani e in gene- rale europei. Dal punto di vista morale, tuttavia, si nota uno sviluppo di sensibilità verso i valori propri di una convivenza pacifica e democratica, quali sono solleci- tati dalla nostra Costituzione, soprattutto nella sua prima parte. Inoltre è sempre più evidente l’esigenza di una più profonda comprensione e accettazione dei valori legati alla dignità della persona, quali derivano dalle dichiarazioni universali sui diritti umani e dalle tradizioni proprie delle forme di convivenza civile e sociale delle nostre terre. 1. Constatazioni di natura istituzionale La Legge 28 marzo 2003 n. 53 all’art. 2 afferma: “a) è promosso l’apprendi- mento in tutto l’arco della vita e sono assicurate a tutti pari opportunità di raggiun- gere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze, attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte per- sonali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, anche con riguardo alle dimensioni locali, nazionale ed europea; b) sono promossi il con- seguimento di una formazione spirituale e morale, anche ispirata ai principi della Costituzione, e lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale ed alla civiltà europea”. Finalità analoghe sono presenti nella Legge inglese del 1988. Essa infatti richie- de che il curricolo scolastico “promuova lo sviluppo spirituale, morale, culturale, 6 mentale e fisico degli alunni frequentanti la scuola e la società; e prepari questi alun- ni per le opportunità, le responsabilità e le esperienze della vita adulta”. L’espressio- ne “sviluppo spirituale” era già comparsa nell’Educational Act inglese del 1944. La dizione della legge inglese del 1944 venne ripresa nelle sessioni prepara- torie alla redazione dell’articolo 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti del- l’Uomo. Il gruppo di lavoro, infatti, aveva approvato in una delle sessioni la se- guente formulazione, poi emendata: “L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo fisico, spirituale e morale della personalità umana” (Cfr. UNESCO, Rap- porto mondiale sull’educazione 2000, Roma, Armando, 2000, 106). Un riferimento fondamentale per chi si occupa di processi formativi è costi- tuito dal Rapporto dell’UNESCO redatto dalla Commissione presieduta da J. De- lors1. Nell’indicare i quattro pilastri dell’educazione, il rapporto si sofferma in par- ticolare sull’imparare a essere nei termini seguenti. “Imparare ad essere” Fin dalla sua prima riunione, la Commissione ha riaffermato con forza il principio fondamentale che l’educazione deve contribuire allo sviluppo totale di ciascun indi- viduo: spirito e corpo, intelligenza, sensibilità, senso estetico, responsabilità personale e valori spirituali. Tutti gli esseri umani debbono essere messi in grado di sviluppare un pensiero autonomo e critico e di formarsi un proprio giudizio, per poter decidere da soli ciò che, a loro parere, debbono fare nelle diverse circostanze della vita. Il preambolo del rapporto «Imparare ad essere» esprimeva il timore di una disuma- nizzazione del mondo dovuta all’evoluzione tecnica, e uno dei suoi messaggi fondamen- tali è che l’educazione deve consentire ad ogni individuo «di risolvere i suoi problemi, di prendere le sue decisioni e di assumersi le sue responsabilità». Tutti i cambiamenti veri- ficatisi da allora nella società, e particolarmente lo straordinario sviluppo del potere dei media, hanno accentuato questo timore e reso anche più legittimo l’imperativo che ne deriva. Nel ventunesimo secolo questi fenomeni potrebbero apparire anche ampliati. Il problema, allora, non sarà più tanto il preparare i bambini per una determinata società, quanto il fornire continuamente a tutti gli individui le forze e i punti intellettuali di riferi- mento di cui essi hanno bisogno per capire il mondo che li circonda e per comportarsi in maniera responsabile e giusta. Più che mai, il ruolo fondamentale dell’educazione sembra essere quello di dare agli individui la libertà di pensiero, di giudizio, di senti- mento e d’immaginazione di cui essi hanno bisogno per poter sviluppare i propri talenti e per avere per quanto è possibile il controllo della propria vita. Questo imperativo non è di natura semplicemente individualistica: a quanto insegna la recente esperienza, ciò che potrebbe apparire soltanto come un mezzo dell’individuo per difendersi contro un sistema alienante o percepito come ostile, offre talvolta alle so- cietà anche le migliori possibilità di progresso. La diversità delle personalità individuali, il loro spirito di autonomia e d’iniziativa, e persino il piacere della provocazione, sono altrettante garanzie della creatività e dell’innovazione. Per ridurre la violenza e per combattere le malattie che affliggono la società, si sono dimostrati efficaci alcuni nuovi metodi nati dall’esperienza. 1 DELORS J. (a cura di), Nell’educazione un tesoro, Roma, Armando, 1996. Nel rapporto si indi- cano quelli che sono stati definiti i quattro pilastri dell’educazione: imparare a conoscere, imparare a fare, imparare a vivere insieme, imparare a essere. 7 In un mondo in continua trasformazione, in cui l’innovazione sociale ed economica sembra essere una delle principali forze motrici, si deve dare senza dubbio un posto spe- ciale alle doti dell’immaginazione e della creatività, le manifestazioni più chiare della li- bertà umana, che possono subire il rischio di una certa standardizzazione del comporta- mento individuale. Il ventunesimo secolo ha bisogno di questa varietà di talenti e di per- sonalità; esso ha bisogno anche di individui eccezionali, egualmente fondamentali in ogni civiltà. È quindi importante fornire ai bambini e ai giovani ogni possibile opportu- nità di scoperta e di esperienza (di natura estetica, artistica, sportiva, scientifica, cultu- rale e sociale), come anche presentazioni attraenti di ciò che hanno saputo creare le ge- nerazioni contemporanee e del passato. All’arte e alla poesia, troppo spesso insegnate in prospettive divenute più utilitaristiche che culturali, si dovrebbe restituire nelle scuole più importanza di quanta comunemente viene data loro in molti Paesi. La preoccupa- zione di sviluppare l’immaginazione e la creatività dovrebbe esprimersi anche con una maggiore attenzione rivolta alla cultura orale e alle conoscenze che il bambino o l’a- dulto ricavano dalla propria esperienza. La Commissione aderisce in pieno al principio esposto nel rapporto «Imparare ad essere»: «il fine dello sviluppo è la completa realizzazione dell’uomo, in tutta la ric- chezza della sua personalità, nella complessità delle sue forme d’espressione e nei suoi vari impegni: come individuo, membro di una famiglia e di una comunità, cittadino e produttore, inventore di tecniche e sognatore creativo». Lo sviluppo dell’individuo, che ha inizio dalla nascita e continua per tutta la vita, è un processo dialettico che comincia con il conoscere se stessi e si apre poi ai rapporti con gli altri. In tal senso, l’educazione è soprattutto un viaggio interiore, le cui tappe corrispondono a quelle della continua maturazione della personalità. L’educazione, come mezzo per conseguire il fine di una vita professionale condotta con successo, è quindi un processo molto individualizzato e nello stesso tempo un processo che porta alla costruzione dell’interazione sociale. È superfluo dire che i quattro pilastri dell’educazione descritti in questo capitolo non possono riferirsi esclusivamente a una fase della vita o ad un unico luogo. Come si vedrà nel prossimo capitolo, le fasi e le aree dell’educazione debbono essere ripensate, completate ed integrate le une con le altre, in modo tale che tutti possano trarre il mas- simo beneficio, per tutto il corso della propria vita, da un ambiente educativo sempre più allargato. Su questa base vengono poi prospettati alcuni suggerimenti e raccomandazioni. Per quanto concerne il quarto pilastro si afferma: “Imparare ad essere, in modo tale da svi- luppare meglio la propria personalità e da essere in grado di agire con una crescente ca- pacità di autonomia, di giudizio e di responsabilità personale. A tale riguardo, l’educa- zione non deve trascurare alcun aspetto del potenziale di una persona: memoria, ragio- namento, senso estetico, capacità fisiche e abilità di comunicazione”. I sistemi educativi formali tendono a sottolineare l’acquisizione delle conoscenze a detrimento di altri tipi d’apprendimento; ma ora è di fondamentale importanza conce- pire l’educazione in una maniera più globale. Una tale visione deve informare e guidare le future riforme e politiche scolastiche, in rapporto sia ai contenuti che ai metodi. Il rapporto, che prende il nome dal presidente della Commissione dell’U- NESCO J. Delors, giunge alle sue conclusioni evidenziando alcune tensioni che ca- ratterizzano il nostro tempo e che hanno una forte influenza sull’impostazione dei processi formativi. Si tratta di vere e proprie antinomie con cui i progetti educativi e l’azione formativa devono quotidianamente confrontarsi: la tensione tra globale e locale; la tensione tra universale e individuale; la tensione tra tradizione e moder- 8 nità; la tensione tra considerazioni a lungo termine e a breve termine; la tensione tra il bisogno di competizione, da una parte, e la preoccupazione dell’uguaglianza e dell’opportunità dall’altra; la tensione tra espansione straordinaria della conoscenze e la capacità degli esseri umani di assimilarle; la tensione tra spirituale e materiale. A quest’ultimo proposito la Xodo2 afferma che tale tensione: “Concerne l’a- spetto più preoccupante del nostro modello di sviluppo, basato sulla crescita mate- riale. La proiezione consumistica verso i beni materiali, naturaliter destinati a bru- ciare in tempi brevi, crea aspettative crescenti, produce insoddisfazione, fomenta incessanti desideri e provoca inesistenti bisogni. II calcolo economico che sottende tale scelta va esplicitato al fine di aprire varchi verso altri spazi destinati, viceversa, a sicuro oblio o usurpazione ingiusta. Si tratta in particolare, per l’educazione, di reintrodurre nella vita umana componenti etico-morali capaci di guidare i soggetti verso forme di realizzazione culturali e spirituali”. 2. Il profilo educativo, culturale e professionale del secondo ciclo Il testo del Profilo educativo, culturale e professionale per il primo e quello per il secondo ciclo scolastico, allegato agli Schemi dei rispettivi Decreti Legisla- tivi approvati nel corso della legislatura 2001-2006 sono da questo punto di vista assai significativi. Conviene rileggere nel Profilo relativo al secondo ciclo almeno le parti più significative dal nostro punto di vista. FINALITÀ DEL SECONDO CICLO a) Crescita educativa, culturale e professionale dei giovani. Questa finalità implica la scoperta del nesso tra i saperi e il sapere e il passaggio dalle prestazioni (o mansioni) alle competenze. Compito specifico del secondo ciclo, in questo senso, è trasformare la molteplicità dei saperi in un sapere unitario, dotato di senso, ricco di motivazioni e di fini; allo stesso modo, trasformare le prestazioni professionali in competenze, ter- mine con il quale si indica l’impiego consapevole e creativo – nel più ampio contesto del lavoro e della vita individuale e sociale – di conoscenze organicamente strutturate e di abilità riferibili a uno specifico campo professionale. L’educazione, anche nelle sue manifestazioni di istruzione scolastica e di istruzione e formazione professionale, si configura, quindi, come l’incontro fra un patrimonio di conoscenze e di abilità e l’autonoma elaborazione che ogni giovane è chiamato a dare per la propria realizza- zione e per il progresso materiale e spirituale della società. b) Sviluppo dell’autonoma capacità di giudizio. Questa finalità si concretizza in metodo di studio, spirito di esplorazione e di indagine, capacità intuitiva, percezione estetica, memoria, procedimenti argomentativi e dimostrativi, consapevolezza e responsabilità morale, elaborazione di progetti e risoluzione di problemi, che, nella loro comples- sità, rifuggono da riduzionismi. 2 XODO CEGOLON C., Capitani di se stessi. L’educazione come costruzione di un’identità perso- nale, Brescia, la Scuola, 2003, 79. Si veda anche: XODO CEGOLON C., L’occhio del cuore. Pedagogia della competenza etica, Brescia, La Scuola, 2001. 9 c) Esercizio della responsabilità personale e sociale. Questa finalità pone lo studente nella condizione di decidere consapevolmente le proprie azioni in rapporto a sé e al mondo civile, sociale, economico, religioso di cui fa parte e all’interno del quale vive; di gestirsi in autonomia; di “prendere posizione” e di “farsi carico” delle conse- guenze delle proprie scelte. In questo senso, tale finalità è anche impegno nel rispetto e nella crescita delle istituzioni (la famiglia, le imprese, gli enti territoriali, i servizi pubblici, le iniziative di volontariato, cooperazione e sindacato, le strutture della par- tecipazione democratica, gli stati nazionali, gli organismi sovranazionali) che posso- no aiutarlo ad ottimizzare le scelte personali in funzione del bene comune. Secondo ciclo ed educazione permanente L’istruzione e la formazione garantite al giovane nel secondo ciclo degli studi, quindi, indipendentemente dalla sua scelta fra l’inserimento immediato nelle attività pro- fessionali e il proseguimento degli studi nell’università, nella formazione professionale superiore e nell’alta formazione, sono la condizione per la sua educazione permanente e gli assicurano gli strumenti intellettuali, morali, estetico-espressivi, relazionali, affettivi, operativi indispensabili per l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. Allo stesso tempo, le istituzioni scolastiche e formative del secondo ciclo degli studi, sia per la loro flessibilità istituzionale, organizzativa e metodologica, sia per i rapporti che intrattengono con il mondo del lavoro e con l’università, la formazione professionale supe- riore e l’alta formazione, sono anche una risorsa per lo sviluppo integrato dei servizi territo- riali finalizzato all’educazione permanente e alla riconversione professionale degli adulti. Le articolazioni del Profilo Il Profilo mette in luce come, indipendentemente dai percorsi di istruzione e di for- mazione frequentati, le conoscenze disciplinari e interdisciplinari (il sapere) e le abilità operative apprese (il fare consapevole), nonché l’insieme delle azioni e delle relazioni in- terpersonali intessute (l’agire), siano la condizione per maturare le competenze che arric- chiscono la personalità dello studente e lo rendono autonomo costruttore di se stesso in tutti i campi della esperienza umana, sociale e professionale. 1. Identità a) Conoscenza di sé – Prendere coscienza delle dinamiche che portano all’affermazione della propria iden- tità attraverso rapporti costruttivi con adulti e coetanei. – Riflettere sui contenuti appresi e sugli insegnamenti delle principali figure della cul- tura e della storia. – Essere consapevoli delle proprie capacità, attitudini e aspirazioni e delle condizioni di realtà che le possono valorizzare e realizzare. – Imparare a riconoscere e a superare gli errori e gli insuccessi, avvalendosi anche delle opportunità offerte dalla famiglia e dall’ambiente scolastico e sociale. – Orientarsi consapevolmente nelle scelte di vita e nei comportamenti sociali e civili. – Cogliere la dimensione morale di ogni scelta e interrogarsi sulle conseguenze delle proprie azioni. – Avere coscienza che è proprio dell’uomo ricercare un significato alla propria vita e costruire una visione integrata dei problemi di cui è protagonista. b) Relazione con gli altri – Sviluppare la capacità di ascolto, di dialogo e di confronto. – Elaborare, esprimere e argomentare le proprie opinioni, idee e valutazioni e posse- dere i linguaggi necessari per l’interlocuzione culturale con gli altri. 10 – Porsi in modo attivo e critico di fronte alla crescente quantità di informazioni e di sollecitazioni esterne. – Collaborare, cooperare con gli altri e contribuire al buon andamento della vita fami- liare e scolastica. – Rispettare le funzioni e le regole della vita sociale e istituzionale. – Giungere al pieno esercizio dei diritti politici in maniera consapevole attraverso un dialogo critico, diretto e costante con gli adulti e con le istituzioni. c) Orientamento – Conoscere i punti di forza e le debolezze della propria preparazione; verificare co- stantemente l’adeguatezza delle proprie decisioni circa il futuro scolastico e profes- sionale; operare flessibilmente gli opportuni cambiamenti o integrazioni di percorso nella consapevolezza dell’importanza dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. – Elaborare un’ipotesi per la prosecuzione degli studi, la ricerca del lavoro, la riconver- sione professionale e la formazione continua anche attraverso la valorizzazione del Portfolio delle competenze personali. – Elaborare, esprimere e sostenere un progetto di vita, proiettato nel mondo del lavoro o dell’istruzione e della formazione superiori, che tenga conto, realisticamente, del percorso umano e scolastico intervenuto. – Vivere il cambiamento e le sue forme come un’opportunità di realizzazione personale e sociale e come stimolo al miglioramento individuale e collettivo. […] Una sintesi Dopo aver frequentato il secondo ciclo, grazie anche alle specifiche sollecitazioni educa- tive recepite lungo tutto il percorso di istruzione e formazione professionale, gli studenti sono posti nella condizione di: – conoscere se stessi, le proprie possibilità e i propri limiti, le proprie inclinazioni, atti- tudini, capacità; – risolvere con responsabilità, indipendenza e costruttività i normali problemi della vita quotidiana personale; – possedere un sistema di valori, coerenti con i principi e le regole della Convivenza ci- vile, in base ai quali valutare i fatti ed ispirare i comportamenti individuali e sociali; – concepire progetti di vario ordine, dall’esistenziale al pratico; – decidere in maniera razionale tra progetti alternativi e attuarli al meglio, coscienti dello scarto possibile tra intenti e risultati e della responsabilità che comporta ogni azione o scelta individuale; – utilizzare tutti gli aspetti positivi che vengono da un corretto lavoro di gruppo; – partecipare attivamente alla vita sociale e culturale, a livello locale, nazionale, comu- nitario e internazionale; – esprimersi in italiano, oralmente e per iscritto, con proprietà e attraverso schemi sin- tattici argomentativi, logici, espressivi; – leggere e individuare nei testi i dati principali e le argomentazioni addotte; – coltivare sensibilità estetiche ed espressive di tipo artistico, musicale, letterario; – possedere un adeguato numero di strumenti formali, matematici o comunque logici, e saperli applicare a diversi ambiti di problemi generali e specifici; – individuare nei problemi la natura, gli aspetti fondamentali e gli ambiti; – riflettere sulla natura e sulla portata di affermazioni, giudizi, opinioni; – avere memoria del passato e riconoscerne nel presente gli elementi di continuità e discontinuità nella soluzione di problemi attuali e per la progettazione del futuro. 11 3. Una prospettiva sociologica di analisi della domanda educativa dei giovani3 3.1. Modelli interpretativi Con la fine del secolo scorso e con gli inizi del nuovo sembra diminuita l’enfa- si degli studi sociologici empirici sui vari aspetti della condizione giovanile; infatti, pur mantenendo una propria stimolante vivacità, tali studi si sono costantemente concentrati più che sull’esame dei dati, sull’approfondimento scientifico dei risulta- ti empirici per lo sviluppo di modelli interpretativi, assai più interessanti e fecondi a livello teorico e pedagogico. Questi modelli interpretativi infatti hanno come scopo principale quello di leggere la condizione giovanile e la sua domanda di educazione sullo sfondo del sistema sociale di contesto, che aiuta a capire e a spiegare maggior- mente e con maggior legittimità certi nessi causali, certi stili di vita, certi effetti e certe richieste emergenti, forse difficilmente spiegabili in altri scenari. Per cui, se essi risentono dello spirito del tempo (Zeitgeist) così da essere talora superati da al- tri più pertinenti e fecondi di riflessioni, tuttavia aiutano a meglio comprendere, spiegare e interpretare il rapporto giovani-società ed in particolare la loro domanda di educazione. Hanno infatti il vantaggio di essere identitari di un certo periodo e di una certa dimensione sociale, che correlata con altri elementi, permette in modo complementare di dare una visione meno superficiale dei giovani, ma più incastona- ta in un orizzonte unitario, come tessere preziose e differenziate di un mosaico, ove ciascuna svolge la sua parte all’estetica dell’occhio che lo contempla. Dopo l’emergenza dei movimenti collettivi si fa strada l’ipotesi di una fine della “condizione giovanile”, sia per per effetto del riflusso nel privato, sia per pro- gressiva perdita di rilevanza dei giovani nelle società occidentali a causa del loro sempre minore peso demografico e del dissolversi delle loro specifiche problema- tiche in quelle dell’intera società (Nicoli D., Giovani in dissolvenza), sia per il frammentarsi della condizione giovanile non solo per effetto della differenziazione sociale, ma anche per la constatazione, ormai non isolata, di un crescente indivi- dualismo oltre che di uno stacco dal passato e dal futuro, quasi una perdita di me- moria e una paura di progettualità. Su queste premesse si instaura quindi il modello interpretativo della “frammentazione sociale”: letto sulla base della complessità so- ciale e dello sviluppo del pluralismo socio culturale avviatosi con la post-moder- nità. Ci si riferisce in particolare: – alla perdita del centro (cioè di un punto di riferimento normativo capace di le- gittimare il significato unitario della società) che è fenomeno tipico delle so- cietà in via di complessificazione e di secolarizzazione (non solo religiosa), cioè in crisi di totalizzazione; 3 Questo paragrafo riprende alcuni passaggi della relazione tenuta da Renato Mion dal titolo “L’evoluzione della domanda educativa dei giovani” al Seminario di Orientamenti Pedagogici del 21 ottobre 2006 su “A 40 anni dalla Gravissimum Educationis”. 12 – alla crisi dei processi di socializzazione, descrivibile come sfaldamento (rela- tivo) delle agenzie tradizionali che non riescono più a creare coesione sociale mediante il consenso sui valori dominanti, o al massimo ci si riesce ancora ad aggregare su una piattaforma minima di norme etiche di un minimo comun de- nominatore. Alla coesione sociale anche di tipo orizzontale, viene meno la legittimazione legittimata e fondata sui messaggi culturali trasmessi, oltre che la crisi per obsole- scenza delle metodologie di trasmissione. Ne consegue il venir meno di una co- scienza collettiva e quindi l’emergere di coscienze di piccolo gruppo, particolari- stiche e corporative che a livello individuale si traducono nella segmentazione del vissuto individuale, concentrato sul presente, l’immediato e l’occasionale: è la frammentazione del “tempo psichico” (Cavalli), cioè l’allentarsi dei legami esi- stenti tra le diverse esperienze vissute e distribuite nel passato, e l’affermarsi di un “presentismo”, interpretato come una sorta di sospensione illimitata del tempo reale, con scarsa capacità di progettazione del futuro, per mancanza di orizzonti credibili. Il processo di presentificazione4, cioè l’intensificazione dell’esperienza di vita e il suo compattamento sul contingente provoca lo schiacciamento della vi- sione prospettica, che per i giovani delle generazioni precedenti si concretava nella successione passato/presente/ futuro. La domanda educativa perciò si colloca su frammenti di vita quotidiana, su una soggettiva riluttanza a investire totalmente e definitivamente le proprie risorse umane su una sola ipotesi di vita. Ciò non toglie che vi siano grandi ideali tra i gio- vani di questa generazione, ma essi stentano a tramutarsi in progetti realizzabili e verificabili. Il presente stesso infatti è minacciato da una radicale relativizzazione delle esperienze che lo compongono, anzi i singoli segmenti di vita tendono ad as- sumere significati mutevoli anche all’interno di una singola “storia di vita”. Ciò è spiegabile oltre che per effetto di una scarsa e debole socializzazione, anche per l’esplodere di una pluralità di offerte e varietà di opportunità, mai prima d’ora co- nosciute, che la società dei consumi e del pluralismo formativo è venuta propo- nendo. La domanda educativa perciò si frantuma anche per effetto della sovrabbon- danza delle offerte, soprattutto in rapporto alla ricerca di qualifiche e competenze professionali. Non è stata senza conseguenze “la bancarotta delle ideologie totaliz- zanti”5. Però da un altro punto di vista negli spiriti più attenti ha provocato una forte ri- cerca di identità personalizzata, non omologata sulla massa e sospinta da un pro- fondo bisogno di significato esistenziale, che nella ricerca di un senso (Frankl) sembra trovare appagamento alla propria sete. La presenza di queste amplissime possibilità di esperienze (la dilatazione dei possibili), dà motivo di introdurre e fon- 4 Cfr. LAIDI Z., Le sacre du présent, Paris, Flammarion, 2000. 5 LYOTARD J.F., La condizione postmoderna, Milano, Feltrinelli, 1981. 13 dare il modello interpretativo dell’“eccedenza delle opportunità” che, completando quello della frammentazione, tenta di dare una ragione ed un significato all’emer- gere del nuovo fenomeno dell’identità giovanile oggi sempre più flessibile e mo- bile nell’attuale stagione del consumismo. Anche la precedente indiscussa centra- lità del quotidiano fine a se stesso pare frutto di fenomeni collegati all’iper-con- sumo, tanto di beni materiali quanto di beni immateriali e alla creazione di ambiti di esperienze che vanno dai “non luoghi” alle “cattedrali del consumo” agli “iper- mercati”6. L’abbondanza consumistica esistente a livello macro-sociale si traduce a li- vello micro nella pluralizzazione dei percorsi biografici giovanili, nel delinearsi di un’identità plasticamente orientabile, ma che appare “senza fissa dimora” (Home- less Mind di Peter Berger), cioè debole nei suoi riferimenti assiologici e simbolici strutturati ben definiti. D’altra parte la concorrenza stessa di simboli e di significati in conflitto tra loro viene recepita dai singoli giovani in termini relativistici, ossia come spia della precarietà, flessibilità, provvisorietà e scambiabilità dei valori (un valore vale l’altro). Tale eccedenza apre alla libertà di scelta più ampia, ma ne mol- tiplica anche la difficoltà, perchè richiede elementi e criteri di scelta umanamente maturi. Infatti per convivere adeguatamente con un elevato livello di differenzia- zione strutturale e simbolica, e con un surplus di significati e simboli, tra i quali far valere la propria autonoma scelta, è necessario avere in parte strutturato una pro- pria piattaforma valoriale, che tra rigidità e flessibilità possa con equilibrio svilup- parsi fra tendenze culturali molteplici, tra loro non sempre facilmente compatibili. In questo modello il giovane viene percepito come parte attiva nel processo di selezione e di realizzazione delle proprie opportunità di vita. Se ne enfatizza l’au- mentata indeterminazione, ossia la maggiore libertà del soggetto a plasmare la sua personalità sociale. Si vuole sottolineare che il dilatarsi teorico delle possibilità of- ferte dalla complessità sociale, in questo caso rafforza, anziché ridurre, l’autonomia e la capacità di auto-progettarsi dei giovani, purché accompagnata da adeguate strutture psichiche e da orizzonti etici di una certa consistenza. 3.2. Modelli di ricerca di senso e di identità E siamo quindi giunti al modello della ricerca di senso e di identità. Esso costi- tuisce un ultimo quadro in questa galleria di variegate interpretazioni della do- manda educativa dei giovani. Nell’ipotesi di una generale caduta dell’identità col- lettiva dei giovani e della sua frammentazione nella società pluralista, la ricerca della propria identità individuale investe anche il modo di autocomprendersi e au- todefinirsi. Esso si perfeziona sempre più con l’avanzare dell’età, ma non in ma- niera automatica e deterministica. Verso quale identità allora, e con quale tipo di domanda? 6 RITZER G., La religione dei consumi. Cattedrali, pellegrinaggi e riti dell’iperconsumismo, Bologna, Il Mulino, 2000. 14 Quella per cui un giovane non accetta più identità già costruite, eterodirette, ma concepite come una scelta personale e individuale, non più come una imposi- zione esterna attribuita per convenzione: una elaborazione di percorsi differenziati nella fatica di una propria autonomia. Si viene ad assumere dalle varie situazioni della realtà quanto esse possono offrire in rapporto alle proprie esigenze, acco- gliendo anche eventuali elementi di discordanza, senza maturare per questo parti- colari atteggiamenti di rottura. È un’identità non più unitaria, ma quasi un mosaico di tessere in cui la coerenza non è più un criterio interno, ma esterno al soggetto. Si moltiplica la flessibilità, e con essa anche la difficoltà a maturare scelte definitive e ad ancorare la propria esistenza a mete importanti. Vi si accompagna così la ten- denza a procrastinare quanto più possibile le scelte decisive, a privilegiare invece opzioni caratterizzate dalla “reversibilità” e dalla possibilità di comporre nella pro- pria esistenza di giovane molteplici condizioni di vita, con l’intenzione di non pre- cludersi opportunità ed esperienze verso le quali egli rimane sempre aperto, per non imboccare strade senza ritorno. Si vive così la propria giovinezza non più come processo, né come attesa per entrare in società, ma quasi come condizione sociale, uno status per se stesso, una certa situazione di stallo, dove l’affacciarsi al mondo adulto non costituisce più una ragione di vivere, la tensione più importante della vita, il desiderio di diventare adulti. L’incertezza del futuro, accompagnato da un certo benessere familiare di supporto (la famiglia lunga del giovane adulto), che contemporaneamente permette anche una certa autonomia personale, facilita una prolungata permanenza in fami- glia e l’accettazione della provvisorietà come stato di vita. Ciononostante non si eliminano le difficoltà di stabilizzazione identitaria nella società attuale (“società li- quida”), demograficamente plurietnica e culturalmente pluralista. Esse continuano a rivelarsi di non poco rilievo, tra il rischio cioè di una identità flessibile fino alla sua evanescenza e una rigidità etnocentrica, incapace di relazioni e bloccata nella sua torre d’avorio. Questa situazione di precarietà però viene vissuta nella parte migliore dei gio- vani con una profonda domanda di vita che va nella direzione della ricerca di un senso, per dare unità e finalità alla molteplicità delle proprie esperienze. È ciò che emerge anche dall’analisi della letteratura sociologica di quanti in questo tempo ne stanno studiando l’evoluzione. Assai spesso la prima e più immediata risposta a questa domanda di senso viene ricercata con una certa quasi “avidità” e ansia di sicurezza nell’ambito ri- stretto delle proprie relazioni interpersonali, soprattutto quelle amicali e affettive accanto a quelle familiari. Essa caratterizza i giovani di oggi soprattutto nel loro rapporto con i valori e le cose più importanti della loro vita. Lo evidenzia in ma- niera empirica la serie di ricerche IARD, in particolare nell’ultimo Rapporto7, 7 BUZZI C., CAVALLI A., DE LILLO A. (a cura di), Giovani del nuovo secolo. Quinto Rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia, Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 41-48. 15 quando afferma che vi è un nucleo forte di valori (famiglia, amore, amicizia, lavoro e autorealizzazione) che rappresentano il punto focale della loro attenzione: è l’area della socialità ristretta che sembra costituire la centralità di questi interessi nella co- struzione del loro sistema di vita. Raggiunta la sicurezza su questo nucleo centrale ci si può allora dedicare al mondo dell’esteriorità (lo sport, il successo e la carriera, la vita agita e il divertimento) o al mondo dell’impegno che arricchisce la propria vita interiore (religione, impegno sociale, studio e cultura). I valori della libertà e democrazia, dell’uguaglianza e solidarietà hanno quindi una loro importanza, non sempre però come esercizio di virtù civiche o riconosci- mento di diritti civili, quanto piuttosto come elementi costitutivi della propria iden- tità personale. In altre parole “la libertà e la democrazia sono intese più come diritti da far valere, che come conquiste collettive da promuovere”. Il sempre maggior ri- lievo dato alla vita di relazione e ai rapporti interpersonali è vissuto e agito nel pro- prio mondo immediato. Ne consegue un insieme di atteggiamenti e di orientamenti all’azione che sembra trincerarsi nella ristretta cerchia degli affetti sicuri, delle cer- tezze che derivano dallo stare bene insieme e dal sostenersi a vicenda, tra chi con- divide gli stessi criteri di giudizio, i medesimi stili di vita, lo stesso ambiente so- ciale. Lo stesso associazionismo e talora anche lo stesso volontariato devono guar- darsi dal rischio di una loro privatizzazione sul personale e sulla individualizza- zione dei propri bisogni8. “Si sviluppa la sensazione di sentirsi soli, che manca qualche cosa, o meglio qualcuno su cui poter contare”9. Possiamo ipotizzare, concludono gli AA., che manchino non tanto le figure genitoriali affettive dell’adolescenza, ma gli adulti- guida, accompagnatori che possano indicare la strada per trovare strategie idonee a sostenere l’instabilità che ormai caratterizza anche le fasi successive della vita? (IARD, 70). Non è forse questo un appello implicito della generazione dei giovani a quella degli adulti a rafforzare la propria identità di educatori e di guide nell’ac- compagnamento saggio verso questa, oggi più difficile, “nascita sociale”? E alle fa- miglie pervase da un clima di notevole accondiscendenza (famiglia affettiva) è fuor di luogo pensare che quella dei giovani sia oggi anche una domanda di stimoli ideali, di proposte normative in una prospettiva di vita più piena umanamente? 4. La pedagogia positiva di Nel Noddings Nel Noddings è una studiosa di educazione morale. È stata insegnante di mate- matica nella scuola secondaria, ma da molti anni è impegnata a livello universitario 8 MION R., Associazionismo giovanile e volontariato, in FERRARI OCCHIONERO M. (a cura di), I giovani e la nuova cultura politica in Europa. Tendenze e prospettive per il nuovo millennio, Milano, F. Angeli, 2001, pp. 167-180. 9 BAUMAN Z., La solitudine del cittadino globale. Milano, Feltrinelli, 2000; IDEM, Voglia di co- munità, Bari-Roma, Laterza, 2001. 16 ad approfondire da un punto di vista filosofico i problemi dell’educazione morale. Tra le opere più significative scritte negli anni passati ce ne è una assai interessante dal titolo inglese Caring. A feminine approach to ethics and moral education (“Aver cura. Un approccio femminile all’etica e all’educazione morale”)10. Nel 2003 la Noddings ha pubblicato un volume dal titolo Happiness and Education, tradotto in italiano nel 2005 con il titolo Educazione e felicità. Un rapporto possi- bile, anzi necessario, con una prefazione di Franco Frabboni11. È questo un vero e proprio trattato su una pedagogia della felicità, cioè su un impianto educativo che colloca tra i fini fondamentali dell’educazione, se non al vertice, almeno tra i più significativi, proprio la felicità. Non è certo un’idea nuova. Già Aristotele la po- neva come la finalità fondamentale dell’esistenza umana. Anche la rilettura cri- stiana dell’impostazione aristotelica operata da Tommaso d’Aquino vede la felicità come il fine centrale dell’umana esperienza. In questo caso si prospetta una felicità che si realizza pienamente nella beatitudine celeste della contemplazione divina. Naturalmente, come nel caso della psicologia positiva, evocare il concetto di feli- cità implica una sua rilettura approfondita anche al fine di superare non pochi equi- voci in materia. La prima parte dell’opera ha un titolo chiaro: “La felicità come fine della vita e dell’educazione”. La studiosa esplora la complessità del concetto e soprattutto del- l’esperienza personale di felicità. La prospettiva aristotelica sembra essere troppo intellettualistica. Nelle parole della Noddings il pensiero aristotelico è così presen- tato: “Un filosofo come Aristotele ha definito la felicità secondo due accezioni, en- trambe le quali hanno avuto profonde ripercussioni, sino ai giorni nostri, sul dibat- tito al riguardo. II termine impiegato da Aristotele, eudaimonia, sarebbe forse me- glio tradotto come «fiorire umano», ma in questa sede ci atterremo alla tradizione convenzionale – benché non del tutto fedele – di «felicità». La prima accezione ari- stotelica, che è poi quella che ha avuto più seguito, si fonda su un’analisi della feli- cità volta a stabilirne gli elementi costitutivi. Rientrano tra questi elementi anche fattori contingenti, come benessere, ricchezza, buona reputazione e amicizie, ma l’elemento più importante è pur sempre rappresentato dall’esercizio della ragione. Nel tentativo di classificare le componenti della felicità, Aristotele osserva che ogniqualvolta qualcuno è malato, la salute gli pare la cosa più importante; quando si è poveri, la stessa cosa si può dire della ricchezza; e così via. Nell’uno come nel- l’altro caso, però, non ci troviamo di fronte a condizioni sufficienti per la felicità: si può godere di buona salute e di grande ricchezza, senza per questo essere felici. Nessuna di queste variabili «contingenti», di conseguenza, può essere ritenuta la 10 NODDINGS N., Caring: A Feminine Approach to Ethics and Moral Education, Berkeley, Uni- versity of California Press, 1994. 11 NODDINGS N., Educazione e felicità. Un rapporto possibile, anzi necessario, Trento, Erickson, 2005. 17 chiave della felicità. C’è forse qualche cosa, viste queste premesse, che è neces- saria e al contempo sufficiente, per avere la felicità? Si tratta di una domanda che, come si vedrà, accompagna ancora oggi filosofi e scienziati sociali, non meno dei comuni cittadini. A migliaia di anni di distanza, la domanda che ci poniamo oggi è ancora la stessa: da che cosa dipende precisamente la felicità? Nella seconda accezione aristotelica (definita come «intellettualistica» nel les- sico dei filosofi), l’ipotesi è che il modo di pensare teorico o contemplativo corri- sponda di per se stesso alla felicità, e come tale sia superiore alla saggezza appli- cata a qualsiasi tipo di attività mondana. Per entrambe le accezioni impiegate dal fi- losofo greco, comunque, è il pieno esercizio della razionalità che conferisce alla vita umana il suo aspetto divino. Come uomini, siamo tanto più prossimi all’imma- gine della divinità quanto più facciamo esercizio di pensiero contemplativo. Per il tramite di questa attività mentale possiamo infatti soddisfare quella facoltà divina che è racchiusa in noi: il pensiero”12. Dopo aver esplorato la riflessione che nel corso dei secoli i filosofi hanno svi- luppato intorno al tema della felicità, è importante subito esaminare i rapporti tra felicità e religione. Dal punto di vista psicologico è la psicologia positiva che oggi esplora questo territorio. Dal punto di vista della riflessione pedagogica la prospet- tiva religiosa può risultare ambigua se punta tutto su una felicità ultraterrena. Ma, secondo l’Autrice, ci addentriamo: “in un ambito dell’esperienza umana che è di enorme complessità. La fede in una felicità ultraterrena ha aiutato un’infinità di persone a trovare un senso nella vita terrena, a non perdere coraggio e rettitudine morale neppure di fronte alle sciagure o ai disastri. In sé, il rigoroso rispetto di certi dettami morali o religiosi non preclude la ricerca (anche) della felicità terrena; lo stesso principio di obbedienza è un segnale dell’aspirazione alla felicità, se è vero che ci sono persone che hanno saputo rinunciare a quasi tutti i piaceri terreni in vista dell’eterna felicità ultraterrena. A ben vedere, la carità e l’obbedienza, che parrebbero sostituirsi alla ricerca della felicità, sono strumentali al perseguimento di una forma di felicità più alta (anche se differita nel tempo). Anche una vita di perfezione e rettitudine morale può portare alla felicità, sia pure a una felicità fatta di soddisfazione, assai più che di piacere”13. L’esperienza della felicità implica certamente una componente soggettiva di benessere, e anche di piacere, ma deve confrontarsi con molti aspetti oggettivi e culturali, in particolare esiste un’influenza non indifferente derivante dell’apparte- nenza a una comunità umana specifica. La Noddings sottolinea: È del tutto ovvio, per lo meno in apparenza, che il giudizio più affidabile sulla felicità (o sull’infelicità) di qualcuno, sia quello del diretto interessato. Gli osservatori esterni potranno anche affermare che quella persona «dovrebbe essere felice», ma tale giudizio non sarà certo credibile se la persona in questione sostiene il contrario. È per questo che 12 Ibidem, 34-35. 13 Ibidem, 38. 18 il benessere soggettivo, o un qualche altro concetto che valorizzi la dimensione sogget- tiva, è importante per lo studio della felicità. Una volta detto questo, la felicità è legata anche ad aspetti oggettivi, dei quali si dis- cute da sempre. Già Aristotele aveva riconosciuto che la salute fisica, la ricchezza, il buon nome, le amicizie, la libertà dalla paura e dalla preoccupazione, e gli stessi piaceri dei sensi sono tutti elementi che contribuiscono a rendere le persone felici. È improbabile che una persona estremamente povera, o gravemente malata, si possa dire felice. Non è tuttavia vero – vale la pena ripeterlo ancora – il contrario: una volta usciti dalla povertà, non è detto che una maggiore ricchezza porti con sé una maggiore felicità. Di questa consapevolezza, talvolta, tendono ad abusare i politici, per stabilire – con evidente op- portunismo – che non è necessario, dopotutto, fare grandi interventi per alleviare la po- vertà, visto che «i soldi non sono tutto». Una disponibilità economica sufficiente a co- prire i propri bisogni essenziali, concedersi qualche piccolo lusso e non nutrire timori per il proprio futuro, in ogni caso, appare fondamentale. Un salario decente, alloggio garan- tito e una dotazione di risorse sufficiente per mantenersi, sono altrettanti requisiti essen- ziali perché si possa parlare di «felicità». Soltanto una società priva di ogni legame soli- dale può pretendere che i suoi componenti più poveri si possano salvare da soli, con un semplice sforzo di volontà, dalla loro miseria14. Va ricordato anche il legame spesso messo in evidenza con la pratica della virtù e in generale con la crescita morale della persona. I processi educativi, quale che sia la loro forma, non possono prescindere da quell’a- spetto della felicità che abbiamo a suo tempo definito come «normativo». Un filosofo co- me Aristotele (al pari di tanti altri grandi pensatori) ha sottolineato con forza che c’è una componente della felicità che discende dalla pratica della virtù. Secondo questa prospetti- va, è impossibile essere felici se si è privi di rettitudine morale, e se non ci si comporta in modo conseguente. È una posizione con cui i sostenitori dell’equazione felicità = benes- sere soggettivo, probabilmente, non si identificherebbero; eppure la grande maggioranza degli insegnanti, in buona sostanza, la condivide. Condivide, in altri termini, la speranza che gli studenti imparino a trarre una qualche felicità dalle azioni moralmente buone, co- me quelle che rispondono all’imperativo della loro coscienza. Non condivide, viceversa, l’atteggiamento di quanti – giovani o adulti – mantengono la più cieca indifferenza nei confronti delle persone, anche vicine a loro, che soffrono. Ognuno di noi, quando sa – in coscienza – di aver fatto tutto quello che era nelle sue facoltà per migliorare le cose, av- vertirà probabilmente un senso di sottile soddisfazione (se non di felicità), anche se maga- ri il suo intervento non risulterà in alcun modo risolutivo. Se questo è vero, l’educazione alla felicità dovrebbe comprendere anche, come tappa intermedia (di cui ci occuperemo nel capitolo secondo), l’educazione alla infelicità. Gli studenti dovrebbero imparare – an- che se spesso si ha la sensazione che lo sappiano già – che anche la condivisione dell’in- felicità altrui, paradossalmente, può essere una scelta generativa di felicità. È questa la più importante conclusione a cui è giunto chi si è dedicato a studiare, da varie prospettive di- sciplinari, le relazioni di cura: tutto ciò che facciamo al fine di migliorare una relazione di cui siamo parte finirà per giovare a noi, non meno che all’altra parte coinvolta15. Ritornando alla componente intellettuale dell’esperienza di felicità: “vale la pena spendere qualche parola sui tanto celebrati «piaceri dell’intelletto» che gli in- 14 Ibidem, 49-50. 15 Ibidem, 66. 19 segnanti, nel mondo della scuola, dovrebbero in qualche modo promuovere. Si pos- sono distinguere, a tale riguardo, due tipologie. La prima, ben nota a tutti gli inse- gnanti, corrisponde alle attività intellettuali che dovrebbero servire a stimolare la curiosità e le inclinazioni intellettuali degli studenti. Da questo punto di vista, non si può che sperare che gli studenti facciano del loro meglio, perché, senza dubbio, dalle facoltà intellettuali si può trarre motivo di grande soddisfazione. La seconda tipologia dei «piaceri dell’intelletto» si può ricondurre a una visione di taglio più psicologico, quella di tutti i ricordi, le aspettative, le associazioni e le sfumature emotive che, mediati dalla percezione soggettiva di ogni individuo, rendono più gradevoli le sue normali esperienze di vita”16. Ai fini della nostra indagine è interessante cogliere i legami che dalla Nod- dings sono stati evidenziati tra educazione del carattere, educazione spirituale ed esperienza di felicità. Quanto all’educazione del carattere essa afferma: L’educazione del carattere, cioè lo sforzo deliberato di inculcare la virtù, è il metodo più antico di educazione, morale. Oggi, all’inizio del XXI secolo, è tornato alla ribalta dopo alcuni decenni di oblio. Molte persone, tuttavia, si oppongono a questa rinascita di interesse. Alcuni dubitano (insieme a Socrate) che le virtù possano essere insegnate e pensano che, se lo sono, questa sia una forma di índottrinamento. Altri considerano che gli sforzi per educare il carattere partono da un concetto sbagliato della vita morale perché i sostenitori di questo progetto sembrano pensare che le virtù possano essere ac- quisite e accumulate nella personalità come se fossero oggetti. Per contro, quelli che, come me, considerano la vita morale da un punto di vista relazionale, ritengono che anche l’io sia un effetto delle relazioni che intrattiene. Anche se da un punto di vista fi- sico siamo organismi separati, il nostro io deriva dall’incontro con altri corpi, oggetti, condizioni, idee e dai momenti di riflessione su noi stessi. Una concezione relazionale dell’io indebolisce la distinzione tra egoismo e altruismo perché molto di ciò che fac- ciamo per gli altri promuove le relazioni di cui facciamo parte e quindi noi stessi. Noi crediamo che le virtù si imparino attraverso relazioni forti e felici. È raro che i bambini felici diventino violenti o crudeli. […] Per felicità intendo qui quello di cui ho parlato finora, cioè non il mero piacere, né la soddisfazione dei tanti capricci dei bam- bini. Aiutare i bambini a diventare felici significa guidare la loro crescita intellettuale e morale. Significa anche aiutarli a sviluppare una personalità piacevole e ben integrata17. Infine, è utile riprendere alcuni passaggi riguardanti l’esperienza spirituale. Molti tra coloro che desiderano promuovere la loro vita spirituale entrano a far parte di gruppi e organizzazioni che promettono la liberazione dalle preoccupazioni mondane (e qualche volta anche da quelle del corpo). Alcuni si rivolgono al fondamentalismo evangelico, altri si dedicano alle tecniche della meditazione. Senza denigrare questo tipo di scelte, vorrei suggerire, per parte mia, che la consapevolezza di certi momenti della vita quotidiana può contribuire in modo significativo alla vita spirituale e alla felicità. A volte, tra il tramonto e l’alba delle giornate serene compare una striscia rossa nel cielo d’oriente. La mia camera si affaccia sull’oceano e dal mio letto posso vedere questa pennellata di rosso proprio al di sopra del mare. Fino a tardo autunno, il sole sorge un po’ 16 Ibidem, 66. 17 Ibidem, 181-182. 20 più a nord della mia finestra, così devo alzarmi e andare in un’altra stanza per vederlo. Quando vado verso la sala che contiene i miei libri e tutte le mie piante, spesso rimango incantata dalla luce che colpisce gli scaffali dei libri sulla mia sinistra. Il mare è sulla de- stra e procedendo, e poi girando a destra, sono in grado di vedere l’alba in tutto il suo splendore. Ma anche prima di raggiungere quella posizione, la luce che si proietta nella stanza è magnifica. Alcuni giorni è dorata, altri è rosa. Qualche volta, tutta la biblioteca è avvolta di una luce rossa. Il mio spirito si alza in volo. Poi arriva il momento in cui il sole sorge. Le descrizioni di poemi e romanzi ci danno l’impressione che il levarsi del sole sia una cosa graduale, invece, è un fenomeno im- provviso. Il sole salta all’orizzonte pieno di entusiasmo. Se prima c’era solo una linea curva di luce, un momento dopo ecco il sole in tutta la sua pienezza. Quanti sono gli es- seri umani che vivono questo momento come me? Noto con meraviglia che, a prescin- dere dalla stagione, sul molo ci sono sempre persone che sono venute ad ammirare lo spettacolo. Forse, per un momento siamo tutti sopraffatti dall’immensità del mare, dalla bellezza del sorgere del sole, dal senso della nostra precarietà nell’universo e dal mira- colo di un altro giorno che nasce. […]. Questi momenti spirituali non vengono come conseguenza di tecniche di distacco e meditazione. Sono invece momenti di totale coinvolgimento con ciò che esiste. Martin Buber li chiama manifestazioni della relazione che si verificano in occasione di incontri con altri esseri umani, animali, piante e oggetti. Per esempio, Buber osserva che si può contemplare un albero in moltissimi modi. Nella maggior parte dei casi, l’albero è un og- getto di osservazione e di studio. Ma sentimenti estremi di cui abbiamo appena parlato. L’incontro con il Tu che Buber descrive è meraviglioso. Mettersi in relazione con un’altra persona, albero, opera d’arte o Dio è il culmine della vita spirituale... se l’altro è percepito come qualcosa di positivo. Se invece è sentito come malvagio, terrificante o disgustoso, si può provare soltanto terrore o nausea, non un innalzamento dello spirito18. Concludendo la riflessione su questa dimensione dell’educazione, essa af- ferma: “Nella discussione sulla spiritualità, ci siamo concentrati sulla spiritualità che scaturisce dagli incontri della vita quotidiana perché questo è il tipo di spiritua- lità che può essere insegnato a scuola senza offendere le credenze religiose di nes- suno e perché è una grande fonte di felicità. Abbiamo però notato come la gratifica- zione data dalla spiritualità nella vita quotidiana può allontanarci dall’impegno nella vita pubblica”19. 5. Le indicazioni provenienti dalla riflessione di Karol Wojtyla sul ruolo delle istituzioni formative, in particolare di ispirazione cristiana20 Le coordinate filosofico-teologiche più importanti del pensiero di K. Wojtyla possono essere riassunte in tre, tutte collegate tra loro: la presenza di un’accentuata prospettiva personalista; una propria concezione della filosofia dell’azione; il co- 18 Ibidem, 192. 19 Ibidem, 200. 20 Questo paragrafo riprende alcuni passaggi dalla relazione di Mons. Vincenzo Zani al Semi- nario di «Orientamenti Pedagogici» del 21 ottobre 2006 su “A 40 anni dalla Gravissimum Educa- tionis”. 21 stante riferimento unificante ad una precisa antropologia filosofica, capace di ritro- vare al termine di un percorso fenomenologico i contenuti essenziali della tradi- zione metafisica tomista21. L’utilizzo delle coordinate filosofiche in sede teologica avviene secondo una forma di circolarità; infatti la prospettiva filosofica è costante- mente aperta all’Assoluto, in modo trascendentale e, a sua volta, la prospettiva teo- logica – perché arricchita dal contributo della Rivelazione – illumina continua- mente la riflessione filosofica, facendola accedere a nuovi e sempre più profondi li- velli di analisi. In tal modo, il suo personalismo antropologico può entrare in rap- porto con un personalismo teologicamente trinitario, la sua antropologia dialogare a tutto campo con la cristologia22. Ai fini della nostra riflessione, ci si chiede se il personalismo di Karol Wojtyla, tanto nella cornice tomista come in quella fenome- nologica, abbia dei riflessi sul modo di concepire la cultura umana, l’educazione della persona, le finalità del progresso e il rapporto della cultura con la fede. In primo luogo la persona è vista come soggetto e fine della cultura. Questa ha come primo riferimento l’arricchimento spirituale del suo soggetto e solo seconda- riamente coinvolge la sfera del produrre23. È la cultura che consente all’uomo di vi- vere in modo autenticamente umano, conforme alla sua natura e dignità, e che con- nota l’essere e l’esistere dell’uomo24. Ora, in questo senso il compito primario ed essenziale della cultura è l’educazione in quanto essa consiste nel fatto che l’uomo divenga sempre più umano, che possa ‘essere’ di più e non solo che possa ‘avere’ di più. Intendere l’educazione come un mero possedere strumentale condurrebbe ad una vera alienazione dell’educazione. Risulta così inadeguata una distinzione es- senziale fra cultura umanistica e cultura scientifica, una separazione nel soggetto fra cultura spirituale e materiale. In secondo luogo, Giovanni Paolo II con il suo personalismo, partendo dalla fenomenologia spirituale dell’essere umano che si rivela prioritariamente nelle sue attività culturali e artistiche, fonda la presenza di una ineludibile domanda sul senso di tale autotrascendimento. In qualunque campo del sapere compaiano gli in- terrogativi ultimi sull’origine e sul senso dell’essere, essi rivelano uno statuto non solo filosofico, ma anche squisitamente religioso. Di fatto, la cultura risulta indis- 21 Cfr. STRUMIA A., L’uomo e la scienza nel magistero di Giovanni Paolo II, Casale Monferrato, Piemme, 1987, 52-57; A. RIGOBELLO (a cura di), L’uomo nel mondo. K. Wojtyla, Roma, Armando, 1981, in particolare 9-34. 22 Cfr. TANZELLA NITTI G., Passione per la verità e responsabilità del sapere. Un’idea di univer- sità nel magistero di Giovanni Paolo II, Casale Monferrato, Piemme, 1998, 107-108. 23 Riferimento essenziale su questo tema resta il discorso di Giovanni Paolo II nella sede dell’U- NESCO: «Allocuzione all’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la cul- tura» (Parigi, 2 giugno 1980), in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III (1980/1) 1636-1655. 24 «L’uomo vive di una cultura veramente umana grazie alla cultura. (…) L’uomo che, nel mondo visibile, è l’unico soggetto ontico della cultura, è anche il suo unico oggetto e il suo termine. La cultura è ciò per cui l’uomo in quanto uomo diventa più uomo, ‘è’ di più, accede di più all’’essere’. È qui anche che si fonda la distinzione capitale fra ciò che l’uomo è e ciò che egli ha, fra l’essere e l’avere» (Allocuzione all’UNESCO, nn. 6-7). 22 sociabile dalla religione, la contiene al suo interno, come principale propulsore del suo interrogare e interrogarsi25. Riconoscere la presenza delle ‘domande ultime’ nel cuore di ogni cultura consente alla fede e all’annuncio evangelico di dialogare fe- condamente con l’uomo, con ogni uomo, su tutto il panorama della sua esistenza nella cultura. E la cultura umana, se sincera e autentica, non può delegittimare la fede, perché questa le si presenta come una disposizione ed un atto pienamente umani26. In terzo luogo, la centralità della persona nel pensiero di Karol Wojtyla e la sua rivelazione nella prassi porta ad un altro aspetto più volte sottolineato nel suo ma- gistero: l’unità della persona implica la sostanziale unità della sua esperienza intel- lettuale e quindi fonda la possibilità di una «unità del sapere». La fonte di unione più forte consiste, ancor più che nella ricerca di senso, nell’orientamento effettivo del soggetto verso questo senso, e quindi implica la donazione, l’amore, di cui la ri- cerca appassionata è in qualche modo già espressione. Le diverse fonti di cono- scenza, perfino le singole discipline, nella misura in cui sanno riconoscersi al ser- vizio della verità integrale del soggetto anche nella loro relazionalità e interdipen- denza, si muovono allora verso l’unità secondo un movimento che è ancora un ‘uscire da sé’ per ascoltare l’altro e riconoscersi nell’altro27. Da ultimo, esiste un presupposto teologico del magistero di Giovanni Paolo II che è facilmente rintracciabile nelle tematiche della cultura e dell’educazione: la convergenza fra cristianesimo e umanesimo e, pertanto, la convergenza fra cristia- nesimo e cultura. Tutto ciò che è umano interessa la Chiesa, perché l’uomo, via della cultura, è anche la strada sulla quale la Chiesa e la cultura si incontrano. Ma si può andare ancora più in là: tutto ciò che è umano appartiene alla Chiesa, perché appartiene a Cristo. «L’insieme delle affermazioni concernenti l’uomo – dirà Gio- vanni Paolo II all’UNESCO – appartiene alla sostanza stessa del messaggio di Cristo e della missione della Chiesa, malgrado tutto ciò che gli spiriti critici hanno potuto dichiarare in materia»28. Per il cristiano, ‘educare’ e ‘fare cultura’ vuol dire riportare la verità sull’uomo ai tratti originari del volto di Cristo: la convergenza fra pienezza di umanità e cri- stianesimo è perfetta29. Un umanesimo ateo è per Giovanni Paolo II inconcepibile, perché tradirebbe le aspirazioni dell’uomo, le ragioni del suo ‘essere culturale’, 25 Cfr. Ivi, n. 9. 26 Cfr. TANZELLA NITTI G., Passione per la verità e responsabilità del sapere, op. cit., 114-115. 27 «Ne deriva pertanto che la condizione ultima dell’intelligibilità è l’amore: si comprende solo se si ama. L’unità del sapere si dà allora nella persona in quanto soggetto di libertà e di amore» (Ivi, 116). 28 GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione all’UNESCO, n. 10. 29 «All’elevazione dell’uomo appartiene non soltanto la promozione della sua umanità, ma anche l’apertura della sua umanità a Dio. Fare cultura è dare all’uomo, ad ogni uomo e alla comunità degli uomini, una dimensione umana e divina, è offrire e comunicare all’uomo quell’umanità e quella divinità che sgorgano dall’Uomo perfetto, dal Redentore dell’uomo, da Gesù Cristo» («Dis- corso agli uomini di cultura», Rio de Janeiro [1 luglio 1980], in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III [1980/2] 21). 23 oltre a non reggere il confronto con i drammatici esiti della storia la quale, quando elimina Cristo dall’orizzonte umano, termina rivoltandosi contro l’uomo. Dunque la passione che accomuna Chiesa e educazione, Chiesa e scuola, Chiesa e univer- sità non è solo passione per la verità, ma è passione per la verità dell’uomo. La ri- cerca della verità può riposare in ultima analisi solo sulle risposte che fanno luce sulla condizione del soggetto che interroga, sul suo posto nel panorama dell’esi- stenza. A motivo della centralità della persona nella cultura, ed essendo la cultura dimensione essenziale del processo di umanizzazione della persona, la scuola e l’u- niversità divengono essi stessi luoghi umanizzanti. 6. Una rilettura dello sviluppo della dimensione spirituale e morale come empowerment L’espressione inglese “empowerment” deriva dal verbo “to empower” che in italiano viene comunemente tradotto con “conferire poteri”, “mettere in grado di”. I diversi dizionari privilegiano ora l’uno ora l’altro aspetto. Risulta spesso difficile tradurre questo termine in italiano con una sola parola, per la ricchezza semantica di tale concetto. Talora si usa l’espressione “abilitare”, oppure più ancora “capaci- tare”. Occorre anche chiarire che essa può designare sia il processo operativo per- corso per raggiungere un certo risultato, sia il risultato stesso. Il concetto si con- nota, dunque, sia come “processo”, sia come “prodotto”, risultato cioè di un’evolu- zione di esperienze di apprendimento che portano un soggetto a superare una con- dizione di impotenza. Un “saper fare” e “saper essere” caratterizzati da una condi- zione di fiducia in sé, percezione di competenza, capacità di sperimentare, di con- frontarsi con la realtà circostante. Dal nostro punto di vista il termine empowerment può essere inteso come “ac- crescere la possibilità dei singoli e dei gruppi di controllare attivamente la propria vita”. Le azioni e gli interventi formativi centrati sull’empowerment mirano, cioè, a rafforzare il potere di scegliere dei singoli, migliorandone le competenze e le cono- scenze in un’ottica non solo di carattere terapeutico-riparativo, ciò soprattutto negli anni Settanta, ma anche di carattere preventivo e di maturazione personale. Su un piano di sviluppo personale il termine designa la maniera in base alla quale si ri- escono a migliorare le proprie competenze favorendo la stima di sé, la fiducia nella proprie capacità, l’iniziativa e il controllo delle proprie azioni e dell’ambiente. Ciò viene considerato anche nelle transazioni con gli altri e con l’ambiente. Su questo piano l’empowerment si definisce come un sentimento di grande controllo della propria esistenza sia su un piano individuale, sia su un piano sociale nelle relazioni all’interno di un gruppo o di una organizzazione. Spesso si indicano quattro sue componenti: la partecipazione, la competenza, la stima di sé e la co- scienza critica (individuale, collettiva, sociale e politica). Quando queste quattro componenti sono in interazione si ha una sua reale manifestazione. 24 Il costrutto di empowerment può ritrovarsi, sin dagli anni Sessanta, nella lette- ratura socio-politica, all’interno della “moderna” teoria della democrazia e del mo- vimento per i diritti civili, nello sviluppo del terzo mondo, nei movimenti femmi- nili e delle minoranze, nelle associazioni del volontariato. Dagli anni Ottanta la pa- rola viene largamente adottata, soprattutto negli Stati Uniti, nel linguaggio della psicologia di comunità prima, e successivamente nel linguaggio delle organizza- zioni e del management. È interessante esplicitare alcune caratteristiche trasversali dell’approccio em- powerment: esso consiste essenzialmente nella crescita costante, progressiva e con- sapevole delle potenzialità degli esseri umani, accompagnata da una corrispondente crescita di autonomia ed assunzione di responsabilità; i programmi centrati sull’em- powerment tendono ad aumentare il senso del potere personale del soggetto, ma anche la sua capacità di leggere la realtà che lo circonda, individuando condiziona- menti e minacce, ma anche occasioni favorevoli ed opportunità. Proprio per la poliedricità del suo costrutto, l’approccio empowerment è stato adottato negli ultimi decenni in svariati ambiti. Fra le diverse aree si possono ricor- dare quella psicologico-psicoterapeutica, quella pedagogica, quella sociale30, quella politico-istituzionale e quella organizzativa. Qui ci si limita a considerare quelle più direttamente riferibili al tema di ricerca. In ambito psicologico-psicoterapeutico il concetto è stato qui utilizzato con più finalità: diminuire la dipendenza dalla fi- gura medica e terapeutica nei soggetti, aumentandone progressivamente la perce- zione delle proprie capacità di autonomia; favorire processi riabilitativi con inter- venti brevi ed efficaci; liberare i soggetti dalla passività appresa, lavorando sulle loro elaborazioni cognitive di fronte a rischi e problemi. È interessante sottolineare come nella letteratura della psicologia di comunità, l’empowerment sia addirittura considerato l’obiettivo della disciplina stessa, mentre rimane presente l’approccio centrato sullo sviluppo dell’individuo (“self-empowerment”, “auto-empowerment”). In ambito pedagogico il concetto di empowerment assume la finalità di pro- muovere lo sviluppo dell’apprendimento e della crescita individuale nel corso di tutta la vita. Si può notare la valenza dell’empowerment come fattore intrinseco alle nuove accezioni di formazione permanente e di arricchimento del capitale umano, sia nelle aziende e, più in generale, nella società. 30 In ambito sociale i programmi di sviluppo di comunità attuati nei Paesi del Terzo Mondo e nelle zone arretrate delle nazioni sviluppate hanno fra gli obiettivi l’empowerment dei soggetti coin- volti. Questo orientamento ha acquisito una dimensione sempre più internazionale (mondiale) e ri- guarda la società nel suo complesso, gli squilibri tra aree sociali e le differenze di genere. Possono ri- cordarsi, ad esempio: l’ultima conferenza mondiale sulla condizione della donna nel mondo, tenuta a Pechino nel settembre del 1995; l’attenzione si è concentrata su tempi e modalità per ottenere mag- gior empowerment per le donne sia nei Paesi arretrati, sia in quelli a sviluppo economico più avan- zato; è stato utilizzato, a tal fine, il termine di “mainstreaming” a significare la focalizzazione politica su un principale (main) flusso (stream) da seguire (ing) con coerenti corsi di azione; i programmi e le politiche a favore di varie fasce sociali svantaggiate; si veda il caso delle persone disabili per le quali l’Unione Europea ha adottato orientamenti per favorirne la parità di opportunità, usando contempora- neamente entrambi i suddetti concetti (empowerment e mainstreaming). 25 Nel contesto della nostra indagine si può proporre una rilettura del costrutto stesso nella direzione della promozione dello sviluppo di una persona capace di dare senso e prospettiva alla propria vita e di crescere armonicamente nelle proprie competenze personali e sociali. È in questa prospettiva che si può accostare il con- cetto di sviluppo dell’empowerment a quello di sviluppo nei giovani di un orga- nismo virtuoso, nel quale armonicamente si intrecciano competenze o virtù perso- nali e sociali. È in questa stessa direzione che si parla di sviluppo del carattere per- sonale. La scelta della prospettiva di sviluppo personale e morale fondato sul concetto di virtù è stato negli ultimi decenni oggetto di intensa riflessione, a partire da una rinascita degli studi su Aristotele e la razionalità pratica. B.J. Flowers in un recente studio31 ha affermato che “la presentazione della virtù e del suo ruolo nella crescita umana è sottile e potente e, a mio giudizio, non superata”32. Questo autore, che si muove in una prospettiva di sviluppo della competenza professionale degli psico- logi, prospetta nei vari capitoli della sua opera la seguente progressione. 1) Gli esseri umani agiscono e modellano le loro vite in maniera globale attra- verso il perseguimento di ciò che viene colto come degno di essere scelto come obiettivo (o la ricerca di ciò che è bene, nel linguaggio delle virtù). In questa affer- mazione non ci si pronuncia direttamente su quali valori o beni debbano essere per- seguiti, poiché questi normalmente vengono colti all’interno di una cultura, di una comunità, di un processo di interazione con l’ambiente famigliare e sociale. È questo un campo di riflessione filosofica a psicologica oggi assai vivace. A esempio la psicologia positiva ne fa un argomento centrale in quanto diretta a favo- rire la crescita umana in tutte le sue potenzialità positive e ciò implica una visione del bene del singolo, come della comunità e più in generale dell’ambiente in cui si vive. In questo contesto è riemersa la riflessione sul concetto di eudaimonia aristo- telica, tradotto generalmente con felicità. Ritorneremo su questo punto sia nella prospettiva filosofica, sia psicologica. Il discorso verrà ripreso nel seguito. 