Le parole chiave
della
formazione professionale
A cura di
G. MALIZIA (coord.) - D. ANTONIETTI - M. TONINI
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Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma
Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@pcn.net
ottobre 2004
Coordinamento editoriale:
MALIZIA Guglielmo (Università Pontificia Salesiana, Roma), coord.
TONINI Mario (Sede Nazionale CNOS-FAP)
ANTONIETTI Daniela (Sede Nazionale CNOS-FAP)
Comitato scientifico:
PRELLEZO José Manuel (Università Pontificia Salesiana, Roma)
NANNI Carlo (Università Pontificia Salesiana, Roma)
SARTI Silvano (Università Pontificia Salesiana, Roma)
CHISTOLINI Sandra (Università “Roma Tre”, Roma)
COLOMBO Stefano (Sede Nazionale CNOS-FAP)
REGHELLIN Lucio (Sede Nazionale CNOS-FAP)
VALENTE Lauretta (Sede Nazionale CIOFS/FP)
ELICIO Angela (Sede Nazionale CIOFS/FP)
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3
SOMMARIO
PRESENTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
COLLABORATORI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
ABBREVIAZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
VOCI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
PISTE DI LETTURA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 205
INDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 214
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5
PRESENTAZIONE
Nella seduta del 15 gennaio 2004, la Conferenza Stato Regioni ha definito gli
“standard formativi minimi in un quadro di sistema, a partire da quelli relativi alle
competenze di base”
1
ed ha annunciato la stesura di un “glossario essenziale”
affidato, per l’elaborazione, ad un gruppo di lavoro costituito da esperti designati
dalle strutture tecniche del MIUR, del MLPS e delle Regioni.
Gli Enti nazionali del CNOS-FAP e del CIOFS/FP da tempo avevano avvertito
l’esigenza di mettere a punto un analogo strumento di lavoro per guidare tutti
coloro che sono interessati a comprendere l’evolversi della formazione professionale.
Tra le varie opzioni, dizionario, glossario, lessico, vocabolario, i curatori del pro-
getto hanno dato la preferenza a “parole chiave” e si sono orientati a scegliere una
gamma di voci ritenute particolarmente significative nell’attuale contesto della for-
mazione professionale. Le “parole chiave” scelte costituiscono una prima proposta
che avrà certamente bisogno di successivi approfondimenti e revisioni, data anche
la fluidità della materia e del contesto normativo legislativo di questo momento.
Il presente volume, “Le parole chiave della formazione professionale”,
insieme alle “Linee guida per la realizzazione di percorsi organici dell’istruzione e
della formazione professionale”
2
e alle “Guide per l’elaborazione di piani formativi
personalizzati” di varie comunità professionali
3
sono lo sviluppo di un organico
progetto che mira a rispondere a tre esigenze:
1) visione organica di carattere “ordinamentale” del sottosistema dell’Istruzione e
della Formazione professionale contenente l’insieme delle offerte formative e
le diverse tipologie di intervento per sostenere anche la dimensione nazionale
del sottosistema;
2) proposte di guide da mettere a disposizione dei formatori che hanno il delicato
compito di elaborare piani formativi personalizzati;
3) proposta di “parole chiave” ridefinite e aggiornate che rispondono alla necessità,
ormai avvertita in più parti, di entrare in possesso di una “grammatica comune”
1
CONFERENZA STATO-REGIONI. SEDUTA DEL 15 GENNAIO 2004, Accordo tra il Ministro dell’istruzione,
dell’università e della ricerca, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, le Regioni e le province
autonome di Trento e Bolzano, per la definizione degli standard formativi minimi in attuazione dell’ac-
cordo quadro sancito dalla Conferenza Unificata il 19 giugno 2003, repertorio atti n. 1901, Roma, 2004.
2
NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istru-
zione e della formazione professionale, Roma, Tipografia Pio XI, 2004.
3
Al momento della presente pubblicazione, il CNOS-FAP e il CIOFS/FP hanno realizzato guide per
l’elaborazione di piani formativi personalizzati delle seguenti comunità professionali: alimentazione,
aziendale e amministrativa, commerciale e delle vendite, elettrica ed elettronica, estetica, grafica e
multimediale, legno e arredamento, meccanica, sociale e sanitaria, tessile e moda, turistica e alberghiera.
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6
perché il sottosistema dei Licei e quello dell’Istruzione e della Formazione
Professionale possano capirsi.
Le Sedi Nazionali del CNOS-FAP e del CIOFS/FP ringraziano tutti gli autori
che hanno collaborato alla stesura della presente pubblicazione, alquanto faticosa
per la complessità della materia e la varietà dei temi e si augurano che anche
questa documentazione aiuti quanti sono impegnati, a vario titolo, nel processo di
riforma in atto.
Le Sedi Nazionali del CNOS-FAP e del CIOFS/FP
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7
INTRODUZIONE
Dopo anni nei quali sembrava che la parola d’ordine fosse “smantellare la
formazione iniziale”, è in corso una nuova fase da cui emerge la responsabilità di
Regioni e Province autonome nel delineare un vero e proprio sistema di Istruzione
e Formazione Professionale, finalizzato a consentire la crescita umana, professio-
nale e sociale dei cittadini. In altre parole, nel nostro Paese si sta delineando il pas-
saggio ad una impostazione che supera la prospettiva di mera “interfaccia” tra
scuola e lavoro tipica della legge-quadro 845/78 e pone la formazione professio-
nale entro una nuova prospettiva che disegna un percorso distinto da quello del-
l’istruzione, con esso integrato a livello di funzioni di sistema, a carattere graduale
e continuo, dotato di pari dignità culturale ed educativa oltre che di una precisa
fisionomia istituzionale. Si delinea un canale di formazione tendenzialmente com-
pleto dalla conclusione della scuola di base fino ai livelli di formazione superiore.
Il disegno che emerge mira a definire un percorso formativo progressivo basato
sull’intreccio di conoscenze e di competenze, nel quadro di un processo di matura-
zione personale e nel contempo di crescita culturale e professionale che procede
per livelli successivi di intervento / comprensione della realtà.
1. Impostazione generale e destinatari
Entro tale quadro, la decisione di realizzare la presente opera è stata presa
dalle Presidenze nazionali del CNOS-FAP e del CIOFS/FP e si giustifica soprat-
tutto per tre motivi.
a) Come si è appena messo in evidenza, negli ultimi anni la FP è stata raggiunta
da profondi cambiamenti e il rinnovamento dovrebbe continuare con il mede-
simo ritmo anche nel prossimo futuro. Una nuova terminologia è stata intro-
dotta, mentre una parte di quella tradizionale sta subendo processi di obsole-
scenza o sta assumendo nuovi significati. Gli operatori, e non solo loro, si
trovano spesso disorientati e non è facile intendersi anche sui termini più
comuni.
b) Un secondo motivo va ricercato nel fatto che un attento esame della letteratura
più recente in tale campo ha portato a individuare spazi scoperti per una pub-
blicazione di questo tipo.
c) Da ultimo, i due Enti promotori sono interessati a diffondere la conoscenza dei
grandi orientamenti del loro progetto formativo al di là della stretta cerchia di
quanti frequentano i loro Centri.
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Destinatari prioritari del volume sono gli operatori della FP, in particolare
quelli dei Centri del CNOS-FAP e del CIOFS/FP e gli Enti stessi. La pubblicazione
si rivolge anche ai genitori, agli amministratori e ai politici. Si spera che pure gli
studiosi della FP potranno trovare utile il volume per la chiarezza e la ricchezza
terminologica. Il taglio è prevalentemente educativo e pedagogico.
L’opera intende rispondere alle esigenze e ai criteri di una piena scientificità e
al tempo stesso costituire uno strumento concreto e operativo di lavoro. Anche se
sinteticamente, fornirà le informazioni essenziali sullo stato dell’arte in relazione
ai vari temi toccati nella presentazione delle parole chiave. Pur salvaguardando il
rigore scientifico dell’impostazione, viene usato uno stile semplice e chiaro che
eviti il ricorso a terminologie eccessivamente specialistiche.
Il volume non è una enciclopedia o un dizionario, né un glossario. Si è optato
invece per una presentazione delle parole chiave della FP in un momento in cui la
terminologia è in grande cambiamento nel senso che alcune voci stanno per cadere
nella obsolescenza, mentre altre stanno emergendo. Quindi, l’opera non intende
trattare tutti i termini che si riferiscono alla FP, ma solo quelli più significativi in
questo momento.
Nella scelta delle parole uno dei criteri più importanti è stata la particolare
rilevanza dei termini. Questi ultimi, a loro volta, provengono dalle scienze della
formazione in quanto direttamente significativi per la FP: infatti, come si è detto
sopra, ci si è voluti situare dalla parte della valenza educativa e pedagogica di
quanto viene presentato.
2. La scelta delle voci
In corrispondenza con tali premesse, l’opera offre un ventaglio dei termini
principali che descrivono la FP da diverse prospettive (filosofica, teologica, sto-
rica, antropologica, sociologica, psicologica, biologica, metodologica, giuridica,
delle scienze della comunicazione). Non manca l’attenzione ai vari contesti cultu-
rali e alla dimensione europea. Pertanto, allo scopo di assicurare un gruppo di ter-
mini veramente significativo, si è dedicata una speciale attenzione alla predisposi-
zione dell’elenco delle voci.
Come si è detto sopra, in questa operazione i parametri fondamentali di rife-
rimento sono consistiti nella prospettiva educativa, nel riferimento diretto alle
scienze della formazione, nella rilevanza dei termini per la FP. In ogni caso si è
preferito un cammino induttivo piuttosto che deduttivo.
Il primo passo è consistito nella compilazione di una lista che integrava voci
tratte da varie opere significative:
4
si voleva che la lista contenesse termini che
4
Cfr. CIOFS/FP, Un glossario per l’orientamento. Roma, Publigrafica Romana, s.a.; CNOS-FAP
e CIOFS/FP, Progetto di formazione professionale iniziale, manoscritto; ISFOL, Glossario di didattica
della formazione, Roma, Franco Angeli, 1992; PRELLEZO J.M. - C. NANNI - G. MALIZIA (Edd.),
Dizionario di scienze dell’educazione, Leumann (TO)/Roma/Torino, ElleDiCi/LAS/SEI, 1997.
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coprissero un panorama il più completo possibile. Da questo lavoro è derivata una
prima bozza costituita da 341 voci.
Alla luce dei criteri indicati sopra, è stata letta criticamente la lista iniziale di
oltre 300 voci. L’obiettivo di questo lavoro era duplice: verificare che si coprissero
tutti gli ambiti previsti e individuare eventuali nuovi termini da inserire. Si è così
arrivati al presente elenco.
Si è deciso di non elaborare una mappa delle voci, o indici tematici; piuttosto,
si sono definite alcune piste che collegano più termini e possono guidare il lettore
in percorsi logici. I percorsi previsti ruotano attorno a quattro aspetti, ciascuno
suddiviso a sua volta in ulteriori aggregazioni:
1) Pista di lettura: sistemi (Organizzazione della FP; Contesto socio-economico e
culturale della FP; Soggetti della FP).
2) Pista di lettura: dimensioni (Dimensione educativa del sistema di FP; Dimen-
sione culturale del sistema di FP; Dimensione professionale del sistema di
FP).
3) Piste di lettura: processi / funzioni (Direzione e coordinamento; Progettazione;
Docenza; Valutazione).
4) Piste di lettura: servizi (Orientamento).
3. Struttura delle singole voci
In relazione all’importanza loro riconosciuta, le parole sono state classificate
in tre categorie. La consistenza quantitativa delle voci è stata determinata in base
alla rilevanza pedagogica ed educativa degli argomenti.
Ogni voce ha di norma questa struttura: una parte introduttiva che offre una
sorta di definizione; una parte centrale che contiene le chiarificazioni principali per
capire il termine; una breve bibliografia che completa ciascuna voce e consente
ulteriori approfondimenti.
4. Indicazioni per l’uso
In generale si prende come voce ordinatrice il sostantivo, seguito da eventuali
determinazioni. Se il termine è costituito da due o più sostantivi, si prende come
voce ordinatrice il termine più specifico. Opportuni rimandi facilitano la soluzione
dei problemi che potrebbero insorgere.
I segni di rimando all’interno di un testo richiamano la voce o le voci in cui si
parla esplicitamente di un argomento. Tali rimandi rispondono a esigenze di inter-
disciplinarità. Si è cercato in ogni modo di moltiplicare tali rimandi. Il lettore, in
base ai suoi interessi di studio, di ricerca e operativi, troverà anche altre connes-
sioni. I rimandi non sono stati inseriti all’interno delle citazioni dirette (per mante-
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nere inalterata la fonte, nelle citazioni dirette, non sono state introdotte neanche le
abbreviazioni usate in altre parti del testo).
L’indice comprende anche le voci che rimandano ad altre in cui viene trattato
direttamente l’argomento in questione (i termini non definiti, sono indicati in
maiuscoletto, quelli definiti anche in neretto).
Il volume sarà collocato sui siti del CNOS-FAP (www.cnos-fap.it) e del
CIOFS/FP (www.ciofs-fp.org), dove verrà costantemente aggiornato e integrato.
Inoltre, alcune voci verranno pubblicate sulle riviste dei due Enti: “Rassegna
CNOS” e “Città CIOFS”.
Infine, per approfondimenti relativi al tema dell’orientamento, è possibile con-
sultare il testo Un glossario per l’orientamento, curato dal CIOFS/FP, disponibile
sia in volume che sul sito del CIOFS/FP.
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COLLABORATORI
ALLULLI Giorgio (ISFOL)
ANTONIETTI Daniela (Sede Nazionale CNOS-FAP; Università Pontificia Salesiana -
Roma)
BECCIU Mario (Associazione Italiana Psicologia Preventiva)
BISSOLI Cesare (Università Pontificia Salesiana - Roma)
BOCCA Giorgio (Università del S. Cuore di Milano)
CANGIÀ Caterina (Università Pontificia Salesiana - Roma)
CATANIA Carlo (Università Cattolica di Brescia)
CHANG H. C. Ausilia (Università “Auxilium” - Roma)
CHISTOLINI Sandra (Università “Roma Tre” di Roma)
COLASANTI Anna Rita (Associazione Italiana Psicologia Preventiva; Università
Pontificia Salesiana - Roma)
COLASANTO Michele (Università Cattolica - Piacenza)
COLOMBO Stefano (Sede Nazionale CNOS-FAP)
D’AGOSTINO Roberta (ISFOL)
D’AGOSTINO Sandra (ISFOL)
DEL CORE Giuseppina (Università “Auxilium” - Roma)
DE PIERI Severino (Scuola Superiore Internazionale di Scienze della Formazione -
Venezia)
DI AGRESTI Carmela (Libera Università Maria SS. Assunta - Roma)
FEDRIGOTTI Giovanni (Università Pontificia Salesiana - Roma)
FELICE Alessandra (ISFOL)
GATTI Guido (Università Pontificia Salesiana - Roma)
GENTILI Claudio (Confindustria; Università di Siena; Università di Venezia)
GHERGO Fulvio (ISFOL)
MALIZIA Guglielmo (Università Pontificia Salesiana - Roma)
MARSILII Enrica (ISFOL)
MION Renato (Università Pontificia Salesiana - Roma)
MONTEDORO Claudia (ISFOL)
MORANTE Giuseppe (Università Pontificia Salesiana - Roma)
NANNI Carlo (Università Pontificia Salesiana - Roma)
NICOLI Dario (Università Cattolica - Brescia)
ORLANDO Vito (Università Pontificia Salesiana - Roma)
PAGGI Rossella (Sede Nazionale CNOS-FAP)
PAVONCELLO Daniela (ISFOL)
PELLEREY Michele (Università Pontificia Salesiana - Roma)
PIERONI Vittorio (Università Pontificia Salesiana - Roma)
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12
PIZZINI Ida (Sede Nazionale CNOS-FAP)
POLÁÈEK Klement (Università Pontificia Salesiana - Roma)
PRELLEZO Josè Manuel (Università Pontificia Salesiana - Roma)
PUGLIESE Silvio (Università di Trento)
RANSENIGO Pasquale (Sede Nazionale CNOS-FAP)
REGHELLIN Lucio (Sede Nazionale CNOS-FAP)
STENCO Bruno (Università Pontificia Salesiana - Roma)
TONINI Mario (Sede Nazionale CNOS-FAP)
TOSO Mario (Università Pontificia Salesiana - Roma)
TRENTI Zelindo (Università Pontificia Salesiana - Roma)
VALENTE Lauretta (Sede Nazionale CIOFS/FP)
VETTORATO Giuliano (Università Pontificia Salesiana - Roma)
ZANNI Natale (Università Pontificia Salesiana - Roma)
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13
ABBREVIAZIONI
A. Autore
art. articolo
bibl. bibliografia
ca. circa
cap. capitolo
CCNL Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro
CEE Comunità Economica Europea
cfr. confronta
CFP Centro di Formazione Professionale
CIOFS/FP Centro Italiano Opere Femminili Salesiane / Formazione Professionale
CNOS-FAP Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale
D.L. Decreto Legge
D. Lgs. Decreto Legislativo
D.M. Decreto Ministeriale
D.P.R. Decreto del Presidente della Repubblica
Ed. Editore (curatore)
Edd. Editori (curatori)
ediz. edizione
educ. educazione
es. esempio
etim. etimologia
enc. Enciclica
formaz. formazione
fr. francese
FP Formazione Professionale
FPI Formazione Professionale Iniziale
Ibid. Ibidem
ID. IDEM, dello stesso autore
ingl. inglese
INPS Istituto Nazionale Previdenza Sociale
ISFOL Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori
istruz. istruzione
L. Legge
L.R. Legge regionale
MIUR Ministero Istruzione Università e Ricerca
MPI Ministero della Pubblica Istruzione
n. numero
nn. numeri
OCSE Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico
ped. pedagogia
s. santo
S. A. Senza Autore
s.d. senza data
sec. secolo
ss. seguenti
ted. tedesco
tit. titolo
UE Unione Europea
UNESCO United Nations Educational Scientific and Cultural Organization
vol. volume
voll. volumi
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15
VOCI
ABBANDONO
L’a. della scuola, genericamente degli studi, da parte di chi dovrebbe invece fre-
quentarla, per obbligo, per diritto, per dignità, è un dato costante nelle statistiche
mondiali ed è un fenomeno che interessa sempre di più studiosi e cultori dell’
educ. che s’interrogano sullo stato della selezione scolastica, in rapporto alle inno-
vazioni curricolari e alle riforme di sistema.
1. L’a. è conseguenza di carenze familiari, disfunzioni sociali, processi psicologici,
inadempienze strutturali, negligenze culturali, e interessa soprattutto i maschi, il
Sud d’Italia, le famiglie con basso reddito, i figli di genitori professionalmente
dequalificati, il passaggio dalla prima alla seconda classe di scuola secondaria (15
su 100 abbandonano) (cfr. Servizio Informativo del MPI, giugno 2000). La demo-
tivazione agli studi dell’adolescente rappresenta il momento finale e più evidente
dell’insorgenza del fenomeno, senza costituirne la ragione principale. Coloro i
quali decidono, più o meno consapevolmente, di uscire dalla scuola e di non prose-
guire negli studi (i cosiddetti drop-out), secondo le carriere predefinite dal sistema
dell’educ., sono testimonianza dell’incapacità dell’istituzione di far vivere i ra-
gazzi al suo interno, ma sono anche la prova del fallimento dei tentativi dei ragazzi
di rimanere a scuola. L’Indagine campionaria sulla dispersione scolastica nelle
scuole statali (MIUR 2002) registra per il 2000/01 gli a., calcolando gli alunni non
valutati agli scrutini finali, per valori percentuali sugli iscritti, pari a 0,07% per
l’elementare a 0,31% per la media e a 4,19% per la superiore; i corrispondenti
dati per il 2001/02 sono pari a 0,08% (elementare), a 0,33% (media) e a 4,61%
(superiore): il fenomeno è in lieve incremento.
2. Le scienze dell’educazione assegnano all’analisi multifattoriale la definizione
delle cause intorno alla persistenza del dato. L’a., quando contenuto e in diminu-
zione, si interpreta come disfunzione fisiologica del sistema, e le cause dell’uscita
dal circuito formativo sono attribuite anche alla intraprendenza economico-cultu-
rale dei giovani e alla svalutazione del titolo di studio nella dinamica domanda-
offerta di lavoro. Un’altra valutazione del fenomeno dell’a. emerge dalle
ricerche che considerano i dati del successo scolastico in termini di punteggio e
di superamento dei gradi scolastici da parte degli studenti, con qualche accenno
al peso della componente insegnante che, comunque, incide sulla carriera studen-
tesca. Quest’ultima prospettiva di lettura del dato empirico e statistico va ricon-
dotta alla variabile economico-culturale che determina l’andamento dell’a. e de-
finisce le forme e le strutture dell’emarginazione scolastica e dell’ esclusione
sociale.
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16
Bibl.: MALIZIA G. - S. CHISTOLINI (Edd.), Drop-out non più. L’abbandono nel biennio a Verona.
Un’indagine e una sperimentazione, Roma, LAS, 1985; CHISTOLINI S., Interventi metodologici per
adolescenti poco motivati allo studio, in “Rassegna CNOS” 16 (2000)1, 48-61; SERVIZIO INFORMATIVO
DEL MPI, La dispersione scolastica: una lente sulla scuola, in www.istruzione.it, giugno 2000; VISAL-
BERGHI A., “Riflessioni su attualità e urgenze in materia formativa”, in L. CORRADINI (Ed.), Peda-
gogia: Ricerca e Formazione. Saggi in onore di Mauro Laeng, Roma, Seam, 2000, 83-101.
S. Chistolini
ABILITÀ
Il termine a. indica il patrimonio di intelligenza applicata da parte di un individuo
che gli consente di svolgere attività mentali (ad es., un calcolo) e pratiche (l’utilizzo
di uno strumento di lavoro), patrimonio riferito ad una dotazione genetica iniziale
ed acquisito tramite interazioni con il contesto formativo. L’espressione ha soprat-
tutto una valenza nelle scienze psicologiche, dove indica, assieme alle attitudini che
ne rappresentano l’aspetto potenziale, la componente attiva dell’intelligenza intesa
come costrutto multidimensionale. Nelle scienze dell’educaz., l’a. può essere intesa
come esito di un processo di apprendimento (concezione particolaristica), op-
pure come una componente del processo di acquisizione della competenza
necessariamente connessa ad altre (conoscenze, capacità), attraverso opportunità
strutturate, collocate entro un contesto reale e dotato di senso (concezione olistica e
sociale).
1. Nella letteratura si nota spesso una sovrapposizione tra i termini a., capacità,
attitudine, conoscenze e competenze, spesso usati come sinonimi. Ciò crea una
discordanza di fondo che spesso si riscontra anche nelle singole definizioni. Il
termine a. è solitamente distinto da quello di attitudine. Mentre quest’ultima indica
le predisposizioni innate nel soggetto, l’a. rappresenta uno degli esiti di un proces-
so molteplice di stimoli, costituito da un intreccio di corredo genetico, apprendi-
mento entro un ambiente familiare, acquisizione in un ambiente scolastico o ap-
prendimento nella vita quotidiana o nel contesto di lavoro. Nelle scienze pedago-
giche, l’a. è intesa come un requisito specifico dell’apprendimento, che rende la
persona autonoma nell’affrontare una parte di un compito, anche se non ancora
tale da costituire una vera e propria competenza. L’a., assieme alla conoscenza e
alle capacità personali rappresenta quindi un requisito necessario nel processo di
formaz. della competenza, unica condizione che consente all’individuo di essere
effettivamente autonomo nello svolgere un compito connesso ad un ruolo sociale.
2. Le a. sono raggruppate in una struttura gerarchica, che prevede al vertice l’a.
generale, corrispondente all’intelligenza generale, i fattori di gruppo (verbale, nu-
merica, spaziale, ecc.) e le a. specifiche. A sua volta, l’a. generale viene suddivisa
in due categorie: a) cristallizzata, quando rappresenta il risultato dell’interazione
con l’ambiente formativo, e quindi sviluppata mediante percorsi di apprendmento
formali, strutturati e fondati su sequenze prestabilite di algoritmi; b) fluida, che si
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forma solitamente negli ambienti informali e non formali dove prevale il processo
euristico e lungo itinerari spesso imprevedibili. Con il prevalere nelle scienze
umane del paradigma olistico, si nota la tendenza a valorizzare tutte le acquisizioni
che la persona è in grado di palesare, siano esse il prodotto di attività formali, in-
formali o non formali. Nella recente letteratura, si manifesta un interesse partico-
lare per le a. mentali e cognitive. L’a. in senso cognitivo non è un semplice fare,
ma implica anche il perché e la causa delle azioni che si effettuano. Ciò comporta
conseguenze importanti rispetto al processo di apprendimento. Infatti, le a. men-
tali, appartenenti all’a. generale, sono influenzate fortemente dal contesto fami-
liare, e sono predittive della riuscita scolastica e professionale dell’individuo che
le possiede. Esiste quindi una stretta relazione tra il tipo di intelligenza, il livello di
istruz. e la professione; tale relazione comporta fenomeni di differenziazione e
di selezione negli ambienti di apprendimento formali: scolastici, formativi, accade-
mici. Nello stesso modo, le a. sociali indicano il patrimonio di relazionalità e di co-
municatività di cui è dotato l’individuo; si tratta di un’espressione simile a quanto
nella sociologia viene inteso con l’espressione “capitale sociale”, ovvero la dota-
zione di conoscenze e a. spendibili nel mercato del lavoro, ma anche la rete di
relazioni personali di cui il soggetto dispone e che ne accresce la riconoscibilità.
Bibl.: POLÁÈEK K., Componenti psicologiche del processo di orientamento, in “Orientamento Sco-
lastico e Professionale”, 1-2 (1977), 53-70; DE BENI R. - A. MOÈ, Motivazione e apprendimento,
Bologna, Il Mulino, 2000; AA.VV., Il capitale sociale. Istruzioni per l’uso, Bologna, Il Mulino,
2001; BERTAGNA G., Verso i nuovi piani di studio, in “Annali dell’Istruzione, n. speciale Stati Gene-
rali dicembre 2001”, 1-2, 2001, 246-277; CASTELLI C. (Ed.), Orientamento in età evolutiva, Milano,
Franco Angeli, 2002; POLÁÈEK K., “Abilità”, in CIOFS/FP (Ed.), Un glossario per l’orientamento,
Roma, Publigrafica Romana, s.d., 1-2.
D. Nicoli
ACCOGLIENZA
L’a. è, anzitutto, un atteggiamento che consiste in una disposizione o attitudine atta
a facilitare l’integrazione e l’inserimento in un contesto sociale, formativo, educati-
vo: come tale comporta reciprocità. In secondo luogo, l’a. è un costrutto dell’
orientamento, che facilita il percorso di costruzione dell’ identità e la dinamica
della decisione in ordine alle scelte che riguardano il progetto di vita e l’inserimen-
to sociale e lavorativo. Infine, l’a. è un percorso formativo, sovente modulare, che
si prefigge obiettivi e pone in atto strategie di avvio di processi finalizzati alla co-
struzione di un profilo professionale personalmente perseguito. Applicata alla FP,
l’a. è una metodologia pedagogica che prevede non solo obiettivi e strategie di in-
serimento iniziale, ma soprattutto un atteggiamento che i docenti e i formatori
assumono lungo l’intero percorso formativo, con attenzione all’allievo e apertura al
dialogo educativo. Sarebbe, infatti, riduttivo e pedagogicamente errato utilizzarla
solo all’inizio del percorso, anche se, in quanto tale, costituisce la prima fase di un
processo formativo / orientativo esteso a tutta la vita (long life learning).
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1. Percorso o progetto di a. e sue finalità. L’a. è essenzialmente finalizzata alla
ricostruzione delle motivazioni personali e della storia pregressa in modo che
l’allievo sottoscriva consapevolmente e attui con successo un patto formativo. Le
finalità dell’a. sono: a) analizzare i bisogni individuali e di gruppo; b) acquisire
informazioni sulle caratteristiche e sulle motivazioni degli allievi o la chiarifi-
cazione delle scelte; c) chiarire il percorso orientativo e formativo in rapporto alle
aspettative individuali; d) promuovere la conoscenza delle modalità di ingresso nei
percorsi di istruzione e FP; e) chiarire gli obiettivi formativi delle qualifiche scelte;
f) favorire la conoscenza e l’inserimento nelle iniziative formative e culturali pro-
poste dal progetto educativo della struttura formativa.
2. Tappe del percorso di a. Il percorso di a. prevede le seguenti tappe, con succes-
sione modulare: a) socializzazione: gli allievi sono facilitati a familiarizzare con
l’ ambiente e con il personale educativo, didattico-formativo, si conoscono reci-
procamente ed instaurano una buona dinamica di gruppo; b) verifica delle attese
degli utenti: attraverso questionari di ingresso sono analizzate attese e aspettative
nei riguardi della qualifica prescelta; sono utili anche test motivazionali il cui esito
sarà restituito e discusso insieme al gruppo degli allievi; c) analisi e ricostruzione
delle esperienze, conoscenze e competenze che l’allievo possiede allo scopo
di instaurare un percorso formativo personalizzato. Il percorso di a. si conclude
con la conoscenza, la riflessione e gli scambi in gruppo sul patto formativo che si
sottoscrive.
3. Modalità di realizzazione dell’a. L’a., può essere svolta a livello di gruppo, o a
livello individuale attraverso colloqui di consulenza e orientamento, o mediante
l’utilizzo di test psicoattitudinali ad opera di orientatori specializzati. Nel percorso
di a. i formatori e i docenti che seguono il percorso formativo sono coadiuvati dai
coordinatori delle attività orientative e dagli orientatori di percorso o tutor.
Anche i genitori, per quanto possibile, sono coinvolti non solo per essere informati
del percorso formativo, ma soprattutto per offrire la loro attiva collaborazione
perché gli allievi siano attivi nella FP.
Bibl.: ANDRIOLO G. - M. CONSOLINI, Progettare l’accoglienza, Milano, Franco Angeli, 2000; CALA-
MINICI P., Accoglienza, orientamento, patto formativo: un percorso possibile?, in “Percorsi”, (2000),
28-30; CNOS-FAP (Ed.), Accreditamento della sede orientativa, Roma, Tipografia Pio XI, 2002,
77-84; CIOFS/FP, Un modello per la gestione dei servizi di orientamento, Roma, CIOFS/FP, 2002,
82-90.