2) Questa ricerca e perseguimento del bene personale e sociale richiede virtù, o forze personali ben strutturate, che li rendano possibili. È a questo livello che il concetto di empowerment individuale può essere valorizzato. Occorre subito preci- sare che queste qualità o competenze personali devono essere sviluppate come “abiti” fino a farle diventare disposizioni interne stabili, caratterizzanti l’agire per- sonale in maniera continua e in molte occasioni anche spontanea. Le virtù si pre- sentano dunque come gli elementi strutturali di base di un organismo umano che ri- esce con facilità e sistematicità ad agire in maniera coerente con i valori o i beni as- sunti come guida della propria esistenza o che riescono a essere letti e interpretati nelle specifiche circostanze della vita quotidiana. 31 B.J. FLOWERS, Virtue and Psychology. Pursuing Excellence in Ordinary Practice, Washington, APA, 2005. 32 Ibidem, 28. 26 3) Le virtù si manifestano dal punto di vista comportamentale nelle azioni. È questo un aspetto critico del concetto di virtù. Come una persona può essere rico- nosciuta competente sulla base della capacità di portare a termine in maniera valida e feconda i compiti che deve affrontare, così una persona può essere ritenuta saggia sulla base della maniera con cui elabora i suoi giudizi e compie le sue scelte. In questo occorre distinguere azioni messe in atto per inclinazione naturale o per abi- tudini indotte dal processo educativo, senza particolare comprensione del loro perché o significato virtuoso, da azioni che sono adottate nella piena consapevo- lezza del loro carattere virtuoso. “La trasformazione della capacità naturale di agire virtuosamente in una reale forza del carattere personale richiede la coltivazione di una comprensione profonda della virtù e del vizio per evitare un approccio hit or miss ad agire bene”33. In questo quadro Aristotele ha evidenziato anche il ruolo delle emozioni nell’agire umano, cosa oggi rimessa fortemente in evidenza dal ri- conoscimento della cosiddetta “intelligenza emozionale”. La spinta motivazionale verso la decisione di agire in un certo modo nasce dall’impatto del sé con la perce- zione della situazione. Quanto più è radicato un desiderio o una vera passione per il bene, tanto più sarà facile l’emergere di emozioni favorenti la decisione e la capa- cità di gestirle nella realizzazione delle decisioni prese. Quando un abito è ben strutturato, l’insorgere di uno stato emozionale di fronte a una situazione che ri- chiede il nostro intervento può condurre a modalità anche automatiche di agire, ben caratterizzate però da inclinazioni costruite consapevolmente. 4) Tali azioni sono basate su una chiara comprensione di ciò che è meglio. In ciò entra in gioco la capacità cognitiva di esaminare i beni che ci appaiono a prima vista. Beni esterni e beni interni. Beni esterni come denaro, carriera, potere. Beni interni come amicizia, serenità, felicità. Si possono qui cogliere le relazioni con i concetti di motivazioni intrinseche e motivazioni estrinseche, quali sono state pro- poste dalle varie correnti psicologiche. Lo sviluppo di motivi, valori, significati or- dinati secondo una qualche gerarchia o struttura di ordine porta ad attribuire poi or- dine gerarchico anche ai beni esterni e interni, quali vengono via via colti nelle esperienze di vita quotidiana. I processi educativi mirano in primo luogo a favorire lo sviluppo di queste disposizioni interne stabili e alla loro organizzazione. In se- condo luogo a saper cogliere nelle situazioni concrete qual è il meglio da perse- guire, in altre parole come agire per trasformare in senso migliorativo quanto si è percepito. La capacità di leggere e interpretare le situazioni esistenziali e l’appello che queste ci rivolgono deriva da un lungo e impegnativo tirocinio. 5) Le azioni virtuose sono svolte in maniera volontaria e agevole. È il cuore di un’azione degna di questo nome, nel senso che la decisione viene presa sulla base del giudizio di valore elaborato e la sua realizzazione viene perseguita con perseve- ranza e impegno, nonostante difficoltà esterne e tensioni interne. Questo aspetto 33 Ibidem, 43. 27 dell’agire umano è stato in questi ultimi decenni approfondito sul piano psicologico dalla scuola tedesca avviata da H. Heckhausen. J. Kuhl ha individuato alcune com- petenze specifiche che aiutano a controllare l’efficacia delle nostre decisioni. 6) Le virtù sono apprese attraverso la guida e il feedback. È questo un aspetto centrale nel concetto di virtù. Ogni virtù si acquisisce attraverso la pratica di essa. Si diventa prudenti agendo prudentemente, si diventa onesti agendo onestamente. Non solo l’esercizio pratico ci aiuta progressivamente a cogliere il valore interno a tale pratica virtuosa. Si tratta di un vero e proprio apprendistato, che esige l’espe- rienza di modelli, la guida di esperti, che non solo indicano come agire, ma anche correggono e segnalano modalità di comportamento più valide ed efficaci. Occorre anche aggiungere che apprendere da un modello può essere allargato all’esperienza comunitaria, nel senso che quanto più l’ambiente in cui si vive esplica lo stesso ruolo del singolo modello, tanto più è facile interiorizzare valori e ricevere un con- tinuo e sistematico feedback ai nostri comportamenti. Da questo punto di vista oc- corre anche aggiungere che un organismo virtuoso si sviluppa secondo un equili- brio dinamico tra le diverse virtù. Il detto che “la virtù sta nel mezzo”, significa anche che una visione o sviluppo unilaterale di una virtù può condurre a squilibri e degenerazioni. La virtù che aiuta a trovare il giusto equilibrio nelle decisioni e nelle azioni concrete è la virtù della saggezza pratica o prudenza. 7) Agire in maniera virtuosa richiede scelte sagge su come perseguire ciò che è bene in specifiche circostanze. Si mette qui in risalto il ruolo di quella che è stata chiamata la saggezza pratica o prudenza, in greco phrònesis. Si può evocare a tale proposito il concetto di inferenza pratica o ragionamento pratico. L’inferenza pra- tica, nella struttura fondamentale valorizzata da questi studiosi, assume in genere una di queste forme: [1] Io intendo conseguire un certo fine Per raggiungere questo fine, in queste circostanze concrete, è necessario per me agire in un determinato modo Dunque mi dispongo ad agire in tale modo [2] Io desidero realizzare un determinato bene Per realizzare tale bene è necessario in questa situazione concreta conseguire un altro bene intermedio Mi attivo a raggiungere quest’ultimo bene Il secondo tipo di inferenza indica come nella normalità dei casi si abbia a che fare con una serie o catena di inferenze pratiche che partendo da motivi, o finalità, assunti in proprio dal soggetto, porta via via verso la scelta dell’azione da compiere nell’immediato. È in pratica quello che si chiama un progetto d’azione orientato al raggiungimento di un fine34. Si può notare come nella psicologia cognitiva attuale 34 Vedi a quest’ultimo proposito anche l’opera di NUTTIN J., Théorie de la motivation humaine, Paris, PUF, 1980. 28 si utilizza l’espressione «produzione» per indicare una struttura condizionale di questo tipo: [3] Se si verificano queste e queste condizioni Allora fai (o faccio) questo e questo R.J. Sternberg (Sternberg - Caruso, 1985) ritiene, sulla base delle ricerche di J.R. Anderson, che questa sia la forma di rappresentazione del pensiero pratico. È evidente l’analogia con l’inferenza pratica di origine aristotelica. 7. Per un curricolo di educazione spirituale e di educazione morale Le sollecitazioni delle riforme scolastiche inglesi, italiane e di molti altri Paesi, come l’India, portano a ipotizzare la necessità di una ricerca curricolare circa la na- tura, le forme, le metodologie di percorsi di educazione spirituale e di educazione morale nella scuola di tutti. Naturalmente occorre rileggere questa prospettiva in una visione pluralista dal punto di vista culturale e religioso. E ciò non è né sem- plice, né immediato. Che cosa può accomunare, dal punto di vista della dimensione spirituale e morale dell’esistenza, fedeli di differenti religioni istituzionali, persone sensibili alle istanze religiose, ma meno legate a forme istituzionalizzate, i vogliosi di sensazioni ed esperienze che trascendono il quotidiano, i cosiddetti atei devoti e quelli che devoti non sono, ecc.? E ancor più gli approcci alla dimensione morale, dove all’interno delle stesse religioni istituzionalizzate si pongono prospettive assai diverse circa i fondamenti, gli orientamenti pratici e le prospettive di coerenza e sviluppo personale? In Italia non si ha conoscenza di una diffusa ed evidente ricerca di soluzione di questa problematica, ma solo l’affermazione di una esigenza di interezza della of- ferta e della azione educativa, senza un adeguato approfondimento in un contesto pluralista, multiculturale e multireligioso, quale è ormai sempre più presente nelle nostre scuole. La prospettiva più diffusa è quella di offrire una pluralità di opzioni possibili, un quadro di riferimento variegato e per quanto possibile neutrale circa le possibili prospettive di senso e di identità morale, lasciando il singolo arbitro asso- luto delle sue scelte. Un po’ come offrire l’accesso a un collegamento Internet a banda larga e lasciare che nell’esplorazione dei siti e delle pagine web emerga a poco a poco una scelta di identità e un progetto di vita. La scuola, tuttavia, da quasi tutti viene sempre più vista come una istituzione di diversa natura. Non certo una ulteriore fonte di informazioni e di dati, bensì come un accompagnamento anche personalizzato nel dare ordine e significato a quanto si affolla intorno ai giovani, fornendo loro chiavi di lettura, modalità di ela- borazione di giudizi e di valorizzazione personale di quanto esperito in una pro- spettiva culturale e professionale sufficientemente profonda e strutturata. Internet e televisione sono certo fonti di nuova conoscenza, ma senza una istituzione che aiuti 29 a convivere con loro in maniera intelligente e feconda tendono a disperdere e a de- costruire l’incipiente razionalità dei loro fruitori. La sollecitazione sensoriale tende a prevalere su una attenzione selettiva e una capacità di concentrazione prolungata alla ricerca di connessioni e organizzazioni concettuali adeguate. Qualcosa di analogo sembra svilupparsi nelle nostre società dal punto di vista culturale, religioso e anche linguistico. Nel supermarket delle esperienze e delle proposte di natura spirituale e morale che ne consegue, occorre aiutare a sceverare o, come si dice ora, a discernere, a cogliere valori e limiti, a penetrare in profondità radici e prospettive. In una parola si tratta di favorire un protagonismo consapevole nella costruzione della propria identità personale. E a ciò non sempre basta la fami- glia, anche se in non pochi casi essa si presenta ancora il luogo della riflessione cri- tica e dell’accompagnamento rispettoso della progressiva partecipazione alla vita sociale, culturale e civile. Più spesso però essa tende ad agire in forme di difesa di una identità, mediante condizionamenti, più che fornire un aiuto a crescere in con- sapevolezza e nella scelta personale di valori e tradizioni. Il rispetto comunque delle scelte e delle tradizioni famigliari, soprattutto quando si tratta di una scuola destinata a bambini e preadolescenti, deve essere ben presente quando si parli di curricoli di educazione spirituale e morale. È l’obie- zione che normalmente si avanza quando si ipotizza una insegnamento religioso per tutti di natura confessionale. Anche se in questo caso occorrerebbe chiarire me- glio che cosa si intende per insegnamento religioso. Ricordo che la proposta votata alla metà degli anni Ottanta dalla Commissione ministeriale, che ha elaborato i pro- grammi per la scuola elementare di allora, mirava a introdurre per tutti un insegna- mento diretto a cogliere la natura e significato di “fatti e fenomeni religiosi”. La proposta non ebbe seguito in quanto con il Concordato si preferì un insegnamento confessionale opzionale dalla materna o, come si dice ora, dalla scuola dell’in- fanzia alla fine della scuola secondaria superiore. L’ambizione di questo studio preliminare è dunque quello di approfondire le possibilità e i caratteri di proposte curricolari che interpretino e orientino la valoriz- zazione del dettato di legge e più ancora rispondano a un bisogno profondo di ac- compagnamento educativo da parte della scuola. E questo soprattutto per il sistema dell’Istruzione e della Formazione Professionale che per natura sua e tradizione è più esposto a trascurare approfondimenti adeguati in queste due dimensioni forma- tive. Ciò evidentemente vale anche per gli Istituti Tecnici e per i Licei che hanno sostituito facilmente ogni momento di riflessione critica e di ricerca di senso con insegnamenti tecnico-pratici. Si ha, infatti, spesso la sensazione che la dimensione liceale abbia ormai perso gran parte del suo significato originario basato su una for- mazione umanistica adeguatamente profonda e strutturata. Per far questo si esploreranno da una parte i risultati più recenti dell’indagine psicologica in merito allo sviluppo della dimensione spirituale e di quella morale. In seguito si esamineranno alcune esigenze poste dalla riflessione filosofica per poi evidenziare le proposte pedagogiche emerse nei contesti anglofoni negli ultimi de- 30 cenni. Si proporrà quindi una prima pista di possibile sviluppo curricolare per poi delineare una proposta di ulteriore indagine e sperimentazione. Un modello curricolare implica una definizione più articolata delle finalità da porre come caposaldo di una offerta formativa a partire dalla generica affermazione di legge e dal quadro delineato nel profilo educativo, culturale e professionale. Ciò consente di prefigurare una serie di attività formative che in linea di principio sem- brino atte a condurre progressivamente verso le finalità individuate. È un percorso di programmazione che si può definire retrogrado, ma che implica in prima battuta una più chiara ed esplicita descrizione delle condizioni di partenza, cioè dei carat- teri di una domanda di formazione presente al termine della scuola secondaria di primo grado e in genere all’inizio dei percorsi di istruzione e formazione professio- nale. A questo fine un utile strumento di lavoro sarebbe la costruzione di uno stru- mento di rilevazione della situazione all’inizio di tali percorsi. Nel passato è stato elaborato un questionario di rilevazione delle strategie di apprendimento disponi- bili, ma tale questionario non è stato declinato per rilevare la condizione esistente circa lo stadio di sviluppo delle dimensioni spirituali e morali, almeno dal punto di vista di un generale stato di preparazione. Non credo sia possibile ipotizzare molto di più di un insieme di attività forma- tive e di articolazioni del campo di intervento educativo. Il cammino è in gran parte di natura personale e quindi la questione centrale sta nel proporre spazi e tempi in cui si possano attuare esperienze che sollecitano la riflessione e la presa di consa- pevolezza di elementi fondamentali dello sviluppo della propria identità e del pro- prio progetto esistenziale. 8. L’approccio metodologico proposto: valorizzare la metafora “comunità di pratica” Il costrutto concettuale di “comunità di pratica” è stato coniato alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso da Etienne Wenger e da Jean Lave sulla base dei loro studi sull’apprendistato. Partire dall’apprendistato è essenziale per molti versi. In primo luogo nella tradizione aristotelica l’acquisizione di competenze nella pratica, anche in quella morale, deriva dall’esercizio pratico, guidato da un esperto. In se- condo luogo la rilettura di Aladsair MacIntyre metteva in risalto il ruolo della comu- nità nel sollecitare, guidare e sostenere lo sviluppo morale delle giovani generazio- ni. Wenger e Lave hanno messo in discussione l’assunto consolidato nelle credenze di senso comune secondo cui l’apprendistato si fonderebbe su una relazione specia- le tra esperto e principiante (maestro e allievo) e hanno messo in evidenza il fatto che l’apprendimento graduale di una competenza si basa su un processo sociale di partecipazione a una pratica che configura un insieme complesso di relazioni tra il principiante e gli altri membri del gruppo, tra il principiante e la pratica, tra il prin- cipiante e la cultura del gruppo. Il concetto di “comunità di pratica” emerge da que- 31 ste indagini come una teoria sociale e situata dell’apprendimento nella quale gioca- no un ruolo fondamentale le nozioni di apprendimento, di significato e di identità35. Wenger in una intervista del 2006 descrive il suo cammino. Partirei da un antefatto. La prima intenzione, mia e di Jean Lave, era quella di svilup- pare nuovi modelli di apprendimento. […] Abbiamo concentrato la nostra attenzione sul- l’apprendistato perché ci sembrava un modello antico, consolidato e che ha funzionato bene per molto tempo. Quello dell’apprendistato è un modello diverso dall’apprendimen- to scolastico: secondo quest’ultimo il sapere si trasmette meglio in un ambiente specializ- zato, che ottimizza la trasmissione dell’informazione. Quello che conta invece nell’ap- prendistato è il rapporto speciale che si crea fra l’apprendista e il lavoratore esperto che lo segue. Quello che abbiamo notato è che la relazione con l’esperto è solo un aspetto del- l’apprendistato. In effetti, nell’apprendistato, c’è un intero gruppo di persone – apprendi- sti, operai di diversi livelli e con differenti mansioni – che ruota intorno al lavoratore esperto. Così, l’apprendimento assomiglia a una sorta di viaggio sociale attraverso il gruppo, un viaggio in cui la partecipazione inizia molto presto, evolvendosi con il passare del tempo verso la creazione di quella che possiamo chiamare una “comunità di pratica”. E nella misura in cui ogni apprendista impara tramite la partecipazione alla pratica, si for- ma anche come persona. Non solo impara qualcosa, non solo acquisisce informazioni. L’apprendista entra a fare parte di una comunità. Diventa una persona differente con una diversa relazione con il mondo e con la comunità. Man mano che apprende, si trasforma anche la sua identità. Non acquisisce solo un certo numero di informazioni o di competen- ze, ma un nuovo modo di dare senso alla sua esperienza e di vivere il suo lavoro. Il costrutto “comunità di pratica” rimanda al concetto di comunità. A questo proposito Wenger così precisa. A volte il termine “comunità” ha una specie di connotazione romantica che rinvia a un’idea di “paradiso” o di “pace”. Non sono queste le accezioni in cui il termine “comu- nità” viene usato in questa sede. In genere si parla di comunità di pratica quando si parla di individui che condividono una pratica. Questo non implica necessariamente amore o armonia. Di solito, le comunità di successo hanno al loro interno dei conflitti, conten- gono delle differenze. […] …dovremmo presumere che non tanto l’armonia, quanto l’in- tesa costituisca il fondamento di una comunità. Ma anche le intese troppo facili possono essere pericolose: uno dei rischi, infatti, delle comunità con un livello di intesa molto alto, è che diminuisca la dialettica interna, il che facilmente porta al declino della comu- nità stessa. Quindi, in realtà, una comunità che funziona non è necessariamente una co- munità armonica, nel senso più superficiale del termine. Sono gli scontri a sviluppare maggior apertura, e a produrre maggior comprensione e quindi apprendimento. Benché a volte la parola “comunità” connoti un ambiente privo di rapporti di potere, in realtà questi rapporti ci sono. […]…che però, nella maggior parte delle comunità, non corri- spondono a relazioni di controllo del risultato. Nel senso che non c’è un potere dato dalla posizione. Quello che ti dà potere all’interno di una collettività non è una posizione che ti viene assegnata, ma è la tua capacità professionale e il modo in cui sai contribuire alle at- tività. Credo che questa sia una distinzione fondamentale da fare. 35 WENGER E., Comunità di pratica, Milano, Cortina, 2006. L’originale è stato pubblicato nel 1998. Negli anni successivi Wenger rilegge il concetto di “comunità di pratica” come schema utile a incoraggiare, nelle organizzazioni, la sua “coltivazione”. Di qui il volume Cultivating Communities of Practice scritto insieme a R. McDermatt e W. M. Snyder e pubblicato nel 2002. 32 Parlando di come le differenti comunità si relazionano al potere, credo sia necessario fare una distinzione tra due tipi di potere. C’è il potere dato dalla posizione che si rag- giunge quando si viene assegnati a un gruppo inserito in una gerarchia. E questo è un primo tipo di potere. Ma c’è anche quello che io chiamo il potere della “voce”, ovvero la capacità di farsi ascoltare. […] L’idea di “comunità” crea il senso di ciò che si vuole rea- lizzare. Ma guadagnare la fiducia delle persone, farle parlare dei problemi reali e con- frontarsi, può essere difficile e può creare dei conflitti. Bisogna chiedere alle persone cosa fanno nel loro lavoro. Bisognerebbe fare uno sforzo per stabilire una connessione, una relazione tra persone che si relazionano in maniera differente all’interno dell’orga- nizzazione. La comunità di lavoro dice: “Questo è un posto dove si impara”. Ma dovrai ottenere abbastanza fiducia perché le persone comincino a parlare dei propri problemi in maniera reale, e non nel modo in cui sarebbe meglio presentarli al cospetto dei propri su- periori (gli stessi che, a fine anno, dovranno valutare le loro prestazioni). Riferendosi poi alle più recenti riflessioni sulla realtà viva delle diverse orga- nizzazioni e alla possibilità di promuovere e sostenere comunità di pratica, Wenger ha precisato: Il termine “comunità di pratica” fu coniato nel 1987, ma il concetto si riferisce a un processo antico, qualcosa che gli esseri umani hanno messo in atto fin dall’inizio della storia umana. Quindi, quello di cui stiamo parlando non è un’idea piccola o superficiale. […] Se qualcuno ha l’idea di “coltivare” delle comunità professionali all’interno delle organizzazioni, la prima cosa che deve ammettere è che le comunità già esistono. […] Quindi, ciò che è realmente importante è riconoscere che ci sono già delle comunità di pratica all’interno delle organizzazioni. Potrebbero essere funzionanti o meno, ma proba- bilmente sono già operative. Ci sono delle cose che un’organizzazione può fare per cam- biare effettivamente le relazioni tra l’organizzazione e la comunità di pratica. E in alcuni casi, ci sono cose che un’organizzazione può fare e che disturbano la comunità di pratica. Tuttavia bisogna essere cauti sul significato effettivo dell’espressione “coltivare una comunità di pratica”. Il coltivatore crea le condizioni in cui la pianta può crescere. Ma è la pianta che fa il lavoro. Se sei un coltivatore, ti devi assicurare che la terra sia arata bene, che la pianta riceva abbastanza sole, che ci sia abbastanza acqua, e così via. Ma non stiracchi le piante per farle crescere più in fretta. Non le tiri fuori per dare uno sguardo alle radici. Questa sarebbe decisamente una cattiva idea. Insomma, le comunità sono delicate, esattamente come le piante – il tasso di mortalità delle comunità di pratica è molto alto – soprattutto quando sono coltivate artificialmente. […] anche se le comunità esistono da tempo, per avere un inizio ufficiale, un’orga- nizzazione deve riconoscere o “coltivare” le comunità professionali. Per fare questo, ci vuole una mano esperta e delicata. Non si può dare inizio a una comunità di pratica nel modo in cui si avvierebbe una squadra, un gruppo di lavoro o una qualsiasi altra compo- nente formale dell’organizzazione. Bisogna tener conto delle identità dei singoli. Se cal- pestate, le persone smettono di impegnarsi. Quello che rende possibile il funzionamento di una comunità è la sensazione che i dipendenti hanno di rimanere connessi a ciò che sono. Sappiamo bene che le nostre organizzazioni non sono molto brave in questo; piut- tosto, paradossalmente, corrono nella direzione opposta. Quindi ci vorrebbe una vera e propria trasformazione del rapporto tra l’organizzazione e i dipendenti, creando un am- biente in cui possano parlare francamente dei problemi che incontrano al lavoro, un “luogo” in cui, in quanto portatori di conoscenza, si sentano liberi di essere se stessi. In breve, il discorso della “coltivazione” suggerisce l’idea che dobbiamo creare delle condi- zioni per cui la comunità possa fiorire, ma lasciando che sia la comunità stessa a curare la propria crescita e il proprio sviluppo. 33 A partire da questi concetti e da queste prospettive è possibile rileggere anche l’impostazione di una istituzione formativa che intende promuovere la crescita e la maturazione di tutta la persona del cittadino e del lavoratore. Naturalmente occorre rileggere il concetto stesso di pratica, e ciò sarà fatto puntualmente sia per quanto concerna la dimensione spirituale, sia per quanto riguarda la dimensione morale o del carattere. Contemporaneamente, andrà rivisitata la nozione di comunità inter- pretandola come comunità di allievi in formazione e di formatori, comunità aperta al mondo del lavoro e delle imprese, al mondo sociale e civile, al mondo delle fa- miglie e degli ambienti culturali e religiosi di appartenenza. Il concetto di comunità nel contesto di un ambiente formativo viene assunto come sinonimo spazio culturale e vitale nel quale si sviluppa una conversazione educativa che si protrae nel tempo, i cui interlocutori rimangono sufficientemente stabili e che coinvolgono rapporti interpersonali diretti. Possiamo riflettere su al- cune caratteristiche proprie di tale spazio di interscambio educativo da tre punti di vista: conoscitivo e culturale; affettivo e relazionale; motivazionale, valoriale e comportamentale. Dal punto di vista conoscitivo è utile ripercorrere alcune delle problematiche che al tempo di Platone erano assai vive e che possono aiutare anche oggi a com- prendere l’importanza del contesto di vita comunitario. Nei suoi dialoghi, in parti- colare nella Repubblica, Platone critica fortemente le modalità educative che erano prevalse fino ad allora. Esse erano centrate sull’apprendimento a memoria di testi poetici classici e in particolare dei poemi omerici, che divenivano riferimento co- stante per l’identificazione di modelli di vita e di comportamento. Al concetto di educazione di tipo riproduttivo Platone contrappone un modello educativo centrato sulla ricerca appassionata del vero e del bene. Questa ricerca la si può condurre solo attraverso le forme del pensiero dialettico, della discussione argomentativa, della conquista delle idee fondanti la comprensione del vero e del bene e delle sue articolazioni. La comunità educativa ideale, dunque, è quella nella quale si ricerca insieme mediante il dialogo, la discussione, l’argomentazione dialettica, quali siano le vie della verità e si giunge a cogliere il bene e a godere il bello. Questo orientamento è oggi ripreso dagli apporti della ricerca pedagogica che si ispira a varie forme di costruttivismo sociale, basato in particolare sulla valorizzazione dei conflitti co- gnitivi e sociocognitivi. Lo slogan spesso valorizzato è «discutendo si impara». Sia L.S. Vygotskij, sia J. Bruner, come spesso ricordato, hanno evidenziato anche il ruolo di ingresso in un mondo culturale, di promozione di forme di razionalità, di costruzione e condivisione di significati che tali conversazioni assumono, sia quando si tratti di sviluppi argomentativi, sia quando ci si concentri su forme nar- rative. Sul piano affettivo e relazionale il ruolo di una comunità è in primo luogo quello di iniziazione alle pratiche che promuovono competenze relazionali e sociali e sollecitano forme di alfabetizzazione affettiva. Una comunità viene a costituirsi 34 come tale non tanto e non solo per forme di condivisione culturale, quanto e speci- ficatamente per il tipo di rapporti interpersonali e sociali promosso. Sul piano motivazionale, valoriale e comportamentale occorre ripercorrere la prospettiva aristotelica, poi sviluppata ulteriormente da Tommaso d’Aquino, che centrava l’educazione sulla formazione di un carattere virtuoso. Ma la genesi delle virtù e la relativa educazione morale non sono possibili in contesti sociali contrad- dittori. Occorre che l’educando sperimenti e si eserciti nella virtù in un contesto co- munitario umano unificato da una concezione della vita buona, da una “visione”, da proprie storie che fanno rivivere gli eventi che hanno fondato la comunità e ne hanno definito l’identità, da una tradizione vivente che mette a confronto gli ideali tramandati con le nuove situazioni. 35 Seconda parte La dimensione spirituale Questa seconda parte dell’indagine è dedicata principalmente a esplorare la dimensione spirituale dell’educazione. Per far questo verranno presi in considera- zione in primo luogo i numerosi contributi che in questi ultimi anni sono stati pub- blicati in ambito psicologico su tale argomento, anche da parte di studiosi per nulla aperti a considerare una realtà spirituale profonda delle persone, come Ho- ward Gardner. In particolare, la corrente psicologica che generalmente è denomi- nata “positiva” ha messo in risalto la centralità nella cura preventiva delle per- sone, in particolare dei giovani, di prendere in considerazione le dimensioni della personalità che possono essere in qualche modo ricondotte alla nozione di spiri- tualità. Nella prima parte di questa ricerca è già stata citata dal punto di vista pe- dagogico la posizione di Nel Noddings circa la rilevanza della felicità, e più mode- stamente del bene-essere personale, nella crescita delle persone umane. Qui mette- remo in particolare evidenza il bisogno di dare senso e prospettiva alla propria vi- cenda esistenziale e alle attività e relazioni che ci coinvolgono quotidianamente. La centralità della prospettiva di senso è stata sottolineata nel contesto della for- mazione degli adulti da parte di Jack Mezirow, ma essa è ben presente in molti altri contributi come quelli di Mihalyi Csikszentmihalyi sulle esperienze ottimali o di flusso nell’azione. A partire da questa base di conoscenze è possibile approfon- dire da un punto di vista teorico e metodologico il problema della formazione della dimensione spirituale dei giovani presenti nelle istituzioni formative, ricordando il condizionamento posto dalla loro plurale provenienza culturale, linguistica e reli- giosa. 1. Contributi di natura psicologica: la posizione di H. Gardner H. Gardner, nell’esaminare le varie forme di intelligenza, ha rilevato l’impor- tanza di prendere in considerazione nel suo quadro delle intelligenze multiple al- meno un aspetto della spiritualità: il pensiero esistenziale. «L’intelligenza esisten- ziale implica nell’uomo la capacità di rivolgere e ponderare grandi interrogativi: “Chi siamo? Perché esistiamo? A che cosa siamo destinati? Perché moriamo? Qual è, infine, la ragione di tutto?”. In ogni parte del mondo, bambini e adulti si pon- gono queste domande, e molti “sistemi di simboli” – religiosi, artistici, mitologici e 36 filosofici – sono nati nel tentativo di rispondervi (o perlomeno di formularle) nel modo più convincente. Questa intelligenza è conforme ai criteri psicologici e biolo- gici che possono identificarla come tale. Per esempio, l’intelligenza esistenziale si è evoluta in modo caratteristico su tutto il pianeta: ovunque si sono sviluppati di- versi sistemi di simboli capaci di cogliere le ansie e gli interrogativi salienti dell’e- sistenza»1. Gardner è poco incline a riconoscere la realtà spirituale dell’uomo. Egli nel 1999 scriveva: “Io sono un materialista; credo che tutto ciò che avviene nella mente sia prodotto dal cervello anche se, per precisare il mio pensiero, preferirei aggiungere che è prodotto da un cervello situato nel corpo umano che si sviluppa in un ambiente umano in perenne cambiamento. Personalmente respingo ogni spirito etereo, ogni comunicazione extrasensoriale e tutti gli esseri misteriosi, siano essi angeli o demoni”2. Tuttavia, anche per sollecitazione di colleghi autorevoli di orien- tamenti diversi ha descritto nei dettagli come è stato costretto a riconoscere una qualche forma di intelligenza spirituale, cha ha denominato intelligenza esisten- ziale. Ecco alcuni passi del suo resoconto, dettagliatamente contenuto in una tradu- zione italiana del 19993. Per agevolare la lettura ho eliminato le numerose citazioni dell’Autore. Queste possono essere facilmente recuperate utilizzando il testo origi- nale nella sua completezza. Le varietà di vita spirituale […] Devo iniziare dall’ammissione che qualsiasi discussione sullo spirito – conside- rato come vita spirituale, capacità spirituale, sentimento spirituale, inclinazione per la re- ligione, misticismo, trascendente – è controversa in ambito scientifico, se non addirittura estranea al mondo accademico. Linguaggio, musica, spazio, natura, anche la compren- sione degli altri, tutto appare relativamente senza problemi in confronto. Molte persone – me compreso – non riconoscono lo spirito come noi riconosciamo la mente e il corpo; e molte persone – me compreso – non attribuiscono al trascendente o allo spirituale lo stesso status ontologico che invece conferiscono, per esempio, alla ma- tematica o alla musica. […] Purtroppo la mancanza di convinzione personale da parte della comunità dei ricercatori porta a non considerare seriamente il fenomeno. Di conse- guenza ci confrontiamo con una situazione sfortunata in cui la stragrande maggioranza degli studiosi in scienze biologiche e cognitive evita le questioni di natura spirituale, consegnando così questo ambito principalmente ai veri credenti e ai ciarlatani. Comunque una decisione a priori di eliminare da qualsiasi considerazione l’intelli- genza spirituale non è più giustificabile di una decisione che la ammetta per decreto o per fede. Non è facile decidere in questo campo. Dopotutto, una volta inserita la conoscenza della sfera personale all’interno di uno studio dell’intelligenza molte attitudini umane 1 GARDNER H., Cambiare idee. L’arte e la scienza della persuasione, Milano, Feltrinelli, 2005, 53. 2 GARDNER H., Sapere per comprendere. Discipline di studio e disciplina della mente, Milano Feltrinelli, 1999, 79. 3 Cfr. GARDNER H., Esistono altre intelligenze? Il caso delle intelligenze naturalistica, spirituale ed esistenziale, in VIANELLO R., CORNOLDI C., Intelligenze multiple in una società multiculturale: Ri- cerche e proposte di intervento. Congresso Internazionale CNIS, Bergamo, Junior, 2003, 7-26. 37 come quella spirituale devono essere considerate più legittimamente. Inoltre, non tutte le intelligenze si servono con la stessa precisione del significato che l’espressione “sbattere contro un macigno” ha nel Dr. Johnson; se il regno astratto della matematica costituisce una ragionevole area di intelligenza (e pochi potrebbero sfidare questo giudizio), perché non può essere lo stesso per il regno astratto dello spirituale? Assumiamo, allora, che sia ragionevole almeno indagare circa una possibile intelli- genza spirituale, o un insieme di intelligenze correlate con lo spirituale. Quali sono al- cune delle capacità o tratti che vengono evocati quando si entra nel regno dello spiri- tuale? Per un’analisi iniziale di quest’area proporrei di considerare tre diversi significati di spirituale. Proseguo proponendo che molta confusione si crea quando queste varianti vengono scambiate una con l’altra; e che in termini di attuali definizioni e criteri, solo una di queste può avanzare la richiesta formale per essere definita un’intelligenza. Spirituale inteso come problema cosmico o questione esistenziale Il primo tipo di spiritualità riflette il desiderio di capire le molte e molte esperienze e quelle entità cosmiche non facilmente comprensibili in senso materiale ma che tuttavia appaiono, per una qualche ragione, come importanti per gli esseri umani. Se come esseri umani possiamo interagire con il mondo della natura, possiamo metterci altrettanto in re- lazione con il mondo del sopra-naturale – che va dall’universo che si estende al di là di ciò che possiamo percepire direttamente, al mistero della nostra personale esistenza e a quelle esperienze di vita oltre la morte che trascendono le esperienze in cui ci imbattiamo solitamente. E, inoltre, mitologia, religione e arte da sempre hanno riflesso gli sforzi di una parte dell’umanità che comprendevano le domande universali, i misteri e i significati ultimi della vita: Chi siamo? Da dove veniamo? Che cosa ha in serbo per noi il futuro? Perché esistiamo? Qual è il senso della vita, dell’amore, delle perdite tragiche, della morte? Qual è la natura dei nostri rapporti con tutto il mondo, e come immaginiamo di poter comprendere i nostri dei o il nostro Dio? Mentre gli esseri umani si scervellano da soli in merito a queste domande o ne discu- tono informalmente con i propri vcini, molti sistemi organizzati, che si occupano di questi specifici contenuti, sono stati costruiti nell’arco dei vari secoli. Così, in ogni cul- tura, un individuo può decidere se adottare un codice di saperi già esistente o un insieme di credenze che hanno come soggetto i contenuti sulle problematiche fondamentali del- l’uomo. È utile distinguere fra l’adozione di una versione tradizionale della conoscenza spirituale e la creazione di un personale insieme di idee in ambito spirituale. […] Spirituale come raggiungimento di uno stato di coscienza Considerando ogni intelligenza è pertinente distinguere fra due classici significati del sapere: conoscere come (know-how) e conoscere cosa (know-that). Per le altre intelli- genze, questa distinzione è chiara perché il “contenuto” di una intelligenza è evidente (per esempio spartiti musicali, costruzioni spaziali) ed è ugualmente chiaro che le per- sone differiscono nelle loro abilità o nel “know-how”, cioè nelle prestazioni. Quando si considera il regno dello spirituale, comunque, le due forme del sapere de- vono essere distinte con più attenzione una dall’altra. Il nostro primo senso dello spiri- tuale tenta di delineare quei campi di esperienza, quelle parti di esistenza che le persone cercano di comprendere. Inoltre, molte società riconoscono anche l’esistenza di abilità nel raggiungere particolari stati psicologici, sottoponendosi ad esperienze fenomenali che meritano l’aggettivo “spirituale”. All’interno di queste società esiste il ragionevole consenso al possesso del “know- how”; alcune persone sono semplicemente più portate delle altre per la meditazione o il 38 raggiungimento di stati di trance, nell’immaginare il trascendente, essendo o entrando in contatto con fenomeni psichici o spirituali o noetici. In realtà potrebbero esserci partico- lari stati cerebrali e psicologici correlati con il raggiungimento di tali alterazioni della co- scienza. Tali ruoli culturali come il mistico, lo yogi, il meditatore, denotano individui la cui abilità nel raggiungere questi stati – e forse, l’incapacità altrui a raggiungerli – è rag- guardevole. In merito a questa seconda variante della spiritualità, si potrebbe ripristinare una di- stinzione introdotta in precedenza. È possibile raggiungere uno stato di raccoglimento spirituale seguendo una strada tradizionale – per esempio eseguendo una serie di esercizi suggeriti da un particolare sacerdote o mistico o guru –. Ma è anche possibile raggiun- gere un così elaborato stato attraverso una forma di controllo di coscienza più personaliz- zata, o attraverso gli stimoli di particolari sostanze (ad es. droghe allucinogene) o espe- rienze sensoriali (per es. l’ascolto di musica o una scalata in montagna). Un osservatore prudente potrebbe a questo punto proprio dire che è plausibile pen- sare ad un “talento nel raggiungere certi stati mentali” compreso all’interno del campo dell’analisi scientifica. Seguendo questa linea argomentativa si potrebbe creare l’aspetto “ginnico” del controllo degli stati mentali vedendolo come sottospecie dell’intelligenza corporeo-cinestesica. Dove il credente o il portavoce della spiritualità aggrottano le sopracciglia è nella fre- quente rivendicazione che lo spirituale guida all’incontro con la verità ultima. Non è sol- tanto il caso – come alcuni potrebbero ribattere, l’indiscusso caso – che gli individui ne- cessitano di porsi con rispetto davanti all’universo e all’infinitesimo; neppure che questi stati di coscienza sono desiderati universalmente. Piuttosto, gli entusiasti affermano che esiste uno specifico contenuto – una verità spirituale – al quale solo alcuni, o solo coloro che hanno seguito un certo percorso, possono aver accesso. Questo pendio sdrucciole- vole conduce, sempre troppo spesso, a credere che il mondo possa essere diviso fra co- loro che hanno le carte in regola con lo spirituale, o la religione, o la metafisica e coloro che non sono qualificati. Per di più, mentre si può misurare il conseguimento di stati alte- rati di coscienza, non c’è misurazione oggettiva per il raggiungimento dello Stato di Ve- rità Spirituale. Ci siamo spostati dal regno dell’intelligenza inoltrandoci nelle sfere del dogma o della dossologia. Studiandole da una prospettiva particolare, queste due forme del sapere – interesse per una certa serie di contenuti, insegnare l’arte di alterare la propria coscienza – possono essere viste come utilizzi della mente, considerando tali scopi profondi o frivoli, ispirati o deviati. Ma per molti tale cognitivizzazione della sfera spirituale si rivela di per sé pro- blematica. Per tali interessati osservatori, l’essenza dello spirito è vista come primaria- mente fenomenologica – il raggiungimento di alcuni stati della coscienza cioè quelli che sono stati chiamati “sentimento di abbandono” – e non come un campo che coinvolga ogni genere di problem-solving o di produzione di tipo cognitivo. Di conseguenza, la spi- ritualità prevede di poter essere pensata come un tratto primariamente emotivo o affettivo della personalità – un sentimento di un certo potere o intensità – e perciò, di nuovo, al di sotto dei confini della speculazione cognitiva. Spirituale come effetto sugli altri Anche una terza varietà di spirituale viene spesso sottolineata. Alcune persone – Madre Teresa, Papa Giovanni XXIII, Pablo Casals, sono tre notevolissimi esempi – sono spesso considerate carismatiche in senso spirituale a causa degli effetti che esse chiara- mente esercitano sugli altri individui. A causa delle loro attività e, forse anche di più, a causa del loro modo di essere puri, questi individui colpiscono coloro con i quali entrano in contatto. Conoscere la vita di Madre Teresa di Calcutta, ricevere la benedizione da 39 Papa Giovanni, ascoltare Casals che suona le fughe di Bach, spinge molte persone a sen- tire in modo diverso, più completamente, più in accordo con sé stessi, con il loro Dio, con l’universo. E sebbene io preferisca citare esempi positivi di questo fenomeno mi si deve concedere che anche Adolph Hitler ebbe questo effetto su molti dei suoi compa- trioti. Tutti e tre questi significati dello spirituale possono essere evidenziati. In taluni casi, queste persone spiritualmente reali condurranno gli individui verso l’esplorazione di que- stioni cosmiche. In altri casi, una di queste causerà il raggiungimento da parte di altri in- dividui di uno stato di alterazione della coscienza. Alla fine, in pochi casi, ci sarà un con- tagio a causa del quale l’individuo influenzato da una individualità spirituale, per mezzo di una spiritualità riflessa, influenzerà a sua volta altri individui. Infatti, molte religioni si sono diffuse tramite solamente un processo carismatico iterativo. I grandi leader religiosi, come Buddha, Cristo, Santa Giovanna o Confucio, sono spesso visti come persone che hanno raggiunto un livello di coscienza, una comunione con il resto del mondo, un ridimensionamento del Sé, che rappresenta una esistenza spi- rituale esemplare. Chiaramente, è l’aspettativa di raggiungere tale stato che motiva mi- lioni di individui, riflettendo la gamma di culture per sforzarsi di raggiungere uno stato di spiritualità o per innalzare gli aspetti spirituali della propria persona. Senza dubbio certi individui, come quelli già nominati e anche altri meno conosciuti trasudano un sentimento di spiritualità - la convinzione di essere in contatto con l’uni- verso e una capacità concomitante a far sì che coloro che li circondano sentano che essi stessi sono stati a loro volta toccati, e si sentano più parte di un tutto, più se stessi, in una relazione intensificata con il trascendente. Qualunque sia il meccanismo – e il termine carisma lo esprime al meglio – questo “contatto con lo spirituale” costituisce un ingre- diente importante nel trasmettere agli individui lo scopo della loro ricerca e, forse ugual- mente importante, come ognuno possa imboccare il giusto cammino. Ma qualsiasi potere intellettuale possa essere riflesso nei traguardi raggiunti da un Buddha o da un Cristo, sembra chiaro alla maggior parte degli studiosi che le formule “pro-blem-solving” o “produzione” non sono descrizioni appropriate. Il raggiungimento di un certo stato di co- scienza costituisce una descrizione più convincente. Il mio breve “excursus” conferma che le “parole e gli esempi dello spirito” possono coprire una moltitudine di capacità, inclinazioni, e imprese umane – almeno alcune di esse – cadono ben al di fuori del progetto di definizione delle intelligenze umane aggiun- tive. Tanto per cominciare, la mia definizione di intelligenza è stata deliberatamente posta in termini amorali: nessuna intelligenza è di per se stessa morale o immorale e qualsiasi intelligenza può essere impiegata per scopi a favore del sociale o antisociali. Così, non è valida per delineare nessuna particolare forma di spiritualità appropriata o meno, sulla base di coerenza con qualche tipo di codice morale. Come l’intelligenza per- sonale non può essere né allineata a o limitata da un particolare sistema politico o so- ciale, così il conseguimento di uno specifico insieme di convinzioni o un ruolo specifico all’interno di una religione organizzata non possono essere giudicati come la dimostra- zione di una particolare intelligenza. Allo stesso modo, il raggiungimento di particolari stati fenomenici non dovrebbe qualificare un individuo come esprimente o non capace di esprimere e realizzare una par- ticolare intelligenza. Una persona può mostrare un’elevata intelligenza musicale o mate- matica malgrado l’assenza di raggiungimento di qualsiasi stato cognitivo o affettivo; si- milmente, la pretesa che uno “pensa matematicamente” o “sente la musica” non ha signi- ficato, a meno che l’individuo possa dimostrare certe capacità di risolvere problemi o di costruire prodotti. In definitiva, anche se la capacità di influenzare gli altri può indicare un modo effi- 40 cace di provocare nell’altro un’intelligenza, essa non costituisce, strettamente parlando, un esempio di intelligenza. Io potrei essere in grado di stimolare lo sviluppo di compren- sioni interpersonali negli altri, semplicemente comportandomi in modi imprevedibili o antisociali, senza che io stesso possegga o esibisca una intelligenza interpersonale. Al contrario, io potrei possedere un’intelligenza matematica fuori dal comune senza per questo avere l’abilità di aiutare nessun altro nella sfera matematica. La mia definizione di intelligenza è eccessivamente sfruttata se ci si aspetta di racchiudere un effetto (o man- canza di effetto) di un individuo sugli altri. Non appena io penso alla possibilità di un’intelligenza spirituale, sono colpito dalla natura problematica dei “contenuti” dell’intelligenza spirituale; dai suoi aspetti affettivi e fenomenologici possibilmente definibili; dalle sue richieste spesso privilegiate ma non fondate rispetto ai veri valori; dal fatto che potrebbero parzialmente aver bisogno di es- sere identificate in virtù del suo effetto sulle altre persone. Nel tentativo di considerare questa importante sfera della vita mi sento più a mio agio nel parlare di un potenziale da impiegare nel pensare ad aspetti cosmici, che possono es- sere motivati dal dolore, da capacità personali o da esperienze estetiche, e/o dalla vita in una società che fa emergere quella particolare forma di pensiero od esperienza. Io sarei proprio ingenuo se non ammettessi di essere a volte allarmato dalla prospettiva di essere assimilato ai molti pazzi o ciarlatani che invocano la spiritualità come se essa fosse un dato di fatto, o una verità conosciuta, piuttosto che un fenomeno tremendamente com- plesso che richiede un’analisi accurata. Nondimeno, se applicato troppo aggressivamente, un tale esercizio critico rischia l’e- liminazione prematura di un insieme di abilità umane che potrebbero beneficiare di con- siderazione in termini di teoria dell’intelligenza umana. Sembra più opportuno indivi- duare quell’area di spiritualità che sembra più vicina “nello spirito” alle altre intelligenze e poi, in modo analogo a quanto fatto per l’intelligenza naturalistica, assicurarsi di come risulti questa intelligenza candidata. Nel fare ciò, credo sia meglio accantonare il termine “spirituale” con le sue connota- zioni manifeste, e parlare invece di una intelligenza che esplora la natura dell’esistenza nei suoi aspetti multiformi. Con questa nuova decisone, una relazione esplicita con argo- menti spirituali o religiosi sarebbe una variante - spesso quella più importante - di un’in- telligenza esistenziale. Intelligenza esistenziale e gli otto criteri In ciò che segue, focalizzo le mie riflessioni sull’intelligenza esistenziale – la capa- cità di preoccuparsi di contenuti “ultimi” –. Agisco in questo modo perché quest’aspetto dello spirituale sembra senz’ombra di ambiguità il più cognitivo come natura e perché impedisce quegli aspetti che, secondo la mia definizione, non sono pertinenti ad alcuna considerazione di intelligenza. Se questa forma si rende adatta, allora si può legittima- mente parlare di intelligenza esistenziale; altrimenti ulteriori considerazioni riguardanti la sfera della spiritualità sembrano controindicate. Ritornando alla discussione precedente, iniziamo proponendo un nucleo centrale di abilità per la nostra candidata intelligenza esistenziale. L’abilità principale sta nella capa- cità di collocare se stessi in relazione ai limiti del cosmo – l’infinito non meno dell’infi- nitesimale – e la correlata capacità di collocarsi in relazione alle caratteristiche più esi- stenziali della condizione umana - il significato della vita, quello della morte, l’ultimo destino dei mondi fisico e psicologico, esperienze così profonde come l’amore per un altro essere umano o l’immersione totale in un’opera d’arte. Si noti che non esiste qui condizione per raggiungere una verità definitiva, non più della spiegazione che l’intelli- genza musicale deve produrre o preferire certi tipi di musica. Piuttosto, esiste un poten- 41 ziale – o capacità – di impegnarsi in relazioni trascendenti che possono essere scelte e preferite in certe particolari circostanze. Sembrerebbe evidente che questa capacità è stata valutata in ogni cultura umana co- nosciuta. Le culture escogitano sistemi religiosi, mistici o metafisici per occuparsi di questi argomenti; e sia in tempi attuali che in scenari lontani nei secoli, i lavori e sistemi estetici, filosofici e scientifici parlano a questo insieme di necessità umane. Molti dei più importanti e più duraturi sistemi di simboli (come quelli che ritroviamo nella liturgia Cattolica) rappresentano cristallizzazioni di idee chiave ed esperienze che si sono evolute all’interno di queste istituzioni. Oltre a ciò, in ciascuno di questi sistemi culturalmente ideati si possono identificare chiare tappe o livelli di sofisticazione. Si può essere un novizio in un sistema religioso, in filosofia, o nelle arti espressive; e si può avanzare da semplice operaio ad uno status di esperto […]. Più grande è la ricompensa riposta da una società su un particolare veicolo di esplo- razione ed espressione esistenziale, più altamente delineati sono i gradi sulla via dell’ec- cellenza. E ci dovrebbe essere un vasto consenso in moltissimi casi riguardo al livello di sofisticazione dimostrato da un principiante, un apprendista, uno studente impegnato. Tali valutazioni possono andare ben al di là del cognitivo, per includere aspetti dell’esi- stenza sociale, morale, od emotiva; ma quell’eclettismo può essere ugualmente vero quando si pondera l’evoluzione di un musicista, di un poeta, o persino di uno scienziato. Un insieme particolarmente intrigante di domande circonda l’identificazione, nei primi anni della sua vita, del futuro Dalai Lama (e di altri lama). Se non si crede nella reincarnazione si deve scegliere fra le ipotesi che questo individuo fosse dotato in ma- niera non usuale nella sfera spirituale/esistenziale mentre era ancora un bambino, o che la sua precoce identificazione (o qualsivoglia dimensione) conduca ad una profezia auto- determinata. […] Quando ci si inoltra verso l’approfondimento delle sfaccettature più biologiche della conoscenza esistenziale, risulta meno stringente far emergere e valutare delle prove con- vincenti. Mentre accenni di esperienze ritualistiche e simboliche emergono nei primati più evoluti e nei precursori dell’uomo moderno (come l’uomo di Neanderthal che contrasse- gna una tomba con dei fiori), espliciti rapporti esistenziali probabilmente si imposero nel- l’età della pietra. Solamente a questo punto dell’evoluzione gli esseri umani all’interno di una cultura possiedono un cervello capace di considerare le questioni cosmologiche cen- trali per l’intelligenza esistenziale. In verità, si potrebbe addirittura arrivare a suggerire che una delle maggiori attività cognitive dei primi uomini era il cercare di afferrare questi problemi esistenziali, e che la maggior parte dei primi lavori artistici di danza, mito e tea- tro trattano implicitamente o esplicitamente di temi ed argomenti cosmici. Solo con l’avvento delle religioni formali, e con la nascita della filosofia sistematica, vennero alla luce diretti resoconti linguistico-proposizionali riguardanti il contesto esi- stenziale (Miti e teatro sono meglio pensati come implicite investigazioni dell’esisten- ziale). Come il linguaggio o la lingua, l’abilità esistenziale è un tratto distintivo dell’uomo, una sfera che ci separa dalle altre specie. Possiamo unire questo tratto emergente a un senso conscio dello spazio finito e al tempo irreversibile, due promettenti luoghi per sti- molare le esplorazioni immaginative delle sfere trascendentali; o forse la consapevolezza nel suo senso più completo presuppone un rapporto con le conclusioni esistenziali. Per quanto ne so, o niente ci sono scarse, o nulle, prove relativamente alle concomi- tanti fisiologiche delle conoscenze relative agli aspetti cosmici. I dati più suggestivi pos- sono venirci dai soggetti con epilessia lobo-temporale, che presentano una gamma preve- dibile di sintomi, inclusa una manifesta iperreligiosità. Tali soggetti attribuiscono la mas- 42 sima importanza al più insignificante argomento ed esperienza, spesso utilizzandoli come punto di partenza per elaborazioni di vasti resoconti in diari introspettivi o di fantastiche ascese spirituali. È largamente risaputo che alcuni artisti, come Vincent Van Gogh e Fyodor Dostojewsky soffrivano di epilessia lobo-temporale; questi geni della creatività erano capaci di incanalare i loro sintomi e la loro sofferenza in veri e propri capolavori artistici. Naturalmente non è necessario un reale stato di malattia per un’opera creativa, sebbene esso possa orientare questo lavoro in senso più spirituale […]. Annoterei, fra parentesi, il crescente insieme di prove degli aspetti che riguardano lo spirituale/religioso. Una prova rilevante emerge sia da fonti naturali che indotte artificial- mente. Quando una persona è sottoposta ad un dolore tremendo – che può essere fisico, psichico o entrambi – si sente estraniata dal suo mondo abituale. C’è bisogno di un’in- tensa pressione per andare al di là delle consuete categorie dell’esperienza, per focaliz- zare l’attenzione di ciascuno in modo diverso (forse al di là delle sofferenze squisita- mente fisiche), per rivalutare la relazione fra mondo esterno e psichico. I pensieri che ri- guardano le questioni esistenziali possono anche essersi evoluti come risposte a traumi necessariamente avvenuti, forse come modo per ridurre il dolore o per equipaggiare gli individui alla lotta contro di esso con maggior successo. Così, in fondo, è pensabile che i contenuti ultimi abbiano un qualche significato adattivo. Per nulla sorprendentemente, gli individui hanno ricreato queste esperienze fenomeni- che trascendenti, persino in assenza del dolore come stimolo. Varie droghe, che vanno ca- talogate dalle relativamente innocue alle dichiaratamente pericolose, possono essere inge- rite a tale scopo. Anche stati religiosi possono ricreare queste esperienze, e quei mistici e guru che possono controllare i loro stati psichici sono in grado, volontariamente, di entra- re nel regno del trascendente. Il raggiungimento dell’accrescimento della coscienza come in stati di malattia, è anche, alla fine, entro il parziale controllo dello sperimentatore. Chiaramente alcuni centri cerebrali e trasmettitori neurali sono mobilitati in questi stati, sia che essi siano indotti dalla ingestione di sostanze che dal controllo della volontà. L’ultima serie di prove, raccolte da indagini psicologiche, presenta un quadro misto. Alcuni elenchi di tratti di personalità includono le dimensioni di religiosità o spiritualità, e questi strumenti producono coerenza in punteggi individuali; in verità, anche coppie di gemelli identici educati separatamente mostrano un forte legame nei punteggi relativi alla religiosità, il che suggerisce una possibile componente ereditaria di questa capacità. Rimane anche poco chiaro che cosa già è stato provato da tali strumenti e se le autodi- chiarazioni sono un indice degno di fiducia dell’intelligenza esistenziale. Forse sorprendentemente, l’intelligenza esistenziale si assicura un buon punteggio negli otto criteri; una versione “stringata” dell’intelligenza spirituale elimina alcuni degli aspetti più problematici che altrimenti avrebbero potuto invalidare la questione. La prova psicologica empirica è fin qui non definita chiaramente, ma essa di certo non invalida il costrutto della tesi. Potrebbe sembrare, allora, che mi sia rifugiato in un angolo analitico. Se definita in senso stretto questa variante di intelligenza spirituale, qui definita “esisten- ziale” può essere del tutto ammissibile; parlando più in generale, l’intelligenza spirituale non permette un giudizio nella sua definizione”. 2. Contributi di natura psicologica: R.F. Baumeister Ci sono molti segnali di interesse dei ricercatori in ambito psicologico, e in particolare nell’ambito della cosiddetta psicologia positiva che si interessa delle condizioni di bene-essere umano, per il ruolo che riveste nel raggiungimento dei 43 propri scopi e nella felicità personale e sociale, la capacità di attribuire senso e si- gnificato alla propria vicenda esistenziale e a quella della comunità in cui si vive. Nel recente Handbook of Positive Psychology4 vari contributi esaminano il ruolo della ricerca di dare senso e prospettiva alla propria esperienza di vita al fine di conseguire ciò che viene definito in generale il bene essere esistenziale e, in ma- niera più puntuale, la felicità. Questa espressione è rientrata diffusamente nelle ri- flessioni sui processi educativi anche per merito di N. Noddings, che ha pubblicato uno stimolante saggio nel 2004 su Happiness and Education5. R.F. Baumeister e K.D. Vohs6 notano come solo alla fine dell’ultimo decennio del secolo passato si sia sviluppata in maniera decisa un’attenzione circostanziata nei riguardi dell’im- portanza del dare senso e prospettiva alla propria vicenda esistenziale e dell’attri- buire valore alla propria vita, riprendendo quanto sostenuto precedentemente da Frankl e Klinger. L’opera diretta da Wong e Fry The human quest for meaning7 offre un pano- rama interessante di contributi elaborati secondo molteplici punti di vista circa il ruolo della ricerca di senso e della sua implicazione nel funzionamento psicologico delle persone. Occorre anche ricordare come negli anni Settanta, anche sulla scia della pubblicazione delle opere di Viktor Frankl, si era diffusa una certa sensibilità in merito, di cui fanno fede varie indagini basate sull’applicazione di questionari di autovalutazione. La ricerca di senso e prospettiva esistenziale è normalmente ricondotta a quella dimensione della realtà umana che viene definita spirituale. Baumeister, dopo aver esaminato i risultati di numerose ricerche8, conclude af- fermando che la ricerca di una vita ricca di senso è fondata su quattro tipologie fon- damentali di bisogni. Si tratta di quattro sistemi di motivi che guidano le persone a dare senso alle loro esistenze. Quelli che sono in grado di soddisfarli tendono a ri- ferire che le loro vite sono veramente ricche di senso, mentre coloro che non ri- escono a soddisfare uno o più di essi manifestano una notevole insoddisfazione da questo punto di vista. Una prima area concerne il bisogno di motivi e valori di riferimento. Il soddi- 4 SNYDER C.R., LOPEZ S.J., Handbook of Positive Psychology, New York, Oxford Un. Press, 2005. 5 NODDINGS N., Happiness and Education, Cambridge, Cambridge University Press, 2005 (trad. it. Educazione e felicità, Trento, Erickson). Sul concetto di felicità e sul ruolo di questo concetto nei processi psicologici e psico-pedagogici si possono consultare: Argyle M., The psychology of happi- ness, Routledge, London, 2nd Ed.; SELIGMAN M. (2002), Authentic happiness, New York, Free Press, 2002. 6 BAUMEISTER R.F., VOHS K.D., The Pursuit of Meaningfulness in Life, in R. SNYDER, LOPEZ S.J., Handbook of positive psychology, New York, Oxford Un. Press, 2005, 608-618. Di Baumeister si pos- sono citare anche il volume Meanings of life (New York, Guilford, 1991) e l’articolo scritto insieme a WILSON B., Life stories and the four needs for meaning, in «Psychological Inquiry», 1996, vol. 7, 322-325. 7 WONG P.T.P., FRY P.S., The human quest for meaning, Mahwah Erlbaum, 1998. 8 BAUMEISTER R.F., Meanings of life, New York, Guilford, 1991. 44 sfacimento di questo bisogno origina un senso di benessere o di positività per la propria vita e giustifica gli sviluppi del proprio agire. La presenza di motivi e valori abilita i soggetti a decidere se certi atti sono giusti o sbagliati e, se si conformano le proprie azioni coerentemente, essi tendono a minimizzare sensi di colpa, ansietà, rincrescimenti, e altre forme di sofferenza morale. Occorre ricordare che motivi e valori tendono a costituirsi secondo una gerarchia, che può giungere fino a forme di astrazione tali da non aver bisogno di ulteriori giustificazioni, in quanto considerati validi in e per se stessi. Un secondo ambito di motivi riguarda il bisogno di prospettiva, in quanto gli eventi presenti acquistano significato in funzione di eventi futuri. Ciò può avvenire secondo due forme principali. La prima riguarda situazioni o risultati desiderati, ma non ancora raggiunti, e di conseguenza le attività in essere acquistano significato come mezzo per conseguirli. L’altra forma è la prospettiva di una realizzazione di sé, considerata da un punto di vista soggettivo, più che obiettivo. La vita in questo modo può essere orientata verso uno stato di realizzazione futura, come il vivere felicemente. In realtà si possono dare più livelli di prospettiva futura, fino a consi- derare una prospettiva ultima della propria esistenza, anche oltre la morte. A questi due principali bisogni vengono associati altri due bisogni in qualche modo correlati ai primi. Si tratta del bisogno di provare senso di efficacia. Se si percepisce di possedere validi e desiderabili valori e prospettive di riferimento, ma, contemporaneamente, di non essere in grado di agire efficacemente in tale dire- zione, si prova un senso profondo di sofferenza, che può portare a crisi esistenziali, anche con serie conseguenze fisiche e psichiche, in quanto ci si sente incapaci di controllare l’ambiente e perfino se stessi. È questo anche l’ambito in cui rientra il concetto di impotenza appresa o learned helplessness di Seligman. Infine, viene evidenziato un quarto bisogno, quello di autostima o di selfworth. Le persone cer- cano di trovare ragioni per pensare che esse sono buone, ricche di valore. È l’am- bito dell’autostima, base portante per molti versi anche del senso di efficacia. Le rilevazioni hanno messo in luce che la gente in genere trae motivi e signifi- cati da molte fonti esperienziali, come la famiglia, le persone amate, il lavoro, la re- ligione, i progetti personali, ecc.9. È questa anche una maniera per proteggere se stessi dalla percezione di una vita priva di senso. Se viene a mancare una di tali fonti, altre possono supplire e riuscire a colmare in maniera sufficiente i bisogni sopra ricordati. In questo quadro le ricerche successive hanno evidenziato come ai fini del benessere personale più che le circostanze oggettive è importante il modo con cui le persone percepiscono il mondo: entrano in gioco valori, obiettivi, perso- nalità e cultura10. 9 EMMONS R.A., Motives and Goals, in HOGAN R., JOHNSON J.A. (a cura di), Handbook of perso- nality psychology, San Diego, Academic Press, 1997, 495-512. 10 DINER E., LUCAS R.E., OISHI S., Subjective well-being, in SNYDER R., LOPEZ S.J., Handbook of positive psychology, New York, Oxford Un. Press, 2005, 63-73. 45 D’altra parte, occorre osservare che la percezione di una vita densa di senso non sempre è correlata a una vita felice, anche se nella maggioranza dei casi una vita felice è anche una vita ricca di senso. In contrasto, forme di disperazione esi- stenziale accompagnano la sensazione di essere privi di senso e prospettiva. In altre parole la carenza di senso rende difficile se non impossibile la felicità, mentre, al contrario, la ricchezza di senso non è garanzia di felicità. Per raggiungere quest’ul- tima sembrano necessari anche altri fattori. Infine, va anche ricordato come la sof- ferenza tende a rendere ancor più forte il bisogno di senso e di prospettiva esisten- ziale11. Dare senso alla propria esistenza spesso è un processo attivo che impegna il soggetto a rileggere o a rivalutare un evento o una serie di eventi, talora anche sco- prendo aspetti positivi in situazioni inizialmente percepite come negative. In altri casi si tratta di modificare le attribuzioni di senso agli eventi andando alla radice delle proprie prospettive di significato. Occorre, comunque, distinguere tra una at- tribuzione di senso globale, derivante un sistema di convinzioni a lungo termine o di valori personalmente assunti e una attribuzione di significato in particolari situa- zioni e contesti, comunque congruenti con quello più globale12. Quanto alle attività che favoriscono l’attribuzione di senso, la ricerca sembra concorde nel metterne in luce alcune. In particolare si insiste sull’uso della lingua, scritta e parlata, in quanto sollecita una riconsiderazione e ricomposizione dei propri pensieri e dei propri sentimenti. Ciò si rivela notevolmente importante nel caso di eventi o esperienze traumatiche: in questo caso si possono attivare collega- menti e comprensioni più profonde. Nel narrare tali situazioni è importante eviden- ziare anche il contesto e rispettare l’ordine di sviluppo degli eventi13. 3. Contributi di natura psicologica: la psicologia positiva14 Secondo Seligman (1998) gran parte delle sindromi derivanti da disturbi più o meno gravi di natura psicologica sono ora molto migliorabili e in alcuni casi addirittura guaribili. La proposta di Seligman è quella di dar vita ad un nuovo ambito che, distaccandosi dalla visione negativa della psicologia clinica, punti a 11 TAYLOR S.E., Adjustment in threatening events: A theory of cognitive adaptation, in «Ame- rican Psychologist», 1983, vol. 38, 1161-1173. 12 PARK C.L., FOLKMAN S., Meaning in the contest of stress and coping, «Review of General Psychology», 1997, n. 1, 115-144. 13 PENNEBAKER J.W., BEALL S.K., Confronting a traumatic event, «Journal of Abnormal Psycho- logy», 1986, vol. 95, 274-281. 14 Meazzini ha sviluppato in una successione di contributi sulla rivista «Psicologia e scuola» una panoramica del movimento della psicologia positiva. Abbiamo valorizzato vari passaggi di questa pa- noramica; cfr. MEAZZINI P., La psicologia positiva: un nuovo paradigma? Parte prima, «Psicologia e scuola», 2005, n. 126, 32-41; MEAZZINI P., La psicologia positiva: un nuovo paradigma? Parte se- conda, «Psicologia e scuola», 2006, n. 127, 30-39. 46 scoprire quei fattori che fanno la persona felice o perlomeno soddisfatta della vita che sta conducendo. Ne è nato il movimento della cosiddetta psicologia po- sitiva. 3.1. L’apporto della psicologia umanistica Storicamente un primo debito la psicologia positiva lo deve riconoscere a un gruppo influente di psicologi umanistici, quali Allport, Maslow e Rogers, che ave- vano fornito alla psicologia del tempo un tessuto valoriale tuttora apprezzabile ed una visione dell’uomo fondata su una filosofia nella quale erano posti in evidenza gli aspetti più positivi dell’essere umano, quali la dignità, la libertà, la spiritualità, ecc. 3.2. Un primo contributo della psicologia della salute Un secondo contributo proviene dalla psicologia della salute e dalla sua insi- stenza sul concetto di prevenzione, primaria in modo particolare. Ciò compor- tava spostarsi al di là o al di sopra del modello medico e porsi domande di estremo interesse ai fini della futura psicologia positiva. Una di queste era: “A parità di analoghe esperienze drammatiche quali sono i fattori in grado di proteg- gere alcuni soggetti, sottraendoli a disturbi psicologici più o meno pesanti, mentre altri cadono in una rete vischiosa di traumi e sindromi psicologiche?”. La risposta, come spesso succede in psicologia, non può che essere duplice. Una di natura genetica o innatistica, l’altra connessa a fattori cosiddetti di resilienza che sembrano proteggere alcuni bambini (e adulti) e permettere loro di pervenire ad una forma accettabile di adattamento alle avversità. È grazie a questo forte nu- cleo derivabile dalla psicologia della salute che gli psicologi che si rifanno a quella positiva vanno alla ricerca proprio di questi fattori in grado di proteggere ed impedire all’adulto ed al soggetto in età evolutiva non solo di cadere preda di disturbi psicologici ma anche di condurre una vita qualitativamente migliore ri- spetto a soggetti in cui tali fattori sono assenti. In poche parole, piuttosto che scoprire le debolezze della persona perché non mirare alla scoperta di quei fattori che la rendono forte? 3.3. Un secondo contributo della psicologia della salute Un altro contributo proveniente dalla psicologia della salute e confluito in quella positiva è l’importanza attribuita all’ambiente in tutte le sue accezioni. Una prevenzione adeguata richiede, ovviamente, una valutazione attenta dei punti di forza e di debolezza sia della persona sia dell’ambiente nel quale essa vive ed opera (Wright e Lopez, 2002). Secondo diverse angolature. La prima di queste ri- guarda i fattori di natura fisica, quali il clima, il tasso d’inquinamento, il modo con cui le nostre città e le nostre abitazioni furono e vengono costruite, ecc. Inevitabil- mente si tratta di dimensioni inerenti al mondo fisico ed a quello socio-strutturale 47 in grado di produrre non pochi problemi. Ma ecco la domanda dello psicologo po- sitivo: “E possibile individuare fattori ambientali afferenti a tale accezione che producono benessere piuttosto che malessere?”. La seconda angolatura riguarda l’ambiente socio-organizzativo, quello nel quale la persona spende gran parte della sua vita. Si tratta prevalentemente della famiglia e della scuola in fase evolutiva, della famiglia e dell’organizzazione lavorativa nella stagione successiva del nostro sviluppo. Anche in questo caso sono numerose le ricerche nelle quali sono stati messi in luce i fattori che producono distress, burnout, insoddisfazione, ecc. Perché però non porsi la domanda contrapposta: “Cosa fare per rendere famiglia, struttura educativa e lavorativa altrettanti ambienti in grado di migliorare la qualità della vita delle persone?”. La terza angolatura fa riferimento all’intreccio di rela- zioni che collega ognuno di noi ad un numero più o meno ampio di persone. È evidente che comportamenti inadeguati manifestati in modo particolare dalle per- sone che godono di potere ad esempio su soggetti in età evolutiva (genitori ed in- segnanti), sono in grado di produrre i problemi più seri e diffusi. E altresì vero che vi è una serie quanto mai ampia ed articolata di comportamenti adeguati che pos- sono favorire la genesi e lo sviluppo di capacità forti e positive nel soggetto in età evolutiva. 3.4. La psicologia dell’empowerment Un terzo movimento che è confluito nella psicologia positiva non porta un’eti- chetta precisa. Secondo P. Meazzini può essere denotato col termine di empower- ment. Come abbiamo già notato, nel contesto italiano tale termine può essere tra- dotto con “abilitazione” o “capacitazione”, anche se la ricchezza semantica del ter- mine non riesce a essere resa da tali espressioni. Si tratta di un insieme di strumenti teorici e pratici, il cui fine è quello di trasferire alla persona delle vere e proprie abilità e competenze, in grado di ampliare i confini della sua esistenza, miglioran- done ancora una volta la qualità di vita. All’interno di questo movimento troviamo il training assertivo, la prosocialità, l’intelligenza socio-emotiva, ecc., per quanto riguarda la dimensione interpersonale; lo yoga, il rilassamento, le tecniche di respi- razione, ecc., per quanto concerne la dimensione emozionale; 1’insegnamento del pensiero positivo, dell’ottimismo, del problem solving, della creatività, ecc., per quanto riguarda la dimensione cognitiva. Sono stati prefigurati sei punti di forza della persona. Essi, unitamente alle loro articolazioni, vengono usati da Seligman (2002) per elaborare un sistema di classi- ficazione che possa guidare l’educazione del carattere delle persone e condurle alla soddisfazione intrinseca ed alla felicità. Ciascuno di questi è articolato in elementi o tratti della persona più dettagliati15. 15 Cfr. Positive Psychology Values in Action (VIA): Classification of strengths and virtues (Valori della psicologia positiva in azione, classificazione dei punti di forza e delle virtù). Cfr. il sito: www.viastrenghts.org. 48 A) Saggezza e conoscenza 1) Curiosità ed interesse verso il mondo 2) Amore per l’apprendimento 3) Pensiero logico e critico. Apertura mentale 4) Creatività. Originalità, intelligenza pratica 5) Intelligenza sociale, intelligenza personale, intelligenza emozionale 6) Capacità di elaborare prospettive esistenziali B) Coraggio 7) Valore 8) Perseveranza, industriosità, diligenza 9) Integrità, trasparenza, onestà C) Umanità ed amore 10) Cortesia e generosità 11) Affetto ed amore reciproco D) Giustizia 12) Senso della comunità, doveri civici, lavoro di squadra, lealtà 13) Equità 14) Leadership E) Temperanza 15) Autocontrollo 16) Prudenza, discrezione, cautela 17) Umiltà e modestia F) Transcendence (trascendenza, spiritualità?) 18) Apprezzamento della bellezza e dell’eccellenza 19) Gratitudine 20) Speranza, ottimismo, apertura al futuro 21) Spiritualità, significato della vita, fede, sentimento religioso 22) Disponibilità al perdono 23) Senso dell’humor e propensione al gioco 24) Passione ed entusiasmo. Gran parte di questi tratti costituiscono altrettanti obiettivi che una civiltà ma- tura persegue o dovrebbe perseguire. Non solo, per molti di essi esistono già delle procedure psicologiche ed educative che hanno dimostrato una loro incontestata ef- ficacia. Così la curiosità, l’interesse verso il mondo, l’amore per l’apprendimento sono da sempre obiettivi di pertinenza strettamente educativa. Che poi spesso non siano raggiunti è una critica davvero pesante nei confronti dell’istituzione deputata a coltivarli. Analoghe considerazioni valgono per il pensiero logico, quello critico e l’apertura mentale, per i quali esistono già curricoli e programmi di derivazione psicologica dotati di indubbia robustezza. 49 3.5. La psicologia e la virtù Nel 2005 Blaine J. Fowers ha pubblicato uno studio su Virtue and Psychology (Virtù e psicologia) dal sottotitolo Pursuing Excellence in Ordinary Practices (per- seguire l’eccellenza nelle pratiche ordinarie). L’Autrice si collega nella linea di pensiero della corrente attivata dalle intuizioni di Seligman, ma ne contesta la scarsa coerenza teorica di fondo. Essa afferma: “L’iniziale attenzione alla psico- logia della virtù ha avuto la tendenza a porre l’attenzione su alcuni tratti della per- sonalità, spesso scelti soggettivamente, che colpiscono e che hanno effetti positivi, ma questi resoconti mancano di una coerenza pienamente articolata e dotata di una complessiva unità. Inoltre, gli autori frequentemente usano il termine virtù o senza una esplicita definizione o con scarse caratterizzazioni quasi che ogni persona sa di che cosa si tratta. Questo non funziona, perché ci sono molte strade attraverso la quali possiamo definire e usare il termine e ci sono molte misconcezioni e pregiu- dizi nei suoi riguardi”16. Per superare tali forme un po’ superficiali e per molti versi poco coerenti di trattare della virtù, l’Autrice sceglie di valorizzare, come d’altronde ormai è co- mune nella filosofia e nella pedagogia, il pensiero di Aristotele in proposito, soprat- tutto quello contenuto nell’opera Etica a Nicomaco. In altre parole si accetta un’impostazione che vede la virtù come “la forma di eccellenza che permette al- l’individuo di perseguire obiettivi degni in ogni attività quotidiana”17. Le ragioni per cui essa ricorre all’impostazione aristotelica sono così riassunte. In primo luogo Aristotele ha sviluppato il più sistematico e comprensivo studio della virtù conside- rata in se stessa. La presentazione della sua natura e del suo ruolo nel far fiorire l’essere umano è sottile e potente; a suo avviso non superato. In secondo luogo l’impostazione aristotelica ha avuto una forte risonanza non solo nel passato, ma soprattutto nei tempi più recenti fornendo una fonte ricca e ben articolata per lo studio della virtù in ambito psicologico. In terzo luogo, anche se il pensiero aristo- telico è stato valorizzato in maniera particolare nel contesto del pensiero giudeo- cristiano, esso non è legato intimamente ad una visione religiosa particolare. Evidentemente, riferirsi ad Aristotele significa valorizzare un approccio ricco e profondo, che però può e deve essere sviluppato e arricchito con il contributo sia della riflessione filosofica, sia della ricerca psicologica. 3.6. La psicologia della felicità Interessante dal nostro punto è la questione delle ricerche relative alla felicità. Le indagini in questo ambito hanno preso lo spunto da Argyle (1985) e hanno con- tribuito alla nascita della psicologia positiva. Seligman nel 2002 ha pubblicato un’opera dal titolo Authentic happiness (La felicità autentica), cui fecero seguito 16 FOWERS B.J., Virtue and Psychology, Washington, APA, 2005, 27-28. 17 Ibidem. 50 numerosissimi contributi che si sono collocati lungo la sua scia. Un numero cre- scente di ricercatori, stanchi della vittimologia clinica, si pongono ora domande del tipo “Quali sono i fattori che rendono le persone più felici?”, “In qual modo l’am- biente, nella sua complessa articolazione, può fornire il suo contributo alla diffu- sione della felicità?”. Argyle (1985) confessa che nelle sue ricerche sulla felicità si è fondato su re- soconti soggettivi. In altre parole, se la persona affermava di essere felice, la sua af- fermazione veniva accettata come veridica. Se confessava, al contrario, di essere triste o depressa, ancora una volta la sua affermazione veniva accettata integral- mente. Certamente era una posizione insufficiente. Tuttavia, se non possiamo defi- nire accuratamente il termine “felicità”, ciò non vuole affatto significare che non possiamo identificare alcuni nuclei al suo interno che si prestano ad un’analisi e ad una misurazione sufficientemente accurata. È proprio grazie a questa perseveranza che è stato possibile identificare nel concetto di felicità alcune dimensioni, empiri- camente valutabili, che generalmente entrano a far parte di questo concetto. La prima di queste, quella più studiata, attiene al grado di soddisfazione che la persona riporta a riguardo di se stessa e del mondo che la circonda. Tale soddisfa- zione può essere segmentata oppure globale. Vale a dire la persona può dichiararsi soddisfatta in certe aree (ad esempio “vita famigliare”) e non in altre (ad esempio “attività lavorativa”), ed è questa la risposta più usuale, oppure dichiararsi global- mente soddisfatta o insoddisfatta. La seconda dimensione riguarda la componente emotiva della felicità, quel senso cioè di entusiasmo oppure al contrario di serenità che caratterizza la persona e che è sempre accompagnato da una sensazione di be- nessere. A scegliere l’entusiasmo piuttosto che la serenità, come fondamento emo- tivo della felicità, ci pensa con tutta probabilità la cultura. È difficile pensare ad un buddista che veda nell’entusiasmo un sentimento associato alla felicità, come per altro verso è impensabile un americano che veda nella serenità l’ancora della sua felicità. Togliete all’americano medio il gusto della competizione e della vittoria, l’entusiasmo legato alla sua affermazione e gli toglierete il gusto della vita. A tanto arrivano i nostri condizionamenti culturali. La terza dimensione riguarda la salute, quella fisica e mentale. Ovviamente la persona che si ritiene felice o abbastanza fe- lice gode generalmente di una buona salute fisica e mostra di possedere capacità in grado di proteggerla dall’impatto con situazioni distressanti. È stato anche elabo- rato un questionario per misurare il grado di felicità provato da ciascuno definito “La scala della felicità di Oxford”. La sua traduzione in italiano si deve a Paolo Meazzini. Carr (2002), citando fonti diverse, conclude affermando che le persone felici usano le loro capacità cognitive in modo più flessibile e creativo rispetto a quelle che non lo sono. Ancora, tendono a ricordare un numero più elevato di eventi e di esperienze positive rispetto alle persone meno felici. Un secondo vantaggio, certamente non trascurabile, riguarda la longevità. Un numero davvero cospicuo di ricerche condotte su persone sane e malate ha portato 51 a concludere che le persone felici (caratterizzate da ottimismo) mostravano una longevità superiore del 19 % a quella dei pessimisti. Con tutta probabilità quest’ef- fetto è il prodotto di una barriera immunologica meno vulnerabile, è attribuibile al- l’assenza di patologie diverse, ecc. Un terzo vantaggio riguarda una maggiore tolle- ranza alla frustrazione ed uno stile comunicativo più aperto ed empatico. In breve, essere felice non è solo uno stato emotivo molto piacevole ma si ri- flette in modalità interpersonali estremamente efficaci, che generalmente tendono a produrre sulla persona un potente effetto positivo di feedback. Infatti se si riesce ad ascoltare empaticamente i messaggi dell’altro, è molto probabile che si venga ad instaurare un rapporto positivo e coinvolgente. A sua volta questo altro non farebbe che incrementare questa area della nostra felicità. Quanto alle cause, esse possono essere ricondotte ad aspetti individuali e socia- li. Per ciò che riguarda i primi, è accertata la sinergia tra dotazione genetica e varia- bili ambientali. Particolarmente studiato è stato e continua ad essere il tratto di per- sonalità introversione-estroversione, che forse più di altri rappresenta la confluenza tra le due classi di fattori (genetici ed ambientali). La conclusione? Che gli estrover- si sembrano essere più felici degli introversi. Probabilmente perché più aperti alle relazioni sociali e più capaci di gestirle in modo più appagante rispetto agli introver- si. Verrebbero così create reti interpersonali con elevate tonalità affettive. Spazio crescente viene ora accordato ad un altro tratto di personalità, otti- mismo e pessimismo, grazie alle ricerche condotte da Seligman (1998). La persona ottimista tende ad essere significativamente più felice del pessimista. Naturalmente peso significativo ha anche lo stato di salute della persona. Tale fattore, parte inte- grante della felicità intesa dall’uomo della strada, è davvero uno di quelli causativi o comunque correlati con la felicità. Così come lo sono la qualità del lavoro svolto dalle persone, il livello di istruzione, la loro capacità di raggiungere gli obiettivi precedentemente prefissati, la loro capacità di organizzarsi il tempo in modo tale da riservarne una parte agli hobby, ad attività culturali, spirituali, ecc. Le cause di ordine sociale sono ancora più numerose. La prima di queste con- cerne lo stato civile delle persone. Le persone sposate mostrano una percentuale doppia di felicità rispetto alle persone mai coniugate ed una ancora superiore ri- spetto alle persone divorziate o separate. La seconda causa ha a che vedere con le caratteristiche della famiglia. I dati di- mostrano che una famiglia caratterizzata da stretti e caldi rapporti affettivi tra geni- tori e figli, tra fratelli e sorelle, ecc., è in grado di fornire una rete di appoggio so- lido per quanto riguarda la felicità individuale. Naturalmente vale il contrario, qua- lora la famiglia non abbia queste positive caratteristiche affettive. Per ragioni ana- loghe è forte l’impatto dell’amicizia sulla felicità individuale. Non si dice forse “Chi trova un amico, trova un tesoro”? Le ragioni che spiegano l’importanza del- l’amicizia ai fini della felicità sono più o meno simili a quelle che sono state de- scritte a proposito della famiglia. Un buon amico è un’insostituibile fonte di sup- porto e di complicità positiva. Ricordate il film Amici miei? 52 Anche la religione, quando non sia formale ma un fatto voluto e coinvolgente, aumenta il numero delle persone felici. La fede è sicuramente un buon supporto per sostenere nelle calamità della vita. L’atteggiamento espresso dai rappresentanti della psicologia positiva si pone in netto contrasto con quel libello di Freud, nel quale la religione è vista come una nevrosi. Continuando nell’elenco dei fattori che causano la felicità o che sono con essa correlati non poteva mancare la ricchezza prodotta da ogni singola nazione ovvero il PIL. Nella ricerca transculturale di Diener (2000) sulla felicità individuale, tra gli ultimi posti si collocava la Russia, ai primi la Danimarca e la Svizzera mentre l’I- talia veniva collocata un po’ oltre la metà. Che la correlazione tra PIL e felicità in- dividuale non sia lineare lo dimostra la collocazione degli USA (PIL pari a 100) che si trovano dopo la Danimarca, la Svizzera, l’Irlanda ed il Canada, caratterizzati da un PIL inferiore a quello statunitense. Insomma, il denaro non fa la felicità ma la sua assenza determina infelicità. Ultimo tra i fattori esterni della felicità, il clima e la collocazione geografica. Gli aspetti maggiormente correlati con uno stato di be- nessere sono la qualità dell’ambiente (scarso inquinamento, ampi spazi di verde, ecc.), temperature e numero di giorni di sole, ecc. Carr (2002) si è sforzato di raccogliere tutte le strategie, o perlomeno le princi- pali, all’interno del quadro seguente. SETTORE Relazioni Ambiente Salute Produttività Tempo libero Abituazione Confronti STRATEGIE - Frequentare persone simili. Comunicare con cortesia e chiarezza, dimenticare le colpe degli altri. - Mantenere contatto con la famiglia estesa. - Mantenere alcune strette amicizie. - Co-operare con le persone che si conoscono (ad esempio i vicini). - Impegnarsi in attività religiose o spirituali. - Assicurarsi sicurezza e conforto fisici e finanziari senza cadere preda del consumismo. - Godere periodicamente del bel tempo. - Vivere in un ambiente geograficamente bello. - Vivere in un ambiente stimolante dal punto di vista artistico. - Mantenere un buono stato di salute. - Impegnarsi regolarmente in esercizi fisici. - Usare abilità che sono intrinsecamente piacevoli per eseguire compiti che sfidano le nostre capacità. - Raggiungere il successo e la stima nel posto di lavoro che sia stimolante. - Lavorare per raggiungere un insieme coerente di obiettivi. - Mangiare cibi di qualità con moderazione. - Riposarsi, rilassarsi ed andare in vacanza con moderazione. - Eseguire attività di tempo libero assieme a gruppi di amici. - Quando ci si impegna allo spasimo per ottenere beni materiali al fine di incrementare la felicità, è opportuno accettare il fatto che prima o poi ci si abituerà ad essi e non saranno più utili per aumentare la nostra felicità. - Quando si perviene ad un livello basso di autostima a causa di confronti negativi con personaggi dei media o altri, conviene confrontarsi con i membri del proprio gruppo e con quelli peggiori. - Formulare mete realistiche congruenti con le proprie abilità e risorse. 53 4. Contributi dagli studi sulla formazione degli adulti: Jack Mezirow La teoria della formazione degli adulti di Jack Mezirow18 è fondata su un’ela- borazione teorica di riferimento, che dall’Autore è denominata Transformation Theory. Mezirow parte da una concezione dell’apprendimento considerato come “un’estensione della nostra abilità di rendere esplicito, schematizzare (associare entro un quadro di riferimento), interiorizzare (accettare un’interpretazione come propria), ricordare (richiamare un’interpretazione precedente), validare (stabilire la verità, la giustificazione, la correttezza, l’autenticità di quanto asserito) e agire (de- cidere, cambiare un atteggiamento nei confronti di qualcuno o qualcosa, modificare una prospettiva, oppure attuare una prestazione) in riferimento a qualche aspetto del nostro rapporto con l’ambiente, con gli altri, con noi stessi”19. In esso svolge un ruolo centrale il processo interpretativo, per cui l’apprendimento può essere inteso come “il processo relativo all’uso di una interpretazione preesistente per costruire una interpretazione nuova o per rivisitare una precedente interpretazione del signi- ficato della propria esperienza, come guida per azioni future”20. In questo approccio gioca, dunque, un ruolo centrale il processo di transfer, ri- visitato al livello proprio dei processi di attribuzione di senso e di significato. Questa prospettiva è valorizzata soprattutto in riferimento all’apprendimento adulto, in quanto il soggetto ha già sviluppato un insieme di assunzioni e di attese, che formano un sistema di significati. Mezirow, data la centralità dell’attribuzione 18 Circa gli apporti di Jack Mezirow,si possono leggere in particolare le seguenti opere: MEZIROW J., Transformative dimensions of adult learning, San Francisco, Jossey-Bass, 1991; MEZIROW J. et al., Fostering critical reflection in adulthood, San Francisco, Jossey-Bass, 1990; MEZIROW J. et al., Lear- ning as transformation: critical perspectives on a theory in progress, San Francisco, Jossey-Bass, 2000. 19 MEZIROW J., Transformative dimensions of adult learning, San Francisco, Jossey-Bass, 1991, 11. 20 Ibidem, 12. Risposte a perdite e a vincite Emozioni distressanti - È prevedibile un incremento di felicità di esiguo rilievo a fronte di guadagni e di successi notevoli e di cospicue riduzioni di felicità a seguito di perdite e d’insuccessi di lieve entità. - Per situazioni deprimenti e distressanti, è opportuno orientare la propria attenzione sugli aspetti non distressanti delle situazioni difficili, confrontarsi assertivamente con le persone che producono distress, controllare il pensiero negativo e perfezionistico, essere attivi ed ottenere il supporto da parte degli altri. - A riguardo dell’ansia controllare il pensiero fissato sulle situazioni minacciose e mostrare coraggio confrontandosi con situazioni minacciose ed usando strategie di coping dell’ansia. - A proposito della collera, evitare le situazioni che la possono produrre, focalizzare la propria attenzione sugli aspetti non distressanti delle situazioni difficili, chiedere in modo assertivo alle persone irritanti di essere meno irritanti, mantenere il punto e praticare l’empatia. 54 di significato nella sua impostazione, specifica che questa deriva dall’utilizzazione di un vero e proprio quadro di riferimento, definito “prospettiva di significato”, che coinvolge la dimensione cognitiva, quella affettiva e quella conativa (o volitiva). “Esso dà forma e delimita selettivamente percezione, cognizione, sentimenti e dis- posizioni predisponendo le nostre intenzioni, attese e propositi. Esso fornisce il contesto per costruire significati entro i quali noi scegliamo che cosa e come l’e- sperienza sensoriale deve essere costruita e/o fatta propria”21. L’apprendimento è così visto come un processo interpretativo dialettico me- diante il quale interagiamo con oggetti ed eventi, guidati da un insieme d’attese già presente. “In altre parole, noi utilizziamo le attese già consolidate per capire e ana- lizzare la natura percepita di un aspetto dell’esperienza, che fino ad ora mancava di chiarezza o era stata mal interpretata. Tuttavia, in un apprendimento trasformativo reinterpretiamo una passata esperienza (o una nuova) a partire da un nuovo insieme d’attese, dandole così un nuovo significato e una nuova prospettiva”22. Mezirow precisa quattro forme di apprendimento adulto sempre più impegna- tive. La prima forma concerne l’apprendere attraverso gli schemi interpretativi già posseduti, che possono essere ulteriormente differenziati ed elaborati per adattarsi alla nuova esperienza, oppure possono essere utilizzati immediatamente senza bi- sogno di alcun adattamento. In quest’ultimo caso, ciò che cambia rispetto al pas- sato è solo la risposta specifica. La seconda forma d’apprendimento riguarda la for- mazione di un nuovo schema interpretativo, cioè la creazione di nuovi significati, che siano sufficientemente consistenti e compatibili con le prospettive di senso già esistenti, per integrarle e in questo modo estenderne gli scopi. La terza forma d’ap- prendimento avviene attraverso la trasformazione di schemi di significato, o schemi interpretativi. Questo tipo d’apprendimento implica una riflessione attenta circa la qualità delle assunzioni, o presupposizioni, sulle quali essi si basano. In tale contesto, nostri specifici punti di vista e particolari convinzioni si manifestano poco funzionali o del tutto inadeguati di fronte a una nuova situazione o esperienza e sperimentiamo, di conseguenza, un crescente senso d’inadeguatezza delle nostre vecchie maniere di vedere e di comprendere. La quarta forma si ha quando la tra- sformazione riguarda più in profondità la prospettiva stessa di significato, cioè si diventa consapevoli, attraverso la riflessione e la critica, della natura erronea dei presupposti sui quali si basa una distorta o incompleta prospettiva di significato e, a partire da questa consapevolezza, ci si impegna nel trasformare tale prospettiva at- traverso una riorganizzazione dei significati. Secondo Mezirow, in tutte le forme di apprendimento è presente un’attività di soluzione di problemi, anche se di natura diversa, a seconda del tipo di apprendi- mento. In questo percorso formativo acquistano un particolare rilievo le proposte di 21 MEZIROW J. et al., Learning as transformation: critical perspectives on a theory in progress, San Francisco, Jossey-Bass, 2000, 16. 22 MEZIROW J., Transformative dimensions of adult learning, San Francisco, Jossey-Bass, 1991, 11. 55 questo autore dirette a favorire la costruzione e la trasformazione di schemi e di prospettive di significato, che consentono l’interpretazione o la reinterpretazione dell’esperienza e un’impostazione più consapevole e riflessiva dell’azione. “La ri- flessione è la dinamica centrale sia nell’apprendimento intenzionale, sia nel pro- blem solving, sia nella verifica di validità mediante discorsi razionali. L’apprendi- mento intenzionale coinvolge al suo cuore l’esplicitazione del significato di una esperienza, ovvero la sua reinterpretazione, o, ancora, la sua applicazione in un’a- zione guidata dalla riflessione”23. A questo fine, soprattutto nell’educazione degli adulti, occorre promuovere pratiche formative finalizzate “ad aiutarli a diventare più criticamente riflessivi, a partecipare più pienamente e liberamente nei discorsi razionali e nell’azione, a cre- scere orientandosi verso prospettive di significato che sono più inclusive, discrimi- nanti, pervasive e integrative dell’esperienza. […] La valutazione dei guadagni ri- sultanti da un apprendimento trasformativo dovrebbe essere diretta a confrontare le prospettive di significato iniziali con quelle successive o finali tenendo conto dei cambiamenti in interessi, obiettivi, consapevolezza dei problemi e dei contesti, ri- flessività critica e nell’azione, apertura a prospettive alternative, abilità a parteci- pare liberamente e pienamente in discorsi razionali e disponibilità ad accettare una validazione consensuale come un modo di risolvere i problemi nell’apprendimento comunicativo”24. 5. Per un quadro di riferimento teorico sulla dimensione spirituale dell’educa- zione Il progressivo sviluppo di una mondializzazione dell’economia, della finanza e dei consumi può portare alla globalizzazione di una concezione della natura umana prevalentemente, se non esclusivamente, fondata sul possesso, sviluppo e possibili- tà di scambio di beni materiali. Si ha un appiattimento generalizzato di tipo mate- rialistico. Viene a perdersi progressivamente la considerazione di beni che per loro natura sono spirituali: propri, cioè, dello spirito umano25. A questo proposito M. 23 Ibidem, 99. 24 Ibidem, 224-226. 25 Si può ricordare come il termine “spirito” nei vari dizionari includa una molteplicità di signifi- cati. Tra questi i più citati sono: principio di vita che anima; essenza vitale; atteggiamento o principio disposizionale che pervade il pensiero; sollecitazione e direzione per l’azione; l’anima o il cuore come sede dei sentimenti; atteggiamento vigoroso, coraggioso o ottimistico; tendenza dominante del carat- tere; essenza o principio attivo di una sostanza. P. Ricoeur ha segnalato tre accezioni francesi comuni del termine “spirito”. “Innanzitutto, è la mente, nel senso generale di mentale, con i tratti di […] in- tenzionalità, significato, comunicabilità e intesa reciproca”. In secondo luogo “la parola designa ciò che i medioevali ponevano sotto il titolo di trascendentale, aver come obiettivo il vero, il bene, il giusto, il bello. […] Tale livello trascendentale è quello delle funzioni direttrici e regolatrici che pre- siedono le attività di conoscenza, d’azione e di sentimento”. Infine, “vedrei un terzo uso […], che, 56 Eliade (1987) ha messo in risalto la progressiva perdita di capacità d’intuizione spi- rituale e di incontro con il sacro nel contesto profano, mentre B. Hill ha identificato un carattere della modernità nel consumismo, affermando che “la focalizzazione verso la soddisfazione dei bisogni materiali senza una sufficiente considerazione della natura e dei bisogni spirituali dell’uomo […] può portare la gente a rimanere intrappolata nel consumismo, ingenua nei riguardi delle forze politiche che la ma- nipolano e la sfruttano nel contesto delle relazioni umane” (Hill, 1989, 174). Inol- tre, lo sviluppo verso la vita adulta molto spesso appare segnato da una sensibilità sempre meno consistente per quanto concerne le esperienze proprie della vita spiri- tuale (Hay - Nye, 1998). Probabilmente anche certe scelte di vita dei giovani nel campo religioso e morale sono favorite, se non causate, dal progressivo impoveri- mento delle risorse vitali che derivano dalla coltivazione della dimensione spiritua- le di base. E. Morin (2000) parlando della cittadinanza, la definiva come fondata sui va- lori della responsabilità e della solidarietà. Formare alla cittadinanza, cioè all’ap- partenenza responsabile e solidale a una comunità umana, che si allarga progres- sivamente dal proprio paese di nascita alla propria nazione, a una dimensione in- ternazionale e mondiale, aperta al futuro e al trascendente, è un compito educa- tivo essenziale, particolarmente nel contesto formativo scolastico. Ciò implica anche ritrovare ciò che unisce di fronte alla diversità, impostare il dialogo su una base che permetta un reale scambio di significati, di valori, di credenze, centrati sulla pace, la giustizia, la fraternità. Un approccio mondiale alla solidarietà che ri- sponda all’approccio mondiale all’economia. Sono queste le conclusioni del Se- minario interreligioso di Lisbona su “Religione e mondializzazione: prospettive per il nuovo millennio” che sollecita una “mondializzazione dell’anima” (Mar- chal, 2001). Karl Rahner, in una delle sue indagini teologiche, invita il suo lettore a imma- ginare un tempo nel quale la stessa memoria della religione è scomparsa e la parola “Dio” non è più presente in un qualsiasi Dizionario. “E anche se questo termine sarà persino dimenticato, anche allora nei momenti decisivi delle nostre vite noi sa- remmo costantemente avvolti da questo mistero senza nome della nostra esistenza […] anche supponendo che quelle realtà che chiamiamo religioni sarebbero com- pletamente scomparse […] la trascendentalità inerente alla vita umana è tale che ci rivolgeremo verso il mistero che sta fuori dal nostro controllo” (Rahner, 1974, 160). D’altra parte, nello stesso studio K. Rahner ha affermato che è possibile par- lare di Dio senza essere spirituali. In altri termini, è possibile una conoscenza anche approfondita nei riguardi della religione e un’abilità consistente nell’usare un lin- guaggio religioso senza avere a fondamento una vera spiritualità. direi, designa un livello di ispirazione. […] La funzione che ispira. Non domino questa funzione, ne sono il beneficiario. […] Ora l’esperienza, anche la più teorica, comporta una dimensione ispirata. Non penso soltanto alle diverse espressioni del sentimento religioso; penso anche all’elogio platonico della mania, della “follia”, dell’“entusiasmo”…” (Changeux - Ricoeur, 1999, 171-173). 57 Il Dalai Lama in un suo intervento ha affermato: “ Fondamentalmente le reli- gioni si dividono in due gruppi. Un gruppo, che include il Giudaismo, la Cristianità e l’Islam e alcune antiche tradizioni indiane, io le chiamo religioni di Dio. La loro fondamentale fede è in un creatore. L’altro gruppo di tradizioni religiose, che inclu- dono il Jainismo e il Buddismo, io le chiamo religioni senza Dio. Il secondo gruppo non crede in un creatore. Ma, se Dio è inteso nel senso di un infinito amore, allora le religioni non sono così differenti” (Dalai Lama, 1999). Su questa base egli pro- pone una forma di spiritualità secolare che riunisca di nuovo tra loro intelletto, co- noscenza e cuore buono: una spiritualità che solleciti l’uomo a prendersi cura, ad avere compassione, a perdonare, a dedicarsi. Ciò conduce progressivamente a una vera pace interiore: un cammino fatto di tempi lunghi, che implica, però, una tra- sformazione profonda delle nostre menti, segnata da coraggio, pazienza, sforzo, de- terminazione. Come già ricordato, l’Educational Act inglese del 1988 parla esplicitamente di finalità di educazione spirituale in tutte le scuole finanziate pubblicamente. Si ri- chiede, infatti, che il curricolo “promuova lo sviluppo spirituale, morale, culturale, mentale e fisico degli alunni frequentanti la scuola e della società; e prepari questi alunni per le opportunità, le responsabilità e le esperienze della vita adulta” (Edu- cation Reform Act 1988, Part I, Chapter I, 1). La legge di riforma chiarisce il signi- ficato di tale dimensione educativa soltanto dal punto di vista religioso, chiedendo forme di preghiera e di educazione religiosa largamente cristiane, cioè non denomi- nazionali (Part I, Chapter I, 6-13). Tuttavia, è stato sviluppato un approfondimento nella letteratura che interpreta e orienta operativamente la legge. In esso si di- stingue abbastanza chiaramente tra dimensione spirituale e dimensione religiosa, anche se la dimensione spirituale rimane sempre aperta e spesso caratterizzata da quella religiosa, sempre considerata in forma generale e non specificatamente de- nominazionale. Il National Curriculum Council, a questo proposito, nel 1993 ha elaborato un testo propositivo, aperto alla discussione, dal titolo Spiritual and Moral Develop- ment (Cfr. SCAA, 1995), che identifica la spiritualità in una forma d’esperienza universale in grado di essere fondamento e sorgente di significato e di finalità per la vita individuale e collettiva. Guidata dai nostri sentimenti, dalle nostre emozioni e dalla nostra capacità creativa, tale esperienza è presentata come un aspetto fonda- mentale della condizione umana, che trascende l’esperienza quotidiana. Tutti sia- mo capaci di una dinamica consapevolezza, che ci dirige verso il vero cuore della nostra esistenza come esseri umani e che è radicata nella nostra ricerca di identità personale, di senso e di finalità ultima, mentre cerchiamo di rispondere alle espe- rienze fondamentali della morte, della sofferenza, del male e della bellezza. La spi- ritualità è una capacità umana diretta a specifiche forme di consapevolezza, un’atti- vazione della capacità umana di autotrascendenza e un movimento verso uno stato di coscienza, nel quale le limitazioni dell’identità umana finita sono sfidate dall’e- sercizio della creatività umana. È una capacità simile, ma non riducibile, all’espe- 58 rienza religiosa, morale o estetica. Essa è universale e non può essere limitata a una particolare forma di religiosità, mentre valorizza l’intera eredità religiosa dell’uma- nità. Anche negli Stati Uniti, dove vige una stretta separazione tra Chiesa e Stato, si è constatata la necessità di riconsiderare la dimensione spirituale dell’educa- zione come un’esigenza educativa universale propria di ogni uomo e non legata a una particolare confessione religiosa. Nei recenti Congressi dell’American Edu- cational Research Association molte sessioni di lavoro sono state dedicate al tema legato ai rapporti tra educazione e spiritualità. In particolare, molte delle ri- flessioni dedicate a una definizione di spirituale in campo educativo (prevalente- mente scolastico) hanno sottolineato tre caratteri della spiritualità: la ricerca di chiarezza, di trasparenza nel vedere la realtà profonda di sé e degli altri; la tra- sformazione di sé, il riemergere oltre le esperienze negative, la constatazione dei limiti personali; il trascendere se stessi in un cammino che parte da un risveglio da uno stato di appiattimento e torpore per aprirsi alla percezione di una novità di vita. In tutto questo c’è evidente la ricerca di individuare una dimensione umana, ri- levante da un punto di vista educativo universale, tale da dover essere presa in con- siderazione anche nella scuola di tutti, che non sia legata specificatamente a una tradizione religiosa particolare. Il pericolo insito in questo approccio è una certa in- clusività e genericità che può dar luogo a interpretazioni ingenue e superficiali per cui occorre, comunque, subito mettere in guardia da una sua interpretazione come vago sentimento, dolcezza emozionale, apertura al misterioso, che rifiuta ogni strutturazione stabile e prospetticamente orientata, ogni organizzazione ragionevole e razionale, per aprirsi a una esoterica mescolanza di misticismo, gnosticismo, astrologia, reincarnazione, aromatoterapia, tipo New Age. La spiritualità vera sembra nascere, invece, dalla riconquista di una unità pro- fonda tra cognitivo e affettivo, tra mente e cuore, tra sentimento e ragione. E im- plica un cammino, spesso faticoso, alimentato da sorgenti essenziali per una vera vita spirituale. In questo quadro si afferma anche che la vita dello spirito rappre- senta una dimensione costitutiva dell’essere umano, che però non deve essere vista come in contrapposizione con la vita del corpo, in una sorta di pernicioso dualismo, bensì riconoscendo l’intima unità e integrazione d’anima e di corpo nel processo di umanizzazione della persona umana (Hay - Nye, 1998, cap. 1); senza che l’anima venga strumentalizzata per il benessere del corpo, né il corpo venga considerato come la prigione dell’anima, prigione da cui occorre liberarsi. Elizabeth J. Tisdell (2003, 28-29; passim) ha messo in risalto il crescente inte- resse per questa dimensione dello sviluppo personale nella formazione professio- nale sia iniziale, sia continua. Più specificatamente oggi si pone la questione del rapporto tra spiritualità e cultura e sempre più spesso tra spiritualità e multiculture. La studiosa affronta la tematica partendo da sette assunzioni di base circa la no- zione di spiritualità in tali contesti. 59 1) Spiritualità e religione non sono la stessa cosa, ma per molte persone esse sono strettamente interrelate. La religione è in genere collegata a una comunità di fede organizzata e possiede una dottrina scritta e un codice che regola il comporta- mento. La spiritualità è una dimensione più personale di credenza e di esperienza di una Realtà superiore, di un Assoluto, in genere della trascendenza e concerne le modalità con le quali sviluppiamo senso e significato esistenziale e onoriamo ciò che riteniamo sacro sia individualmente, sia collettivamente. 2) La spiritualità concerne la consapevolezza e il rispetto per la totalità e l’in- terconnessione di tutte le cose attraverso il mistero di un realtà che si sorpassa e che può assumere una molteplicità di denominazioni. Si tratta di superare la fram- mentazione dell’esperienza per impegnarsi nello scoprire e onorare ciò che collega e permette di dare valore a tutte le realtà ed esperienze umane in una prospettiva di trascendenza. 3) La spiritualità è fondamentalmente legata alla ricerca e allo sviluppo dell’at- tribuzione di senso e di prospettiva alla propria e altrui esistenza. 4) La spiritualità è sempre presente (anche se non riconosciuta) in ogni am- biente di apprendimento. Naturalmente qui si evoca un reale apprendimento legato a una attribuzione di significato e a una qualche trasformazione di sé da un punto di vista prevalentemente cognitivo o affettivo o volitivo. 5) Lo sviluppo spirituale è fondato su un muoversi verso una maggiore autenti- cità o verso un sé più autentico. La formazione della propria identità è un cammino che prevede la capacità di operare a partire sempre più da scelte personali e sempre meno sulla base dell’influenza degli altri. 6) La spiritualità prende in considerazione le modalità con cui la gente co- struisce la sua conoscenza attraverso processi largamente inconsci o simbolici, spesso resi più concreti in forme artistiche come musica, immagini, simboli, meta- fore, riti segnati in genere da tradizioni o modi di esprimersi culturalmente collo- cati. 7) Molto spesso le esperienze spirituali emergono improvvisamente e sorpren- dentemente. Talora si tratta di cogliere una realtà nella sua complessità e totalità per intuizione profonda; altre volte si danno esperienze personali che coinvolgono profondamente e intimamente; ma comunque percepite come non consapevolmente cercate e/o costruite. Anche James Gollnick26 ha analizzato i vari significati attribuiti nel tempo e soprattutto oggi ai due termini “religione” e “spiritualità”. Egli nota che sempre più, sia nella percezione comune, sia negli studi di natura sociologica e psicologica, 26 GOLLNICK J., Religion and Spirituality in the Life Cycle, New York, Peter Lang, 2005. Le ri- flessioni seguenti si ispirano al contributo di questo Autore, professore di psicologia della religione in una università canadese. 60 si tende a distinguere la costellazione di significati che si addensano intorno a essi. Egli esprime queste tendenze per mezzo di tre diagrammi. Tradizionalmente il rapporto tra religione e spiritualità poteva essere descritto da una circonferenza che ne include un’altra più piccola. La più grande indica il concetto vasto e complesso di religione (o religiosità), la più piccola quello di spiri- tualità. In questa prospettiva la spiritualità indica una dimensione o componente particolare della religiosità o di una religione particolare. Una seconda tendenza è espressa da un secondo diagramma: due cerchi di grandezza uguale che intersecano. I due concetti di religione e spiritualità in questo caso sono distinti ma correlati in maniera particolare. In effetti si vengono a distin- guere tre aree. La prima indica aspetti o componenti della religione che non entrano necessariamente nel concetto di spiritualità. La seconda segnala componenti della spiritualità che non entrano in gioco necessariamente in quello di religione. In al- cuni casi si tratta di una forma spiritualità che non entra nelle manifestazioni tradi- zionali di religione. La terza, indicata dalla parte comune, mette in risalto che in molti casi si ha una integrazione tra dimensione religiosa e spirituale. Esiste anche una terza possibilità. Questa include l’esistenza di quella che è stata chiamata la religione implicita. Alcuni aspetti della religione implicita come valori, visioni del mondo, identità personali che non entrano esplicitamente in una appartenenza religiosa possono corrispondere a componenti costitutive della spiri- tualità. 61 Nella prospettiva di questo Autore la spiritualità si caratterizza soprattutto come ricerca interiore di senso, ricerca specialmente intesa come ricerca del sacro, di ciò che ci sovrasta e che deve essere rispettato e onorato nella sua realtà più profonda. Nonostante la problematicità di un quadro di riferimento relativo alla evolu- zione della dimensione spirituale e della religiosità implicita lungo tutto l’arco della vita basato sulla identificazione di alcuni stadi di sviluppo, l’Autore ne propone uno come metafora utile alla comprensione e all’azione. Vengono presi in considerazio- ne percorsi di sviluppo che riguardano tre fondamentali aspetti della spiritualità e del- la religione implicita: l’identità o senso del sé, valori e visioni del mondo. In particolare nel periodo adolescenziale la sfida fondamentale è quella della costruzione di una propria identità fondata su ricerca di unità e di prospettiva esi- stenziale. Le ricerche citate dall’Autore mettono in evidenza un’età in cui emer- gono tendenze contrastanti: aspirazione all’autonomia e dipendenza dalla famiglia; attenzione al comportamento sessuale e apertura all’esplorazione; credere in Dio e rimettere in discussione il soprannaturale; partecipazione attiva a pratiche religiose e dubbi e contestazione di dottrine e tradizioni; accettazione di un principio morale superiore e tendenza verso un relativismo morale, riconoscimento di un’identità so- ciale e sviluppo di un’identità personale. La partecipazione a gruppi e attività di- versificate porta a sperimentare una molteplicità di ruoli sociali (nella scuola, nelle varie amicizie, nella relazione affettiva, nel lavoro, nell’attività sportiva, ecc.) con conseguente difficoltà di gestire se stessi in contesti con attese diversificate. Di qui le domande: chi sono io? di che valori sono portatore? a che tipo di lavoro aspiro? Qual è il senso della mia vita? Livello transpersonale Livello personale Livello prepersonale Sviluppo del sé Identità finale Identità personale Il sé prende forma a partire da quelli che si prendono cura e delle prime esperienze Sviluppo dei valori Principi universali Configurazione cosciente dei valori Interiorizzazione dei valori famigliari Sviluppo della visione del mondo Interconnessione fra tutte le cose Visione più ampia dovuta all’interazione con i pari e un più vasto ambiente Visione derivata dai parenti e dalle prime esperienze 62 In questo quadro la chiave della dinamica spirituale per molti adolescenti è il pensare e il parlare della loro storia di vita, in quanto ciò aiuta a creare e a chiarifi- care le proprie identità. Molte ricerche hanno messo in luce come la biografia è al centro della propria identità. La ricostruzione della propria storia permette di co- gliere quale persona si è, quale si era e quale si tende a divenire. In generale le forme narrative aiutano a dare senso e direzione alla propria vita. In questa prospet- tiva si può avanzare l’ipotesi che all’inizio è prevalentemente presente nell’espe- rienza umana una religiosità implicita, è una storia vissuta senza particolare consa- pevolezza della sua incidenza sull’identità personale, i valori assunti e la visione del mondo valorizzata. Lo sviluppo progressivo della riflessione sulla propria vi- cenda personale e la consapevolezza progressiva della propria storia portano alla definizione di una identità personale, di valori propri e di una originale visione del- l’esistenza. Come forma di spiritualità si tratta di narrazioni del proprio cammino spirituale. A un livello successivo si lega l’interpretazione della propria esistenza alla trascendenza, a una tradizione religiosa consapevolmente vissuta, a una visione di totalità segnata dal sacro. In sintesi, la questione affrontata può essere così riassunta. Sembra a molti che i processi formativi che si svolgono in istituzioni aperte a tutti, in una società mul- ticulturale e multireligiosa, implicano una distinzione tra dimensione spirituale, di- mensione morale e dimensione religiosa dell’educazione. Una concezione che lega la promozione dello sviluppo spirituale a una specifica forma di credenza e pratica religiosa pone problemi analoghi a quelli posti da una proposta di educazione mo- rale legata specificatamente a una tradizione religiosa confessionale. Il pericolo sta nell’escludere dal contesto effettivo delle istituzioni educative la considerazione proprio di queste dimensioni fondamentali dello sviluppo umano. Tale tendenza, da una parte è appoggiata da concezioni della scuola e della formazione che mirano solo ed esclusivamente alla promozione culturale e allo sviluppo del sapere e delle abilità professionali, dall’altra, rinforza una tendenza presente nello sviluppo cultu- rale della nostra società segnata dal consumismo. La prospettiva dunque è quella espressa dal seguente diagramma. 63 In questa prospettiva è possibile promuovere attività formative che attivano, sostengono e orientano l’esperienza e la riflessione relative alla dimensione spi- rituale dell’esistenza da molti vissute nell’orizzonte della fede cristiana. In questo stesso quadro di valori e significati si può sviluppare l’esercizio nella cre- scita morale e l’approfondimento delle tematiche di questa natura. Per altri, non di fede cristiana, la dimensione spirituale e quella morale possono essere vissute nel contesto della loro credenza. Tuttavia esiste una base comune di valori e si- gnificati. Per quanti non si riconoscono in una fede religiosa si apre tuttavia uno spazio di educazione che resta comunque fondamentale nella crescita della per- sona. Le questioni che in questa prospettiva possono essere poste a una comunità educativa che elabora l’identità della propria istituzione formativa sono: a) La tendenza sopra evidenziata è accettabile? b) È effettivamente possibile distinguere una dimensione spirituale dell’educa- zione da una dimensione religiosa e morale, anche se queste non possono es- sere separate nettamente tra loro? c) Se sì, come si dovrebbe caratterizzare questa dimensione? d) Se no, che fare per coloro che non si riconoscono specificatamente nella tradi- zione religiosa cattolica o almeno cristiana? 6. I caratteri propri della dimensione spirituale dell’esistenza umana Accettando come ipotesi di lavoro la possibilità di promuovere uno sviluppo spirituale non legato esplicitamente alla tradizione religiosa di una comunità, quali possono essere i caratteri propri di una dimensione spirituale, che sia sostanziale, autentica, aperta alla dimensione religiosa? Esaminiamo a questo proposito alcune delle proposte sviluppate nell’ultimo decennio. D. Hay ha condotto insieme a R. Nye una serie d’indagini sulla spiritua- lità del bambino e del giovane Per condurre tali esplorazioni essi sono partiti dalla considerazione dell’esistenza di una base di “consapevolezza olistica della realtà, che è potenzialmente presente in ogni essere umano” (Hay - Nye, 1998, 57). Su questa base si possono radicare tre grandi categorie della sensibilità spirituale. La prima categoria riguarda quella che dagli studi recenti sulla coscienza viene evocato come un processo riflessivo profondo: l’essere consapevoli di sé, della propria realtà, dello stato della propria consapevolezza stessa, e ciò nel mo- mento in cui tutto ciò viene sperimentato, si vive. Dal punto di vista filosofico si tratta di quanto viene oggi prepotentemente sottolineato in relazione alle pretese di riduzione dell’esperienza soggettiva a processi neurologici: esistono forme di co- scienza di sé, dei propri processi interni, del “sé autobiografico” (Damasio, 2000), che rifuggono a ogni spiegazione puramente fisicalista. In questo contesto, si pos- sono evocare gli studi su quel particolare stato di coscienza che da M. Csikszent- 64 mihalyi (1997) è stato definito flusso di coscienza, stato nel quale si ha una piena partecipazione del soggetto e una esplicitazione completa delle proprie capacità e potenzialità. L’attività che viene realizzata in queste condizioni è percepita come degna di essere svolta per se stessa e fonte, essa stessa, di soddisfazione e gratifi- cazione: in una parola autotelica. È un’esperienza di sé, come persona che riesce ad agire al massimo delle proprie capacità, e questo stato di cose è già di per se stesso motivo di rinforzo. È un sentimento d’efficacia, che presenta un quadro fe- nomenologico di questo tipo. Il soggetto: a) è coinvolto nell’attività che sta svol- gendo; b) ha una chiara idea di come l’attività sta procedendo; c) esegue l’attività anche se non deve farlo per forza; d) non si annoia; e) non deve fare uno sforzo per stare attento a ciò che accade; f) non si distrae; g) prova piacere a fare ciò che sta facendo e ad usare le proprie capacità; h) non si sente in ansia; i) sa chiara- mente che cosa si propone di fare; l) si sente in grado di controllare la situazione; m) non disperde attenzione nel guardarsi “dal di fuori”, ovvero egli è totalmente immerso nell’attività; n) si sente bene; o) percepisce un “bilanciamento”, un’ade- guatezza tra le proprie capacità e le opportunità di azione o “sfide” poste dall’am- biente. Ritorneremo su questa prospettiva, perché su essa si possono basare alcune attività formative. La seconda categoria concerne la sensibilità per il mistero, per la nostra limita- tezza, per ciò che ci supera, da cui deriva meraviglia e timore, immaginazione e apertura al trascendente. In altre parole si ha una disponibilità ad aprirsi a espe- rienze personali che hanno qualità specifiche e che da K. Rahner (1974) sono viste come esperienze religiose, anche se soggettivamente non sono riferite esplicita- mente a Dio. D’altra parte, occorre aggiungere, lo sviluppo di una sensibilità per il mistero, per cogliere ciò che ci supera, che trascende la nostra esperienza imme- diata, implica inevitabilmente anche lo sviluppo di una sensibilità per l’uso e la va- lorizzazione dei simboli, della metafore. La terza categoria prende in considerazione la sensibilità per i valori, per ciò che mi sollecita emozioni profonde, delizia e disperazione: sensibilità aperta alla considerazione della felicità ultima, del bene supremo. Una tematica ulteriore è sottolineata da J.P. Palmer (1993): l’educazione spiri- tuale va considerata come un viaggio; un cammino guidato da una ricerca della ve- rità più profonda sulla realtà di Sé, degli altri e del mondo che ci circonda; un cam- mino segnato da una forma di obbedienza alla verità, che obbliga ad andar oltre la superficie delle cose, a unirsi agli altri in questa ricerca, a formare “una comunità di verità”. Un viaggio dunque personale e comunitario per il quale è più importante offrire, indicare, sollecitare le fonti, le sorgenti della spiritualità, che non prescri- vere obiettivi o cammini già prefabbricati. Un’avventura che ci porta dentro di noi per riscoprire una realtà che ci supera, che ci sovrasta e che c’interpella; ma che anche ci permette di leggere con occhi più penetranti il volto degli altri e della stessa realtà terrena, fisica e materiale. Si tratta di un viaggio analogo a quello sollecitato da Sant’Agostino in partico- 65 lare ne La vera religione27. “Non uscir fuori di te, ritorna in te stesso: la verità abita nell’uomo interiore e, se troverai, che la tua natura è mutevole, trascendi anche te stesso. Ma ricorda, quando trascendi te stesso, trascendi un’anima dotata dell’uso di ragione. Volgiti allora là dove si accende la luce stessa della ragione”. “Conside- rate che siamo viandanti. Voi dite: Che significato ha ‘camminare’. Lo dico in breve: ‘progredire’. […] Fate progressi, fratelli miei, esaminatevi sempre, senza in- ganno, senza adulazione, senza accarezzarvi. Nel tuo intimo, infatti, non c’è uno alla cui presenza ti debba vergognare o ti debba vantare, [...] Ti dispiaccia sempre ciò che sei, se vuoi guadagnare ciò che non sei. In realtà dove ti sei compiaciuto di te, là sei rimasto. Se poi hai detto: Basta; sei addirittura perito. Aggiungi sempre, avanza sempre, progredisci sempre”. In questo cammino si può evocare la tentazione più forte che può prendere il viandante: l’accidia, vizio capitale, variante della disperazione. Accidia come ri- nuncia triste e infastidita ad affrontare le esigenze che inevitabilmente il percorso che ci sta davanti presenta. Un sottrarsi agli obblighi della grandezza interiore del- l’uomo rifugiandosi nelle chiacchiere, in un’insaziabile curiosità, nelle distrazioni, in una sorta d’instabilità continua, in un “espandersi fuori dal castello dello spirito” (Pieper, 1960, 42). Lo stesso Palmer ha indicato altrove una specifica esigenza dell’apertura spiri- tuale: la riscoperta del sacro, inteso come ciò che è “degno di rispetto” (Palmer, 1999, 20); e non c’è nulla al mondo che non ne sia degno. Ciò porta a una forma di relazione con tutte le creature e con ogni essere che è caratterizzata dalla loro sa- cralità e dal loro essere degni di rispetto. Si ha così il recupero di un prezioso senso dell’alterità degli altri e delle cose del mondo, della ricerca della stessa loro intima natura, del bisogno di vivere una comunità, il tutto in una prospettiva di riscoperta, secondo l’espressione di T. Merton, di una “totalità nascosta”, con senso di umiltà, di meraviglia e sorpresa. L’educazione, dunque, deve mirare a tutto questo, anche perché implica guarigione e totalità, promuovere potere e liberazione, trascendenza e rinnovamento vitale (Ibidem, 18-19). In questo cammino interiore che ci spinge a rientrare in noi stessi, ma che ci permette anche di scoprire la realtà profonda degli altri e dell’altro, occorre rag- giungere un equilibrio tra esigenze del proprio mondo interiore e appelli esterni a noi. J.P. Miller (1999) insiste sulla necessità di cercare un sempre più delicato ma solido equilibrio tra spirituale e materiale, tra intuitivo e razionale, tra qualitativo e quantitativo, tra mente e corpo. Il pericolo di dualismo e di squilibrio è sempre pre- sente. In questa stessa prospettiva si può segnalare l’esasperazione del valore della razionalità analitica propria della scienza, rispetto ad altre vie della ragione; la sva- lutazione del lato emozionale e affettivo della persona; il non riconoscere l’intima 27 Si può consultare, a esempio, l’edizione de La vera religione curata da Antonio Pieretti (Roma, Città Nuova, 1995, pp. 15-157). Il passo citato è al numero 39,72. 66 unità della persona umana (anima, mente e corpo) per vedere il corpo come la pri- gione da cui dover liberare l’anima. Lo stesso Miller insiste su una delle evocazioni più chiare provenienti dalla stessa Bibbia: il riferimento allo Spirito di Dio che dà vita (Genesi 2,7). Spiritua- lità, quindi, come sorgente di vita, di energia, di dinamismo profondo dell’uomo. Un dinamismo che nasce dall’interno, che alimenta l’anima nella sua apertura verso gli altri, il mondo. Un dinamismo che tende verso una più alta forma di vita interiore: la contemplazione. Aristotele nell’ultimo capitolo della sua Etica a Nico- maco si pone il problema della felicità perfetta. Questa è data dalla contempla- zione, considerata come l’attività più elevata che può compiere l’uomo (X, 8,1178b). Si accentua in questa prospettiva l’educazione spirituale giovanile come risveglio e alimentazione di una vita spirituale autentica. Viene sollecitato da questa suggestione anche il tema, già più volte accennato, dell’apertura e della ricerca nei riguardi della prospettiva ultima dell’esistenza, della finalità fondamentale della vita, del destino personale e comunitario. La sen- sibilità per una riflessione insistita, per una ricerca appassionata per ciò che può co- stituire il valore supremo, quello che permette di attribuire valore poi a tutte le altre cose e vicende umane, costituisce, dunque, un ulteriore carattere della spiritualità. Si ricongiunge quindi il quadro sul piano della ricerca di senso, di un senso complessivo, totale, di un senso che permette di attribuire significato e valore alle cose, alle persone, alle vicende quotidiane. L’apertura al mistero permette, poi, di superare la tendenza, propria della razionalità analitico-scientifica, di circoscrivere l’attenzione a ciò che cade sotto la registrazione sensibile, a ciò che è rappresenta- bile ed elaborabile mediante forme logiche deduttive e induttive formalizzabili. Si tratta di un’apertura verso ciò che sta al di là, oltre le apparenze superficiali e fram- mentarie delle nostre sensazioni e percezioni immediate. Essa ci permette di co- gliere la “totalità nascosta”, il fondamento del tutto e in prospettiva l’Assoluto, da cui tutto dipende, anche la nostra stessa esistenza. Le ulteriori questioni che possono essere poste a una comunità educativa che elabora l’identità della propria istituzione formativa sono: a) se questi sono i caratteri propri di una spiritualità di base, comune, universale, devono essi entrare nella considerazione dell’impianto della proposta educa- tiva di una istituzione di istruzione e formazione professionale? b) se sì, in quale forma particolare, cioè secondo quali modalità d’interpretazione pratica, mediante quali esperienze e sollecitazioni da parte degli educatori? 7. Impostare un percorso d’educazione spirituale di base Quanto segue parte dall’ipotesi che una spiritualità può essere intimamente le- gata a una modalità di vivere l’esperienza religiosa, ma anche che l’autenticità di tale esperienza implica alcuni caratteri propri della spiritualità dell’uomo comune, 67 del cittadino che partecipa alla vita della sua comunità umana. Essi cioè debbono essere presi in seria considerazione e garantiti in forme sufficienti a tutti, siano più o meno credenti. Anzi, essi probabilmente costituiscono la condizione perché nel passaggio adolescenziale l’apertura al mistero, la ricerca di senso più profondo, la sensibilità per il destino personale e per la finalità ultima della vita non vengano progressivamente spenti dall’invadenza di esperienze culturali e di vita di tipo ri- duttivo e consumistico. Tenendo conto di quanto sopra evocato, si possono ipotizzare alcune fonda- mentali linee d’azione. Esse implicano la valorizzazione di una vera conversazione educativa, cioè di un dialogo tra educatori ed educandi che si protrae nel tempo e che si basa su tre modalità principali di interazione: la persuasione verbale, l’espe- rienza vicaria e l’esperienza diretta28. Tra queste, la principale è certamente l’espe- rienza diretta. Essa sta al cuore di uno sviluppo della spiritualità giovanile, purché adeguatamente valorizzata e sviluppata, in quanto costituisce la base fondamentale della costruzione di significati, di valori e di atteggiamenti, che guidano non solo l’interpretazione delle sfide della vita, ma anche le conseguenti decisioni e azioni. In psicologia, l’esperienza può essere considerata sia come sostantivo, sia come verbo. Come sostantivo è: “la valutazione soggettiva (cosciente) degli stimoli recepiti, o la conoscenza da essi derivata”. Come verbo: “provare qualcosa, imbat- tersi in qualcosa, trovare qualcosa, sentire, soffrire alcunché, o acquistare coscienza di un oggetto di stimolo, di una sensazione o di un evento interiore” (Arnold - Ey- senck - Meili, 1975, 383). D’altra parte K. Lewin (1965) elaborando la sua teoria del campo identifica il campo di esperienza interiore con l’insieme dei contenuti in- teriori che emergono progressivamente e con diverso grado di chiarezza alla co- scienza. Esso, quindi, varia da persona a persona sia per estensione, sia per struttu- razione, nonché per la dinamica che si svolge nel suo ambito. L’esperienza diretta implica una partecipazione attiva dell’educando e non solo un’osservazione dall’esterno. Quest’ultima può costituire un’esperienza educativa, ma è un’esperienza indiretta, mediata, vicaria, nel senso che essa avviene come a distanza e il meccanismo psicologico che la realizza ha ben diversi caratteri rispetto a quelli implicati nell’avere agito in prima persona. In un’esperienza diretta giocano congiuntamente molti fattori. Tra questi rive- stono un ruolo del tutto centrale le emozioni, che non vanno intese però come pure reazioni fisiologiche (quali incremento del battito cardiaco, sudorazione delle mani), bensì come intreccio tra tensione nervosa e valutazione dello stimolo che ne è stato o ne è all’origine. È utile ricordare come una stessa situazione possa dare origine a un’emozione negativa o positiva a seconda dell’attribuzione di significato 28 Una trattazione più sistematica dell’uso della metafora della conversazione nel contesto dell’e- ducazione e delle forme attraverso le quali la conversazione educativa può avere luogo si trova in PELLEREY M., Educare. Manuale di pedagogia come scienza pratico-progettuale, Roma, Las, 1999, capp. ottavo e decimo. 68 e di valore che le si dà. Anche la sola vista di un cane può essere vissuta come un evento piacevole o spiacevole. È ovvio allora che un’esperienza educativa acquista significato e valenza positiva soggettiva in quanto essa è collegata a uno stato emo- zionale positivo, a un senso di benessere e di arricchimento. Il soggetto, quindi, percepisce inizialmente l’esperienza come interessante, sti- molante, sfidante, suggestiva, sulla base di guadagni e significati internamente vis- suti e non solo osservati in altri. In secondo luogo egli si rende conto del senso o della ragione di questa sollecitazione; cioè, egli ha un ritorno riflessivo, che per- mette una più o meno pronunciata concettualizzazione dell’esperienza stessa: perché egli ne è stato stimolato, che cosa gli ha fatto intravedere o verso che cosa gli ha fatto aprire gli occhi, da che cosa si è sentito attirato, quale guadagno perso- nale ha acquisito, che cosa ciò può prospettare per la sua esistenza. È questa la base che può condurre nel tempo non solo ad avvertire il valore implicato in quella atti- vità, ma a interiorizzarlo come riferimento per iniziative proprie e non solo quando ne sia sollecitato da altri. 