S. De Pieri
ACCOMPAGNAMENTO AL LAVORO
L’a.a.l. è definibile come un’azione consulenziale personalizzata, assicurata da
tecnici specializzati, per facilitare l’inserimento lavorativo ( accompagnamento
al lavoro) di soggetti che intendono entrare nella vita lavorativa, come lavoratori
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autonomi o imprenditori o come lavoratori dipendenti. L’espressione è stata co-
niata solo recentemente: non si trova, infatti, ancora, nella legislazione nazionale e,
in quella regionale, è presente solo in due provvedimenti: uno della Regione Lazio,
che riguarda il diritto al lavoro delle persone disabili (L.R. 19, del 21.7.2003),
l’altro della Regione Puglia relativo alla politica del lavoro e dei servizi per
l’impiego (L.R. 19, del 5.5.1999). Frequente l’uso nei documenti di natura pro-
grammatoria e nei progetti formativi integrati.
1. Ambiti. L’a.a.l. trova due declinazioni operative fondamentali, nei processi
formativi e in quelli orientativi. Nella prima, rappresenta una fase (normalmente
quella conclusiva) di un percorso di FP; i beneficiari sono esclusivamente gli
allievi che partecipano all’intervento formativo. Nella seconda, è un servizio,
accanto ad altri, reso da strutture di orientamento e di inserimento lavorativo ed
è potenzialmente rivolto a tutti i target di riferimento della struttura stessa. Nel
primo caso, inoltre, l’a.a.l. avrà come riferimento un determinato settore econo-
mico (quello per il quale sono state acquisite nel percorso formativo specifiche
competenze); nel secondo, invece, l’a.a.l. è tendenzialmente aperto a tutte le op-
portunità occupazionali/imprenditoriali di tutti i settori economici in un determi-
nato territorio. Particolarmente diffusi sono i percorsi guidati e individualizzati di
inserimento lavorativo di persone svantaggiate (da tenere presente che i cittadini
disabili possono usufruire dell’inserimento mirato e mediato previsto dalla
L. 68/99). Naturalmente nell’uno e nell’altro caso, l’a.a.l. verrà realizzato in una
pluralità di modalità ed articolazioni a seconda della tipologia di target (età, scola-
rità, eventuale presenza di handicap o situazioni di disagio, ecc.) del territorio e,
dato l’alto livello di personalizzazione, delle specificità delle singole persone.
2. Percorsi. Possiamo comunque descrivere i percorsi “base” in queste sequenze.
L’a.a.l. dipendente prevede: a) acquisizione di competenze: conoscenze sulla nor-
mativa e sulle procedure di carattere burocratico relative al lavoro dipendente,
fonti e tecniche per la ricerca delle informazioni sulle disponibilità settoriali/terri-
toriali, tecniche per l’autopromozione (inserzioni, presentazione di candidature,
colloqui di lavoro); b) progetto di un percorso di ricerca e sua validazione;
c) esecuzione del progetto di ricerca, anche con la possibilità di stage/ tirocinio.
L’a.a.l. autonomo (o imprenditoriale) prevede: a) verifica della vocazione all’im-
prenditorialità; b) definizione di una idea imprenditoriale (business idea) e sua va-
lidazione; c) elaborazione di un piano d’impresa e verifica di fattibilità; d) realizza-
zione del piano d’impresa. Nei processi orientativi c’è una fase preliminare finaliz-
zata ad una comprensione delle proprie propensioni e possibilità (anche mediante
un bilancio di competenze), ad aumentare il livello di autostima, e, se necessario,
ad azioni di rimotivazione.
3. Accompagnatori. Per quanto attiene la figura dell’accompagnatore oltre, natu-
ralmente, a possedere le conoscenze di carattere disciplinare per espletare i propri
compiti, deve adottare uno stile lavorativo ispirato ad un criterio fondamentale: la
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centralità del soggetto assistito e il suo ruolo attivo in tutto il percorso di a.a.l.
L’ operatore, infatti, offre solo un intervento consulenziale, anche se importante.
Non si sostituisce mai al suo assistito nelle scelte da compiere, nelle responsabilità
da assumere e nei progetti da elaborare. Supporta, cioè, l’assistito, non opera per
suo conto. Pertanto deve aiutarlo nel maturare la consapevolezza sia dei propri
bisogni, aspirazioni e attitudini, dei propri valori e motivazioni, delle proprie
risorse e capacità, in relazione alle scelte che si intendono fare, sia delle oppor-
tunità, e dei vincoli dell’ ambiente e del settore lavorativo in cui intende inse-
rirsi. Deve, inoltre favorire e sollecitare: l’assunzione di un atteggiamento attivo
di ricerca delle informazioni in rapporto a ciascuna delle possibili alternative a
disposizione, l’acquisizione di una capacità di mettersi in discussione in ogni
momento e di fronte a qualsiasi posizione da prendere, l’assunzione di un atteg-
giamento critico nei confronti delle pressioni e dei condizionamenti socio-am-
bientali.
Bibl.: DEL COGLIANO D., Il business plan nelle imprese di servizi, Milano, Franco Angeli, 1993; ELVY
B.H., Mettersi in proprio senza capitali: 100 nuove idee e opportunità, come valutarle e selezionarle,
Milano, Franco Angeli, 1994; MISSIONI DI SVILUPPO, Vademecum per l’imprenditore: dal sogno al-
l’idea imprenditoriale, Roma, Società per l’imprenditorialità giovanile, 1995; NAVA B. - N. GIACONI,
Come trovare il lavoro che piace, Provincia di Arezzo, Siena, Pistoia, Grosseto, 1995; PASSERINI W.,
Il Trovalavoro. Le “pagine gialle” del lavoro. Tutto (ma proprio tutto) quello che serve per trovare o
cambiare lavoro, Milano, Franco Angeli, 1996; ASSEFOR, Il neo-imprenditore: manuale operativo per
mettersi in proprio, Rimini, Assefor, 1997; DE BENEDETTIS A. - G. MINGOLLA - A. SCACCHERI (Edd.),
Come fare un business plan, Milano, Sperling & Kupfer, 1997; MARSILII E., Guida per l’accompa-
gnamento al lavoro dipendente, Roma, Tipografia Pio XI, 2003.
F. Ghergo
ACCREDITAMENTO
Il termine a. è comunemente utilizzato in due accezioni: la prima, essenzialmente
sociale, connessa all’a. di persone (diplomatici, giornalisti, funzionari), ovvero mi-
rante a rendere evidente la loro credibilità agli occhi dell’istituzione accreditante;
la seconda, essenzialmente tecnica, si riferisce all’a. di laboratori di misura e prova
o di altre istituzioni, ovvero tesa a rendere evidente il possesso di requisiti e carat-
teristiche prestabilite per esercitare un’attività definita. Nel primo caso, non esiste
un processo formalizzato o criteri universalmente condivisi, nel secondo esiste un
impianto normativo di riferimento. L’a. può essere definito come riconoscimento
formale, attraverso verifica (normalmente di parte seconda), ad un ente / orga-
nizzazione / persona, del possesso dei requisiti richiesti per esercitare uno speci-
fico ruolo o svolgere una specifica attività. È utilizzato in molti Paesi nei servizi
pubblici, per fornire garanzie alla pubblica amministrazione e alla collettività circa
la capacità delle organizzazioni di fornire servizi qualitativamente accettabili. In
Italia la diffusione è relativamente recente e riguarda prevalentemente i settori
della sanità e della FP.
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1. A. nella FP. Nella FP, l’a. si è focalizzato (in Italia e in Europa) principalmente
sulla verifica delle capacità qualitative delle organizzazioni formative; in questa
ottica, l’a. dovrebbe consentire ad una “parte seconda” (cliente / committente) l’ac-
certamento delle capacità organizzative, tecniche e gestionali per la produzione e il
mantenimento di livelli di qualità adeguati e sostenibili.
2. Approcci utilizzati in Europa. A livello europeo sono stati sperimentati diversi
approcci: a) Uso di standard minimi di qualità, fissati e utilizzati dal committente
per valutare processi e servizi (organizzazione, processi operativi, prodotti formativi,
situazione finanziaria, rapporto di lavoro); b) Standard qualità nazionali, è stato svi-
luppato in diversi Paesi del Nord Europa e consiste nello sviluppo di uno standard
nazionale sulla qualità della FP che normalmente armonizza standard e norme esistenti;
c) Adeguamento del “Sistema qualità” alla ISO 9000 ed eventuale certificazione,
costituisce un punto di arrivo degli standard nazionali e di quelli proposti dalle asso-
ciazioni. La sua diffusione è anche dovuta alla possibilità di utilizzare la certificazio-
ne di parte terza del sistema qualità in ISO 9001 e si è accentuata con l’emanazione del-
la ISO 9000:2000; d) Adattamento del modello E.F.Q.M. (European Foundation for
Quality Management) alla formazione, si riferisce ad un modello descrittivo ma quan-
titativo, che delinea una prassi gestionale della qualità definita dai principi del T.Q.M.
(Total Quality Management) Il modello E.F.Q.M. è strutturato in 9 elementi, ognuno
dei quali ha un peso nella determinazione del punteggio finale. Qualsiasi approccio si
utilizzi, l’a. presuppone la definizione di una logica che stabilisca “cosa si accredita”,
ovvero i requisiti generali e specifici da soddisfare, il procedimento da utilizzare, i
ruoli coinvolti, le competenze necessarie e gli standard di riferimento per verificare il
livello di possesso dei requisiti.
Bibl.: E.F.Q.M., Linee guida per l’autovalutazione, Bruxelles, European Foundation for Quality
Management, 1994; CONTI T., Autodiagnosi organizzativa. Il self assessment: una via verso l’eccel-
lenza organizzativa, Milano, Sperling & Kupfer Editori, 1997; CAPELA C., Systéme d’accreditation
des organismes de formation. Origine, objectifs et méthodologie du système d’accreditation, CE-
DEFOP, 2000; PUGLIESE S., L’accreditamento interno come approccio per l’eccellenza qualitativa
nella Formazione CNOS-FAP, in “Rassegna CNOS”, 3 (2001)17, 11-31; PUGLIESE S., L’accredita-
mento delle sedi formative secondo l’art. 17 della L. 196/97: modelli a confronto, in “Rassegna
CNOS”, 3 (2002)18, 40-51.
S. Pugliese
ADATTAMENTO
Ambiente
ADDESTRAMENTO
FP; Formazione; Competenza; Ispirazione cristiana della FP
AGGIORNAMENTO
FP continua; Enti di FP; Lavoro
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ALTERNANZA
Alternanza formazione lavoro; Apprendistato
ALTERNANZA FORMAZIONE LAVORO
L’a. scuola-lavoro è una modalità didattica, non costituente rapporto di lavoro,
realizzata nell’ambito dei percorsi di istruzione o di FP, anche integrati, quale ef-
ficace strumento di orientamento, preparazione professionale e inserimento nel
mondo del lavoro. Essa si realizza attraverso esperienze in contesti lavorativi che
devono essere adeguati all’ accoglienza e alla formaz.
1. Tendenze e rilievi critici. L’a. scuola-lavoro è un nuovo modo di concepire la
cultura e il ruolo formativo dell’ impresa. Essa costituisce una combinazione di
preparazione scolastico/formativa e di esperienze assistite sul posto di lavoro,
predisposte con la collaborazione del mondo dell’impresa per mettere in grado gli
studenti di acquisire attitudini, conoscenze e abilità per l’inserimento e lo
sviluppo della loro professionalità. L’a.f.l. nasce dal superamento della separa-
zione tra momento formativo e momento applicativo e si basa su una concezione
dell’ educ. in cui educ. formale, informale ed esperienza di lavoro si combi-
nano in un unico progetto formativo. Gli studenti di almeno 15 anni di età pos-
sono svolgere i corsi del secondo ciclo attraverso l’a.f.l. di periodi di studio e di
lavoro. I percorsi in a.f.l. sono progettati e attuati sotto la responsabilità della
scuola o del CFP, sulla base di convenzioni con le imprese o con le rispettive
associazioni di rappresentanza. Nell’a.f.l., il sistema tutoriale è funzionale al
progetto educativo e tale assistenza è svolta dal tutor formativo e dal tutor
aziendale. Quest’ultimo favorisce l’inserimento dello studente nel contesto opera-
tivo e fornisce all’istituzione scolastica gli elementi per valutare l’ efficacia dei
processi formativi.
2. Tipi di a.f.l. Il concetto di a.f.l. conserva un certo grado di ambiguità dato che
si riferisce contemporaneamente a pratiche diverse. Possiamo distinguere in
Europa quattro tipi di a.f.l.: 1) pratiche di a.f.l. come formaz. di seconda oppor-
tunità per soggetti in difficoltà scolastica; 2) pratiche orientate a socializzare gli
studenti alla loro futura condizione lavorativa; 3) pratiche che assegnano all’eser-
cizio concreto dell’attività professionale il ruolo principale della formaz.; 4) pra-
tiche di a.f.l. formalizzate sotto un contratto lavorativo. Possiamo definire le
prime tre pratiche come a. scolastica, dato che i soggetti coinvolti sono studenti,
mentre nel quarto caso possiamo parlare di a. lavorativa, dato che i giovani sono
al tempo stesso lavoratori presso un’impresa e allievi presso un CFP. L’a. scola-
stica è regolata dalla L. 53/03, mentre l’a. lavorativa o apprendistato viene disci-
plinata dalla L. 196/97 e dalla L. 30/03. Questi elementi di differenza e di com-
plessità si estendono ulteriormente se compariamo fra loro i diversi Paesi del-
l’UE: infatti della formaz. in a.f.l. possono essere responsabili una scuola, un CFP
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o un’impresa, possono essere o meno formalmente previsti nei percorsi e curricoli
formativi nazionali, riconoscere un ruolo differente alle agenzie pubbliche di
istruz. o alle imprese, fondarsi su forme diverse di validazione, enfatizzare il
ruolo del diploma o costruire nuovi meccanismi di certificazione ( certifi-
cazione degli apprendimenti) sulla base di competenze standardizzabili, trasfor-
mare le procedure di ingresso al lavoro oltre che intervenire sui meccanismi di so-
cializzazione professionale. La diffusione di modelli di a.f.l. è parte integrante
delle politiche educative europee. Lo stesso “Memorandum Europeo sull’istru-
zione e la formazione permanente” indica come obiettivo generale l’avvici-
namento fra scuola e impresa in quanto luoghi di acquisizione di conoscenze
complementari.
Bibl.: AA.VV., Alter-form - L’alternanza formazione lavoro e i bisogni di professionalità nelle
imprese, Roma, Sipi, 1998; CARTOCCIO A. - D. FORTI - G. VARCHETTA, Action learning: una
formazione oltre l’aula, Milano, Unicopli, 1998; GARDNER H., Sapere per comprendere, Milano,
Feltrinelli, 1999; DI NUBILA R., “L’alternanza studio/lavoro come prima esperienza di formazione
umana e professionale”, in R. DI NUBILA (Ed.), Formazione umana e formazione professionale, Pisa,
I.E.P.I., 2000; GENTILI C., Conoscere e competere, in “Nuova Antologia”, 137 (2002), 2221; GENTILI
C. Scuola e extrascuola, Brescia, La Scuola, 2002.
C. Gentili
AMBIENTE
Il termine a. ha una pluralità di accezioni. Esse rimandano tanto a condizioni fisiche
esterne ad un organismo, quanto all’insieme delle componenti biologiche, sociali,
culturali di un determinato sistema organizzativo. Le coordinate spazio-temporali,
esito dell’incessante dialettica di trasformazione e di adattamento sia degli elementi
fisico-geografici (cosmo fisico), sia di quelli umani della civiltà, della cultura, dei
vissuti individuali e collettivi (cosmo culturale-spirituale), sono componenti struttu-
rali dell’a.
Dal punto di vista educativo, l’a. è il contesto dove si realizzano processi e per-
corsi formativi del soggetto. La riflessione sulla sua valenza educativa è nata tardi.
Oggi il tema è particolarmente sentito per tre ordini di ragioni: a) migliorare le
conoscenze circa l’incidenza condizionante/decondizionante dell’a. sui processi
di apprendimento e di socializzazione (problema connesso con quello delle
uguaglianze di opportunità formative e di democratizzazione della società); b)
esigenze di educaz. ambientale che estrapoli nuove variabili, da quelle naturali
– soggette a manipolazioni fuori controllo –, a quelle dell’a. artificiale oggettivo –
enormemente ampliato dallo sviluppo tecnologico, e influente sui processi mentali,
sulle modalità apprenditive e sulle dinamiche relazionali –, c) riconoscimento dei
contesti lavorativi come luogo di apprendimento continuo, ove l’obiettivo del
miglioramento coincide con la gestione della conoscenza e la circolarità tra cono-
scenza scientifica, tecnica e pratica.
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Bibl.: POSTMAN N., Ecologia dei media, Roma, Armando, 1981; LAENG M., L’educazione nella
società tecnologica, Roma, Armando, 1984; GENNARI M., Pedagogia degli ambienti educativi, Roma,
Armando, 1988.
C. Di Agresti
AMBIENTE EDUCATIVO
Ambiente; Comunità educativo-formativa
ANALISI DEI FABBISOGNI PROFESSIONALI E FORMATIVI
Bisogni formativi
APPRENDIMENTO
Il concetto di a. è assai vasto e complesso. È difficile darne una definizione com-
prensiva che sia accettata da tutti gli studiosi. Limitando la considerazione ai pro-
cessi che sono normalmente presenti nel contesto delle attività formative, l’a. si
può definire come un’acquisizione significativa, stabile e fruibile di cono-
scenze, abilità, comportamenti, atteggiamenti, valori. Oggi si insiste sulla ne-
cessità di promuovere anche la capacità di valorizzare tali risorse nell’agire quoti-
diano, in particolare professionale, che deriva dall’esercizio pratico e da altre
forme di esperienza, tenuto conto delle caratteristiche personali di maturità e di
intelligenza. In una parola si tratta di sviluppare vere e proprie competenze,
intese come capacità di attivare e orchestrare le risorse interne possedute, e quelle
esterne disponibili, per affrontare efficacemente determinate tipologie di situazioni
sfidanti.
1. Caratteristiche delle acquisizioni. I processi di a. promossi dalle attività forma-
tive dovrebbero, dunque, condurre ad acquisizioni che possiedano alcune caratteri-
stiche fondamentali. La prima di esse è la significatività. Gli elementi conoscitivi
sono effettivamente compresi a un adeguato livello di profondità, tenuto conto del-
l’età e del percorso formativo seguito. Forme di acquisizione solamente ripetitive,
non sufficientemente dominate, rimangono rigide e non facilmente collegabili a si-
tuazioni diverse da quelle nelle quali sono state acquisite. La seconda caratteristica
implica che tali conoscenze entrino a far parte del patrimonio stabilmente disponi-
bile nella memoria a lungo termine dello studente. La costituzione di una base di
conoscenze ben organizzata, che permetta un facile accesso, significa fornire prin-
cipi organizzatori adeguati e abilità puntuali nel valorizzare tale organizzazione per
individuare agevolmente il concetto o l’abilità in gioco. La terza caratteristica è la
fruibilità. Cioè le conoscenze e le competenze già fatte proprie sono facilmente
messe in moto e trasferite da un contesto all’altro. A partire dagli anni ‘80, anche
sulla spinta delle teorie cognitive sviluppatesi nei due decenni precedenti, sono
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state introdotte terminologie differenti rispetto alla dizione tradizionale “transfer
dell’a.”; così sono stati studiati i processi di ragionamento analogico e metaforico,
d’induzione, di costruzione e di utilizzazione di schemi, di meta-cognizione. Gli
approcci socio-culturali hanno evidenziato, poi, la costruzione di categorie inter-
pretative e schemi operativi derivanti dall’interazione attiva dei soggetti in una
comunità di pratiche, interazione che forma, facilita e sollecita tali trasferimenti.
2. Acquisizione e crescita della competenza. Ma il patrimonio interiore che forma
la base di partenza della messa in campo della competenza non è solo formato da
conoscenze e abilità, bensì da tutto il sistema complesso che forma il sé e quindi
il concetto di sé, l’autostima, gli interessi, i valori, le motivazioni, la capacità
di persistenza e di resistenza nel lavoro, ecc. Di qui la necessità di insistere sui
processi di a. e di trasformazione di disposizioni interiori stabili, come sistemi di
significato, valori, motivazioni, volizione, ecc. Se l’acquisizione e la crescita delle
competenze è legata alla costruzione di conoscenze e abilità significative, stabili
e fruibili e allo sviluppo di disposizioni interiori valide e feconde, è, tuttavia, la
pratica, l’esercizio che ne sta alla base. Si tratta di vere e proprie forme di appren-
distato sia cognitivo, sia pratico. Si tratta, in definitiva, di apprendere da modelli
attraverso il meccanismo psicologico dell’esperienza vicaria.
3. Livelli di competenza. A questo proposito sono stati individuati quattro livelli
di competenza, caratterizzati dal grado di capacità di auto-regolazione raggiunto. Il
primo livello è fondamentalmente legato all’osservazione di modelli che inducono
a ipotizzare gli elementi fondamentali che concorrono a formare una competenza.
L’esperienza vicaria attivata dalla presenza di un modello già competente permette
di osservare direttamente le modalità attraverso le quali è possibile e utile attivare
le risorse interne già possedute a un livello adeguato di significatività, stabilità e
fruibilità per orchestrarle al fine di affrontare positivamente la situazione o il pro-
blema in oggetto. Il secondo livello comprende prestazioni di natura imitativa di
modalità o stili generali d’azione legati ad abilità che possono essere guidate e cor-
rette socialmente per mezzo di guida, feedback e sostegno durante l’esercizio pra-
tico. D’altra parte il riuscire a emulare almeno in alcuni aspetti generali il modello
ha effetto sulla motivazione a impegnarsi ulteriormente. Occorre segnalare come a
questi due primi livelli la fonte di a. delle abilità auto-regolatrici è esterna al sog-
getto che apprende. Negli ulteriori livelli di sviluppo di tali abilità, il riferimento
diventa interno. Il terzo livello si raggiunge quando si è in grado di sviluppare
forme indipendenti di abilità, esercitate in contesti e condizioni strutturate. È il
livello denominato dell’autocontrollo. Infine, si raggiunge il livello della compe-
tenza vera e propria quando il soggetto riesce ad adattare da solo le sue prestazioni
sulla base delle condizioni soggettive e ambientali varianti. Egli riesce a mutare le
sue strategie in maniera autonoma.
Bibl.: CORNOLDI C., Metacognizione e apprendimento, Bologna, Il Mulino, 1995; BOSCOLO P., Psico-
logia dell’apprendimento scolastico. Aspetti cognitivi e motivazionali, Torino, UTET, 1996; SCHUNK
D.H., Learning Theories. An Educational Perspective, Columbus (Ohio), Merrill, 2000; PELLEREY
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26
M., “Sul concetto di competenza ed in particolare di competenza sul lavoro”, in C. MONTEDORO
(Ed.), Dalla pratica alla teoria per la formazione: un percorso di ricerca epistemologica, Milano,
Franco Angeli, 2001, 231-276; NOVAK J., L’apprendimento significativo, Trento, Erickson, 2001.
M. Pellerey
APPRENDIMENTO COOPERATIVO
Insegnamento
APPRENDISTATO
L’a. è un contratto di lavoro definito “speciale” dalla normativa per la sua
finalità formativa, ossia per l’obiettivo di far conseguire a un giovane una quali-
fica professionale. La componente formativa dell’a. si realizza con una duplice
modalità: in azienda, attraverso un processo di graduale maturazione di compe-
tenze professionali e quindi di progressiva assunzione del ruolo professionale;
all’esterno dell’ impresa, nell’ambito di attività formative programmate dalle
Regioni e realizzate da strutture di FP.
L’a. è una modalità tradizionale di acquisizione di un mestiere, che ha le sue origini
nelle botteghe medievali; in una forma moderna, in cui si caratterizza per essere una
modalità di formaz. in alternanza in cui sono presenti due o più setting forma-
tivi, l’a. è uno strumento diffuso in quasi tutti i Paesi europei, e in alcuni in partico-
lare costituisce lo strumento principale di inserimento nel mercato del lavoro per
i giovani (Francia, Germania, Svizzera, Austria).
1. Processo di riforma dell’a. Il contratto di a. è da qualche anno al centro di un
processo di riforma: prima la L. 196/97 ha introdotto delle modifiche alla L. quadro
del 1955, più recentemente il D. Lgs. 276/03 ha indicato i principi generali per
un ulteriore rinnovamento dello strumento. In attesa che le Regioni regolamentino
sull’a. secondo le linee guida tracciate dal D. Lgs., restano in vigore le norme
precedenti; quindi, possono essere assunti come apprendisti i giovani che hanno
compiuto 15 anni e l’a. si configura come una modalità per l’assolvimento del
diritto-dovere alla formaz. per almeno 12 anni. L’età massima per l’assunzione è 24
anni di età (26 nel Mezzogiorno). Per i giovani portatori di handicap tutti i limiti
di età sono elevati di due anni.
La durata dell’a. non può essere superiore a quella stabilita dai CCNL e deve
comunque essere compresa tra un minimo di 18 mesi e un massimo di 4 anni (5
anni per l’artigianato). Qualsiasi impresa, in ogni settore produttivo, può assumere
apprendisti in numero non superiore a quello dei dipendenti. L’azienda, oltre a
corrispondere un salario all’apprendista, si impegna a garantirgli una adeguata
formaz. sul lavoro affidata ad un tutor aziendale; inoltre, l’azienda deve
consentire la partecipazione del giovane alle attività di formaz. esterna organizzate
dalle Regioni. Tali attività, di durata pari normalmente a 120 ore annue, sono fina-
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lizzate all’acquisizione di competenze relazionali, gestionali ed economiche oltre
che di tipo professionale e tecnico, scientifico e operativo. Per gli apprendisti in
obbligo formativo ( obbligo scolastico e formativo) è prevista anche la parteci-
pazione a moduli aggiuntivi della durata di 120 ore annue, finalizzati a sviluppare
le competenze di base (linguistiche, matematiche e informatiche). Al termine del
periodo di formaz., il datore rilascia un attestato formativo e i periodi di formaz.
esterna costituiscono credito formativo.
Dopo decenni di utilizzo dell’a. senza la componente di formaz. esterna all’azienda,
l’approvazione della L. 196/97 ha avviato un processo di costruzione di un’offerta
formativa per gli apprendisti. Le diverse Regioni hanno definito propri modelli
organizzativi e l’offerta di formaz. esterna sta via via ampliandosi a coinvolgere
quote sempre più ampie di apprendisti.
2. Alcuni dati. Nell’anno 2001, l’utenza del sistema di formaz. per l’a. è stata di
60.000 giovani, diventati 100.000 nel 2002; i dati di programmazione delle Regioni
per il 2003 preannunciano un’ulteriore crescita dell’offerta fino a coinvolgere
130.000 giovani. Si tratta di un incremento consistente, ma per la copertura totale di
un’utenza di ca. 480.000 giovani (2002, dati INPS) rimane da sciogliere il nodo del
finanziamento del sistema, oltre che del ritardo con cui alcune Regioni del Mezzo-
giorno stanno attivando gli interventi.
3. Nuove tipologie di a. Proprio l’azione di monitoraggio sulla crescita dei sistemi
territoriali di formaz. per l’a. ha fornito alcuni input per quell’ulteriore rinnova-
mento dello strumento annunciato dal D. Lgs. 276/03. La principale innovazione
è nella definizione di tre tipologie di a. che hanno target e finalità parzialmente
diverse: a) a. per l’espletamento del diritto dovere all’istruzione e formazione: si
rivolge ai giovani dai 15 ai 17 anni ed ha la finalità di acquisire una qualifica
professionale che ha valore anche di titolo formativo perché definita in raccordo
con gli standard di qualifica stabiliti dalla L. 53/03; b) a. professionalizzante:
possono essere assunti con questo contratto i giovani dai 18 ai 29 anni, con
l’obiettivo di conseguire una qualifica professionale attraverso una formaz. che si
svolge all’interno ed all’esterno dell’impresa; la formaz. formale ha una durata
minima di 120 ore ed è regolamentata dalle Regioni e dalle Province Autonome
d’intesa con le parti sociali; c) a. per l’acquisizione di un diploma o per percorsi
di alta formaz.: è uno strumento che si rivolge ai giovani dai 18 ai 29 anni che
desiderano conseguire un titolo di studio secondario o superiore, o un titolo di alta
qualificazione, attraverso un percorso di alternanza che si svolge nell’ambito di
un contratto di lavoro.
Bibl.: BOSCO G., Il sistema preventivo, Introduzione e note di G. Modugno, Firenze, La Nuova Italia,
1945; CEDEFOP, Il sistema di formazione professionale in Italia, Lussemburgo, Ufficio delle pub-
blicazioni ufficiali della comunità Europea, 2000; ISFOL, Il nuovo apprendistato. Rapporto 1999,
Milano, Franco Angeli, 2000; ISFOL, La sfida dell’alternanza. Rapporto sul 2001, Milano, Franco
Angeli, 2002; ISFOL, L’apprendistato vola alto, Milano, Franco Angeli, 2003.
S. D’Agostino
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AREE PROFESSIONALI
L’espressione a.p. indica la tendenza, da parte di figure lavorative sottoposte al pro-
cesso di cognitivizzazione, ad aggregarsi in modo da evidenziare la propria peculia-
rità culturale, organizzativa, professionale al fine di affermare una specificità ten-
denzialmente rilevante anche dal punto di vista della rappresentanza, della tutela e
della formaz. Si tratta di un processo altrimenti definito come “comunità profes-
sionali” oppure “gruppi professionali” ed – in parte – “comunità di pratiche”.
1. Tale impostazione corrisponde ai caratteri della attuale società della
conoscenza che non giustifica più una visione gerarchica e classista dei saperi e
quindi dei percorsi degli studi, ma sostiene il valore del carattere culturale di ogni
esperienza di apprendimento formale, informale e non formale. In particolare,
l’attività professionale non è più intesa nella logica fordista come somma di
abilità e conoscenze necessarie per l’espletamento di mansioni e ruoli
professionali prescritti una volta per tutte, ma risulta strettamente connessa ad una
concezione autentica di competenza. Questa non si identifica né con una per-
formance, né con una somma di performance; non è riducibile né a un sapere, né a
ciò che si è acquisito con la formaz. Essa si riferisce ad un contesto che esprime
un’area di compiti rispetto ai quali viene esercitata una competenza distintiva.
2. Risulta necessario superare la prospettiva specialistica per quella più ampia e
aggregata della comunità professionale, in modo che i giovani siano consapevoli
delle trasformazioni e delle necessarie nuove acquisizioni che consentano di
essere protagonisti di uno scenario fortemente dinamico. Emerge in questo senso il
carattere sociale dell’apprendimento che risulta da un rapporto di collaborazione
triangolare tra istituti/centri, imprese/ordini professionali e territorio in modo da
garantire non solo una maggiore coerenza tra qualificazione ottenuta e effettivo
lavoro svolto, ma permette anche una maggiore realizzazione e soddisfazione per-
sonale, posizioni economiche più vantaggiose e un ruolo sociale più costruttivo e
riconosciuto.
Bibl.: PONTECORVO C. - A.M. AJELLO - C. ZUCCHERMAGLIO, I contesti sociali dell’apprendimento.
Acquisire conoscenze a scuola, nel lavoro, nella vita quotidiana, Milano, LED, 1995; PRANDSTRALLER
G.P. (Ed.), Guardare alle professioni, Milano, Franco Angeli, 1997; GIANNINI M. - E. MINARDI, I
gruppi professionali, Milano, Franco Angeli, 1998; BOLDIZZONI D. - L. MANZOLINI (Edd.), Creare va-
lore con le risorse umane. La forma dei nuovi paradigmi nella direzione del personale, Milano, Gue-
rini & Associati, 2000; NICOLI D., Famiglie professionali e competenze. Nuovi riferimenti per l’analisi
delle professioni e la formazione, in “Rassegna CNOS” 2 (2001) 17, 29-46.
D. Nicoli - C. Catania
ASSOCIAZIONI
1. Identità e natura. Il termine a. identifica una pluralità di individui stabilmente
organizzata per l’identificazione e la gestione di un interesse comune, che supera
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gli interessi meramente individuali dei partecipanti. In questa accezione, il termine
a. (in senso ampio) ricomprende una vasta gamma di fenomeni e di fattispecie,
dalla aggregazione spontanea tra persone, alla società, al sindacato, al partito,
fino al cartello industriale. Conseguentemente, soprattutto dal punto di vista giuri-
dico, non vi sono norme comuni applicabili a tutte le figure e le forme associative,
che pertanto si possono organizzare con modalità assai divergenti tra loro. Co-
munque, il perseguimento di interessi comuni costituisce oggetto di un impegno
contrattualmente assunto dai membri nei loro reciproci rapporti.
2. Caratteristiche strutturali. Perché si abbia un’a. in senso proprio (semplice-
mente de facto o riconosciuta) si devono riscontrare precise caratteristiche struttu-
rali: avere forma e sostanza di un contratto plurilaterale con possibilità di suc-
cessive adesioni di ulteriori membri; dare vita ad una organizzazione stabile ed
unitaria (statuto, regolamenti, organi); essere connotata da uno scopo di natura
ideale o comunque non economico. Le divergenze dallo schema tipico dell’a. in
senso stretto sono comunemente ritenute legittime, in virtù del principio dell’auto-
nomia contrattuale, per cui esse danno origine ad una pluralità di a. atipiche, che
debbono comunque avere una caratteristica comune nella fattispecie contrattuale.
Rientrano invece nella categoria delle a. in senso ampio aggregazioni diverse, tra
le quali si debbono annoverare i Consorzi di varia natura; le a. di professionisti con
rilevanza esterna; le società cooperative (a metà strada fra l’a. in senso stretto e le
società); i Comitati, che dispongono perlopiù di un patrimonio proveniente da non
associati.
3. A., terzo settore, rappresentanza sociale. Con riferimento al contesto italiano,
gli spazi di autonomia delle a. cominciano ad allargarsi negli anni ‘90 con il ma-
nifestarsi della tendenza al decrescere degli iscritti al sindacato e la minore parte-
cipazione delle persone nei partiti. Le tendenze di fondo sono quelle di ricercare
modalità nuove di autogestione dei processi rivolti sia alla soluzione dei propri
problemi (dal desiderio di stare insieme disinteressatamente a quello di fare im-
presa mutualistica non profit) e sia alla soluzione disinteressata dei problemi altrui
(volontariato gratuito). Si avviano così le esperienze di un associazionismo nuovo:
il cosiddetto “terzo settore”, che si distingue dal “primo settore” (con ruolo premi-
nente dell’associazionismo partitico-statuale) e dal “secondo settore” (ispirato alla
solidarietà prevalente negli interessi economici), aveva dato avvio ad un sistema
autonomo di rappresentanza degli interessi generali dello sviluppo economico col-
lettivo e delle economie locali. Il “terzo settore” sviluppa attualmente una espe-
rienza associativa che include anche le imprese non profit e le ONLUS, a. che non
possono distribuire gli utili ai soci dovendo destinarli a programmi del proprio svi-
luppo e di utilità collettiva. Con questa collocazione, l’associazionismo del “terzo
settore” cerca di dare una risposta che consenta alle a. e al volontariato sociale di
disporre di un luogo istituzionale pubblico locale (rappresentanza sociale), nel
quale possano esprimersi e promuovere lo sviluppo della cultura della solidarietà,
della sussidiarietà e dell’impresa non profit.
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Bibl.: DE MARTINI C., Le associazioni e le fondazioni, Milano, Etaslibri,1990; VALENTINI A., Cittadini
associati senza rappresentanza sociale, Napoli, Tecnodid, 1997; GIUDUCCI, PL., Rapporto sul volonta-
riato, Leumann (TO), ElleDiCi, 1998.
P. Ransenigo
ASSUNZIONI
Curriculum vitae; Mansione; Sicurezza sul lavoro; Apprendistato
ATTESTATO
FP superiore; Apprendistato
ATTITUDINI PROFESSIONALI
Orientamento; Abilità
AUTO FORMAZIONE
Processo formativo
AUTONOMIA
L’a. scolastica/formativa consiste nell’assicurare ad ogni scuola/ CFP potere
d’iniziativa e risorse sufficienti per elaborare e realizzare un suo progetto (o suoi
progetti) e costruirsi una propria identità.
1. Il modello dell’a. si contrappone all’impostazione centralistica che consiste nel-
l’accentramento del potere di direzione nel Ministero, mentre agli Enti locali
e alle singole scuole/CFP viene assegnata una funzione semplicemente esecutiva.
È la formula che ha caratterizzato la nostra amministrazione scolastica fino quasi
ai nostri giorni. L’a. si distingue anche dal decentramento che si limita a potenziare
i poteri delle autonomie locali e territoriali (Regioni, Province e Comuni) in quanto
articolazioni dello Stato, ma mantiene un rapporto gerarchico tra le componenti del
sistema. Al contrario, la vera a. si fonda sul riconoscimento di competenze e diritti
originari in particolare alle scuole/CFP. In Italia, con la recente riforma del Tit. V
della Costituzione n. 3/2001 si è realizzato definitivamente il passaggio da un
modello fondato sulle esclusive prerogative dello Stato ad uno che fa interagire in
maniera integrata tre diverse competenze: quella dello Stato, quella delle Regioni e
degli Enti territoriali e quella delle istituzioni scolastico-formative autonome.
Comunque, il cuore dell’a. è costituito dal riconoscimento della competenza pro-
gettuale: ogni scuola/CFP dovrà essere messa in grado di elaborare un proprio pro-
getto educativo in cui si rispecchi la sua identità. A questo proposito devono essere
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attribuiti ad ogni unità scolastico-formativa poteri adeguati di a. didattica, forma-
tiva, organizzativa e finanziaria.
2. La scelta dell’a. corrisponde anche a un orientamento comune a tutti i Paesi.
Infatti, essa permette alla comunità educativa ( comunità educativo formativa) di
costruirsi sulle esigenze formative dei suoi membri, favorisce la corrispondenza
con la domanda sociale e facilita l’emergere di tutte le potenzialità valide, presenti
in ciascuna unità scuola/CFP. Inoltre, le probabilità di successo di un’innovazione
sono maggiori quando l’insegnante ne è partecipe, la sente propria, ha contribuito
personalmente ad elaborarla, approvarla, attuarla.
Bibl.: MALIZIA G., “Autonomia scolastica”, in J.M. PRELLEZO - C. NANNI - G. MALIZIA (Edd.), Dizio-
nario di scienze dell’educazione, Leumann (TO)/Roma/Torino, ElleDiCi/LAS/SEI, 1997, 113-114;
DALLE FRATTE G. (Ed.), Scuola, formazione professionale: l’autonomia alla prova: spazi reali?: dalle
norme alla realtà, Trento, Unoedizioni, 1999; FIORIN I. - D. CRISTANINI (Edd.), Le parole dell’auto-
nomia, Torino, Petrini, 1999; BERTAGNA G. - S. GOVI - M. PAVONE, POF. Autonomia delle scuole e
offerta formativa, Brescia, La Scuola, 2001.
G. Malizia
BILANCIO DI COMPETENZE
Orientamento; Destinatari; Accompagnamento al lavoro
BISOGNI FORMATIVI
Vari sono gli approcci possibili e le modalità di analisi dei b.f. Una prima distin-
zione riguarda l’ambito, che può essere aziendale o istituzionale; una seconda i
livelli (locale, nazionale, internazionale); una terza i settori o comparti produttivi;
una quarta i soggetti: il “committente” o i soggetti in formaz. (Ghiotto, 1992).
Le stesse definizioni di b.f. risentono di tali impostazioni. Per alcuni, i b.f. sono
“specifiche esigenze connesse alla preparazione professionale dei singoli, che
hanno come contenuto ciò che gli individui fanno, ciò che si propongono di fare ed
il modo con cui lo fanno, in riferimento alla loro relazione con l’organizzazione ed
all’articolazione del loro mondo sociale” (Camuffo - Comacchio - Gerli, 2000, 51).
Pertanto sono i b.f. inerenti la FP. Col termine “fabbisogni formativi” si inten-
dono quelli del sistema economico, in un determinato territorio. In questo caso, il
fabbisogno formativo viene definito come il divario fra le capacità lavorative at-
tuali delle risorse umane del territorio – esprimibili in un “sapere” e in un “saper
fare”, generali e specifici – e quelle necessarie, in senso qualitativo, al raggiungi-
mento degli obiettivi economici prefissati. Già queste diversità di approcci e let-
ture dei b.f. indicano la non univocità del concetto. In ogni caso vanno tenuti pre-
senti tutti gli attori del sistema: le imprese, le persone da formare, l’istituzione
formativa; il tutto inserito in un contesto sociale, economico, politico e culturale
più ampio.
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1. I b.f. degli adolescenti. Una questione spesso dimenticata in questo tipo di analisi
è la componente soggettiva dei destinatari della formazione, in genere adolescenti.
Ci si dimentica che essi sono “persona” con esigenze irriducibili all’erogazione del-
la sola istruzione e FP. La condizione adolescenziale e giovanile è particolarmente
problematica e richiede la soddisfazione di particolari b., che riguardano soprattutto
la formaz. della personalità, l’integrazione nella società e nel gruppo dei pari, il
contatto con persone significative di riferimento, ecc. La frustrazione di questi b.f.,
materiali, relazionali ed esistenziali nell’adolescenza genera disagio.
2. I fabbisogni formativi. Con l’espressione “fabbisogni formativi”, si intende il gap
esistente tra sistema economico e sistema sociale, che produce depressione economica
e disoccupazione. Da questo punto di vista è importante stimolare le capacità impren-
ditoriali di un determinato territorio per provvedere meglio ai b. dei soggetti che lo
abitano. Pertanto è importante prevedere per tempo l’andamento dell’economia e fare
dei piani di occupabilità appropriati. In questo quadro, le imprese devono immaginare
i propri fabbisogni di figure/competenze professionali e richiedere al sistema for-
mativo di preparare dei profili professionali adeguati. L’istituzione scolastica o for-
mativa dovrà mediare tra esigenze delle imprese e quelle degli allievi. Attraverso una
offerta adeguata cercherà di orientare il giovane a sviluppare le sue capacità in vista
di un probabile impiego. Ma dovrà anche cercare di orientare il sistema produttivo
ad evolversi in ragione delle risorse umane presenti nel territorio. Il prosieguo del
progetto dovrebbe prevedere l’incontro tra domanda e offerta, in modo da ottenere
una miglior conoscenza e distribuzione delle risorse, promuovere l’attivazione o lo
sviluppo delle risorse carenti. Ovviamente l’incontro tra domanda e offerta è un
problema mai adeguatamente risolto. Ma bisogna evitare soluzioni unilaterali.
3. L’analisi dei b. Per fare dei progetti di formaz. è importante l’analisi dei b.f. Essa
si configura come una ricerca vera e propria. Lo scopo è rilevare i b. presenti
nel territorio, quali vengono frustrati, a quali è possibile rispondere. Per questo, è
importante censire anche le risorse del territorio, come sono sfruttate, quali strategie
sono necessarie per un miglior utilizzo/distribuzione, quali vanno implementate o
create. Dal punto di vista economico e professionale, l’obiettivo sarà quello di pre-
vedere il tipo di sviluppo occupazionale, immaginando i fabbisogni di figure/com-
petenze professionali. La ricerca rileverà le competenze già presenti sul territorio. In
base a questo confronto, nascerà il piano formativo di zona.
Bibl.: GHIOTTO G., “Analisi del fabbisogno formativo”, in ISFOL, Glossario di didattica della forma-
zione, Milano, Franco Angeli, 1992, 44-51; BESOZZI E. (Ed.), Navigare tra formazione e lavoro, Roma,
Carocci, 1998; BRAMANTI D., La progettazione formativa, Roma, Carocci, 1998; ZANI B., “Bisogni
affettivi e relazionali in adolescenza”, in A. PUTTON, Empowerment e scuola. Metodologia di formazione
nell’organizzazione educativa, Roma, Carocci, 1999, 38-48; CAMUFFO A. - A. COMACCHIO - F. GERLI,
Piccoli grandi capi. Competenze per la produzione flessibile, Milano, Etaslibri, 2000; ALESSANDRINI G.,
Risorse umane e new economy. Formazione e apprendimento nella società della conoscenza, Roma,
Carocci, 2001; LAZARINI G. - A. CUGNO (Edd.), Verso il domani. Dai bisogni di orientamento alla
promozione dell’intervento, Milano, Franco Angeli, 2002.
G. Vettorato
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BULLISMO
Il termine b., neologismo ormai molto diffuso nel linguaggio soprattutto in ambito
scolastico, è una traduzione letterale del termine inglese bullying e sta ad indicare
una particolare forma di aggressività esternalizzata tra pari. Originariamente,
soprattutto nei Paesi scandinavi, sono stati usati anche i termini mobbing e
mobbning, per indicare lo stesso fenomeno di azione aggressiva agita da parte di
un gruppo. Con gli studi di Olweus (1978; 1993; 1999), si assume il significato
di una azione riferita sia al gruppo sia all’individuo. L’A. riporta la seguente
definizione “uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o
vittimizzato, quando viene esposto ripetutamente nel corso del tempo alle azioni
offensive messe in atto da parte di uno o più compagni” (Olweus, 1993, 11-12).
Ricerche successive evidenziano la presenza di tre elementi principali presenti
nel fenomeno del b. L’intenzionalità dell’azione prevaricatrice da parte del
‘bullo’ che deliberatamente cerca di offendere, far del male e creare situazioni di
disagio agli altri. In secondo luogo, la persistenza del fenomeno. Si evidenziano,
infatti, azioni di prevaricazione ripetute nel tempo e nello spazio che tendono a
perpetuare la relazione conflittuale persecutore/vittima. Il terzo elemento che
connota questa particolare forma di aggressività è la tipologia della relazione
che si configura sempre come asimmetrica, cioè basata su un disquilibrio di
forze tra il prevaricatore che è in posizione di forza rispetto alla vittima, la quale
non riesce a difendersi a motivo della percepita debolezza, fragilità e impotenza.
Si possono individuare tre forme di b.: a) b. verbale, quando l’aggressività viene
agita tramite offese, prese in giro, ingiurie; b) b. fisico, quando la vittima viene
sottoposta ad aggressioni rivolte alla sua persona e/o alle sue cose; c) b. indiretto,
quando uno studente viene intenzionalmente escluso dalle attività del proprio
gruppo di appartenenza o sottoposto a calunnie e dicerie.
Anche nel nostro Paese sono state condotte ricerche e studi al riguardo. Viene regi-
strata una specificità, legata all’eccessivo numero di soggetti coinvolti nella popo-
lazione scolastica (ca. 40% degli intervistati). Tale risultato, che ci pone di gran
lunga ai primi posti tra le popolazioni scolastiche in tutto il mondo, fa sorgere dei
dubbi sulla validità degli strumenti utilizzati per rilevare il fenomeno, soprattutto
in riferimento all’utilizzo del termine per descriverlo. Per questo motivo, i
ricercatori italiani (Fonzi, 1997; 1999; Menesini, 2000), poiché non si dispone di un
termine analogo all’inglese bullying, ricorrono, nella traduzione del questionario di
Olweus, ad una definizione di tipo descrittivo “diciamo che un ragazzo subisce
delle prepotenze quando un altro ragazzo o un gruppo di ragazzi gli dicono cose
cattive e spiacevoli. È sempre prepotenza quando un ragazzo riceve colpi, pugni,
calci e minacce, quando viene rinchiuso in una stanza, riceve bigliettini con offese
e parolacce, quando nessuno gli rivolge mai la parola e altre cose di questo genere.
Questi fatti capitano sempre e chi subisce non riesce a difendersi. Si tratta sempre
di prepotenze anche quando un ragazzo viene preso in giro ripetutamente e con
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cattiveria. Non si tratta di prepotenze quando due ragazzi, all’incirca della stessa
forza, litigano tra loro o fanno la lotta”.
Gli interventi, soprattutto di tipo preventivo, sembrano dare dei buoni risultati. Si
riesce, infatti, a diminuire del 70-75% l’incidenza del fenomeno all’interno di una
comunità scolastica. Tali interventi, di tipo sistemico, sono destinati all’intera co-
munità scolastica (dirigenza, docenti, genitori, personale ausiliario, gruppi classe),
ai cosiddetti “bulli” e alle “vittime”. Mentre per i prevaricatori risultano essere
efficaci metodologie d’intervento orientate all’incremento della capacità empatica
nei confronti delle vittime, gli interventi rivolti a quest’ultime mirano, essenzial-
mente, all’incremento delle capacità assertive per un più adeguato inserimento nel
gruppo classe. Tuttavia, l’elemento cruciale per ottenere una significativa diminu-
zione del fenomeno, è determinato dalla conoscenza in tempo reale degli eventi
persecutori e dall’intervento diretto da parte degli adulti della comunità.
Bibl.: OLWEUS D. (1978), Aggression in the school: Bullies and whipping boys, Washington D.C.,
Hemisphere, 1978 (trad. it. L’aggressività a scuola, Roma, Bulzoni, 1983); ID., Bullying at school.
What we know and what we can do, Oxford, U.K., Blakvell Publisher, 1993 (trad. it. Il bullismo a
scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Firenze, Giunti, 1996); FONZI A. (Ed.) Il bullismo
in Italia. Il fenomeno delle prepotenze a scuola dal Piemonte alla Sicilia, Firenze, Giunti, 1997; ID.,
(Ed.), Il gioco crudele. Studi e ricerche sui correlati psicologici del bullismo, Firenze, Giunti, 1999;
OLWEUS D., “Sweden”, in P.K. Smith et al. (Edd.) The nature of school bullying. A cross national
perspective, London, Routledge, 1999, 7-27; MENESINI E., Bullismo. Che fare?, Firenze, Giunti,
2000.
M. Becciu
BUONE PRASSI / PRATICHE
Insegnamento
CAMBIO SOCIALE
Società
CAPACITÀ
Le c. rappresentano i tratti o le caratteristiche della personalità del soggetto posse-
dute su base innata e appresa, di natura non strettamente cognitiva, ma anche affet-
tivo-motivazionale, socio-interpersonale, coinvolte in numerosi compiti ed attività,
e che delineano le sue potenzialità in ordine all’ apprendimento ed al processo di
inserimento sociale. Tali c., raramente coltivate in modo formale dalle istituzioni
formative, sono attualmente considerate preziose per l’adattamento personale, inter-
personale, scolastico e professionale. Esse riflettono i valori ed i contenuti propri
dell’educazione che la persona vive specie nell’età evolutiva; si riferiscono quindi
alla famiglia di appartenenza, alle agenzie educative e formative ma anche ai
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legami significativi individuali e di gruppo. In senso pedagogico, le c. indicano l’in-
sieme delle potenzialità dell’allievo che richiedono di essere riconosciute (innanzi-
tutto a favore del destinatario stesso) e attualizzate perché diventino vere e proprie
competenze.
1. Prospettiva psicologica. L’espressione “c. personali” è vista essenzialmente in
una prospettiva di psicologia dell’apprendimento. L’attenzione alle c. personali va
di pari passo con l’assunzione del concetto di “intelligenze multiple” che indica
l’esistenza di diversi stili di apprendimento da parte dei soggetti, in forza dei quali
ciascuno delinea un proprio progetto personale che è posto alla base delle azioni
volte al “successo formativo” di ciascuno, che non è un traguardo uguale per tutti,
ma, appunto, va misurato sul “valore aggiunto” che ciascuno è riuscito a raggiun-
gere sulle sue c. personali. Si tratta quindi di cogliere la struttura individuale della
personalità, da cui trarre caratteristiche peculiari di ciascuno, per poi individuare le
leve dei processi di orientamento e di apprendimento. Vengono pertanto consi-
derate, in questa prospettiva, talune caratteristiche in grado di influenzare il suc-
cesso accademico e professionale, quali la c. di canalizzare le proprie energie per
raggiungere un obiettivo, la facilità relazionale, l’atteggiamento nei confronti di
situazioni impegnative, la c. di autocontrollo, l’apertura mentale. Goleman (1998)
parla a questo proposito di intelligenza emozionale intendendola come una meta-
abilità che consente alla persona di esercitare un controllo sulla propria vita emo-
tiva al fine di consentirle un controllo delle risorse in suo possesso. Un tratto della
personalità fortemente indagato è costituito dall’autostima che indica “l’acquisi-
zione di una realistica conoscenza di se stessi, delle proprie capacità e potenzialità,
dei propri interessi e valori, ma anche dei propri limiti e difficoltà” (Castelli, 2002,
135). Becciu e Colasanti (2003) propongono una classificazione basata sulle
diverse variabili coinvolte nella situazione apprenditiva e/o di lavoro: l’“Io” che
include le c. che riguardano la consapevolezza, la valutazione e la promozione
della propria realtà personale; gli “Altri”, ovvero le c. che rendono produttivo
e soddisfacente il rapporto con le persone con le quali si entra i contatto; il
“Compito” che include le c. che consentono di far fronte con efficacia alle
richieste e ai problemi insiti in una determinata attività; infine il “Contesto” che
raggruppa le c. che facilitano l’integrazione e l’inserimento produttivo in un
ambiente organizzativo e di lavoro.
2. Prospettiva pedagogica. In chiave pedagogica, Bertagna (2001) parla di c. po-
tenziali o c. buone. Le prime si collegano al problema di far sì che ciascuno rea-
lizzi al meglio possibile se stesso, ovvero che sviluppi e metta in atto al meglio il
suo essere potenziale, rimuovendo gli ostacoli che le limitino e le deformino. Le
seconde indicano le c. migliori che la persona possiede in quanto essere umano, e
impegnano l’educatore a dichiarare quali sono appunto le c. che meritano di essere
promosse al meglio. Ciò significa mirare a che queste vengano trasformate in com-
petenze tramite l’insieme delle attività e delle istituzioni educative esistenti nella
società. La scuola realizza tale trasformazione in modo programmatico ed inten-
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zionale, utilizzando a tale scopo le conoscenze organizzate, ma altre forme di
apprendimento agiscono su altri codici e con altre modalità di apprendimento
anche occasionale ma non per questo meno rilevanti.
Bibl.: GARDNER H., Intelligenze multiple, Milano, Anabasi, 1994; GOLEMAN D., Lavorare con intel-
ligenza emotiva, Milano, Rizzoli, 1998; DE PIERI S., Orientamento educativo e accompagnamento
vocazionale, Leumann (TO), ElleDiCi, 2000; BERTAGNA G., Verso i nuovi piani di studio, in “Annali
dell’Istruzione, n. speciale Stati Generali dicembre 2001”, 1-2, 2001, 246-277; CASTELLI C. (Ed.),
Orientamento in età evolutiva, Milano, Franco Angeli, 2002; BECCIU M. - A.R. COLASANTI, La
promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, Roma, Tipografia Pio XI, 2003.
D. Nicoli
CENTRO DI FORMAZIONE PROFESSIONALE
Il CFP (o Centro di Formazione Polifunzionale, o Centro di Servizi Formativi, ma
la prima dizione ormai tradizionale sembra continuare a prevalere) può essere
definito come “la sede operativa che opera per lo sviluppo delle risorse umane,
erogando: direttamente servizi formativi; (...) direttamente o avvalendosi di una
sede accreditata per l’orientamento, servizi orientativi; (...) direttamente o avva-
lendosi di una struttura specialistica, servizi connessi all’inserimento lavorativo”
(Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale. Ufficio Centrale O.F.P.L., 2001,
p. 10).
1. Modello strategico, agenziale e comunitario. Agli inizi degli anni ‘90, la com-
plessità sempre maggiore del ruolo che la FP è chiamata a svolgere in quanto
snodo centrale fra tre gruppi di sistemi (produttivo e scolastico; lavorativo e for-
mativo; della stratificazione sociale e della promozione dei ceti più deboli della
società) ha messo in crisi l’impostazione tradizionale del CFP, impegnato quasi
esclusivamente nell’erogazione di interventi formativi di tipo corsuale per gli
adolescenti. Nel dibattito che si è aperto sulle prospettive di sviluppo si sono fron-
teggiate grosso modo tre ipotesi. Nella impostazione strategica, il CFP è conside-
rato come un sistema organizzativo connesso con il mondo esterno al quale offre
servizi. A livello operativo, la realizzazione di una precisa programmazione e di un
decentramento controllato richiede una direzione strategica con attenzioni nuove:
a tale fine sarebbe da preferire la struttura per progetti, con tutte le conseguenze
di un’ampia delega, di un processo decisorio decentrato, comunicazioni a
doppio senso ad ogni livello, coordinamento per comitati, organizzazione del la-
voro ispirata all’autocontrollo e clima favorevole allo sviluppo e all’innovazione.
A sua volta, l’agenzia di servizi formativi si caratterizza per un modello organiz-
zativo orientato al mercato e attento al servizio prodotto. Dal punto di vista dei
prodotti/servizi, essa intende superare una visione scolastica della formaz. e,
pertanto, si impegna non solo dal lato dell’offerta, ma soprattutto da quello dell’a-
nalisi della domanda e, in particolare, cerca di elaborare risposte. Sul piano orga-
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nizzativo, le strutture devono caratterizzarsi per i tratti di: flessibilità, adeguatezza
e personalizzazione delle strutture, specializzazione per settori, imprenditività e
managerialità. Le dimensioni dell’agenzia sono ridotte perché in caso contrario
non è possibile conseguire uno degli obiettivi che il mercato sociale richiede mag-
giormente: la flessibilità. Il modello comunitario mette l’accento sulla centralità
della formaz. che è opera comune ed esige un accordo di base su finalità, contenuti
e metodologie da parte di tutte le componenti della FP. Ciò esige la costruzione di
una comunità che sia al tempo stesso soggetto ed ambiente di educ. La mission
prevalente del CFP viene identificata nel servizio diretto alla persona e l’educando
occupa il centro del sistema formativo. Sul piano organizzativo, il modello
comunitario prevede che si realizzi una maggiore articolazione della figura del
formatore ( operatori della FP).
La priorità accordata alla maturazione, soprattutto professionale, della persona e
alla dimensione comunitaria ci fa dare la preferenza al terzo modello. È vero che
esso ha da imparare dalla impostazione strategica quanto all’ambito organizzativo
e strategico e in questo senso è valido lo sforzo di chi ha cercato di comporre le
due prospettive in una ipotesi che è stata chiamata mista, che però non dovrebbe
portare a una equiparazione dei tre ambiti, strategico, organizzativo e formativo,
ma l’ultimo dovrebbe essere prevalente. A sua volta il modello agenziale trascura
sia questa dimensione che quella comunitaria, anche se sono corrette l’insistenza
sulla domanda formativa e la preoccupazione per un alleggerimento del nucleo
dei formatori stabili.
2. La struttura della sede formativa. Una delle caratteristiche del nuovo CFP con-
siste nella diversificazione dell’offerta formativa che sinteticamente viene ad ab-
bracciare interventi sia corsuali ( accoglienza, formaz. e inserimento), sia indi-
vidualizzati (partecipazione individuale, tutoring sul lavoro, formaz. a distanza)
(Ministero del Lavoro..., 2001): anche da ciò discende il nome di Centro di
formaz. “Polifunzionale” che viene utilizzato dal CCNL per indicare la struttura
operativa della FP. Per realizzare tali servizi, i processi da innescare sono quelli
che: “in un’ottica di qualità (qualità e ricerca), precedono (diagnosi, progetta-
zione, promozione), accompagnano (monitoraggio), seguono (valutazione), la rea-
lizzazione (erogazione) dei servizi stessi” (Ibidem, p. 13). Ciascuno dei processi si
articola in aree operative che sono state identificate nelle seguenti: diagnosi, pro-
gettazione, erogazione, monitoraggio e valutazione, promozione e qualità
e ricerca. Per attivarle, il CFP deve poter contare sulla disponibilità di com-
petenze professionali relative ad otto funzioni: di governo (direzione, amministra-
zione e coordinamento); di processo (analisi, progettazione e valutazione); di pro-
dotto (docenza e orientamento). L’organigramma del CFP va completato con
l’indicazione degli organismi collegiali: in proposito è opportuno sottolineare che
negli ultimi anni a quelli tradizionali, come per es. il Consiglio di Centro con
poteri decisionali notevoli sulle questioni più rilevanti, il Consiglio di corso, le
Assemblee dei genitori e il Comitato di controllo, si è aggiunto lo staff di direzione
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a cui vengono generalmente affidate funzioni di sostegno al ruolo direttivo e di
compartecipazione alle attività di conduzione del CFP.