8. Orientamenti per impostare un progetto curricolare: educare al vero, al bello, al bene La prima linea di azione riprende alcune proposte avanzate recentemente da vari studiosi come H. Gardner ed E. Morin. Esse sono prevalentemente centrate su alcuni aspetti più direttamente riferibili alla formazione culturale e professionale del giovane, formazione che però deve essere profondamente riconsiderata per poter dare spazio allo sviluppo della dimensione spirituale. Si tratta in definitiva di favorire la presa di coscienza e l’assunzione personale di alcuni valori spirituali propri della tradizione umanistica. In effetti l’educazione umanistica dell’uomo era diretta verso la scoperta e la coltivazione del bello, del buono, del giusto, del vero. La proposta seguente intende ripercorrere proprio questa strada, reinterpretando l’impegno educativo, dandogli senso, consapevolmente, tramite queste categorie fondamentali di riferimento. Anche, se non soprattutto, nelle istituzioni di istru- zione e di formazione professionale. Un tentativo, segnato tuttavia da una visione riduttiva dell’uomo, è stato fatto da H. Gardner nel volume dal titolo originale The disciplinated mind (Gardner, 1999). Egli evidenzia come si stia eccessivamente caricando di conoscenze speci- fiche il curricolo di studio dei giovani, rischiando di perdere proprio il senso di un percorso educativo diretto alla coltivazione del vero, del bello e del buono. In forma analoga, anche se per molti versi assai lontana da quella di Gardner, E. Morin ha svolto lo stesso tema nei volumi La testa ben fatta (2000) e I sette saperi necessari all’educazione del futuro (2001). Io vorrei qui proporre un quadro di rife- rimento analogo, ma che tenga conto in maniera più completa della realtà umana spirituale. 69 Educare al vero. Sappiamo che una delle caratteristiche della cultura contem- poranea è data da un forte scetticismo circa la possibilità, anche da un punto di vista di principio, di poter raggiungere la verità sulle cose, le persone, le vicende umane e da un altrettanto diffuso relativismo in merito. Posizioni estreme, come il costruttivismo radicale o il neopragmatismo, esasperano la soggettività nell’elabo- rare interpretazioni della realtà, che hanno nessuna o ben scarsa corrispondenza con un mondo che rimane ben oltre la possibilità conoscitiva dell’uomo. All’esaspera- zione della posizione scientifico-analitica, che considera solo verità all’interno di modelli formali di realtà, che abbiano riscontri affidabili nella materialità del mondo fisico, oggi spesso si contrappone la relatività storico-culturale di queste stesse elaborazioni. In questo contesto si apre la possibilità da una parte per la valo- rizzazione di forme di razionalità che ricerchino la verità seguendo una molteplicità di vie della ragione; dall’altra, di considerare realtà che superano i limiti del sensi- bile fisico, realtà che possono essere còlte solo attraverso intuizioni profonde, me- tafore poetiche, simboli allusivi, in quanto poste oltre la soglia dell’immediata- mente percepibile e registrabile dai nostri sensi. Una ricerca del vero che ci prende e ci sospinge, che mai rimane appagata, che vuole andare oltre, che non si accontenta. Una prospettiva per la quale la verità non è mai possesso definitivo, ma prospettiva finale. Essa in qualche modo ci invita, ci coinvolge, ci possiede, nel senso che sollecita, guida e sostiene l’agire e il pensare dell’uomo, fornendolo di sorgenti di senso e di finalizzazione ultima. È quanto viene sviluppato da P.J. Palmer nel già citato volume To know as we are known. Education as a spiritual journey, che parte da una definizione particolare dell’inse- gnare: “ […] insegnare consiste nel creare uno spazio nel quale è praticata l’obbe- dienza alla verità” (Palmer, 1993, xi-xii; cfr. in particolare capp. 5 e 6). Educare al bello. In questi ultimi decenni in molti Paesi è stata spesso sotto- valutata l’importanza dell’educazione estetica. La capacità di godimento del bello, pur essendo radicata in ogni essere umano, deve essere risvegliata, alimentata e guidata dai processi educativi attivati sia in famiglia, sia a scuola, sia nelle asso- ciazioni, sia nell’ambito più propriamente religioso. E non solo nel contesto di un’iniziazione all’esperienza e alla competenza estetica e di un loro sviluppo con- siderando le varie arti (musicali, pittoriche, performative, plastiche, architetturali e urbanistiche, letterarie e poetiche, ecc.), ma anche nella promozione della capacità di provare emozioni estetiche nel contesto delle proprie relazioni con la natura, con gli altri, con l’Altro. Nella tradizione aristotelico-tomista il bello è associato al vero e al bene. Il piacere estetico, l’emozione positiva che si prova di fronte al bello è intimamente legata alla comprensione del vero e del bene. È un segnale di verità e di bontà. Naturalmente ciò è vero se l’anima è stata educata in questa dire- zione. Quest’ambito, occorre sottolinearlo, è privilegiato per promuovere la compren- sione, l’uso, la valorizzazione, anche soggettiva, dei simboli, delle metafore, delle allusioni. La poesia, come la pittura, è impregnata di simbolismi, di metafore, di 70 evocazioni. Una sensibilità adeguatamente sviluppata in questo ambito, come già accennato, è una delle condizioni per aprirsi al mistero, al non circoscrivibile, a ciò che ci supera, ci trascende. Educare al bene. È in atto in molti Paesi una riscoperta del ruolo della scuola nell’ambito dell’educazione morale. L’ipotesi di una rigida separazione tra istru- zione ed educazione, ipotesi sostenuta negli anni settanta e ottanta da varie parti ideologiche, si è scontrata sia con la riflessione pedagogica, sia con l’emergere di bisogni educativi che non possono essere ignorati dalla società e in particolare dalle varie agenzie educative. In alcuni Paesi si è preferito parlare di educazione del ca- rattere intesa come promozione: a) della capacità di cogliere il bene quale è solleci- tato dalle varie situazioni di vita; b) capacità di amare tale bene, scegliendo di agire coerentemente; c) capacità di perseverare. D’altra parte, il bene, come il vero e il bello, “si rivolge a me con l’intimazione che io lo riconosca, l’accolga e lo attui. La coscienza è […] la consapevolezza di quest’esigenza e del diritto che le spetta” (Guardini, 1997, 31). Si è anche risco- perta la dottrina aristotelico-tomista della virtù e dell’organismo virtuoso, nonché la centralità della pratica come cuore non solo dello sviluppo degli abiti, ma anche della possibilità di percepire il valore interno alle pratiche virtuose. A questo parti- colare ambito della formazione personale è dedicata tutta la terza parte di questa ri- cerca. Una genuina esperienza del vero, del bello e del bene implica lo sviluppo di uno spazio interiore, che permetta nel tempo di penetrare sempre più in profondità il loro valore infinito e di coglierne sempre meglio la connessione con il fine ul- timo, il significato più profondo del tutto, la felicità personale ultima, e l’Assoluto, che ne sta alla base. Uno spazio che risuona positivamente sempre meglio e più fa- cilmente, anche emotivamente, per le azioni buone, sia compiute personalmente, sia colte negli altri. La sensibilità a comprendere ciò che è bene in particolari situa- zioni e circostanze si deve accompagnare con il godimento interiore quando esso viene realizzato. 9. Orientamenti per impostare un progetto curricolare: valorizzare profonde esperienze esistenziali K. Rahner (1974), nel citato studio, esamina le caratteristiche dell’esperienza di Dio oggi. Egli sviluppa la sua argomentazione evidenziando come l’esperienza religiosa abbia qualità specifiche, uniche, che la distinguono da altre forme di espe- rienza, anche se con queste ha non solo alcune analogie, ma anche una forma inci- piente di riflessione. L’Autore esemplifica in seguito alcuni tipi d’esperienza, che possiedono tali qualità. Essi in genere sono caratterizzate dal senso del mistero, una modalità di percezione, che trascende ogni particolare concreto, per cogliere ciò che li collega e 71 sostiene in una prospettiva ultima e originaria di realtà, e che rende consapevoli di una certa radicale limitatezza inerente a ogni forma di conoscenza e di agire libero, anche se si riesce a cogliere un certo livello finito di significatività e di libertà indi- viduale (Ibidem, 155-156). È l’esperienza di se stessi come esseri che costante- mente raggiungono un punto, che ci supera nella direzione dell’incomprensibile e del non circoscrivibile, che ha uno stato radicale d’infinità, e che, d’altra parte, consente ogni atto di apprensione, di distinzione, di classificazione. È un ultimo punto di riferimento, una finalità asintotica, una presenza di Dio nascosta nell’espe- rienza, una forza dinamica senza limite inerente allo spirito e intrecciata di cono- scenza e libertà (Ibidem, pp. 153-156). In particolare, P. Tillich ci avverte: “L’ango- scia per la mancanza di significato è angoscia per la mancanza di un interesse su- premo, di un significato che dia valore a tutti i significati. Quest’angoscia è provo- cata dalla perdita di un centro spirituale, di una risposta, per quanto simbolica e in- diretta, all’interrogativo del significato dell’esistenza” (Tillich, 1968, 39-40). Momenti nei quali si può vivere una tale esperienza sono, ad esempio: quando all’improvviso ci si sente ridotti a uno stato di solitudine e ogni cosa sembra ri- messa in discussione, mentre il silenzio ci circonda da ogni parte; quando repenti- namente sentiamo messa in causa la nostra libertà e la nostra responsabilità, perce- pendo questa situazione come coinvolgente l’intera esistenza senza possibilità di scampo; quando ci sentiamo rifiutati, senza alcun riconoscimento o appoggio, mentre dobbiamo render conto di qualcosa che sfugge alla nostra capacità di con- trollo; quando ci si imbatte in un amore personale, incondizionato, che non tiene conto della nostra fragilità e finitezza (Rahner, 1974, 155-156). Un esempio viene dalla testimonianza di una giovane francese che nel contesto del Giubileo dei giovani ha scritto: “Non sono niente, non valgo niente, non spero niente. I miei genitori mi hanno detto ‘tu non sei niente’, i miei professori mi hanno detto ‘tu non combinerai mai niente’, i miei amici mi dicono ‘tu non ci dai niente’. Tutta la mia vita non è fatta che da questo niente e niente potrà cambiare questa si- tuazione. Tutti questi niente mi hanno distrutta, tutti questi niente non mi permet- tono di sperare, tutti questi niente non sono che disperazione. Io non sono niente, io non valgo niente, io non spero niente. Come posso guardarmi allo specchio senza dirmi: tu non vali niente; come vivere tutti questi giorni senza dirmi: tu non speri più niente?”. È in questi contesti che si ha, o si può avere, un’esperienza di coinvolgimento che ci supera, che ci porta oltre la nostra condizione, che ci apre all’infinito e al mi- stero. Sulla base di quest’esperienza si può e si deve procedere oltre, verso una più elevata forma di consapevolezza. Ad esempio: “Un’effettiva esperienza di amore è assolutamente fondamentale e necessaria, ma essa può essere accettata più profon- damente, più puramente, con più grande libertà, quando raggiungiamo una cono- scenza della sua vera natura e delle sue implicazioni a un livello esplicitamente conscio” (Ibidem, 152). Assumendo questa prospettiva emerge abbastanza facilmente la necessità di 72 valorizzare da una parte le esperienze radicali, anche se non consapevoli, che un giovane o una giovane ha già avuto; dall’altra promuovere occasioni nelle quali tali esperienze possano aver luogo. Nel primo caso il momento iniziale è certamente quello della rievocazione narrativa; quello nel quale, con il sostegno dell’educatore, viene recuperata alla memoria un’esperienza esistenziale pregnante e se ne cerca il senso, la prospettiva, le implicazioni personali e sociali. Su questa base è possibile intraprendere un viaggio spirituale; a partire dal risveglio del bisogno di compren- dere, si può avviare una ricerca interiore, che a poco a poco si apre non solo alla considerazione della propria limitatezza, ma anche alla possibilità di trascenderla, intravedendo prospettive di senso più profonde, finalità esistenziali più ricche e ar- ricchenti. Occorre che si percepisca personalmente l’appello che tali esperienze esi- stenziali ci pongono. Un appello che noi cristiani sappiamo essere dono dello Spi- rito. Nel secondo caso entrano in gioco certamente la capacità di persuasione, che aiuta a cogliere l’importanza di esporsi a esperienze esistenziali ricche e coinvol- genti, e l’esperienza vicaria, che può essere attuata sulla base dell’esposizione da parte di chi tali esperienze ha già avuto e ha già iniziato un viaggio interiore alla ri- cerca del loro senso e dell’appello personale che esse ci rivolgono. Ma centrale ri- mane il coinvolgimento in esperienze personali che permettano, poi, di costituire il riferimento per un risveglio e un cammino interiore di tipo spirituale. Terza questione: Quali percorsi educativi possono essere ipotizzati, tenendo conto della necessità di arricchire di esperienze personali positive i soggetti edu- candi? Come dovrebbe essere trasformata l’attività formativa per promuovere lo sviluppo della disponibilità a perseguire il vero in profondità; a godere della bel- lezza; a cercare il bene, ad amarlo e perseverare in esso? Come garantire la valoriz- zazione d’esperienze esistenziali aperte alla scoperta del senso e della prospettiva esistenziale, all’apertura verso l’Assoluto, al dialogo religioso intimo? 10. Conclusione Il contesto sociale, culturale e materiale attuale certamente ci spinge a un ri- pensamento profondo del rapporto tra spiritualità e educazione. La presenza sempre più importante nei percorsi di Istruzione e di Formazione Professionale di giovani che hanno riferimenti culturali e religiosi molteplici ci spinge a una rifles- sione approfondita sulle finalità e le modalità d’azione educativa nella scuola, negli oratori, nei centri giovanili, nelle comunità di accoglienza, e in genere in ogni atti- vità e iniziativa sociale e formativa. In tale contesto emergono segnali di un inte- resse per la considerazione di una dimensione spirituale dell’uomo e dell’educa- zione, che pur non essendo direttamente ed esplicitamente religiosa, tuttavia è aperta a un approfondimento religioso. Inoltre, non sembra possibile uno sviluppo autentico della stessa dimensione 73 religiosa della vita umana senza che esperienze esistenziali radicali sollecitino ad andare oltre la superficialità del quotidiano, la provvisorietà dell’immediato, la ma- terialità del consumo. Non solo, occorre probabilmente un tirocinio che avvii anche in campo culturale a cercare con insistenza una verità più incisiva sulla realtà umana, personale e sociale, e sulla realtà dell’universo che ci circonda. Occorre che i percorsi educativi, anche scolastici, siano luogo e tempo d’esperienze etiche, este- tiche e veritative autentiche, d’esperienze esistenziali che sollecitano un risveglio dell’interiorità, d’accompagnamento per le vie di un viaggio, di un’avventura spiri- tuale verso il senso ultimo della vita, verso le finalità fondamentali dell’esistenza, verso l’incontro personale profondo con l’Assoluto. 75 Terza parte La dimensione morale Negli ultimi due decenni del secolo ventesimo è riemerso un interesse puntuale e diffuso per quella dimensione formativa che viene chiamata educazione del carattere (Lickona, 1991). Con questa espressione si allude in gran parte all’educazione mo- rale e a quella componente della personalità che passa sotto il nome di volizione. Ri- cerche raffinate di neuropsicologia (Damasio, 1995, 86-93) hanno evidenziato come soggetti che erano del tutto capaci di scelte sociali e morali valide e di continuità di impegno nel portarle a termine, una volta subite particolari lesioni cerebrali conser- vano «capacità normale di produrre opzioni di risposta alle situazioni sociali e di considerare spontaneamente le conseguenze di alcune opzioni particolari», sono «capaci di concettualizzare i modi per conseguire obiettivi sociali, di predire il pro- babile esito di situazioni sociali e di compiere ragionamenti morali a un livello avanzato di sviluppo»; tuttavia essi non sono poi in grado di scegliere in maniera coerente le conclusioni raggiunte sul piano cognitivo, ma soprattutto di perseverare nel perseguire determinati obiettivi. In poche parole viene loro a mancare proprio quella dimensione della personalità che passa sotto il nome di volizione. Per l’educazione del carattere di un giovane non basta certo che egli sia in grado di compiere giudizi morali validi e coerenti con i principi di riferimento posi- tivi e con la conoscenza pertinente delle situazioni che interpellano la nostra decisione. Occorre anche che egli sviluppi un complesso di qualità personali che garantiscono la capacità di agire con perseveranza e sistematicità secondo le scelte compiute; in ambito sia psicologico, sia sociologico, sia filosofico è riemerso un grande interesse per lo studio della componente volitiva dell’agire umano. Non meraviglia quindi che anche in ambito pedagogico ed educativo si siano sviluppati movimenti diretta- mente interessati al problema dell’educazione del carattere e della volizione, mettendo in rilievo l’importanza di un apprendistato che si fonda da una parte su modelli espliciti di comportamento e, dall’altra, su un esercizio pratico sistematico e guida- to. Tutto ciò è coerente con la corrente di pensiero che rivaluta come finalità fonda- mentale dell’educazione morale lo sviluppo di un organismo umano virtuoso basato su una crescita e consolidamento di abiti morali virtuosi. Negli Stati Uniti si sono diffuse iniziative e sperimentazioni sistematiche di- rette a evidenziare forme e metodi di educazione morale nel contesto scolastico. Ciò è particolarmente evidente per il fatto che un carattere positivo viene identifi- cato nella capacità di conoscere il bene, di amarlo in quanto tale e di realizzarlo 76 nel proprio spazio vitale (Ryan, 1993). Particolarmente forte è in questo contesto l’orientamento a riconsiderare la scuola come una comunità impegnata sul piano etico. Viene, infatti, evidenziato il ruolo e la responsabilità delle varie comunità di vita, anche di quella scolastica, nel promuovere lo sviluppo morale dei giovani, in quanto esse sono le realtà fondamentali nelle quali l’individuo cresce. Viene sotto- lineato, riprendendo l’idea da MacIntyre, che certamente uno dei compiti fonda- mentali dell’autorità dei genitori è educare i figli in modo che diventino adulti vir- tuosi, ma viene aggiunta la constatazione che oggi più che mai questo compito deve essere assunto anche dalla scuola. In particolare occorre promuovere la virtù della prudenza, o saggezza pratica, intesa come capacità di decisione meditata e responsabile che pervade tutto l’agire umano, della giustizia, del coraggio, della perseveranza, del prendersi cura degli altri. 1. Una rilettura di alcune pagine di J. Dewey Il campo di riflessione relativo all’educazione morale nel contesto delle istitu- zioni formative investe un terreno per molti versi complesso, difficile, insidioso, ma anche urgente, dinamico e ricco di potenzialità. C’è chi ha affermato che la scuola non ha compiti in questo settore perché si deve occupare solo della crescita culturale dei giovani; ma sempre più chiaramente e insistentemente viene eviden- ziato anche per essa un suo ruolo specifico anche in questo ambito. Evidentemente si tratta non di una espropriazione del ruolo centrale della famiglia, bensì, da una parte di individuare il ruolo peculiare della scuola e, dall’altra, di prefigurare le forme di collaborazione e integrazione tra scuola e famiglia. Spesso ci si appoggia in questa prospettiva a una valorizzare dell’educazione ai valori propri della convi- venza democratica, quale è quella prefigurata dalla stessa Costituzione italiana. Circa novanta anni fa, nel 1916, John Dewey ha delineato una prospettiva di educazione morale nella scuola, che si intreccia fino a identificarsi con l’educa- zione sociale e del carattere. È utile di questi tempi rileggere subito alcuni passi dell’opera Democrazia e educazione1 anche per cercare di chiarire i dubbi che, so- prattutto studiosi di parte laica, hanno avuto circa il ruolo della scuola nell’educa- zione morale dei giovani. Successivamente cercherò di esplicitare la problematicità della condizione attuale dei giovani, delle famiglie, della scuola e della società dal punto di vista dell’educazione morale dei giovani, per giungere a una enucleazione più chiara delle dimensioni dell’educazione morale e del ruolo che la scuola può 1 Utilizzo la traduzione di Democracy and Education curata da Enzo Enriques Agnoletti e Paolo Paduano nel 1949, rielaborata nel 1965 e contenuta in: JOHN DEWEY, Democrazia e educazione, Fi- renze, La Nuova Italia, 1979. Tuttavia ho apportato alcune minori variazioni, di cui la principale sta nell’aver tradotto il termine «habit» con «abito» e non con «abitudine», in quanto quest’ultimo ter- mine mi è apparso impreciso e fuorviante mentre il primo appartiene alla tradizione morale a cui si rifà l’Autore. 77 avere in questo ambito. Sarà più agevole in seguito individuare alcune possibili modalità di azione formativa della scuola e di collaborazione tra scuola e famiglia. In Democrazia e educazione J. Dewey affronta esplicitamente la questione concernente i compiti e le forme di educazione morale della scuola. Nell’ultimo ca- pitolo, dedicato alle «Teorie della morale», egli in primo luogo evidenzia i pericoli di un dualismo che separa tra loro fattori interiori della vita morale, come disposi- zioni interne e motivi profondi, e comportamenti esterni e conseguenze delle azioni. Alla moralità delle «buone intenzioni», della buona disposizione non può essere contrapposta una morale edonista o utilitarista, che dà valore solo a ciò che l’uomo fa, alle conseguenze che egli suscita. Né vale il compromesso incoerente spesso presente nella scuola. «Da una parte si esaltano certe disposizioni interiori [...]. Ma poiché, d’altra parte, certe cose vanno fatte per soddisfare le convenienze e le esigenze altrui, si insiste molto affinché certe cose siano fatte, indipendente- mente [...] dal quadro di pensieri o di desideri in cui si attua[no]» (446-447). L’unità che deve essere sviluppata tra pensieri, disposizioni interne e inten- zioni, e azioni e comportamenti esterni trova radici ancora più vaste nella persona in quanto: «La morale riguarda l’intero carattere, e tutto il carattere si identifica con l’uomo in tutto il suo complesso e nelle sue manifestazioni concrete». D’altra parte: «Quanto all’agire, moralità e socialità si identificano». Infatti «la morale comprende tutti quegli atti che riguardano le nostre relazioni con gli altri. Essa cioè potenzialmente include tutti i nostri atti, anche se la loro portata sociale non è stata tenuta presente al momento dell’esecuzione. Infatti ogni nostro atto, in virtù del principio dell’abito, modifica la disposizione e crea una specie di inclinazione e di desiderio. Ed è impossibile dire quando l’abito così rafforzato può avere un’in- fluenza diretta e percepibile sulla nostra associazione con altri. Alcuni tratti del ca- rattere hanno una connessione così evidente con le nostre relazioni sociali che li chiamiamo per eccellenza «morali», come la sincerità, l’onestà, la castità, l’amabi- lità, ecc. Ma questo significa soltanto che essi, in confronto ad altri atteggiamenti, sono centrali, vale a dire determinano altri atteggiamenti» (Ibidem, 456-457). Precedentemente egli aveva affermato che: «Lo sviluppo nei giovani del com- portamento e delle disposizioni necessarie alla continuità e al progresso di una so- cietà non può avere luogo con la comunicazione diretta delle credenze, emozioni, conoscenze. [...] La formazione educativa più profonda e più intima del carattere avviene inconsciamente, man mano che i giovani partecipano gradualmente alle at- tività dei vari gruppi ai quali appartengono» (Ibidem, 29). Ciò non vuol dire però, che la conoscenza non abbia un suo ruolo essenziale. Infatti: «L’educazione morale nelle scuole è praticamente un caso disperato, se si fa fine supremo lo sviluppo del carattere e al tempo stesso si tratta l’acquisto del sapere e lo sviluppo del raziocinio che necessariamente occupa la maggior parte del tempo scolastico, come se non avessero niente a che fare col carattere». Il nodo del problema sta nel fatto che la conoscenza morale non può essere acquisita solo tramite libri e lezioni scolastiche e manifestata come risposta alle interrogazioni dei docenti. In questo caso, infatti, 78 l’unica condotta che si saprà collegare al sapere sarà il «ripetere affermazioni a ri- chiesta altrui» e questa «conoscenza» non avrà molta influenza sulla vita extrasco- lastica. «In verità, il problema dell’educazione morale nelle scuole si identifica col problema dell’acquisto del sapere, di un sapere connesso col sistema degli impulsi e degli abiti». Lo sviluppo argomentativo dell’opera si basa in gran parte sull’as- sunto «che le qualità della mente [...] sono tutte qualità intrinsecamente morali. La larghezza di idee, l’unità di vedute, la sincerità, l’ampiezza di orizzonte, l’andare in fondo alle cose, l’assumere la responsabilità nello sviluppare le conseguenze delle idee accettate, sono tratti morali» (Ibidem, 454-455). Dewey ricorda inoltre come nel pensiero greco già si era affermato «che l’uomo non poteva raggiungere la penetrazione teorica del bene prima di aver pas- sato anni di abitudine pratica e di strenua disciplina. La conoscenza del bene non era una cosa da ricavare dai libri o dagli altri, ma si otteneva attraverso una prolun- gata educazione. Era la grazia culminante di una matura esperienza di vita». In co- erenza con la sua impostazione pedagogica egli aggiungeva che « è una conoscenza di prima mano imposta dall’esperienza che influisce sulla condotta in modi signifi- cativi» (Ibidem, 454). Si può notare come questo quadro teorico, sinteticamente ora ripreso, trova oggi una grande risonanza nel contesto di una rinascita di interesse per la raziona- lità pratica (Pellerey, 1994). Il pericolo, già sottolineato da Dewey, è che quest’ul- tima venga contrapposta ad altre forme di intelligenza di natura più teorica. Anche se egli in genere rimane in gran parte fedele a una mentalità moderna, che valorizza fino in fondo la razionalità analitica propria della scienza, occorre sottolineare la sua sensibilità per l’approccio aristotelico nel caso della razionalità pratica. «Dewey ha cercato di sottolineare la relazione esistente tra conoscenza e azione, tra ricerca e sue conseguenze, tra scienza e etica, tra ordine naturale e valori umani» (Sandin, 1992, 34). Anche rimanendo fedeli a una prospettiva deweyana, occorre oggi essere aperti alla valorizzazione delle molteplici vie della ragione (Berti, 1987), la cui riscoperta non deve essere occasione di contrapposizione, bensì di in- tegrazione, che favorisca una valida cooperazione tra di esse. La pura esperienza senza riflessione critica, senza confronto dialettico, senza tener conto delle istanze poste oggi da scienza e tecnologia (Ladrière, 1978) non conduce a un vero sapere morale. Come il puro sapere separato dall’azione, i nobili pensieri, che mai si in- carnano nei comportamenti e che mai si confrontano con i pensieri altrui, non danno origine a persone prudenti e responsabili. L’identificazione nell’azione tra moralità e socialità, inoltre, mette in risalto la responsabilità sociale della condotta morale, anche quando questa non è direttamente collegata all’interazione con altri. Lo sviluppo di un abito morale implica in realtà la generazione e la crescita sia di una disposizione interna, sia di un desiderio interiore che influenzano la condotta morale della persona in ogni circostanza della vita. D’altra parte il contesto sociale e di vita influisce in maniera decisiva sullo sviluppo di queste disposizioni. Di qui la necessità di costruire nella scuola una vera vita di comunità, nella quale esperi- 79 mentare motivi e significati morali e nella quale esercitarsi nello sviluppo di com- portamenti con questi coerenti. L’attenzione e la sollecitudine riscontrate in Dewey quanto al problema dell’e- ducazione morale nella scuola, può aiutare tutti, a qualunque impostazione ideale o religiosa si ispirino, a sviluppare una rilettura attenta e puntuale della società e della scuola di oggi e a individuare alcune strade fondamentali che possono essere percorse nel cercare di dare una risposta di natura educativa in campo morale ai tanti interrogativi emergenti. 2. L’emergere di una nuova domanda e sensibilità per l’educazione morale e sociale In grande sintesi possono essere passati in rassegna alcuni dei più significativi aspetti problematici del mondo dei giovani, delle famiglie e degli adulti, che solle- citano una nuova presa di coscienza della necessità di una rinnovata attenzione per l’educazione morale, in particolare per quella che la scuola può promuovere al suo interno, anche in dialogo con le famiglie. In questo contesto si è manifestata una nuova e forte sensibilità per l’apporto che la scuola può dare nella formazione dei giovani anche da questo punto di vista. In coerenza con questa apertura anche sul piano filosofico, psicologico e metodologico sono emerse prospettive interessanti di indagine e proposta. 1) Nel mondo giovanile Nonostante l’esistenza di gruppi e di individui notevolmente maturi e respon- sabili, sembra aumentare considerevolmente il numero di coloro che manifestano sintomi di disagio profondo. a) Si nota un aumento della violenza giovanile evidenziata da comportamenti ag- gressivi verso le cose e le persone, fino a forme di vera e propria crudeltà verso i propri coetanei o i più giovani. A ciò si accosta una certa tendenza au- todistruttiva, che giunge fino al suicidio. b) Viene segnalato spesso un aumento diffuso di forme comuni di disonestà, come il mentire, l’ingannare, il truffare, il rubare, l’approfittare dell’ingenuità o della debolezza altrui. c) Si diffonde la tendenza a non rispettare e/o a non obbedire a chi è posto in au- torità, anche quando ciò non solo è legittimo, ma necessario per il bene co- mune e per quello degli individui. d) Nell’ambito del lavoro, come in quello dello studio, si avverte la debolezza o un declino, dove queste erano più diffuse, dell’etica del lavoro e dell’etica pub- blica, intesa quest’ultima come senso di responsabilità per le cose, i servizi e in genere il bene comune. e) Accanto a un’accentuata precocità sessuale, si notano crescenti forme di egoismo ed egocentrismo. 80 f) Va segnalato un diffuso analfabetismo etico, sia nel senso di mancanza di ap- prezzamento per significativi valori di riferimento, sia per incerte se non er- ronee forme di ragionamento e argomentazione morale. g) Si può aggiungere, infine, il segnale che proviene da una diffusione, soprat- tutto nel contesto della scuola secondaria superiore, di droghe più o meno leg- gere, come è emerso in questi ultimi anni da indagini varie, oltre che da dram- matici episodi riportati dalla stampa nazionale. 2) Nell’ambito delle famiglie e del mondo degli adulti In questo contesto vengono notati e segnalati elementi di disagio e incertezza, che tendono a crescere nel tempo. a) In primo luogo vanno ricordati i cambiamenti sociali ed economici, che hanno avuto un’influenza notevole sulla struttura famigliare (nuclearità) e sulla distri- buzione degli impegni lavorativi dei suoi membri (in particolare il carico di la- voro femminile) e sul tempo passato in famiglia (meno spazi per il dialogo fa- migliare, invadenza del mezzo televisivo). b) Si avvertono le conseguenze più evidenti di tali cambiamenti come una minore guida e una minore cura direttamente svolte dai genitori. Al posto della cura diretta dei genitori si diffondono asili nido, scuole materne, scuole a tempo pieno e prolungato, centri per attività libere destinati ai giovani e ai giovanis- simi, ecc. c) Sembra anche attenuarsi, forse per motivi culturali ed ideologici, l’attenzione al problema di uno sviluppo adeguato di comportamenti e di abiti segnati da valenze etiche. Ad esempio il linguaggio usato, i comportamenti mostrati, i comportamenti richiesti, appaiono sempre più in contrasto con orientamenti e norme solo astrattamente affermati. d) Un ulteriore fattore critico è costituito dalla presenza sempre più diffusa di si- tuazioni famigliari problematiche e/o frammentate, a causa delle quali i gio- vani si sentono poco accompagnati nelle loro esperienze di vita. Nel contesto della cultura e del comportamento etico In questo ambito hanno evidenti forme di influsso gli orientamenti che indebo- liscono l’impegno morale, anche dal punto di vista educativo. a) È abbastanza evidente l’influenza della metafora evoluzionista: tutto è in evoluzione, anche i valori e le norme etiche. Questa viene rafforzata da un contesto cultura- le e sociale sempre più pluralistico. Di qui un relativismo accentuato non solo quan- to a comportamenti specifici, ma anche quanto a valori di riferimento. Anche le sempre più forti insistenze sul cambio culturale, sul bisogno di nuovo, tendono a sradicare le persone da significati e valori permanenti. b) Si nota l’influsso del positivismo logico e più in generale di impostazioni cul- turali che separano l’approccio scientifico da altre forme di razionalità. Questo influsso induce a una distinzione radicale tra fatti, che possono essere provati scientificamente, e valori, che hanno origine nei sentimenti e hanno quindi ca- 81 rattere privato, soggettivo, non sottoponibile a dibattito pubblico e a insegna- mento scolastico. c) Spesso si avverte l’influsso di certe forme di personalismo (a esempio quello promosso da alcuni psicologi umanisti e quello implicito in vari movimenti li- bertari) che celebrano la dignità, l’autonomia e la soggettività della persona, enfatizzando i diritti individuali e la libertà rispetto alla responsabilità. Tali po- sizioni hanno giustamente protestato contro l’oppressione e l’ingiustizia, ma hanno anche talora delegittimato l’autorità morale, eroso il credere in norme morali oggettive e/o comuni, rivolto gli individui verso se stessi e la propria auto-realizzazione, indebolito l’impegno sociale e alimentato una rivoluzione sessuale destabilizzata. d) In questo contesto entra in gioco anche l’influsso del pluralismo culturale, etico e religioso, che pone in discussione l’insegnamento di valori comuni con- divisi, e della secolarizzazione, per la quale forme di educazione morale ispi- rate a credi religiosi violano quella separazione tra stato e chiesa, che in molti Paesi viene garantita. e) Vanno anche segnalati in campo psicologico ed educativo alcuni tentativi di accentuare in maniera esasperata la sola prospettiva intellettualista. Ad esempio la scuola piagetiana e quella di Kohlberg hanno centrato la loro atten- zione prevalentemente sullo sviluppo del ragionamento morale, che è un fat- tore certo necessario di crescita morale, ma non altrettanto sufficiente perché questa si realizzi, sottostimando contemporaneamente il ruolo della scuola come luogo di apprendistato morale. Anche il movimento della chiarificazione dei valori, ricco dal punto di vista metodologico, ha mancato dal punto di vista della distinzione tra preferenze, materia di scelta libera, e valori morali, che sono materia di obbligo. f) La psicanalisi ha diffuso l’idea che alla base del comportamento ci siano istinti profondi, che se repressi provocano disturbi anche gravi; ne deriva di conse- guenza la necessità di seguire i propri istinti e sentimenti nelle forme e nelle direzioni secondo le quali essi emergono dall’interno. Manuali di educazione dei bambini degli anni Settanta insistevano sulla necessità di non frustrare i de- sideri o le impuntature dei piccoli, per non creare traumi. Oggi si titolano vo- lumi dello stesso argomento “I no che aiutano a crescere”. g) In questo contesto un influsso non trascurabile deriva dalla frequentazione degli spettacoli televisivi. Non solo per alcuni caratteri interni del mezzo, che non favorisce la riflessione critica né un’organizzazione coerente delle espe- rienze e delle conoscenze, ma anche per la proposta, tramite lo strumento nar- rativo, di modelli di comportamento, che spesso vengono interiorizzati e di- ventano riferimenti permanenti per successivi modi di agire e di reagire (Ban- dura, 1986). Contemporaneamente si percepisce in vari contesti di riflessione e di indagine scientifica un ritorno di sensibilità per i problemi dell’educazione morale e sociale. 82 a) In prospettiva psicologica Nella ricerca psicologica hanno ripreso vigore, soprattutto in ambito tedesco, gli studi relativi ai processi volitivi e, più in generale, le indagini sulla psicologia dello sviluppo di motivi e valori, intesi come disposizioni interne stabili, sulla psi- cologia della motivazione e della formazione delle decisioni, sulla psicologia della volizione, intesa come capacità di controllo dell’azione realizzatrice della deci- sione presa. Sono tutti elementi che una volta venivano collegati al processo di formazione e sviluppo del carattere. In particolare sono stati rivalutati i concetti e i ruoli: 1) delle tendenze motivazionali, ossia dei significati, dei motivi, dei valori, intesi come disposizioni stabili interne derivate dall’esperienza pratica (cioè dal- l’azione) e strutturate secondo un sistema coerente; 2) delle intenzioni, viste come progetti o piani d’azione attivi nella coscienza e all’attuazione dei quali ci si sente impegnati (Kuhl, 1987); 3) della volizione, concepita come controllo attivo ed ef- ficace dello svolgersi delle azioni che attuano il progetto o piano inteso (Pellerey, 1993). b) In prospettiva filosofica Da qualche decennio è rinata un’attenzione sistematica per la razionalità pra- tica e specificatamente per la razionalità implicata nella dimensione etico-sociale dell’agire umano. Viene sottolineata, per questo settore della crescita umana, l’im- portanza del promuovere vere e proprie forme di apprendistato morale. Anche la ri- flessione sulle radici della moralità, in particolare di quella pubblica, e sulle forme di sviluppo di una società e di una comunità morali hanno largo spazio nella rifles- sione critica. Ne è ulteriore indizio una rilettura più attenta e positiva del cosiddetto pragmatismo. Accanto a questa rinascita di interesse per la razionalità pratica si sviluppa una vera e propria riabilitazione della virtù. È una riscoperta e valorizza- zione del pensiero aristotelico e di una tradizione antica, alla quale certamente si è ispirato anche lo stesso Dewey. L’opera di Alasdair Maclntyre After Virtue pubbli- cata nel 1981 e tradotta in italiano con il titolo Dopo la virtù (Maclntyre, 1988) è stata la scintilla che ha stimolato notevoli sviluppi non solo sul piano della rifles- sione etica, ma anche su quello della proposta educativa. Per Maclntyre la virtù «è una qualità umana acquisita il cui possesso ed esercizio tende a consentirci di rag- giungere quei valori che sono interni alle pratiche, e la cui mancanza ci impedisce effettivamente di raggiungere qualsiasi valore del genere» (Maclntyre, 1988, 229). Tuttavia ogni virtù non può essere considerata nel suo isolamento, bensì va collo- cata all’interno di una storia di vita alla ricerca di unità e di perseverante tensione verso un fine degno di essere perseguito. «Perciò le virtù vanno intese come quelle disposizioni che non solo correggono le pratiche e ci consentono di raggiungere i valori interni ad esse, ma ci aiutano anche nel genere di ricerca del bene che qui ci interessa permettendoci di superare i mali, i pericoli, le tentazioni e le distrazioni in cui ci imbattiamo, e ci forniscono una conoscenza crescente di noi stessi e del bene»( Ibidem, 262). 83 c) In prospettiva di metodologia educativa In questo caso si evidenziano movimenti direttamente interessati al problema dell’educazione del carattere. Negli Stati Uniti in seguito alla dichiarazione di Aspen2 nella quale si sono poste le basi per un nuovo movimento educativo scola- stico, si sono diffuse iniziative e sperimentazioni sistematiche dirette a evidenziare forme e metodi di educazione morale nel contesto scolastico. Ciò è particolar- mente evidente per il fatto che un carattere positivo viene identificato nella capa- cità di conoscere il bene, di amarlo in quanto tale, e di realizzarlo nel proprio spazio vitale (Ryan, 1993). Particolarmente forte è in questo contesto l’orienta- mento a riconsiderare la scuola come una comunità impegnata sul piano etico. Vengono, infatti, evidenziati il ruolo e la responsabilità delle varie comunità di vita, anche di quella scolastica, nel promuovere lo sviluppo morale dei giovani, in quanto esse sono le realtà fondamentali nelle quali l’individuo cresce. Viene sotto- lineato, riprendendo l’idea di Maclntyre, che certamente uno dei compiti fonda- mentali dell’autorità dei genitori è educare i figli in modo che diventino adulti vir- tuosi, ma viene aggiunta la constatazione che oggi più che mai questo compito deve essere assunto anche dalla scuola. In particolare occorre promuovere le virtù della prudenza, intesa come capacità di decisione meditata e responsabile che per- vade tutto l’agire umano, della giustizia, del coraggio, della perseveranza, del prendersi cura degli altri. Come già accennato, lo sviluppo morale di un giovane viene riletto dai movi- menti educativi sorti di recente come sviluppo del carattere in tre direzioni: 1) ca- pacità di cogliere il bene, che è sollecitato nelle diverse situazioni di vita; 2) capa- cità di amare tale bene, cioè capacità di scegliere di agire coerentemente per conse- guirlo; 3) capacità di essere costante e perseverante nel cercarlo, nonostante le dif- ficoltà, i contrasti e le disillusioni (Lickona, 1993). Tale sviluppo deriva dalla con- vergenza di tre fattori o componenti fondamentali (Pellerey, 1992). a) Di un fattore cognitivo. Ciò implica lo sviluppo: 1) della consapevolezza delle dimensioni morali implicate nelle varie situazioni; della conoscenza dei valori morali e delle esigenze che essi pongono nei casi concreti; 2) di un orientamento generale all’agire in senso prospettico e proattivo; 3) di una competenza di ragionamento e di argomentazione morale; 4) di capacità di decisione riflessa e consapevole delle conseguenze; 5) di autoconoscenza morale. 2 Nel 1992 ad Aspen nel Colorado si sono riuniti una trentina di rappresentanti di organizzazioni scolastiche, giovanili e centri di studio universitari convocati dal Josephson Institute of Ethics. In quell’occasione è stata stesa una Dichiarazione sull’educazione del carattere che comprende otto prin- cipi fondamentali. Nel 1993 in seguito a questa Dichiarazione è stato lanciato negli Stati Uniti un pro- getto di partenariato tra scuole e altre istituzioni educative e di ricerca per promuovere un movimento di educazione del carattere. 84 La centralità del fattore cognitivo nella decisione morale era già stata eviden- ziata da Aristotele e da S. Tommaso d’Aquino, che mettevano al centro dello svi- luppo morale l’acquisizione della virtù intellettuale della prudenza. Questa era ra- dice e forma fondamentale di tutte le altre virtù, in quanto «ogni virtù è necessaria- mente prudente». b) Di un fattore affettivo. Ciò implica lo sviluppo: 1) di una sensibilità specifica per l’obbligo di fare ciò che si giudica giusto; 2) di un costante rispetto per se stessi; 3) di atteggiamenti empatici nei riguardi degli altri; 4) di un amore, come dedizione, per il bene; 5) di un grado adeguato di autocontrollo emotivo; 6) di un sufficiente livello di umiltà, intesa come disponibilità a riconoscere le proprie debolezze morali e a correggerle. La dimensione affettiva dello sviluppo morale è stata spesso identificata con la soggettiva preferenza o la tendenza emotiva verso un oggetto, una persona, una si- tuazione, considerandola, dunque, come unica fonte costitutiva dei valori e delle scelte morali, identificata, spesso, dal principio del piacere o dell’interesse. In realtà essa, pur avendo un ruolo centrale nella decisione morale, si intreccia in ma- niera profonda sia con la sua dimensione cognitiva che con quella volitiva. Spesso si manifesta come desiderio o rifiuto più o meno profondamente sentito, come un’attrazione o una repulsione emotivamente segnata. c) Di un fattore comportamentale o volitivo. Ciò implica lo sviluppo: 1) di una valida competenza nel saper ascoltare, nel saper comunicare, nel saper collaborare; 2) di una volontà realizzatrice che riesce a mobilitare giudizi ed energie interne; 3) di abiti morali come disposizioni interne, stabili ed efficaci per rispondere alle situazioni in forma moralmente buona. Lo sviluppo delle virtù intese come disposizioni stabili che facilitano le scelte e gli atti moralmente positivi è basato sull’elicitazione effettiva e sempre più co- erente di tali scelte e sulla sempre più agevole fedeltà nella loro attuazione. Questi tre fattori o componenti interagendo tra loro in forma circolare costitui- scono una struttura interna unitaria. I sentimenti e l’affettività che caratterizzano l’orientamento all’azione sono mediati da un sistema di credenze, di convinzioni e di conoscenze che costituiscono il riferimento interno delle intenzioni elaborate. L’azione che ne scaturisce, quando raggiunge una sua eccellenza relativa, è fonte di piacere interiore e di soddisfazione profonda, che influenzano a loro volta l’elabo- razione di giudizi di valore e lo sviluppo di stabili disposizioni interne. Credenze, convinzioni e conoscenze costituiscono la base delle tendenze motivazionali e della formazione delle intenzioni; quando queste si concretizzano in azioni coerenti e perseveranti, producono emozioni e sentimenti che sono fonte di profonda gratifi- cazione personale. 85 3. Su alcune obbiezioni e attenzioni particolari circa il ruolo della scuola nel- l’educazione morale Nel campo dell’educazione morale il ruolo specifico della scuola è stato spesso più o meno radicalmente contestato sulla base di argomentazioni di questo tipo (Starratt, 1994): – in una società pluralistica non siamo in grado di accordarci su quali indirizzi etici promuovere; – l’insegnamento della morale appartiene alla famiglia e alle comunità religiose e non alla scuola; – data la ristrettezza del tempo e la povertà di risorse disponibili per un insegna- mento già così esigente, non è possibile dedicare tempo ed energie all’educa- zione morale; – molti genitori non vedono nessuna utilità pratica in una vera e propria educa- zione morale sviluppata sia a scuola, sia in famiglia; – gli insegnanti non possono essere coinvolti in attività di educazione morale se non sono stati a ciò specificatamente e adeguatamente preparati. È stato già ricordato l’orientamento di Dewey. Oggi sono sempre più numerosi gli studi e le esperienze che cercano di rispondere a tali obiezioni. In genere si ricorda che la scuola ha: a) un ruolo sociale, in quanto espressione della società e parte responsabile nella sua costruzione e sviluppo, costruzione e sviluppo che sono in gran parte ba- sati su virtù morali essenziali per una convivenza civile e democratica positiva; b) un ruolo educativo in campo morale, che si esplica anche quando non espres- samente dichiarato, è quello che è stato chiamato il curricolo nascosto o impli- cito dato dall’atmosfera generale vissuta, dai comportamenti dei docenti e dei dirigenti, dal sistema di relazioni personali e istituzionali sviluppato; c) un ruolo culturale, in gran parte legato alla promozione di valori umani fonda- mentali e di significati da dare all’esperienza personale, agli avvenimenti so- ciali, alla realtà umana. Si può di conseguenza sinteticamente affermare: – è necessario continuamente cercare insieme le basi morali di una convivenza valida e feconda sia nel contesto della società in cui viviamo, sia in quello di comunità più particolari, come la scuola, alle quali partecipiamo; – l’impegno nell’educazione morale è di tutti, in quanto è l’agire bene che fa una comunità buona, e la scuola ha responsabilità specifiche specialmente per quanto riguarda le virtù che sono complementari a quelle promosse dalla fami- glia o dalla Chiesa e che sono proprie della vita culturale, professionale e ci- vile dei singoli; – che lo intendano o no le scuole insegnano comunque principi e norme morali; è necessaria a questo proposito una chiara presa di coscienza e una più riflessa e concorde impostazione curricolare; 86 – la dimensione morale della professione docente è qualcosa a essa intrinseco (Pellerey, 1992b) e non può il singolo insegnante invocare una non adeguata preparazione di base; la competenza in questo campo è principalmente una sua responsabilità personale, una responsabilità che si integra con quella collettiva della scuola. 4. Lo sviluppo della dimensione motivazionale e valoriale in prospettiva psico- logica Verso la metà degli anni Sessanta era stata progettata, e in parte realizzata, l’idea di R. Tyler di costruire una matrice di riferimento per organizzare in modo sistematico il lavoro di valutazione in relazione agli obiettivi educativi della scuola. Per questo era stata costruita da parte di un gruppo di studio guidato da B.S. Bloom (1956) una tassonomia degli obiettivi cognitivi basata sul principio or- dinativo della complessità del processo coinvolto. Nel 1964 venne pubblicata dallo stesso gruppo (Bloom - Krathwohl - Masia) una tassonomia per gli obiettivi affettivi basata sul grado di interiorizzazione dei valori. I motivi-valori stanno alla base dello sviluppo della motivazione all’azione. La lettura delle situazioni speci- fiche e contingenti alla luce di questi riferimenti e disposizioni interiori stabili ge- nera una tendenza all’azione, che porta alla decisione e consente poi di sostenere e controllare lo stesso svolgersi dell’azione. Lo sviluppo stabile di motivi-valori in- terni costituisce quindi come la base fondante di una struttura personale ben for- mata. Una rilettura degli apporti della riflessione del gruppo guidato da Bloom ci è di aiuto per comprendere lo sviluppo nel tempo del processo di interiorizzazione dei motivi-valori personali. Il gruppo guidato da Bloom sotto la denominazione di dimensione «affettiva» raccoglieva elementi riferibili a «interessi, atteggiamenti, apprezzamenti, valori, disposizioni o alterazioni emozionali». Nella letteratura psicologica ormai si ac- cetta chiaramente una multicomponenzialità dei concetti di atteggiamento e di va- lore, che include fattori cognitivi, affettivi e di orientamento all’azione, con una certa dominanza della componente cognitiva nei riguardi degli ultimi. D’altra parte si potrà constatare come nel processo di interiorizzazione dei valori, criterio tasso- nomico assunto, giochino un ruolo determinante oltre ai fattori affettivi, anche quelli cognitivi e comportamentali. Il processo di interiorizzazione, inoltre, è visto come un processo di «crescita interna che ha luogo in quanto c’è un’accettazione da parte dell’individuo degli atteggiamenti, codici, principi o sanzioni che diven- gono parte di lui stesso nel formare i giudizi di valore o nel determinare la sua con- dotta» (Good, 1959, citato da Bloom, Krathwohl e Masia, 1984, 35). La tassonomia comprende cinque livelli di interiorizzazione: a) Il primo livello, che coincide in gran parte con un minimo livello di inte- resse, include una qualche disponibilità ricettiva che si manifesta nel rendersi conto 87 dell’esistenza di uno o più valori e quindi nella disponibilità a prestare attenzione in maniera selettiva a discorsi, azioni, giudizi relativi a essi. L’azione educativa mira di conseguenza a sensibilizzare il soggetto, a renderlo consapevole e attento, in grado cioè di differenziare un oggetto, un’azione, una persona dall’intero con- testo delle sue percezioni. b) Il secondo livello implica un maggiore coinvolgimento. Permane l’interesse, ma di fronte a una sollecitazione ad agire in conformità a uno o più valori si ha una risposta inizialmente più caratterizzata da un’acquiescenza a quanto richiesto, poi via via più disponibile e segnata dalla soddisfazione. L’azione educativa è diretta a sollecitare e sostenere una risposta attiva alla semplice attenzione prestata; si tratta di aiutare a impegnarsi in un’attività o in un argomento e fenomeno, per chiarirlo, provando piacere nell’affrontarlo o nell’approfondirlo. c) Il terzo livello è più chiaramente caratterizzato da processi di natura cogni- tiva e decisionale (in accordo d’altronde con la stessa tassonomia per i processi co- gnitivi). Si ha una vera e propria accettazione o scelta del valore, seguita da una preferenza per esso, che si manifesta nell’impegno: la convinzione emerge nell’a- zione, anche se non ancora in forma stabile e strutturata. Si ha un comportamento che è abbastanza solido e stabile da assumere le caratteristiche di una convinzione o di un atteggiamento. Il soggetto manifesta questo comportamento con sufficiente coerenza e nelle circostanze appropriate, perché si possa pensare che sia guidato da significati, intenzioni o valori specifici. È un comportamento motivato, non dal de- siderio di piacere o di obbedire, ma dall’impegno individuale nei confronti del va- lore fondamentale che determina il comportamento. d) Il quarto livello implica un’organizzazione interna dei valori, una loro strut- turazione sia nel senso di una più chiara concettualizzazione, sia in quello dell’ela- borazione di un sistema valoriale. Si tratta di organizzare i valori entro un sistema, determinando le interrelazioni che esistono fra di essi e stabilendo quali sono i più importanti e più profondi. La concettualizzazione permette un processo di unifica- zione e di differenziazione sia delle esperienze attive, sia delle preferenze emerse intorno a nuclei più ricchi e coerenti. Di qui emerge anche la possibilità di un ordi- namento. e) Il quinto livello, infine, indica la caratterizzazione dell’agire a partire da un sistema di valori stabile e chiaramente organizzato. La tendenza ad agire sulla base di questo sistema valoriale è ormai talmente generalizzata e naturale da costituire un carattere stabile delle decisioni e delle azioni del soggetto. I valori entrano a far parte di una gerarchia personale: sono organizzati in una qualche forma di sistema intrinsecamente coerente e regolano il comportamento e il giudizio dell’individuo con sufficiente continuità e durata per affermare che ne costituiscono la base por- tante. Formano per lui una filosofia di vita, una «visione del mondo», a cui rimane coerente. 88 Non è il caso di entrare nel merito delle critiche e discussioni che sono deri- vate da questa e dalle altre tassonomie elaborate. Dal nostro punto di vista sembra emergere anche in questa proposta un’intima relazione tra il costituirsi di un si- stema di valori e l’esperienza totale del soggetto: affettiva, cognitiva e comporta- mentale. D’altra parte questo schema si presta anche a una rilettura delle varie teorie sull’acquisizione e trasformazione degli atteggiamenti e dei valori. È una conferma a quanto esposto nel paragrafo precedente. Circa l’interiorizzazione di motivi e motivazioni umane si può anche ricordare l’apporto della corrente psicologica umanistica e in particolare di Deci e Ryan (1985). Essi intendono per interiorizzazione il processo attraverso il quale valori, convinzioni e comportamenti ispirati da altri dall’esterno, diventano a poco a poco riferimenti e schemi d’azione regolati personalmente dall’interno. Tali Autori hanno evidenziato le principali motivazioni intrinseche, proprie di ogni essere umano e presenti fin dalla più tenera infanzia. Esse sono: il bisogno di sentirsi au- tonomi, di percepirsi competenti, di relazionarsi con altri. Quanto alle motivazioni estrinseche, esse provengono dalle sollecitazioni esterne e sono relative alle varie forme di convivenza sociale e ai valori che sono in tali contesti prevalenti. Tra le motivazioni estrinseche giocano un ruolo importante la ricerca di fama, onore, ric- chezza, potere, successo, attrazione fisica. Ma non tutte le motivazioni estrinseche di per sé sono corruttrici. Basti pensare alle conoscenze, alle competenze e ai valori di cui non si è mai avuta esperienza diretta. Il bambino è sollecitato dalla forza interiore delle motivazioni intrinseche e nella valutazione della qualità delle sue esperienze utilizza come riferimento la coerenza o congruenza tra queste ultime e le spinte interiori provenienti dal bi- sogno di percezione di autonomia, di competenza, di relazione. Di qui la sua rea- zione emozionale e il costituirsi nel tempo di un atteggiamento positivo o nega- tivo verso persone, situazioni, luoghi, attività. L’adulto ha quindi un ruolo educa- tivo preciso nell’aiutare a canalizzare tali forze interiori secondo percorsi validi dal punto di vista della crescita personale, sociale, culturale e professionale. Ad esempio, il bisogno di sentirsi autonomi va guidato verso lo sviluppo di un pro- prio progetto di vita, di una capacità di scelta basata su valori caratterizzanti la propria identità e di perseveranza nel portare a termine le proprie scelte e i propri progetti. L’educazione alla libertà si innesta sul bisogno di autodeterminazione e di auto-realizzazione. La strada che conduce a una integrazione positiva di moti- vazioni intrinseche e motivazioni estrinseche si sviluppa secondo tre fondamen- tali livelli. Il primo livello è quello della introiezione di modalità d’azione e di comporta- mento. Il soggetto, cioè, si regola nella sua condotta sulla base di influenze esterne (comandi, sollecitazioni, suggerimenti, proposte, modelli, mode) senza che queste vengano percepite e assunte personalmente, perché riconosciute congruenti con i propri bisogni fondamentali. Viene a mancare un mediazione interiore che consenta di verificare se certe indicazioni, sollecitazioni o influenze portano a un’autentica 89 crescita di autonomia, di competenza o di capacità di rapporto personale. Ad esempio, si introietta il culto per il denaro e si accettano acriticamente forme di comportamento che sono prevalenti in contesti che fanno della ricchezza un valore dominante. Analoga esemplificazione può essere fatta per la ricerca della forma fi- sica o per la scelta del modo di vestire, di atteggiarsi o di esprimersi. Un secondo livello di interiorizzazione delle motivazioni estrinseche deriva dalla identificazione di sé con forme di condotta, modalità di valutazione, prospet- tive di vita che derivano dall’impatto con gli altri, siano essi educatori o meno. Così una pratica sportiva può portare progressivamente all’identificazione di sé con i valori che sono propri di tale pratica; una pratica di aiuto agli altri vissuta in un contesto di attività di volontariato può portare a percepire tale pratica come positiva per la propria vita. Il terzo livello di interiorizzazione conduce a una integrazione delle motiva- zioni estrinseche con le motivazioni intrinseche originarie. A esempio, la motiva- zione alla ricchezza e al guadagno viene moderata o integrata dal bisogno di sen- tirsi autonomi e competenti. Il riconoscimento economico viene colto come un se- gnale di competenza, la disponibilità di risorse come mezzo per vivere una vita fa- migliare serena e attenta ai bisogni dei singoli. Le motivazioni estrinseche in questo caso non sono valutate nella loro specifica identità, bensì in relazione a un migliore e più maturo soddisfacimento delle motivazioni intrinseche. La prospettiva delineata da questi Autori può risultare utile per impostare in maniera valida e feconda la conversazione educativa. Tuttavia, sembra necessario aggiungere alle tre motivazioni intrinseche individuate da Deci e Ryan il bisogno di attribuzione di senso alle proprie esperienze: possedere, cioè, riferimenti e disposi- zioni interne che consentano di interpretare in maniera significativa le vicende quo- tidiane che si devono affrontare. 5. Lo sviluppo morale in prospettiva psicologica Si è accennato più volte al contributo di L. Kohlberg sullo sviluppo del ragio- namento morale. A questo proposito si è ormai d’accordo da parte degli studiosi che nel passato si è posto eccessivamente l’accento sulla razionalità morale, cioè sulla capacità di analizzare nella loro formalità i dilemmi morali. A ciò ha influito da una parte la tradizione formalista e strutturalista della filosofia morale e la pro- spettiva esclusivamente cognitiva della psicologia piagetiana. È stata anche data una certa enfasi agli aspetti relazionali e relativi all’interazione tra le persone, igno- rando spesso i fattori intrapersonali e intrapsichici. La rinascita che a partire dagli anni ottanta si è avuta in campo teorico della considerazione della razionalità pra- tica di tradizione aristotelica e la maggiore attenzione che si è avuta in campo psi- cologico per la complessità della dinamica interna dell’azione umana hanno portato a contributi ulteriori che integrano e superano quelli precedentemente prospettati. 90 Ad esempio L.J. Walker3 è partito da un diverso approccio psicologico conside- rando “la moralità come un aspetto pervasivo del funzionamento umano, con com- ponenti sia interpersonali che intrapersonali. Più specificatamente, essa si riferisce alle azioni volontarie che, almeno potenzialmente, hanno qualche implicazione so- ciale e interpersonale e che sono governate da meccanismi intrapsichici cognitivi ed emotivi”4. Sulla scia di una rilettura critica delle ricerche di Kohlberg, Rest et alii (1999)5 hanno elaborato un modello a quattro componenti che essi ritengono rappresentare i fattori molteplici che influenzano il comportamento morale e che si prestano come utili quadri di riferimento per progettare interventi formativi. L’idea fonda- mentale che sta dietro la proposta è che i processi psicologici interni presi in consi- derazione contemporaneamente possono dare luogo a comportamenti esterni osser- vabili. I quattro fattori evidenziati sono i seguenti: a) Sensibilità morale. Essa comprende: interpretare la situazione; assumere ruoli per sperimentare come le varie azioni influenzano le parti interessate; immagi- nare la catena di cause ed effetti di eventi; essere consapevoli della presenza di problemi morali quando si presentano. b) Giudizio morale. Giudicare quale azione morale è la più giustificabile da un punto di vista morale. c) Motivazione morale. Il grado di impegno nel prendere una decisione morale, valutare i valori morali di fronte agli altri valori, prendere la propria responsa- bilità di fronte a risultati morali. d) Carattere morale. Perseveranza in un compito morale, superare fatica e tenta- zioni, portare a termine procedure che servono a un fine morale. Il modello pone sfide agli educatori al fine di sviluppare esperienze educative che si rivolgono a tutti i quattro fattori mentre incoraggiano la costruzione sociale della conoscenza in una comunità di pratica. Tali comunità, occorre ricordarlo, di- ventano d’altronde sempre più complesse, multiculturali e globalizzate, il che com- plica enormemente l’impegno formativo. D’altra parte, le nuove direzioni delle ricerca psicologica circa la psicologia dello sviluppo morale centrano l’attenzione sullo studio della personalità morale e sul carattere, una prospettiva che permette di cogliere nella loro integrazione le componenti cognitive, affettive e comportamentali o volitive. Un primo approccio esamina le concezioni che la gente ha del funzionamento morale e della eccellenza morale, nozioni che sono presenti in maniera diffusa nel parlare e nel pensare co- mune. Un altro approccio prende in considerazione il funzionamento psicologico di 3 WALKER L.J., Moral exemplarity, in W. DAMON (Ed.), Bringing a new era in character educa- tion, Stanford, Goover Inst. Press, 2002, 65-83. 4 Ibidem, 66. 5 REST J. et al., Postconventional moral thinking: A neo-kohlbergian approach, Mahwah, LEA, 1999. 91 persone considerate esemplari da questo punto di vista, cioè soggetti che sono stati identificati come eccellenti esempi di virtù morali, integrità e dedizione. La prima modalità di ricerca ha portato a identificare le qualità che la gente at- tribuisce alla maturità morale. Si tratta di aggregazione di caratteristiche che si rin- forzano a vicenda. La prima riguarda un acuto ed evidente senso di moralità: l’im- portanza di possedere fermamente un insieme di valori e principi morali e di man- tenere alti standard e ideali di comportamento morale. La seconda aggregazione concerne le nozioni di giustizia, di principi e razionalità che riflettono la conce- zione kohlbergiana di eccellenza morale. La terza aggregazione prende in conside- razione aspetti più interpersonali legati alla sensibilità e calore umano nel prendersi cura degli altri, alla lealtà e affidabilità personale. La quarta aggregazione evi- denzia le qualità di perseveranza e continuità nel perseguire gli obiettivi morali, una forte dedizione al perseguimento dei valori morali e degli standard di compor- tamento congiunta a una forte consapevolezza di capacità di conseguirli. Si tratta di una visione di integrità essenziale alla maturità morale. La persona è dedita ad agire con fortezza in base a principi, valori e ideali morali. Oltre a evidenziare un insieme di virtù morali che caratterizzano la persona matura moralmente come onestà, affidabilità, cura degli altri, compassione, ecc., si mette in luce la centralità della nozione eccellenza nella integrità personale, intesa come coerenza tra pensiero e azione. È abbastanza chiaro che in questo tipo di in- dagini si evidenzia una lista di virtù che dovrebbero caratterizzare l’eccellenza mo- rale, tuttavia tale frammentazione può portare a forme non equilibrate di loro consi- derazione. Come è stato sottolineato da alcune ricerche si possono evidenziare squilibri ed eccessi6 nel considerare e sviluppare singole virtù. In effetti la que- stione teorica già ben presente in Aristotele è che lo sviluppo di un organismo vir- tuoso esige una integrazione equilibrata e armonica fra di esse e la virtù che favo- risce questo tipo di sviluppo è proprio la saggezza pratica o prudenza. Ci torneremo sopra considerando la questione dal punto di vista teorico. Il secondo approccio psicologico esplora quelli che si possono definire esempi di maturità ed eccellenza morale. Da questo punto di vista sono stati sviluppati tre tipi di studi7. Le caratteristiche principali identificate sono: a) attiva ricettività a una progressiva influenza sociale e una continua capacità di cambiamento; b) conside- revole certezza circa principi e valori morali bilanciata da ricerca inarrestabile della verità e apertura mentale (precludendo forme di dogmatismo); c) visività e otti- mismo, umiltà, amore per la gente, capacità di perdono, sostegno continuo di fede e spiritualità; d) un’eccezionale forma di unità del sé e della moralità, che riflette un’identità integrante nella propria vita, aspetti personali e morali. In altre ricerche basate su interviste e questionari condotti con giovani impe- 6 Cfr. a esempio LAPSLEY D.K., Moral Psychology, Boulder, Westview Press, 1996. 7 Cfr. COLBY A., DAMON W., Some do care. Contemporary lives of moral committment, New York, Free Press, 1992. 