Bibl.: NICOLI D., L’innovazione organizzativa del CFP. Verso un modello misto, comunitario e strate-
gico. Seminario dei direttori dei CFP della Federazione CNOS-FAP (Roma, 24-26 ottobre 1995)
“Nuova Organizzazione dei Centri di Formazione Professionale”, 11; MALIZIA G. et al., Il direttore e
lo staff di direzione come perno del rinnovamento organizzativo, Roma, CNOS-FAP, 1996; ISFOL,
Standard formatori. Per un modello nazionale di competenze verso l’accreditamento professionale,
Roma, Isfol, 1998; MINISTERO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE. UFFICIO CENTRALE O.F.P.L.,
Accreditamento delle sedi formative e orientative. DM 25 maggio 2001, n. 166, Accreditamento delle
sedi formative e orientative, in GU n. 162 del 14.07.2001; ISFOL, Rapporto Isfol, 2002, Milano,
Franco Angeli, 2003.
G. Malizia
CENTRO DI ORIENTAMENTO
Orientamento
CENTRO PER L’IMPIEGO
Servizi per l’impiego
CENTRO SERVIZI FORMATIVI (CSF)
CFP
CERTIFICAZIONE DEGLI APPRENDIMENTI
La c.d.a. rappresenta un’azione che mira a descrivere in modo sistematico le acqui-
sizioni della persona, preferibilmente sotto forma di competenze, e a registrarle
in un formato condiviso tra i diversi attori del sistema educativo di istruz. e
FP, compresi i soggetti economici.
1. L’azione di c., in quanto tale, non può essere concepita come una mera compila-
zione, ma rappresenta un’azione complessa, tale da richiedere la soddisfazione di
diversi criteri, tra cui: a) la comprensibilità del linguaggio, che deve riferirsi – in
forma narrativa e non quindi con linguaggi stereotipati – a locuzioni e sintagmi che
consentano ai diversi attori di visualizzare le competenze, b) l’attribuibilità delle
competenze al soggetto con specificazione delle evidenze che consentano di conte-
stualizzare la competenza entro processi reali in cui egli è coinvolto insieme ad
altri attori, c) la validità dei metodi adottati nella valutazione e validazione delle
competenze stesse, con specificazione del loro livello di padronanza.
2. In campo professionale, tale processo prevede una attenta considerazione di pro-
dotti / capolavori svolti in situazione reale e delle esperienze in tal modo realizzate
dal candidato, con un intervento essenziale dei rappresentanti degli organismi
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partner ( imprese, enti, ecc.), oltre che dell’organismo formativo, i quali ne
esplicitano il giudizio di validità. In tal modo, la valutazione-c. non si realizza in
rapporto a standard “scritti sulla carta”, ma in riferimento alla concreta realtà di
esercizio delle competenze indicate con il coinvolgimento diretto dei partner sociali.
3. Circa il modello di certificazione, si prevedono normalmente due fattispecie:
a) la c. è legale quando si riferisce esclusivamente al titolo di studio posseduto;
tale prospettiva non considera la questione del rapporto tra possesso del titolo e
effettiva padronanza delle acquisizioni, con conseguenze critiche nel passaggio dal
livello formale a quello sostanziale; b) la c. è sociale quando il certificato cui ci si
riferisce rappresenta una documentazione composita che consente di rendere
trasparente – quindi leggibile entro categorie comprensibili – la dotazione della
persona di capacità, saperi, abilità e competenze, in riferimento alle espe-
rienze entro cui queste si sono formate.
Bibl.: AUBRET J. - F. AUBRET - C. DAMIANI, Les bilans personnels et professionnels, Paris, Éditions
Eap-Inetop, 1990; CEPOLLARO G. (Ed.), Competenze e formazione, Milano, Guerini & Associati,
2001; COMOGLIO M., La valutazione autentica e il portfolio, Roma, manoscritto, 2001; AJELLO A.M.
(Ed.), La competenza, Bologna, Il Mulino, 2002; CIOFS/FP, Prova di valutazione per la qualifica:
addetto ai servizi di impresa, Roma, Tipografia Pio XI, 2003.
D. Nicoli
CERTIFICAZIONE DI QUALITÀ
Accreditamento
CICLO
Riforma educativa; FP iniziale; Moduli; Valori professionali; Alter-
nanza formazione lavoro
CITTADINANZA
Il concetto di cittadino e relativi diritti era già presente nella cultura greca (demo-
crazia ateniese), in quella romana e nelle città medievali che cercavano di affer-
mare il loro diritto di libertà e di autogoverno. Nella concezione moderna, la c. è
vista come “prerogativa” del popolo riconosciuto come depositario della sovranità
e titolare di diritti. Potremmo definirla come appartenenza di una persona a uno
Stato da cui derivano diritti e obblighi che sono definiti dalla carta costituzionale e
dalle leggi.
1. Negli Stati nazionali moderni, la c. si pone come forma di uguaglianza che tende
a garantire a tutti i diritti fondamentali. L’estensione del riconoscimento dei diritti
ha portato a identificare tre tipi di c.: la c. civile: le libertà personali (di pensiero,
di proprietà, di uguaglianza di fronte alla legge, ecc.), i diritti civili individuali
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tutelati dai tribunali; la c. politica: il diritto di voto attivo e passivo di tutti gli
adulti e la loro partecipazione alle istituzioni rappresentative e governative; la
c. sociale: diritto al benessere e alla sicurezza economica, alla cultura e a una vita
civile secondo i canoni della società di appartenenza, diritti resi effettivi dalle
politiche sociali (Gallino, 2000, 389).
2. Le politiche di welfare cercano di estendere i diritti e di ridurre le sperequazioni
sociali, ma rischiano anche di accrescerle dando vita a nuove forme di disugua-
glianza tra i garantiti (cittadini a pieno titolo) e quelli che ne restano esclusi (immi-
grati o profughi). I modelli di welfare della società moderna risultano ormai scarsa-
mente efficienti, economicamente insostenibili e con effetti deresponsabilizzanti.
Per questo oggi si parla di “nuova c.”, di “c. societaria”, legata a una forma di
democrazia fondata su nuovi valori inerenti la c. e che includerebbe un senso pro-
fondo di libertà, responsabilità, sussidiarietà e diffusa solidarietà sociale.
Bibl.: MARSHALL T.H., Cittadinanza e classe sociale, Torino, UTET, 1976; COLOZZI I., Stato mercato
cittadinanza, Bologna, CUSL, 1992; DONATI P., La cittadinanza societaria, Roma e Bari, Laterza,
1993; GALLINO L. (Ed.), Manuale di Sociologia, Nuova ediz., Torino, UTET, 2000.
V. Orlando
CLIMA EDUCATIVO / FORMATIVO
Ispirazione cristiana della FP
CODICE DEONTOLOGICO
Etica professionale
COLLOCAMENTO, UFFICI DI
Servizi per l’impiego
COLLOQUIO
Il c. può essere definito come una situazione sociale e interpersonale nella quale
due o più persone si impegnano in una comunicazione verbale e non verbale
nell’intento di raggiungere uno scopo precedentemente definito.
1. La letteratura in tema di c. presenta numerose definizioni, talvolta analoghe,
talvolta difficilmente sovrapponibili. Fondamentalmente, è possibile operare una
distinzione tra coloro che del c. enfatizzano l’aspetto psicometrico-quantitativo,
considerandolo uno strumento di raccolta di notizie, dati, informazioni oggettive, e
coloro che ne sottolineano, invece, l’aspetto clinico-qualitativo, attribuendo parti-
colare significato al rapporto interpersonale e al processo dinamico tra intervista-
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tore e intervistato. Si tratta, in realtà di una dicotomia che non ha molta ragione di
esistere; infatti, a seconda dei casi sarà più valido l’uno o l’altro tipo di metodo-
logia e spesso si avrà una complementarietà di approcci (Trentini, 2002).
2. A seconda dello scopo, degli aspetti tecnici messi in atto e degli ambiti di appli-
cazione possiamo distinguere diversi tipi di c.: diagnostico, terapeutico, di sele-
zione, di orientamento, di valutazione. Una utile tassonomia è proposta da
Trentini (2002) che classifica i diversi tipi di c.-intervista secondo quattro criteri:
a) l’approccio epistemologico, distinto a sua volta in base alla prospettiva di applica-
zione (psicologica, psicosociale e sociale) e alla gradazione estensività-intensività;
b) i tratti distinguenti l’interazione tra i partecipanti, criterio distinto a sua volta in
caratteristiche strutturali dell’intervistatore, caratteristiche strutturali dell’intervistato,
caratteristiche funzionali dell’interazione tra i partecipanti; c) le caratteristiche situa-
zionali, criterio distinto a sua volta in tipo di tecnica usata e tipo di documentazione
di dati raccolti; d) il processo dinamico, distinto a sua volta in polo di centratura e
stile di conduzione.
Bibl.: TRENTINI G., Teoria e prassi del colloquio e dell’intervista, Roma, Carocci, 1995; ID., Oltre
l’intervista. Il colloquio nei servizi sociali, Torino, UTET, 2000; ID., Manuale del colloquio e del-
l’intervista, Torino, UTET, 2002.
A.R. Colasanti
COMPETENZA
Deriva dal latino cum petere, che indica la qualità di chi regge il confronto con
qualcuno, ma anche appartenere ad una cerchia che esprime un dominio in ordine
ad uno specifico campo di sapere. Caratteristica della persona, mediante la quale
essa è in grado di affrontare efficacemente un’area di problemi connessi ad un
particolare ruolo o funzione. Per tale motivo, sarebbe preferibile parlare di persona
“competente” piuttosto che di c. La persona competente è in grado di mobilitare le
risorse possedute ( capacità, conoscenze, abilità) al fine di condurre ad una
sua soluzione un compito-problema. La c. non è pertanto riducibile né a un sapere,
né a ciò che si è acquisito con la formaz. Essa è una dotazione del soggetto
umano in un contesto definito, e ne realizza le potenzialità.
1. L’espressione c., oltre ad essere dotata di una sua intrinseca complessità poiché
riguarda ambiti differenti di sapere e di azione, è anche oggetto di un intenso dibat-
tito teorico che ha provocato differenti interpretazioni, che possiamo ricondurre a tre
grandi modelli di pensiero: a) coloro che considerano la c. in chiave formale e pre-
stazionale ovvero come un costrutto determinato dalla composizione (che si può
conoscere previamente e quindi programmare) di un insieme di conoscenze, abilità
e comportamenti che consentono alla persona di sviluppare performance controlla-
bili e valutabili; b) coloro che concepiscono la c. come la caratteristica di un’orga-
nizzazione innovativa, basata sul modello della learning organization, partecipando
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alla vita della quale l’individuo risulta stimolato ad apprendere; c) coloro che, infine,
intendono la c. come la caratteristica di una persona, posta in un particolare conte-
sto, che è in grado di mobilitare le risorse possedute (capacità, conoscenze, abilità)
al fine di assumere in carico i compiti-problema che questo esprime.
2. La prima posizione (si veda ad es. ISFOL) intende piegare le tradizionali pro-
grammazioni didattiche per contenuti e verifiche spostando l’attenzione dei docenti
verso i risultati tangibili del processo di apprendimento, sostanzialmente assunti
come performance o comportamenti conformi alle esigenze dell’organizzazione. Il
suo limite sta nel fatto che tali esigenze vengono assunte in modo assoluto e norma-
tivo, giungendo a definire repertori rigidi di unità formative capitalizzabili la cui
reale rispondenza rispetto alle specifiche esigenze delle organizzazioni di lavoro
appare dubbia, giungendo a delineare una sorta di neo-addestramento di stampo tay-
loristico anche se aperto a fattori spesso indefinibili quali le cosiddette “competenze
trasversali”.
3. La seconda posizione accentua l’assunto delle moderne teorie organizzative che
abbandonano le tradizionali visioni funzionaliste ed organiciste per giungere a con-
cepire le organizzazioni come insiemi olografici che, similmente al cervello umano,
sono in grado di assorbire in ogni loro componente tutti gli elementi necessari ad
affrontare compiti nuovi e imprevedibili. Tale visione concepisce l’individuo come
un soggetto assimilato ad un’organizzazione, legato da una relazione asimmetrica
nella quale è quest’ultima a svolgere la funzione docente.
4. Nella terza prospettiva, la c. non è ridotta ad una performance ed è concepita
come una qualità della persona posta in modo attivo e responsabile di fronte ad un
contesto che ne sollecita l’intraprendenza. Le Boterf (1998, 173) scrive a questo
proposito: “In molti casi la nozione di competenza che viene utilizzata nei progetti
risale a quella della fine degli anni ‘60: una somma di sapere, saper fare e saper
essere. In realtà le competenze sono qualcosa di più complesso (...). La compe-
tenza è una costruzione: è il risultato di una combinazione appropriata di svariate
risorse. Per questo è opportuno distinguere: le risorse necessarie alla costruzione
delle competenze; le competenze propriamente dette, che si esprimono in termini
di attività o pratiche professionali e corrispondono a ‘schemi’ specifici di ciascuna
persona; le prestazioni (performances) che costituiscono i risultati verificabili delle
azioni poste in essere (indicatori di qualità, tassi di soddisfazione della clientela,
quantità di prodotti, tasso di valore aggiunto, quantità degli scarti, ...). Le risorse
derivano da un duplice equipaggiamento al quale la persona può ricorrere per co-
struire le sue competenze: il suo equipaggiamento personale (conoscenze, abilità,
savoir-fare, attitudini, esperienze, ecc.) e l’equipaggiamento che le viene dall’am-
biente in cui vive (reti di rapporti umani, strumenti, banche dati, ecc.). Non esiste
un rapporto puntuale fra ciascun elemento delle risorse e ciascuna competenza. La
stessa risorsa può servire ad una pluralità di competenze. Ed esistono svariati assi
per queste combinazioni, attorno ai quali si costruiscono le competenze. La capa-
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cità di combinare queste risorse è la competenza di una persona di costruire le
competenze che le sono necessarie. Si tratta di una capacità molto complessa, una
sorta di ‘scatola nera’ difficilmente accessibile e si trova nel cuore dell’autonomia
di un individuo”.
Bibl.: ISFOL, Unità capitalizzabili e crediti formativi. Metodologie e strumenti di lavoro, Milano,
Franco Angeli, 1997; LE BOTERF G., L’ingénierie des compétences, Paris, Éditions d’Organisation,
1998; MORGAN G., Images: le metafore dell’organizzazione, Milano, Franco Angeli, 1999; LE BOTERF
G., Construire les compétences individuelles et collectives, Paris, Éditions d’Organisation, 2000; CE-
POLLARO G. (Ed.), Competenze e formazione, Milano, Guerini & Associati, 2001; AJELLO A.M. (Ed.),
La competenza, Bologna, Il Mulino, 2002.
D. Nicoli
COMPETITIVITÀ
Risorse umane; Educazione permanente
COMPLESSITÀ SOCIALE
Società
COMUNICAZIONE
Il termine c. assume tradizionalmente due significati principali, ed entrambi met-
tono l’accento sulla creazione di un qualche tipo di “comunanza” tra persone. Il
primo è di origine senz’altro più antica e fondamentale, ed è quello legato al “met-
tere in comune” gli oggetti (non le idee o i pensieri delle persone), o al “partecipare
insieme” a un evento. È un significato che si richiama a strutture sociali comuni-
tarie. Solo il secondo significato di comunicare come “abboccarsi, consigliarsi con
uno” e anche “aver rapporti” ha a che fare con una c. in un senso più simile al
nostro, e precisamente con la conversazione. Durante l’epoca moderna, lo sviluppo
dapprima dei mezzi di trasporto di persone e cose, e poi di mezzi di trasmissione
delle informazioni, apre nuove possibilità per la “comunanza” tra persone. Di con-
seguenza, i nuovi mezzi assumono una connotazione comunicativa: si parla così di
mezzi di c. e vie di c.
1. Significato del termine c. Le definizioni di c. sono almeno sei: la prima afferma
che si ha c. ogni qualvolta una proprietà, una risorsa di tipo materiale o immate-
riale o uno “stato mentale” viene trasmesso da un soggetto ad un altro. La seconda
definizione afferma che ogni comportamento di un essere vivente che ne influenza
un altro rappresenta una forma di c. L’influenza può essere considerata di tipo
negativo/positivo. La terza definizione si riferisce allo scambio di valori sociali che
si effettua secondo regole prestabilite, con riferimento esclusivo, alle società
umane; in modo da definire c. qualsiasi scambio di valori sociali condotto secondo
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determinate regole. La quarta definizione si riferisce all’ambito della ricerca
sociologica: infatti per alcuni la c. è costituita dal passaggio o trasferimento di
informazioni da un soggetto (la fonte, l’emittente) ad un altro (il destinatario, il
ricevente) per mezzo di veicoli di varia natura: ottici, acustici, elettrici, ecc. Nella
quinta definizione, si ha c. soltanto quando due o più soggetti giungono a condivi-
dere i medesimi significati (trasferimento di senso). La sesta definizione, riguarda
la formaz. di una unità sociale a partire da individui singoli, mediante l’uso di un
linguaggio o di segni o anche l’avere in comune elementi di comportamento, o
modi di vita, grazie all’esistenza di insiemi di regole.
2. Ambito della disciplina. Non esiste una sola “idea” di c., bensì tante idee quante
sono le derivazioni scientifiche e culturali in vario modo implicate nell’analisi.
Perciò è difficile inquadrare l’oggetto empirico riunito all’interno di un arco assai
variabile che spazia dalla onnicomprensività del paradigma informazionale, che
comprende anche gli scambi tra macchine, alla selettività del paradigma relazionale,
che considera pienamente comunicativo soltanto quel processo in cui si raggiunge
la formulazione di un’unità sociale e/o psicologica a partire dai singoli individui.
Pertanto, per stendere una mappa scientifica della c. è indispensabile tenere in conto
i numerosi approcci scientifici e le particolari caratteristiche dell’oggetto-c. Il tenta-
tivo di disegnare un profilo preciso per gli studi sulla c. non è quindi solo segnato
da un normale avvicendamento di paradigmi, quanto piuttosto dalla confluenza con-
temporanea di riferimenti epistemologici diversi.
3. Ambiti di studio della c. Numerosi sono gli ambiti di studio della c. che pos-
sono essere affrontati dal punto di vista: matematico, ovvero della c. come tra-
smissione di informazioni; dal punto di vista semiotico, della c. come significa-
zione e come segno; dal punto di vista pragmatico, ovvero della c. come intera-
zione fra testo e contesto; dal punto di vista sociologico: la c. come espressione e
prodotto della società; dal punto di vista psicologico: la c. come gioco di rela-
zioni. Tra i fondamenti della c. vi è lo studio del significato, il concetto di inten-
zionalità, la c. non-verbale, la c. e l’influenza sociale e, soprattutto, la c. vista dal-
l’ottica del medium e dei mezzi di c. di massa, con le considerazioni relative agli
effetti a breve e a lungo termine dei mass media, dell’audience dei media, della
c. pubblicitaria e politica e mass media. Ultimo in ordine di tempo, ma sempre più
importante, è oggi lo studio della c. riferita ai new media, dove vengono trattate le
tematiche della c. digitalizzata, di quella mediata dal computer (CMC o Computer
Mediated Communication), oltre che le caratteristiche e gli effetti della c. tramite
Internet.
Bibl.: CANGIÀ C., Teoria e pratica della comunicazione multimediale. Per la scuola e per la forma-
zione professionale, Roma, Editoriale Tuttoscuola, 2001; LEVER F. et al., La comunicazione:
dizionario di scienze e tecniche, Leumann (TO), ElleDiCi, 2002; ANOLLI L., Psicologia della comu-
nicazione, Bologna, Il Mulino, 2002.
C. Cangià
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COMUNITÀ DI APPRENDIMENTO
Comunità educativo-formativa
COMUNITÀ DI PRATICHE
Comunità educativo-formativa
COMUNITÀ EDUCATIVO FORMATIVA
Il termine c. è d’ampio utilizzo in tutti gli ambiti della vita. La parola può avere
aggettivazioni forti (e tra esse vanno sicuramente annoverate educativo/formativa,
educante), o aggettivazioni deboli (per es., scientifica, economica, sportiva). Con
l’aggettivazione forte, il termine rimanda a legami stretti tra i membri che la com-
pongono: esperienze di condivisione, di reciprocità, di coinvolgimento, di solida-
rietà, di senso di appartenenza, di stabilità di relazioni, di partecipazione.
1. La c.e.f., per sua natura, si fonda su relazioni stabili e forti. Un solido e fitto
tessuto di relazioni, intenzionali o non, la attraversa a tutti i livelli e in ogni
espressione. La prima c.e.f. è sicuramente quella domestica, ambito in cui le rela-
zioni primarie costituiscono l’ambiente educativo naturale; ad essa fanno seguito
le molteplici forme, intenzionali e organizzate o non (istituzioni, aggregazioni as-
sociative, volontariato). Si definiscono, poi, c.e.f. anche le forme finalizzate all’
accoglienza, all’assistenza, al recupero, alla riabilitazione/rieducazione. La dimen-
sione comunitaria è elemento strutturale dell’istituzione scolastica: essa è perse-
guita e voluta come fine e come mezzo. La scuola, infatti, ha come fine lo sviluppo
dell’originario potenziale in dotazione ad ogni essere umano, il promuoverne la
realizzazione personale sì che il soggetto si inserisca attivo nella vita economica,
sociale, politica, culturale della c. di appartenenza. In quanto sistema organizzato
di attività (c. di pratiche), essa è anche strumento operativo per il raggiungimento
di tale fine. In essa s’intrecciano rapporti verticali e orizzontali tra i diversi prota-
gonisti. Al centro della trama relazionale si colloca il rapporto docente-discenti,
mediato dalla trasmissione/acquisizione di saperi/valori, e finalizzato sia a emanci-
pare il pensiero, sia motivare il volere nella reciprocità dialogica del dare/ricevere.
La dimensione comunitaria contrassegna dunque la vita scolastica (c. di apprendi-
mento).
2. A partire dagli anni ‘70, l’uso del termine c. registra una più alta frequenza nel
dibattito pedagogico-scolastico. Ciò si connette a due principali fattori. Il primo è
l’esplosione dei saperi che focalizzano i rapporti interni all’istituzione scuola.
Analisi pluridisciplinari offrono uno spaccato illuminante circa la complessità,
la varietà e la problematicità delle pratiche e dei vissuti presenti nel sistema (in
primis quelli riferiti alla microunità del gruppo classe). Condizionamenti reali e
istanze emancipatrici sono oggetto d’attenzione e d’accesi dibattiti, attuali ancora
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oggi. Il secondo, che ha mutato in profondità le funzioni del sistema, è il processo
di apertura della scuola ai rapporti con l’esterno. Un passo, in tale direzione, è la
nascita degli organi collegiali che aprono alla partecipazione dei genitori e poi,
gradualmente, dei diversi soggetti, espressione della realtà economica, sociale,
politico-culturale. La legge che riforma l’intero sistema sancisce tale mutamento e
dà spazio a una varietà di presenze, con diritti/doveri ancora in parte da definire.
3. L’evoluzione è frutto di eventi storici inevitabili. Tre i fattori trainanti che conno-
tano l’orizzonte attuale: la società dell’informazione, con ricadute sugli stili di vita e
sulla struttura del lavoro e della produzione; la mondializzazione dell’economia,
e i relativi problemi della crescita, della competitività e dell’occupazione; l’esplo-
sione delle conoscenze scientifiche e delle applicazioni tecnologiche. La cosiddetta
società conoscitiva muta compiti e metodologie formative. Tutti gli aspetti del si-
stema sono coinvolti: la qualità dei processi che devono essere permanenti e centrati
sulla capacità dell’apprendimento continuo per affrontare cambiamenti complessi e
in rapida evoluzione; il superamento delle divisioni rigide tra i canali formativi pro-
fessionalizzanti e quelli a prevalente impianto scientifico-culturale di tipo generale;
la diversa attenzione alla circolarità delle conoscenze scientifiche, tecniche, pratiche
in ogni settore di operatività; il graduale saldarsi della FP – apprendistato –
con la formazione tecnica; la necessità di curare tutte le dimensioni dell’uomo per
promuovere l’autonomia decisionale e la responsabilità circa la qualità di vita dei
singoli e della convivenza. La sfida oggi è considerare ciascun contesto di vita e
di lavoro come c. ove si apprende insieme, ove si collabora per lo sviluppo delle
risorse di tutti e di ciascuno, ove si partecipa alla trasmissione/creazione di valori
condivisi per la lotta all’esclusione e all’emarginazione, ove si costruisce la società
aperta e solidale del futuro.
Bibl.: DALLE FRATTE G., La comunità tra cultura e scienza: 1° vol. Il concetto di comunità nelle
scienze umane, 2° vol. Concetto e teoria della comunità in pedagogia, Roma, Armando, 1993;
POSTIC M., La relazione educativa. Oltre il rapporto maestro-scolaro, Roma, Armando, 1994;
COMMISSIONE EUROPEA, Insegnare ed apprendere. Verso la società conoscitiva, Lussemburgo, 1996;
DELORS J., Nell’educazione un tesoro, Roma, Armando, 1997; PELLEREY M., L’agire educativo. La
pratica pedagogica tra modernità e post-modernità, Roma, LAS, 1998; DUCCI E., Essere e comuni-
care, Roma, Anicia, 2003.
C. Di Agresti
COMUNITÀ / FAMIGLIA PROFESSIONALE
L’espressione c.p., sinonimo di f.p. (Grisolia - Manzolini, 2000) – indica un aggre-
gato di figure professionali che condividono un insieme relativamente omogeneo
(e nel contempo dinamico) di fattori quali il know how di base, i processi di lavoro
ed i compiti che vi si svolgono, il contesto organizzativo, infine un itinerario di
formaz. coerente e progressivo che si svolge a partire dal livello di qualifica
professionale per giungere a quelli di tecnico e di quadro/esperto.
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1. Tale espressione soddisfa la necessità di delineare una nuova classificazione
delle occupazioni tenendo conto delle trasformazioni che hanno portato al supera-
mento delle vecchie nomenclature: a) quella basata sui settori, che enfatizza esclu-
sivamente gli aspetti economici e tecnologici e che presenta una particolare cecità
rispetto ad altri aspetti decisivi quali la funzione, il livello di responsabilità e di
autonomia nei processi decisionali; b) quella centrata sulla categoria di gruppo
professionale che, se pure supera i limiti della classificazione a matrice economica,
non consente di spiegare ed accompagnare adeguatamente le dinamiche che hanno
investito la nuova struttura occupazionale quali la diffusione delle nuove tecno-
logie informatiche e telematiche, il peso crescente delle nuove competenze co-
gnitive, comunicative e sociali, infine il processo di professionalizzazione che ha
investito buona parte delle attività di lavoro qualificate (Reyneri, 2002). Allo
stesso tempo, tale espressione, identificando una “struttura sociale” collocata
in specifici contesti organizzativi e territoriali, supera le difficoltà introdotte dal
cosiddetto modello delle competenze che, volendo contrapporsi alla staticità degli
approcci basati sulle posizioni, finisce per costruire un’architettura autoreferen-
ziale e decontestualizzata (Grisolia - Manzolini, 2000).
2. Rispetto alle tradizionali distinzioni delle occupazioni per settori e gruppi pro-
fessionali, il concetto di c.p. individua un aggregato a forte valenza culturale che
disegna un campo d’azione sociale nel quale le persone accomunate da fattori di-
stintivi, a fronte di una serie di compiti sfidanti, mobilitano le proprie capacità,
conoscenze, abilità sviluppando vere e proprie competenze; ciò lo rende
maggiormente fruibile dal punto di vista formativo, evitando di cadere in una pro-
spettiva di tecnologia educativa che considera la formaz. come un processo di
adattamento della persona alle esigenze del mondo economico e dell’ impresa
in particolare. Si tratta di una prospettiva che postula la totale formabilità umana e
nel contempo la piena identificazione o fusione del mondo soggettivo con il
mondo economico (Nicoli, 2002). In questo senso, gli “individui diventano delle
risorse che devono venir sviluppate, piuttosto che essere considerati come degli
esseri umani che valgono in quanto tali e che dovrebbero essere incoraggiati a
scegliersi e a costruirsi il proprio futuro” (Morgan, 1999, 101).
3. La prospettiva della c.p. consente pertanto di disegnare in modo nuovo il rap-
porto tra persona, aggregazione professionale ed organizzazione, individuando un
rapporto di consonanza tra la dotazione delle capacità personali, le risorse (cono-
scenze, abilità) apprese tramite percorsi formali o informali, infine le competenze
concepite come dotazione del soggetto umano in un contesto definito che ne rea-
lizza le potenzialità. Si tratta di una visione a carattere antropologico, che delinea
uno spazio mediante il quale il soggetto organizza il suo progetto personale
di vita e di lavoro in base all’immagine che ha di se stesso e all’interazione che
si è creata con le altre figure di riferimento; il che gli permette di acquisire la
maturità necessaria a tradurre l’immagine di sé in termini professionali. Le scelte
professionali vengono elaborate lungo un processo evolutivo segnato da stadi e ca-
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ratterizzato da compiti che l’individuo deve assolvere per pervenire a scelte
soddisfacenti per sé e per la società, in una sequenza di esperienze e di
decisioni che – nella continua relazione con gli altri soggetti (formatori, testimoni
ed esperti delle c.p., stakeholder) – gradualmente tessono la trama dello sviluppo
della persona.
Bibl.: GRISOLIA A. - L. MANZOLINI, “Dalle competenze alle professioni aziendali”, in D. BOLDIZZONI
- L. MANZOLINI (Edd.), Creare valore con le risorse umane, Milano, Guerini & Associati, 2000, 35-
38; NICOLI D., Manuale per il progettista di formazione, Milano, Provincia di Milano, 2002; REYNERI
E., Sociologia del mercato del lavoro, Bologna, Il Mulino, 2002.
D. Nicoli
CONCERTAZIONE
Parti sociali; Partnership; Contratti
CONOSCENZE
Le c. – in senso plurale per evidenziare la varietà e la difformità dei materiali
di cui sono composte – rappresentano le cognizioni di cui l’individuo dispone
(nozioni, principi, leggi, regole, concetti, ecc.) riferibili ad aree disciplinari co-
dificate oppure a campi d’azione incrementati continuamente dall’esperienza e
dall’invenzione. Le c. si costituiscono quindi entro un legame necessario tra le
dimensioni della ricerca, dell’azione, dell’ apprendimento. Nelle scienze
pedagogiche, le c. sono connesse alle abilità, e rappresentano assieme ad esse
gli ingredienti indispensabili perché il soggetto acquisisca la conoscenza intesa
come quella qualità – definita da precisi livelli di padronanza di cognizioni – che
consente alla persona umana di avere consapevolezza circa la sua collocazione
nel mondo.
1. Sul piano didattico, si nota spesso un equivoco, teso ad identificare i saperi con
la c., poiché sul piano didattico si considerano come saperi i contenuti del cono-
scere, mentre la c. è il livello di padronanza cognitiva dei “contenuti”. Le c. pos-
sono essere dichiarative, condizionali o procedurali. Sono dichiarative quelle che
riguardano il sapere che cosa e consentono pertanto di riconoscere (ovvero dare
un nome a) un fenomeno. Sono condizionali quelle che si riferiscono al dove,
quando e perché di un determinato oggetto di c. Sono procedurali quelle che con-
cernono il sapere come si fa una certa operazione e quindi prevedono una stretta
relazione con una serie di abilità. Ma appare difficile procedere oltre in una
classificazione delle c. La grande varietà di teorie filosofiche e psicologiche sul
conoscere impediscono di trovare un’intesa circa una chiara definizione di c. Se le
epistemologie classica e moderna convergevano circa la possibilità di una precisa
e completa strutturazione del sapere, conducendo così alla piena legittimazione di
istituzioni come la scuola e l’accademia connotate dal compito di accumulazione
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e di insegnamento delle c., secondo le attuali correnti epistemologiche non è
possibile organizzare le c. entro una struttura piramidale rigida e predeterminata;
esse al contrario riflettono un universo complesso, senza un centro prestabilito, in
continua trasformazione. Ciò comporta il passaggio ad una razionalità meno pre-
tenziosa, contestuale e progressiva. Il conoscere richiede, quindi, una continua
circolarità tra l’agire e il riflettere sull’azione, al fine di giungere ad acquisizioni
ad un tempo teoriche e pratiche, ma comunque in continua trasformazione e diffi-
cilmente riconducibili a sistemi dati una volta per tutte.
2. È convinzione diffusa che le c. non possano essere ricondotte unicamente
a materie, discipline o aree culturali. Da questo punto di vista, si distingue tra
“cognizione”, ovvero un sapere puntuale, riferito ad una realtà specifica, e
“metacognizione” del sapere che, nella sua organizzazione in un tempo e in uno
spazio considerati, presenterebbe sempre una struttura disciplinare. Da ciò con-
segue che compito della scuola non è trasmettere le nozioni, quanto consentire
nell’alunno la formaz. di un metodo che gli consenta una “conoscenza perti-
nente, quella capace di collocare ogni informazione nel proprio contesto e se
possibile nell’insieme in cui si inscrive. Si può anche dire che la conoscenza pro-
gredisce principalmente non con la sofisticazione, la formalizzazione e l’astra-
zione, ma con la capacità di contestualizzare e di globalizzare” (Morin, 2000, 8).
I processi di apprendimento nell’ambito dell’istruzione e della formaz. condu-
cono a risultati di tipo “cognitivo”, e questi si distinguono dagli apprendimenti
di tipo relazionale, emotivo, comportamentale, operativo. Il rapporto tra c. e
competenze è anch’esso di tipo complesso. Le c. sono – accanto alle abilità – un
ingrediente della competenza. In linea generale, il processo di apprendimento
viene strutturato in modo che il soggetto debba acquisire certe cognizioni per
poter porre in atto una competenza; ma può succedere che attraverso l’esercizio
di una competenza si acquisiscano e si razionalizzino cognizioni che non si
possedevano in precedenza.
Bibl.: BATESON G., Verso un’ecologia della mente, Milano, Adelphi, 1976; GARDNER H., Intelligenze
multiple, Milano, Anabasi, 1994; STERNBERG R.J., Stili di pensiero. Differenze individuali nell’appren-
dimento e nella soluzione di problemi, Trento, Erickson, 1998; MORIN E., La testa ben fatta. Riforma
dell’insegnamento e riforma del pensiero, Milano, Cortina, 2000; BERTAGNA G., Verso i nuovi piani di
studio, in “Annali dell’Istruzione, n. speciale Stati Generali dicembre 2001”, 1-2 (2001), 246-277.
D. Nicoli
CONSIGLIO DI CENTRO
CFP
CONSULENZA
Orientamento
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CONTRATTI
1. Introduzione. Al fine di ridurre in una economia di “glossario” il vasto tema
relativo ai c., si è delimitata l’area di osservazione agli elementi costitutivi del c.
come “accordo” tra le parti rappresentate nell’ambito del mercato del lavoro,
non entrando nel merito di elementi strettamente giuridici e regolamentari dei
c. nei più ampi settori politici ed economici. Con riferimento alla vita civile e al
mondo del lavoro, i c. si realizzano attraverso soggetti non individuali ma
collettivi, organizzati in forme prevalentemente associative o di cooperazione, che
aggregano interessi e attività di rilevanza superindividuale e che ricorrono allo
strumento contrattuale per svolgere le proprie attività istituzionali e per realizzare i
fini e gli interessi in funzione dei quali le parti stesse si sono costituite in rappre-
sentanze con c. formali o informali.
2. Contrattazione collettiva. Il fenomeno che con maggior evidenza segnala il
passaggio del c. verso una dimensione collettivo-istituzionale è quello della con-
trattazione collettiva, di cui costituisce un esempio paradigmatico (ma non esclu-
sivo) il c. collettivo di lavoro (indicato a livello nazionale con la sigla CCNL),
specificato nelle diverse categorie e stipulato dalle contrapposte organizzazioni
sindacali dei lavoratori e delle rappresentanze dei datori di lavoro. Il c. collettivo
ha una funzione prevalentemente normativa, il cui senso è proprio quello di deter-
minare regole per disciplinare non rapporti tra individui, ma tra categorie sociali
organizzate. L’oggetto dei c. collettivi si è sempre più ampliato in rapporto alle
esigenze di una moderna economia, caratterizzata da produzione, consumi di
massa e progressivamente orientata alla globalizzazione, Pur nella complessità
dell’evoluzione del mercato del lavoro, i c. collettivi tendono a superare rischi di
facile restrizione dell’autonomia privata, dovuti alla ineliminabile disparità eco-
nomica e sociale dei contraenti, sollecitando, attraverso le proprie organizzazioni
sindacali, interventi di riequilibrio di posizione dei contraenti, anche nel pubblico
impiego, a salvaguardia dei diritti inalienabili della cosiddetta “parte debole”. Il
ruolo attuale della contrattazione collettiva, se per qualche aspetto appare meno
incisivo, per altri aspetti indica la necessità di passare da un modello tradizionale
del c. ad altre modalità che tengano conto anche della flessibilità controllata dei
rapporti all’interno del nuovo mercato del lavoro.
3. Il sistema contrattuale italiano. Sinteticamente, i fattori che hanno portato alla
costruzione del sistema attuale di contrattazione in Italia fanno riferimento: all’au-
tonomia delle parti sociali e alla loro capacità di organizzare la rappresentanza e
i loro rapporti di confronto e di concertazione; allo sviluppo economico e tecnolo-
gico, di cui la contrattazione deve tener conto come elemento di stimolo; alla cul-
tura sociale, intesa come coscienza dei diritti dei lavoratori e della volontà di parte-
cipazione allo sviluppo complessivo del Paese attraverso il ricorso al negoziato e
all’azione sindacale collettiva. Il sistema contrattuale, nell’ambito delle relazioni
sindacali, ha attraversato varie fasi: negli anni ‘60 si è sviluppata la contrattazione
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aziendale; nel decennio successivo, il processo di sindacalizzazione e di costru-
zione organizzativa del sindacato è stato accentuato; negli anni ‘80 si sono creati i
primi strumenti di partecipazione (osservatori, protocolli, organismi bilaterali). Nel
1993, il sistema contrattuale ha trovato nuove regole, che hanno consentito il
transito dell’economia e della politica all’UE a moneta unica. Le tutele collettive
dei CCNL coprono attualmente la generalità del lavoro dipendente, quasi in ogni
aspetto del rapporto di lavoro. Schematicamente il sistema contrattuale si compone
di: soggetti (rappresentanze sindacali, imprenditori singoli o associati, Stato,
enti locali); contenuti per livello (retribuzioni, inquadramento, orario, diritti di for-
mazione, ambiente, informazioni); regole (accordi nazionali, accordi regionali,
accordi aziendali, leggi). I principali livelli sono: interconfederale, nazionale di ca-
tegoria, aziendale e territoriale.
4. Fasi e procedure. La contrattazione è un processo che ha proprie fasi, pro-
cedure e tempi di durata. In linea generale ad accordo scaduto, o in mancanza di
accordi, le organizzazioni sindacali elaborano una piattaforma di richieste che
inviano alle controparti imprenditoriali datori di lavoro. Se ci sono le giuste
condizioni di rapporti di rappresentanza contrattuale, o di regole condivise da
entrambe le parti, si apre la fase di trattativa e si svolgono le operazioni del
negoziato. Le consultazioni dei rappresentati sono attivate con procedure e tempi
previsti fra le parti. Se la trattativa siglata porta ad un accordo finale firmato,
nello stesso accordo è stabilito fra le parti il periodo di validità e il campo di ap-
plicazione: i CCNL di categoria durano di norma 4 anni per la parte normativa;
più o meno hanno la stessa validità i c. regionali e aziendali. Normalmente, i
rappresentati (lavoratori / datori di lavoro) sono consultati nella preparazione
della piattaforma e prima della firma conclusiva. Presso il CNEL (Consiglio
Nazionale dell’Economia e del Lavoro) vengono registrati i CCNL confederali e
di categoria.
Bibl.: TURONE S., Libertà del sindacato in Italia, Bari, Laterza, 1992; BAGLIONI G., Democrazia
impossibile?, Bologna, Il Mulino, 1995; CELLA G.P. - T. TREU, Le nuove relazioni industriali,
Bologna, Il Mulino, 1998; CESOS, Le relazioni industriali in Italia, Rapporti Biennali, Roma,
CNEL, 1998-2000.
P. Ransenigo
CONTRATTO FORMATIVO
Il c.f. o pedagogico, nell’accezione più comune, costituisce l’accordo con cui si
stabiliscono in modo preciso gli obiettivi della formaz. e i criteri della sua
valutazione. Nel contesto della FP, istituzione educativa dove convergono più
spesso utenti della fascia del disagio, viene predisposto anche come strumento di-
dattico-pedagogico che mira a coinvolgere gli allievi e a renderli più direttamente
partecipi e protagonisti dei percorsi di apprendimento. Il c.f. può costituire un
utile strumento a supporto della personalizzazione dei percorsi. Essendo struttu-
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rato dal team di formatori, viene da essi adottato e gestito durante le attività forma-
tive, come documento di riferimento e confronto.
1. Gli obiettivi del c.f. riguardano non tanto l’acquisizione di singoli contenuti o
saperi, quanto il raggiungimento di specifici traguardi durante il percorso. In modo
specifico, nella FP, l’oggetto del c.f. dovrà riguardare attività pratiche o esercizi
concreti inerenti le competenze previste dalla qualifica professionale. Le atti-
vità concrete infatti, riferite a specifiche abilità, sono facilmente documentabili
e misurabili e consentono di puntualizzare le evidenze oggettive su cui basare il
c. stesso. Le competenze previste per l’acquisizione della qualifica, ciascuna con i
relativi saperi e comportamenti, possono essere considerate oggetto del c.f. Con
riferimento agli utenti della FP, gli obiettivi perseguibili tramite questo strumento
riguardano in particolare lo sviluppo della motivazione; la consapevolezza e il
controllo del proprio percorso formativo; la capacità di progettare nuove tappe di
apprendimento; l’acquisizione delle capacità cooperative e lo sviluppo di capacità
metacognitive.
2. La formalizzazione del c.f. può assumere diverse forme. Può essere riferita agli
apprendimenti personalizzati, c. individuale, o coinvolgere una intera classe, c.
d’aula. Può essere punto di riferimento per le attività del CFP e costituire parte
significativa del programma di formazione. Può riguardare l’intero percorso, di-
stinti periodi, oppure singole unità di apprendimento. I contraenti sono i formatori,
che propongono il c.f., e gli allievi, che ne prendono coscienza, partecipano alla
messa in atto e ne discutono le modalità. Possono far parte dei contraenti anche i
genitori che desiderano essere coinvolti nel processo formativo.
3. Il successo di questo strumento è legato alla capacità pedagogico-didattica dei
formatori che lo gestiscono, alla loro abilità nell’individuarne le modalità di appli-
cazione adeguate in rapporto alla tipologia dei destinatari ed al piano di lavoro
previsto.
Bibl.: MALIZIA G., “Contratto in educazione”, in J.M. PRELLEZO - C. NANNI - G. MALIZIA (Edd.),
Dizionario di Scienze dell’educazione, Leumann (TO)/Roma/Torino, ElleDiCi/LAS/SEI, 1997, 238;
NICOLI D., Nuovi percorsi di apprendimento nella società cognitiva. Il sistema di Istruzione e For-
mazione Professionale, in “Professionalità”, 78 (2003), 79-88; CECCONI L., “Contratto formativo”,
in CIOFS/FP (Ed.), Un glossario per l’orientamento, Roma, Publigrafica Romana, s.d., 49-50.
L. Valente
COOPERAZIONE
Solidarietà
COORDINATORE
Operatori della FP
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COPING
Il c. (fronteggiamento) può essere considerato come un processo mediante il quale
le persone cercano di gestire la discrepanza percepita tra le richieste poste loro
da una situazione stressante e le proprie risorse. Più specificatamente la recente
ricerca definisce il c. come “gli sforzi della persona, sul piano cognitivo e com-
portamentale per gestire (ridurre, attenuare, dominare o tollerare) le richieste
interne ed esterne poste da quelle interrelazioni persona-ambiente che vengono
valutate come estenuanti o eccessive rispetto alle risorse possedute” (Folkman
et al., 1986, 572).
1. Il concetto di c. trova la sua origine nell’ambito della Psicologia dell’Io, e speci-
ficatamente nel lavoro di Anna Freud, L’io e i meccanismi di difesa (1936). È quindi
considerato, inizialmente, un processo inconscio, automatico, la cui funzione si con-
nota come primariamente difensiva, sebbene si intravedano importanti risvolti adat-
tivi. Successivamente l’interesse dei teorici si focalizza sulle strategie conscie utiliz-
zate dall’individuo in situazioni problematiche; strategie che, diversamente dalle
inconscie, si caratterizzano per essere flessibili, intenzionali, differenziate e orientate
alla realtà.
2. Il primo ad occuparsi di c. come attività conscia è Lazarus (1991) che impiega
ampiamente tale concetto negli studi sullo stress. Secondo l’A. il c. svolgerebbe
due principali funzioni: minimizzare il rischio del danno che potrebbe derivare da
un evento stressante (in tal caso si parla di c. centrato sul problema); contenere o
attenuare le reazioni emozionali negative (in tal caso si parla di c. centrato sull’emo-
zione).
Le diverse strategie che la persona utilizza possono essere focalizzate sul pro-
blema (c. attivo, problem solving pianificato), sull’emozione (prendere le di-
stanze, autocontrollo, fuga-evitamento, assunzione di responsabilità, rivaluta-
zione positiva), o su entrambi (ricerca di sostegno sociale) (Folkman et al.,
1986). Per quanto concerne l’efficacia delle strategie adottate, possiamo dire che
non esiste in assoluto una strategia migliore di un’altra e l’appropriatezza è de-
terminata dal tipo di evento, dal contesto, dalla situazione. In generale, tuttavia, le
ricerche fanno emergere come meno efficaci, a lungo termine, le strategie di ritiro-
evitamento.
Bibl.: FOLKMAN S. et al., Appraisal, coping, health status and psychological syntoms, in “Journal of
Personality and Social Psychology”, 50 (1986) 571; FREUD A., L’io e i meccanismi di difesa, Firenze,
Martinelli, 1989; LAZARUS R.S., Emotion and Adaptation, New York, Oxford University Press, 1991;
ZANI B. - E. CICOGNANI, Le vie del benessere, Roma, Carocci, 1999.
A.R. Colasanti
COUNSELLING
Orientamento
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CREDITO FORMATIVO
Il c.f. rappresenta una documentazione che attribuisce alla persona in possesso di
un’acquisizione un valore esigibile presso un organismo formativo, in vista del
raggiungimento di uno specifico titolo.
1. Perché il c. relativo ad un’acquisizione formativa sia effettivamente esigibile,
occorre che l’organizzazione ricevente riconosca la certificazione ( certificazione
degli apprendimenti) fatta da quella inviante ed attribuisca a questa certificazione
un valore affinché possa essere davvero utilizzata per accedere a (o progredire in)
un percorso formativo o lavorativo senza che alla persona titolare sia imposto di
ripetere le attività di apprendimento riconosciute. Di conseguenza, la semplice
certificazione non rappresenta di per sé un c. Perché un credito sia tale, bisogna
che ci sia un “potere” che lo riconosce o che impone alle organizzazioni coinvolte
di riconoscerlo. Tale potere risulta da un’intesa condivisa dai diversi attori, in forza
della quale si definiscono i criteri di individuazione delle acquisizioni e il percorso
formativo con il relativo livello entro cui la persona può indirizzarsi.
2. I c.f. sono pertanto da intendere in senso sostanziale, ovvero non solo in riferi-
mento allo sforzo necessario in termini di tempo per soddisfarli (è questa la conce-
zione universitaria del c.), ma precisamente agli apprendimenti effettivamente pos-
seduti e validamente accertati. Il c. inteso in senso sostanziale non può essere
gestito tramite processi automatici. Esso richiede un approccio discreto, in grado
di attribuire alla documentazione attestante gli apprendimenti, il giusto valore in
termini di personalizzazione del percorso formativo. Ciò richiede comunque un
dialogo e una negoziazione tra i soggetti coinvolti (organismo inviante, organismo
ricevente, persona interessata). Ciò definisce un metodo di lavoro necessariamente
relazionale e dialogico-narrativo.
Bibl.: AUBRET J. - F. AUBRET - C. DAMIANI, Les bilans personnels et professionnels, Paris, Éditions
Eap-Inetop, 1990; CEPOLLARO G. (Ed.), Competenze e formazione, Milano, Guerini & Associati,
2001; COMOGLIO M., La valutazione autentica e il portfolio, Roma, manoscritto, 2001; AJELLO A.M.
(Ed.), La competenza, Bologna, Il Mulino, 2002; CIOFS/FP, Prova di valutazione per la qualifica:
addetto ai servizi di impresa, Roma, Tipografia Pio XI, 2003.
D. Nicoli
CULTURA PROFESSIONALE
L’evoluzione della concezione del lavoro dalla dimensione del “mestiere” arti-
gianale, attraverso la “mansione”, tipica della descrizione parcellare dell’attività,
cui corrisponde la delineazione di diplomi e qualifiche professionali standard, è
giunta alla definizione della cultura tipica di chi esercita una competenza.
1. Come alla mansione corrisponde la qualifica, così alla competenza la c.p., quale
insieme di conoscenze, capacità, abilità che il soggetto ha acquisito (di-
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mensione di qualifica professionale) unite alla sua capacità di farvi ricorso attra-
verso l’impiego libero e responsabile della ragione scientifica, al fine di produrre
ipotesi di risoluzione dei problemi emergenti nelle situazioni lavorative. Essa si
sostanzia non solo di conoscenze tecnico professionali, bensì soprattutto di capacità
di autocollocazione all’interno di reti relazionali che costituiscono il luogo delle
dinamiche di controllo di processo oltre che di apprendimento organizzativo.
2. Ben oltre una lettura tipica delle professioni liberali, è qui il riferimento alla capa-
cità di giocare un ruolo professionale nei termini di condivisione di esperienze e
di culture, di assunzione di spazi di responsabilità, di interazione formativa con per-
sone e sistemi al fine di produrre nuovo sapere all’interno delle concrete situazioni
lavorative. Questa si sostanzia della capacità di operare all’interno della cultura del-
l’organizzazione in quanto assieme di regole di comportamento, linguaggi tipici, riti
e miti, forme autonarrative di cui quella si avvale al fine di descrivere se stessa e di
regolare i propri confini e i comportamenti al suo interno.
Bibl.: BOCCA G., Pedagogia della formazione, Milano, Guerini studio, 2000; MONTEDORO C. (Ed.),
Dalla pratica alla teoria per la formazione: un percorso di ricerca epistemologica, Milano, Franco
Angeli, 2000; ID. (Ed.), Le dimensioni metacurricolari dell’agire formativo, Milano, Franco Angeli,
2001.
G. Bocca
CURRICOLO
Progettazione formativa; Didattica induttiva; Pedagogia del lavoro
CURRICULUM VITAE
È lo strumento attraverso cui il candidato presenta la propria formaz., le proprie
capacità e inclinazioni, nonché il percorso di studi realizzato e le eventuali espe-
rienze professionali pregresse, all’azienda in cerca di nuovi dipendenti.
La ricerca del lavoro ha un punto di partenza obbligatorio: il c.v. La stesura di
questo documento è il primo passo sulla strada che porta alla conquista di un posto
in un’azienda o di un rapporto di collaborazione interessante. Inviato in risposta
ad un’inserzione su un giornale, su internet e/o su una rivista, o come candidatura
spontanea, il c.v. è considerato dai selezionatori un vero e proprio biglietto da visita
del candidato (Peruzzi, 2002, 10).
Il c.v. deve rispecchiare il carattere del suo autore: pertanto, è importante che espli-
citi bene, in due pagine al massimo, informazioni anagrafiche e relative al percorso
formativo, l’obiettivo professionale e i risultati raggiunti.
Logica conclusione di tutto ciò è che saper scrivere con accortezza un c.v. è un’
abilità che, se sviluppata, può contribuire ad agevolare la ricerca e la conquista di
un posto di lavoro. A tal fine è necessario sapersi descrivere in considerazione
degli specifici bisogni e interessi di chi lo legge che devono essere individuati,
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anche se in prima approssimazione, già durante l’impostazione del c.v. e approfon-
diti poi durante il colloquio (Adani, 2003a, 25).
La Commissione Europea ha proposto uno specifico modello di c.v. da utilizzare.
L’obiettivo è favorire una maggiore chiarezza e trasparenza delle informazioni che
potranno essere gestite meglio anche dalle banche dati europee. Per quanto
riguarda i candidati, il modello si propone di aiutarli a valorizzare la professio-
nalità acquisita e a comunicarla efficacemente. Per ora si tratta solo di un suggeri-
mento, ma è prevedibile che presto tutte le strutture interessate dovranno adottarlo
(Adani, 2003b, 141).
Bibl.: PERUZZI M. (Ed.), Lavoro e pensioni, Milano, Il Sole 24 Ore, 2002; ADANI L., Il lavoro è tuo!
Guida al colloquio di assunzione, Milano, ETAS, 2003a; ID., Curriculum! Le regole da seguire, gli
errori da evitare, i modelli più efficaci in italiano e in inglese, Milano, ETAS, 2003b; S.A., Curriculum
vitae e colloquio di lavoro, in http://www.studenti.it/partner/cliccalavoro/utilita/curriculum.php,
05/03/2004; S.A., Cos’è e come si fa il curriculum vitae, in http://www.studenti.it/partner/cliccalavoro/
utilita/curriculum.php, 05/03/2004.
R. Paggi
DECISIONE
Orientamento; Sviluppo professionale; Motivazione; Prevenzione;
Accoglienza
DESTINATARI
I d. della FP si suddividono in due macro-categorie, i “soggetti individuali” e
quelli “istituzionali”, a loro volta ripartiti in più sottocategorie.
1. Tra i “soggetti individuali” si possono ricordare: a) gli studenti e gli allievi
del sistema educativo di istruzione e di formazione e dell’università; b) i giovani
inoccupati/disoccupati e/o a rischio di esclusione; c) gli adulti occupati, a bassa
soglia di qualificazione e/o a rischio di espulsione, disoccupati, in cassa integra-
zione, in mobilità, in riconversione; d) coloro che appartengono alle fasce deboli
del sistema produttivo (donne, immigrati, portatori di handicap, drop-outs,
giovani a rischio di devianza, detenuti). Appartengono tra l’altro alla categoria dei
“soggetti pubblici”: a) il sistema educativo di istruzione e di formazione; b) il
sistema produttivo; c) le istituzioni; d) i servizi socio-assistenziali; e) le comunità
(ri)educative.
2. L’obiettivo di fondo è quello di dare a tutti “pari opportunità” nel soddisfare
la domanda di formaz. proveniente dal territorio, finalizzata: a) all’ accompa-
gnamento, inserimento e reinserimento nel mondo del lavoro (sportello infor-
mativo, orientamento, tutoring, ecc.); b) all’attività di prevenzione attraverso
forme di animazione socio-culturale (associazionismo a scopo educativo, sportivo-
ricreativo, ecc.), di assistenza psicopedagogia e di orientamento (counseling,
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bilancio di competenze, ecc.); c) all’attività di recupero attraverso interventi
(ri)educativi basati sull’ergoterapia e/o su processi formativo-professionaliz-
zanti indirizzati a soggetti a rischio (carcerati, utenti delle comunità terapeutiche
e/o delle comunità rieducative, portatori di forme varie di disagio, ecc.) e/o a
segmenti deboli del sistema (portatori di handicap, giovani, donne, immigrati,
ecc.); d) all’attività di ricerca, studio, sperimentazione (analisi dei bisogni del
territorio, osservatorio ed elaborazione dati sul mercato del lavoro, incontro tra
domanda formativa e offerta occupazionale, ecc.).
3. In pratica, quindi, un’attività formativa “per tutti/per tutte le stagioni della vita”,
trasformata in un servizio “trasversale” alle diverse strutture/istituzioni grazie ad
un’apertura a tutto campo nei confronti delle variegate utenze che fanno capo ad
altrettante esigenze/emergenze del territorio, a loro volta suddivise per fasce
d’età, status sociale, condizioni di vita più o meno precarie/sfavorevoli a livello
psichico, sociale, formativo, comportamentale, in vista di una maturazione sia
professionale che della personalità globale (valori, attitudini, interessi, ecc.).
Solo prendendo in considerazione entrambi i “soggetti” (pubblici e privati) ed
entrambe le componenti (professionali e della personalità) la valenza formativa
della FP contribuisce a meglio qualificare e programmare interventi formativi
mirati ai reali bisogni dei differenti gruppi sociali del territorio, dal momento
che l’acquisizione di una professionalità oggi più che mai viene strettamente
collegata all’investimento nella risorsa-uomo e, quindi, alla costruzione della
propria identità e di un progetto di vita personalizzato. In questa prospettiva,
la FP si presenta come un processo complesso e completo al tempo stesso che,
mentre per un verso attende alle diverse istituzioni pubbliche del territorio, non
può non tener conto congiuntamente delle variegate sfaccettature dei suoi utenti
e dei peculiari bisogni dei singoli. Da qui l’urgenza di “trasversalità” e di un
lavoro di rete collaborativo, in un’ottica di superamento dei cementati confini tra
pubblico e privato, tra individuo e istituzioni. Tutto questo suppone un’azione
coordinata che permetta l’integrazione, in forma articolata, tra strutture forma-
tive, istituzioni educative, mondo del lavoro, amministrazioni locali e risorse del
territorio, al cui interno la FP si fa “anello” di interconnessione tra i bisogni del
singolo utente (qualunque sia la sua categoria di appartenenza) e le istanze del
territorio.
Bibl.: MONTEDORO C. (Ed.), La personalizzazione dei percorsi di apprendimento e di insegnamento.
Modelli, metodi e strategie didattiche, Milano, Franco Angeli, 2001; DI FRANCESCO G. - I. PITONI
(Edd.), La qualità dei processi formativi. Approcci, risultati e prospettive, Milano, Franco Angeli,
2002; ISFOL, Rapporto 2002, Milano, Franco Angeli, 2002.
V. Pieroni
DEVIANZA
Destinatari
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DIALOGO
Spiritualità dell’operatore; Accoglienza
DIDATTICA
Insegnamento; Didattica induttiva; Moduli; Laboratorio; Metodologia;
Alternanza formazione lavoro; Autonomia; Accoglienza; Tutor
DIDATTICA INDUTTIVA
Nel significato generale, la d. indica l’attività dell’insegnare; in quello più specifico
dice le conoscenze relative a tale attività, identificando un’area di ricerca nell’am-
bito delle scienze dell’educazione. D. perciò è quella sezione del sapere pedagogico
che ha per oggetto il metodo dell’ insegnamento, anche se è improprio affermare
che d. e insegnamento siano la stessa cosa. Nell’ambito della scuola attiva, la d.i.
rovescia l’impostazione della d. tradizionale (che poneva al centro la disciplina e
le sue conoscenze) centrando l’attenzione sul processo formativo dell’allievo,
considerato nella sua struttura bio-psicologica, socio-culturale e valoriale. La d.i. è
un momento operativo dell’attività di insegnamento, identificabile come attività
svolta intenzionalmente, in forma organizzata, generalmente nella formaz., se-
condo procedimenti ritenuti efficaci, e tendente a sviluppare, estendere, approfon-
dire, modificare abilità, conoscenze, atteggiamenti, valori negli allievi.
1. Questa d. si basa su un procedimento logico che dall’osservazione di un certo
numero finito di fatti o eventi o esperienze particolari risale a principi o leggi ge-
nerali. Essa si oppone alla deduzione che usa un procedimento esattamente op-
posto: dal principio generale ai casi particolari. Il tipo più semplice di d.i. genera-
lizza un giudizio su aspetti della realtà che sono visti dal didatta più volte e nella
stessa forma. Tale giudizio generalizzante è anche alla base della formaz. del senso
comune.
2. Le forme con cui la d. si esprime e i saperi che comunica sono molteplici e si
esplicano in alcuni passaggi: progettare per obiettivi, seguire un modello
lineare, progettare per contenuti, progettare per concetti, progettare per situazioni,
progettare per padronanze. La d.i. progetta il processo educativo per situazioni
che risultano particolarmente funzionali all’ apprendimento in cui l’esperienza
dell’allievo è imprescindibile. La realtà dell’allievo è determinante per le situa-
zioni di apprendimento tecnico e operativo, per le esperienze di disagio e per
l’apprendimento adulto: per quelle situazioni cioè in cui l’esperienza passata va
rivisitata e rimodellata per meglio affrontare l’esperienza futura.
Le caratteristiche della d.i. sono: a) la progettazione avviene per situazioni, con-
testi, ambienti, sfondi, ecc.; b) il focus è costituito dall’esperienza del soggetto che
apprende; c) le azioni richieste all’allievo sono il saper analizzare le situazioni,
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l’individuare gli elementi problematici, l’imparare ad interpretare la complessità
della realtà; d) le azioni dell’insegnante devono facilitare e mediare le esperienze,
provocare situazioni problematiche, sviluppare la motivazione degli allievi; e) il
processo formativo è costituito dalla ricerca fatta insieme, senza distinzione di
ruoli tra chi insegna e chi apprende (pur rispettandone le differenze); f) gli obiettivi
sono identificati nei traguardi possibili, perché dipendono dalle esperienze e pos-
sono cambiare se lo svolgimento didattico in itinere lo richiede; g) il parametro
valutativo più importante è costituito dalla valutazione come raccolta di giudizi
personali.