92 gnati nei servizi di volontariato e segnati per le loro qualità morali, si sono indivi- duate queste caratteristiche rispetto a un gruppo di controllo: maggior maturità nella loro identità personale, che riflette una più forte dedizione a valori e maggiore stabilità; un maggiore sviluppo di una fede matura, che riflette il processo di attri- buzione di senso nella vita; utilizzano una più accentuata capacità di ragionamento morale, confermando il valore di questa disposizione. Analoghi risultati sono stati ottenuti utilizzando forme di narrazione e storie di vita. Una prospettiva abbastanza diversa è quella elaborata da Darcia Narvaez e da Daniel K. Lapsley8, che tende a valorizzare due apporti della psicologia provenienti da ambiti di studio diversi. Il primo riguarda l’analisi delle azioni cosiddette auto- matiche; il secondo gli studi sulle caratteristiche della competenza esperta, esami- nate alla luce di quelle di un principiante. Il rapporto con l’agire etico risulta abba- stanza immediato, se ci si colloca nella tradizione del pensiero di ispirazione aristo- telica. Esaminiamo separatamente i due apporti nel contesto di una psicologia del carattere. Dagli studi citati emerge con grande evidenza il limite di considerazioni che pongono nella deliberazione consapevole il cuore del comportamento morale. Bargh e Ferguson9 hanno evidenziato come “processi mentali superiori, visti tradi- zionalmente come esempi fondamentali della scelta e della libera volontà – come il perseguimento di finalità, il giudizio deliberativo, il comportamento interpersonale – risultano dalle indagini recenti spesso attuati in assenza di scelta o di guida”10. Di qui l’analisi più attenta dei cosiddetti comportamenti automatici nel comporta- mento morale. Oggi è chiaro che molti comportamenti umani sono caratterizzati da livelli variati di automaticità. Non è più possibile, infatti, opporre i comportamenti decisi e attuati consapevolmente a quelli che intervengono senza una esplicita deli- berazione, quasi che questi ultimi siano sempre svolti in maniera non intenzionale, non volontaria, senza o con poca attenzione, impegno di risorse cognitive, senza sforzo, al di fuori di consapevolezza personale. Si tratta, infatti, di qualità che pos- sono essere presenti in forme molto diversificate, combinate tra loro in maniere molteplici e messi in atto in circostanze specifiche. Molti comportamenti automa- tici come camminare, guidare un’automobile, leggere non possono essere conside- rati di per sé come non intenzionali o non soggetti a controllo e possibilità di essere bloccati11. Basandosi su queste premesse Robin Hogarth12 ha sintetizzato le ricerche dis- 8 NARVAEZ D. - LAPSLEY D.K., The psychological foundations of everyday morality and moral expertise, in LAPSLEY D.K. - PARKER F.C., Character Psychology and Character Education, Notre Dame, University of Notre Dame, 2005, 140-165. 9 BARGH J.A. - FERGUSON M.J., Beyond behaviourism: On the automaticity of higher mental pro- cesses, “Psychological Bulletin”, 2000, vol. 126, 925-45. 10 Ibidem, 926. 11 LOGAN G.D., Automaticity and cognitive control, in ULEMAN J.S. - BARGH J.A., Unintended Thought, New York, Guilford Press, 1989, 52-74. 12 HOGARTH R.M., Educating Intuition, Chicago, University of Chicago Press, 2001. 93 ponibili evidenziando tre livelli di comportamenti automatici. Il primo livello è le- gato a bisogni inconsci come quelli di natura fisiologica. Il secondo permette di co- gliere informazioni e reagire ad esse senza una particolare attribuzione di signifi- cato. Il terzo livello, invece, implica una immediata attribuzione di significato a un insieme di stimoli, che porta a intervenire senza particolare sforzo, né riflessione consapevole. Molti di queste condotte manifestano la diffusa presenza di forme di elaborazione tacita che al loro livello superiore assumono i caratteri di comporta- menti intuitivi. Queste conclusioni da una lato evocano il concetto tradizionale di abito mentale e/o morale o disposizione stabile nell’assumere giudizi, condotte e azioni eticamente segnate; dall’altro inducono a prendere in considerazione le ca- ratteristiche di una competenza esperta. Gli studi riferibili alla cosiddetta expertise umana hanno messo in luce alcune caratteristiche di un esperto che meritano di essere esplorate un po’ in dettaglio. Un esperto in un particolare ambito di competenza manifesta una conoscenza degli elementi caratterizzanti tale ambito assai sviluppata e articolata sia dal punto di vista concettuale, sia operativo13. Inoltre, egli ha sviluppato una particolare sen- sibilità, che gli permette di cogliere le sue caratteristiche in maniera puntuale e assai funzionale ai problemi che deve affrontare. Infine, egli possiede un com- plesso strutturato di abilità che gli permettono di comprendere e risolvere le sfide anche assai complesse e inconsuete che possono emergere. Questo insieme di qua- lità gli permette di prendere decisioni in maniera immediata e senza sforzo. I prin- cipianti, invece, devono muoversi assai lentamente e ricorrendo a intensa rifles- sione critica. D’altra parte, le conoscenze sia di natura concettuale, sia operativa sono orga- nizzate più sulla base dell’esperienza precedente nella soluzione di problemi, che a partire da una organizzazione logica. Queste conoscenze svolgono in primo luogo una funzione interpretativa della situazione problematica: esse servono a compren- dere e inquadrare concettualmente il caso, per poi ricercare nella memoria situa- zioni analoghe e le strategie che in tali casi sono state adottate. Sulla base dell’e- sperienza sono stati infatti costruiti schemi interpretativi e operativi che possono applicarsi a una molteplicità di situazioni specifiche. I fratelli Dreyfus14 hanno sviluppato un’analisi del concetto di esperto e di ex- pertise che si rifà a una prospettiva aristotelica. Gli Autori prefigurano cinque li- velli di competenza che portano dal principiante al vero esperto. a) Livello del principiante. Il soggetto tende a seguire regole e principi comuni- cati dall’esterno senza tener conto in modo esplicito del contesto in cui opera; si presenta in genere privo di flessibilità e di esperienza. 13 STERNBERG R.J., Abilities are forms of developing expertise, “Educational Researcher”, 1998, 3, 22-35. 14 DREYFUS H.L. - DREYFUS S.E., Mind over Machine, New York, The Free Press, 1986. 94 b) Livello del principiante avanzato. Il soggetto riesce a collegare quanto studia, o ha studiato, con l’esperienza che sta progressivamente sviluppando nel con- testo della sua attività e a selezionare i comportamenti da adottare a partire da una iniziale capacità di tener conto delle esigenze peculiari della diversità delle singole situazioni problematiche. c) Livello della competenza. Le prestazioni sono basate su principi abbastanza generali derivati non solo dallo studio, ma soprattutto dall’esperienza, e sanno adattarsi in maniera congruente alle diverse circostanze. I soggetti sanno speci- ficare, in modo adeguato rispetto ai casi particolari affrontati, gli obiettivi della loro azione e i mezzi per raggiungerli. d) Livello di competenza avanzata. Si ha una notevole capacità di inquadrare le situazioni da affrontare, cogliendole nella loro complessità, e riconoscendo analogie e differenze che esse hanno con situazioni simili affrontate nel pas- sato. e) Livello dell’esperto. Il soggetto riesce a cogliere agevolmente un quadro com- pleto e articolato delle situazioni da affrontare e ad agire per affrontarle in modo fluido, appropriato e senza sforzo. Questi apporti, a un tempo psicologici e filosofici, hanno condotto D. Narvaez a prospettare un modello di educazione morale di carattere integrativo che si fonda su tre idee fondative15: lo sviluppo morale consiste nello sviluppo di un tipo parti- colare di expertise; l’educazione in questo ambito ha carattere trasformativo e inte- rattivo; la natura umana è collaborativa e auto-realizzativa. Quanto alla competenza esperta in ambito morale, questa si manifesta secondo quattro componenti di base: a) la sensibilità morale, cioè una lettura veloce e accurata della situazione morale, determinando quale ruolo si debba assumere in essa; b) il giudizio morale, la valo- rizzazione di molti strumenti di analisi e risoluzione dei problemi che si presentano e il sapere ragionare di doveri, responsabilità, conseguenze delle azioni, codici etici; c) la focalizzazione etica, cioè la capacità di interpretare e approfondire la di- mensione etica delle varie situazioni, dando ad essa caratteri di priorità; d) l’agire etico, come capacità di impostare e portare a termine gli impegni derivanti dalla va- lutazione morale delle situazioni nelle quali si è coinvolti. Ne deriva a un tempo la necessità di promuovere sia la crescita personale nelle virtù morali fondamentali, sia lo sviluppo della capacità di ragionamento morale. Inoltre il carattere trasformativo e interattivo implica la strutturazione di un am- biente che favorisca l’intuizione etica e la progettazione di percorsi istruttivi che portino gli studenti dall’ingenuità alla competenza. Di qui l’importanza sia dello sviluppo di comunità etiche interne alla scuola ed esterne a essa, sia la sollecita- zione nella crescita della capacità di autodeterminazione e di autoregolazione. 15 NARVAEZ D., Integrative ethical education, in KILLEN M. - SMETANA J., Handbook of Moral Development, Mahwah, LEA, 2006, 703-732. 95 6. Gli studi psicologici sulla saggezza16 Nell’ambito dello sviluppo morale e più in generale della crescita della per- sona una delle dimensioni presto evidenziate nella letteratura antica è quella rela- tiva alla saggezza. Presso gli antichi popoli la riflessione su questa qualità del- l’uomo ha avuto notevole spazio. Basti pensare all’antico Egitto, al popolo ebraico e ai testi biblici, alla filosofia greca. I grandi filosofi greci in particolare hanno cen- trato gran parte della loro indagine proprio intorno a questa categoria della condotta umana. Socrate, Platone e specialmente Aristotele ne hanno approfondito il con- cetto e le modalità di manifestazione e di sviluppo. In altra parte della nostra inda- gine viene approfondita quella particolare competenza umana che passa sotto la de- finizione di saggezza pratica o prudenza. Anche per l’influsso di una rinascita degli studi sull’apporto greco alla razionalità pratica la psicologia sperimentale ha recen- temente dedicato ampi spazi di ricerca sulla fenomenologia di questa qualità umana, cercando di esaminarla e in qualche modo misurarla empiricamente, per in- dividuarne le componenti, chiarirne il rapporto con concetti affini e per vederne le implicazioni operative. A dare impulso a questa tendenza è stata certamente una pubblicazione curata da Sternberg nel 199017. Egli ha raccolto in quell’occasione vari contributi nell’opera Wisdom: its nature, origins, and development; a partire da questo rinnovato interesse sull’argomento sono apparsi altri contributi di notevole interesse18. Dopo circa dieci anni dalla pubblicazione di Sternberg, Baltes e Staudínger19 nel 2000 hanno elaborato una sintesi di quanto fino ad allora era stato indicato dagli studi in merito. Le prime osservazioni hanno messo in luce come la saggezza si collochi a un livello molto alto del funzionamento umano e ne rappresenti un tra- guardo dello sviluppo. Infatti la saggezza implica un rapporto coordinato ed equili- brato tra le componenti cognitive, affettive e motivazionali; implica un elevato grado di competenza interpersonale e di disponibilità ad ascoltare, valutare e consi- gliare le persone; esige una disposizione di animo favorevole verso gli altri e il loro bene personale. Essa implica un livello superiore di conoscenza, di giudizio e di consiglio; è richiesta quando occorre affrontare e risolvere questioni dell’esistenza umana; include la coscienza dei limiti del sapere e accoglie l’incertezza dell’esito dell’intervento umano. In generale essa emerge da una riuscita sintesi tra le abilità 16 Una comprensiva analisi degli studi di questi ultimi due decenni sullo sviluppo della saggezza umana si può cogliere nell’opera STERNBERG R.J., JORDAN J. (a cura di), A Handbook of Wisdom. Psychological Perspectives, Cambridge, Cambridge Univ. Press, 2005. 17 STERNBERG R.J. (a cura di), Wisdom: its nature, origins, and development; Cambridge, Cam- bridge Univ. Press, 1990. 18 Per uno studio più analitico e puntuale si può leggere: POLÁCˇEK K., La saggezza, traguardo dello sviluppo umano, in «Orientamenti Pedagogici», 2001, n. 1, 9-18; POLÁCˇEK K., La saggezza: un impegnativo traguardo della vita umana, in «Orientamenti Pedagogici», 2005, n. 5, 749-762. 19 BALTES P.B., STAUDINGER U.M., Wisdom: A metaheuristic (pragmatic) to orchestrate mind and virtue toward excellence, in «American Psychologist», 2000, vol. 55, 122-136. 96 cognitive e le componenti del carattere nella combinazione delle conoscenze con le virtù. La saggezza non si raggiunge facilmente ma viene presto riconosciuta nelle persone che la possiedono. Dal canto suo Sternberg20 nel 2000 nota come una persona intellettualmente matura sappia trascendere i sistemi in cui vive, vedendo i loro limiti ed elaborando nuove possibili interpretazioni; pensi in modo per molti versi relativistico: veda i valori nella loro complessità e tolleri altre possibili preferenze; pensi in modo dia- lettico, ammettendo la relatività delle conoscenze e accettando anche eventuali in- coerenze e possibili conflittualità. Essa è in grado di contestualizzare i fatti nel loro fluire e nel realizzarsi in modo naturale; integra le emozioni nelle conoscenze, nel senso che i fatti fortemente condizionati dalle emozioni sono rapportati ai principi più generali e quindi ridimensionati. D’altra parte per un saggio giudizio il soggetto deve possedere abilità metacognitive del tipo: riconoscere l’esistenza del problema, definirne la natura, raccogliere informazioni in merito, formulare la strategie per ri- solverlo, identificare le risorse per la sua soluzione, monitorare la soluzione e in- fine valutarne l’efficacia. Polácˇek tenendo conto delle posizioni sopra riportate nota come la saggezza, così come è stata fin qui descritta, può essere realizzata prevalentemente nell’età adulta. Infatti, essa si forma in base all’esperienza per mezzo della quale si va- gliano le soluzioni adottate e si giudica l’efficacia dei mezzi usati. I giovani, es- sendo più portati all’azione che alla riflessione, spesso non si rendono conto delle conseguenze delle loro precipitose decisioni. Nell’età adulta l’azione è maggior- mente preceduta dalla riflessione e quindi dall’esame delle conseguenze sul proprio operato. Infine occorre notare che la saggezza è molto più estesa del giudizio mo- rale. Infatti essa è richiesta per la soluzione dei problemi e delle questioni che non esigono l’applicazione dei principi morali. Tali possono essere questioni finanziarie e scelte professionali. Si possono indicare tre approcci fondamentali oggi presenti nello studio della saggezza e del suo sviluppo. 1) La saggezza come parte fondamentale dello sviluppo generale. La sag- gezza viene considerata una parte costitutiva della formazione della personalità du- rante tutto l’arco della vita umana, con forte accentuazione nell’età adulta. L’acqui- sizione di un saggio comportamento è un obiettivo presente già nell’infanzia che diventa più evidente nelle fasi successive della crescita, fino al raggiungimento della fase della generatività della teoria di Erikson. Le persone che raggiungono tale stadio sono capaci di comporre contraddizioni, armonizzare forze psichiche in opposizione, risolvere i propri conflitti interiori, stabilire un equilibrio tra le cono- scenze e le incertezze; nel loro profilo sono presenti tratti positivi della personalità che spesso raggiungono la pienezza (Shedlock - Cornelius, 2002). 20 STERNBERG R.J., Intelligence and wisdom, in STERNBERG R.J. (a cura di), Handbook of intelli- gence, Cambridge, Cambridge Univ. Press, 2000, 631-649. 97 2) La saggezza come parte costitutiva dell’Io. Questo approccio è una specifi- cazione del precedente, di cui coglie un costrutto fondamentale nella formazione della personalità. Il progressivo sviluppo dell’Io durante tutto l’arco della vita è ac- compagnato dalla formazione parallela del concetto e della stima di sé, che insieme contribuiscono alla fondazione di un progetto personale scolastico e professionale. Alcuni teorici notano che lo sviluppo dell’Io viene notevolmente accelerato dopo che il soggetto, già in pieno possesso dei processi dello stadio formale, è entrato in quello postformale. Infatti, se non si padroneggiano le competenze dello stadio postformale, la saggezza non può svilupparsi nella sua pienezza. Vari autori hanno notato che lo stadio finale di formazione dell’Io, stadio detto integrato, in cui il soggetto trascende i conflitti e riconcilia le diverse polarità, viene raggiunto da po- chissime persone. Questo spiegherebbe perché le persone sagge sono così rare. 3) La saggezza come prerogativa degli esperti. In ogni società ci sono degli esperti che aiutano le persone a fronteggiare le difficili situazioni della loro esi- stenza. Si presume che essi possiedano delle conoscenze fattuali e procedurali e pa- droneggino, quindi, i processi dello stadio delle operazioni postformali. Sono perciò in grado di considerare i problemi nel loro contesto, di assumere un atteg- giamento relativistico di fronte alle scelte delle persone secondo le proprie finalità, valori, priorità e riescono a intravedere più soluzioni possibili di un problema, ad essere imparziali nel giudizio e ad ammettere l’imprevedibilità dell’esito del loro intervento (Shedlock e Cornelius, 2002). Gli esperti hanno avuto poi una lunga for- mazione professionale, apprendendo metodologie e tecniche adatte per gestire il rapporto con i pazienti, e durante la loro prassi hanno potuto riflettere su molti casi per trarne delle conseguenze e per verificare la validità del proprio operato. Tutto ciò avrebbe contribuito alla formazione della loro saggezza. Lo scopo dell’ap- proccio è quello di stabilire se gli esperti acquisiscano veramente la saggezza e se ottengano risultati migliori rispetto agli altri professionisti o rispetto alle persone comuni che pure prestano un simile aiuto. In altre parole, se la formazione profes- sionale e l’esercizio dell’attività di aiuto sviluppino effettivamente la loro saggezza. Tenendo conto di queste tendenze, all’interno di un progetto di ricerca del Max Planck Institute di Berlino è stato elaborato un quadro di riferimento ai fini della ri- cerca empirica da Baltes, Smith e Staudinger (1992) e Kunzmann e Baltes (2003). Essi hanno stabilito cinque criteri per definire in modo operazionale i processi e le competenze che risultano importanti per le verifiche empiriche delle coordinate teoriche della saggezza: 1) La conoscenza dei fatti della vita, sia generale che specifica, sulle condizioni e sulle variazioni dell’esistenza umana. 2) Le conoscenze procedurali consistenti in strategie adatte alla gestione della vita umana: ricerca di informazioni e capacità decisionale, valutazione di costi e benefici e controllo di reazioni emotive. 3) La contestualizzazione dei fatti considerata nelle sequenze evolutive, nello svi- 98 luppo degli eventi fra il passato e il futuro e nella gestione di conflitti e di ten- sioni. 4) Il relativismo basato sull’accettazione della varietà di valori, fini e priorità se- condo le opzioni personali. 5) L’incertezza rappresentata dalla parziale indeterminatezza della vita, dall’im- prevedibilità degli eventi umani e dalle strategie per gestirli, ottimizzando gua- dagni e perdite. Occorre dire che tale approccio è stato criticato dalla Ardelt21. L’autrice so- stiene che nonostante la formazione teorica, il lungo training e l’ampia esperienza di aiuto agli altri, molti professionisti non si comportano saggiamente nelle loro vi- cende personali. In altre parole, le conoscenze e le abilità professionali non sono state sufficienti per superare le loro personali difficoltà. Ardelt dubita che la forma- zione tecnica sia sufficiente per diventare persone sagge. A tale proposito, occorre notare che la verifica per stabilire se gli esperti siano veramente saggi è solo un metodo accanto ad altri. Nelle ricerche che saranno presentate in seguito, gli autori hanno utilizzato svariati approcci per esaminare il costrutto della saggezza da di- versi punti di vista e si sono rivolti a varie categorie di soggetti per effettuare le ve- rifiche. K. Polácˇek22 alla conclusione di un’analisi attenta dei risultati di ricerca otte- nuti negli ultimi anni afferma che “la saggezza è emersa come un’armonica strut- tura, formata dalle dimensioni cognitiva, riflessiva e affettiva, di cui fanno parte le conoscenze fattuali e procedurali sugli aspetti pragmatici della vita. II soggetto in possesso di tale struttura ha la possibilità di vivere la vita nella sua pienezza, ge- stire efficacemente le vicende personali, capire se stesso e gli altri, interagire vali- damente con l’ambiente fisico e sociale e, se necessario, guidare le persone in un rapporto formale di terapia oppure in quello informale di soccorso o di amicizia. La saggezza si colloca all’apice dello sviluppo umano e rappresenta una rara e completa maturità. Dagli studi esaminati sono stati individuati sia degli aspetti po- sitivi della personalità, che possono rappresentare dei concreti obiettivi per la for- mazione della saggezza, sia dei tratti che a essa si oppongono. Con evidenza sono emerse alcune competenze strettamente associate al costrutto della saggezza, di cui le principali sono: sforzo di crescita, conoscenza approfondita dell’esistenza umana e impegno sociale. Introducendo il costrutto della saggezza nel processo educativo, tale processo viene notevolmente arricchito di nuovi contenuti, mentre le dimensioni puramente psicologiche dello sviluppo umano vengono elevate ai livelli qualitativamente su- periori della crescita dei giovani e degli adulti”. 21 ARDELT M., Wisdom as expert knowledge system: A critical review of a contemporary opera- tionalization of an ancient concept, in «Human Development», 2004, vol. 47, 257-285. 22 POLÁCˇEK K., La saggezza: un impegnativo traguardo della vita umana, in «Orientamenti Pe- dagogici», 2005, n. 5, 760. 99 7. L’identità narrativa tra psicologia a filosofia La centralità dei processi narrativi nello sviluppo dei significati e valori personali è stato negli ultimi decenni più volte sottolineato. Sia la psicologia culturale svi- luppata da J. Bruner, sia la filosofia, soprattutto di impostazione ermeneutica, sia le istan- ze del pensiero postmoderno23 hanno aperto un ampio orizzonte sul problema dell’i- dentità narrativa. Quest’ultima espressione si deve a P. Ricoeur24 che distingue nel con- cetto di identità due diverse accezioni, complementari tra loro, che rispondono a due diverse domande: «che cosa sono io» e «chi sono io». La prima, relativa all’identità espressa dal termine idem, può essere messa in crisi dalla dispersione e frammentarietà dell’esperienza, sviluppando una dissociazione interiore, che invoca però una ri- sposta alla seconda, relativa quest’ultima all’identità espressa dal termine ipse. L’identità narrativa si viene a costituire nell’interazione tra le due identità, quella della sedimentazione anteriore, della constatazione della dispersione, e quella prospettica, della promessa e dell’impegno rivolto al futuro che aspira alla coesione. «La persona si designa essa stessa nel tempo come unità narrativa di una vita che riflette la dialettica della coesione e della dispersione, che l’intreccio media» (Ricoeur, 1994, 78). Al fine di mantenere l’impegno prospettico di una identità profonda del sé occorre: un’adeguata stima di sé, come fiducia nella capa- cità di mantenere la propria parola; la cura o sollecitudine per l’altro, recettore della nostra parola; l’aspirazione a vivere in istituzioni giuste (Ibidem, 86-87). Le ultime due esigenze derivano dal fatto che: «ciascuna storia di vita, lungi dal chiudersi in se stessa, si trova intrecciata con tutte le storie di vita con le quali ciascuno è me- scolato. In un certo senso, la storia della mia vita è un segmento della storia di altre vite umane, a cominciare da quella dei miei genitori, continuando per quella dei miei amici e – perché no – dei miei avversari» (Ibidem, 93-94). L’esigenza e la possibilità di recuperare se stesso nel contesto di una rilettura attenta di una storia di vita personale aggrovigliata a mille altre storie sono legate, secondo molte indicazioni (Demetrio, 1992; 1997; 1998), al dispiegarsi di un rac- conto autobiografico. «Il narratore si racconta avvertendo un impulso di carattere emozionale ed affettivo, costitutivo della mente, alla autoriflessione, alla descri- zione, alla interpretazione degli eventi che ha vissuto o che sta vivendo. L’autobio- grafia [...] non concerne soltanto il passato: compare ogni qualvolta il protagonista del racconto trascenda il puro esperire della propria vita e le rivolga (si rivolga) delle domande» (Demetrio, 1998, 107-108). Il soggetto diventa così un ricercatore di se stesso, delle proprie ragioni esistenziali, della trama profonda che sottende la propria vicenda personale. Si tratta di una vera e propria «pedagogia della me- moria», che considera la vita interiore come un luogo euristico privilegiato. 23 Le sollecitazioni provenienti dal cosiddetto pensiero postmoderno verranno esaminate nell’ot- tavo capitolo dedicato in particolare alla conversazione intesa come pratica educativa. 24 Si può vedere in particolare il volume: Ricoeur P., Persona, comunità e istituzioni, a cura di A. Danese, Firenze, Edizioni Cultura della Pace, 1994. 100 La considerazione dell’identità narrativa e del suo formarsi attraverso modalità di espressione autobiografiche può aiutare alla identificazione della domanda edu- cativa presente negli educandi. L’educatore, o gli educatori, per giungere a ciò, do- vranno aprirsi a un ascolto attento delle storie di vita di ciascuno; aiutandolo a sco- prire le domande profonde che da tale ritorno su se stessi possono emergere alla loro coscienza. Dalla frammentarietà e dispersione dell’esperienza, dal che cosa sono, aprirsi alla ricerca di chi sono, di chi desidero essere; alla identificazione di quali promesse a me e agli altri debbo fare, di quali istituzioni e pratiche giuste educative debbo desiderare. In questa direzione si colloca l’indicazione di Bruner sul ruolo della costru- zione e negoziazione dei significati nell’attribuzione di senso alla propria espe- rienza personale e, più in generale, alle differenti vicende umane. Egli afferma che: «Il metodo che consiste nel proporre e riproporre una negoziazione sui significati con la mediazione dell’interpretazione narrativa costituisce a mio avviso uno dei grandi risultati dello sviluppo umano in senso ontogenetico, culturale e filogene- tico» (Bruner, 1992, 73). E continua: «Tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli ottanta ha fatto la sua comparsa la nozione di un Sé narratore: un Sé che narra storie in cui la descrizione del Sé fa parte della storia» (Ibidem, 109). In un altro contributo lo stesso Bruner (1988) aveva precisato il suo pensiero, distinguendo due forme, o modi, di pensare, complementari, ma irriducibili l’una all’altra. La prima forma si sviluppa secondo il paradigma dell’argomentazione, con procedure e criteri di validità propri; l’altra, utilizza il paradigma della narra- zione, con ben diverse modalità di sviluppo e di validazione. Questa seconda forma di pensiero è legata direttamente all’azione e all’attribuzione di senso non solo alle diverse vicende umane, ma anche, se non soprattutto, alla propria esperienza perso- nale. La prima forma di pensiero si esprime attraverso testi di natura espositiva, che esplicano con la loro struttura concettuale e la loro organizzazione argomentativa la propria forza comunicativa. La seconda forma di pensiero è legata inscindibilmente allo sviluppo temporale delle vicende umane e all’intrecciarsi delle azioni dei vari soggetti coinvolti. Occorre ricordare, però, come in una narrazione non è tanto centrale lo svol- gersi cronologico di tutti gli eventi, quanto lo svolgersi di quelli cruciali. Il tempo narrativo include certamente una suddivisione che prevede un inizio, uno sviluppo, una conclusione, ma esso è soprattutto un «tempo umanamente rilevante» (Ricoeur, 1988), la cui «rilevanza è data dai significati assegnati agli eventi dai protagonisti della narrazione o dal narratore della storia o da entrambi» (Bruner, 1997, 148). Bruner include, tra gli altri, alcuni principi narrativi. Uno di questi afferma: «Le azioni hanno delle ragioni. Quello che fanno le persone delle narrazioni [...] è moti- vato da convinzioni, desideri, teorie, valori o da altri “stati intenzionali”» (Ibidem, 151). Un altro principio, la capacità di espansione storica della narrazione, può es- sere ripensato come un principio di apertura alla novità, alla modificabilità, alla pluralità e combinabilità dei percorsi. 101 8. La filosofia morale e la rinascita di Aristotele Nell’ambito della filosofia morale e più specificatamente della filosofia dell’e- ducazione morale negli ultimi decenni è sempre più stato valorizzato l’apporto di Aristotele nell’ambito dei suoi studi sulla razionalità pratica e in particolare su quella specifica sua dimensione che è la razionalità che guida l’agire umano dal punto di vista etico-sociale, componenti fondamentali dell’agire umano. Questo, in- fatti, può essere considerato sia come agire produttivo o poietico, dal greco pòiesis, sia come agire etico-sociale, in greco pràxis. L’agire produttivo, o tecnico-pratico, è per sua natura diretto alla produzione di oggetti o beni materiali precisi. Esso è guidato dall’idea (éidos), modello o progetto, dell’oggetto da produrre e trova la sua perfezione nell’abilità tecnico-pratica (téchne) posseduta. Il suo compimento, o celebrazione, è dato dal bene prodotto e dalla sua qualità. L’agire etico-sociale è anch’esso guidato da un’idea o ideale (il bene) e può realizzarsi tramite una parti- colare disposizione interiore e competenza intellettuale detta in greco phrònesis (saggezza pratica o prudenza), che consiste nella capacità di prendere decisioni prudenti e responsabili. Il suo compimento, o celebrazione, sta nella crescita vir- tuosa di chi agisce bene e di chi ne è coinvolto. La razionalità nella componente che è rivolta a dare validità all’agire umano in quanto tale, cioè la razionalità che guida la pràxis, può essere a sua volta conside- rata secondo due ulteriori punti di vista. Il primo mira alla fondazione di una dot- trina dell’agire umano, una sorta di filosofia morale e politica. Il secondo punto di vista, che potremmo definire educativo, è orientato a identificare le strade attra- verso cui l’uomo giunge ad agire «bene», cioè a portare a compimento decisioni prudenti e responsabili sia nella vita quotidiana, sia nei momenti cruciali della vita. L’agire pratico, dunque, è guidato da una razionalità pratica, che fonda e dirige la nostra capacità di trasformare le cose, di interagire con le persone, di modificare le situazioni e i contesti, di gestire le piccole come le grandi economie, di gover- nare se stessi, i nuclei famigliari come le città. In questo paragrafo viene presa in considerazione la dimensione etico-sociale dell’azione, e dell’azione educativa in particolare. Viene preferito il termine etico-sociale al termine etico-politico, di deri- vazione aristotelica, in quanto sembra accostarsi meglio agli approcci che conside- rano questa dimensione come componente personale (Lopez Herrerias, 1989) o componente socio-relazionale (Franta, 1990). Si è già accennato al fatto che la prassi, cioè l’azione umana vista nel suo aspetto etico-sociale, è per sua natura gui- data da un’idea del bene da conseguire. Questo fine fondamentale che orienta l’uomo nelle sue scelte non è tanto e solo il bene individuale del singolo, quanto quello di una comunità, o di un gruppo ristretto, come la famiglia, o, ancor più, di un gruppo più vasto come la comunità cittadina. È il bene della pòlis (la città), che viene in definitiva cercato, «perché il singolo è parte della città» (Berti, 1989, 116). Di qui la scelta dell’espressione «dimensione etico-sociale» per caratterizzare l’a- gire dell’educatore in quanto diretto a scegliere comportamenti e relazioni validi e positivi in sé e in rapporto al bene dei singoli e della comunità a lui affidata. 102 Tuttavia, nella visione aristotelica non basta giungere, con opportuni metodi di indagine, a cogliere qual è il bene da conseguire, cioè il fine da porre alle proprie azioni, occorre anche saper deliberare bene, cioè calcolare correttamente i mezzi che ci consentono di raggiungerlo. E questo sempre tenendo conto non solo del bene dell’individuo, ma dell’individuo visto nell’ambito del gruppo sempre più esteso di cui fa parte. Questa capacità decisionale implica una certa esperienza, cioè la conoscenza di casi particolari, e contemporaneamente, come accennato, anche la conoscenza di principi generali. Il procedimento decisionale può essere a questo punto descritto come un «sillogismo pratico», o «inferenza pratica», cioè un ragionamento che da una finalità generale da dare all’azione, tramite la considera- zione delle condizioni e dei mezzi concreti secondo cui si può o si deve conseguire tale finalità, permette di giungere alla scelta o all’azione stessa, in altre parole «la premessa maggiore contiene l’indicazione del fine, la minore l’indicazione del mezzo, cioè dell’azione necessaria per conseguire il fine, e la conclusione il co- mando di agire» (Berti, 1987, 69). In relazione a una prassi elaborata in nome del- l’emancipazione, occorre sottolineare che «solo l’identificazione del fine, cioè della perfezione, della piena realizzazione, del completo sviluppo ed esercizio delle facoltà più specificatamente umane, giustifica... l’ideale dell’emancipazione e quindi fonda razionalmente l’etica ad esso corrispondente» (Ibidem). Questa rilettura di Aristotele da una parte è in linea con la sensibilità di molti studiosi contemporanei interessati all’agire umano e alla sua interpretazione e, d’altra parte, si ricollega a una nuova attenzione verso la dimensione etica della professionalità (Quaglino, 1988; Pellerey, 1990), eticità che va considerata nel suo più profondo spessore, che non in comportamenti legalistici o istituzionalmente corretti. Tuttavia, occorre ribadire una sottolineatura aristotelica: la componente etico-politica dell’agire umano non è interessata solo a scoprire qual è il bene da raggiungere, o addirittura «il bene supremo, bensì si propone anche di realizzarlo» (Berti, 1987). «Con il suo solito realismo, cioè con la consapevolezza già manife- stata circa l’insufficienza del solo conoscere ai fini dell’agire bene, ritiene più ne- cessaria, a questo fine, una buona educazione attuata per mezzo di buone abitudini, che un’accurata conoscenza del perché» (Berti, 1989, 122). L’azione umana, nella prospettiva aristotelico-tomista, tende a stabilire un rap- porto con la realtà del mondo, a intessere una rete di relazioni con le cose, con le persone, con Dio (Abbà, 1995, 30). Questo rapporto non è basato però sulla ricerca di un soddisfacimento razionale dei desideri rivolti al conseguimento di una felicità edonica, bensì alla ricerca di un bene che è giudicato, compreso e voluto come tale (Ibidem, 31). Un bene che designa un arricchimento, una crescita, un potenzia- mento dell’essere proprio o altrui. La moralità, anche e soprattutto per l’educatore, sta nella capacità di governare il proprio agire in vista della realizzazione di una condizione ottimale per l’uomo (Ibidem, 32), in particolare per quegli uomini in formazione di cui si ha la responsabilità. Di conseguenza il problema morale centrale è: che cosa posso fare, come 103 posso agire, secondo le mie possibilità individuali, per questa condizione ottimale, degna e doverosa per l’uomo? (Ibidem, 33). Per rispondere a questa domanda entra in gioco la virtù che fonda ogni capacità di giudizio pratico di natura etica: la pru- denza, non arte di soddisfare razionalmente i bisogni per massimizzare la felicità edonica, ma competenza nel saper scegliere le vie che portano, nei limiti propri di ciascuno, a tale condizione ottimale. Una competenza che nasce non solo dal saper riconoscere di volta in volta il bene da conseguire e il modo per raggiungerlo, ma anche dall’acquisizione di una disposizione interiore permanente derivata dalla consuetudine nello scegliere e nell’agire in coerenza con il bene riconosciuto. Secondo Aristotele, per conseguire una crescita della competenza morale oc- corre «procedere dalle cose più note a noi, cioè dall’esperienza, a quelle più note in sé, cioè ai principi, ma... per esperienza si intende un abito morale acquisito, non una mera conoscenza esteriore» (Berti, 1989). Questa posizione, che sembra con- traddire a un’impostazione razionale dell’agire educativo, in realtà chiarisce il fatto che un conto è il sapere che cosa è bene fare o decidere, un altro avere la forza e la coerenza di agire di conseguenza. È dall’intreccio inestricabile tra approfondimento del senso e della direzione da dare al proprio agire come educatori e comporta- mento coerente con queste assunzioni che cresce la dimensione etico-sociale dell’a- zione educativa, come, d’altra parte la personalità dell’educando. L’educazione come iniziazione a un’umana conversazione fondata sui principi morali non può essere solo interiorizzazione di valori, o disvalori, propri della so- cietà quale la si coglie nella vita quotidiana. Oggi, soprattutto, occorre interioriz- zare i valori di una società libera e giusta. L’educazione, e in particolare l’educa- zione scolastica, ha la morale responsabilità di introdurre i giovani criticamente nella vita sociale e nella convivenza democratica. Ma questo è del tutto vano se essi non hanno un’esperienza di uomini e comunità che siano liberi e giusti, impe- gnati nella ricerca di conoscenza e competenza, attenti e dediti alla cura degli altri. 9. L’apporto di A. McIntyre sullo sviluppo morale Nel quadro dello sviluppo della razionalità pratica e in particolare della capacità di agire in maniera valida e feconda il concetto chiave valorizzato da Alasdair Ma- cIntyre è quello di pratica umana. Nel 1981 con la sua opera After virtue25 egli ha precisato il concetto di pratica umana, che sta alla base della possibilità di sviluppo di un organismo umano virtuoso. Essa è vista come: «qualsiasi forma coerente e complessa di attività umana cooperativa socialmente stabilita, mediante la quale va- lori insiti in tale forma di attività vengono realizzati nel tentativo di raggiungere quei modelli che appartengono ad essa e parzialmente la definiscono. Il risultato è 25 Il volume di MacIntyre A. è stato pubblicato in inglese nel 1981 (After virtue. A study in moral theory, Notre Dame, University of Notre Dame Press). La sua traduzione italiana con il titolo Dopo la virtù è apparsa nel 1988 nella collana «Campi del sapere», Feltrinelli, Milano. 104 un’estensione sistematica delle facoltà umane di raggiungere l’eccellenza e delle concezioni umane dei fini e dei valori impliciti» (MacIntyre, 1988, 225). MacIntyre chiarisce nel suo saggio sia il concetto di pratica umana, sia quello di eccellenza in essa, sia quelli di valore interno e di valore esterno a essa. Per far questo egli presenta in particolare due esempi: uno tratto dall’apprendimento del gioco degli scacchi, l’altro dalla pratica della pittura26. Consideriamo l’esempio di un bambino di sette anni molto intelligente a cui io voglia insegnare a giocare a scacchi, benché egli non abbia particolare desiderio di imparare questo gioco. Il bambino ha invece un fortissimo desiderio di caramelle, e scarse opportu- nità di ottenerle. Perciò io dico al bambino che se giocherà a scacchi con me una volta al- la settimana gli darò 1.000 lire di caramelle; gli dico anche che giocherò sempre in modo tale che per lui sia difficile ma non impossibile vincere, e che se vincerà riceverà 1.000 li- re di caramelle extra. Motivato in tal modo, il bambino gioca, e gioca per vincere. Osser- viamo però che finché le caramelle rappresentano l’unica buona ragione che ha il bambi- no per giocare, egli non ha alcun motivo per non barare e tutti i motivi per barare, purché possa farlo con successo. Ma possiamo sperare che giungerà un momento in cui il bambi- no troverà un nuovo insieme di ragioni nei valori specifici del gioco degli scacchi, nel conseguimento di una certa particolarissima specie di capacità analitica, immaginazione strategica e intensità competitiva: ragioni, a questo punto, non soltanto per vincere in una determinata occasione, ma per cercare di eccellere in tutto ciò che è richiesto dal gioco degli scacchi. Adesso, se il bambino bara, non sconfigge me, ma se stesso (Ibidem, 226). Vi sono dunque due tipi di valori che possono essere ottenuti da una pratica. Da un lato valori connessi in modo estrinseco e contingente, come vantaggi econo- mici, prestigio, posizione sociale; dall’altro valori insiti nella pratica considerata, che non possono essere ottenuti in nessun modo se non impegnandosi a fondo in quella pratica, in quanto possono essere identificati e riconosciuti soltanto mediante l’esperienza acquisita partecipando alla pratica in questione. «Chi è privo dell’e- sperienza pertinente, è perciò stesso incompetente come giudice dei valori insiti nella pratica» (Ibidem, 227). La seconda esemplificazione concerne la pratica della pittura di ritratti quale si è sviluppata nell’Europa occidentale dal tardo medioevo al diciottesimo secolo. Il ritrattista di successo è in grado di ottenere molti valori che sono, nel senso appena definito, esterni alla pratica del ritratto: fama, ricchezza, posizione sociale, in certe circo- stanze persino potere e influenza presso le corti. Ma questi valori esterni non vanno con- fusi con i valori che sono interni alla pratica. I valori interni sono quelli che derivano da un continuo tentativo di esprimere l’animo umano attraverso le sembianze fisiche. Vi è innanzitutto l’eccellenza dei prodotti, sia nella prestazione dei pittori sia di ciascun ri- 26 Occorre dunque distinguere bene tra singole azioni e pratiche umane sociali. Ad esempio, si può esaminare la tabella: Non pratiche Pratiche giocare a scacchi il gioco degli scacchi dipingere un quadro la pittura tirare abilmente il pallone gioco del calcio lavoro del muratore architettura azione di insegnamento insegnamento. 105 tratto in se stesso. Questa eccellenza, come suggerisce il verbo stesso “eccellere”, va in- tesa storicamente. Le successioni di sviluppo trovano il loro fine e proposito in un pro- gresso verso e al di là di una molteplicità di tipi e forme di eccellenza. Vi sono ovvia- mente successioni tanto di decadenza quanto di progresso, ed è raro che il progresso possa essere considerato rettilineo. Ma è nella partecipazione ai tentativi di incrementare il progresso e di rispondere creativamente ai problemi che bisogna ricercare il secondo tipo di valore interno alle pratiche della ritrattistica (Ibidem, 228). D’altra parte il giudizio sui valori interni alla pratica del ritrattista richiede come minimo il genere di competenza che può essere acquisito soltanto praticando la pittura, oppure studiando sistematicamente ciò che il pittore di ritratti ha da inse- gnare. Inizialmente quindi occorre rifarsi a dei modelli di eccellenza, ma, dal mo- mento che le pratiche hanno una storia e sono segnate culturalmente, anche i mo- delli possono, e debbono, essere criticati. Da queste considerazioni deriva la possi- bilità di definire la virtù come «una qualità umana acquisita il cui possesso ed eser- cizio tende a consentirci di raggiungere quei valori che sono interni alle pratiche, e la cui mancanza ci impedisce effettivamente di raggiungere qualsiasi valore del ge- nere» (Ibidem, 228). Il soggetto agente impegnato in una molteplicità di pratiche, delle quali cerca di realizzare i beni interni a esse, può passare dalla considerazione delle singole pratiche alla vita umana complessiva vista come una pratica unitaria, la pratica della vita buona, finalizzata alla realizzazione del bene a essa interno, cioè la feli- cità. Le varie pratiche e i beni che ne conseguono vengono così integrati in un quadro unitario in vista della crescita e compimento della persona umana. Ciò che dà unità e specificità alla vita di ciascuno è la sua storia personale, la narrazione che egli ha sviluppato, sviluppa e svilupperà nel corso della sua esistenza. Di conseguenza anche nel campo della crescita morale umana emerge la ne- cessità di sviluppare forme adeguate di apprendistato pratico che non solo promuo- vano comportamenti validi, ma aiutino l’esperienza e l’interiorizzazione di valori morali significativi interni alle pratiche stesse e quelle competenze cognitive e af- fettive, che stanno alla base di decisioni prudenti e responsabili. E ogni apprendi- stato ha bisogno di confrontarsi con modelli di competenza da interiorizzare e ai quali fare riferimento nel contesto dell’esercizio pratico. 10. L’acquisizione delle virtù, cardini dell’agire morale27 La virtù nella prospettiva aristotelica è intesa come un’abilità per compiere gli atti (le pratiche) in un modo eccellente e tale da permettere di raggiungere i loro 27 I paragrafi seguenti si basano su alcune parti dello studio condotto da Dariusz Grzadziel dal titolo Il Movimento dell’Educazione del Carattere negli Stati Uniti d’America. Analisi critica dei fonda- menti teorici e degli sviluppi attuali del Movimento alla luce della filosofia morale di Alasdair McInty- re, che ha costituito la sua dissertazione dottorale in Pedagogia presso l’Università Pontificia Salesiana. 106 beni interni. Le virtù, poi, sono considerate sempre in rapporto con il bene di una vita umana (telos), vista come unità narrativa protesa alla ricerca del bene per l’uomo. Poiché l’uomo non ricerca mai da solo il bene e mai da solo esercita le virtù, queste sono considerate sempre anche all’interno di una tradizione di ricerca morale e di una comunità morale. Questi aspetti della definizione delle virtù ven- gono ora presi in considerazione dal punto di vista delle possibilità di educare a esse. Dobbiamo quindi rispondere a questi interrogativi: come può l’uomo raggiun- gere lo stato della vita virtuosa e compiere atti eccellenti per raggiungere i beni in- terni alle pratiche; come può arrivare alla conoscenza del vero bene umano per orientare la sua vita verso questo fine; e finalmente, quale ruolo svolge la tradi- zione della comunità umana in cui vive? D’altra parte il bene interno a una pratica può essere realizzato solo quando essa è portata allo stato di eccellenza e il soggetto morale può raggiungere questo stato soltanto quando i fini virtuosi che specificano le singole virtù sono radicati in lui a modo di habitus. Tutta la vita virtuosa del soggetto agente non è possibile se i fini virtuosi e la prudenza non esistono dapprima a modo di habitus nelle potenze operative del soggetto agente. R.S. Peters spiegando questa questione dal punto di vista psicologico richiama Aristotele e dice che le capacità di acquisire le virtù do- nate all’uomo dalla natura vengono portate alla maturità attraverso gli abiti. Noi ac- quistiamo virtù praticando atti virtuosi, così come uno diventa costruttore co- struendo case, noi diventiamo giusti compiendo atti giusti; e diventiamo onesti compiendo atti onesti; e diventiamo rispettosi verso gli altri rispettando gli altri28. La volontà, desiderio naturale di tutto ciò che può essere riconosciuto come un bene, è naturalmente incline a molti beni umani e questa inclinazione è il germe na- turale delle virtù. Quanto alla ragione pratica, essa ragiona all’interno della vo- lontà: apprende i beni come beni e introduce negli atti della volontà un ordine. È la ragione pratica cioè ad ordinare il desiderio della volontà in modo che il desiderio di beni meno importanti sia moderato in vista dei beni più importanti e ultima- mente in vista del vero bene perfetto, nella visione cristiana in vista di Dio e dell’u- nione della mente umana a Dio29. L’habitus conferisce la possibilità di compiere atti di una eccellenza o perfezione di cui non è capace l’individuo senza di esso. Se quindi l’individuo deve vivere secondo i fini virtuosi, occorre che le sue potenze volitive e razionali siano completate, ampliate e perfezionate appunto da habitus operativi30. Essi fanno sì che le potenze appetitive siano abitualmente inclini ai fini virtuosi e che l’intelligenza pensi in funzione dei fini virtuosi da realizzare31. 28 Cfr. PETERS R.S., Virtues and Habits in Moral Education, in COCHRANE D.B.- HAMM C.M. - KAZEPIDES A.C. (a cura di), The Domain of Moral Education, New York/Ramsey, Paulist Press, 1979, 271. 29 Cfr. ABBÀ G., MacIntyre e l’etica tomista, 144-145. 30 Cfr. ABBÀ G., MacIntyre e l’etica tomista, 146; e anche ABBÀ G., Felicità, vita buona e virtù, 185. 31 Cfr. ABBÀ G., MacIntyre e l’etica tomista, 146. 107 Alla ragione occorre la prudenza, quella saggezza pratica che abilita a trovare le azioni particolari convenienti alle eccellenze virtuose richieste dall’ordine razio- nale; alla volontà occorrono l’amore a Dio e al prossimo, la giustizia, la fortezza e la temperanza, che modifichino, formino, orientino stabilmente i desideri verso le eccellenze virtuose32. Ogni soggetto morale, sia virtuoso che previrtuoso, grazie alla natura umana specifica, ha un’apprensione naturale dei fini virtuosi più gene- rici e un’inclinazione generica degli appetiti ad essere regolati da quelle medesime apprensioni. Questa apprensione e questa inclinazione sono i germi naturali delle virtù che sono portati a pieno sviluppo solo con l’acquisizione di habitus virtuosi dal soggetto agente33. Da queste premesse risulta che per spiegare le questioni circa l’acquisizione delle virtù e dell’educazione alla virtù da parte del soggetto, dob- biamo operare con i seguenti termini: i germi naturali delle virtù, gli habitus vir- tuosi, i fini virtuosi, la volontà, la ragion pratica, il bene della vita umana inteso come telos, la tradizione di ricerca morale, la comunità. 10.1. La vita morale pre-virtuosa J.D. Wallace e S.D. Houdson secondo la spiegazione di Aristotele34 distin- guono tre livelli di agire virtuoso: 1) l’uomo non virtuoso può compiere azioni caratteristiche di una virtù ma esse non sono fatte nel modo in cui il virtuoso le farebbe; 2) l’uomo può compiere anche azioni pienamente caratteristiche di una virtù, mo- tivate in modo caratteristico dalla virtù – sono azioni giuste per un motivo giusto; 3) finalmente l’uomo può compiere azioni che esibiscono una virtù e proven- gono, secondo Aristotele, “da un carattere fermo e immutabile”35. Questa di- stinzione indica che le virtù possono essere generate da azioni pienamente ca- ratteristiche delle virtù compiute dal soggetto anche prima di possedere le virtù. La ripetizione delle azioni pienamente caratteristiche delle virtù potrebbe generare le virtù, intese come disposizioni ferme e stabili. In questo caso la virtù introdurrebbe fermezza e stabilità in azioni che erano pienamente caratte- ristiche della virtù anche prima che la virtù sorgesse. Il problema dell’acquisizione della virtù è però molto più complesso. Si può distinguere tra stabilità intrinseca e stabilità estrinseca della virtù. L’affermazione da cui si parte è che l’uomo non è naturalmente preparato a compiere azioni moral- mente eccellenti. Però egli ha germi naturali di virtù, ha alcune incoazioni di virtù gra- zie alle quali può compiere certe azioni tipiche della giustizia, dell’onestà e del rispetto36. 32 Cfr. ABBÀ G., Felicità, vita buona e virtù, 185. 33 Cfr. ABBÀ G., MacIntyre e l’etica tomista, 146. 34 Cfr. WALLACE J.D., Excellences and Merit, in «Philosophical Review» 83 (1974) 182-199. 35 Cfr. HUDSON S.D., Character Traits and Desires, in «Ethics» 90 (1980) 539-549. 36 Cfr. ABBÀ G., Felicità, vita buona e virtù, 289. 108 Queste azioni sono però soltanto azioni caratteristiche delle virtù. Sono compiute in forza della natura specifica dell’uomo a vivere ragionevolmente, in forza delle conoscenze ricevute, per esempio, dai genitori e in forza delle dipendenze indotte dalla società. Es- se sono perciò facilmente smentite in situazioni di tentazione o di forte provocazione perché i motivi per cui sono fatte, pur non essendo cattivi, sono ancora estranei alla bon- tà morale, non sono inclini al bene morale in quanto tale. A questi atti manca, secon- do la teoria tomista, il retto appetito del fine e cioè una compiacenza dell’appetito vo- litivo e passionale verso il vero bene umano; manca il giudizio personale e circostanziato di ciò che è giusto; e infine manca la scelta di ciò che è giusto fatta sulla base di una pro- pria adesione agli scopi virtuosi. Questo stato di vita morale è chiamato da Abbà vi- ta morale previrtuosa37. La virtù introduce un salto di qualità nel modo di agire del soggetto morale. Le azioni che esibiscono la virtù sono compiute prima di tutto con una stabilità intrin- seca e cioè sono scelte dall’individuo come conseguenza dell’adesione agli scopi virtuosi con l’aiuto della saggezza pratica. I motivi dell’azione sono giusti e l’a- zione stessa è il risultato delle scelte dell’individuo fatte tra gli scopi virtuosi. L’in- clinazione agli scopi virtuosi, regolata dalla saggezza pratica, dà origine ad azioni eccellenti. Con la ripetizione delle azioni pienamente caratteristiche della virtù si acquisisce la crescita e il radicamento delle virtù nelle facoltà operative, si acqui- sisce cioè una stabilità estrinseca. Secondo questa distinzione la stabilità intrinseca della virtù riguarda il rapporto tra la virtù, la retta intenzione e la retta scelta. La stabilità estrinseca riguarda invece il rapporto tra la virtù e le facoltà operative in cui essa risiede e si perfeziona. 10.2. L’acquisizione delle virtù. Condizioni interne L’uomo non è naturalmente preparato a compiere gli atti eccellenti. È però possibile che egli acquisisca le virtù perché ha per natura una radicale capacità di vita veramente buona. Abbà riferisce il termine natura alla capacità dell’uomo di intendere e di volere. Ciò “di cui la ragion pratica, la volontà, gli appetiti passionali dispongono in ordine alla vita buona previamente al ragionamento e all’elabora- zione delle intenzioni e delle scelte” viene chiamato “germi naturali delle virtù”38. Anche R.S. Peters riporta alcuni accenni dall’Etica Nicomachea di Aristotele che indicano la capacità dell’uomo, donatagli dalla natura in modo germinale, di acqui- sire le virtù. Attraverso la formazione di abiti questa capacità può essere portata alla sua maturità39. B. Sichel dimostra inoltre che nell’uomo risiedono delle incoa- 37 Cfr. ABBÀ G., Felicità, vita buona e virtù, 286-290. 38 Cfr. ABBÀ G., Felicità, vita buona e virtù, 291. 39 Cfr. ARISTOTELE, Nicomachean Ethics, Book II, THOMPSON J.A.K. (a cura di), Hammond- sworth, Penguin, 1955, cit. in PETERS R.S., Virtues and Habits in Moral Education, in COCHRANE D.B.- HAMM C.M.-.KAZEPIDES A.C. (a cura di), The Domain of Moral Education, New York/Ramsey, Paulist Press, 1979, 271. 109 zioni che nello sviluppo morale possono dare origine e svilupparsi nelle virtù. Essa afferma che l’uomo non nasce come una tabula rasa su cui l’ambiente scrive vari messaggi morali. Richiama qui l’affermazione del Dewey, relativa al carattere e agli abiti, dove gli abiti e il carattere sono considerati come escrescenze delle atti- vità disimparate che fanno parte di una dotazione naturale innata. Nel momento della nascita queste dotazioni sono insignificanti, ma attraverso l’interazione so- ciale con l’ambiente, con i genitori, con le persone sensibili e comprensive esse ri- cevono un concreto significato40. Le inclinazioni naturali delle virtù non sono ancora habitus virtuosi, ma sol- tanto germi naturali delle virtù, incoazioni, che possono essere sviluppate. Grazie alla loro presenza nella ragion pratica e nella volontà del soggetto e grazie alla loro disposizione ad essere sviluppate è possibile dare origine alla genesi delle virtù. La volontà, le passioni e i desideri originali dell’uomo, per quanto il loro funziona- mento dipende dalla valutazione della ragione, attraverso gli interventi di questa stessa ragione possono essere educati ad essere sensibili ai beni morali e a parteci- pare affettivamente alle azioni che la regola morale esige. I germi naturali, in- fluendo sulle valutazioni della ragione e sui desideri della volontà, danno origine allo sviluppo della ragione fino al punto che essa è capace di “scoprire in modo esplicito e specifico gli scopi virtuosi e valutarli come desiderabili, degni e dove- rosi”41. Il soggetto, attraverso gli interventi educativi indirizzati verso la ragione, è capace, in seguito, di modificare le proprie intenzioni che non concordano con gli scopi virtuosi ed è capace di aderire intenzionalmente e consapevolmente agli scopi virtuosi. Questa adesione non solo è pienamente caratteristica della virtù, ma mani- festa già il vero agire virtuoso. Le passioni disordinate del soggetto, che vive ancora in modo previrtuoso, de- vono essere moderate con l’aiuto degli educatori. Questi introducono una certa di- sciplina nella vita dell’educando che dà origine alle abitudini a comportarsi in modo ordinato, anche se l’educando non è ancora l’autore autonomo della con- dotta. La focalizzazione dell’attenzione dell’allievo sugli ideali virtuosi, eseguita dagli educatori, si svolge attraverso l’istruzione morale, l’esortazione morale e gli esempi concreti di vita virtuosa. Se sono presenti questi fattori è possibile che l’al- lievo arrivi alla scoperta degli ideali virtuosi e che percepisca e apprezzi la loro de- siderabilità e il loro valore. L’insegnamento morale esplicito aiuta a riflettere sulle proprie ragioni di agire, a orientarsi sugli ideali virtuosi e a discernere quelle ra- gioni che sono estranee alle virtù. In questo modo, lungo il corso dell’educazione e della maturazione morale dell’individuo, i germi naturali delle virtù possono svi- lupparsi in esplicite inclinazioni virtuose, in virtù vere e proprie, la cui prima espressione sarà la scelta dello scopo virtuoso. Questa scelta, come espressione del- 40 Cfr. DEWEY J., Human Nature and Conduct, New York, Modern Library, 1957, 86, cit. in SI- CHEL B., Moral Education. Character, Community and Ideals, 146-147. 41 Cfr. ABBÀ G., Felicità, vita buona e virtù, 293. 110 l’intenzione virtuosa e cioè dell’adesione allo scopo virtuoso, non è ancora una scelta compiuta e circostanziata. È ancora molto generica e schematica, è piuttosto una preparazione per le scelte vere e proprie. Essa delimita solo il campo entro il quale il soggetto potrà fare le sue scelte concrete e circostanziate e dà anche ra- gione delle scelte particolari. Nell’intenzione virtuosa la volontà del soggetto è guidata dalla ragione e ha già il suo contenuto determinato che è lo scopo virtuoso. La volontà si orienta verso lo scopo virtuoso grazie al suo valore e alla sua bontà, riconosciuta attraverso la valutazione eseguita dalla ragione. Questa bontà offre il motivo per cui lo scopo può essere voluto dal soggetto. Scopo virtuoso non è ciò che un soggetto sceglie, ma è la ragione per cui il soggetto compie le scelte. La specificazione morale della volontà, che essa riceve nell’intenzione virtuosa in quanto aderisce allo scopo vir- tuoso in ragione della sua bontà, è ancora solo provvisoria e attende di essere ratifi- cata nella scelta particolare, compiuta e circostanziata. L’intenzione virtuosa, es- sendo a disposizione del soggetto e offrendogli la ragione per agire, nelle scelte concrete e circostanziate viene confrontata con altre ragioni rivali e concorrenti. Essa può essere attualizzata attraverso la scelta dell’agire virtuoso o smentita quando il soggetto adotta un intento incompatibile con lo scopo virtuoso. La virtù morale non è dunque completa finché non è docile a ricevere dalla saggezza pratica o dalla prudenza le direttive che indichino quale azione concreta nella situazione circostanziata realizzi gli scopi virtuosi42. 10.3. La formazione della prudenza e l’acquisizione della conoscenza pratica Nelle situazioni circostanziate, le intenzioni virtuose non bastano per realiz- zare gli scopi virtuosi. Esse stimolano però la ragione nel ragionamento pratico in particulare, cioè nella ponderazione delle circostanze, nel giudizio di ciò che è ri- levante e circa l’appropriatezza dell’azione nella scelta concreta.“La ragion pratica non impara se non per via di esperienza a capire quali circostanze sono rilevanti per gli scopi virtuosi, a valutare la loro incidenza nella realizzazione del vero bene umano e a prevedere l’incidenza stessa delle proprie azioni”43. L’uomo acquisisce questo tipo di esperienza durante il periodo della maturazione attraverso l’atten- zione della ragione sostenuta e ispirata dall’interesse attuale per gli scopi virtuosi e cioè dalle intenzioni virtuose nelle situazioni circostanziate. In altre parole, l’espe- rienza di questo tipo si acquisisce nel processo di attuazione degli ideali virtuosi quando essi diventano scopi attualmente perseguiti dal soggetto agente nel suo processo di maturazione e quando essi diventano i principi effettivamente regola- tori dei suoi ragionamenti prudenziali. La prudenza non scopre quali sono gli scopi virtuosi. L’uomo viene informato su di essi dalla comunità in cui vive. La 42 Cfr. ABBÀ G., Felicità, vita buona e virtù, 295. 43 Cfr. ABBÀ G., Felicità, vita buona e virtù, 295. 111 prudenza invece cerca e stabilisce il giusto mezzo secondo cui essi possono essere realizzati. L’uomo nella sua infanzia non ha ancora questa esperienza prudenziale. L’in- tenzione verso gli scopi virtuosi rende docile la ragione ad osservare gli esempi concreti di persone virtuose. Attraverso questi esempi, vissuti o letterariamente rap- presentati, l’individuo ancora non virtuoso può analizzare il rapporto tra l’ideale e l’agire concreto e cercare di applicarli analogicamente nella propria vita. Si può dire quindi che, se intervengono questi fattori come l’attenzione agli esempi, la do- cilità, la pratica personale, l’esame critico della propria condotta, è possibile che si formi la prudenza con le sue funzioni e cioè la deliberazione, il giudizio, la circo- spezione, la preveggenza, la precauzione, l’invenzione44. Attraverso l’esercizio delle scelte che concretizzano le intenzioni virtuose si radicano sempre di più le virtù stesse nelle facoltà operative apportando facilità all’azione virtuosa, fermezza e piacevolezza. L’esistenza e l’esercizio delle virtù sono però sempre precari. Quando diminuisce l’attenzione della ragione prudenziale, diminuisce il coordina- mento delle facoltà operative. La virtù, essendo un habitus, è quindi perfezione sol- tanto aggiunta alle facoltà operative se intervengono circostanze esteriori favore- voli; anche se esercitata da molto tempo, mai può essere garantita una volta per sempre. Interessanti riferimenti di tipo psicologico per i processi motivazionali, inten- zionali e volitivi sono sicuramente da trovare nei lavori di due studiosi tedeschi: J. Kuhl e H. Heckhausen45. Gli esiti dei loro lavori mostrano le tappe che dai processi preintenzionali attraverso i processi volitivi conducono all’azione, al raggiungi- mento dei fini e alla loro valutazione. H. Heckhausen ha elaborato in modo partico- lare il percorso che conduce dai valori e dai motivi attraverso la costituzione degli stati motivazionali e delle intenzioni che guidano le nostre azioni fino alla loro at- tuazione. Il modello del Rubicone elaborato da H. Heckhausen potrebbe essere utile per spiegare effettivamente l’azione educativa lungo tutto il processo della formazione alla virtù. Dal punto di vista educativo, occorrerebbe trovare qui le vie per aiutare la persona giovane a scoprire i beni interni alle pratiche come valori per poi utilizzarli come forza motivazionale delle sue azioni. Riferendoci al pensiero di Aristotele, l’uomo acquisisce virtù e diventa perciò virtuoso attraverso la pratica della vita virtuosa. Si è già detto che la vita morale e 44 Cfr. ABBÀ G., Felicità, vita buona e virtù, 296. 45 Per una presentazione dettagliata del modello del Rubicone si può vedere di PELLEREY M., Educare. Manuale di pedagogia intesa come scienza pratico-progettuale, Roma, LAS, 1999. I testi originali sono: HECKHAUSEN H., Motivation and Action, Berlin, Springer-Verlag, 1992; HECKHAUSEN H. - BECKMAN J., Intentional action and action slips, in «Psychological Review», 1990, vol. 97, 36- 48; KUHL J., Motivation, Konflikt und Handlungskontrolle, Berlin, Springer-Verlag, 1983; KUHL J., Motivation and information processing. A new look at decision making, dinamik change and action control, in SORRENTINO R.M. - HIGGINS E.T. (a cura di), Handbook of motivation and cognition. Foun- dations of social behavior, New York, Guilford Press, 1986, 404-434; KUHL J. - ATKINSON J.W. (a cura di), Motivation, thought and action, New York, Praeger, 1986. 112 le azioni morali precedono il ragionamento morale. Questo implica che l’uomo di- venta giusto compiendo atti giusti, e diventa onesto compiendo atti onesti ecc., anche se inizialmente non lo fa in maniera virtuosa perché gli manca il momento della libera scelta e quello prudenziale della decisione. Il momento più interessante per noi si trova nell’ultima fase di questo passaggio e cioè nella valutazione dei ri- sultati dell’azione e nella possibilità di attribuire questi risultati a cause controlla- bili e modificabili. In questa fase possono nascere riflessioni, sentimenti ed emo- zioni che favoriscono o impediscono azioni future e che confermano valori e mo- tivi che stanno all’origine dell’azione46. Anche la formazione degli abiti, delle disposizioni cioè stabili e ferme nel senso psicologico47, può essere spiegata con l’aiuto del modello del Rubicone. L’a- bito, nella teoria di Heckhausen, è inteso come uno stato psicologico in cui motivi e motivazioni hanno portato la persona a orientamenti definitivi e permanenti dell’a- zione. Noi possiamo chiamare questo stato adesione a uno scopo, ciò che nella teoria presentata da Abbà viene chiamato intenzione. Heckhausen spiega con il pas- saggio del Rubicone, che avendo molte volte preso delle decisioni, non è sempre possibile o opportuno realizzarle immediatamente. In questo si ricerca e si attende l’occasione e il tempo propizio per avviare l’azione. Noi abbiamo nominato questa fase il momento prudenziale in cui si prende la decisione. Non appena si presenta l’occasione o le circostanze lo consentono, immediatamente viene attuato quello che era inteso. M. Pellerey afferma che la forza interiore del soggetto morale per agire se- condo la ragione pratica in vista del raggiungimento dei diversi beni (noi possiamo aggiungere anche i beni interni alle pratiche), non è soltanto un dono, ma una con- quista. È un vero e proprio apprendistato. E, come ogni apprendistato, esso implica in primo luogo la possibilità di osservare direttamente e attraverso forme mediate modelli di comportamento a cui ispirarsi. Modelli, che sono tanto più influenti, quanto più segnati da un rapporto affettivo48. L’azione educativa secondo quanto si è già detto, e l’ambiente in cui si svolgono i processi di formazione alla virtù, de- vono prendere in considerazione e indirizzarsi anche ai germi naturali della virtù nella volontà e nella ragione. La capacità naturale di discernere la desiderabilità dei 46 Cfr. PELLEREY M., Volli, sempre volli, fortissimamente volli. La rinascita della psicologia della volontà, in «Orientamenti Pedagogici», 1993, vol. 40, 1012. 47 Abbà fa differenza tra habitus (lat.) che operano a servizio della libera volontà e a cui egli at- tribuisce anche un carattere spirituale e habits (ingl.) nel senso strettamente psicologico: cfr. G. ABBÀ, Felicità, vita buona e virtù, 180. 48 Cfr. PELLEREY M., Volli, sempre volli, fortissimamente volli. La rinascita della psicologia della volontà, in «Orientamenti Pedagogici», 1993, vol. 40, 1015; a questo proposito c’è un interessante contributo di Dreyfus H. e S., che fornisce un concetto dei vari stadi attraverso cui l’apprendista passa durante l’apprendistato morale, cfr. DREYFUS H.I. - DREYFUS S.E., What is morality? A phenomenolo- gical account of the development of ethical expertise, in RASMUSSEN D. (a cura di), Universum vs. Communitarism. Contemporary debates in ethics, Cambridge-Massachusetts, MIT Press Edition, 1990, 237-264. 