3. I suoi elementi più critici sono la perdita della direzione del curricolo, la man-
canza di verifica e di controllo, costi di tempo e di gestione più elevati, scarsa ef-
ficienza. Gli elementi di interesse sono l’attenzione del soggetto, l’efficacia del-
l’apprendimento per esplorazione, l’importanza della motivazione.
Bibl.: PIU C., Nuovi orientamenti della didattica, Roma, Armando, 1996; VERTECCHI B. (Ed.), La
didattica: parole e idee, Torino, Paravia Scriptorium, 1999; FRANCESCHINI G., Apprendere, insegnare,
dirigere nella scuola riformata. Aspetti metodologici e profili professionali nella nuova scuola di
base, Pisa, Edizioni ETS, 2000; TESSARO F., Metodologia e didattica dell’insegnamento secondario,
Roma, Armando, 2002.
N. Zanni
DIPLOMA PROFESSIONALE
FPI; FP superiore; Istruzione e FP; Personalizzazione; Apprendistato
DIRETTORE
Operatori della FP; Équipe educativa; Orientamento
DIRITTI FORMATIVI
In senso giuridico, i d.f. definiscono l’insieme delle prestazioni che assicurano il
raggiungimento di un risultato, la formaz.; mentre, da un punto di vista peda-
gogico, si riferiscono al complesso delle misure rivolte a garantire la formaz. di
ogni uomo, di tutto l’uomo, per tutta la vita.
1. La riflessione pedagogica. Gli anni ‘80 hanno segnato l’allargamento del diritto
alla formaz., caratterizzato fino ad allora prevalentemente dai tratti della quantità,
dell’uniformità e dell’unicità; tale estensione ha portato a comprendere anche gli
aspetti della qualità, della differenziazione e della personalizzazione. Pertanto
non basta assicurare l’accesso di tutti, ma è necessario garantire una formaz. di
qualità, cioè processi di insegnamento/ apprendimento efficaci. Nella stessa
prospettiva si dovrà anche contemperare eguaglianza e diversità, tutela ed eccel-
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lenza. Un altro orientamento è consistito nel potenziare la partecipazione alla
gestione delle strutture formative di tutte le componenti perché la riduzione e l’eli-
minazione delle diseguaglianze di opportunità non possono essere realizzate senza
il coinvolgimento dei gruppi che soffrono direttamente dell’impatto delle disparità.
Il concetto di diritto alla formaz. mentre si è esteso e diversificato sul piano dei con-
tenuti, ha dato vita, in riferimento ai soggetti tutelati, a principi autonomi. In propo-
sito si possono ricordare quello dell’eguaglianza fra i due sessi; la formaz. inter-
culturale che consiste nella messa in rapporto delle culture, nell’interfecondazione,
mentre esclude l’assimilazione; l’integrazione degli handicappati ( handicap e
FP), che significa rispondere ai bisogni di tutti gli allievi e di ciascuno, dare risposte
differenziate perché gli allievi sono diversi e fornirle all’interno dell’offerta for-
mativa ordinaria. Comunque, il cambiamento più profondo sul piano pedagogico
consiste nell’accettazione mondiale della strategia della formaz. permanente. Qui
mi limito a ricordare che essa significa garantire la formaz. di ogni uomo, di tutto
l’uomo, per tutta la vita.
2. I risvolti giuridici. Lo sbocco finale è rappresentato dalla L. 53/03, la cosid-
detta “Riforma Moratti”, che all’art. 2., comma 1, lettera c) assicura a tutti “il
diritto all’istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o, comunque, sino
al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età” nel quadro
della promozione dell’“apprendimento in tutto l’arco della vita” – art. 2., comma
1, lettera a). Inoltre, la L. costituzionale 3/01 all’art. 117, lettera m, colloca la
formaz. tra quei diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il terri-
torio nazionale e per i quali lo Stato è chiamato a determinare i livelli essenziali
delle prestazioni.
Bibl.: MALIZIA G., “Diritto all’educazione”, in J.M. PRELLEZO - C. NANNI - G. MALIZIA (Edd.), Dizio-
nario di scienze dell’educazione, Leumann (TO)/Roma/Torino, ElleDiCi/LAS/SEI, 1997, 303-304;
Rapporto del Gruppo Ristretto di Lavoro costituito con D.M. n. 672 del 18 luglio 2001, in “Annali
dell’Istruzione” 47 (2001) 1/2, 3-176; CNOS-FAP (Ed.), Accreditamento della sede orientativa,
Roma, CNOS-FAP, 2002.
G. Malizia
DISABILITÀ
Handicap e FP
DISAGIO
Il d. è un termine generico che spesso viene usato per descrivere condizioni indivi-
duali e condizioni sociali di carenza di benessere. Il d. indica una mancanza, una
condizione di difficoltà in cui si trova un individuo e che si evidenzia attraverso
manifestazioni diverse che tendono ad isolare o ad escludere il soggetto dalla
società (esclusione sociale).
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1. Questa difficoltà può scaturire da problematiche collegabili alla sfera personale,
relazionale o professionale dell’individuo. Pertanto, intervenire sul d. significa
intervenire su cause che, a seconda dei casi, interessano la sfera psicologica o la
sfera socio-economica, e che quindi richiedono l’affinamento di strumenti specifici
di comprensione del fenomeno a livello individuale. La condizione di d. impedisce
al soggetto di sfruttare al meglio il beneficio proveniente dalla partecipazione ad
un’attività formativa, quindi l’analisi dei fabbisogni formativi di soggetti in con-
dizione di d. deve necessariamente integrare una dimensione attenta agli aspetti
psico-emotivi che possono interferire con i processi pedagogici in cui questi sog-
getti vengono coinvolti.
2. La tendenza attuale, in materia di formaz. destinata a pubblici in condizione di
d., consiste nel valutare la capacità del soggetto ad accogliere proficuamente l’inter-
vento formativo. Tale processo può essere equiparato, in materia di occupazione,
all’azione di incremento dell’occupabilità di un soggetto che non presenti le con-
dizioni richieste per l’inserimento nel mondo lavorativo, e che debba quindi creare
le condizioni minime per aspirare a un posto di lavoro. In alcuni Stati della UE
(Francia, Regno Unito), si sta diffondendo una prassi che tende a intervenire sulle
situazioni di d. individuale a monte di qualsiasi percorso formativo, al fine di per-
mettere al soggetto di ottimizzare l’esperienza formativa successiva.
Bibl.: SARACENO C., Glossario del disagio, in “Esclusione Sociale” 1 (1993), 21-25; HUSKINS J.,
Quality work with young people. Developing social skills and diversion from risk, Manchester,
1996; CREPET P., Non siamo capaci di ascoltarli. Riflessioni sull’infanzia e sull’adolescenza, To-
rino, Einaudi, 2001.
A. Felice
DISCIPLINA
Didattica induttiva; Nuove tecnologie
DISOCCUPAZIONE
Sociologia del lavoro; Bisogni formativi; Economia e formazione;
Esclusione sociale; Finanziamenti per la FP; Impresa; Servizi per l’im-
piego; Bisogni formativi
DOMANDA E OFFERTA DI LAVORO
Economia e formazione; Mercato del lavoro; Bisogni formativi
DOMANDA FORMATIVA
Bisogni formativi; FP: sviluppo storico; CFP; Destinatari
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DON BOSCO E LA FP
Nel periodo 1853-1862, don Bosco (1815-1888) [= DB] – fondatore della Società
Salesiana (1859), dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice (1872) e dei Coope-
ratori Salesiani (1876) – organizzava a Valdocco, nella periferia della città di
Torino, sei laboratori: calzolai, sarti, legatori, falegnami, tipografi, fabbri. Con
l’aiuto dei collaboratori, le opere per giovani artigiani si trasformarono progressiva-
mente in istituti di FP. I suoi rapporti con il “mondo del lavoro” erano cominciati
molti anni prima.
1. Esperienze di lavoro manuale. Nato ai Becchi (Catelnuovo d’Asti) in una famiglia
contadina, Giovanni Bosco riceve la prima formaz. in contesto socio-economico
rurale. Ancora ragazzo, alterna “lo studio e la zappa” e diviene garzone di campagna
presso una famiglia agiata. Allorché frequenta grammatica, umanità e retorica nelle
scuole di Chieri, dedica alcune ore del giorno al lavoro come apprendista sarto e
come “caffettiere e liquorista”. Mentre compie gli studi di filosofia e di teologia nel
seminario, mette a disposizione dei compagni le sue abilità pratiche: fare berrette da
prete, cucire o rappezzare abiti per chi ne ha bisogno. Ordinato sacerdote, ha i primi
contatti con ragazzi immigrati dai campi o dalla montagna alla ricerca di un lavoro in
città e con giovani carcerati. Nel 1841, DB si inserisce con originalità nel movimento
degli oratori. Riferendosi alle origini dell’opera, scrive nelle sue Memorie dell’Ora-
torio: “In generale l’Oratorio era composto di scalpellini, muratori, stuccatori, sel-
ciatori, quadratori e di altri che venivano di lontani paesi”.
2. I laboratori artigiani. Sensibile ai bisogni del tempo, DB fa la scelta dei giovani,
“soprattutto i più poveri e abbandonati” e organizza a Torino un piccolo “ospizio”
per quelli che non hanno “né vitto, né vestito, né alloggio”. Desiderando poi di
avviarli allo studio e al lavoro, invia i ricoverati in città; li visita nei cantieri e nelle
botteghe; firma contratti di lavoro con i padroni. Costatando però i pericoli mo-
rali a cui i ragazzi vanno incontro, crea i propri laboratori. In questo settore, egli
non segue i modelli scolastici statali: “Tra l’antico modo di stabilire rapporti di
lavoro tra capo d’arte padrone di bottega con gli apprendisti e il nuovo modello
della scuola tecnica prevista dalle legge organica sull’istruzione, preferì percorrere
la sua terza via: quella cioè dei grandi laboratori di sua proprietà, il cui ciclo di
produzione, di livello popolare e scolastico, era anche un utile tirocinio per i gio-
vani apprendisti” (Stella, 1880, 248). L’iniziativa attuata a Valdocco per giovani
disoccupati, alcuni usciti dal carcere, in gran parte analfabeti, si inseriva tra le
opere “private” originate in un clima di nuova attenzione all’istruzione del popolo
ed era finalizzata alla creazione di officine destinate ai giovani apprendisti. L’av-
viamento dei laboratori non riuscì un’impresa facile: difficoltà economiche; pro-
blemi disciplinari (facilitati dal crescente numero di ragazzi – 400 fin dagli anni
settanta – in ambienti piuttosto ristretti in cui si trovano talvolta anche giovani por-
tati “dall’autorità di pubblica sicurezza”); ricerca di un equilibrio tra il programma
di cultura generale e la pratica dell’ apprendistato del mestiere.
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3. Dall’apprendistato alle scuole professionali. Fin dagl’inizi dei laboratori, l’in-
tento di DB fu quello di preparare i giovani apprendisti a “guadagnarsi onestamente
il pane”, senza trascurare tuttavia le “cognizioni utili ed opportune per esercitare
la sua arte”. Negli anni ottanta del sec. XIX, il tema si inseriva in una situazione
sociale mutata. Nei documenti emanati dai responsabili della politica scolastica
si cominciava a parlare di scuole di “arti e mestieri”; nuovi stimoli e richieste pro-
venivano dal mondo del lavoro. Nel 1883, il Capitolo Generale (supremo organo
legislativo) della Società salesiana studiò il tema: “Indirizzo da darsi alla parte
operaia nelle case salesiane”. Approfondita la questione negli incontri del 1886,
presieduti da DB, è ribadito che le finalità delle case salesiane aperte ai giovani
artigiani non si esauriscono nell’assicurare agli allievi “un mestiere onde guada-
gnarsi onoratamente il pane della vita”, ma si propongono che essi “siano bene
istruiti nella religione ed abbiano le cognizioni scientifiche opportune al loro
stato”. Di conseguenza, “triplice deve essere l’indirizzo da darsi alla loro educa-
zione: religioso-morale, intellettuale e professionale” (Delib., 1887, 8). Per garan-
tire lo sviluppo fu creata la carica di “consigliere professionale generale”. Ancora
in vita DB, oltre a quello di Valdocco, furono aperti altri istituti (laboratori,
talleres, case di artigiani, escuelas de artes y oficios, écoles d’arts et métiers) in
Italia (Sampierdarena) e all’estero (Francia, Argentina, Spagna). Nella successiva
opera di riflessione, di sviluppo e di progressiva trasformazione è stato decisivo
– accanto all’impulso iniziale di DB – il contributo dei suoi collaboratori, in parti-
colare di G. Bertello (1848-1910). “I primitivi laboratori vennero trasformati in
vere e proprie scuole professionali strutturate in modo da offrire ai giovani una
formaz. completa che permettesse di farne buoni cristiani, dei cittadini coscienti
e di lavoratori qualificati” (Di Pol, 1984, 81). Nelle ultime decadi, i centri di FP
hanno trovato terreno fertile nei Paesi in via di sviluppo. Ma anche in essi si
presentano nuove sfide causate dalla crescente introduzione della tecnologia
avanzata nell’industria e nei servizi: l’efficacia educativa e formativa dei centri
esistenti; la capacità di ogni centro di assumere le crescenti spese di manuten-
zione e di riqualificazione; la possibilità reale di inserire i giovani allievi nel
mondo del lavoro; la presenza di personale competente, salesiano e laico. Recenti
statistiche evidenziano il sostenuto incremento delle nuove fondazioni, nonostante
le difficoltà accennate. Nel 1995, le scuole professionali salesiane erano 312; le
scuola agricole, 44; i corsi di qualificazione per adulti, 84; con un totale di
120.011 allievi. Nel 2002: scuole professionali 367; scuole agricole, 46; corsi di
qualificazione per adulti, 107; con un numero complessivo di 167.426 allievi
(Dati statistici, 2002, 66). Il recente Congresso Europeo promosso dal Dicastero
per la Pastorale Giovanile (Roma, 2001) ha riproposto (Doc. finale), nella pro-
spettiva del nuovo millennio, i tratti/compiti essenziali della scuola/FP salesiana:
vocazione educativo-evangelizzatrice; scelta dei ragazzi/ragazze più poveri e in
difficoltà; comunità educativa ( comunità educativo formativa) con “un marchio
di qualità che la distingue: il sistema preventivo”; apertura e inserimento nel terri-
torio; attenzione al mondo del lavoro; volto multiculturale e multireligioso.
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Bibl.: DI POL R.S., L’istruzione professionale popolare a Torino nella prima industrializzazione, in
Scuola, professioni e studenti a Torino. Momenti di storia dell’istruzione, Torino, C.S. sul Giorna-
lismo Piemontese, 1984; ROSSI G., L’istruzione professionale in Roma capitale: le scuole professio-
nali dei Salesiani al Castro Pretorio (1883-1930), Roma, LAS, 1996; PANFILO L., Dalla scuola di
arti e mestieri di don Bosco all’attività di formazione professionale (1860-1915). Il ruolo dei sale-
siani, Milano, LES, 1976; PRELLEZO J.M., La “parte operaia” nelle case salesiane. Documenti e
testimonianze sulla formazione professionale (1883-1886), in RSS 16 (1997) 353-391; LA SOCIETÀ
DI SAN FRANCESCO DI SALES, Dati statistici GG25, Roma, Dir. Gen. Opere Don Bosco, 2002;
STELLA P., Don Bosco nella storia economica e sociale (1815-1870), Roma, LAS, 1980; VAN LOOY
L. - G. MALIZIA (Edd.), Formazione professionale salesiana. Indagine sul campo, Roma, LAS, 1997,
19-51.
J. M. Prellezo
DONNE
Pari opportunità; Destinatari
DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA
Insegnamento sociale della Chiesa; Enti di FP; Ispirazione cristiana della
FP; Spiritualità dell’operatore
DROP-OUT
Abbandono; Destinatari
ECONOMIA E FORMAZIONE
Nel campo delle scienze sociali, il tema dello sviluppo è sempre stato considerato
con particolare attenzione, tanto da assurgere a chiave esplicativa dei fenomeni di
mutamento sociale, a partire dall’idea dell’ineluttabilità della modernizzazione del
secondo dopoguerra e degli anni del “boom economico”, passando per lo smantella-
mento di tale concezione a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70, per giungere al rinnovato
interesse per le più recenti prospettive che si giocano in equilibrio tra spinte globali
e dimensione locale. Anche il nesso che lega i temi dell’e. e della formaz.,
dunque, si è dipanato, nell’ambito della riflessione sociologica, soprattutto a partire
dal rapporto insistente tra il sistema di istruz. e la crescita economica e lo svi-
luppo, nel quale ai fattori di ordine economico si associano fattori di natura socio-
culturale e, oggi, anche ambientale. In particolare, l’evoluzione di tale rapporto è
contraddistinta da alcune fasi peculiari, che in parte riflettono il percorso
– contrassegnato dall’alternarsi di momenti di ottimismo e pessimismo – compiuto
dall’idea stessa di sviluppo economico.
1. In primo luogo, è possibile evidenziare – negli anni ‘50 e nei primi anni ‘60 del
sec. scorso – una fase di ottimismo di chiaro rimando funzionalista ed economicista,
tendente ad individuare nell’istruzione uno strumento di progresso sociale e di cre-
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scita economica incentrata sulla teoria del “capitale umano”. Alla luce di tale teoria,
l’investimento in formaz. sulle risorse umane, al pari degli investimenti in strut-
ture e impianti, sarebbe in grado di determinare aumenti di produttività e, conse-
guentemente, di reddito. Il carattere funzionalista di questa visione si esprimerebbe
appunto nella tendenza ad identificare il sistema di istruzione come “funzionale”
alle esigenze del sistema economico-produttivo, determinando un rapporto di cor-
rispondenza tra l’offerta formativa e i fabbisogni professionali delle aziende; allo
stesso modo, il grado di sviluppo economico di un Paese avrebbe trovato un ri-
scontro nel livello medio di istruzione della sua popolazione.
2. La seconda fase rimanda all’età della cosiddetta “contestazione”, collocabile
a cavallo tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ‘70. In questo periodo, il
successo delle teorie conflittuali mette fortemente in dubbio l’efficacia dei sistemi
di istruzione, giudicati come strumenti di conservazione e riproduzione della
struttura sociale e culturale vigente. D’altro canto, i dominanti paradigmi di orga-
nizzazione del lavoro di stampo taylorista-fordista – con il venire meno delle
esigenze di professionalizzazione, evidentemente ristrette soltanto ai pochi spe-
cialisti che avrebbero assunto il ruolo di coordinamento delle strutture lavorative
– rendevano meno evidente la corrispondenza tra output del sistema scolastico e
fabbisogni del sistema produttivo. È tuttavia in questi stessi anni che, proprio
innestandosi sui paradigmi taylorismi-fordisti, iniziano a moltiplicarsi le rifles-
sioni critiche circa il tema della qualità del lavoro o, come meglio è stato deter-
minato dalla letteratura anglosassone, di quality of working life, espressione uti-
lizzata per indicare un complesso intreccio di interessi congiunti appannaggio del
lavoratore, del datore di lavoro, della comunità. In tale quadro, tra i criteri che
definiscono la qualità della vita di lavoro di un individuo comparirebbe quello
afferente l’opportunità di utilizzare, ma anche di sviluppare, in modo costante le
proprie capacità.
3. Tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘80, la terza fase è contrassegnata
da un rinnovato interesse per la formaz., interesse sospinto soprattutto dal pro-
gressivo aggravarsi del problema della disoccupazione, tanto giovanile quanto
adulta, ma anche dal deficit di coerenza tra politiche formative e politiche del
lavoro. Sul finire degli anni ‘80, e sempre di più nel corso degli anni ‘90, si fa
largo una quarta fase che assegna un ruolo centrale alla formaz. in rapporto alle
politiche del lavoro, nel contesto di un rinnovato ottimismo nei confronti delle
potenzialità dell’istruz. quale motore dello sviluppo economico. Del resto, la pro-
gressiva globalizzazione dei mercati rende maggiormente edotti circa il fatto che
l’innalzamento del livello di istruz. possa elevare la capacità concorrenziale, ed
inoltre possa contribuire sia ad arginare il fenomeno della disoccupazione, sia a
ridurre i rischi di esclusione sociale. La condizione di partenza è che la compe-
tizione globale è più sulla qualità dei prodotti che sui prezzi; che la qualità dei
prodotti è legata alla qualità del lavoro, la quale, nella società della conoscenza,
si fonda sull’istruz.
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È in questo contesto che si arriva a ipotizzare la possibilità di misurare la varia-
zione del prodotto interno lordo in relazione alla crescita (o mancata crescita) dei
livelli di istruz. della popolazione attiva.
Bibl.: BLAUG M., An Introduction to the Economics of Education, London, The Penguin Press,
1970; QUADRIO CURZIO A., Investimenti in istruzione e sviluppo economico, Bologna, Il Mulino,
1973; BOURDIEU P., “The Forms of Capital”, in J.G. RICHARDSON (Ed.), Handbook of Theory and
Research for the Sociology of Education, New York, Greenwood, 1986; LODIGIANI R., La forma-
zione e lo sviluppo, Milano, Vita e Pensiero, 1999; DELORS J., Nell’educazione un tesoro. Rapporto
all’UNESCO della Commissione internazionale sull’educazione per il XXI secolo, Roma, Armando,
2000; CIPOLLA C.M., Istruzione e sviluppo. Il declino dell’analfabetismo nel mondo occidentale,
Bologna, Il Mulino, 2002.
M. Colasanto
EDUCATORE
Équipe educativa; Insegnamento sociale della Chiesa; Metodologia;
Personalizzazione; Spiritualità dell’operatore
EDUCAZIONE
In senso generale, con e. si intende una particolare attività umana, connessa a de-
terminate figure e a ruoli particolari, come genitori, maestri, insegnanti, sacerdoti,
istitutori, educatori, all’interno di un rapporto interpersonale particolare, e rivolta
a nutrire, curare, formare individui della generazione in crescita. È senz’altro l’uso
più antico del termine. Oggi, per un verso, si fa riferimento ad un sistema, vale
a dire ad un insieme di strutture, istituzioni, persone, procedure sociali, per
lo sviluppo sano, l’istruz. e la formaz. iniziale e permanente di tutti e ciascuno
dei membri del corpo sociale. Per altro verso, si tende ad accentuare l’aspetto di
autoformaz. Più che ad un atto si pensa ad un processo coestensivo all’esistenza
( e. permamente). La L. 53/03 (cosiddetta, L. Moratti) parla di sistema educativo
inglobante l’istruz. e la FP, in prospettiva permanente. Però non è raro che l’e.
sia ancora da molti intesa quasi come equivalente a scuola e a processi d’istruz.
scolastica.
L’etim. è incerta: tra “educare” (= allevare, coltivare) ed “educere” (= tirar fuori,
sviluppare). È sinonimo di sviluppo, crescita, formaz., socializzazione, incultu-
razione, istruz., insegnamento, addestramento, aggiornamento ( FP continua);
evoca ambienti istituzionali particolari come la famiglia, la scuola, i CFP, le
chiese, i gruppi, le associazioni, i movimenti, ma investe anche la responsabilità
sociale nel suo complesso.
1. J.J. Rousseau (fine sec. XVIII), nel primo cap. dell’Emile, afferma che ciascuno
di noi è formato da tre specie di maestri: dalla natura (= le tendenze interne bio-
psichiche di ognuno); dagli uomini (= persone che ci insegnano come svilupparci);
e dalle cose (= l’esperienza personale nell’interazione con gli oggetti). Dopo gli
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anni ‘20, i pedagogisti cominciarono a distinguere tra e. intenzionale ed e. funzio-
nale. Con la prima, si intende quella serie di azioni e interventi voluti e specifici,
predisposti secondo un certo ordine metodico e posti da chi ha compiti e responsa-
bilità educative, individualmente e/o collettivamente, in vista di favorire e promuo-
vere una buona formaz. Con la seconda, s’intendono le incidenze più svariate sulla
personalità in sviluppo, che sortiscono senza piano né scopo dalle forze socio-
culturali, politiche, economiche, dall’ ambiente naturale, dai grandi avvenimenti
storici e dai piccoli accadimenti quotidiani, ecc. Oggi si parla piuttosto di e. infor-
male (= le influenze dell’ambiente e delle dinamiche dell’interazione sociale), di e.
diffusa (= iniziative od occasioni istituzionali o contestuali con vasta risonanza for-
mativa, come quelle che vengono dall’organizzazione dello sport, dal mondo della
comunicazione sociale, del divertimento, dai gruppi di pari o dall’associazio-
nismo), di e. formale (= iniziative appositamente messe in atto da quello che viene
detto il sistema sociale di e.) e di e. non formale (= quelle azioni intenzionalmente
educative, ma messe in atto senza troppo badare alla sistematicità, alla sequenzia-
lità programmata o alle verifiche controllate di esse, come capita molte volte
nell’e. familiare o nei gruppi spontanei, rispetto all’e. scolastica o a quella di corsi
di studio o di FP).
2. Quel che appare abbastanza evidente è che la crescita personale e la sua formaz.
impegnano istituzioni e persone in una vasta gamma di azioni (= azioni formative).
All’interno di esse, l’e. sembra caratterizzarsi per l’attenzione alla globalità e alla
unitarietà della vita personale. Proprio per questo, ha da tener conto dell’intera
sfera di aspetti e di rapporti di cui è intessuta la vita umana (in tal senso si parla di
e. fisica, psichica, intellettuale, morale, estetica, religiosa, tecnico-professionale,
ecc.). Ma l’e. trova il suo “proprio”, cioè la sua modalità diretta e specifica,
quando opera per la strutturazione organica della personalità umana e del suo com-
portamento storico, cosciente, libero, responsabile e solidale. In tal senso vengono
ad essere qualificate educativamente le altre attività formative (l’ apprendi-
mento, l’ insegnamento, la FP, la socializzazione, l’inculturazione, l’addestra-
mento, l’allevamento, il sano sviluppo biopsichico): in modo tale che l’essere
umano sano, colto, socializzato, competente, professionista sia persona e viva
autenticamente la propria vita. Ma è evidente che a questo livello risulta preponde-
rante l’influsso delle concezioni che si hanno del mondo e della vita e più in par-
ticolare dell’immagine che si ha dell’uomo e del suo destino: perché educare,
in fondo, è aiutare a crescere in “umanità”, suscitare la “genesi della persona”,
“iniziare” all’agire libero e responsabile, eticamente valido, operativamente
capace, socialmente giusto e solidale.
3. Per tutto ciò, l’e. è tra le pratiche sociali fondamentali della vita comunitaria. Le
pratiche educative – cioè l’aiuto sociale alla formaz. generale e specifica dei
membri del corpo sociale, codificato culturalmente in consuetudini, norme e meto-
dologie più o meno socialmente condivise – sono parte essenziale della vita e della
cultura di ogni società. L’e. è considerata uno dei diritti umani fondamentali e a
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livello internazionale è intesa come un punto essenziale per uno sviluppo sosteni-
bile, equo e di qualità. Peraltro, le novità socio-culturali (globalizzazione, multi-
cultura, post-modernità) e scientifico-tecnico (mass-media, internet, informatica,
telematica, biotecnologie, ecc.), che caratterizzano questo inizio del sec. XXI,
richiedono un’incisiva riforma dell’e. in tutto il mondo.
Bibl.: DELORS J. (Ed.), Nell’educazione un tesoro, Roma, Armando, 1997; NANNI C., Educazione e
pedagogia in una cultura che cambia, Roma, LAS, 1998; BERTAGNA G. et al., Processi educativi e
progettualità pedagogica, Torino, Tirrenia Stampatori, 1998; MORIN E., La testa ben fatta, Milano,
Raffaello Cortina, 2000; MORIN E., I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Milano, Raffaello
Cortina, 2001.
C. Nanni
EDUCAZIONE FORMALE
Educazione; Alternanza formazione lavoro
EDUCAZIONE INFORMALE
Educazione
EDUCAZIONE INTERCULTURALE
La denominazione e.i. è divenuta molto comune, ma recenti ricerche, anche a li-
vello europeo, hanno rilevato la scarsa conoscenza dei suoi principi fondamentali
anche tra educatori, insegnanti e responsabili di politiche educative. È importante,
pertanto, precisare gli elementi essenziali a livello semantico ed epistemologico.
Oggi viviamo nella società multiculturale, che è chiamata a costruire modelli di
convivenza rispettosi della diversità. Non si tratta soltanto di riconoscere o
accettare il multiculturalismo, ma di attrezzarsi per la conoscenza del mondo del-
l’altro, di acquistare consapevolezza della diversità e complessità dell’incontro tra
persone con matrici culturali, percettive e valutative differenti. L’e.i., in questa
situazione, diventa un obiettivo, una prospettiva ideale, un programma di
lavoro. Nel prefisso “inter” si evidenzia l’apertura, l’interazione, lo scambio, la
reciprocità, ecc. Tutto questo non va solo elaborato a livello teorico ma va attuato
attraverso l’interazione concreta di soggetti portatori di culture diverse. Lo svi-
luppo e la promozione dell’e.i. (rivolta a tutti, immigrati e autoctoni) deve aiutare
ciascun soggetto portatore di cultura a riconoscere l’alterità e la differenza e a
divenire capace di vivere in una società plurale.
1. L’e.i. è una prospettiva pedagogica (teorica e pratica) globale per le situazioni
sociali multiculturali. Essa deve aiutare a saper vivere insieme nel rispetto dell’i-
dentità culturale di ciascuno e promuovere una qualità di convivenza. Non si tratta,
tuttavia, di qualcosa di semplice. Il problema di fondo è come mettere in contatto,
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in interazione le differenze. È necessario che si tenda a un’accettazione incondi-
zionata della popolazione immigrata per farla diventare protagonista, con la popo-
lazione locale, del cammino verso una nuova condizione comune. Il passaggio da
realizzare, sia per gli immigrati che per i locali, è quello dalla costrizione dell’ac-
cettazione dello stato di fatto (= la novità che si è prodotta), all’apertura e alla con-
sapevolezza del nuovo, attraverso un processo graduale che consenta un vero “ap-
prendimento interculturale”. Per condividere un cammino è necessario esplorare
differenze e somiglianze, far cadere i muri geografici e ideologici, scoprire “la
grammatica delle civilizzazioni” e partecipare ad un rinnovato sforzo comune di
ricerca di senso, elaborando nuove regole aperte all’intera umanità. La ped. non
basta per l’obiettivo interculturale della convivenza. La società multiculturale non
si confronta soltanto con problemi educativi e di convivenza tra persone. Deve
maturare la consapevolezza di essere una società nuova, chiamata a farsi carico
della realtà totale delle persone che la costituiscono. L’impegno educativo culturale
promuove ed elabora un ethos civile comune, educa alla convivenza pacifica, aiuta
a saper vivere insieme; aiuta a riconoscere la legittimità delle differenze.