113 beni deve essere ampliata e rafforzata appunto attraverso l’educazione. L’ultima fase del modello del Rubicone suggerisce che le inclinazioni naturali della volontà di desiderare il bene e di essere docile alle indicazioni della ragion pratica sono dis- ponibili ad essere formate e consolidate fortemente con gli interventi che includono le componenti emotive. L’azione educativa deve indirizzarsi anche alla formazione delle intenzioni vir- tuose del soggetto e deve in diversi modi condurre l’individuo alla scoperta degli ideali virtuosi, alla percezione e all’apprezzamento della loro desiderabilità e del loro valore e finalmente all’adesione ad essi. 10.4. L’acquisizione delle virtù. Condizioni esterne I germi naturali di virtù per svilupparsi in virtù hanno bisogno delle condizioni esterne favorevoli, dei principi interiori e dell’attivo e appropriato agire educativo. Abbiamo già sottolineato il ruolo dell’esperienza nel formarsi della ragione pruden- ziale. Questa esperienza può diventare efficace per mezzo della cura degli educa- tori, in primo luogo dei genitori, che forniscono uno specifico ambiente educativo. A questo ambiente contribuiscono prima di tutto la base esperienziale degli educa- tori e della comunità, il clima affettivo e l’esplicito insegnamento morale. La base esperienziale sostenuta da una disciplina dovrebbe generare buone abitudini. Queste abitudini, non essendo ancora virtù, consentono però la loro genesi perché inducono a un comportamento esteriore corretto. Il soggetto, attraverso la rifles- sione su questi comportamenti può arrivare alla scoperta delle ragioni per cui essi sono buoni e poi, attraverso le emozioni che prova durante l’esecuzione di queste azioni, secondo la teoria di Heckhausen, può essere motivato ad agire in modo si- mile nel futuro. Il clima affettivo che contribuisce significativamente all’efficacia dell’apprendimento è frutto della fiducia e delle relazioni positive tra gli educatori e gli allievi. Questo clima consente all’individuo che è in fase di maturazione di fare affidamento sui buoni sentimenti e sui buoni desideri e di seguirli nella propria vita. Nel contesto della base esperienziale, creata dalla famiglia e dalla scuola, e del clima affettivo, sostenuto dalle diverse relazioni personali, si svolgono gli inter- venti educativi. Uno fra questi consiste nell’esplicito insegnamento morale. Esso è appunto uno dei mezzi attraverso cui si può focalizzare l’attenzione dell’allievo verso gli scopi virtuosi, quelli di cui abbiamo parlato spiegando la formazione del- l’intenzione e della prudenza; aiuta anche a percepire la desiderabilità degli scopi virtuosi e ad esercitare l’analisi delle situazioni e degli esempi morali letterari e reali. Inoltre la parenesi dell’insegnamento morale deve indicare azioni concrete che realizzano gli ideali virtuosi. Tutto ciò si svolge attraverso il dialogo e il ragio- namento che cerca di capire le regole morali, il loro fondamento e la loro prudente applicazione nelle situazioni circostanziate. Secondo MacIntyre e Hauerwas l’educazione morale intesa come educazione alla virtù è possibile soltanto in comunità umane unificate da una concezione della 114 vita buona e dalla loro identità. Sono comunità particolari di religione o di profes- sione che vivono all’interno delle moderne società liberali49. I membri di queste co- munità collaborano per un bene comune, un ideale della vita buona sulla base della loro tradizione50. Il significato della comunità per i processi della formazione alla virtù viene sottolineato anche da MacIntyre nella sua tripartita definizione della virtù. Ricordiamo che la terza fase della definizione si riferisce appunto alla comu- nità e alla tradizione di ricerca morale che è viva all’interno della comunità. Questa affermazione suscita però vaste critiche. Si afferma generalmente che le società contemporanee si caratterizzano per l’ethos liberale e democratico e per il pluralismo di fatto. Secondo gli autori di queste critiche è utopico pensare ad una reviviscenza di quelle virtù, che potevano essere coltivate nelle società e comunità più omogenee. B. Sichel presenta anche l’altra parte del problema. Essa si pone la domanda: dove finiscono gli interessi della comunità e il mondo morale della co- munità e dove comincia il bene comune di una larga e più universale morale della società? Si possono designare i confini tra la morale della comunità e la morale pubblica51? G. Abbà tenta di trovare una soluzione a questo dilemma. Dice che l’e- tica delle virtù mira a raggiungere un certo ideale di perfezione per cui le comunità omogenee sono necessarie. D’altra parte l’ethos liberale e democratico nella so- cietà di oggi è veramente irrinunciabile. Perciò egli afferma che “è un errore ridurre tutta la morale all’ethos liberale e democratico, abbandonando l’ideale della perfe- zione umana. D’altra parte proprio l’etica della perfezione umana applicata ad una società pluralista richiede l’ethos liberale e democratico, giacché per natura sua la perfezione umana o consiste in attuazioni eccellenti che sono libere o non esiste af- fatto. (…) È il caso invece di affermare che l’etica della perfezione umana si ap- plica diversamente all’interno delle comunità e all’interno della società politica. Converrà distinguere dunque nell’unica etica della perfezione umana l’etica comu- nitaria e l’etica pubblica o politica”52. B. Sichel spiega come si svolgono i processi iniziali dell’educazione morale nella vita dell’uomo. Ogni esperienza morale dell’individuo comincia con l’inse- diamento in una comunità. Questa comunità gli offre una intuitiva visione del bene e della vita morale. I bambini ottengono una comprensione della morale non ancora articolata, senza averne la consapevolezza53. L’individuo, circondato dai membri della comunità, incorporato e partecipe della sua vita morale attraverso l’imitazione 49 Questo fatto viene affermato da MACINTYRE A. soprattutto in After Virtue in cui la terza fase della sua definizione della virtù si riferisce appunto alla comunità. Come nota però WAIN K., MA- CINTYRE in Tree Rival Versions of Moral Enquiry basandosi sulle idee preparatorie incluse in The Idea of an Educated Public e in Whose Giustice? Which Rationality? presenta un’alternativa più ottimi- stica riguardo alla possibilità di educare alla virtù in società più vaste, si veda in WAIN K., MacIntyre and the Idea of an Educated Public, in «Studies in Philosophy and Education», 1995, vol. 14, 115. 50 Cfr. ABBÀ G., Felicità, vita buona e virtù, 298. 51 Cfr. SICHEL B., Moral Education. Character, Community and Ideals, 139. 52 Cfr. ABBÀ G., Felicità, vita buona e virtù, 299. 53 Cfr. SICHEL B., Moral Education. Character, Community and Ideals, 138. 115 apprende prima abilità esemplari e comportamenti morali e impara a riconoscere gli ideali rispettati. Lungo il processo della maturazione egli viene corretto, quando è necessario, dai membri della comunità e sente le storie e le biografie dei perso- naggi esemplari che hanno vissuto gli ideali fondamentali della comunità. Attra- verso queste esperienze l’agente acquista le conoscenze, la comprensione, gli abiti e le sensibilità necessarie per appartenere alla vita della comunità. L’insediamento nella vita morale della comunità non si raggiunge comunque attraverso corsi formali, ma prima di tutto attraverso la partecipazione e l’impegno nella vita della comunità e vivendo e praticando le abilità. L’educazione morale deve avere quindi un insediamento, un’iniziazione e un’educazione all’interno della comunità. Essa comincia nelle comunità primarie a cui il bambino appartiene. Come dice B. Sichel, sono comunità costitutive, perché hanno l’obbligo di costi- tuire l’identità dei suoi membri54. In esse vengono trasmesse l’ammirazione per gli eroi morali, la pratica quotidiana della vita morale, il riconoscimento delle lotte e tragedie della vita e altro ancora. Tutto ciò accade attraverso la cura e l’educazione, il vivere e lo sperimentare, attraverso il parlare, l’ascoltare e il partecipare55. Il carattere e le eccellenze morali formate nella comunità primaria non sono però in grado di affrontare tutte le necessità, tutti i problemi della vita pubblica e tutta la complessità dei dilemmi morali. Bisogna però sottolineare che il carattere morale formato durante l’infanzia in questa comunità è radicato in essa e da questa prospettiva acquista una visione più ampia dell’universo morale e il potenziale per modificare, ristrutturare, ampliare e cambiare il carattere e per affrontare adeguata- mente la complessità dei problemi morali nella società più ampia56. 11. L’influenza delle varie comunità di appartenenza Tra le comunità che possono offrire le condizioni favorevoli a questa crescita morale si possono indicare innanzitutto la comunità della famiglia e le comunità più vaste, come per esempio le comunità di religione. In esse si trovano le condi- zioni necessarie e favorevoli perché sia possibile la continuazione della tradizione, il riconoscimento delle autorità, l’amicizia e i modelli concreti di vita virtuosa. Il luogo privilegiato per la formazione della virtù è la famiglia. La cura e l’affetto dei genitori influiscono sullo sviluppo della sensibilità affettiva verso gli ideali vir- tuosi. L’abitudine di dialogare all’interno della famiglia crea le condizioni per ad- destrare alla riflessione e al ragionamento. La convivenza tra fratelli e sorelle aiuta ad apprezzare le diverse virtù di relazioni sociali. La disciplina invece crea delle circostanze per le buone abitudini che lungo il processo di maturazione possono 54 Cfr. SICHEL B., Moral Education. Character, Community and Ideals, 140-141. 55 Cfr. SICHEL B., Moral Education. Character, Community and Ideals, 142. 56 Cfr. SICHEL B., Moral Education. Character, Community and Ideals, 143. 116 prendere la forma degli atteggiamenti più stabili57. Anche la Sichel da parte sua sot- tolinea il grande ruolo della famiglia nell’educazione morale. La prima lezione che il bambino riceve sulla morale si svolge appunto attraverso un contatto diretto con i genitori, e cioè attraverso l’attenzione, la cura e il calore dei rapporti che si istitui- scono58. B. Sichel richiama qui alcune affermazioni di Erikson e il termine “senso della fiducia di base”59. La fiducia di base si riferisce alla percezione che il bam- bino avverte sia per come è trattato da altre persone sia per la percezione che egli stesso ha della sua propria fedeltà. Questo ha poi implicazioni nella morale futura della persona adulta. La fiducia di base che la persona ha di se stessa è fondamen- tale soprattutto nei momenti in cui bisogna prendere decisioni morali e agire se- guendo le scelte individuali. L’educazione morale si realizza quindi fin dalla na- scita e non ad una certa età, nel momento in cui comincia a funzionare il ragiona- mento morale. Grande importanza per la formazione delle virtù hanno anche le comunità di religione. Esse forniscono concezioni unificanti del mondo, del senso della vita e una viva tradizione. Questo fatto risponde all’esigenza del processo di formazione alla virtù secondo cui una persona in stadio di crescita deve avere presenti gli ideali della vita buona e le finalità della vita umana. Nelle comunità di religione questi fattori sono messi in rilievo in modo particolare. La comunità di religione rac- chiude inoltre una tradizione la cui viva memoria contiene i modelli della vita buona che indicano gli ideali virtuosi e le vie della loro realizzazione. Queste co- munità offrono molte possibilità di creare una varietà di relazioni, alle volte molto profonde, che hanno un notevole valore per la maturazione nelle virtù sociali. Il problema dell’educazione morale non può essere affrontato esclusivamente dalle famiglie e dalle comunità di religione. B. Sichel afferma che esso dipende anche dalla più generale e vasta politica sociale. Se le società vogliono che le co- munità costitutive introducano i bambini nel mondo morale, devono chiedersi quale politica sociale può sostenere queste comunità e garantirne la sopravvivenza. D’altra parte le comunità devono considerare questa politica sociale come una pro- tezione e un appoggio dell’autonomia individuale60. La realizzazione della vita buona richiede la libertà della persona e una capacità di valutare criticamente, di fare le scelte e decidere sul suo agire. Anche le comunità della famiglia e di reli- gione hanno bisogno di uno spazio di libertà e di autonomia per il loro funziona- mento. Tra i suoi diversi compiti, la società politica ha anche quello di garantire una libera, giusta e pacifica convivenza delle diverse comunità. La legge dello Stato non ha la possibilità di portare avanti una completa educazione alle virtù: 57 Cfr. ABBÀ G., Felicità, vita buona e virtù, 299. 58 Cfr. SICHEL B., Moral Education. Character, Community and Ideals, 144. 59 Erikson E.H., The Roots of Virtue, in HUXLEY J. (a cura di), Humanist Frame, New York, Harper & Brothers, 1961, 145-165, cit. in SICHEL B., Moral Education. Character, Community and Ideals, 145. 60 Cfr. SICHEL B., Moral Education. Character, Community and Ideals, 138. 117 questo è compito delle comunità e delle famiglie, ma la società politica attraverso le sue leggi deve garantire che ci sia questa possibilità. Oggi è forse difficile sostenere l’antica tesi aristotelica che la legge deve mi- rare alla formazione della virtù. Tanto più che già S. Tommaso non attribuiva grande valore al ruolo della legge umana nella formazione alla virtù. Secondo lui, essa è capace al massimo di influire sugli atti esteriori, non sugli atti interiori che sono i più importanti nella vita virtuosa. Tuttavia, le comunità politiche, garantendo giustizia e pace, assicurano, per quanto si riferisce alla loro parte, quelle condizioni che favoriscono al loro interno lo sviluppo di comunità più adatte ad educare alle virtù. Perciò Abbà afferma che la legge non è estranea alla virtù e garantisce le condizioni indispensabili per la vita delle diverse comunità di virtù61. 12. Il ruolo della scuola L’educazione morale nella società dipende dalla moltitudine degli sforzi delle diverse istituzioni, associazioni e comunità. B. Sichel mostra le posizioni di alcuni autori che si riferiscono in modo particolare alla funzione della scuola62. Essi so- stengono che l’obiettivo dell’educazione morale nella scuola si differenzia da quello delle comunità di provenienza. Le scuole educano alla giustizia, all’onestà, ai diritti e agli interessi dei gruppi più ampi. L’educazione morale nelle scuole esige perciò una struttura e una forma diverse da quelle delle comunità di prove- nienza. Altri sostengono che ci deve essere un muro che separi le scuole pubbliche dalle comunità e l’insediamento nelle comunità dall’educazione morale nelle scuole. Altri ancora, che le scuole devono concentrarsi soltanto sull’astratto ragio- namento morale, sui principi formali e sulle capacità di costruire il giudizio morale non essendo tanto importante il contenuto delle decisioni quanto piuttosto la giusti- ficazione del giudizio. Gli avvocati di queste posizioni affermano che l’educazione che fornisce questo ragionamento non entra in conflitto con i valori fondamentali delle comunità, ma pone la morale comune in un contesto più ampio63. B. Sichel sostiene, da parte sua, che i principi morali troppo generali rappre- sentano un tipo di etica non accettabile dalle comunità. L’educazione morale che si basa su questi principi, invece di essere neutrale in riferimento al contenuto e alle decisioni morali, spesso è distruttiva per la vita delle comunità. D’altra parte, l’edu- cazione morale che si basa soltanto sui principi del ragionamento morale e pre- scinde dai contenuti delle decisioni morali, è deficiente per quelli che non avevano 61 Cfr. ABBÀ G., Felicità, vita buona e virtù, 301. 62 Cfr. SICHEL B., Moral Education. Character, Community and Ideals, 148. 63 Cfr. SICHEL B., Moral Education. Character, Community and Ideals, 149; per le argomenta- zioni che contestano il ruolo specifico della scuola nell’educazione morale si veda in PELLEREY M., Educazione morale, educazione sociale, educazione del carattere: i compiti della scuola, in «Orienta- menti Pedagogici», 1995, vol. 42, 228. 118 la possibilità di crescere nelle comunità che abbiamo chiamato costitutive. Lo svi- luppo del ragionamento morale astratto o della neutralità morale è da rifiutarsi come impostazione dell’educazione morale nella scuola. Sichel propone dunque un’altra strada. La scuola deve essere ponte tra la famiglia e la società64. Per rico- struire il legame tra scuola e comunità sono state elaborate diverse proposte: quelle con programmi del servizio pubblico con obiettivo di coinvolgere gli studenti nella responsabilità per chi nella società ha bisogno di aiuto: ammalati, portatori di han- dicap e altri ancora. Ci sono poi i programmi di educazione civica che hanno come obiettivo lo sviluppo della coscienza del bene comune. Sichel conferma che nelle scuole che sono frequentate dagli studenti di diverse comunità ci sono differenze nella morale e nelle eccellenze morali degli studenti. Essa sostiene però che questo non significa che non ci sia accordo circa gli standard morali, i comportamenti morali e gli ideali morali. Accenna per questo alla necessi- tà dell’incontro tra genitori e educatori per constatare dove questo accordo esiste. Le comunità, i genitori e le scuole devono diventare partner nel dialogo. Se non c’è questo dialogo, le scuole corrono il rischio di mantenere per se stesse il primato di programmazione e i genitori diventano un’opposizione che combatte contro le deci- sioni non accettabili sull’educazione morale dei loro figli65. Sichel mette in rilievo anche alcune funzioni svolte dalle comunità scolastiche. Esse possono essere, per esempio, luoghi per sperimentare le esperienze della vita di comunità per quelli che mai hanno avuto una qualche esperienza della comunità primaria. Le scuole devo- no, in questo caso, trasmettere le eccellenze morali appropriate. Un’altra funzione consiste nel fornire un ambiente adatto dove continuare la crescita e lo sviluppo delle eccellenze morali di quelli che già inizialmente possie- dono una appropriata fondazione di queste eccellenze. La strada per svolgere queste responsabilità consiste nel cercare di essere comunità e non soltanto istitu- zione. Questa è anche la raccomandazione che faceva J. Dewey. La comunità scola- stica non è una comunità che ha soltanto caratteristiche democratiche. La comunità che qui si raccomanda possiede eccellenze morali, valori, propri simboli, riti, eroi, celebrazioni, tradizioni, storia e radici che fanno sì che la scuola diventi un luogo dove si forma l’identità degli studenti. Con queste caratteristiche la scuola non è più un’istituzione burocratica o un gruppo di individui comunque, ma può essere quella che abbiamo chiamato prima una comunità costitutiva66. Una tale comunità deve avere alcune caratteristiche che sono proprie delle comunità primarie. È bene quando ci sono cerimonie che sottolineano in modo particolare l’entrata dei nuovi membri nella comunità scolastica, che si faccia notare ai nuovi allievi che sono ac- cettati e accolti con simpatia dagli altri più avanzati nella vita scolastica. 64 Cfr. SICHEL B., Moral Education. Character, Community and Ideals, 150. 65 Cfr. SICHEL B., Moral Education. Character, Community and Ideals, 153. 66 Cfr. SICHEL B., Moral Education. Character, Community and Ideals, 157. 119 Le diverse comunità nella società hanno le loro storie, le loro radici e tradi- zioni, alcune delle quali sono “ufficiali”, alcune altre invece fanno parte delle tradi- zioni trasmesse alle nuove generazioni. Le tradizioni includono storie che alle volte non portano informazioni fattuali sulla comunità, ma rappresentano i valori e le ec- cellenze morali ereditati dalla comunità. La comunità scolastica può approfittare di questo forte veicolo per trasmettere ai nuovi membri le idee comuni e le eccellenze morali. Diversi simboli, riti e celebrazioni portano contenuti e significati conosciuti soltanto dai membri delle comunità e offrono agli studenti e agli insegnanti sensa- zioni ed emozioni della loro appartenenza alla comunità stessa. Questi simboli e queste celebrazioni scolastiche si inseriscono spesso nelle celebrazioni della società più grande o delle comunità esistenti nell’ambiente vicino alla scuola. Parallelamente al significato della comunità per i processi dell’educazione alla virtù nella scuola, vari autori mettono in rilievo anche l’importanza del curricolo. Noi intenderemo per curricolo un’organizzazione e pianificazione intenzionale dei contenuti e processi didattici ed educativi. Altre definizioni di curricolo, come quella di Ralph W. Tyler, dicono che esso è la formulazione delle finalità educative, delle esperienze dirette e indirette adatte a raggiungere queste finalità, il modo di organizzare l’azione educativa e le possibilità di verifica sul raggiungimento delle finalità. Per A.V. Kelly un curricolo è invece “l’insieme di tutto l’apprendimento programmato e sviluppato dalla scuola, sia che si svolga individualmente o in gruppo o fuori dalla scuola stessa”67. Indipendentemente da come definiamo il curricolo scolastico, appare vera l’af- fermazione di William H. Schubert che ogni curricolo all’interno della scuola forma il carattere degli studenti68. A parte i curricoli, che sono costruiti per influire esplicitamente sul carattere, Schubert sostiene anche che ogni esperienza educativa all’interno della scuola modifica in certo modo i tratti della persona e influisce sulla prospettiva circa che cosa è degno di fare o di essere. Se quindi gli educatori intenzionalmente cercano di influire sul carattere degli studenti e sul loro agire, gli interventi di questo tipo dovrebbero scaturire dal curriculum per l’educazione del carattere. Se il curricolo non è etichettato con il titolo educazione del carattere questo influsso accade ugualmente attraverso il così detto curricolo nascosto o im- plicito. Questo curricolo viene dato dall’atmosfera generale vissuta, dai comporta- menti dei docenti e dei dirigenti, dal sistema di relazioni personali e istituzionali69. Un altro autore, Kevin Ryan, sostiene che le scuole, aiutando gli studenti a svi- luppare il buon carattere e “la capacità di conoscere, di amare e di fare il bene”, de- 67 Le definizioni del curricolo sono state prese da PELLEREY M., Progettazione didattica. Metodi di programmazione educativa scolastica, Torino, Società Editrice Internazionale, 1995, 23-28. 68 Cfr. SCHUBERT W.H., Character Education from Four Perspectives on Curriculum, in MOLNAR A. (a cura di), The Construction of Children’s Character, Chicago, Illinois, The National Society for the Study of Education, 1997, 17. 69 Cfr. PELLEREY M., Educazione morale, educazione sociale, educazione del carattere: i compiti della scuola, in «Orientamenti Pedagogici»,1995, vol. 42, 228. 120 vono innanzitutto contribuire al loro sapere circa che cosa è il bene. Certamente non tutta la conoscenza e non tutte le abilità definite nel curriculum contribuiscono direttamente a questo sapere e a come formare il buon carattere. Molte materie però e i temi delle lezioni di lingue o dei corsi di tipo sociale sono pieni di messaggi di tipo morale. Le storie, gli eventi e i personaggi storici, insegnati nelle scuole, sono strumenti per comprendere che cosa significa essere (o non essere) persona di buon carattere70. Anche K. Ryan afferma che oltre il curricolo formale grande ruolo ha il “curri- colo nascosto”, hidden curriculum e cioè tutta l’istruzione personale e sociale non diretta e non formale che i partecipanti alla vita scolastica ricevono. Molti dei più profondi messaggi e interventi educativi sono comunicati appunto attraverso questo curricolo. Ryan asserisce che se lo spirito di onestà, lealtà e giustizia penetra ogni angolo della scuola, i bambini impareranno ad essere onesti, leali e giusti. Attra- verso gli atteggiamenti di servizio da parte degli insegnanti, degli amministratori e degli studenti più adulti, gli studenti saranno educati ad essere anche disponibili al servizio degli altri. La letteratura sul curricolo nascosto indica che anche senza un’evidente inten- zione, molti messaggi sono portati e comunicati attraverso le strutture e i processi delle istituzioni e attraverso le esperienze dell’apprendimento non diretto e non for- male, fuori dell’istituzione71. Questo accade sicuramente nella scuola. Non si pos- sono quindi sottovalutare i messaggi del curricolo nascosto perché anche essi sono moralmente significativi per la formazione del carattere. Per raggiungere i fini desi- derati dai processi dell’educazione del carattere non basta concentrarsi quindi sul curricolo ufficiale, ma bisogna tenere presenti gli influssi di tutti e due i curricoli, di quello intenzionale e di quello nascosto. 13. L’educazione morale secondo le fasi dello sviluppo Parlando dell’educazione del carattere e dell’educazione alla virtù, Abbà dimo- stra l’impossibilità di mantenere la teoria dello sviluppo morale di Kohlberg; af- ferma che questa teoria innanzitutto è incompatibile con la filosofia morale che si rifà a S. Tommaso72 e richiama qui le critiche mosse alla teoria di Kohlberg da due autori: B. Sichel e E. Simpson. B. Sichel critica la teoria di Kohlberg quando af- ferma che la forma del ragionamento morale può essere separata dal suo contenuto. 70 Cfr. RYAN K., Mining the Values in the Curriculum, in «Educational Leadership», 1993, vol. 51, 16. 71 Al riguardo si veda SCHUBERT W.H., Character Education from Four Perspectives on Curri- culum, in A. MOLNAR (Ed.), The Construction of Children’s Character, Chicago, Illinois, The Na- tional Society for the Study of Education, 1997, 17-30; GIROUX H.A. - PURPEL D. (a cura di), The Hidden curriculum and Moral Education, Berkeley, McCutchan, 1981. 72 Cfr. ABBÀ G., Felicità, vita buona e virtù, 317. 121 Secondo Sichel la forma del ragionamento morale si adatta al contenuto e varia con esso. La teoria di Kohlberg trascura il rapporto tra ragionamento morale e pratica morale. Un dilemma morale non è solo un problema intellettuale, ma coinvolge il carattere e le emozioni73. A questa critica Simpson aggiunge l’affermazione che lo sviluppo morale non è soltanto di tipo cognitivo, ma è prima ancora emotivo. Se- condo lui, il ragionamento morale suppone la percezione emotiva dei beni umani per i quali abbiamo un naturale interesse74. Le critiche qui riportate eliminano quindi la teoria dello sviluppo morale di Kohlberg come non utile alla spiegazione del processo della formazione alla virtù e del carattere. Abbà afferma che la filosofia tomista dispone di uno strumentario concettuale che le consente di spiegare lo sviluppo morale in modo adatto. Indica inoltre le linee secondo cui deve procedere una spiegazione dello sviluppo morale che si ispira alla filosofia morale che abbiamo esposto. Prima di tutto definisce lo sviluppo come emergenza di nuove funzioni affettive e cognitive a partire da incoa- zioni naturali presenti sia nella ragion pratica, sia negli appetiti. Poi distingue tra sviluppo psicologico, che avviene per necessità naturali, e sviluppo morale, che av- viene solo con l’esercizio di atti volontari. In base ai criteri della teoria dello sviluppo che si rifanno a S. Tommaso di- stingue nel corso dello sviluppo morale dell’uomo la fase prerazionale e quella ra- zionale. Abbiamo già detto che l’educazione morale inizia nella fase prerazionale, ancora prima dell’uso di ragione, applicandosi all’affettività passionale e alla cogi- tativa in essa operante, che sono il principio di comportamento in questa prerazio- nale. La fase razionale si sviluppa in due fasi: fase previrtuosa e fase virtuosa. Nella fase previrtuosa il soggetto agisce in base alle ragioni corrette secundum ra- tionem rectam, ma ancora in modo imperfetto e difettoso. Il suo carattere non con- tiene tutte le virtù richieste per vivere bene, e quelle che ci sono non sono ancora formate secondo prudenza. Di conseguenza il soggetto può compiere errori circa la regola morale. I costumi e le norme della comunità locale e della più ampia società sono la regola predominante di condotta. Nella fase della vita virtuosa, in ragione della connessione di tutte le virtù mo- rali con la prudenza, lo “sviluppo morale”75 non è più possibile. Abbà sostiene che sono possibili soltanto una crescita e un adattamento evolutivo. Di progresso nella vita virtuosa si può parlare solo in quanto la virtù, grazie alla ripetizione degli atti, si radica sempre più nelle facoltà appetitive in cui ha sede e le inclina nella propria direzione, attenua la sua indeterminatezza ed elimina le inclinazioni contrarie. Grazie alla prudenza si può parlare anche di un adattamento evolutivo nella vita virtuosa. Uno stesso compito, restando identico, con l’età della vita può crescere in 73 Cfr. SICHEL B., Moral Education. Character, Community and Ideals, 195-199. 74 Cfr. SIMPSON E., Good Lives and Moral Education, New York - Bern - Frankfurt am Main - Paris, Peter Lang, 1989, 127-139. 75 Il significato del termine “sviluppo morale” proviene qui dalla filosofia tomista e non può es- sere confuso con i significati di altre teorie filosofiche e psicologiche. 122 complessità, può essere svolto in contesti diversi. Qui la prudenza può aver bisogno di aiutarsi per esempio con una scienza morale. Gli scopi virtuosi, anche in contesti diversi, restano gli stessi, non si alterano. La capacità del virtuoso di poter trovare l’azione giusta corrispondente agli scopi virtuosi e ai particolari della situazione può essere designata col termine di “autonomia”. Abbà, invece di parlare di autore autonomo, per evitare ambiguità e confusione nella filosofia che egli segue con la teoria etica del discorso e con le teorie morali autonome e della ragione creatrice, preferisce parlare qui di “autore volontario”. L’esercizio delle virtù richiede però vigilanza e impegno. La vita virtuosa esiste nell’individuo a modo di habitus e non di natura, per cui la precarietà e la fragilità possono presentarsi sempre. La pratica educativa comunque non è una autoeducazione continua. Se l’educazione morale mira a formare il carattere e le virtù, e ci riesce, la vita diventa l’esercizio delle virtù e l’educazione cessa. Se l’educazione non riesce, la vita resta previrtuosa e si può influire su di essa, non più con gli atti di natura educativa ma, al massimo, con gli atti di consulenza, di soccorso morale o di costrizioni legali. 14. L’insegnante e l’educazione del carattere Sichel mette in rilievo la relazione che esiste tra le dimensioni morali del ruolo che gli insegnanti svolgono e il loro carattere personale. Sostiene poi che il carat- tere morale della persona deve controllare il ruolo e le sue attuazioni. Questa asser- zione non vuol dire che ci sia sempre armonia e non si verifichino conflitti tra il ca- rattere e il ruolo. A volte, le persone non accettano alcuni ruoli perché questi richie- dono comportamenti morali da loro non accettabili. Appartengono a questa cate- goria per esempio quelli del poliziotto, del militare, a volte anche quelli dello scienziato (vedi genetica, bomba atomica)76. A volte però l’agente morale scopre che alcune delle eccellenze ereditate hanno sfumature che devono essere modifi- cate. Si decide in questi momenti di modificare anche il carattere. Per ragioni ovvie, coloro che svolgono ruoli pubblici (per esempio politici, insegnanti) e accet- tano certe professioni devono fare dei compromessi perché la loro attività riguarda un grande numero di persone non conosciute che aderiscono a quadri di valori di- versi. Possiamo porre una domanda: quale forma di educazione deve intraprendere la scuola se il carattere e anche i ruoli dei soggetti morali sono importanti? Deve la scuola concentrarsi sui ruoli? O deve occuparsi del carattere morale sperando che questo fornirà modi per risolvere i dilemmi posti dai vari ruoli? B. Sichel risponde che né l’uno né l’altro aspetto può essere escluso, ma che ambedue gli aspetti de- vono essere presi in considerazione. Certamente l’enfasi e le modalità devono di- pendere dal livello degli studenti e dai contesti. Ma già nella scuola elementare 76 Cfr. SICHEL B., Moral Education. Character, Community and Ideals, 232. 123 esiste la nozione di ruolo che entra nel processo di educazione morale attraverso l’attività dell’insegnante e dello studente77. Gli studenti apprendono che nelle istitu- zioni sociali i ruoli sono strutturati e svolti in una certa maniera. Per esempio, se- condo il modello autoritario dell’insegnante, lo studente acquista più di ciò che l’immagine dell’insegnante manifesta. Il portamento e il rispetto di questo modello richiedono una indiscutibile accettazione per ragioni di potere e di autorità. D’altra parte, il modello democratico del ruolo insegnante-studente mirerà a educare gli studenti più autodisciplinati. Concludiamo quindi che i tipi di ruoli che gli studenti vedono e vivono nella scuola forniscono loro i modelli per svolgere in futuro altri ruoli e altre relazioni con le persone. La relazione tra il carattere e le dimensioni morali del ruolo è presentata da B. Sichel più dettagliatamente sull’esempio del ruolo dell’insegnante e sulla base del concetto di pratiche di A. MacIntyre. Questi considera l’insegnamento come una pratica, che richiede dall’insegnante il possesso delle virtù attraverso cui essa può essere portata allo stato di eccellenza. Solo così il soggetto morale, in questo caso l’insegnante, realizza e raggiunge i beni interni alla pratica dell’insegnamento78. Si- chel sostiene che due serie di virtù devono definire la vita morale dell’insegnante: quelle che chiameremo personali e che descrivono l’insegnante come agente mo- rale, e quelle che sono intrinsecamente legate alla professione dell’insegnante. B. Sichel afferma anche che nessun corso fatto su come risolvere i problemi morali dell’insegnamento, dell’astratto ragionamento morale, delle tecniche di soluzione dei problemi, può preparare adeguatamente l’insegnante al suo essere agente mo- rale nella scuola. Soltanto il carattere morale ben formato e le virtù personali e pro- fessionali lo rendono capace di affrontare adeguatamente tutto ciò che richiede l’ambiente umano e morale della scuola79. 15. Principi per la progettazione di un curricolo di educazione morale Sulla base degli studi di natura filosofica riferibili all’impostazione aristotelica e alla sua interpretazione dovuta a A. McIntyre, a B. Sichel, a G. Abbà, si possono tracciare alcuni principi di qualità che consentono una progettazione e valutazione dei curricoli di educazione del carattere o di educazione morale nella scuola. I prin- cipi in sintesi sono i seguenti: 1) l’educazione del carattere ha luogo in una comu- nità che vive all’interno di una tradizione di ricerca morale; 2) l’educazione del ca- 77 Un’interessante elaborazione della specificità della professione dell’insegnante e una proposta di tre aree proprie dell’azione di insegnamento che influiscono sulla crescita morale dell’allievo sono: 1) lo spirito di ricerca, la conoscenza e la competenza, 2) il prendersi cura e il dedicarsi agli altri, 3) la libertà e la giustizia (cfr. PELLEREY M., Su alcune dimensioni morali dell’azione di insegnamento, in «Orientamenti Pedagogici», 1992, vol. 39, 750, 752). 78 Cfr. MACINTYRE A., After Virtue, London, Duckworth, 1985, 178. 79 Cfr. SICHEL B., Moral Education. Character, Community and Ideals, 238. 124 rattere è mirata alla vita buona e alla sua finalità fondamentale; 3) l’educazione del carattere si basa sulla struttura narrativa della vita umana; 4) l’educazione del carat- tere si basa sulla partecipazione alle “pratiche”; 5) l’educazione del carattere si basa su un esplicito insegnamento morale; 6) l’educazione del carattere si basa sullo sviluppo degli abiti. 15.1. L’educazione del carattere ha luogo in una comunità che vive all’interno di una tradizione di ricerca morale La giustificazione del criterio si trova nelle teorie degli Autori citati. Sono le comunità che possiedono certe caratteristiche a fornire le condizioni necessarie af- finché le finalità fondamentali dell’esistenza umana possano essere scoperte e per- seguite dai soggetti morali. B. Sichel, rispondendo alla domanda: “che cosa deve essere incluso in una teoria dell’educazione del carattere”, si riferisce all’antica realtà comunitaria descritta con il termine “oikos”. Questo termine significa casa, famiglia allargata o quello che noi chiamiamo comunità. Attraverso l’appartenenza a un certo “oikos”, la persona si inseriva in un ben definito mondo morale proprio di una comunità. Il mondo di un particolare “oikos” aveva sempre il suo posto nel- l’universo più largo e cioè in un ambiente storico, culturale e religioso. B. Sichel nota che oggi esistono diverse comprensioni di quello che si trova sotto il termine di “comunità” e non tutte le forme comunitarie create oggi da di- versi gruppi, istituzioni o associazioni di persone sono quelle che offrono le condi- zioni sufficienti per lo sviluppo delle virtù e del carattere morale della persona. L’autrice afferma che la forma più adatta per i processi dell’educazione morale è quella che contiene le caratteristiche della “comunità costitutiva”. È la comunità al- l’interno della quale i membri generano la loro identità, scoprono chi sono e diven- tano soggetti morali80. Ogni esperienza morale comincia con l’insediamento in una comunità pri- maria. Questa comunità offre una intuitiva visione del bene e della vita morale. I bambini ottengono una comprensione della morale non ancora articolata, senza averne la consapevolezza81. L’individuo, circondato dai membri della comunità e incorporato e partecipe della sua vita morale attraverso l’imitazione apprende prima abilità esemplari e comportamenti morali e impara a riconoscere gli ideali ri- spettati. Lungo il processo della maturazione gli viene insegnato e corretto dai membri della comunità quanto è necessario. Attraverso queste esperienze il sog- getto acquista le conoscenze, la comprensione, gli abiti e le sensibilità necessarie per appartenere alla vita della comunità. L’insediamento nella vita morale della co- munità si raggiunge prima di tutto attraverso la partecipazione e l’impegno. Le isti- tuzioni che mirano a formare le virtù e il carattere morale nel nostro caso, sono le 80 SICHEL B., Moral Education. Character, Community and Ideals, 125. 81 Cfr. SICHEL B., Moral Education. Character, Community and Ideals, 138. 125 scuole. Sicuramente esse non riescono a creare comunità con tutte le caratteristiche che hanno le comunità costitutive. Devono collaborare quindi strettamente con le comunità primarie, e cioè con le famiglie e con le comunità costitutive a cui appar- tengono, approfittando attraverso la collaborazione delle condizioni favorevoli per lo sviluppo delle virtù morali. Secondo la Sichel la scuola deve essere ponte tra la famiglia e la società82. Per costruire questo legame l’autrice presenta diverse proposte: quelle con programmi di servizio pubblico con l’obiettivo di coinvolgere gli studenti assieme ai loro geni- tori nella responsabilità per chi nella società ha bisogno di aiuto. Ci sono poi i pro- grammi di educazione civica che hanno come obiettivo lo sviluppo della coscienza del bene comune. Sichel conferma che nelle scuole, frequentate dagli studenti di di- verse comunità ci sono differenze nella morale e nelle eccellenze morali. Essa so- stiene però che questo fatto non significa che non ci sia accordo circa gli standard morali, i comportamenti morali e gli ideali morali. Accenna per questo alla neces- sità dell’incontro tra genitori e educatori per constatare dove questo accordo esiste. Le comunità, i genitori e le scuole devono diventare partner nel dialogo83. Secondo Sichel le comunità scolastiche possono essere anche luoghi per speri- mentare le esperienze della vita di comunità con quelli che mai hanno avuto una qualche esperienza della comunità primaria. Con quelli invece che già inizialmente possiedono una appropriata fondazione di eccellenze morali le scuole devono for- nire un ambiente adatto dove continuare la crescita e lo sviluppo. La via per giun- gere a queste responsabilità consiste nel cercare di essere comunità e non soltanto istituzione. Questa è anche la raccomandazione fatta una volta da J. Dewey. La co- munità che qui si raccomanda possiede eccellenze morali, valori, propri simboli, riti, eroi, celebrazioni, tradizioni, storia, e radici che fanno sì che la scuola diventi un luogo dove si forma l’identità degli studenti. Con queste caratteristiche la scuola non è più un’istituzione burocratica o un gruppo di individui comunque, ma può avvicinarsi a quella che abbiamo chiamato una comunità costitutiva84. È bene quindi che ci siano cerimonie che sottolineano in modo particolare gli eventi signi- ficativi della vita comunitaria, come per esempio l’entrata dei nuovi membri, anni- versari, o ricordi dei personaggi modelli. Le diverse comunità, inserite nella società, hanno le loro storie, le loro radici e le tradizioni. La comunità scolastica può approfittare di tutto questo per trasmettere ai nuovi membri le idee comuni e le eccellenze morali. Diversi simboli, riti e cele- brazioni portano contenuti e significati ed offrono agli studenti sensazioni ed emo- zioni a motivo dell’appartenenza alla comunità. Il significato della comunità per i processi di formazione della virtù e del carattere morale viene sottolineato anche da MacIntyre. Spiegando questa affermazione egli sottolinea che la ricerca del bene e 82 Cfr. SICHEL B., Moral Education. Character, Community and Ideals, 150. 83 Cfr. SICHEL B., Moral Education. Character, Community and Ideals, 153. 84 Cfr. SICHEL B., Moral Education. Character, Community and Ideals, 157. 126 della finalità esistenziale incomincia per ogni soggetto tramite l’appartenenza ad una particolare comunità. È appunto la tradizione di una particolare comunità che fornisce ai soggetti i criteri per la ricerca della vita buona e della sua finalizza- zione85. MacIntyre afferma che un soggetto non è mai in grado di ricercare il bene e tale finalità da solo, in quanto individuo isolato. Ugualmente per l’esercizio delle virtù. La visione narrativa dell’io implica che la storia della vita del soggetto sia sempre inserita nel presente e nella storia di quelle comunità da cui egli trae la sua identità. È qui che si rivela anche come fondamentale il fenomeno narrativo del- l’inserimento: la storia della vita di ogni soggetto così come la storia di una pratica è inserita sempre in un contesto sociale di una comunità e nelle storie più vaste delle tradizioni. Le comunità di tradizione, cui MacIntyre si riferisce, non sono le società politiche moderne, ma le comunità particolari, di religione o di professione, che vivono all’interno delle moderne società liberali. È in quelle comunità che egli scopre la possibilità di una ricerca morale. M. Pellerey afferma che la forza interiore del soggetto morale per agire virtuo- samente non è soltanto un dono, ma una conquista. È un vero e proprio apprendista- to. E, come ogni apprendistato, esso implica in primo luogo la possibilità di osserva- re direttamente e attraverso forme mediate modelli di comportamento a cui ispirarsi. Modelli che sono tanto più influenti, quanto più segnati da un rapporto affettivo86. E sono proprio gli insegnanti e gli educatori chiamati negli ambienti scolastici a fare da modelli di vita virtuosa. Essi svolgono appunto il ruolo di causa esemplare quan- do cercano di costruire un ambiente educativo nel quale gli allievi possono percepi- re direttamente che cosa significa agire moralmente. Mostrano il modo in cui essi stessi conducono la propria vita. Mostrano in concreto modelli di comportamento morale, inizialmente forse solo imitati, ma in seguito capaci di influenzare in manie- ra profonda e duratura la condotta e le scelte personali degli allievi87. 15.2. L’educazione del carattere è mirata alla vita buona e alla sua finalità fonda- mentale Secondo MacIntyre, considerare la vita come unità narrativa significa anche ri- conoscere il suo carattere teleologico. Noi viviamo il presente, sia individualmente che nella relazione con gli altri, sempre nella luce di una certa concezione del fu- 85 Cfr. MACINTYRE A., After Virtue, 223. 86 Cfr. PELLEREY M., Volli, sempre volli, fortissimamente volli. La rinascita della psicologia della volontà, in «Orientamenti Pedagogici», 1993, vol. 40, 1015; a questo proposito c’è un interessante contributo di Dreyfus H. e S., che fornisce un concetto dei vari stadi attraverso cui l’apprendista passa durante l’apprendistato morale, cfr. DREYFUS H.I. - DREYFUS S.E., What is morality? A phenomenolo- gical account of the development of ethical expertise, in RASMUSSEN D. (a cura di), Universum vs. Communitarism. Contemporary debates in ethics, Cambridge-Massachusetts, MIT Press Edition, 1990, 237-264. 87 Cfr. PELLEREY M., Su alcune dimensioni morali dell’azione di insegnamento, in «Orientamenti Pedagogici», 1992, vol. 39, 749. 127 turo possibile. In questo futuro alcune possibilità ci attraggono per andare avanti e altre ci fermano; alcune sembrano già precluse e altre inevitabili. Nessuno quindi vive il presente che non sia informato da una certa immagine di futuro, del futuro che si presenta sempre nella forma di un telos – o di una varietà di fini e di tra- guardi – verso i quali noi riusciamo o non riusciamo a muoverci nel presente88. Il concetto di telos umano garantisce che la vita può essere considerata come un tutto con una sua identità e continuità narrativa. Secondo questo Autore il telos, che con- ferisce unità alla vita, non è determinato in modo completo fin dall’inizio, è da ri- cercare continuamente. La ricerca della vita buona viene sostenuta dalle virtù che nello stesso tempo rendono buona la vita proprio in quanto essa è ricerca di vita buona89. Questa caratteristica della vita umana suscita domande e implicazioni che de- vono essere prese in considerazione nel processo educativo. Bisogna rispondere alla domanda: su quale futuro mai il soggetto morale in questo processo dovrebbe progettarsi? Sicuramente non ogni concezione del fine umano sarà coerente con la concezione della vita umana delineata da noi nei passi precedenti. Un’altra do- manda potrebbe riguardare le modalità con cui un soggetto morale trova i dati ne- cessari per costruirsi un’immagine del proprio futuro verso cui dirigere la vita. MacIntyre intende le virtù tra l’altro “come quelle disposizioni che ci aiutano nella ricerca pertinente del bene, permettendoci di superare i mali, i pericoli, le tenta- zioni e le distruzioni che incontriamo, e ci forniscono una crescente conoscenza di noi stessi e del bene”90. In questo modo si arriva a una prima conclusione circa la vita buona per l’uomo: “la vita buona per l’uomo è la vita dedicata alla ricerca della vita buona per l’uomo, e le virtù necessarie per tale ricerca sono quelle che ci consentono di capire che cosa ancora e che cos’altro sia la vita buona per l’uomo”91. Viene richiamata l’idea medioevale dell’uomo che è essenzialmente “in via”92. Il fine che egli ricerca è qualcosa il cui raggiungimento può redimere tutto ciò che c’era di errato nella sua vita fino a quel momento. Nella concezione me- dioevale il raggiungimento del telos umano controbilancia tutto il male, anche il male di scelte tragiche, di cui esso era uno degli effetti inevitabili93. Il male della scelta tragica viene superato perché questo male non può diminuire il genere di vita che è buona proprio in quanto è dedicata alla ricerca della vita buona. Perciò MacIntyre afferma che gli unici criteri di riuscita o di fallimento per una vita umana considerata come un tutto sono i criteri di riuscita o di fallimento per una ricerca del vero fine umano. 88 Cfr. MACINTYRE A., After Virtue, 217. 89 Cfr. MACINTYRE A., After Virtue, 219. 90 Cfr. MACINTYRE A., After Virtue, 218. 91 Cfr. MACINTYRE A., After Virtue, 219. 92 Cfr. MACINTYRE A., After Virtue, 174-175. 93 Per una più dettagliata informazione sul problema della scelta fra beni antagonisti in una situa- zione tragica si veda: MACINTYRE A., After Virtue, 224. 128 Dal punto di vista educativo risulta fondamentale creare quell’ambiente e quelle situazioni educative che portano il soggetto a quel punto di sviluppo in cui comincia a portare avanti la propria individuale ricerca di quella che è la vita buona per lui. Bisogna sostenere anche il soggetto nello scoprire e nel considerare i beni interni alle pratiche, le pratiche stesse e tutti i loro atti in rapporto con il vero fine umano. La dottrina tomista, che attribuisce all’educazione grande importanza mo- rale, oltre alla necessità degli interventi educativi umani, dà rilievo particolare anche a quelli che sottolineano l’assoluta necessità dell’intervento di Dio. Poiché le leggi, sia la legge umana che la legge divina e la legge naturale, hanno un’efficacia limitata nell’educazione delle eccellenze morali; per questo è necessaria, come af- ferma Abbà, l’azione educatrice di Dio attraverso la grazia che agisce sulla vita in- teriore dell’uomo. Vediamo ora come è possibile avvicinarsi con la pratica educativa all’ideale delineato da MacIntyre, e come le scuole e i centri educativi, che sono segnati dal pluralismo assiologico, culturale e spesso anche religioso da parte degli studenti, possano garantire le necessarie condizioni educative. Partiamo dal dato di fatto che questo pluralismo all’interno degli ambienti educativi è inevitabile. È poco proba- bile che si creino comunità scolastiche omogenee dal punto di vista culturale o reli- gioso e, più precisamente ancora, che queste comunità siano omogenee e unificate in modo pienamente cristiano. Questo fatto non può bloccare però gli sforzi educa- tivi circa la formazione della virtù e del carattere, anche quando allo stesso tempo si vuole tenere conto di tutto quello che MacIntyre dice circa il fine umano e la co- munità. Prendendo in considerazione gli ambienti scolastici attuali dal punto di vista delle affermazioni di MacIntyre circa il fine umano, sarà forse necessario esa- minare dapprima anche soltanto la loro apertura alla realtà trascendente e le condi- zioni attraverso cui essa può essere garantita. La garanzia stessa che la ricerca del fine umano nel senso macintyriano non è esclusa esplicitamente, deve essere valu- tata in positivo. Questa condizione appare però fondamentale e come il minimo da cui non si può prescindere. 15.3. L’educazione del carattere si basa sulla struttura narrativa della vita umana Il terzo principio, che dal nostro quadro teorico risulta fondamentale per la teoria dell’educazione morale intesa come educazione del carattere, consiste nel- l’affermazione che la vita umana è di carattere narrativo. Questa affermazione fon- damentale nella teoria di MacIntyre significa in primo luogo la storicità dell’esi- stenza umana. La narrativa nella teoria di MacIntyre è concepita come articola- zione razionale dell’esperienza storica, sociale e culturale che il soggetto deve avere per garantirsi la comprensione dell’esistenza propria ed altrui94. L’uomo è au- 94 Cfr. MATTEINI M., MacIntyre e la Rifondazione dell’Etica. La crisi delle ideologie e della mo- rale e il ricupero del finalismo etico come “bene comune”, Roma, Città Nuova Editrice, 1995, 86, 110. 129 tore e narratore della propria storia di vita. La sua vita concepita come un tutto, con una sua identità e continuità, ha la sua unità narrativa. Da essa le singole azioni, che hanno un carattere storico, ricavano il loro significato e sono intelligibili per il soggetto stesso e per gli altri95. L’esistenza umana è quindi storica perché si svolge nel tempo e perché si manifesta attraverso la narrazione della vita. Il soggetto morale che si trova nel periodo della crescita deve quindi raggiun- gere la coscienza che all’interno della propria storia di vita egli non è soltanto at- tore, ma è anche il suo autore. Ciò che egli è in grado di fare e di dire come attore dipende dal fatto che è sempre anche coautore responsabile delle sue narrazioni e deve intendere quindi le proprie attività come momenti della sua storia reale, come una narrazione messa in atto di cui egli è sempre l’autore e il primo responsabile96. MacIntyre dice in modo esplicito: “l’uomo nelle sue azioni e nella sua prassi come nelle sue funzioni, è essenzialmente un animale che racconta storie. È un narratore di storie che aspira alla verità; non lo è essenzialmente, ma lo diventa attraverso la sua storia. Però la questione centrale per gli uomini non riguarda il loro ruolo di au- tori. Posso rispondere alla domanda: ‘Che cosa devo fare?’, solo se sono in grado di rispondere alla domanda preliminare: ‘Di quale storia o di quali storie mi trovo a far parte?’”97. Seguendo il pensiero di MacIntyre, possiamo affermare che non esiste alcun modo per comprendere qualsiasi società, inclusa la nostra, se non attraverso l’in- sieme delle storie che fanno parte del suo passato e del presente. Per comprendere i fondamenti e i principi su cui si basa l’educazione morale in qualsiasi società o co- munità, non si può prescindere quindi dalle narrazioni che riportano le loro storie98. Johannes A.Ven afferma che nel corso delle nostre interazioni con i contemporanei, con i predecessori e con i successori, la lingua, come strumento di narrazione, ha un ruolo chiave nella formazione del carattere e le storie che le persone raccontano di se stesse sono decisamente centrali per la formazione del carattere99. Attraverso il conoscere e il partecipare ai racconti delle storie, sia come agente attivo che pas- sivo ascoltatore, le narrazioni possono stimolare il cambiamento del carattere. Pos- sono infatti far riscoprire alcune sue dimensioni sospese e trasformarne altre. MacIntyre definendo la sua concezione particolare della virtù spiega anche il concetto concomitante di soggettività (selfhood) e il concetto di un io (self) la cui unità risiede nell’unità di una storia di vita vissuta e narrata100. Egli lega il concetto di identità personale al concetto di azione, che è sempre un episodio della storia della persona. Nel contesto dell’educazione questo concetto narrativo della sogget- 95 Cfr. ABBÀ G., Felicità, vita buona e virtù, 133. 96 Cfr. MACINTYRE A., After Virtue, 215. 97 Cfr. MACINTYRE A., After Virtue, 216. 98 Cfr. MACINTYRE A., After Virtue, 216. 99 Cfr. VEN J.A., Formation of the Moral Self, Grand Rapids, Michigan/Cambridge, B. Eerdmans Publishing Co., 1998, 358. 100 Cfr. MACINTYRE A., After Virtue, 205. 130 tività richiede, da un lato, che ciascun “io” sia quello che gli altri possono ritenere che sia nel corso della sua storia vissuta che va dalla nascita alla morte. Ciascun “io” deve essere quindi il soggetto responsabile di una storia vissuta che è sua e non quella di un altro. L’altro lato della soggettività narrativa è correlativo al primo. Ciascun “io” non è soltanto responsabile, ma è anche uno che può sempre interrogare gli altri circa la loro responsabilità e può metterli in questione. Ciascun “io” fa parte della storia di altri come essi fanno parte della sua storia. Perciò senza la responsabilità sua e degli altri la serie di eventi che costituiscono tutte le narra- zioni non potrebbe aver luogo. Senza questa stessa responsabilità le narrazioni sa- rebbero prive di quella continuità necessaria a rendere intelligibile sia le narrazioni che le azioni che le costituiscono. Seguendo il filo di questo pensiero possiamo affermare che l’identità del sog- getto morale non può essere formata indipendentemente e separatamente dalle nar- razioni di storie di cui il soggetto fa parte con la propria vita. La soggettività non può essere costruita neppure senza i tentativi di assumere la responsabilità della propria storia di vita che sta nell’interazione con le storie degli altri101. Se un sog- getto morale chiede: “che cosa è bene per me?”, significa che egli chiede come può vivere nel modo migliore questa sua unità narrativa e portarla a compimento in vista del fine della vita. Se chiede invece: “che cos’è il bene per l’uomo in ge- nere?”, significa che egli cerca insieme ad altri soggetti che cosa devono avere in comune tutte le risposte alla domanda precedente102. Spiegando il concetto dell’i- dentità personale, che è legato al concetto di azione, non si può prescindere dai contesti, dalle storie e dalle tradizioni in cui il soggetto è inserito. Per contesto so- ciale (setting) MacIntyre intende una situazione, oppure ciò che egli chiama “pra- tica”. Il contesto ha una storia al cui interno sono collocate le storie dei singoli sog- getti. Senza il contesto la storia del soggetto individuale sarebbe inintelligibile. Il legame tra l’esistenza del soggetto e il contesto storico e sociale è quindi intrinseco. L’intenzionalità dell’azione umana implica la presenza di un telos, che non può essere fornito che dal contesto sociale103. Questo richiede che per la formazione e la crescita effettiva della soggettività morale dell’educando bisogna fornirgli un am- biente di persone appropriate. Entrando in relazione profonda con loro e parteci- pando alle loro attività, ai lavori, alle celebrazioni, alle tradizioni egli avrà la possi- bilità di imparare e di vivere quello che fa da fondamento assiologico della tradi- zione di cui per nascita ed educazione fa parte. Il modo di concepire la vita umana come una unità narrativa ha, come abbiamo già accennato, le sue implicazioni nei processi educativi. La scoperta di base di MacIntyre che nelle culture del mondo antico il mezzo principale dell’educazione morale era il racconto di storie sugli eroi 101 Cfr. MACINTYRE A., After Virtue, 218. 102 Cfr. MACINTYRE A., After Virtue, 219. 103 Cfr. MALETTA S., L’etica tra storie e teorie. La narrazione nel pensiero di Alasdair MacIntyre, 39. 131 e sui santi può essere uno degli stimoli per cercare oggi le vie dell’educazione del carattere. Abbiamo mostrato che raccontare storie o la storia in genere può avere un valore educativo non soltanto nel senso della trasmissione delle informazioni sul passato, ma anche, e forse prima di tutto, nel senso formativo. Le storie delineano le forme sulle quali l’educando può fare affidamento per conoscere cosa deve fare, cosa gli accadrà e quali conseguenze ci saranno per la sua ulteriore credibilità e per un suo posto nel mondo. Le storie e i racconti sono quindi azioni che modellano e costruiscono relazioni, mettono ordine tra le scelte e prefigurano le conseguenze. Essi strutturano le modalità con le quali l’educando sceglie che cosa fare e rendono possibile la rivalutazione di ciò che ha già fatto; collocano la sua morale nel tempo e nel contesto, in relazione con altre persone, a prescindere dalle quali essa non avrebbe senso. Tenendo conto del fatto che l’edu- cando non è solo partecipe passivo della storia raccontata ma è anche coautore della storia che sta accadendo, riportiamo una spiegazione fatta da J.M. Day104, e ri- guardante l’attualità del termine authoring e cioè “dell’essere autore di”. Questa spiegazione descrive come si sviluppa la dimensione morale dell’intelletto. Il momento in cui l’essere umano comincia ad esprimersi liberamente, par- lando o scrivendo, è l’inizio del suo essere autore. Le modalità secondo le quali di- ventiamo autori della nostra vita hanno molto a che fare con ciò che pensiamo, con ciò che sentiamo e con ciò che facciamo. Ciò che pensiamo invece e come lo pen- siamo ha origine nell’attuale contesto storico delle relazioni e delle interazioni so- ciali. Le relazioni con gli altri invece e i processi psicologici che le accompagnano vengono interiorizzate e diventano relazioni e processi psicologici interni e propri. Le diverse sempre più numerose “voci” che un individuo sente – per esempio quelle della madre, degli amici, degli insegnanti, dei media e le voci incontrate nei testi di storia – sono composte di parole, del linguaggio e di forme di discorso che vengono interiorizzate attraverso l’ascolto e impegnate poi in un costante e reci- proco dialogo interiore. In questo modo emerge un soggetto umano, la cui persona- lità morale sta sempre nella relazione con gli altri, con il passato e con il presente. Il suo “io morale” è costituito dal mondo morale storico trasmesso a lui per mezzo del linguaggio. Perciò J.M. Day, appoggiandosi sulle teorie di Bakhtin, Vygotsky, Wertsch e Tappan, afferma che ogni forma di linguaggio è molto più di carattere formativo che informativo105. Vediamo che il principio narrativo dell’educazione morale, intesa come educa- zione del carattere, vuole enfatizzare la storia naturale del soggetto morale, del sog- getto cioè che è in dialogo con le storie di altri soggetti, quelli del passato e quelli contemporanei. Gli insegnanti sono invitati a considerare gli studenti come parteci- panti, ricchi di storia, alla costruzione di una visione morale propria e contestualiz- 104 DAY J.M., Sviluppo, educazione e personalità morale, in «Pedagogia e Vita», 1995, vol. 53, 39. 105 Cfr. DAY J.M., Sviluppo, educazione e personalità morale, in «Pedagogia e Vita», 1995, vol. 53, 40. 132 zata nella complessità sociale. Sotto questo profilo la trasmissione non è sufficiente come forma del processo educativo. L’insegnante come ascoltatore, chiarificatore, co-partecipe in una storia che si costruisce progressivamente e la cui fine è ancora da narrare, può diventare l’elemento centrale nel processo dell’educazione morale. Proprio la relazione e il dialogo inter-personale risultano le forme più adatte per la formazione del carattere. L’autobiografia e la vita vissuta insieme come metodo, piuttosto che la valutazione del solo docente, sembrano essere adatte per l’acquisto delle virtù morali. La pratica democratica invece dovrebbe essere inseparabile dal processo di preparazione a vivere nella comunità e nella società. 15.4. L’educazione del carattere si basa sulla partecipazione alle “pratiche” Per “pratica” MacIntyre intende “una coerente e complessa forma di attività umana, cooperativa e socialmente stabilita, attraverso cui si realizzano i beni im- manenti di questa forma di attività durante il processo messo in atto per raggiun- gere quegli standard delle eccellenze che sono propri dell’attività stessa e la defini- scono allo stesso tempo. Il risultato di questa attività è l’estensione sistematica delle facoltà umane per raggiungere l’eccellenza e delle concezioni umane dei fini e dei beni coinvolti”106. Dall’analisi di questa definizione risultano almeno quattro caratteristiche principali delle pratiche: 1) le pratiche sono attività umane social- mente stabilite ed integrate nella cooperazione e compartecipazione delle persone; 2) le pratiche contengono i beni che sono ad esse immanenti; 3) le pratiche hanno gli standard di eccellenza senza i quali i beni interni non possono essere raggiunti e realizzati; 4) le pratiche, lungo il tempo, sono sistematicamente estese, sviluppate e ampliate. A questo quadro teorico riguardante le pratiche sovrapponiamo adesso un altro quadro e cioè quello riguardante lo sviluppo della morale della persona. Abbiamo detto prima che l’affettività e la conoscenza si sviluppano a partire dall’esperienza di azioni e di comportamenti. Questo implica che l’intervento attivo dell’educatore deve partire dalla pratica e cioè dall’esecuzione da parte dell’educando di atti este- riori. Compiendo le azioni, l’educando sperimenta contemporaneamente la com- prensione, la volizione e i sentimenti, anche se al momento di eseguirle non le ca- pisce ancora e la ragione che lo spinge a compierle non è ancora la sua, ma quella dell’educatore107. Sappiamo che la vita morale e le azioni morali precedono il ragio- namento morale. Questo implica che l’uomo diventa giusto compiendo atti giusti, e diventa onesto compiendo atti onesti, e così via, anche se inizialmente non lo fa in maniera virtuosa perché gli manca il momento della libera scelta e quello pruden- ziale della decisione. L’educando deve essere quindi aiutato a percepire le azioni come esemplificazioni dei beni interni alla pratica, quelli per esempio della bontà, 106 Cfr. MACINTYRE A., After Virtue, 187. 107 Cfr. ABBÀ G., Felicità, vita buona e virtù, 312. 133 della generosità, dell’onestà, che sono realizzati in una data azione. Con questo aiuto l’educando inizia a scoprire e a comprendere che certe azioni sono buone, giuste, generose, e allo stesso tempo comincia ad inclinare l’affettività verso azioni di questo genere: definiamo questa percezione “percezione emotiva pratica” 108. Le attività umane costituiscono quindi quell’ambito a cui in modo particolare deve riferirsi il processo dell’educazione alla virtù. Questa è la prima implicazione educativa della definizione di MacIntyre che deve essere tenuta presente. Questa prima fase della definizione della virtù corrisponde felicemente ad uno degli ele- menti centrali della teoria dell’educazione morale da noi delineata, al fatto cioè che l’educazione morale nella vita del soggetto prima di operare con il ragionamento e l’insegnamento esplicito comincia proprio a livello delle azioni. Una delle caratteristiche essenziali delle pratiche è che esse possiedono beni ad esse interni e possono essere raggiunti dal soggetto nel momento in cui le pratiche vengono portate allo stato di eccellenza. Da questo fatto scaturisce l’altra implica- zione: l’educazione alla virtù deve intervenire in modo che i beni interni alle pra- tiche siano presi adeguatamente in considerazione. Abbiamo presentato le teorie di Kuhl e Heckhausen e con il loro aiuto abbiamo compreso come i beni interni alle pratiche possano avere un valore motivazionale per le azioni moralmente buone. Perché i beni interni alle pratiche siano raggiunti, bisogna che le pratiche stesse siano portate a livello di eccellenza. Dal punto di vista educativo è importante quindi che gli educandi abbiano presenti e sperimentino esempi di pratiche portate a questo livello. Questa caratteristica propria delle virtù implica dapprima che si sia convinti che il modo di agire educativo adatto ed efficace è quello che offre l’e- sempio concreto delle pratiche da parte degli educatori, e poi che i fattori affettivi dei rapporti tra insegnanti e allievi e la fiducia che gli allievi ripongono nei propri educatori siano motivanti e aiutino a riconoscere e a desiderare questi stessi beni. Tenendo conto dell’affermazione aristotelica che il soggetto prima di essere capace di ragionare moralmente già comincia ad agire moralmente, l’azione educa- tiva deve servirsi di modelli attraverso cui indicare agli allievi i comportamenti giusti che poi lungo il processo di educazione si possono trasformare in atti eccel- lenti veri e propri. Gli allievi, motivati dagli educatori e compiendo le pratiche che si avvicinano allo stato di eccellenza, sviluppano le necessarie abilità e disposizioni raggiungendo, fino ad un certo grado, i beni interni alle pratiche stesse che forni- scono loro capacità e motivazioni per proseguire in futuro da soli. La definizione della virtù di MacIntyre implica che il soggetto mai da solo ricerchi il bene e mai da solo raggiunga lo stato di vita virtuosa. Egli fa sempre parte di una comunità e di una tradizione di ricerca morale; le pratiche vissute in comunità e soprattutto in comunità locali dove le persone svolgono precisi ruoli creeranno un ambiente pri- vilegiato in vista dell’educazione morale. L’insegnamento inteso come una pratica richiede dall’insegnante il possesso 108 Cfr. ABBÀ G., Felicità, vita buona e virtù, 313. 