2. L’e.i. è un modello educativo che accompagna i soggetti alla realizzazione di
una specifica identità, ma nello stesso tempo aperti alla diversità e capaci di rap-
portarsi a un orizzonte mondiale. Nella società multiculturale, l’e.i. diviene prin-
cipio base sul quale fondare l’intero processo educativo e l’orizzonte di tutto il
processo formativo. In questo processo si realizzerà l’affascinante avventura di
connettere “identità e differenza”, “locale e globale”, “specificità delle proprie
radici e capacità di ibridazione”. Si potrà così elaborare un sistema aperto di
identità personale e sociale che potrà far maturare attitudini nuove alla mondialità,
aprire alla cittadinanza planetaria.
Bibl.: SILVA C., Educazione interculturale: modelli e percorsi, Tirrenia (PI), Edizioni del Cerro,
2002; TORIELLO F., Educare in prospettiva interculturale, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane,
2002; ORLANDO V. (Ed.), Educare nella multicultura, Roma, LAS, 2003. PORTERA A. (Ed.),
Pedagogia interculturale in Italia e in Europa. Aspetti epistemologici e didattici, Milano, Vita e
Pensiero, 2003.
V. Orlando
EDUCAZIONE NON FORMALE
Educazione
EDUCAZIONE PERMANENTE
E. e/o formaz. p. è espressione divenuta punto nodale del dibattito politico-pedago-
gico degli ultimi 50 anni. In realtà, il concetto e la pratica appartengono allo storia
mondiale dell’ educaz. senza scansioni temporali. L’uomo da sempre ha sentito
il bisogno naturale di continuare per tutta la vita a crescere in esperienza, cono-
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scenza e saggezza. La storia registra una ricca fenomenologia di modalità, nate per
esigenze di sopravvivenza fisica, e di perfezionamento professionale, culturale,
spirituale. La novità, quindi, non è nella sostanza, ma in una diversa presa di co-
scienza circa la necessità e l’urgenza di un impiego istituzionale per fronteggiare
mutamenti politici, sociali, economici, culturali di vasta portata.
1. Per capire le dinamiche di trasformazione del concetto di e.p., e le metodologie
messe in atto per tradurle in concreto occorre menzionare primariamente l’azione
svolta dai grandi organismi sopranazionali: hanno acceso il dibattito, imposto chia-
rificazioni concettuali, orientato le scelte politiche. L’UNESCO, il Consiglio d’Eu-
ropa, l’OCSE e gli Organismi Comunitari proposti alle politiche formative hanno
sollecitato eventi significativi e diversificati in obiettivi e metodi: conferenze
mondiali con attenzione ai problemi sociali e alle pari opportunità, anche di ge-
nere (l’UNESCO); i simposio intesi a favorire lo sviluppo culturale della comunità,
la crescita della partecipazione democratica e la creazione di reti per lo scambio
di esperienze (Consiglio d’Europa); ricerche ed esperienze per la messa a punto di
alternanze scuola-lavoro, e, centrale, il problema dell’inserimento e permanenza
nella vita attiva (OCSE); FP e problemi connessi di ordine economico, sociale,
occupazionale, tecnologico e culturale (gli Organismi Comunitari). La formaz. in
età adulta, tematizzata come problema di alfabetizzazione, è la categoria su cui
prioritariamente si è concentrata l’attenzione. L’alfabetizzazione, intesa nelle sue
molteplici accezioni, esprime la complessità intesa nella realtà dell’e.p., non assunta
in senso strumentale, ma come chiave funzionale alla crescita personale e alla con-
seguente capacità di partecipazione alla vita produttiva e comunitaria, come lifelong
education.
2. I nodi da affrontare oggi sono ancora molti, le soluzioni difficili. Implicano in-
nanzitutto la trasformazione radicale di tutte le metodologie formative. Presuppon-
gono superata la logica del segmentare a livelli (continuità come tempo della vita
dell’uomo), e quella di compartimentare in ambiti, dove prevale l’attenzione al pro-
duttivo (continuità nello spazio come superamento della rigida divisione tra formale
e non formale, ma anche come spazio geografico e umano che assomma le istanze
di tutti). La trasformazione dei ruoli, nel mondo della produzione e dei servizi, esige
sinergia tra funzioni, relazioni, motivazioni, qualità etiche. Indispensabile declinare
sempre la FP sui processi di apprendimento per la centralità del soggetto e delle
sue capacità di rispondere alle nuove richieste del mondo del lavoro quali profili
poliedrici e flessibili, e persone motivate e partecipi. Ma ciò non basta. La vera
sfida oggi è coniugare le esigenze della competitività mondiale, che richiede più
alti livelli di formaz. scientifico-tecnica, con le garanzie di sicurezza sociale, con il
diritto alla crescita culturale e comunitaria. In sintesi, l’aggettivazione p., ossia du-
ratura, esprime bene ciò che attiene all’uomo in quanto tale, di là dalle sue concrete
manifestazioni, dai suoi atteggiamenti, dalle sue attività connesse al ruolo e allo
status; l’uomo accolto e rispettato come essere personale, unico e irripetibile, nel
suo valore e nella sua dignità.
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Bibl.: CONSEIL DE L’EUROPE, Education permanente, Strasburgo, 1970; LENGRAND, P., Introduzione
all’e.p., Roma, Armando, 1973; SCHWARTZ B., L’educazione domani, Firenze, La Nuova Italia, 1977;
LORENZETTO A., Verso un ecosistema educativo. Società/Ambiente/Progetto, Roma, Studium, 1988;
UNESCO, Education for All: An Expanded vision, Paris, UNESCO, 1992; OCSE, Apprendere a tutte
le età, Roma, Armando, 1997.
C. Di Agresti
EDUCAZIONE TECNICO - PROFESSIONALE
Educazione
EFFICACIA
L’e. consiste nella convinzione del soggetto di possedere delle abilità richieste
per un determinato compito. L’A. del costrutto è Albert Bandura (1986) che l’ha
elaborato nell’ambito della teoria sociale cognitiva e lo ha denominato self-efficacy
che può essere tradotto con autoefficacia. Con il prefisso self, si vuole sottolineare
che il soggetto è l’agente primario dell’attività.
1. Definizione. Bandura distingue tra l’e. delle aspettative individuali e il risultato
o l’esito delle aspettative. L’e. delle aspettative si riferisce alla convinzione del
soggetto di poter riuscire in un determinato compito; le aspettative sull’esito con-
sistono nella sua convinzione che un determinato comportamento produrrà un
effetto. Dall’e. dipenderà se un soggetto sceglierà un’attività, quanto sforzo svi-
lupperà per superare gli ostacoli e quanto persevererà nell’attività intrapresa per
ottenere il risultato.
2. “Sorgenti”. Bandura ha descritto poi quattro “sorgenti” dell’e. La prima è la
previa esperienza positiva ossia il successo nel compito; la seconda consiste nel-
l’esperienza vicaria, osservando il comportamento altrui; la terza nella persuasione
verbale e cioè nell’esortazione di persone importanti; la quarta negli stati affettivi
costruttivi come il rilassamento e il dominio dell’ansia.
3. Applicazione. L’e. ha una vasta applicazione nei vari settori della psicologia,
della sociologia e della educ. Da essa dipendono in notevole misura varie realtà
sociali importanti come il rendimento scolastico, accademico, sportivo, professio-
nale, il controllo di fobie e di malattie croniche, il potenziamento delle abitudini
favorevoli alla salute (regolare e sana alimentazione) e di quelle dannose (abuso di
alcol e uso di droghe).
Nell’ orientamento ha avuto una considerevole applicazione nello sviluppo pro-
fessionale, nella FP e nell’effettivo lavoro.
4. Pregi. Il fatto che l’e. sia collocata nella teoria dell’apprendimento sociale la rende
particolarmente utile nell’educ. Infatti, alla base di tale teoria vi è la convinzione che
l’agire umano è intenzionale e finalizzato. L’uomo si prefigge delle finalità o degli
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obiettivi e organizza le sue abilità intellettive, affettive e motivazionali per raggiun-
gerli. Nella conduzione di questo processo anticipa le conseguenze del suo agire e
cerca di evitare tutto ciò che contrasta con il raggiungimento di tali finalità. L’e. poi
può essere potenziata con le sorgenti indicate: favorendo il successo del soggetto
in un determinato compito, indicandogli dei modelli da imitare e dandogli rinforzo
positivo verbale o non verbale.
Bibl.: BANDURA A., Social foundation of thought and action: A social cognitive theory, Englewood
Cliffs, Prentice-Hall, 1986; POLÁÈEK K., Autoefficacia: Costrutto e utilizzazione, in “Orientamenti
Pedagogici”, 42 (1995), 927-957; BANDURA A., Autoefficacia: Teoria ed applicazioni, Trento,
Erickson, 2000.
K. Poláèek
E-LEARNING
Formazione a distanza
EMARGINAZIONE
Disagio; Esclusione sociale; Metodologia; Motivazione; Pari oppor-
tunità; Prevenzione; Abbandono; Comunità educativo formativa
ENTI DI FP
L’e.d.FP è un’organizzazione che progetta e gestisce interventi formativi di inte-
resse pubblico o privato. La L. 845/78 (L. quadro della FP), parlando della attua-
zione delle attività di FP, così precisa: l’“attuazione dei programmi e dei piani
così predisposti è realizzata: (...) mediante convenzione, nelle strutture di Enti che
siano emanazioni o delle organizzazioni democratiche o nazionali dei lavoratori
dipendenti, dei lavoratori autonomi, degli imprenditori o di associazioni con finalità
formative e sociali, o di imprese con loro consorzi, o del movimento cooperativo”.
Per questo, con il termine e., nel contesto della FP, è definito chi attua interventi di
FP, in particolare legati ai piani e programmi regionali di FP.
1. Tipologie degli e.d.FP. Per rispondere alle esigenze del L. 845/78 la più parte
degli e. di FP si è strutturata in associazioni, consorzi e altri e. non profit, in
quanto la L. 845/78 richiede che debbano “avere come fine la FP; (...) non perse-
guire scopi di lucro”. Sorgono e si consolidano e. di emanazione dei sindacati
nazionali dei lavoratori (ECAP/CGIL, IAL/CISL, ENFAP/UIL), dell’associa-
zionismo sociale (ENAIP/ACLI), di istituzioni, in particolare cattoliche, legate al
sociale (CNOS-FAP, salesiani; CIOFS/FP, salesiane; ENGIM, Giuseppini del
Murialdo; ecc.), o di altri movimenti. Poiché l’attuazione delle attività avviene a
livello regionale, la quasi totalità degli e.d.FP ha strutture operative a livello regio-
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nale, con responsabilità gestionali proprie. Sono perciò e. regionali riconosciuti
dalle Regioni perché rispondenti ai requisiti della L. 845/78 e aventi sedi operative
proprie, che dal luglio del 2003 debbono avere ottenuto l’ accreditamento ad
operare sulla base di caratteristiche fissate a livello nazionale e regionale. Si deno-
minano “e. nazionali” le strutture che raggruppano e coordinano a livello nazionale
e. e centri che operano associati tra di loro e che sono riconosciuti come tali
secondo il dettato della L. 40/87. Tali e., di diversa importanza e presenza sul terri-
torio nazionale, sono una trentina e godono di un finanziamento nazionale per
sostenere la loro opera di coordinamento.
2. Associazioni e Federazioni di e. Gli e.d.FP, a causa delle loro dimensioni tal-
volta limitate, della necessità di presentarsi uniti a livello regionale e/o nazionale e
per sostenere la propria identità e i propri obiettivi, si sono associati in strutture più
ampie. Gli e. promossi da istituzioni di ispirazione cristiana si sono associati fin
dal 1974 in una confederazione, la CONFAP (Confederazione Nazionale Forma-
zione Aggiornamento Professionale), con lo scopo “di contribuire allo sviluppo
della formazione, dell’orientamento e dell’aggiornamento professionale a tutti i li-
velli e per tutte le categorie, mediante la promozione dei valori e delle esperienze
degli enti e delle associazioni che operano nel settore secondo la tradizione di im-
pegno sociale dei cattolici italiani” (Statuto, art. 2, n. 2). A livello regionale, la
CONFAP è rappresentata da associazioni regionali analoghe già presenti sul terri-
torio (AECA, in Emilia Romagna; ACEF, in Piemonte), o da propri organismi
regionali. Nel 1999, nasce, a livello nazionale, l’associazione Forma come rag-
gruppamento più ampio di e.d.FP; associa gli e. che riconoscono di ispirarsi nel
loro operare alla Dottrina Sociale della Chiesa: CONFAP, ENAIP (ACLI), IAL
(CISL), INIPA (Coldiretti), CIF, EFAL (MCL) e ELABORA (Confcooperative).
L’insieme di tali e. gestisce sul territorio nazionale la maggior parte dell’attività
formativa finanziata dalle Regioni.
3. CCNL. Gli e.d.FP sono datori di lavoro, per questo sono controparti dei sinda-
cati nazionali per quanto riguarda la contrattazione e la firma del CCNL della
FP. Per partecipare alla trattativa nazionale, gli e. associati a Forma sono riuniti in
un cartello, CENFOP (Coordinamento Enti Nazionali di FOrmazione Professio-
nale). Forma e CENFOP hanno condotto l’ultima trattativa per il rinnovo del
CCNL della FP e lo hanno firmato a nome degli associati. Alle strutture regionali
di tali associazioni è affidato il compito delle trattative regionali.
Bibl.: Legge 21 dicembre 1978, n. 845, Legge-quadro in materia di formazione professionale, in GU
n. 362 del 30.12.1978; Legge 14 febbraio 1987, n. 40, Norma per la copertura delle spese generali di
amministrazione degli enti privati gestori di attività formative, in GU n. 74 del 30.03.1987; DM 25
maggio 2001, n. 166, Accreditamento delle sedi formative e orientative, in GU n. 162 del 14.07.2001;
Statuto CONFAP, in “Presenza CONFAP”, 20 (2001) 5/6, 7-15; FORMA - CENFOP - SNS CGIL -
CISL SCUOLA - UIL SCUOLA, Contratto collettivo nazionale di lavoro per la formazione professionale
- 1° gennaio 1998 - 31 agosto 2003, Roma, 2002.
S. Colombo
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É QUIPE EDUCATIVA
Con l’espressione é.e. si fa riferimento a un insieme di figure (formatori, tutor,
direttore, pedagogista, psicologo, educatore) che operano in modo organico, piani-
ficato e coordinato all’interno del CFP al fine di promuovere, grazie ad un im-
pegno sinergico, lo sviluppo integrale della personalità degli allievi. In particolare,
l’é.e. si occupa di pianificare azioni mirate sia di tipo promozionale (orientate allo
sviluppo delle capacità personali, sociali e professionali degli allievi), sia di
sostegno (orientate al contenimento e al superamento di difficoltà di apprendi-
mento, di socializzazione, di adattamento). Affinché l’é.e. possa definirsi tale sono
necessarie la consapevolezza dell’appartenenza, la presenza di norme condivise e
l’interdipendenza dei membri che ne fanno parte.
Tra le condizioni che consentono un efficace funzionamento dell’é.e. meritano di
essere menzionate: la chiarezza degli obiettivi e la finalizzazione degli interventi al
servizio dei singoli e del CFP all’interno di un progetto educativo esplicitato e
coerente; la presenza di processi di gruppo che mantengano uno spirito di squadra
(leadership e partecipazione distribuite, responsabilità individuale); il possesso di
alcuni atteggiamenti e competenze da parte dei membri componenti (empatia,
capacità di unificare gli sforzi, comunicazione aperta, spinta a migliorare, flessibi-
lità, fiducia in se stessi come team).
Bibl.: FRIEND M. - COOK L., Interazioni. Tecniche di collaborazione tra insegnanti, specialisti e diri-
genti della scuola, Trento, Erickson, 2000.
A.R. Colasanti
ESCLUSIONE SOCIALE
L’e.s. indica la presenza di una molteplicità di fattori e di dimensioni che caratte-
rizzano la condizione sociale di un individuo in un dato momento: la marginalità,
la precarietà lavorativa, la solitudine, la deprivazione formativa e culturale e l’im-
poverimento sono tra i più citati. L’e.s. indica un processo: esistono degli indivi-
dui in stato di fragilità o di precarietà che possono conoscere o che conoscono
questo processo che li esclude dalla vita collettiva, professionale e relazionale, o
che li rende dei marginali. Sommatorie di problematiche sociali – famiglie con
basso reddito e separate, fallimenti scolastici, assenza di formaz., uso di
sostanze stupefacenti, disoccupazione – rischiano di rendere inamovibili questi
processi.
La necessità di rendere la società più inclusiva ha determinato che la lotta
contro l’e.s. faccia parte dei sei obiettivi della politica sociale dell’UE, nel nuovo
art. 136 dell’ordinamento dell’UE introdotto dal Trattato di Amsterdam nel 1997.
In questi anni, è diventata un obiettivo prioritario per tutti gli Stati membri. L’e.s. è
pertanto un fenomeno complesso che viene tenuto presente in tutti gli interventi
tesi a combattere le disfunzionalità del sistema sociale di integrazione: in questi
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ultimi anni, ha acquisito una forte rilevanza anche nelle nuove politiche forma-
tive, sempre più attente alla individualizzazione dei percorsi d’inserimento e alla
messa in rete del percorso formativo con il contesto di riferimento del partecipante.
La nuova multidimensionalità del fatto formativo, che si esprime attraverso
moduli e interventi diversificati e flessibili che partono dalla considerazione della
centralità dell’allievo e dei suoi bisogni, viene così a rappresentare anch’essa
un’azione preventiva e una risposta alle problematiche dell’e.s.
Bibl.: PAUGAM S. (Ed.), L’exclusion: état des savoirs, Paris, Ed. de la Découverte, 1996; OECD,
Surmonter l’exclusion grâce à l’apprentissage des adultes, Paris, La Découverte, 1999; CASTRA D.,
L’insertion professionnelle des publics precaires, Paris, Puf, 2003.
A. Felice
ETICA PROFESSIONALE
Per e.p. si intende l’insieme delle convinzioni e delle norme morali, che regolano
l’esercizio della professione e che sono considerate, in una data società, come
universalmente vincolanti per coloro che esercitano tale professione.
L’idea di una qualche forma di e.p., cioè del fatto che anche l’esercizio della pro-
fessione, così come molti altri settori dell’esistenza ( famiglia, sessualità, vita so-
ciale), sia soggetto a norme etiche e impegnato nella realizzazione di valori morali,
è presente nella società da quando esistono le professioni. Il famoso giuramento di
Ippocrate può essere considerato come una prima testimonianza di vero e proprio
codice di e.p.
1. Le professioni liberali. Medicina e avvocatura sono state a lungo, non solo le più
prestigiose tra le professioni liberali, ma anche quelle meglio provvedute di una
specifica e.p., regolata in appositi “codici di deontologia” e imposta coattivamente
dalla specifica corporazione o “ordine”, al quale i professionisti appartenevano e
a cui erano vincolati. Tali codici tracciavano spesso un profilo ideale della profes-
sione, e costituivano come una specie di atto di fede e. del rispettivo ordine profes-
sionale. E si capisce il perché: l’esercizio di queste professioni era particolarmente
gravido di conseguenze sociali e quindi carico di responsabilità. Queste forme di
e.p. erano peraltro, prevalentemente se non proprio esclusivamente, orientate a pro-
teggere gli interessi di quelli che potremmo considerare i clienti del libero profes-
sionista, ai quali il professionista era legato da uno specifico contratto. Questi co-
dici si ispiravano quindi a una certa idea di “giustizia commutativa” e fissavano con
tutta la precisione possibile i doveri che il professionista si assumeva nei confronti
del cliente, per il solo fatto di accettare di lavorare per lui. Essi obbligavano il pro-
fessionista ad assumere come propri gli specifici interessi del cliente e quindi a
svolgere il suo compito con competenza e diligenza (“secondo scienza e co-
scienza” come recitava una formula tradizionale), a conservare rigorosamente il co-
siddetto “segreto professionale”, a rispettare la specifica dignità e libertà del cliente.
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Va detto, peraltro, che queste “professioni alte” hanno sempre goduto di una certa
separatezza nei confronti del restante organismo delle professioni, e i loro codici di
deontologia professionale, pur ispirandosi a principi e a una visione dell’uomo e
del mondo sostanzialmente coincidenti con quelle del proprio tempo e del proprio
ambiente culturale, non hanno avuto in passato un grande influsso sulla morale
comune e sul significato etico della professionalità in generale. Il loro stesso
carattere elitario impediva che esse diventassero una specie di modello normativo o
di paradigma interpretativo, per la morale professionale in quanto tale.
2. Le professioni moderne. Ma l’affacciarsi sulla scena della società moderna di
professioni di grandissimo impatto sociale, politico o economico, come quelle di
operatore della comunicazione sociale o di specialista della tecnica, o di imprendi-
tore o di esperto finanziario, ha allargato l’interesse per l’e.p. ad ambiti nuovi, co-
involgendo interessi sociali di grande rilevanza. Si è sviluppato un dibattito sempre
più aperto e coinvolgente, e sono nate nuove corporazioni e nuovi codici di deon-
tologia professionale: ultimo in ordine di tempo quello dell’imprenditore, ancora
allo stato nascente ma estremamente significativo per l’abbandono, che esso
sembra comportare, di una certa concezione liberistica dell’e., dell’economia e
della funzione del “profitto” nell’ambito dell’ impresa. Appare ormai chiaro
che, all’interno della società complessa in cui viviamo, caratterizzata dalla organiz-
zazione tecnologica della produzione dei beni e dei servizi e dalla presenza di un
mercato globale, si fa sempre più strada l’idea che una qualche forma di e., riguar-
dante l’esercizio della professione, interessi tutto quanto l’organismo delle profes-
sioni, e quindi tutto il complesso sistema con cui gli uomini, utilizzando compe-
tenze professionali diversissime e svolgendo compiti diversi ma complementari,
producono insieme la smisurata quantità di beni e di servizi utili, di cui abbisogna
oggi l’umanità per la sua sopravvivenza e per lo svolgimento della sua vita cultu-
rale e spirituale. Tale e. potrebbe essere pensata (e naturalmente praticata) anzitutto
come regola del giusto “rendersi utile” di ogni uomo agli altri uomini, in cambio
dei servizi e dei beni ricevuti dalla società globale. Questa prima regola introduce
naturalmente il discorso sulla giustizia. Si tratterebbe ancora anzitutto della giu-
stizia commutativa, cioè di quella forma di giustizia che regola gli scambi. L’eser-
cizio di una professione o di un qualunque mestiere ha una specifica dimensione
contrattuale: comporta, infatti, la cessione, da parte dell’operatore professionale, di
una parte significativa del proprio tempo, ingegno, fatica, per produrre, o contri-
buire a produrre, una specifica forma di utilità per i fruitori del proprio lavoro.
In cambio colui che svolge una professione riceve a sua volta una qualche forma di
compenso in termini di reddito, riconoscimento, garanzie di sicurezza economica e
stato sociale.
3. La giustizia. La giustizia commutativa impone agli scambisti la norma di un
giusto rapporto di scambio, quindi di una giusta retribuzione economica, di un ade-
guato riconoscimento e stato sociale. Ma la struttura piramidale dell’organismo
delle professioni fa sì che normalmente la fatica, il carattere subordinato, i pericoli
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per la salute e perfino per la vita che certi lavori comportano per chi li esercita
siano spesso inversamente proporzionati ai riconoscimenti economici e sociali del
lavoro e al posto occupato nella società da chi compie tali lavori. La sproporzione
che il potere contrattuale dei diversi partecipanti a quello che potremmo chiamare
il contratto globale di lavoro nella nostra società rende praticamente impossibile il
superamento di queste sperequazioni, attraverso il semplice incontro-scontro della
domanda e dell’offerta di lavoro. Si apre quindi il problema di una ulteriore forma
di giustizia, quella che potremmo chiamare giustizia sociale, proprio perché ri-
guardante la giustizia dell’insieme dell’organismo delle professioni cioè della so-
cietà stessa. La formaz. delle nuove leve della professione dovrà quindi com-
prendere una forma di educ. morale che, mentre valorizzi le capacità autorealiz-
zatrici delle specifiche professioni, apra nello stesso tempo i futuri operatori pro-
fessionali a quella specifica sensibilità di giustizia sociale che li renda capaci di
farsi carico della promozione delle professioni meno valutate, meno protette, meno
facilmente autorealizzanti, superando le facili tentazioni dell’egoismo corporativo.
Bibl.: AUER A., Christsein im Beruf, Düsseldorf, Patmos, 1966; CAMBARERI R., La professione tra
ideale e realtà, Palermo, Edi-Oftes, 1989; PELAEZ M., Etica, professioni, virtù, Milano, Ares, 1989;
MOUNT Jr. E., Professional Ethic in Context, Louisville, Westminster, J. Knox, 1990; DI TORO P.,
L’etica nella gestione d’impresa, Padova, CEDAM, 1993; OAKLEY J., Virtu, Ethics and Professional
Roles, Cambridge, Cambridge University Press, 2001.
G. Gatti
EUROPEAN COMPUTER DRIVING LICENCE (ECDL)
L’ECDL (cosiddetta “patente europea per il computer”) è un certificato, di carat-
tere internazionale, comprovante che chi ne è in possesso ha una conoscenza dei
concetti fondamentali dell’informatica e sa usare un computer nelle applicazioni
più comuni, ad un livello di base. Si fonda su un documento concordato a livello
europeo, e cioè sul Syllabus, redatto dalla ECDL Foundation. Il Syllabus costi-
tuisce uno standard di riferimento che consente di uniformare i test, in qualunque
Paese essi vengano effettuati.
In Italia, l’ECDL è rilasciato dall’AICA (Associazione Italiana per l’Informatica e il
Calcolo Automatico) ed è valido per la determinazione del credito formativo. In
pratica possedere la certificazione ECDL ( certificazione degli apprendimenti)
significa aver superato sette test, uno di natura teorica sui concetti della tecnologia
dell’informazione, gli altri sei di tipo pratico che verificano la capacità nell’uso
effettivo del computer. ECDL ha dato la possibilità di standardizzare il corso di for-
mazione informatica di base. È come la patente dell’automobile: non impariamo a
guidare una particolare vettura ma l’auto in genere e dopo aver imparato siamo auto-
rizzati a guidarne una qualsiasi. Questa è la grande potenzialità di ECDL.
L’obiettivo generale del programma ECDL è di contribuire all’alfabetizzazione
informatica. Più in dettaglio, è diretto a: elevare il livello di conoscenza nell’uso
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dell’informatica di chi già lavora o di chi si prepara ad entrare nel mondo del
lavoro; fornire una certificazione che conferisce vantaggi competitivi a chi lo
possiede e ne facilita la mobilità; accrescere la produttività di tutti coloro che
hanno bisogno di usare il computer e garantirne un utilizzo efficiente; consentire
un miglior ritorno degli investimenti nelle tecnologie dell’informazione; fornire
una qualificazione che consenta di partecipare in modo attivo all’evoluzione
socio-economica indotta dalla tecnologia dell’informazione.
Bibl.: AICA, ECDL per tutti, Milano, Mondadori Informatica, 2003; S.A., L’ennesimo corso di infor-
matica?, in http://www.thecar.it/ecdl/ 05/03/2004; S.A., La patente europea, in http://www.thecar.
it/ecdl/ecdl.asp, 05/03/2004; S.A., Gli obiettivi, in http://www.thecar.it/ecdl/ecdl.asp, 05/03/2004.
I. Pizzini
FAMIGLIA
Benché molteplici siano oggi le tendenze culturali che rendono difficile il raggiun-
gimento di una definizione comunemente condivisa di f., a tal punto che qualcuno
ritiene sia impossibile coglierla nella sua natura, a noi sembra sufficientemente
chiara, fondata, onnicomprensiva, completa e razionale la definizione che ne dà
Gallino; egli scrive, la “famiglia è una unità fondamentale dell’organizzazione
sociale, composta al minimo da due individui di sesso opposto, che convivono sta-
bilmente in una stessa abitazione a seguito di qualche tipo di matrimonio, intratten-
gono rapporti sessuali e affettivi, cooperano regolarmente alla riproduzione mate-
riale della loro esistenza, dividendosi il lavoro necessario all’interno e all’esterno
dell’unità; e la cui convivenza, le relazioni sessuali ed affettive e la cooperazione
economica sono approvate e riconosciute legittime, in cambio della conformità
a certe norme sociali, in primo luogo a quelle che regolano il matrimonio, della
società di cui fanno parte” (Gallino, 1978, 303).
L’emergere di cosiddette “nuove forme di vita familiare” sembra legittimare alcuni
studiosi a problematizzare tale concetto fino a vanificarlo e a svuotarlo della sua
pregnanza, con il grande rischio però di non sapere più di che cosa si tratti, quando
si parla di f. Le concezioni antropologiche di fondo, le caratterizzazioni di tipo
culturale, giuridico, psicologico, sociologico, storico, demografico, sono tutte attri-
buzioni che ne arricchiscono la natura e ne esplicitano la pluralità degli approcci di
studio.