134 delle virtù attraverso cui tale pratica può essere portata allo stato di eccellenza. Solo così il soggetto morale, e in questo caso l’insegnante, realizza e raggiunge i beni interni alla pratica dell’insegnamento109. Esamineremo adesso due esempi di pratiche rilevanti dal punto di vista dell’e- ducazione morale e cioè la pratica dell’educazione famigliare e quella educativa propria degli ambienti scolastici. A. MacIntyre, tra le diverse pratiche appartenenti all’ambito dell’arte, della scienza e delle varie altre professioni, indica anche una pratica che consiste nella creazione e nella cura progressiva della vita famigliare in vista dell’educazione110. Anche se lungo i secoli questa pratica ha modificato le sue forme, sembra che le qualità specifiche ed essenziali siano rimaste. Come ogni pra- tica, essa si caratterizza per un certo genere di rapporto fra coloro che vi parteci- pano. All’interno della famiglia i membri intessono, per natura, relazioni profonde. Le virtù, che sono sempre quei beni in riferimento ai quali si definiscono i rapporti tra le persone, all’interno della famiglia svolgono un ruolo ancora più vitale. Esse configurano la qualità e la forma dei rapporti tra genitori e figli, offrono i modelli da seguire e contribuiscono così all’educazione e allo sviluppo morale. Tutte le atti- vità dei genitori e le qualità delle loro relazioni con i figli hanno quindi un valore educativo. Quando sono motivate dal desiderio di raggiungere i beni interni alla pratica educativa attraverso l’esercizio delle eccellenze morali, come il prendersi cura, la giustizia o il coraggio, creeranno sicuramente un ambiente favorevole per l’acquisto e lo sviluppo del carattere e dei tratti virtuosi dei figli. Un altro tipo di pratica, che contiene per eccellenza tutte le dimensioni della definizione di MacIntyre, viene realizzato all’interno degli ambienti scolastici e può essere chiamato pratica educativa. Siccome essa si svolge in un contesto se- gnato dalle diverse relazioni educative tra educatori ed educandi, e reciprocamente tra loro, essa per natura sua si caratterizza per una forte dimensione sociale. M. Pel- lerey rileggendo i passi di opera di MacIntyre circa le pratiche, definisce questa pratica “come forma coerente e complessa di attività umana cooperativa, social- mente stabilita, che si attua in un contesto sociale caratterizzato dall’impegno edu- cativo”111. Tra le diverse relazioni sociali, quelle educative sono particolari e si caratterizzano per alcune qualità che sono loro immanenti ed inseparabili, come la responsabilità di fronte all’altro, la disponibilità ad impegnarsi, le qualificazioni specifiche della loro professione. Una pratica educativa viene attuata nel contesto di quello che M. Pelle- rey, seguendo P. Meirieu, chiama “il momento educativo”112. Secondo questi autori, nel contesto scolastico questo momento educativo vero e proprio emerge quando si per- 109 Cfr. MACINTYRE A., After Virtue, London, Duckworth, 1985, 178. 110 Cfr. MACINTYRE A., After Virtue, London, Duckworth, 1985, 189 e 227. 111 PELLEREY M., Educare. Manuale di pedagogia come scienza pratico-progettuale, Roma, Las, 1999, 41. 112 Cfr. MEIRIEU P., La pédagogie entre le faire et le dire, Paris, ESF, 1995, cit. in PELLEREY M., Educare. Manuale di pedagogia come scienza pratico-progettuale, Roma, Las, 1999, 43. 135 cepisce la resistenza dell’educando di fronte ai progetti, agli obiettivi o alla volontà del- l’educatore. Può darsi anche che l’educando sfugga ai progetti dell’educatore perché non comprende, non accetta oppure porta in sé altre proposte, altri obiettivi e altra vo- lontà. L’azione, che fa parte della pratica educativa e che è necessaria in questa situazione, viene concretizzata proprio quando si decide di non mettere da parte tale resistenza, negandola o sopraffacendola, bensì accettandola e cercando di sviluppare un vero e pro- prio lavoro formativo che diriga la propria attenzione verso i soggetti concreti e le lo- ro resistenze. Qualsiasi resistenza dell’educando, sia di fronte agli obiettivi educati- vi che ai modi di educazione o di fronte all’educatore stesso deve essere quindi il mo- mento di rinvio di responsabilità educativa, di ricerca della possibilità di un incontro, di desiderio di comprendere e di aiutare. Seguendo questa forma di pratica educativa è possibile che gli educatori stessi realizzino le eccellenze interne dell’educazione e creino allo stesso tempo un am- biente che abbia le caratteristiche favorevoli per un apprendistato morale da parte dell’educando. Questo ambiente, promuovendo i principi morali e sostenendo l’e- sercizio reale delle eccellenze morali, come il prendersi cura, la giustizia e il co- raggio, offrirà le condizioni necessarie per l’interiorizzazione dei valori morali in- terni alle pratiche e lo sviluppo di quelle competenze cognitive e affettive che stanno alla base degli atti morali. 15.5. L’educazione del carattere si basa su un esplicito insegnamento morale Sotto questo criterio si valuteranno le forme e i metodi dell’educazione morale che concorrono allo sviluppo del fattore cognitivo della morale della persona. Nel nostro quadro teorico abbiamo già accennato all’aspetto specifico e fondamentale di questo fattore, alla capacità cioè di svolgere un ragionamento prudenziale. Esso fa parte infatti di ogni processo decisionale di tipo morale che ha come fine l’atto virtuoso. La centralità di questo fattore cognitivo nella decisione morale era già stata evidenziata da Aristotele che metteva al centro dello sviluppo morale l’acqui- sizione della virtù intellettuale della prudenza. Questa era la radice e la forma fon- damentale di tutte le altre virtù113. La prudenza per svilupparsi adeguatamente dal suo stato germinale deve servirsi di molteplici fattori esterni. Questi fattori sono sia occasionali, non inventati cioè intenzionalmente da nessuno, sia creati apposita- mente, per esempio dagli educatori, con lo scopo di aiutare lo sviluppo adeguato del ragionamento prudenziale. L’educatore, non dimenticando che “l’educazione morale ha inizio prima del- l’uso della ragione e procede dall’azione all’emozione e da questa al ragionamento morale”114, comincia i suoi interventi educativi con una condivisione della sua espe- 113 PELLEREY M., Educazione morale, educazione sociale, educazione del carattere: i compiti della scuola, in «Orientamenti Pedagogici», 1995, vol. 42, 226; PELLEREY M., Educazione morale: i compiti della scuola, in «Scuola Viva», 1996, 5. 114 Cfr. ABBÀ G., Felicità, vita buona e virtù, 314. 136 rienza con l’educando per fare presente in lui una conoscenza primaria delle cose umane in circostanze particolari. Lo fa in un clima segnato da emozioni positive e affermative. Poi induce l’educando ad eseguire e ad evitare certe azioni esteriori in- tervenendo sull’affettività, sulle passioni e sulla conoscenza pratica. Può richiamare anche l’attenzione dell’educando su esperienze passate, su norme generali di con- dotta, su storie ed esempi degli altri. Mediante domande appropriate cerca di far scoprire le circostanze rilevanti e avverte di eventuali errori di ragionamento. Questi atti preparatori creano le condizioni necessarie affinché l’educando possa arrivare a quel momento di sviluppo morale in cui si rende capace di trovare da sé stesso il giudizio pratico prudenziale115. Focalizzando la sua attenzione sui partico- lari dell’azione e fornendo le premesse, grazie alle quali egli può giudicare quale sia la scelta da compiere, l’educatore agisce a modo di causa efficiente dispositiva. L’educando, attraverso la riflessione sulle azioni propri ed altrui e i loro risul- tati in riferimento al progetto di vita, può arrivare alla scoperta delle ragioni per cui alcune azioni sono buone e altre cattive. Le conclusioni intellettuali sostenute dalle emozioni e dalle sensazioni positive o negative provate durante la loro esecuzione possono influire sui processi decisionali futuri e confermare valori e motivi che stanno alla loro origine. La parte del processo educativo che coinvolge maggior- mente i processi cognitivi, è quella parte che riguarda la soluzione dei conflitti mo- rali. Occorre però fare attenzione. Pellerey sostiene che qui non si tratta di presen- tare soluzioni prefabbricate da mandare a memoria o di insegnare regole astratte di un’argomentazione morale. Secondo lui occorre impostare un vero e proprio ap- prendistato, un apprendistato cognitivo, che implica l’esperienza diretta di un mo- dello di ragionamento e di argomentazione morale116. Secondo Abbà, la formazione del ragionamento prudenziale può diventare effi- cace soltanto sotto la vigilanza degli educatori prudenti, in primo luogo dei geni- tori, che forniscono uno specifico ambiente educativo, segnato fortemente da emo- zioni, e poi degli insegnanti con i loro interventi programmati. A questo ambiente contribuiscono prima di tutto la loro base esperienziale, il clima affettivo e l’espli- cito insegnamento morale117. L’insegnamento morale esplicito, e cioè l’istruzione, l’esortazione e gli esempi concreti di vita, è uno dei mezzi attraverso cui l’attenzione dell’allievo può essere riferita e fissata sugli scopi e sugli ideali virtuosi. Aiuta anche a percepire la loro desiderabilità e l’esercizio dell’analisi delle situazioni e degli esempi morali lette- rari e reali. Inoltre la parenesi dell’insegnamento indica le azioni concrete che rea- lizzano gli ideali virtuosi. Tutto ciò si svolge attraverso un dialogo e un ragiona- mento che cerca di capire le regole morali, il loro fondamento e la loro prudente 115 Cfr. ABBÀ G., Felicità, vita buona e virtù, 314. 116 Cfr. PELLEREY M., Educazione morale, educazione sociale, educazione del carattere: i com- piti della scuola, in «Orientamenti Pedagogici», 1995, vol. 42, 230-231. 117 Cfr. ABBÀ G., Felicità, vita buona e virtù, 297. 137 applicazione nelle situazioni circostanziate. La scuola dispone di diverse possibilità di promozione delle conoscenze e dei contenuti di valore morale. Per i processi del- l’educazione alla virtù nella scuola vari autori mettono in rilievo il curricolo prima di tutto perché con esso, le finalità, i contenuti e i processi educativi, anche di tipo morale, possono essere programmati e intenzionalmente pianificati. Kevin Ryan sostiene che le scuole, aiutando gli studenti a sviluppare il buon ca- rattere e “la capacità di conoscere, di amare e di fare il bene”, contribuiscono innan- zitutto al loro sapere circa che cosa sia il bene. Certamente, non tutta la conoscenza e non tutte le abilità definite nel curriculum contribuiscono direttamente a questo sapere e a come formare il buon carattere. Molte materie però e i temi delle lezioni di lingue e dei corsi di tipo sociale portano con sé messaggi di tipo morale. Le storie, gli even- ti e i personaggi storici, insegnati nelle scuole, sono strumenti per comprendere che co- sa significa essere o non essere persona di buon carattere118. Oltre il curricolo forma- le, così afferma K. Ryan, un grande ruolo ha anche il “curricolo nascosto”, hidden cur- riculum e cioè tutta l’istruzione personale e sociale non diretta e non formale che ri- cevono i partecipanti alla vita scolastica. Molti dei più profondi messaggi ed interventi educativi sono comunicati attraverso questo curricolo. M. Pellerey afferma che l’insegnamento dei valori, oltre che essere realizzato attraverso il curricolo nascosto, deve essere incluso nei curricoli scolastici in modo esplicito. Non basta il riferimento a valori presenti in modo tacito. Occorre dare uno spazio e un tempo direttamente riservati a loro. A questo scopo Pellerey sugge- risce di valorizzare i contenuti e i metodi didattici, ricchi di agganci morali, nel contesto dell’insegnamento delle varie discipline. Lo studio della letteratura e della storia può concorrere allo sviluppo non solo di un sapere, ma anche di disposizioni interne e di condotte esterne moralmente segnate in positivo119. M. Pellerey ci fa attenti anche ai pericoli che gli insegnanti possono correre in- segnando direttamente norme di comportamento che seguono certi principi o impo- stazioni morali. Secondo lui, quando questo viene fatto in modo insistente e ideolo- gicamente segnato si aprono gli spazi per l’indottrinamento e il proselitismo di parte. Questa modalità deve essere di norma esclusa perché contraria ai principi del pluralismo culturale120. Una delle più interessanti impostazioni dell’etica che può essere utilizzata negli ambienti scolastici e che non corre questo rischio, è elaborata da G. Gatti sotto il no- me di “etica pubblica”. Gatti parla di “quella parte della morale che si occupa dei rap- porti interpersonali e sociali in quanto mediati da strutture economiche, sociali e politiche e dall’esercizio di determinante funzioni pubbliche, contrassegnate dal- l’impersonalità e dall’efficienza burocratica”. G. Gatti afferma tra l’altro che la cul- 118 Cfr. RYAN K., Mining the Values in the Curriculum, in «Educational Leadership» 51 (1993) 16. 119 PELLEREY M., Educazione morale, educazione sociale, educazione del carattere: i compiti della scuola, in «Orientamenti Pedagogici», 1995, vol. 42, 229. 120 PELLEREY M., Su alcune dimensioni morali dell’azione di insegnamento, in «Orientamenti Pe- dagogici», 1992, vol. 39, 748. 138 tura cattolica potrebbe aiutare a scoprire che, “accanto al prossimo che, è tale in for- za di una vicinanza immediatamente percepibile, esiste un prossimo che è tale, perché posto al terminal di una funzione sociale, come fruitore obbligato di un servizio sociale, di cui qualcuno è responsabile in forza della carità fraterna o per dovere professionale. In questo senso, per esempio, il malato è prossimo del funzionario del sistema sanitario nazionale, il pensionato è prossimo del funzionario della sicurezza sociale, l’operaio è prossimo del burocrate che lavora alla gestione dei servizi statali”121. 15.6. L’educazione del carattere si basa sullo sviluppo degli abiti Gli autori, dalle cui teorie abbiamo costruito un fondamento teorico nella parte precedente, in modo univoco e d’accordo sottolineano una nozione che per la for- mazione del carattere virtuoso della persona appare fondamentale. È il concetto di “abito”. Esso deve essere il principio fondamentale di ogni teoria e di ogni pro- gramma che ponga come obiettivo dell’educazione morale la formazione del carat- tere virtuoso della persona. Gli Autori di riferimento evidenziano come l’azione dell’educatore debba mi- rare alla formazione degli abiti virtuosi122. I fini virtuosi123, infatti, si radicano ap- punto a modo di abiti nelle capacità operative124. Nella volontà si radicano i desideri dei beni che il soggetto vuole raggiungere e nell’intelletto si radica la prudenza. Per agire secondo gli abiti virtuosi quindi bisogna aiutare l’educando nella formazione sia dell’intelletto, che della volontà. L’intelletto deve essere formato attraverso l’e- sercizio della scelta dei fini virtuosi; la volontà invece attraverso lo svolgimento degli atti secondo le scelte compiute dalla ragione. In questo modo si realizza l’af- fermazione di Aristotele, ricordata da B. Sichel, che il soggetto diventa morale at- traverso la vita morale. La formazione della ragione e della volontà, realizzata in questo modo, può far sì che si sviluppino i germi naturali delle virtù che risiedono in queste potenze e queste diventano abitualmente inclini a compiere gli atti vir- tuosi. L’elicitazione effettiva e coerente di scelte degli atti virtuosi e la costanza nella loro attuazione possono portare il soggetto allo stato di vita virtuosa. B. Sichel afferma che lo sviluppo degli abiti richiede un attivo impegno morale da parte dell’educando125. L’impegno si riferisce non soltanto al comportamento esterno, ma anche all’intimo legame con la situazione in cui il soggetto agisce. 121 Cfr. GATTI G., Educazione sociale e morale pubblica, in «Orientamenti Pedagogici», 1991, vol. 38, 783. 122 Cfr. ABBÀ G., Felicità, vita buona e virtù, 183-186, 306. 123 I fini virtuosi, e cioè i fini specifici delle singole virtù, sono gli specifici modi di regolazione che articolano l’ordo rationis; essi consistono in specifici modi di regolazione, modi in cui vanno re- golati la volontà, i desideri e gli affetti. Il soggetto mira a conformare ad essi le proprie scelte. I fini virtuosi, essendo fini di intenzioni virtuose, attendono di essere tradotti in scelte concrete e particolari, appropriate alle circostanze delle situazioni pratiche. Cfr. ABBÀ G., Felicità, vita buona e virtù, 145. 124 Cfr. ABBÀ G., MacIntyre e l’etica tomista, 144. 125 Cfr. SICHEL B., Moral Education. Character, Community and Ideals, 103. 139 L’impegno del soggetto implica quindi non solo che egli faccia qualcosa che in- fluisce sul mondo esterno, ma, essendo immerso nella situazione dell’universo mo- rale in cui egli si trova e vive, è disposto anche ad acquisire la comprensione di queste situazioni. Il principio descritto implica certe condizioni che devono essere presenti perché lo sviluppo degli abiti nella persona sia effettivo. Queste condizioni forni- scono i dati necessari per la costruzione del primo criterio della nostra valutazione. In riferimento a queste condizioni esamineremo e valuteremo i programmi diretti all’educazione del carattere. Quello che è già evidente è che l’educazione morale intesa come educazione del carattere virtuoso deve favorire in primo luogo quelle forme che coinvolgono gli educandi in modo personale nella vita e nell’agire mo- rale. Le condizioni ottimali per questa forma di educazione sono garantite prima di tutto dalle comunità “costitutive”126 e morali. Le regole e gli schemi abituali, di cui parliamo, si sviluppano appunto attraverso un’attiva interazione in un ambiente so- ciale e fisico e cioè nella comunità. Riguardo al ruolo della ragione e della volontà nello sviluppo degli abiti, le forme dell’educazione devono riferirsi agli atti virtuosi. Riguardo alla ragione, è necessario far conoscere i fini virtuosi, riguardo alla volontà è necessario influire sui motivi affinché questi fini siano desiderati dal soggetto. Riguardo agli abiti si può fare un riferimento di tipo psicologico tratto dalla teo- ria di Peters che nelle questioni che affronta circa l’educazione morale si rifà anche ad Aristotele127. Ci offrirà ancora altri dati alla cui luce esamineremo i programmi per l’educazione morale intesa come educazione della virtù e del carattere. Peters, riguardo agli abiti, afferma che la loro acquisizione può essere considerata come la provvista di un’appropriata base per l’età più adulta in cui la persona segue o rifiuta le regole morali. Gli abiti virtuosi e cioè le virtù vengono acquisite prima di tutto at- traverso la pratica. Come uno diventa costruttore costruendo case, così diventiamo giusti compiendo atti giusti, onesti e rispettosi verso gli altri, rispettando gli altri. I bambini però nella loro infanzia non possono agire in modo giusto o onesto nel sen- so pieno perché mancano loro le conoscenze e le disposizioni appropriate. Ma attra- verso l’educazione, i premi e le punizioni da parte delle persone che sono giuste e oneste, essi acquisiscono modelli di agire che gradualmente diventano “informati” dalla crescente comprensione di quello che essi fanno e del perché lo fanno. Peters distingue quattro classi di virtù128: a) le virtù specifiche come puntualità, sincerità. Esse sono connesse con gli atti specifici all’interno dei quali mancano ra- gioni per agire in questo o quel modo; b) le virtù come compassione e carità, che, diversamente dalle prime, comprendono i motivi per l’azione; c) le virtù più 126 Le caratteristiche della comunità costitutiva sono descritte nel capitolo IV. 127 Cfr. PETERS R.S., Virtues and Habits in Moral Education, in COCHRANE D.B. - HAMM C.M. - KAZEPIDES A.C. (a cura di), The Domain of Moral Education, New York/Ramsey, Paulist Press, 1979, 271. 128 Cfr. PETERS R.S., Virtues and Habits in Moral Education, 269. 140 astratte, come per esempio la giustizia e la tolleranza che contengono considera- zioni più generali circa l’operare con i diritti e le istituzioni; d) le virtù di ordine più elevato, come il coraggio, l’integrità, la perseveranza che devono essere esercitate nei confronti di certe inclinazioni o atti contrari provenienti sia dalla persona stessa che dalle altre persone. Per spiegare come l’abito si riferisca a queste classi di virtù, Peters esamina e presenta prima i significati che porta con sé il termine “abito”129. Nel primo signifi- cato “abito” è inteso come termine descrittivo. È relativo ai comportamenti, alle disposizioni e agli atti compiuti automaticamente senza una qualche riflessione. Queste disposizioni sono stabili e si manifestano nei comportamenti circa i quali la persona può decidersi a metterli o a toglierli dalla volontà. Così per esempio, si possono fare abitualmente due passi dopo pranzo, ed essere puntuale o gentile. Il secondo significato di abito è incluso nelle frasi esplicative come per esempio “out of habit” o “from force of habit” (in forza dell’abito). Esse sono rela- tive a una ancor più grande automaticità e ai comportamenti stereotipi come è per esempio quello di chiamare qualcuno “Lei”. In questi casi uno non riflette al perché si rivolga così, ma sempre, dopo aver detto la parola “Lei”, è capace di dare ra- gione di questa forma di rapportarsi all’altro. Secondo Peters, nella vita di ogni uomo molte cose dovrebbero essere fatte così per liberare la mente dalla ripetizione degli stessi ragionamenti e per renderla più attenta alle cose nuove e variabili. Il terzo significato del temine “abito” è usato per descrivere alcuni tipi di pro- cessi di apprendimento che consistono nel rendere familiari se stessi con le cose. Secondo Peters, il processo di “familiarizzazione” è importante nell’educazione dei bambini nell’età infantile. Essi non comprendono ancora i principi morali che sono astratti, per esempio il principio di giustizia, e non sanno cogliere la validità delle regole morali. Peters spiega anche la relazione che c’è tra le virtù morali e gli “abiti” nella vita dell’individuo. La sua affermazione fondamentale è che le differenti classi di virtù si differenziano nelle relazioni con gli abiti e che non tutte le virtù si acquisi- scono solo a modo di “abito”. Le virtù, che senza dubbio sono abiti, appartengono, secondo lui, prima di tutto a quelle che sono collegate con uno specifico tipo di atti, come per esempio la puntualità e la sincerità. Esse contrastano con le virtù come per esempio la compassione o la carità, che offrono al soggetto un motivo per l’a- zione. Queste ultime quindi sono difficilmente da considerare in termini abitudinari e automatici. Esse si basano più sulle emozioni che sulla ripetizione irriflessiva. Le virtù astratte, come per esempio la giustizia e la tolleranza, si basano invece più sul ragionamento e sull’esercizio dell’intelletto. Per esercitarle bisogna avviare i pro- cessi di valutazione, di ponderazione e di considerazione. Dire che qualcuno agisce giustamente in modo abituale suonerebbe almeno strano. Neanche questa classe di virtù quindi si riferisce direttamente all’abito. Peters afferma che neppure l’ultima 129 Cfr. PETERS R.S., Virtues and Habits in Moral Education, 272. 141 classe di virtù, a cui appartengono per esempio il coraggio e la perseveranza, si ri- ferisce soltanto agli abiti. Queste virtù vengono messe in atto nelle situazioni in cui bisogna agire contro gli ostacoli e i disturbi dell’atto virtuoso. In questi casi è ne- cessaria l’attenzione, l’impegno e la tensione; non è possibile quindi agire in modo abituale. Ci sono però le virtù di questo gruppo, come per esempio la virtù della co- erenza e della perseveranza, che si possono considerare come abiti. Vediamo dunque che non tutte le classi di virtù, secondo le distinzioni fatte da Peters, si riferiscono direttamente e nello stesso grado agli abiti. Ci sono virtù che si acquisiscono a modo di abiti, ma ci sono anche virtù che si acquisiscono in modi differenziati e hanno bisogno di altri processi che non siano soltanto quelli abituali. Per la prima classe di virtù, e cioè ad esempio per la sincerità, anche se l’edu- cazione non esclude processi di associazione e di imitazione, è necessario anche l’insegnamento diretto che sostiene l’acquisizione delle virtù di questo gruppo. È necessario quindi comprendere i significati dei termini di verità e di falsità. Deve essere spiegata poi la relazione degli atti concreti con questi termini di verità e di falsità. Tutto ciò deve riferirsi direttamente agli atti interni del ragionamento, a quelli riferiti alla decisione da prendere e all’agire dello stesso educando. La con- centrazione dell’educando sulle conseguenze dei suoi atti aiuterà sicuramente a comprendere che ogni atto ha una sua conseguenza e a capire perché ogni regola applicata all’azione comporta una conseguenza. L’acquisizione delle virtù di questa classe dunque, anche se si basa principalmente sui processi di sviluppo degli abiti, deve essere sostenuta anche dai processi di istruzione e di insegnamento diretto. La seconda e la terza classe di virtù che si riferiscono all’interesse per gli altri e si esprimono per esempio attraverso la compassione, la carità, la tolleranza o la giustizia, devono essere insegnate già nell’età infantile della persona. Se questo in- teressamento viene incoraggiato nell’educando per tutto il tempo della sua età in- fantile e se il bambino nel suo rapportarsi con gli altri è sensibilizzato adeguata- mente, è possibile che, quando arriva all’età più adulta, sia anche capace di com- prendere razionalmente la connessione tra regola morale o principi morali astratti e i loro effetti sugli altri. L’abitudinarietà sembra non essere qui la forma appropriata di acquisizione della virtù. Nessuno vuole agire abitualmente nei confronti della sofferenza e nessuno vuole essere abituato alla vista dell’ingiustizia, per esempio. La quarta classe di virtù, a cui appartengono per esempio il coraggio, l’inte- grità e la perseveranza, si acquisisce attraverso il possesso di un certo tipo di confi- denza con le situazioni difficili o critiche che l’educando deve affrontare. Dap- prima si opera influendo con fattori esterni come i premi e le punizioni; l’educando può apprendere come comportarsi nelle situazioni problematiche, nelle situazioni di pericolo o di fatica e come operare con le emozioni suscitate in queste situazioni. Peters afferma che la familiarità con queste situazioni difficili può portare la per- sona ad agire coraggiosamente non più sotto l’influsso di fattori esterni ma grazie alla ragione e al motivo che le è proprio. L’educando, che impara ad essere tempe- rante, sotto l’istruzione dell’educatore si prepara, attraverso l’esercizio di appro- 142 priate decisioni di autocontrollo, per le situazioni future in cui sarà capace di mag- giore comprensione personale di quelle ragioni che adesso lo motivano. In questo stadio iniziale di formazione della virtù della temperanza è presente in certo grado l’abitudinarietà. È possibile quindi che anche altre virtù di questa classe si acqui- stino allo stesso modo degli abiti. 16. Alcune indicazioni operative Tre orientamenti generali sembrano particolarmente importanti: 1) favorire l’esperienza diretta di significati e valori che siano vissuti all’interno di una comunità scolastica impegnata sul piano morale; 2) stimolare la presa di coscienza e la riflessione critica su di essi e contempora- neamente sollecitare comportamenti a questi coerenti; 3) valorizzare contenuti e metodi didattici ed educativi nel contesto dell’insegna- mento delle varie discipline quando questi possano concorrere allo sviluppo non solo di saperi, ma anche di disposizioni interne e di condotte esterne mo- ralmente segnate in positivo. Più specificamente, tra le forme e i metodi di azione educativa che possono es- sere messi in atto dalla comunità scolastica e che possono influire sullo sviluppo del carattere e sull’educazione morale e sociale degli allievi alcuni si presentano particolarmente importanti sia per il loro significato intrinseco, sia per le indica- zioni che emergono dalla ricerca130. a) L’agire dei docenti e in genere del personale della scuola come individui che si prendono cura e che fanno da modello e da mentore per gli allievi. Diceva don Bosco: non basta amare i giovani, occorre che essi percepiscano di essere amati. D’altra parte la prima fase di un apprendistato morale consiste nell’os- servare e interiorizzare un modello di comportamento moralmente positivo, mentre la seconda fase è caratterizzata da un esercizio guidato, in cui l’educa- tore svolge appunto le funzioni di mentore. Occorre trattare gli studenti con amore e rispetto, fornendo loro un buon esempio, appoggiando comportamenti positivi e prosociali, correggendo le azioni negative per mezzo di interazioni personali e discussioni di classe. D’altra parte l’agire bene, come già ricordava Dewey, a poco a poco abilita il soggetto a percepire con più acutezza il bene nelle concrete circostanze esperienziali e lo rende capace, in virtù dell’abito morale che così si viene formando, di agire in coerenza con questa percezione. 130 A questo proposito si può leggere la sintesi efficace di LEMMING J.S., In Search of Effettive Character Education, in «Educational Leadership», 1993, vol. 51, 63-71. Molti dei suggerimenti pro- spettati nel mio intervento sono analoghi a quelli di Thomas Lickona e contenuti in The Return of Character Education («Educational Leadership», 1993, vol. 51, 6-11). 143 b) Creare una comunità morale. È questa una delle condizioni più forti e più diffi- cili da realizzare. La prima esperienza dei valori si ha per partecipazione, su questa base è possibile impostare una presa di coscienza riflessa e una scelta consapevole. È qualcosa di analogo alla testimonianza personale, ma in questo caso occorre ricordare che: una comunità buona stimola la crescita di un uomo buono, come una comunità cattiva stimola la crescita di un uomo cattivo. Si tratta di aiutare gli studenti a trattarsi come persone, con rispetto e cura vicen- devole, a sentirsi membri apprezzati e responsabili della comunità. La sola proclamazione dei principi, dei valori o delle regole di condotta morali, se non trova riscontro nei comportamenti e nelle relazioni interpersonali quotidiani non ha reale influenza sullo sviluppo morale dei giovani. c) In questo contesto occorre promuovere un ordine e una disciplina le cui regole siano costituite e siano fatte rispettare come opportunità per promuovere: la ca- pacità di riflessione e controllo morale; l’accettazione volontaria in considera- zione del loro significato e della loro funzione formativa; il rispetto degli altri in una forma di convivenza nella quale trovino posto le esigenze di tutti e le opportunità per ciascuno. d) Creare un ambiente di convivenza democratica. Non basta predicare i valori e sollecitare i comportamenti ispirati alle regole democratiche, occorre coinvol- gere gli studenti nei processi decisionali e corresponsabilizzarli per fare della classe e della scuola un posto valido per viverci e per apprendere. Lo star bene a scuola deve essere percepito come una conquista collettiva, a volte faticosa e dolorosa, ispirata a significati e valori che garantiscono una valida e feconda convivenza. Spesso lo si confonde con stili di vita festaioli. e) Insegnare esplicitamente i valori; non basta che il riferimento a essi sia pre- sente in maniera tacita, occorre dare uno spazio e un tempo direttamente dedi- cati. A questo fine si possono sfruttare contenuti ricchi di agganci morali tratti da discipline come la letteratura, la storia, la scienza, e programmi sperimen- tali sviluppati a questo specifico scopo. f) Usare forme di apprendimento collaborativo per promuovere l’apprezzamento degli altri e la capacità di interagire e di lavorare con loro. La ricerca su queste forme di organizzazione delle esperienze di apprendimento ha evidenziato spesso come sia più forte il risultato che si consegue sul piano dell’apprendi- mento dei significati, dei valori e degli atteggiamenti di quello riferito alle co- noscenze e alle abilità disciplinari. g) Sviluppare la coscienza di essere coinvolti in una impresa importante e signifi- cativa per la quale vale la pena di faticare, impegnarsi per riuscire, e che ha seri risvolti per il bene degli altri. h) Incoraggiare la riflessione morale, usando a questo scopo la lettura, le ricerche, le composizioni scritte, l’uso di diari, la discussione di gruppo e di classe e il dibattito pubblico. 144 i) Insegnare come si risolvono i conflitti morali attraverso il ragionamento e l’ar- gomentazione morale. È la parte formativa che maggiormente coinvolge i pro- cessi cognitivi. Ma anche in questo caso occorre fare attenzione. Non si tratta di presentare soluzioni prefabbricate da mandare a memoria, né astratte regole di sviluppo di un’argomentazione morale. Occorre impostare anche in questo caso un vero e proprio apprendistato, un apprendistato cognitivo, che implica l’esperienza diretta di un modello di ragionamento e di argomentazione mo- rale, seguito da un consistente periodo di esercizio guidato che mira all’acqui- sizione delle strategie cognitive implicate. j) Stimolare la solidarietà e il prendersi cura degli altri anche fuori della scuola. Il valore dell’educazione scolastica si misura in gran parte nella possibilità di un più o meno facile transfer delle conoscenze e delle abilità dall’interno della classe e della scuola alle situazioni e attività a queste esterne. k) Promuovere una cultura morale positiva, prospettica, connessa con l’elabora- zione di un progetto di vita che, realisticamente, si basi su motivi, valori e si- gnificati interiorizzati non solo sul piano conoscitivo, ma anche affettivo e comportamentale. In questo ambito esperienze di prima mano, testimonianze dei docenti, influsso di una comunità eticamente impegnata, riflessione critica, approfondimenti culturali (umanistici, scientifici, tecnologici e artistici), orga- nizzazione democratica della scuola, partecipazione e responsabilizzazione degli allievi, gestione di un sistema di relazioni positivo e di un ordine funzio- nale alla crescita culturale, personale e sociale: sono tutti elementi che possono concorrere allo sviluppo di una cultura etica fatta non solo di «pie intenzioni», ma anche di forte impegno nell’azione. l) Nella prospettiva di una collaborazione tra scuola e famiglia occorre certa- mente impegnare i genitori, e più in generale la comunità locale come partner dell’impresa educativa scolastica sopra delineata, ma contemporaneamente si tratta di coinvolgerli in una progettazione comune che ha due risvolti: le forme di intervento in ambito famigliare e locale da una parte e le modalità d’azione speculari che la scuola può mettere in atto, dall’altra. In primo luogo i genitori devono intervenire nel contesto della scuola, particolarmente all’interno dei Consigli di Istituto e di classe, chiedendo a questa di considerare esplicita- mente nella sua programmazione educativa la dimensione morale della forma- zione; anche chiarendo, ove necessario, quali siano le specifiche responsabilità della scuola in questo ambito. Da questo punto di vista possono essere facil- mente ripresi e sviluppati alcuni dei suggerimenti sopra ricordati. Genitori e personale della scuola dovrebbero all’interno dei Consigli di Istituto e dei Con- sigli di classe impostare insieme programmi di intervento di tipo collaborativo. Questi possono prevedere tre tipi di azione: all’interno della scuola e della classe sotto la diretta responsabilità dei docenti; all’interno della scuola e della classe con la presenza e la corresponsabilità dei genitori; all’interno della fami- glia sotto la diretta responsabilità dei genitori. 145 Quarta parte Primi orientamenti operativi e alcune indicazioni per una sperimentazione La prospettiva formativa delineata tende a valorizzare la metafora della “co- munità di pratica” quale è stata concettualizzata da J. Lave ed E. Wenger, riletta filosoficamente a partire dalle indicazione di A. MacIntyre. In questo quadro di ri- ferimento entrano in gioco soprattutto le interazioni e il contesto culturale e so- ciale che si riescono a costruire in coerenza con le finalità fondamentali del pro- cesso di educazione spirituale e morale dei giovani. In questo si ha una forte co- erenza con la riflessione odierna sul ruolo del formatore. Questi è sempre più defi- nito come un facilitatore dell’apprendimento. Il gruppo dei formatori in genere, ma soprattutto in questo caso, è impegnato, infatti, nel creare uno spazio o contesto nel quale i soggetti in formazione possano e vogliano apprendere. Si tratta di uno spazio nel quale i formatori diventano un riferimento forte e sicuro sia dal punto di vista motivazionale, sia da quello della guida all’azione di apprendimento, sia da quello della perseveranza in tale impresa. D’altra parte l’approccio socio-cultu- rale ha messo in luce l’importanza, valorizzata appunto dalla metafora “comunità di pratica”, l’apporto dell’influsso reciproco tra formatori e formandi e tra for- mandi di diverso livello di competenza. Nel nostro caso si tratta di sviluppare un contesto che dia possibilità e faciliti l’attivazione e lo sviluppo di un apprendimento in gran parte basato sull’esperienza e su una particolare forma di riflessione su di essa, in quanto aperta alla utilizza- zione delle categorie del senso e della finalizzazione esistenziale. Inoltre, la compe- tente culturale del processo formativo dovrebbe dialogare continuamente con la ri- cerca del vero, del bello e del bene, in un cammino certamente assai personale di scoperta e di interiorizzazione, ma che esige una sollecitazione continua da parte dell’azione formativa. Infine, la riflessione dovrebbe condurre non solo a una più chiara e strutturata identificazione dei valori personali di riferimento, ma anche a un esercizio pratico coerente con essi che favorisce lo sviluppo di abiti morali e di competenze etiche di buon livello. In questa parte dell’indagine verranno presenta- te prima in maniera generica alcune delle metodologie che possono favorire l’in- sorgere del pensiero riflessivo a livello individuale o di gruppo. In seguito si descri- vono alcuni strumenti operativi e relativa giustificazione teorica. In questa parte si concentra l’attenzione su suggerimenti metodologici più sensibili ai problemi del senso e della finalizzazione della propria esistenza umana e professionale. 146 1. Metodi che possono favorire la riflessione critica orientata a dare senso e prospettiva esistenziale 1.1. Metodi dialogici nei quali prevale l’interazione individualizzata I metodi che si basano su forme di dialogo individuale valorizzano il confronto sistematico con un animatore (coaching, mentoring, …). Questi può guidare con una certa continuità il soggetto, sia nel caso che uno stato problematico e di insoddi- sfazione sia già presente in lui, sia in quello in cui l’attivazione del pensiero riflessi- vo parta da una sollecitazione data dell’animatore come il porre un problema, de- scrivere una situazione o un caso, mettere in luce una contraddizione o una incoe- renza, ecc. Marcia Mentkowski1 indica alcune possibili modalità di intervento, che valorizzano la riflessione critica. I formatori dovrebbero, insieme con i loro destina- tari, osservare sistematicamente l’attività formativa o quella lavorativa e cogliere gli elementi che la caratterizzano dal punto di vista del suo senso e di un suo eventuale miglioramento, a partire da una più profonda comprensione del ruolo professionale e sociale che fa da riferimento almeno in prospettiva. Si tratta di mettere in atto stra- tegie di riflessione critica a partire da domande come “che cosa so fare e come pos- so farlo meglio”, per sollecitare l’evocazione del quadro di riferimento entro cui si collocano l’azione in oggetto, le conoscenze e gli schemi di azione implicati. Si trat- ta di un primo livello di riflessione come presa di consapevolezza da un punto di vi- sta superiore della propria azione e prestazione professionale. Successivamente l’impegno del formatore è più diretto a suggerire e sostenere una riflessione prima e durante l’azione sia di apprendimento, sia di lavoro. La do- manda è “che cosa posso scegliere tra le diverse possibilità e configurazioni del mio ruolo professionale e sociale attuale o prospettico ai fini di un miglioramento delle mie prestazioni”. Il collegamento tra la prestazione in atto, il ruolo da svolgere e le categorie valutative della qualità del proprio agire attiva una forma di apprendimen- to riflessivo. Esso ha certamente spesso bisogno di appoggiarsi a nuove conoscenze e a nuove prospettive di significato e ciò porta al terzo momento, più personale e più coinvolgente: “chi sono e chi dovrei diventare”. In questa fase emerge la prospettiva di impegnarsi in un apprendimento autonomamente progettato e realizzato sulla ba- se di una apertura di orizzonti e di possibilità di sviluppo di sé. L’interazione tra formatore e partecipante al processo formativo assume allora la modalità di un dialogo facilitatore di una riflessione critico-prospettica, di una apertura a nuovi possibili sé, all’impegno nel cercare di mettere in atto le condi- zioni per poter conseguire una nuova identità umana, sociale e professionale, più ricca e consapevole. Se teniamo conto della prospettiva evocata da Dewey che il pensiero riflessivo, anche di questo tipo, emerge in un contesto di incertezza gene- 1 MENTKOWSKI M. et al., Learning that lasts: Integrating learning, development, and perfor- mance in college and beyond, Jossey-Bass, San Francisco, 2000. 147 rata da una difficoltà, da un blocco, da una forma più o meno profonda di crisi, da uno stato problematico, allora possiamo valorizzare le proposte di dialogo facilita- tore avanzate da Bailey2. Questi sollecita in primo luogo la presa di coscienza dello stato problematico aiutando a decifrarlo e a circoscriverne i caratteri e le esigenze. In questo caso si possono ripercorrere le tappe spesso delineate nei processi di so- luzione di problemi. Tale interazione presenta anche i caratteri di una relazione di aiuto, nella quale si attua un vero e proprio scambio reciproco, in cui un ruolo centrale è giocato da un ascolto attivo, che tenga conto non solo di una valorizzazione dei pensieri dei partecipanti, ma anche miri a contenere le loro ansie e le loro preoccupazioni. Dal punto di vista del processo di soluzione di problemi essa svolge un ruolo impor- tante per rilanciare considerazioni, intuizioni, riflessioni3. “Ecco perché nella grande tradizione monastica era importante il direttore spirituale, e nella psicanalisi lo psicanalista: è necessario qualcuno che divenga un principio di realtà rispetto agli infingimenti in cui cade l’io nella sua ricerca di profondità”4. In tale dialogo è essenziale l’incontro personale e l’ascolto. Il formando mani- festa se stesso e le sue attese attraverso la narrazione delle sue vicende e della sua personalissima maniera di averle vissute nel passato e di viverle oggi. Una narra- zione autobiografica è sempre una rilettura del passato alla luce del presente e una invocazione rivolta al futuro. È in primo luogo una narrazione che si fa a se stessi, una modalità per ripensare alla propria esperienza e cercare di darle senso e con- temporaneamente un verificare con altri le proprie percezioni e interpretazioni. L’e- ducatore deve imparare sia a suscitare il bisogno di narrarsi, sia ad ascoltare tali narrazioni cogliendone l’invocazione profonda di aiuto che in esse è contenuta. Il vero «volto» interiore degli altri può essere colto più che da comportamenti esterni sulla base dei quali inferire atteggiamenti e disposizioni interne, attraverso le riso- nanze che questi hanno avuto e hanno nell’animo degli interlocutori. 1.2. Metodi basati sull’autobiografia L’ultimo paragrafo del punto precedente introduce una seconda forma di solle- citazione della riflessione. Essa si basa su modalità di narrazione biografica dirette a una ricostruzione della propria identità narrativa secondo i suggerimenti di P. Ri- coeur5. Come abbiamo già richiamato, egli distingue nel concetto di identità due di- verse accezioni, complementari tra loro, che rispondono a due diverse domande: 2 BAILEY J.R. et al., A model for reflective pedagogy, in «Journal of Management Education», 1997, vol. 21, 155-167. 3 GHISLIERI C., TESIO L., Ascoltare per formare, in «Adultità», 1994, vol. 20, 137-144. 4 Cfr. NATOLI S., Guida alla formazione del carattere, Brescia, Morcelliana, 2006, 43. 5 Sulla problematica il testo più direttamente citato è RICOEUR P., Persona, comunità e istituzioni (a cura di A. DANESE), Firenze, Edizioni Cultura della Pace, 1994. Si possono collegare a questa tema- tica anche RICOEUR P., Tempo e racconto, Milano, Jaca Book, 1988; RICOEUR P., Dal testo all’azione, Milano, Jaca Book, 1989; RICOEUR P., Soi-même comme un autre, Paris, Éditions du Seuil, 1990. 148 «che cosa sono io» e «chi sono io». La prima, relativa all’identità espressa dal ter- mine idem, può essere messa in crisi dalla dispersione e frammentarietà dell’espe- rienza, sviluppando una dissociazione interiore, che invoca però una risposta alla seconda, relativa quest’ultima all’identità espressa dal termine ipse. L’identità nar- rativa si viene a costituire nell’interazione tra le due identità, quella della sedimen- tazione anteriore, della constatazione della dispersione, e quella prospettica, della promessa e dell’impegno rivolto al futuro che aspira alla coesione. «La persona si designa essa stessa nel tempo come unità narrativa di una vita che riflette la dialet- tica della coesione e della dispersione, che l’intreccio media»6. In genere, questa pratica può essere facilitata e resa più feconda se ci si con- fronta con un altro, o, meglio, se si è guidati da un esperto. L’esigenza e la possibi- lità di recuperare se stesso nel contesto di una rilettura attenta di una storia di vita personale aggrovigliata a mille altre storie è legata, secondo molte indicazioni7, al dispiegarsi di un racconto autobiografico. «Il narratore si racconta avvertendo un impulso di carattere emozionale ed affettivo, costitutivo della mente, alla autori- flessione, alla descrizione, alla interpretazione degli eventi che ha vissuto o che sta vivendo. L’autobiografia [...] non concerne soltanto il passato: compare ogni qual- volta il protagonista del racconto trascenda il puro esperire della propria vita e le ri- volga (si rivolga) delle domande»8. Il soggetto diventa così un ricercatore di se stesso, delle proprie ragioni esistenziali, della trama profonda che sottende la pro- pria vicenda personale. Si tratta di una vera e propria «pedagogia della memoria», che considera la vita interiore come un luogo euristico privilegiato. 1.3. Metodi dialogici nei quali prevale l’interazione in gruppo Una terza modalità di azione valorizza il ruolo del dialogo e del confronto con gli altri riuniti in gruppo. Assai interessante può essere l’attività svolta da gruppi di riflessione sull’esperienza, che attraverso forme appropriate di narrazione ne esplo- rano le possibili concettualizzazioni. Analoga funzione possono svolgere gruppi centrati su processi di soluzione di problemi che siano riferibili facilmente al pro- prio contesto umano o professionale. La fase di problematizzazione qui deriva pro- prio dall’emergere delle diverse posizioni e interpretazioni assunte nei riguardi delle situazioni e dei fatti evocati e delle differenti interpretazioni di avvenimenti ed esperienze sia individuali che collettive. Anche in questi casi può essere pre- ziosa la presenza di un animatore che sia in grado di integrare quanto presentato dai partecipanti, di sostenere il loro approfondimento, di offrire ulteriori elementi o ca- tegorie interpretative, di evidenziare limiti o banalizzazioni eccessive. 6 RICOEUR P., Persona, comunità e istituzioni (a cura di A. DANESE), Firenze, Edizioni Cultura della Pace, 1994, 78. 7 DEMETRIO D., Pedagogia della memoria. Per se stessi, con gli altri, Roma, Meltemi, 1998. Vedi anche DEMETRIO D., Raccontarsi. L’Autobiografia come cura di sé, Milano, Cortina, 1996. 8 DEMETRIO D., Pedagogia della memoria. Per se stessi, con gli altri, Roma, Meltemi, 1998, 107-108. 149 1.4. Metodi basati sulla produzione di un diario personale L’elaborazione di un diario più o meno strutturato come base per una rilettura critica della propria vicenda umana e professionale, in particolare soffermandosi su quelli che possono essere definiti gli incidenti critici o momenti in cui si è solleci- tati all’attivazione del pensiero riflessivo. Ne può derivare il bisogno di penetrare più profondamente sul significato personale di tali eventi, sulle implicazioni pro- spettiche in termini di sviluppo delle proprie competenze e, di conseguenza, la ri- composizione o trasformazione della propria prospettiva di collocazione umana e/o professionale nel mondo sociale e del lavoro. Per progettare un percorso di autofor- mazione è necessario, evidentemente, prospettare una condizione esistenziale più ricca di valore e appetibilità, che dia senso e finalizzazione all’azione di apprendi- mento implicata. 1.5. Metodi basati sull’uso di un portfolio La raccolta di una documentazione di esperienze e riflessioni su di esse sotto forma di dossier o portfolio, come quadro di confronto tra la situazione attuale e le vicende che ne sono state all’origine. Viene sollecitata in questo modo una moda- lità di autovalutazione che parte da un’analisi attenta del materiale raccolto sulla base di alcune categorie di lettura e interpretazione della propria vicenda. In qualche modo si cerca anche in questa maniera di evitare forme di riflessione che non si basano o almeno non sono aperte a prospettive più inclusive e discriminanti, bensì tendono a forme di auto-giustificazione, di eccessiva auto-referenzialità, di auto-conferma. I commenti che possono essere elaborati in tanto diventano fonte di possibili azioni migliorative, in quanto derivano da nuove intuizioni, migliori com- prensioni, ulteriori categorie di lettura. Tutte queste possibili pratiche in tanto acquistano valenza positiva nella ricerca di una prospettiva di senso e di migliore finalizzazione della propria esistenza, in quanto si verifica una qualche forma di tensione o presa di consapevolezza della di- stanza tra quanto esperito e quanto costituisce o può costituire il quadro dei possi- bili sé. 2. L’uso di un questionario di auto-valutazione del benessere psicologico deri- vante dalla propria esperienza di studio e/o di lavoro e verifica della sua correlazione con l’attribuzione di senso e di prospettiva esistenziale Nel contesto di alcune ricerche9 è emersa con grande rilievo l’influenza che una vita vissuta con ricchezza di senso e di prospettiva esistenziale ha nel dare forma e orientamento alle motivazioni intrinseche individuate dalla corrente uma- 9 PELLEREY M., Dirigere il proprio apprendimento, Brescia, La Scuola, 2006. 150 nistica di E. Deci e R. Ryan10 e cioè al bisogno di autonomia, di competenza e di re- lazionalità. In altre ricerche sembra evidenziarsi un ruolo analogo nel potenziare la volizione e più in generale la capacità di autoregolazione intesa come capacità di far fronte alle difficoltà e frustrazioni nel perseguire un obiettivo, rimanendo tut- tavia in contatto con il sistema del sé, in particolare con il quadro di significati e valori che lo caratterizzano. Ne deriva l’utilità di disporre di strumenti di verifica della propria situazione da questo punto di vista. Un certo numero di strumenti di questo tipo sono stati elaborati nel contesto di indagini sperimentali che hanno fatto riferimento all’impostazione filosofico-psicologica di V. Frankl. Occorre ricono- scere, però, che tali strumenti di rilevazione utilizzati non sempre si sono dimostrati adeguatamente affidabili. Uno strumento che ha mostrato una notevole consistenza e validità è stato ela- borato da Battista e Almond nel 1973, il Life Regard Index11. Gli Autori, a partire da un’analisi critica delle varie impostazioni teoriche, sono giunti a una definizione della natura dell’esperienza di una vita ricca di senso, che si basa su quattro as- sunti: 1) Quando la persona afferma che la sua vita ha senso, ciò implica che essa pos- siede e aderisce a un qualche concetto o quadro concettuale riguardante il si- gnificato esistenziale. Una concettualizzazione di questo tipo potrebbe essere generica, collegata con un sistema religioso, a carattere semplicemente umani- tario, oppure assumere caratteristiche più idiosincratiche (ad esempio «la vita è una scommessa»). 2) La concezione sviluppata del senso della vita fornisce un quadro di riferimento dal quale poter derivare un insieme di specifiche mete o scopi della propria esistenza, che la persona si impegna a realizzare e che sono la prospettiva se- condo la quale gli eventi della vita possono essere interpretati e valutati nella loro coerenza. 3) Quando la persona afferma che la sua vita è ricca o piena di senso, ciò signi- fica che essa percepisce di aver raggiunto o di essere sulla strada di una rag- giungimento degli elementi che caratterizzano la sua concettualizzazione del senso esistenziale o i progetti di vita che ne sono derivati. 4) Questo processo di auto-percezione e di auto-valutazione sta alla base della possibilità di sperimentare effettivamente che la propria vita, considerata nelle sue varie dimensioni esistenziali personali, ha un senso. Di conseguenza Battista e Almond non assumono come riferimento un partico- lare quadro di senso o valoriale, dal momento che questo ha caratteri peculiari le- 10 DECI E.L., RYAN R.M., Intrinsic motivation and self-determination in human behaviour, New York, Plenum, 1985. 11 BATTISTA J., ALMOND R., The development of meaning in life, in «Psychiatry», 1973, vol. 36, 409-427. 151 gati a ciascun individuo. Lo strumento di rilevazione sviluppato è in grado di misu- rare il livello di percezione di una vita ricca di senso anche in individui con diffe- renti sistemi di valore. Si tratta di una rilettura dell’esperienza della propria vita de- finita “uno sguardo positivo verso la vita” (positive life regard). Sono state prese in considerazione due componenti fondamentali di natura operazionale. La prima ri- guarda la presenza o meno di un quadro di riferimento valoriale che consenta di progettare, realizzare e valutare una vita ricca o piena di senso. La seconda compo- nente concerne il giudizio circa l’avere raggiunto oggi, o essere in via di raggiungi- mento, di elementi che caratterizzano l’esperienza di senso esistenziale. È interessante ricordare come una delle conclusioni più rilevanti delle ricerche sopra citate può essere così riassunta. Lo sperimentare che la propria vita ha senso non è solo risultato della soddisfazione dei bisogni psicologici di autonomia, com- petenza e relazionalità, bensì dipende dal fatto che il bisogno di senso è un meta-bi- sogno che qualifica formalmente tutti gli altri bisogni, li «pervade», li «penetra», li «attraversa», dando a essi una specifica qualità o «formalità» comprensibile all’in- telligenza dell’uomo, che in ogni cosa vuole ritrovare la luce della verità e il buon sapore del bene. Il meta-bisogno di senso della vita si manifesta nel desiderio di ca- pire la realtà della propria esistenza e di progettarla, dando a tutte le esperienze di cui essa è ricca un ordine, un’organizzazione, un’armonia, un’integralità, una «forma intelligibile» organica. È per questo motivo che una persona, quando giunge a percepire un senso nella propria vita, gode di stabilità psicologica e si sente a proprio agio, in armonia con il mondo che la circonda e con se stessa. Occorre anche ricordare come alle espressioni inglesi making sense, meaning making, meaning sharing, give meaning non sempre corrispondono analoghi signi- ficati in italiano. Ad esempio, l’espressione meaning making può assumere svariate sfumature come: cercare di attribuire un senso a un evento nello sforzo di compren- derlo; processo attivo attraverso il quale il soggetto rivede o apprezza in maniera nuova un evento o una serie di eventi; ricerca di senso o significato a vari livelli di globalità o totalità, dal dare significato a un evento in una prospettiva a breve ter- mine e locale al riconsiderare lo stesso evento in una prospettiva a lungo termine e globale. M. Foucault ha evocato il significato originario di terapeuti. Costoro “si defini- scono così non solo perché vogliono curare l’anima ma perché praticano il culto dell’Essere”12. Euripide, d’altro canto, suggerisce che sapiente è colui che riesce a muoversi nel mondo, che, nel praticarlo, ne coglie a mano a mano il senso, che se ne fa un’idea sempre più compiuta e perciò è capace di condurre la vita verso il suo possibile completamento13. Ne risulta che la “cura dell’anima” è soprattutto diretta a cercare di cogliere se stessi come collocati in maniera positiva nel contesto della vita e del mondo, nello stare al mondo avendo come quadro di riferimento un oriz- 12 Cfr. FOUCAULT M., L’ermeneutica del soggetto, Milano, Feltrinelli, 2003, 89-90. 13 Cfr. NATOLI S., Guida alla formazione del carattere, Brescia, Morcelliana, 2006, 7-8. 152 zonte di senso. Occorre tuttavia ricordare che c’è oggi chi sostiene che non è possi- bile nel mondo della tecnica attribuire senso alle vicende umane perché si è ormai prigionieri del suo funzionalismo autoreferenziale e del suo continuo autopotenzia- mento14. Una prima forma di sollecitazione alla riflessione esistenziale che tiene conto delle esperienze sociali e lavorative del formatore, come dei soggetti ai quali ri- volge la sua azione formativa, è basata su un questionario di auto-valutazione. Esso ha come più diretto obiettivo quello di sollecitare una diagnosi personale della con- dizione soggettiva rispetto al bisogno di attribuire senso alla propria vicenda quoti- diana e alla propria attività professionale e al desiderio di avere un quadro di riferi- mento valoriale per leggere, interpretare e giudicare le situazioni di vita e profes- sionali nelle quali si è coinvolti. A ciò si aggiunge la diagnosi di avere sviluppato o meno una prospettiva a lungo termine o una finalizzazione esistenziale ultima, che faccia da elemento di giudizio per quanto riguarda gli scopi e obiettivi più imme- diati e a breve termine. In quest’ultimo caso si può fare riferimento alla cosiddetta inferenza pratica elaborata a suo tempo da Aristotele e oggi ripresa nell’analisi della dinamica dell’agire umano. Nei progetti formativi, anche se rivolti ad adulti, si mette in risalto l’importanza di promuovere la verifica e/o lo sviluppo di un pro- prio progetto di vita e di carriera professionale. Per questo è importante che venga sollecitata una adeguata elaborazione di senso e di prospettiva esistenziale. Il que- stionario proposto tende a mettere in luce la presenza o meno di un quadro di riferi- mento valoriale e di maturazione di una chiara scelta di finalizzazione esistenziale, soprattutto nel contesto lavorativo e sociale. Il questionario è articolato secondo alcune sezioni; le prime due si riferiscono direttamente alle componenti che caratterizzano l’esperienza di una vita ricca di senso e cioè senso e valore esistenziale e prospettiva esistenziale. Si tratta di di- mensioni che nella letteratura statunitense costituiscono la dimensione spirituale dell’esistenza. La terza sezione concerne il benessere psicologico che deriva dal- l’impegno nell’attività di studio e/o di lavoro. La quarta sezione è complementare alle prime tre e prende in considerazione la percezione di benessere generale, l’e- sperienza di flusso, che verrà descritta soprattutto nel prossimo paragrafo, e la per- cezione di competenza. Quest’ultima sezione può essere a sua volta articolata se- condo tre sottosezioni che comprendono ciascuna due item. Naturalmente possono essere utilizzate anche singole sezioni. 14 Cfr. GALIMBERTI U., In un mondo senza senso, in «La Repubblica», 6 gennaio 2006, 41. I passi più significativi sono i seguenti: “Noi viviamo nella pura accelerazione del tempo, scandita non dai progetti umani, ma dagli sviluppi tecnici che, consumando con crescente rapidità il presente, tolgono anche al futuro il suo significato prospettico, quindi il suo «senso». […] l’irreperibilità di un senso nell’era della tecnica. La tecnica, infatti, non tende a uno scopo che non sia il proprio autopotenzia- mento, non apre scenari di salvezza, non redime, non svela la verità, non promuove un senso, sempli- cemente «funziona», e siccome il suo funzionamento, in procinto di diventare planetario, subordina a sé tutti gli scopi, non c’è luogo in cui un orizzonte di senso sia reperibile”. 153 Prima sezione: senso e valore esistenziale 1) Ho capito che cosa è veramente importante per me 2) Ho un quadro di riferimento che mi permette di giudicare il valore delle cose e delle persone 3) Ho elaborato una filosofia di vita che fornisce un significato al mio esistere 4) Sono in grado di dare valore a quello che faccio 5) Ho trovato per che cosa vale la pena di dedicarsi interamente Seconda sezione: prospettiva esistenziale 6) Ho un’idea molto chiara su quello che voglio fare nella mia vita 7) Possiedo un chiaro progetto di vita e di carriera lavorativa 8) Sento di aver trovato un vero significato per dirigere la mia vita 9) Ho sviluppato in maniera chiara una prospettiva esistenziale 10) Quando rifletto sulla mia vita, mi sento soddisfatto per essermi fortemente im- pegnato in vista di obiettivi per me prioritari Terza sezione: benessere psicologico derivante dall’esperienza di attività professio- nale 11) Le condizioni nelle quali si svolge la mia attività di studio e di lavoro sono ec- cellenti 12) Per molti versi la mia vita di studio e di lavoro è vicina al mio ideale 13) Sono veramente soddisfatto di quello faccio nel mio studio e nel mio lavoro 14) Devo dire che fino a oggi ho raggiunto gli obiettivi più importanti nello svol- gersi della mia preparazione verso una carriera professionale 15) Non penso di dover cambiare qualcosa nella mia esperienza di studio e di la- voro Quarta sezione: benessere in generale, esperienze di flusso, percezione di compe- tenza 16) Sento di vivere pienamente la mia esistenza 17) Sento che sto raggiungendo ciò che desidero nella mia vita 18) Mi sento tanto coinvolto in quello che faccio, che trovo nuove fonti di energia di cui non ero consapevole 19) Ci sono attività nelle quali sono talmente coinvolto da perdere il senso del tempo che passa 20) Mi sento capace di portare a termine le cose che sono veramente importanti per me 21) Mi sento sicuro di riuscire a raggiungere buoni risultati nelle mie attività Il questionario è formato da frasi che descrivono un sentimento, una sensa- zione, uno stato d’animo, una valutazione soggettiva, una percezione. 154 Ciascuna frase è seguita da una scala che va da 1 a 4, con questo significato: 1. Per nulla d’accordo 2. Solo in parte d’accordo 3. Abbastanza d’accordo 4. Pienamente d’accordo Nell’affrontare il questionario sei invitato a riflettere sulla tua esperienza e poi a segnare con una crocetta il valore da 1 a 4, che corrisponde a quanto ritieni di tro- varti d’accordo con l’affermazione fatta. Si tratta di scegliere non in base a quello che si vorrebbe o si dovrebbe sentire, bensì in base a quello che si prova veramente. Una volta risposto alle varie sezioni del questionario, puoi valutare dove ti col- lochi rispetto al valore centrale dei punteggi che si possono ottenere, secondo questo schema: a) Prima sezione: senso e valore esistenziale. Il punteggio massimo è 20; quello minimo è 5; quello centrale è compreso tra 12 e 13. b) Seconda sezione: prospettiva esistenziale. Il punteggio massimo è 20; quello mi- nimo è 5; quello centrale è compreso tra 12 e 13. c) Terza sezione: benessere psicologico derivante dall’esperienza di attività di studio e di lavoro. Il punteggio massimo è 20; quello minimo è 5; quello cen- trale è compreso tra 12 e 13. d) Quarta sezione: benessere in generale, esperienze di flusso, percezione di com- petenza. Il punteggio massimo è 24; quello minimo è 6; quello centrale è in- torno a 14. Se si considerano le tre sottosezioni, ciascuna di esse ha un pun- teggio massimo di 8, uno minimo di 2, e uno centrale di 5. Il punteggio massimo complessivo dei 21 item è 84; quello minimo è 21; quello centrale è intorno a 52. Il punteggio conseguito è soltanto un indicatore generico di tendenza; infatti, il questionario è stato costruito solo per sollecitare l’attività riflessiva e non una valu- tazione comparativa. Inoltre, il questionario non è stato sottoposto a un campione rappresentativo, né sono state fatte elaborazioni statistiche in merito. Una possibile interpretazione è la seguente: a) Il punteggio inferiore a 10 nelle varie sezioni indica la tendenza a valutare la propria situazione rispetto al carattere preso in considerazione in maniera ne- gativa, mentre un punteggio superiore a 15 segnala l’opposta tendenza: si dà una valutazione del tutto positiva alla propria condizione esistenziale sempre rispetto alla caratteristica presa in considerazione dalla sezione. Un punteggio intermedio, tra 10 e 15, mette in luce uno stato di non completa soddisfazione, ma anche di una certa valutazione positiva pur se limitata e per alcuni versi in- certa. Qualcosa di analogo vale per le tre sottosezioni della quarta sezione. b) Se si considera l’intero questionario, un punteggio inferiore a 40 è indizio di uno stato di disagio esistenziale che si articola secondo i punteggi ottenuti nelle 155 varie sezioni. Un punteggio superiore a 60 evidenzia uno stato generale di be- nessere sia psicologico, sia più generalmente esistenziale. Un punteggio inter- medio, tra 40 e 60, mette in luce uno stato di non completa percezione di be- nessere, anche se esistono elementi di valutazione positiva. In questi casi è bene esaminare più dettagliatamente le varie sezioni. Possibile struttura del questionario 3. Riflessione critica e sperimentazione attiva relative alle esperienze ottimali o di fluire dell’azione Una metodologia che può favorire una riflessione critica sulla propria espe- rienza al fine di dare senso alla propria vicenda esistenziale, scoprire e interioriz- zare valori e motivi, fornire prospettive esistenziali a medio e lungo termine, si basa sul ricordo e descrizione di quelle che sono state chiamate da Mihaly Csiks- zentmihalyi15 “esperienze ottimali”. Per illustrare tale metodologia occorre in primo 1) Ho capito che cosa è veramente importante per me 1 2 3 4 2) Ho un quadro di riferimento che mi permette di giudicare il valore delle cose e delle persone 1 2 3 4 3) Ho elaborato una filosofia di vita che fornisce un significato al mio esistere 1 2 3 4 4) Sono in grado di dare valore a quello che faccio 1 2 3 4 5) Ho trovato per che cosa vale la pena di dedicarsi interamente 1 2 3 4 6) Ho un’idea molto chiara su quello che voglio fare nella mia vita 1 2 3 4 7) Possiedo un chiaro progetto di vita e di carriera lavorativa 1 2 3 4 8) Sento di aver trovato un vero significato per dirigere la mia vita 1 2 3 4 9) Ho sviluppato in maniera chiara una prospettiva esistenziale 1 2 3 4 10) Quando rifletto sulla mia vita, mi sento soddisfatto per essermi fortemente impegnato in vista di obiettivi per me prioritari 1 2 3 4 11) Le condizioni nelle quali si svolge la mia attività di studio e di lavoro sono eccellenti 1 2 3 4 12) Per molti versi la mia vita di studio e di lavoro è vicina al mio ideale 1 2 3 4 13) Sono veramente soddisfatto di quello che faccio nel mio studio e nel mio lavoro 1 2 3 4 14) Devo dire che fino a oggi ho raggiunto gli obiettivi più importanti nello svolgersi della mia preparazione verso una carriera professionale 1 2 3 4 15) Non penso di dover cambiare qualcosa nella mia esperienza di studio e di lavoro 1 2 3 4 16) Sento di vivere pienamente la mia esistenza 1 2 3 4 17) Sento che sto raggiungendo ciò che desidero nella mia vita 1 2 3 4 18) Mi sento tanto coinvolto in quello che faccio, che trovo nuove fonti di energia di cui non ero consapevole 1 2 3 4 19) Ci sono attività nelle quali sono talmente coinvolto da perdere il senso del tempo che passa 1 2 3 4 20) Mi sento capace di portare a termine le cose che sono veramente importanti per me 1 2 3 4 21) Mi sento sicuro di riuscire a raggiungere buoni risultati nelle mie attività 1 2 3 4 15 CSIKSZENTMIHALYI M., Finding Flow: The psychology of engagement with everyday life, New York, Basic Books, 1997. Vedi anche CSIKSZENTMIHALYI M., Flow: The psychology of optimal expe- rience, New York, Harper Row, 1990. 156 luogo chiarirne il concetto per poi proporre un’attività formativa che si basa su di esso. Parallelamente, come un corollario, sarà anche utile prendere in considera- zione quelle che si possono definire esperienze del tutto negative. La ricerca delle migliori esperienze contrapposta a quella delle peggiori induce una indagine attenta delle ragioni che ne stanno alla base. L’impostazione che verrà prospettata può anche essere riletta come un adattamento della tecnica dell’incidente critico quale è stato descritto già negli anni Cinquanta da Flanagan16. Questi definisce un incidente come “un’attività umana osservabile sufficientemente completa in se stessa da per- mettere inferenze e predizioni circa la persona che la realizza”. L’aggettivo “cri- tico” deriva dal fatto che l’attività “deve essere realizzata in una situazione nella quale l’intento o il fine dell’atto è abbastanza chiaro all’osservatore e le cui conse- guenze sono sufficientemente definite in maniera da non lasciare molti dubbi sui suoi effetti”. Nel nostro caso si tratta di una osservazione interna, una forma di ri- cordo e di riflessione critica che possiede tali caratteristiche. L’attività che in seguito viene proposta può essere realizzata all’interno di forme di narrazione autobiografica, di redazione di un diario, di riflessioni perso- nali che vengono in qualche forma rese oggettive, di confronto con altri, ecc. a) Che cos’è un’esperienza ottimale Un’esperienza ottimale è certamente un’esperienza vissuta in prima persona17 e costituisce la base fondamentale per una costruzione soggettiva di significati, di va- lori e di prospettive esistenziali. Tali valori e prospettive esistenziali guidano poi l’interpretazione delle situazioni e delle sfide della vita, l’elaborazione dei giudizi, le prese di decisione e le azioni. Tuttavia vanno considerati con cura il ruolo di tale esperienza e le condizioni entro cui essa si svolge. La parola stessa «esperienza» deriva da experiri (passare attraverso), cioè provare, sentire, essere colpito da una situazione di vita. Essa è vissuta in prima persona ed è tanto più rilevante, quanto più il soggetto ne è o ne è stato coinvolto, ne è o ne è stato sollecitato; ha subito una trasformazione interiore, certamente secondo livelli o gradi diversi di profon- dità. Dal punto di vista formativo è essenziale che egli ne sia o ne diventi consape- vole. In psicologia l’esperienza può essere considerata sia come sostantivo, sia come verbo. Come sostantivo è: «la valutazione soggettiva (cosciente) degli stimoli recepiti, o la conoscenza da essi derivata». Come verbo: «provare qualcosa, imbat- tersi in qualcosa, trovare qualcosa, sentire, soffrire alcunché, o acquistare coscienza di un oggetto di stimolo, di una sensazione o di un evento interiore»18. D’altra parte 16 FLANAGAN J.C., The critical incident technique, in «Psychological Bulletin», 1954, vol. 51, 327-354. 17 Si parla di esperienza vicaria, quando il soggetto osserva e interiorizza le modalità d’azione o di comunicazione messe in opera da un altro in precise circostanze. Tale riferimento interno viene fa- cilmente evocato quando ci si trova in situazioni simili. 18 ARNOLD W., EYSENCK H.J., MEILI R. (a cura di), Dizionario di Psicologia, Roma, Paoline, 1975, 33. 157 K. Lewin19 elaborando la sua teoria del campo identifica il campo di esperienza in- teriore con l’insieme dei contenuti interiori che emergono progressivamente e con diverso grado di chiarezza alla coscienza. Esso, quindi, varia da persona a persona sia per estensione, sia per strutturazione, nonché per la dinamica che si svolge nel suo ambito. L’esperienza diretta implica una partecipazione attiva e non solo una osserva- zione dall’esterno. In essa giocano congiuntamente molti fattori. Tra questi rive- stono un ruolo del tutto centrale le emozioni, che non vanno intese però come pure reazioni fisiologiche, bensì come intreccio tra tensione nervosa e valutazione, anche automatica, dello stimolo che ne è stato o ne è all’origine. È utile ricordare come una stessa situazione possa dare origine a un’emozione negativa o positiva a seconda dell’attribuzione di significato e di valore che le si dà. Mihaly Csikszentmihalyi ha esaminato in maniera articolata i contenuti fonda- mentali dell’esperienza, intesi come stati interni della coscienza di sé: emozioni, in- tenzioni, operazioni mentali. Le emozioni costituiscono l’aspetto più soggettivo della coscienza di sé, ma anche il contenuto più oggettivo presente nella mente. L’esperienza emozionale, infatti, ci appare più reale di quanto possiamo osservare nel mondo circostante o conoscere attraverso la scienza o la logica. Essa può assu- mere una duplice valenza, positiva e attrattiva o negativa e repulsiva e una diversa intensità e durata. Le emozioni negative, come tristezza, paura, ansietà, noia, pro- ducono quella che è stata chiamata «entropia psichica», cioè uno stato interno che induce difficoltà di concentrazione soprattutto se rivolta verso attività esterne, perché occorre restaurare un ordine interno soggettivo. Le emozioni positive, in- vece, come felicità, senso di efficacia o di vigilanza producono una «neghentropia psichica», cioè non abbiamo bisogno di focalizzare la nostra attenzione sul rumi- nare interiore e il sentirci dispiaciuti rispetto a noi stessi, mentre, invece, l’energia psichica può fluire liberamente nei nostri pensieri e nelle nostre azioni. Il prototipo delle emozioni positive è la felicità, un bene da sempre posto come obiettivo fonda- mentale della condizione umana. Tuttavia, occorre osservare che la qualità della vita non dipende solo dal provare tale emozione, ma anche da ciò che uno fa per essere felice. Infatti, la sensazione di essere attivi, capaci e pronti (stato emozionale positivo) aumenta quando ci sentiamo coinvolti in compiti impegnativi e sfidanti, piuttosto che in attività in cui falliamo o che non richiedono da parte nostra sforzo e concentrazione. Le intenzioni, gli obiettivi, le motivazioni che ci spingono ad agire sono tutte manifestazioni di neghentropia psichica. Esse canalizzano l’energia psichica, indi- cano priorità e in questo modo creano ordine nella nostra coscienza. Senza di loro i nostri processi mentali sarebbero nel caos e si deteriorerebbero rapidamente. Da questo punto di vista è meglio possedere anche solo motivazioni estrinseche, ma at- tive, che agire automaticamente, senza un vero obiettivo su cui concentrarsi. Impa- 19 LEWIN K., Teoria dinamica della personalità, Firenze, Giunti-Barbera, 1965. 158 rare a gestire i propri desideri e i propri obiettivi costituisce quindi un importante passo nel raggiungere livelli di eccellenza nella vita quotidiana. Il terzo contenuto della coscienza di sé è dato dalle operazioni mentali. Queste vengono attivate e dirette dalle intenzioni d’azione. Nell’impostazione di Nuttin tali intenzioni derivano dall’immaginare una situazione migliore di quella perce- pita. Csikszentmihalyi sottolinea come nel pensiero sono coinvolti le emozioni e i desideri che attivano le energie psichiche, mentre le intenzioni forniscono loro un ordine, una prospettiva, un quadro di riferimento di risultati desiderati. Emozioni, intenzioni e operazioni mentali entrano in gioco in genere contemporaneamente, interagendo tra loro. La concentrazione, operazione mentale legata alla capacità di gestire la propria attenzione, è tanto più difficile da ottenere, quanto più difficile è il compito. Ma quando la persona ama ciò che fa ed è motivata a farlo, la focalizza- zione della propria attenzione avviene senza sforzo anche quando le difficoltà og- gettive sono elevate. Csikszentmihalyi ha esplorato l’intera gamma delle esperienze segnate da ri- svolti emozionali. Egli ha preso in esame non tanto e non solo le sensazioni di be- nessere e di felicità, ma soprattutto di coinvolgimento personale intenso e produt- tivo. E ha racchiuso il livello massimo di questi stati personali intensi nel concetto di «flow» o flusso d’azione e di coscienza, piena partecipazione ed esplicitazione completa delle proprie capacità e potenzialità. L’attività che viene realizzata in queste condizioni è percepita come degna di essere svolta per se stessa e fonte, essa stessa, di soddisfazione e gratificazione: in una parola autotelica. È un’esperienza di sé come persona che riesce ad agire al massimo delle proprie capacità e questo stato di cose è già di per se stesso motivo di rinforzo. È un sentimento di efficacia, che viene definito dall’Autore come l’esperienza di un fluire dell’azione, che presenta un quadro fenomenologico di questo tipo: a) intensa concentrazione nell’attività che si sta facendo; b) confluire di azione e con- sapevolezza; c) perdita di riflessione critica (non disperde attenzione nel guardarsi «dal di fuori», ovvero egli è totalmente immerso nell’attività); d) percezione di es- sere in grado di controllare le proprie azioni (percepisce un «bilanciamento», un’a- deguatezza tra le proprie capacità e le opportunità di azione o «sfide» poste dal- l’ambiente); e) distorsione della percezione del tempo (in genere il tempo sembra scorrere più velocemente); f) l’attività svolta è gratificante per se stessa20. Un’esperienza ottimale di questo tipo di solito implica un fine equilibrio tra l’abilità di agire e le opportunità di farlo. Se la sfida è troppo elevata si diventa fru- strati, poi impauriti e infine ansiosi. Se la sfida è troppo bassa in relazione alle pro- prie abilità ci si può rilassare, fino a diventare annoiati. Se poi sfida e abilità coin- volte sono ambedue minime allora si tende a diventare apatici. Il livello ottimale emerge quando sia la sfida posta dal compito, sia la percezione delle proprie abilità 20 NAKAMURA J., CSIKSZENTMIHALYI M., The concept of flow, in C.R. SNYDER, S.J. LOPEZ, Hand- book of positive psychology, New York, Oxford Un. Press, 2005, 89-105. 159 ad affrontarla sono elevate. Uno schema che aiuta a cogliere le diverse esperienze emozionali che si possono provare nel contesto di un’attività educativa è quello di Fig. 1. Naturalmente gli elementi che caratterizzano un’esperienza ottimale non sono sempre controllabili, di conseguenza esperienze altamente positive si intrecciano con altre nelle quali prevalgono l’ansia o la noia, l’apatia o la stanchezza. Un’esperienza ottimale è, quindi, in primo luogo percepita come interessante, stimolante, sfidante, suggestiva, sulla base di guadagni e significati internamente vissuti e non solo osservati in altri. In secondo luogo il soggetto si rende conto del senso o della ragione di questa sollecitazione, cioè ha un ritorno riflessivo che per- mette una più o meno pronunciata concettualizzazione dell’esperienza stessa: perché egli ne è stato stimolato, che cosa gli ha fatto intravedere o verso che cosa gli ha fatto aprire gli occhi, da che cosa si è sentito attirato, quale guadagno perso- nale ha acquisito, che cosa ciò può prospettare per la sua esistenza. È questa la base che può condurre nel tempo non solo ad avvertire il valore implicato in quella atti- vità, ma a interiorizzarlo come riferimento per iniziative proprie e non solo quando ne sia sollecitato da altri. L’esperienza diretta, derivante da una partecipazione attiva e personale ad atti- vità ricche di riscontri personali positivi e ripetute nel tempo, agisce sul soggetto in due direzioni: a) promuove una crescita personale nelle abilità, conoscenze e com- petenze connesse con quella stessa attività; b) favorisce una progressiva percezione del valore personale attribuito a quell’attività. b) La ricostruzione narrativa di esperienze che presentano le caratteristiche di uno stato di flusso dell’azione e della coscienza Il primo passo, dal nostro punto di vista, è quello di definire il campo di inte- resse o di particolare attenzione. Non si tratta tanto di ricordare e descrivere attività professionali o formative in genere, situazioni di vita personale o sociale di altri Fig. 1 - La qualità dell’esperienza come funzione della relazione tra sfide e abilità. L’esperienza ottimale, o flusso, si verifica quando ambedue le variabili sono elevate. 160 soggetti, bensì esperienze che possono essere classificate secondo la dizione pro- posta da Csikszentmihalyi come “ottimali” in quanto si è passati attraverso la sen- sazione di un fluire dell’azione in maniera totalmente coinvolgente, vera e propria fonte di soddisfazione e percezione autotelica. Una volta chiarito adeguatamente sia il concetto di “flusso”, sia la prospettiva in base alla quale si vogliono descri- vere tali esperienze, si può incominciare a cercare nella propria memoria eventi che possono essere evidenziati. È utile descrivere l’evento tenendo conto di questi elementi: a) le condizioni o circostanze specifiche che lo hanno caratterizzato; b) l’attività svolta; c) le persone eventualmente coinvolte; d) il luogo e il tempo nei quali esso è stato messo in atto; e) le emozioni provate. La focalizzazione è da una parte sull’attività stessa e sulle sue caratteristiche, dall’altra sulla percezione soggettiva che la ha caratterizzata dal punto di vista sia cognitivo, sia emozionale nel quadro del concetto di “esperienza ottimale”. La descrizione fatta per iscritto deve scendere un po’ in dettaglio per met- tere in luce anche le particolari circostanze che lo possono definire e le specifiche condizioni di realizzazione. È bene utilizzare sia un foglio separato oppure, se si sviluppa tale pratica, pagine distinte del diario. Una volta completata la descrizione è utile cercare di darle un titolo che riassume in sintesi il cuore dell’esperienza. Certamente in genere non basta la rievocazione di un solo evento. È bene cer- care di ricordarne altri, sempre utilizzando fogli separati o pagine distinte del diario. Una volta raccolti alcuni episodi significativi da tale punto di vista, questi vanno valutati rispetto alla definizione di “esperienze ottimali”. Il materiale viene cioè ordinato e suddiviso in classi incominciando dalle descrizioni che più si atta- gliano a tale definizione. c) Riflessione critica sulle ragioni che stanno alla base dell’esperienza di flusso; esplicitazione di motivi, valori, significati personali che a questa si possono riferire Partendo dalle esperienze più chiaramente classificabili come ottimali, occorre esaminarle con attenzione ponendosi le seguenti domande o domande simili e scri- vendo per disteso la propria risposta, secondo quanto la riflessione personale sug- gerisce. Descrivi in maniera sintetica una esperienza che secondo te si presenta come ottimale secondo la definizione di M. Csikszentmihalyi. Poi poniti le seguenti domande: 1) Che cosa ha caratterizzato dal punto di vista positivo tale esperienza? 2) Come esprimeresti la sensazione o emozione provata? 3) Esattamente che cosa facevi? in quale contesto? 4) Secondo te, perché la tua azione era particolarmente efficace? 5) Che cosa ha favorito tale esperienza positiva? 6) Quale valore personale è entrato in gioco o ha sollecitato l’evento descritto? 7) Quale prospettiva esistenziale pensi favorisca questa esperienza? 8) L’esperienza narrata ha avuto un ruolo nelle tue scelte seguenti? 9) Quale significato essa può assumere per la tua esistenza attuale e per le scelte future? 161 È utile ricostruire, utilizzando questa stessa traccia, più di una esperienza che più o meno completamente può essere classificata come ottimale. Una volta rac- colto un certo numero di queste descrizioni, conviene rileggere quanto fatto e cer- care di ordinare le esperienze descritte secondo una loro valutazione di qualità po- sitiva. Partendo, poi, da quelle considerate più rappresentative della loro positività, si possono trarre alcune prime conclusioni circa il ruolo del senso e della prospet- tiva esistenziale nel promuovere il senso di benessere personale o circa l’influsso che la loro mancanza o incertezza ha nel dare una sensazione di insoddisfazione, di disagio, di frustrazione. La presa di coscienza dello stato personale da questo punto di vista può innescare il processo di rielaborazione della propria prospettiva di senso secondo l’impostazione di J. Mezirow. d) La ricostruzione narrativa di esperienze negative e la riflessione critica sulle ragioni di tale stato di cose Come possibile conferma delle prime conclusioni si può procedere a una rico- gnizione delle esperienze peggiori. La metodologia è analoga. Descrivi in maniera sintetica una esperienza che secondo te è emersa come una delle peggiori nella tua vita. Poi poniti le seguenti o simili domande. 1) Che cosa ha caratterizzato dal punto di vista negativo tale esperienza? 2) Come esprimeresti la sensazione o emozione provata? 3) Esattamente che cosa facevi? 4) Secondo te, perché la tua azione era particolarmente inefficace? 5) Che cosa ha caratterizzato tale esperienza negativa? 6) Quale disvalore personale è entrato in gioco o ha sollecitato l’evento descritto? 7) Quale influenza sul tuo modo di vedere e giudicare le cose può essere derivata da questa esperienza? 8) L’esperienza narrata ha avuto un ruolo nelle tue scelte seguenti? 9) Quale significato può aver avuto per la tua esistenza attuale e per le scelte future? e) Lo sviluppo di un’attività formativa che favorisca l’esperienza dello stato di flusso dell’azione e la capacità non solo di dare senso alla propria attività profes- sionale, ma anche di migliorarla da questo punto di vista La riflessione sulla ricostruzione delle esperienze ottimali e di quelle peggiori induce a ipotizzare quali attività risultino più coerenti con le proprie aspirazioni e le sensibilità personali, ma soprattutto permettano di essere coinvolti in esse in ma- niera a un tempo concentrata e soddisfacente. A questo punto è possibile passare a una nuova fase dell’attività formativa: cercare di incrementare i momenti che sono stati rilevati come più favorevoli e diminuire quelli che sono risultati più noiosi o fonte di apatia, tenendo conto che non è tanto importante quello che facciamo, quanto come lo facciamo21. Nel nostro caso è il lavoro al centro dell’interesse. Oc- 21 CSIKSZENTMIHALYI M., Finding flow, New York, Basic Books, 1997, 47. 162 corre cercare di renderlo il più possibile fonte di soddisfazione e gratificazione. Per questo è importante progettare attività che sulla base dell’esperienza passata sem- brano in grado di coinvolgerci pienamente e creativamente, essendo fonte di soddi- sfazione. Per questo, occorre anche dosare bene il livello della sfida da affrontare, essendo ben consapevoli e realistici circa la propria competenza in merito. Non è sempre facile. Molte delle attività che caratterizzano la giornata lavorativa possono apparire, e in gran parte essere, fonte di ripetizione e di noia, qualche volta di stress e di frustrazioni. Per modificare e rendere significative e ricche di senso molte di tali attività bisogna investire in esse una maggiore energia psichica, cercando di ri- costruire il perché e il valore di esse e le condizioni perché esse acquistino per noi una diversa prospettiva di significato. Occorre ricordare quanto precedentemente indicato. L’intensità della motiva- zione secondo la teoria di Csikszentmihalyi dipende da due fondamentali fattori: a) la percezione di essere in grado di affrontare positivamente la sfida che ci sta da- vanti (o probabilità soggettiva di portare a termine un impegno in maniera soddi- sfacente); b) il valore soggettivo dato all’obiettivo da raggiungere tramite l’attività che costituisce la sfida. Arricchire la percezione di competenza dipende certamente dall’accettazione realistica di un livello di sfida che è superiore, ma non troppo, a quanto già si è fatto con successo, impegnandosi per superarlo e riuscendo a farlo. Fig. 2 - Una rilettura del ciclo dell’apprendimento esperienziale nel contesto dello sviluppo del- l’esperienza di “flow” 163 Quanto al valore dato a una sfida e relativa attività implicata, dipende dalla presa di coscienza del sistema di motivi o valori che caratterizzano sempre più chiaramente il proprio mondo interiore. f) Lo sviluppo di un’attività ricostruttiva dal punto di vista della significatività personale delle condizioni di studio e di lavoro nelle quali si è coinvolti M. Csikszentmihalyi prende in considerazione il fatto che nel contesto degli impegni di studio e di lavoro attuali spesso si possono sperimentare condizioni di tensione emotiva, di frustrazione, di percezione di inadeguatezza o di mancanza di significato o prospettiva esistenziale. Tutto ciò impedisce la possibilità di provare esperienze ottimali, cioè di sperimentare lo stato di flusso dell’azione. In qualche modo ci si riallaccia qui alla riflessione critica circa le esperienze negative. Con- viene in questa attività di ricostruzione delle situazioni stressanti specificarle e or- dinarle a seconda della percezione soggettiva di importanza e di difficoltà di ge- stione. Il primo passo sarà quello di prospettare una scala di priorità nel doverle af- frontare. A seconda delle caratteristiche individuali si possono scegliere due ap- procci diversi. Iniziare dalle sfide più impegnative e importanti o da quelle che sembrano più facilmente aggredibili e rivestono una certa importanza. Tuttavia il secondo passo, prima di passare all’azione, è quello di valutare le risorse personali disponibili per poter affrontare efficacemente le sfide individuate. Se ci si rico- nosce poco capaci di gestirle, possono tali incombenze essere delegate a qualcun altro? Si ha tempo sufficiente per sviluppare le competenze richieste? È possibile cercare e trovare l’aiuto di altri? Può essere il compito trasformato in uno più ag- gredibile? Oppure può essere scomposto in compiti più semplici? L’Autore afferma che in genere per questa strada si trova la soluzione, ma il pericolo è quello di ri- manere passivi di fronte alle difficoltà, perché solo cercando di controllare le situa- zioni si può superare questo genere di tensioni22. Tra le condizioni che possono rendere il contesto lavorativo fonte di tensioni ci sono certamente le relazioni interpersonali e quelle istituzionali. Tuttavia, occorre anche ricordare che una fonte indiretta di difficoltà può provenire anche in tale con- testo dalla qualità negativa delle relazioni che si sperimentano fuori di esso. g) Un questionario elaborato da M. Csikszentmihalyi Uno strumento spesso utilizzato nelle ricerche sulla presenza di stati di flusso nell’esperienza umana è il seguente23. “La mia mente non è divagata, non penso ad altro. Sono totalmente coinvolto in quello che faccio. Mi sento bene. Mi sembra di non sentire nulla . Il mondo ap- pare come tagliato fuori di me. Sono meno cosciente di me e dei miei problemi” 22 Ibidem, 106-107. 23 Adattato da CSIKSZENTMIHALYI M., CSIKSZENTMIHALYI I., Optimal Experience: Psychological Studies of Flow in Consciousness, Cambridge, Cambridge Un. Press, 1988, 195. 164 “La mia concentrazione è come il mio respiro. Non ci penso. Sono completa- mente estraneo all’ambiente che mi circonda non appena inizio. Può suonare il te- lefono o il campanello della porta, o può bruciare la casa o capitare qualcosa di simile. Quando comincio chiudo il contatto con l’intero mondo. Quando finisco posso riprenderlo” “Sono così coinvolto in quello che faccio, che non mi vedo distinto da quello che faccio” I. Hai avuto qualche esperienza del tipo di quelle descritte dalle tre citazioni? Quanto spesso le hai avute? Che cosa stavi facendo? Che cosa le ha messe in moto? Che cosa le ha fatte continuare? Che cosa le ha fatte finire? II. Per queste esperienze indica quanto sei d’accordo con le seguenti afferma- zioni. Ciascuna di esse è seguita da una scala che va da 1 a 4, con questo signi- ficato: 1. Per nulla d’accordo 2. Solo in parte d’accordo 3. Abbastanza d’accordo 4. Pienamente d’accordo Gli item 1, 3, 4, 5, 9, 11, 12 si riferiscono all’esperienza di flow. Quanto più elevato il punteggio, tanto più è chiara la presenza di una esperienza ottimale. Gli item 2, 6, 7, 8, 10 sono invece indicatori negativi, più è elevato il loro punteggio, meno si tratta di un’esperienza di flusso. 1) Mi lascio coinvolgere 1 2 3 4 2) Divento ansioso 1 2 3 4 3) So chiaramente quello che devo fare 1 2 3 4 4) Ho riscontri diretti su quanto bene sto svolgendo l’attività 1 2 3 4 5) Mi sento capace di gestire le esigenze della situazione 1 2 3 4 6) Mi sento consapevole di me stesso 1 2 3 4 7) Divento annoiato 1 2 3 4 8) Devo fare uno sforzo per fare attenzione a ciò che sta capitando 1 2 3 4 9) Lo farei anche se non fossi tenuto a farlo 1 2 3 4 10) Mi distraggo 1 2 3 4 11) Il tempo passa o più adagio o più in fretta 1 2 3 4 12) Provo piacere per l’esperienza e per l’uso delle mie abilità 1 2 3 4 165 ALLEGATI Vengono allegati alcuni progetti e strumenti di autovalutazione che sono stati elaborati in contesti di indagini diverse da quella attuale, ma che possono essere utilizzati in toto o in parte nell’attuazione del presente progetto. 167 Primo allegato Progetto di costruzione e validazione di uno strumento di auto-valutazione al termine del triennio di Istruzione e Formazione Professionale in fase di sviluppo e consolidamento presso l’ISFOL Denominazione dello strumento: QPCS, Questionario di Percezione di Compe- tenze Strategiche. Per un profilo della crescita in alcune competenze strategiche raggiunta al termine del triennio sperimentale di formazione professionale. 1. Il quadro logico di riferimento Qual è la percezione che gli studenti hanno, al termine dei tre anni di formazio- ne professionale, circa le loro competenze personali, sociali e professionali? È que- sto uno degli indicatori dell’efficacia formativa del percorso seguito. Certo non è l’unico. Occorrerebbe triangolare i dati che si possono raccogliere da questo punto di vista con i risultati conseguiti sul piano delle competenze di base e di quelle tec- nico-professionali, e con l’osservazione sistematica da parte dei formatori della ca- pacità di gestire se stessi nelle situazioni di apprendimento professionale e di lavoro. Tuttavia, avere a disposizione uno strumento di rilevazione dell’auto-valutazione delle proprie competenze strategiche, che sia sufficientemente valido ed affidabile, è un aiuto non indifferente per una valutazione della qualità dell’attività formativa svolta e, di conseguenza, per un miglioramento degli interventi futuri. Per quanto ri- guarda i soggetti coinvolti, questi sono aiutati ad elaborare un bilancio delle proprie competenze e a prendere consapevolezza del loro stato di preparazione nell’entrare nel mondo del lavoro o dell’ulteriore formazione professionale e da ciò essere solle- citati a impegnarsi in una successiva attività di autoformazione. Queste capacità personali sono preziose per l’adattamento personale, interpersonale e professionale. Esse permettono non solo di sperimentare benessere soggettivo, ma anche vivere più positivamente il rapporto con altri e con il contesto di vita, riuscendo a far fron- te con efficacia ai vari compiti da svolgere. La riflessione attuale mette in risalto la loro centralità per un inserimento nel mondo del lavoro valido e produttivo. Il suc- cesso personale deve così essere ascritto sia alle conoscenze e competenze tecnico- professionali, sia al possesso di qualità di natura personale e sociale. A questo fine si è scelto un quadro di riferimento a due dimensioni. La prima dimensione tiene conto di tre ambiti di riferimento: competenze strategiche in rife- rimento al sé; competenze strategiche in riferimento alla vita sociale, in particolare competenze relazionali e comunicative; competenze strategiche riferibili al com- 168 pito di apprendimento e/o di lavoro professionale, la seconda dimensione si rife- risce alle competenze nel gestire i processi cognitivi e metacognitivi, affettivi e mo- tivazionali, volitivi e conativi. Ne deriva uno schema logico di questo tipo. Il concetto di competenza strategica è stato elaborato in maniera approfondita in una serie di contributi pubblicati dall’ISFOL1. Essi hanno presentato i risultati di una riflessione critica collettiva svolta da un gruppo di lavoro impegnato a definire alcuni tratti di un quadro teorico della natura e delle finalità dei processi formativi. In genere le competenze strategiche vengono collegate con la capacità di autodiri- gere e autoregolare la propria attività sia di apprendimento professionale, sia di la- voro. Dirigere se stessi nel proprio apprendimento culturale e/o professionale e nel- l’attività lavorativa può essere riletto secondo due prospettive complementari, inte- grando tra loro i concetti di autodeterminazione e di autoregolazione. Con il ter- mine “autodeterminazione” si segnala la dimensione della scelta, del controllo di senso e di valore, della intenzionalità dell’azione: è il registro della motivazione, della decisione, del progetto, anche esistenziale. Con il termine “autoregolazione”, che evoca monitoraggio, valutazione, pilotaggio di un sistema d’azione, si insiste di più sul registro del controllo strumentale dell’azione. Al primo livello, nel dare senso, finalità, scopo all’azione ci si colloca sul piano del controllo di tipo “strate- gico”, che mette in evidenza la componente motivazionale, di senso, di valore. Al secondo livello si richiede, invece, di sorvegliare la coerenza, la tenuta, l’orienta- mento dell’azione e regolarne il funzionamento o pilotarla; si tratta di un livello “tattico”. Le varie competenze strategiche che sono state individuate come oggetto di autovalutazione si riferiscono proprio alla capacità di dirigere se stessi nell’ap- prendere e lavorare. Dal punto di vista cognitivo è stata presa in considerazione soprattutto la com- petenza nel cercare di comprendere e ricordare mettendo in atto processi elabora- tivi adeguati. Tuttavia è sembrato di grande rilevanza collegare con la dimensione cognitiva anche gli elementi della competenza nel collaborare con altri e nel comu- 1 ISFOL, Dalla pratica alla teoria per la formazione: un percorso di ricerca epistemologica, Mi- lano, Franco Angeli. 2001; ISFOL, Le dimensioni metacurricolari dell’agire formativo, Milano, Franco Angeli, 2002; ISFOL, Apprendimento di competenze strategiche, Milano Franco Angeli, 2004. Dimensione cognitiva e metacognitiva Dimensione affettiva e motivazionale Dimensione volitiva e conativa Competenze strategiche in riferimento all’io-sé Competenze strategiche in riferimento alla vita sociale: competenze relazionali e comunicative Competenze strategiche riferibili al compito di apprendimento e/o di lavoro professionale 169 nicare, in quanto espressione di una capacità di organizzare se stessi in un contesto sociale. Rilevare il grado di sviluppo di un quadro di senso e di prospettiva esisten- ziale è importante sia dal punto di vista metacognitivo, sia motivazionale, in quanto costituisce il riferimento fondamentale per mettere in moto e gestire le proprie azioni. Si può ricordare a questo proposito quanto suggerito da Aristotele, riassumi- bile in questi termini: “Le rappresentazioni cognitive degli obiettivi e le attività prefigurate a questi strumentali non sono sostenute da proprietà dinamiche, cioè non danno energia o facilitano l’azione, finché non sia stata stabilita la loro compa- tibilità con la struttura significativa personale (il sé) e/o finché esse non siano state tradotte in routine comportamentali disponibili all’organismo”. La distinzione che viene proposta tra dimensione cognitiva e metacognitiva, affettiva e motivazionale e volitiva e conativa non deve far perdere di vista il fatto che nell’azione umana esse sono normalmente presenti in maniera integrata, anche se in molti casi una di esse può essere considerata come dominante. In questo spi- rito vengono proposte le seguenti articolazioni delle competenze strategiche. Quanto ai processi e alle strategie più propriamente di natura affettiva e moti- vazionale, ricerche più recenti hanno evidenziato il ruolo importante che svolge l’ansietà di base e quella più specificatamente legata ad alcune prestazioni tipiche della propria attività sia di apprendimento, sia di lavoro. Tra le circostanze che più facilmente possono sollecitare reazioni emozionali inadeguate emergono come cen- trali quelle proprie delle professioni che implicano relazioni interpersonali. D’altra parte le teorie motivazionali odierne hanno sottolineato il ruolo di quello che in ter- mini psicologici è definito il locus of control, cioè la percezione di essere o meno in grado di gestire personalmente se stessi nella propria attività, perché capaci di dedicare tempo e sforzo adeguato per riuscire a raggiungere gli obiettivi intesi. Al contrario si può pensare che tutto dipende dall’esterno, dagli altri, dalle circostanze o dalla difficoltà del compito. In questo contesto gioca un ruolo assai forte anche lo stile attributivo sviluppato. Per quanto concerne la dimensione volitiva, sono state prese in considerazione in particolare le competenze implicate nel saper assumere responsabilmente i propri impegni e nel saperli portare a termine con costanza e sistematicità, control- lando gli elementi che potrebbero debilitare la perseveranza. Inoltre è stata inclusa in questa dimensione anche la competenza nel saper affrontare situazioni difficili, emotivamente coinvolgenti, in qualche modo minacciose dal punto di vista dell’ap- prezzamento sociale. 2. Le scale autovalutative individuate A. Competenze strategiche messe in atto per capire e ricordare I processi elaborativi riguardano i collegamenti che vengono messi in atto tra quanto si acquisisce di nuovo e il mondo della propria esperienza e le conoscenze 170 già acquisite e organizzate. L’uso del questionario non solo permette di mettere in risalto se il soggetto già utilizza o meno queste strategie, ma anche sollecita l’atten- zione e la motivazione per mettere in atto nel futuro strategie di questo tipo per comprendere con più cura e ricordare meglio. In altre parole i vari item prospettano elementi di un metodo d’apprendimento che miri alla comprensione più che alla pura ripetizione. 22. Quando imparo qualcosa di nuovo, cerco di collegarlo a quanto già so 32. Quando imparo qualcosa di nuovo, cerco di immaginare una situazione o una attività alla quale si possa applicare 6. Per capire meglio le cose, cerco di rappresentarle mediante uno schizzo o un disegno 12. Quando incontro qualcosa di nuovo nella mia esperienza, cerco di capirne il significato per la mia vita 29. Cerco di comprendere come ciò che apprendo si possa applicare alla mia vita di tutti i giorni 23. Leggendo o ascoltando il racconto di altri, lo confronto con la mia realtà 43. Quando imparo qualcosa di impegnativo, mi segno con cura le cose più im- portanti 31. Nelle mie attività mi concentro a fondo per portarle a termine bene 21. In un discorso o in un testo scritto cerco di individuare le cose più importanti 1. Per svolgere bene il mio lavoro mi concentro ed evito ogni distrazione B. Competenze strategiche relative alla disponibilità a collaborare nel lavoro e nell’apprendimento La scala tende a mettere in evidenza la disponibilità a lavorare con altri e il grado di valutazione soggettiva positiva a impegnarsi in una attività collaborativa, sia al fine di migliorare il proprio apprendimento, sia al fine di sviluppare la com- petenza nel lavorare in gruppo. 65. Trovo che imparare insieme ad altri mi aiuta a capire e ricordare 73. Trovo utile e stimolante discutere o lavorare in gruppo 56. Penso che nello studio, come nel lavoro, è importante imparare a lavorare in- sieme 60. Preferisco imparare qualcosa con altri, perché ci si può aiutare 70. Mi sembra di imparare meglio quando posso confrontarmi con i compagni 66. Provo piacere a lavorare con altri 74. Lavorare insieme favorisce l’impegno e la responsabilità di ciascuno 72. Quando lavoro con altri, riesco ad impegnarmi di più 64. Mi sento motivato/a quando lavoro con altri 53. Stare con gli altri per me è un grande valore 171 C. Competenze strategiche nel comunicare e nel relazionarsi con altri Le competenze di natura comunicativa prese in considerazione sono sia di tipo attivo (parlare), sia di tipo passivo (ascoltare), sia di tipo interattivo (incontrare, dialogare), cioè riguardano la elaborazione e la proposizione di discorsi, il fornire conoscenze e spiegazioni agli altri. Oltre a valutare il livello di sviluppo del sog- getto in questa direzione si sollecita anche la consapevolezza di alcuni aspetti della competenza comunicativa al fine di favorire un loro sviluppo futuro. 36. Quando devo presentare una proposta, preparo con cura gli argomenti adatti a farla accettare 26. In una discussione so fare domande che stimolano l’attenzione e la riflessione degli altri 45. Quando parlo o discuto con compagni, faccio in modo che essi siano coinvolti 51. Preparo ogni mio intervento in modo che sia ben organizzato 9. Verifico se gli altri comprendono bene i miei argomenti 41. Controllo se ho capito bene quello che gli altri mi dicono 30. Quando devo convincere gli altri, uso argomenti chiari e adatti a loro 19. Prima di parlare con una persona importante preparo con cura quello che devo dire 16. Cerco di essere preciso/a e accurato/a nel dire quello che penso 34. Quando ritengo sbagliato il comportamento di un altro, non esito a criticarlo D. Competenze strategiche nel dare senso e prospettiva alla propria esistenza umana e lavorativa In tutti i progetti formativi si mette in risalto l’importanza di promuovere l’a- dozione di un proprio progetto di vita e di carriera professionale. Per questo è im- portante che venga sollecitata una adeguata elaborazione di senso e di prospettiva esistenziale. A questo fine la scala tende a mettere in luce la presenza o meno di un quadro di riferimento valoriale e di maturazione di una scelta di finalizzazione esi- stenziale, soprattutto nel contesto lavorativo e sociale. 77. Ho un’idea chiara su quello che vorrei fare nella mia vita 69. Ho capito che cosa è importante per me nella vita 82. Sento di aver trovato uno scopo fondamentale per la mia vita 85. Ho un quadro di valori che mi permette di valutare fatti e persone 58. Ho dei punti di riferimento che mi guidano nel dare significato alla mia esi- stenza 79. Do molta importanza a quello che faccio 71. Sento di vivere pienamente 63. Sento di poter raggiungere tutto ciò che desidero nella vita 61. Ho un mio progetto di vita e carriera lavorativa 172 E. Percezione soggettiva di competenza La scala tende a mettere in evidenza alcuni elementi caratteristici dei giudizi di autoefficacia e più in generale di percezione di avere conseguito adeguati livelli di competenza nella propria attività anche di tipo professionale. Questa percezione è estesa anche alla capacità di appropriarsi in maniera valida e significativa di nuove conoscenze e capacità necessarie per migliorare nella professionalità. Un livello buono in questo fattore è indizio di disponibilità a impegnarvisi non solo superfi- cialmente o per necessità, ma con costanza e interesse. 75. Quando penso alle mie caratteristiche personali, riconosco di essere capace di portare a termine con successo i miei impegni 78. Quando voglio approfondire argomenti e/o questioni anche molto complesse, sono sicuro di riuscirvi 57. Mi sento in grado di apprendere presto, bene e senza troppo sforzo 59. Quando riesco nelle mie attività, penso che ciò dipenda dal fatto che sono una persona capace 86. Mi sento sicuro/a di riuscire a raggiungere buoni risultati nelle mie attività 84. Se mi sono preparato/a bene, sono sicuro/a di riuscire anche in compiti impe- gnativi 67. Riesco a imparare facilmente, quando ne vedo l’utilità F. Stile attributivo e competenze strategiche nel gestire le attribuzioni causali La scala evidenzia quanto il soggetto attribuisce alla propria dedizione e al proprio sforzo personale la riuscita, come l’eventuale fallimento. Un elevato livello manifesta una convinzione specifica, che la possibilità di giungere a risultati posi- tivi dipende da ciascuno, non solo dalle sue capacità, ma soprattutto dall’impegno messo. È una valutazione che mette in risalto il valore del “locus of control” in- terno. 83. Penso che la capacità di riuscire dipenda dall’impegno che ciascuno mette nello svolgere il proprio lavoro con puntualità e precisione 54. Penso che la capacità di una persona dipenda dalla costanza e dallo sforzo che questa mette nell’applicarsi 76. Quando ottengo buoni risultati nell’apprendere cose nuove, penso che ciò di- penda dall’essermi impegnato/a molto 81. Riesco a essere veramente concentrato/a, quando cerco di raggiungere un ri- sultato importante 55. Quando si tratta di apprendere cose nuove, riesco veramente a impegnarmi 68. Quando sono impegnato/a in un compito piuttosto noioso, penso ai suoi aspetti positivi e alla soddisfazione che proverò quando lo avrò portato a ter- mine 173 62. Quando riesco bene in un compito, penso di aver fatto proprio bene a dedicar- mici con tanto impegno 80. Ho grande fiducia nelle mie capacità G. Competenze strategiche nel gestire forme accentuate di ansietà I soggetti, come è facile constatare anche dall’osservazione occasionale, diffe- riscono grandemente nelle loro reazioni emozionali alle situazioni e agli avveni- menti. Ciò ha anche una componente biologica, ma in gran parte intervengono componenti culturali ed educative. Una reazione emotiva, infatti, acquista valenza positiva o negativa a seconda dell’interpretazione che ne diamo. È possibile inoltre canalizzare in maniera fruttuosa la tendenza a una accentuata reattività emozionale. A questo fine si possono sviluppare competenze specifiche di controllo e di valoriz- zazione della propria emotività. 40. Quando devo affrontare una situazione impegnativa, sono così nervoso/a che non riesco a esprimermi bene 7. Sono preso/a dalla paura quando so che devo affrontare una situazione difficile 11. Mentre lavoro la paura di sbagliare mi disturba e così vado peggio 52. Mi sento molto a disagio durante un’attività che richiede concentrazione e precisione, anche se sono ben preparato/a 50. Durante lo svolgimento di un compito mi passano per la testa molti dubbi circa la mia capacità di riuscir bene 24. Quando vado male sono preso/a dallo scoraggiamento 46. Divento subito nervoso/a di fronte a una domanda o a un problema che non comprendo immediatamente 3. Se mi accorgo di avere ancora poco tempo per finire un lavoro, sono preso/a dalla paura 35. Quando devo incontrare una persona non conosciuta mi sento a disagio 33. Quando devo parlare con un superiore sono molto agitato/a 5. In una discussione non esprimo la mia opinione per paura di essere criticato/a H. Competenze strategiche nel gestire se stessi nel lavoro e nell’apprendi- mento: autoregolazione e volizione La scala intende mettere in risalto la valutazione personale circa la capacità di portare a termine in maniera sistematica e decisa i propri impegni. Essa mette in evidenza anche alcuni aspetti di quello che è stato definito il controllo dell’azione, cioè la capacità di mettere in atto strategie che proteggono e sostengono l’esecu- zione delle decisioni prese. In particolare, di fronte a noia, fatica o disinteresse per il contenuto, si rimane fedeli lo stesso all’impegno assunto. Non solo, ma si riesce a predisporre le cose e a organizzare il tempo in modo da assicurare che i compiti assegnati o assunti giungano a soddisfacente conclusione. 174 15. Anche se devo svolgere un compito che mi sembra noioso, cerco lo stesso di finirlo 42. Se mi va male qualcosa, mi sento portato/a a tentare di nuovo 13. Quando ho deciso di fare qualcosa, la porto a termine anche se costa fatica 48. All’inizio di un compito o di una attività, controllo quali sono le cose che devo fare 2. Organizzo il mio lavoro in base al tempo che ho a disposizione 49. Quando incontro una difficoltà, cerco di superarla impegnandomi di più 44. Mi piace svolgere un compito che mi impegna davvero 20. Quando mi preparo a svolgere un’attività, rifletto bene su cosa devo fare 47. Prima di svolgere un compito, cerco di chiarire bene che cosa mi chiedono I. Competenze strategiche nell’affrontare situazioni sfidanti o pericolose e nel decidere: coping Una delle qualità tipiche della volizione è la capacità di far fronte alle situa- zioni che si presentano minacciose o sfidanti in vario modo. Spesso in situazioni di questo tipo il soggetto trova grande difficoltà a reagire e a raccogliere le proprie energie per intervenire positivamente. La scala evidenzia in particolare la tendenza a mettere in atto strategie di tipo cognitivo che puntano a darsi le ragioni delle dif- ficoltà o reazioni negative riscontrate. In genere un punteggio alto in questa scala indica una certa competenza nel controllare situazioni impegnative e difficili. 10. Quando mi sento valutato/a ingiustamente, rifletto cercando di capire il perché 37. Se vengo criticato/a, esamino con calma i motivi 8. Quando mi va male qualcosa, cerco di capirne i motivi e di superare le diffi- coltà 17. Se gli altri mi evitano, cerco di spiegarmene le ragioni e di chiarirne i motivi 14. Di fronte a una situazione difficile, rifletto su come posso superarla 28. Quando devo prendere una decisione, sento il parere degli altri 38. Di fronte a una sfida mi sento/a spinto ad affrontarla 27. Quando ho preso una decisione, non esito a metterla in pratica 4. Anche in una discussione animata riesco a mantenere la calma 39. Quando voglio ottenere qualcosa so come insistere senza aggredire gli altri 25. Quando ho molto da fare e penso di non farcela, chiedo aiuto a qualcuno 175 Secondo allegato La scala di valutazione della propria esperienza di felicità elaborata da un gruppo di ricerca di Oxford La scala della felicità di Oxford1 (traduzione di Paolo Meazzini) Istruzioni. Qui sotto sono riportati dei gruppi di affermazioni che riguardano la felicità personale. Per ognuno di essi è pregato di leggere le quattro afferma- zioni e di scegliere quella che meglio descrive il Suo stato nella settimana passata inclusa questa giornata, segnando la lettera che la precede. 1 [A] Non mi sento felice. [B] Mi sento abbastanza felice. [C] Mi sento molto felice. [D] Mi sento incredibilmente felice. 2 [A] Non sono particolarmente ottimista a proposito del mio futuro. [B] Mi sento ottimista a proposito del mio futuro. [C] Sento che il futuro mi riserverà piacevoli sorprese. [D] Guardo al mio futuro con molta speranza. 3 [A] In realtà non c’è niente che mi soddisfi nella mia vita. [B] Vi sono poche cose che mi soddisfano nella mia vita. [C] Molte sono le cose che mi soddisfano nella mia vita. [D] Sono del tutto soddisfatto della mia vita. 4 [A] Sento che non sono in grado di controllare quasi niente della mia vita. [B] Sento che sono poche le cose che riesco a controllare della mia vita. [C] Sento che posso controllare quasi tutto della mia vita. [D] Sento che posso controllare tutto quanto si verifica nella mia vita. 5 [A] Sento che la vita non è particolarmente premiante. [B] Sento che la vita è premiante. [C] Sento che la vita è molto premiante. [D] Sento che la vita abbonda di molti premi e di numerose ricompense. 1 MEAZZINI P., La psicologia positiva: un nuovo paradigma?. Parte seconda: che cos’è la felicità e come la si può misurare e sperabilmente raggiungere, in “Psicologia e scuola”, 2006, n. 127, 32-34. 176 6 [A] Non sono particolarmente contento di come sono. [B] Sono contento di come sono. [C] Sono molto contento di come sono. [D] Sono deliziato di come sono. 7 [A] Non riesco mai ad esercitare alcuna influenza sugli eventi che mi acca- dono. [B] Ogni tanto riesco ad influenzare gli eventi che mi accadono. [C] Spesso riesco ad influenzare gli eventi che mi accadono. [D] Sempre riesco ad influenzare gli eventi che mi accadono. 8 [A] Nella vita me la cavo. [B] La vita è buona. [C] La vita è molto buona. [D] Amo la vita. 9 [A] In realtà non sono interessato agli altri. [B] Sono poco interessato agli altri. [C] Sono molto interessato agli altri. [D] Sono estremamente interessato agli altri. 10 [A] Per me non è facile assumere decisioni. [B] Per me è abbastanza facile assumere decisioni. [C] Per me è facile assumere decisioni. [D] Per me è estremamente facile assumere decisioni. 11 [A] Ho difficoltà ad iniziare qualsiasi attività. [B] Ho una relativa facilità ad iniziare qualsiasi attività. [C] Ho facilità ad iniziare qualsiasi attività. [D] Mi sento capace di intraprendere qualsiasi attività. 12 [A] Raramente mi sveglio sentendomi riposato. [B] Talvolta mi sveglio sentendomi riposato. [C] Di solito mi sveglio sentendomi riposato. [D] Mi sento di esplodere di energia. 13 [A] Mi sento del tutto scarico di energia. [B] Mi sento abbastanza carico di energia. [C] Mi sento molto carico di energia. [D] Mi sento di esplodere di energia. 14 [A] Penso che in genere le cose non abbiano niente da dirmi. [B] Trovo la bellezza in alcune cose. [C] Trovo la bellezza nella maggioranza delle cose. [D] A me tutto il mondo sembra bello. 177 15 [A] Non mi sento stimolato mentalmente. [B] Mi sento abbastanza stimolato mentalmente. [C] Sono molto stimolato mentalmente. [D] Mi sento mentalmente stimolato al 100%. 16 [A] Non mi sento particolarmente bene di salute. [B] Mi sento abbastanza bene di salute. [C] Mi sento molto bene di salute. [D] Mi sento al massimo della forma fisica. 17 [A] Non ho alcun sentimento positivo verso gli altri. [B] Ho un sentimento un po’ positivo verso gli altri. [C] Ho un sentimento molto positivo verso gli altri. [D] Amo tutti. 18 [A] Non ho ricordi particolarmente belli del mio passato. [B] Ho qualche bel ricordo del mio passato. [C] Ho molti bei ricordi del mio passato. [D] Tutti i ricordi che ho del mio passato sono molto belli. 19 [A] Non vivo mai momenti di gioia e di entusiasmo. [B] Qualche volta vivo momenti di gioia e di entusiasmo. [C] Spesso vivo momenti di gioia e di entusiasmo. [D] Vivo costantemente momenti di gioia e di entusiasmo. 20 [A] C’è un vuoto tra quello che vorrei fare e quello che faccio. [B] Ho fatto alcune delle cose che desideravo fare. [C] Ho fatto molte delle cose che intendevo fare. [D] Ho fatto tutto ciò che volevo fare. 21 [A] Non so affatto organizzare il mio tempo. [B] Organizzo il mio tempo abbastanza bene. [C] Organizzo il mio tempo molto bene. [D] Organizzo il mio tempo così bene che riesco a fare tutto ciò che voglio. 22 [A] Non mi diverto a stare con gli altri. [B] Talvolta mi diverto a stare con gli altri. [C] Spesso mi diverto a stare con gli altri. [D] Sempre mi diverto a stare con gli altri. 23 [A] Non produco un effetto positivo sugli altri. [B] Talvolta produco un effetto positivo sugli altri. [C] Spesso produco un effetto positivo sugli altri. [D] Sempre produco un effetto positivo sugli altri. 178 24 [A] Non ho uno scopo particolare da perseguire nella mia vita né do ad essa un significato particolare. [B] Alla mia vita do un certo significato e scopo. [C] Do molto significato e scopo alla mia vita. [D] La mia vita è piena di significati e di scopi. 25 [A] Non mi sento né motivato né coinvolto. [B] Qualche volta mi sento motivato e coinvolto. [C] Spesso mi sento motivato e coinvolto. [D] Sempre mi sento motivato e coinvolto. 26 [A] Non penso che il mondo sia un bel posto in cui vivere. [B] Penso che il mondo sia un posto relativamente piacevole in cui vivere. [C] Penso che il mondo sia un posto molto piacevole in cui vivere. [D] Penso che il mondo sia un posto estremamente piacevole in cui vivere. 27 [A] Rido raramente. [B] Rido abbastanza spesso. [C] Rido molto spesso. [D] Rido sempre. 28 [A] Non penso di essere attraente. [B] Penso di essere abbastanza attraente. [C] Penso di essere attraente. [D] Penso di essere estremamente attraente. 29 [A] Non trovo che le cose siano divertenti. [B] Penso che qualche cosa sia divertente. [C] Penso che gran parte delle cose siano divertenti. [D] Tutto mi diverte. Indicazioni per il punteggio: A = 0; B = 1; C = 2, D = 3. Nella somministrazione effettuata in Inghilterra la maggioranza dei punteggi si collocava tra 40 e 42. Per l’Italia non esiste alcun punteggio. Sicuramente si tratta di una scala che deve essere perfezionata. 179 Terzo allegato Questionario di autovalutazione dell’autostima e della motivazione elaborato da Cristián Desbouts Questionario di Autostima e di Motivazione Il questionario elaborato da Cristián Desbouts si trova nel volume: Desbouts C., “La scuola non fa per me”. Insuccesso scolastico e autostima, Roma, Las, 2006, 127-130. Istruzioni: Troverai in queste pagine 70 frasi che abbiamo raccolto dette da ragazzi/e tra i 12 e i 19 anni. Nel foglio delle risposte allegato, segna la risposta che corrisponde alla tua valutazione di ogni frase, tenendo conto della scala che ripor- tiamo qui: Pienamente d’accordo. D’accordo. A volte sì, a volte no. Non sono d’accordo. Non sono affatto d’accordo. 1. Sono contento con il mio modo di essere... 2. Non mi piace quando mi ripetono molte volte una spiegazione, perché credo di essere abbastanza intelligente da poter capire i miei professori. 3. Se prendo un brutto voto, non penso che sia per la mia mancanza di capacità ma per mancanza di sforzo. 4. Se non ho studiato abbastanza per una interrogazione, cerco di convincere il professore di rimandarla. 5. Più mi sono sforzato nella realizzazione di un compito, più godo del successo raggiunto. 6. I miei genitori considerano che, anche se facessi uno sforzo, non migliorerò mai i miei voti. 7. I buoni voti che prendo non sono dei “regali” dei professori, ma sono frutto del mio sforzo e della mia capacità. 8. Se ho copiato in una interrogazione scritta e ho preso una voto buono, dopo ho paura che il mio insegnante pensi che io possa mantenere una media alta ed esiga di più da me. 9. Quando mi bocciano in una interrogazione, mi sento incoraggiato a sforzarmi di più per riprovare la prossima volta. 10. Mi piacerebbe essere in un altro modo. 180 11. Posso presentarmi a una interrogazione soltanto quando conosco il tema per- fettamente... 12. Se prendo un brutto voto, cerco di far credere agli altri che le domande erano veramente difficili. 13. Mi piacerebbe essere uno studente migliore. 14. I risultati che ho avuto a scuola fino adesso mi dicono che sono una persona che ha una buona capacità di studio. 15. I miei compagni di classe pensano che sono abbastanza buono nello studio. 16. Se faccio il paragone con i miei compagni, credo di non avere un buon aspetto fisico. 17. La mia opinione sui miei compagni di classe dipende molto dai voti che prendono. 18. Faccio i compiti tutti i giorni. 19. Provo gioia soltanto quando realizzo i miei compiti in modo perfetto. 20. In genere, quando vengo interrogato, credo che prenderò un voto alto. 21. Nello studio preferisco di non rischiare molto e mi fisso degli obiettivi che sono sicuro di poter raggiungere. 22. Non voglio che i miei compagni pensino che sono un secchione, quindi prefe- risco non prendere dei voti alti, anche se potrei farlo. 23. L’opinione che gli altri hanno di me dipende molto dai miei voti. 24. Sono fiero dei miei genitori. 25. Mi piacciono i compiti difficili, perché mi permettono di dimostrare la mia abilità. 26. I compagni che passano il tempo a fare discorsi sull’importanza dello studio e si sforzano di prendere voti alti li considero degli stupidi ipocriti perché cer- cano soltanto di soddisfare i propri genitori. 27. Quando prendo un brutto voto, non penso che sia colpa dei professori, perché so di non avere fatto lo sforzo necessario; altrimenti avrei passato l’esame. 28. Quando mi fisso un obiettivo nello studio, tengo conto delle mie capacità e della possibilità di raggiungerlo. 29. Frequentemente copio nelle prove scritte. 30. Sono soddisfatto dei mio aspetto fisico. 31. Mi sento bene e accettato a scuola. 32. Credo di essere un buono studente e di poter migliorare ogni giorno con il mio sforzo, oltre che con le mie capacità. 33. So perfettamente da quali insegnanti posso rischiare di essere interrogato senza essermi preparato molto. 34. I miei professori considerano che, anche se mi sforzassi, non migliorerei mai i miei voti. 35. Non studio e non faccio i compiti perché sono stanco che i miei genitori mi di- cano sempre che lo studio è la cosa più importante della vita e mi giudichino sempre a seconda dei miei voti. 36. Non lavoro a scuola e non studio per dimostrare ai professori che ciò che inse- gnano è una stupidaggine e non vale la pena fare lo sforzo di impararlo. 181 37. I miei genitori mi rimproverano duramente quando mi bocciano. 38. Ho successo tra le ragazze. 39. A scuola e nella mia comitiva mi sento un perdente. 40. Penso che i miei voti siano sufficientemente buoni. 41. Sono fiero dei miei voti. 42. Se prendo un brutto voto ho paura di essere lasciato da parte nel mio gruppo. 43. I miei amici ci tengono alle mie opinioni. 44. Con i voti che prendo non rendo felici i miei genitori, perché desidererebbero che io prendessi voti più alti. 45. Considero che, con un po’ di sforzo, potrei superare il mio insuccesso scola- stico. 46. Vorrei capire meglio quanto spiegano i professori. 47. Anche se faccio uno sforzo, non ce la farò mai a superare il mio insuccesso a scuola, perché mi mancano le capacità per poter essere uno bravo studente. 48. Leggo abbastanza bene. 49. Sono accettato dai miei compagni. 50. Sono lento nel fare i compiti, sia casa che a scuola. 51. Con i miei compagni di classe parlo dei miei voti soltanto se sono buoni. 52. La mia famiglia è fiera di me. 53. Mi piace il mio viso. 54. Quando non posso studiare, cerco sempre di portare a scuola una giustifica- zione del medico. 55. Ho una buona opinione di me stesso. 56. I miei brutti voti sono dovuti al fatto che nel momento dell’esame non riesco a superare l’ansia. 57. A scuola mi sento solo. 58. So che, per quanto mi sforzi, non sono un bravo studente e non lo sarò mai. 59. Quando prendo un brutto voto, faccio tutto il possibile per nascondere il risul- tato ai miei genitori. 60. Sono deluso dai voti che prendo a scuola. 61. Tutti mi cercano per formare dei gruppi di studio. 62. Sono un componente importante della mia famiglia. 63. Quando un professore mi fa una domanda, divento nervoso. 64. Dimentico quanto imparo. 65. Sono un leader negli sport e nei giochi. 66. Quando si tratta di andare a spasso, i miei amici non mi invitano mai a parteci- pare. 67. Sono una persona ansiosa. 68. Quando mi incoraggiano a sforzarmi di più per prendere un voto migliore, mi viene maggior voglia di studiare. 69. Mi è molto difficile fare amicizia. 70. I miei compagni pensano che, per quanto mi sforzi, non migliorerò mai i miei voti. 183 BIBLIOGRAFIA ABBÀ G. (1991), Una filosofia morale per l’educazione alla vita buona, in «Salesianum», vol. 53, 273-314. ABBÀ G. (1995), Felicità, vita buona e virtù. Saggio di filosofia morale, Roma, LAS. AGAZZI A. (1984), L’educazione alla giustizia in ordine ai valori dell’educazione etico-civile-civica, in «Pedagogia e Vita», vol. 45, 5-30. ALBERICH E. (a cura di) (1983), Educazione morale oggi, Roma, LAS. AMALIA M. (1982), Morale e educazione, in «Pedagogia e Vita», vol. 43, 245-250. ARGYLE M. (1985), The psychology of happiness, London, Routledge. ARISTOTELE (1993), Etica Nicomachea, in MAZZARELLI C. (a cura di), Etica Nicomachea, Milano, Ru- sconi. ARNOLD W. - EYSENCK H.J. - MEILI R. (a cura di) (1975), Dizionario di psicologia, Roma, Edizioni Paoline. ATHERTON J. 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Modelli di ricerca di senso e di identità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 4. La pedagogia positiva di Nel Noddings . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 5. Le indicazioni provenienti dalla riflessione di Karol Wojtyla sul ruolo delle istituzioni formative, in particolare di ispirazione cristiana . . . . . . . . . . . . . 20 6. Una rilettura dello sviluppo della dimensione spirituale e morale come empowerment . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 7. Per un curricolo di educazione spirituale e di educazione morale . . . . . . . . . 28 8. L’approccio metodologico proposto: valorizzare la metafora “comunità di pratica” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 Seconda parte - LA DIMENSIONE SPIRITUALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 1. Contributi di natura psicologica: la posizione di H. Gardner . . . . . . . . . . . . 35 2. Contributi di natura psicologica: R.F. Baumeister . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 3. Contributi di natura psicologica: la psicologia positiva . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 3.1. L’apporto della psicologia umanistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 3.2. Un primo contributo della psicologia della salute . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 3.3. Un secondo contributo della psicologia della salute . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 3.4. La psicologia dell’empowerment . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 3.5. La psicologia e la virtù . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 3.6. La psicologia della felicità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 4. Contributi dagli studi sulla formazione degli adulti: Jack Mezirow . . . . . . . 53 5. Per un quadro di riferimento teorico sulla dimensione spirituale dell’educa- zione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 6. I caratteri propri della dimensione spirituale dell’esistenza umana . . . . . . . 63 7. Impostare un percorso d’educazione spirituale di base . . . . . . . . . . . . . . . . . 66 8. Orientamenti per impostare un progetto curricolare: educare al vero, al bello, al bene . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68 9. Orientamenti per impostare un progetto curricolare: valorizzare profonde esperienze esistenziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70 10. Conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72 196 Terza parte - LA DIMENSIONE MORALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 1. Una rilettura di alcune pagine di J. Dewey . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76 2. L’emergere di una nuova domanda e sensibilità per l’educazione morale e sociale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 3. Su alcune obbiezioni e attenzioni particolari circa il ruolo della scuola nell’educazione morale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 4. Lo sviluppo della dimensione motivazionale e valoriale in prospettiva psico- logica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86 5. Lo sviluppo morale in prospettiva psicologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 6. Gli studi psicologici sulla saggezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95 7. L’identità narrativa tra psicologia a filosofia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 8. La filosofia morale e la rinascita di Aristotele . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101 9. L’apporto di A. McIntyre sullo sviluppo morale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103 10. L’acquisizione delle virtù, cardini dell’agire morale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 10.1. La vita morale pre-virtuosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107 10.2. L’acquisizione delle virtù. Condizioni interne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108 10.3. La formazione della prudenza e l’acquisizione della conoscenza pratica . . 110 10.4. L’acquisizione delle virtù. Condizioni esterne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 11. L’influenza delle varie comunità di appartenenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 12. Il ruolo della scuola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117 13. L’educazione morale secondo le fasi dello sviluppo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120 14. L’insegnante e l’educazione del carattere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122 15. Principi per la progettazione di un curricolo di educazione morale . . . . . . . 123 15.1. L’educazione del carattere ha luogo in una comunità che vive all’interno di una tradizione di ricerca morale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 124 15.2. L’educazione del carattere è mirata alla vita buona e alla sua finalità fondamentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 126 15.3. L’educazione del carattere si basa sulla struttura narrativa della vita umana 128 15.4. L’educazione del carattere si basa sulla partecipazione alle “pratiche” . . . . 132 15.5. L’educazione del carattere si basa su un esplicito insegnamento morale . . 135 15.6. L’educazione del carattere si basa sullo sviluppo degli abiti . . . . . . . . . . . 138 16. Alcune indicazioni operative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 142 Quarta parte - PRIMI ORIENTAMENTI OPERATIVI E ALCUNE INDICAZIONI PER UNA SPERIMENTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145 1. Metodi che possono favorire la riflessione critica orientata a dare senso e prospettiva esistenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 146 1.1. Metodi dialogici nei quali prevale l’interazione individualizzata . . . . . . . . 146 1.2. Metodi basati sull’autobiografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147 1.3. Metodi dialogici nei quali prevale l’interazione in gruppo . . . . . . . . . . . . . 148 1.4. Metodi basati sulla produzione di un diario personale . . . . . . . . . . . . . . . . 149 1.5. Metodi basati sull’uso di un portfolio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 149 2. L’uso di un questionario di auto-valutazione del benessere psicologico derivante dalla propria esperienza di studio e/o di lavoro e verifica della sua correlazione con l’attribuzione di senso e di prospettiva esistenziale . . . 149 197 3. Riflessione critica e sperimentazione attiva relative alle esperienze ottimali o di fluire dell’azione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155 ALLEGATI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165 Primo allegato: Progetto di costruzione e validazione di uno strumento di auto-valutazione al termine del triennio di Istruzione e Formazione Professionale in fase di sviluppo e consolidamento presso l’ISFOL . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 167 1. Il quadro logico di riferimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 167 2. Le scale autovalutative individuate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 169 Secondo allegato: La scala di valutazione della propria esperienza di felicità elaborata da un gruppo di ricerca di Oxford . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175 Terzo allegato: Questionario di autovalutazione dell’autostima e della motivazione elaborato da Cristián Desbouts . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179 BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 183 INDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 195 199 Pubblicazioni 2002-2007 nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 1. 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Un approccio metodologico e pro- poste di strumenti, 2003 30) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale alimentazione, 2004 31) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 32) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 33) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale estetica, 2004 34) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 35) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 36) CIOFS/FP (a cura di), Un modello per la gestione dei servizi di orientamento, 2003 37) CIOFS/FP BASILICATA, L’orientamento nello zaino. Percorso nella scuola media inferiore. Diffu- sione di una buona pratica, 2004 38) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 39) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 40) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 41) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale meccanica, 2004 42) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 43) CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2003 44) COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa. Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP, s.d. 45) FONTANA S. - G. TACCONI - M. VISENTIN, Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003 46) GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo, 2003 47) MARSILII E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente, 2003 48) NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istru- zione e della formazione professionale, 2004 49) NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel si- stema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 50) TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003 51) VALENTE L. - D. 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Esiti del monitoraggio dei per- corsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@pcn.net Dicembre 2007

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