1. Approcci di studio. La complessità di questa realtà sociale emerge dalla pluralità
degli approcci con cui è stata studiata, cioè di quell’angolo di prospettiva dal quale
è stata osservata ed interpretata. Nel corso della storia, la letteratura scientifica,
specie quella sociologica, ne ha individuati almeno una decina: dalla lettura che ne
fanno i sociologi classici, come Le Play, Marx, Durkheim, Mauss, Levy-Straus, de
Tocqueville, Weber, Simmel, agli approcci più propriamente moderni dei sociologi
contemporanei. A partire dagli anni ‘50, vari autori hanno tentato di fornire delle
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classificazioni sistematiche degli approcci sociologici allo studio della f., così da
approfondirne in modo complementare i diversi aspetti. 1) L’approccio istituzio-
nale di Zimmerman (1971) considera la f. essenzialmente come istituzione sociale,
cioè come gruppo sociale che deve avere una sua precisa normativa pubblicamente
sanzionata per rispondere a bisogni naturali e che attraversa tutti i tempi ed è pre-
sente in ogni cultura. 2) L’approccio struttural-funzionalista di Parsons (1971) si
differenzia dal precedente perché l’unità di analisi è il “sistema sociale f.” che ha
una sua struttura di status-ruoli che devono svolgere funzioni specializzate, e dove
il comportamento familiare è risposta ad un insieme di attese complementari. Si
parla allora di ruoli strumentali esercitati dal padre e di ruoli espressivi svolti dalla
madre, in risposta alle attese della società. In questa prospettiva, la f. deve svol-
gere la funzione di controllo delle tensioni che hanno a che fare con la sessualità,
la socializzazione, la cura dei nuovi nati e il sostegno psicologico delle personalità
adulte. 3) L’approccio dello scambio di Ekeh (1974) ritiene che la solidarietà fami-
liare non possa essere basata sulla conformità dei ruoli e sul consenso a valori
ultimi, come nel precedente, ma sul vantaggio che deriva dal mutuo scambio di
ricompense e di gratificazioni che un soggetto cerca dall’altro. Più che essere
orientato verso valori, il comportamento è diretto verso la massimizzazione delle
ricompense e la minimizzazione delle sanzioni negative, in uno spirito di piena
reciprocità che nella f. ha più una connotazione di dono che non di utilità. 4) L’ap-
proccio della teoria critica della Scuola di Francoforte (Adorno, Horkheimer,
Marcuse, 1966) considera la f. come forma sociale ambivalente, perché da un lato
è funzionale all’ordine e al controllo della società e dall’altro è indispensabile alla
maturazione dell’individuo, a tal punto che la decadenza della f. contribuisce al
dilagare dell’anomia sociale. 5) L’approccio ermeneutico-fenomenologico di
Berger e Kellner (1970) pone l’accento sugli elementi significativi e intenzionali,
quindi soggettivi e intersoggettivi della f. Esso sottolinea la dimensione simbolica
della f., quasi a rispondere alla domanda “cosa significa oggi dire o fare f.?”. È un
modo di attribuire un significato alle relazioni interpersonali, le quali vengono
proiettate sullo sfondo di un progetto. Il processo di formazione della coppia, il
matrimonio, l’avere figli e vivere in f. è una costruzione sociale di regole signifi-
cative di vita con cui la vita familiare prende corpo. 6) L’approccio interazionista
di Burgess e Locke (1945) considera la f. come unità di persone interagenti, di cui
studia la dinamica psicologica come gruppo e sistema di persone senza preoccu-
parsi dei vincoli legali o delle strutture sociali istituzionali. È la f. companionship,
comunità di amicizia, che si organizza su elementi non costrittivi, ma derivati dal-
l’intimità personale, i cui valori centrali sono il dare e ricevere affetto, l’ugua-
glianza tra marito e moglie, il comportamento democratico nelle decisioni fami-
liari. 7) L’approccio evolutivo di Hill e Duvall, riformulato oggi da Mc Goldrick e
Carter, (1986), avverte che la f. si evolve e si modifica nel tempo, a seconda della
particolare fase del ciclo di vita che essa sta attraversando. Questa impone inevita-
bilmente dei compiti evolutivi specifici di sviluppo sia per gli individui che per la
coppia, i quali vengono determinati da una serie di eventi di crisi che costituiscono
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il passaggio a fasi successive. La f. costruisce così la sua storia, nella continua
ricerca di un equilibrio dinamico che si regge sulla realizzazione più soddisfacente
possibile dei compiti con i quali si cerca di far fronte sia alle richieste delle agenzie
esterne sia ai bisogni interni. 8) L’approccio relazionale di Donati (1988) sostiene
che la f. è una relazione sociale speciale e sovrafunzionale, distinta cioè da ogni
altro tipo di relazione sociale e al di sopra delle funzioni che la società le impone
progressivamente. È una realtà sui generis, non riconducibile agli elementi compo-
nenti: un sistema altamente complesso, differenziato, a confini variabili, in cui si
realizza quell’esperienza vitale e specifica che è fondamentale per la strutturazione
dell’individuo come persona, cioè come individuo-in-relazione (essere relazio-
nale), nelle sue determinazioni di genere (che implicano la sessualità) e di apparte-
nenze generazionali (che implicano la parentela). In essa vi è un modo proprio di
vivere le relazioni sociali perché sono costruttrici di alleanze e di solidarietà sia
interne che esterne (network e reti sociali).
2. Problemi di oggi. Volendo soffermarci al contesto italiano, la f. di oggi è chia-
mata ad affrontare sfide di non poca entità non solo per il suo benessere e sviluppo,
ma anche per la sua sopravvivenza. Da piramide a cilindro: è l’immagine che se ne
può ricavare oggi e che delinea il cambiamento anche solo demografico che la f.
italiana ha subíto nell’ultimo decennio. Secondo gli ultimi dati dell’ISTAT (2000),
la f. è sempre più “stretta” e “lunga”, aumenta cioè la longevità, ma diminuiscono i
figli. Ci sono più generazioni nello stesso nucleo, ma meno bambini. Ciò comporta
un cambiamento di relazioni e di bisogni. La generazione dei cinquantenni si ritrova
sempre più stretta tra le richieste di sostegno provenienti dai figli (“f. lunga”) e
quelle pressanti che vengono dalle generazioni più anziane. Ci sono meno figli, più
madri che lavorano, meno tempo a disposizione per le persone, più maschi che la-
sciano la casa di origine solo quando si sposano. Assistiamo a una maggiore instabi-
lità coniugale e ad un maggior numero di bambini coinvolti nelle separazioni,
mentre sta radicandosi nel senso comune l’idea che il matrimonio sia reversibile.
Reversibilità significa anche seconde e terze nozze. Aumenta, quindi, la complessità
delle relazioni familiari e genitoriali, ci sono più genitori per gli stessi bambini, c’è
più pendolarismo genitoriale, si appartiene a più f., si allarga il numero delle rela-
zioni, ma anche quello delle case in cui si abita. Tutto questo non può non condurre
ad una nuova organizzazione della vita quotidiana e della stessa vita familiare.
Bibl.: BERGER P. - H. KELLNER, “Marriage and the Construction of Reality”, in H. DREITZEL, (Ed.),
Recent Sociology, n. 2, New York, Mac Millan, 1970; ZIMMERMAN C., Family and Civilization, New
York, Harper & Row, 1971; EKEH P.P., Social Exchange Theory, London, Heinemann, 1974; PARSONS
T. - R. BALES (Edd.), Famiglia e socializzazione, Milano, Mondadori, 1974; GALLINO L., “Famiglia”,
in ID., Dizionario di sociologia, Torino, UTET, 1978; MC GOLDRICK M. - E.M. CARTER, The Family
Life Cycle: a Framework for Family Therapy, New York, Gardner Press, 1980; DONATI P.P., La fami-
glia come relazione sociale, Milano, Franco Angeli, 1988; ISTAT, Le strutture familiari. Indagine
multiscopo sulle famiglie “Famiglie, soggetti sociali e condizioni dell’infanzia”, Roma, ISTAT,
2000.
R. Mion
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FAMIGLIA PROFESSIONALE
Comunità / famiglia professionale
FILIERE FORMATIVE
FP
FINANZIAMENTI PER LA FP
Le fonti di f.p.l. FP possono essere pubbliche o private, e sono talora diversifi-
cate in base al tipo di formaz. (iniziale, continua). L’esame dei f.p.l. FP richiede
una preventiva definizione di quali attività vengano ricomprese nel sistema di FP.
Considerando solo il complesso delle attività promosse dalle Regioni, nel 2000 la
spesa è stata pari a oltre 3.000 milioni di Euro, somma pressoché raddoppiata negli
ultimi dieci anni.
1. Nel sistema regionale di FP, si utilizzano quasi esclusivamente risorse pubbliche.
Le Regioni individuano le risorse attraverso i seguenti canali: a) Fondo Comune per
le Regioni: è il canale fondamentale attraverso il quale le Regioni ricevono fondi
dallo Stato per la copertura delle spese. Il fondo è alimentato da una percentuale
fissa di alcune entrate tributarie dello Stato ed è ripartito in base a parametri quali
popolazione, superficie, tasso di emigrazione, livello di disoccupazione e reddito.
Le Regioni definiscono liberamente la ripartizione di tali risorse fra i vari capitoli di
spesa; b) Fondo per la FP e accesso al Fondo Sociale Europeo: istituito dalla L.
236/93, è alimentato dalle risorse derivanti dal prelievo contributivo dello 0,30%
del monte salari pagato dalle imprese come contributo integrativo per l’assicura-
zione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria; c) Fondi strutturali: sono
risorse erogate dall’UE con diverse finalità per il f. di programmi operativi. Per la
FP, le risorse provengono principalmente dal Fondo Sociale Europeo. Per poter
aumentare il volume delle iniziative, le Regioni hanno utilizzato in misura crescente
le risorse proprie come “sponda” ai f. comunitari, con un grado di dipendenza
medio del 60%, ma che si avvicina al 100% per molte Regioni meridionali; d) Altre
risorse nazionali: per il f. di attività specifiche, rese obbligatorie da leggi quali gli
interventi per i giovani in obbligo formativo o per gli apprendisti, sono previsti
ulteriori f. a carico dello Stato, generalmente a valere sul Fondo per l’occupazione
gestito dal Ministero del Lavoro, erogati alle Regioni sulla base di parametri con-
divisi. Rientrano in tale canale di f. anche le risorse assegnate dallo Stato per gli
enti di carattere nazionale (L. 40/87).
2. Il f. dei vari interventi formativi avviene di norma tramite bandi pubblici, cui pos-
sono partecipare sia strutture pubbliche sia private aventi determinate caratteri-
stiche. I corsi sono completamente gratuiti per gli allievi. A volte sono previsti
anche rimborsi per le spese di viaggio, vitto e alloggio e indennità di frequenza.
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Solo in casi limitati è richiesto agli allievi il pagamento di una quota minima per
l’iscrizione o per i materiali didattici. Rispetto al segmento della FP iniziale, una
voce di spesa importante da considerare riguarda il f. di quei percorsi dell’istruzione
secondaria a carattere professionalizzante, quali gli istituti professionali e d’arte.
Tali risorse provengono dal bilancio dello Stato, gestite dal MIUR. Sempre con rife-
rimento all’anno 2000, tale spesa è stata all’incirca pari a quella per la FP regionale.
Nell’ambito della FP continua, sono destinati ad avere un peso sempre più ampio
gli interventi promossi dai fondi interprofessionali, costituiti e gestiti in forma pari-
tetica dalle parti sociali, cui saranno progressivamente assegnati i proventi dello
0,30% del monte salari, sulla base delle adesioni volontarie delle imprese.
3. Altre attività di FP sono offerte in un mercato privato della FP, che talora può
ricevere riconoscimento o autorizzazione da parte del soggetto pubblico, e quindi
finanziate dalle quote di partecipazione degli allievi; anche le aziende promuovono
interventi formativi finanziati con risorse proprie.
Bibl.: CEDEFOP, Il finanziamento della formazione professionale in Italia. Ritratto finanziario,
Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali della Comunità Europea, 2000; ISFOL, Rapporto
ISFOL 2001. Federalismo e politiche del lavoro, Milano, Franco Angeli, 2001; ISFOL, Rapporto
ISFOL 2002, Milano, Franco Angeli, 2002.
S. D’Agostino
FLESSIBILITÀ
Mansione; Contratti; Sistema produttivo; Risorse umane; Sociologia
del lavoro; Sussidiarietà; CFP; Minori
FONDO SOCIALE EUROPEO (FSE)
Finanziamenti per la FP; FPI; Operatori della FP
FORMATORE
Operatori della FP; Metodologia; Nuove tecnologie; CFP
FORMAZIONE
Nel linguaggio comune e nella letteratura pedagogica è sinonimo di educ., di
apprendimento, di istruz., di addestramento ed in un certo senso li coinvolge tutti.
Il termine, nel corso della storia, ha avuto molti usi ed ancora oggi è inteso in molti
sensi.
1. Nella tradizione, f. indica l’attività di “dar forma”, di configurare, di plasmare, di
foggiare e forgiare; ma anche il processo di adeguamento alla cultura sociale di ap-
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partenenza (= “paideia”). Nell’età moderna, in connessione con l’accentuazione di
una immagine dell’uomo costruttore di sé e con l’affermarsi dell’idea di progresso e
di sviluppo segnato dall’intervento della razionalità e delle capacità operative e tec-
niche umane, il termine f. è diventata una parola-programma. Con f. si è preso ad
intendere il processo di integrale sviluppo personale (cfr. il ted. “Bildung”, che dice,
insieme, l’immagine umana ideale, la cultura che umanizza e l’azione di umanizza-
zione attraverso tale cultura). Ma negli ultimi tempi con f. si è venuto ad intendere
normalmente il processo di acquisizione delle competenze per svolgere in ma-
niera efficiente ed efficace un ruolo sociale o professionale: sicché quando si
parla di f. si intende quasi solo FP, magari in contrapposizione ad istruz. Spesso
si usa il termine senza distinguere i due significati. Oppure li si può contrapporre
sotto forma di opposizione tra cultura (= qualificazione umana dello sviluppo perso-
nale) e competenza (= operare esperto, efficiente ed efficace).
2. In ogni caso, oggi, la f. viene pensata ed estesa all’intero arco dell’esistenza (cfr.
le espressioni: f. degli adulti, FP continua, FP iniziale, f. in process, f. perma-
nente, f. universitaria, ecc.; e le espressioni anglosassoni: “lifelong education”,
“continuing education”, “ongoing education”). Parimenti, pur con tutte le incer-
tezze di significato, appare chiaro che parlando di f. si viene ad immaginare e pro-
spettare lo sviluppo umano, sia nel suo essere sia nel suo operare, in termini di per-
fettibilità e di qualificazione, seppure limitata e non infinita, in un gioco, non privo
di tensioni, tra bisogni del soggetto ed intenzioni sociali di sviluppo.
3. La f. al ruolo (ma anche quella della persona nelle sue molte articolazioni)
è ritenuta questione centrale e risorsa imprescindibile nelle politiche nazionali ed
internazionali da parte degli organismi governativi (come l’UE, il Consiglio d’Eu-
ropa o l’UNESCO) e non governativi (come le diverse associazioni comuni-
tarie ed internazionali di ricerca e di cooperazione operativa, di tutela e di promo-
zione dei diritti umani, specialmente delle minoranze e delle fasce sociali emargi-
nate). A livello mondiale, è invocata (e sostenuta economicamente nei concreti
progetti di intervento) come termostato dell’equilibrio mondiale e come fattore di
sostegno per lo sviluppo dei popoli. La mancata effettività del diritto alla piena
alfabetizzazione, il diffuso analfabetismo culturale, la carenza di FP rischiano, in-
fatti, di non permettere a quote sempre più estese della popolazione di leggere i
sofisticati alfabeti e decifrare i codici procedurali, attraverso cui si esprime, o che
impone, la società industriale e post-industriale, sia a livello di produzione che
di esistenza.
4. In tal senso, il problema della f. viene strettamente connesso con gli altri grandi
nodi dello sviluppo, quali l’economia, la salute, l’ ambiente, la popolazione.
Anzi assurge a funzione imprescindibile dell’evoluzione umana, dello sviluppo
storico e del futuro civile dell’umanità intera; e più specificamente diventa un
punto fermo nei processi di mutamento e di innovazione socio-culturale, al fine di
uno sviluppo sostenibile e umanamente degno per tutti e per ciascuno, oltre le dif-
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ferenze socio-economiche, di genere, di sesso, di dotazione native e di opportunità
esistenziali.
Bibl.: CASTOLDI M. (Ed.), Segnali di qualità, Brescia, La Scuola, 1998; BOCCA G., Pedagogia della
formazione, Milano, Guerini, 2000; BERTAGNA G., Avvio alla riflessione pedagogica, Brescia, La
Scuola, 2000; LAENG M. - G. BALLANTI, Pedagogia, Brescia, La Scuola, 2000; CHIOSSO G. (Ed.),
Elementi di pedagogia, Brescia, La Scuola, 2002; NANNI C., Antropologia pedagogica, Roma, LAS,
2002.
C. Nanni
FORMAZIONE A DISTANZA
Da sempre l’aspetto relazionale nell’azione dell’ insegnamento è stato consi-
derato fondamentale, perché ritenuto alla base di ogni azione educativa. In tempi
recenti si è sviluppata anche una modalità di insegnamento organizzato mediante
l’uso di vari mezzi di comunicazione nella quale le azioni dell’insegnamento
sono eseguite separatamente dagli atti di apprendimento.
1. Origine e principali caratteristiche generali della FaD. Pur collocata nella metà
dell’Ottocento – è del 1840 la prima iniziativa inglese di scuola per corrispondenza
per l’acquisizione di capacità segretariali – l’origine dell’ istruz. a distanza è
da individuare nella seconda metà del Novecento, con l’organizzazione di una
“università dell’aria” trasformata poi in università a distanza. Apprendimento
aperto, istruz. individualizzata, insegnamento a distanza, formazione online, auto-
istruzione, sono modi diversi per intendere quella che oggi viene più genericamente
chiamata FaD (ISFOL, 1992, 117). Essa permette, rispetto alla formaz. classica,
di formare e/o aggiornare un maggior numero di utenti e di renderli partecipi di un
insieme di attività formative strutturate secondo una modalità di apprendimento
autonomo e personalizzato, discontinuo nel tempo e nello spazio. La letteratura
specialistica distingue tre generazioni dei sistemi FaD: 1) la prima generazione
della FaD ha come sistema di diffusione principalmente la posta e le metodo-
logie usate non sono molto diverse da quelle in presenza; 2) nella seconda gene-
razione di FaD, invece, si introduce l’uso di strumenti multimediali quali VHS, di-
schetti floppy e CD-ROM e i metodi di diffusione elettronica sono TV e radio;
3) nella terza generazione, quella attuale, si utilizzano le nuove tecnologie e la
FaD prende anche il nome di WBT (Web Based Training) o e-learning. Il WBT,
coniato a metà degli anni novanta del Novecento, si basa su prodotti multimediali
per l’apprendimento che utilizzano in parte le potenzialità della multimedialità e
interattività offerte dalla digitalizzazione e dalle reti; l’elemento predominante
nella presentazione dei contenuti è il testo, corredato a volte di grafici e immagini.
L’e-learning è la metodologia didattica che offre la possibilità di erogare contenuti
formativi elettronicamente, attraverso Internet o reti Intranet. Per l’allievo rappre-
senta una soluzione di apprendimento flessibile, in quanto fortemente personalizza-
bile e facilmente accessibile. Il temine e-learning copre un’ampia serie di applica-
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zioni e processi formativi. In pratica, sviluppare un sistema di e-learning significa
sviluppare un ambiente integrato di formaz. utilizzando le tecnologie di rete per
progettare, distribuire, scegliere, gestire e ampliare le risorse per l’apprendimento.
Le modalità più utilizzate per realizzare tale integrazione sono: 1) l’autoapprendi-
mento asincrono attraverso la fruizione di contenuti preconfezionati disponibili
sulla piattaforma di erogazione; 2) l’apprendimento in sincrono attraverso l’utilizzo
della videoconferenza e delle aule virtuali; 3) l’apprendimento collaborativo attra-
verso le attività delle comunità virtuali di apprendimento.
2. FaD e azione educativa. La pratica dell’insegnamento avviene all’interno del-
l’azione educativa che è, per sua natura, di tipo relazionale, volta cioè alla promo-
zione nelle persone dello sviluppo di disposizioni interiori e all’acquisizione di
saperi e competenze che favoriscono il loro benessere. In questa azione educa-
tiva è responsabile in primo luogo l’educatore, il quale, nell’esplicazione del suo
servizio, si avvale di strumenti diversi, applicandoli alle situazioni ed alle persone
mediante criteri di adeguatezza e conformità. Anche l’uso delle nuove tecnologie
permette all’allievo di diventare responsabile del proprio processo di apprendi-
mento, attraverso una dinamica che gli consente di “dare forma” non solo al pro-
prio sapere ma all’intera propria personalità in una logica di maturazione. Questa
modalità di formaz., pertanto, è educativa in quanto fattore di sviluppo dell’auto-
nomia, del controllo, della padronanza della personalità psichica e cognitiva del
soggetto in un ambiente di apprendimento che propone una notevole ricchezza di
relazioni con soggetti diversi, tra i quali anche quelli virtuali.
3. FaD e FP. Pur avendo avuto, sino ad oggi, una maggiore diffusione nel
campo universitario, in Italia la FaD sta entrando in modo consistente anche nel
campo della FP. Tra le iniziative pubbliche di maggior rilievo si segnala il progetto
FaDol (Formazione a Distanza on line), promosso dal Ministero del Lavoro e
della Previdenza Sociale, finalizzato alla costruzione di un sistema nazionale di
formaz. continua a distanza per gli operatori della FP. Al momento tutta l’espe-
rienza è stata affidata ad un servizio permanente di formazione gestito dal-
l’Agenzia del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Italia Lavoro Spa.
Anche l’ISFOL, già dal 1988, aveva condotto una sperimentazione dell’uso delle
reti telematiche per formare a distanza gruppi di formatori appartenenti a diversi
enti di formaz. e residenti in diverse Regioni (Progetto FAD-ISFOL). Varie
Regioni hanno intrapreso in quest’ultimo decennio delle azioni significative atte a
favorire lo sviluppo della FaD. Si segnalano: il Centro Risorse per la didattica
multimediale e la FaD promosso dall’Emilia Romagna; il progetto T-Teleform ba-
sato sull’uso delle reti telematiche e sulla realizzazione di poli didattici territoriali
promosso dalla Regione Toscana; un progetto per la formaz. dei formatori me-
diante strumenti non telematici (seminari, materiali didattici multimediali, tutorato
telefonico e in presenza), promosso dalla Regione Sicilia; la FaD distanza per la
formaz. dei formatori, soprattutto nel settore della progettazione e dello sviluppo
dei prodotti multimediali per la didattica, promossa dalla Regione Piemonte, al-
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l’interno del progetto SINFOD (Sistema INFormativo per l’Orientamento e la Di-
dattica); il progetto SKILLPASS promosso da Sviluppo Italia (Agenzia nazionale
per lo sviluppo economico e imprenditoriale del Mezzogiorno e delle aree svan-
taggiate del Paese). Tra le iniziative private si segnalano particolarmente le attività
di Scuola Radio Elettra di Torino, Dida*El, il Consorzio Multimedia (CMM) di
Catania, Edulife di Verona.
Bibl.: ISFOL, Glossario di didattica della formazione, Milano, Franco Angeli, 1992; CIOFS/FP -
API (Edd.), Formazione a distanza: problemi teorici ed esperienze concrete, Roma, Tipografia Pio
XI, 2001; LA NOCE F., E-Learning, la nuova frontiera della formazione, Milano, Franco Angeli,
2002.
M. Tonini
FORMAZIONE FORMALE
Apprendistato
FORMAZIONE ON LINE
Formazione a distanza
FORMAZIONE PERMANENTE
FP continua; Alternanza formazione lavoro; Spiritualità dell’operatore;
Diritti formativi; Ispirazione cristiana della FP; Sistema formativo; Minori
FORMAZIONE PER FASCE DEBOLI
Formazione professionale
FORMAZIONE PROFESSIONALE
In linea generale si descrive la FP come un processo attraverso il quale una persona
può consolidare, aggiornare o migliorare le proprie capacità attraverso l’acquisi-
zione di conoscenze, abilità e competenze per un esercizio più produttivo e respon-
sabile di un’attività professionale.
1. Principali significati di FP. La dizione FP ha assunto nel tempo – e conserva
ancora oggi – vari significati, riconducibili, in sintesi, soprattutto a due. In alcuni
casi l’espressione allude all’intervento formativo rivolto a giovani o adulti, occu-
pati e non, per avviarli velocemente al lavoro, attraverso un breve addestra-
mento. In altri casi, invece, per FP si intende l’acquisizione di conoscenze,
abilità e competenze finalizzate all’esercizio di una professione, indipendente-
mente dall’età dei destinatari. Molta letteratura distingue anche tra prima, seconda,
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terza formaz., intendendo con tali denominazioni tutti quegli interventi rivolti
normalmente o a giovani che per la prima volta affrontano il problema di una pre-
parazione sistematica al mondo del lavoro, o a persone che sono già in possesso di
titoli o competenze professionali e, attraverso ulteriori percorsi formativi, inten-
dono perfezionarsi sia dal punto di vista professionale che culturale, in una pro-
spettiva di formaz. permanente ( FP continua). La diversità delle accentuazioni è
presente anche nella principale legislazione italiana: una parte di essa tende a sot-
tolineare il significato di flessibilità, brevità, molteplicità di interventi adeguati alle
diverse realtà produttive locali nonché di promozione e aggiornamento professio-
nale dei vari soggetti del mondo del lavoro (cfr., per es., art. 17 della L. 196/97);
altra legislazione è più vicina all’idea di formaz. globale della persona (L. quadro
845/78, L. 144/99). La recente riforma costituzionale (L. costituzionale 3/01) e la
successiva riforma del sistema educativo nazionale (L. 53/03), superando la tradi-
zionale distinzione tra “scuola” e “istruzione artigiana e professionale” propria
della vecchia Costituzione, introducono la distinzione tra l’ istruz. che corri-
sponde all’istruz. inferiore obbligatoria e alla componente non professionalizzante
dell’istruz. superiore dotata di una visione culturale generale, e l’istruz. e la FP do-
tata di pari dignità ma caratterizzata da una visione professionalizzante che facilita
l’ingresso nel mondo del lavoro ( istruzione e FP; riforma educativa).
2. FP e mondo del lavoro. Ad influire sulla varietà dei significati della FP c’è
soprattutto il legame di essa con la visione globale della società nel suo insieme
ed in particolare con quella del mondo del lavoro nella sua evoluzione storica. Un
approccio piuttosto sistematico si affermò, tuttavia, solo nel XX secolo, particolar-
mente nel mondo tedesco, dove si prese a criticare una FP troppo legata alla sola
acquisizione di capacità manuali e venne suggerito di collegare competenza opera-
tiva ad una buona sensibilità civica, dando vita ad una sorta di “scuola del lavoro”,
una scuola che avrebbe dovuto comprendere contemporaneamente una formaz. di
base per preparare all’inserimento immediato nel mondo produttivo e una formaz.
più generale maggiormente aperta a valori e ad interessi più ampi, anche in vista di
un completamento della formaz. in momenti successivi. Lungo il secolo scorso ha
preso sempre più spazio l’attenzione al ruolo ( ruolo professionale) e alla per-
sona e sempre meno al mestiere e al posto di lavoro ( FP: sviluppo storico;
mansione).
3. Elementi di sistema della FP oggi. In linea generale, la normativa ha ormai
disciplinato in maniera sufficientemente omogenea alcuni aspetti che concorrono
alla definizione del sistema della FP: il soggetto che eroga la FP, l’offerta forma-
tiva, i finanziamenti, la certificazione, la qualità, i servizi di supporto. Vediamo
ciascuno di tali aspetti. 1) Soggetto erogatore. Se una delle finalità della FP è
quella di essere attenta ai cambiamenti del sistema economico e sociale, le attività
formative dovranno essere, di conseguenza, mutevoli, come diversi dovranno
essere gli organismi che le realizzano: enti di FP, associazioni di categoria,
consorzi, enti locali, ecc. Il sistema della FP oggi risulta caratterizzato dalla mag-
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gioritaria presenza di soggetti che hanno nella formaz. la propria attività esclusiva
o prevalente (ISFOL, 2002). Questi soggetti, oltre alle attività corsuali, general-
mente precedute da azioni di accoglienza e comprendenti stage aziendali (
tirocinio), erogano anche prestazioni parallele o di supporto alle attività formative
in senso stretto quali la progettazione di percorsi formativi, attività di sportello in-
formativo, servizi di orientamento, i bilanci di competenze, misure di accom-
pagnamento al lavoro, ecc. 2) Offerta formativa. L’offerta formativa si caratterizza
soprattutto in base ai destinatari che possono essere giovani o adulti in cerca di
un’occupazione, portatori di handicap, lavoratori in cassa integrazione o iscritti
alle liste di mobilità, lavoratori che necessitano di riqualificazione o di aggiorna-
mento professionale. Tuttavia si è affermata oggi una articolazione ampiamente
condivisa denominata FPI, rivolta soprattutto agli adolescenti; FP superiore,
rivolta soprattutto ai giovani; FP continua rivolta agli adulti in genere;
formaz. a distanza (FaD); formaz. connessa all’ apprendistato. A queste tipo-
logie, si aggiungono interventi formativi per soggetti appartenenti a fasce deboli o
a rischio di emarginazione sociale ( disagio; esclusione sociale), difficilmente
schematizzabili. Di queste tipologie, esistono comunque due approcci principali: il
primo è quello degli enti che creano corsi specifici esclusivi per i portatori di han-
dicap, per gli immigrati, per i detenuti e via dicendo; il secondo, invece, è quello
degli enti che preferiscono inserire questi soggetti nei corsi strutturati per soddi-
sfare le esigenze formative di un’utenza più ampia. In entrambi i casi, però, ven-
gono predisposti percorsi formativi personalizzati ( personalizzazione) o indivi-
dualizzati, che richiedono non solo l’apporto del formatore, ma anche quello di
un team di specialisti (psicologo, pedagogista, assistente sociale, altri specialisti).
Il panorama della FP offre, oltre ai corsi interamente finanziati da risorse pubbliche
e quindi gratuiti per l’utenza, anche percorsi formativi a pagamento gestiti da enti,
società, consorzi, università; si tratta in genere di corsi ad alta specializzazione. 3)
Finanziamenti. La maggior parte delle attività formative sopra descritte sono
finanziate dal FSE (oltre 15 miliardi di euro per il periodo 2000-2006) che sostiene
la formaz. in genere, la formaz. dei formatori, la riqualificazione e l’orientamento,
l’apprendistato, la riconversione, la formaz. a distanza, la formaz. continua, le
lauree brevi. Altri finanziamenti sono reperibili tra le risorse nazionali ( finanzia-
menti per la FP). 4) La certificazione nel sistema della FP. Una norma recente
(D.M. 31.05.01) aggiorna la certificazione del sistema della FP, prevedendo tre
diverse tipologie di certificazione: a) la certificazione del percorso formativo com-
pleto, che porta alla qualifica; b) la certificazione di percorso formativo par-
ziale, o non completato, o non finalizzato alla qualificazione; c) la certificazione di
competenze acquisite in contesto non formale o informale, valutabili per l’accesso
a percorsi o titoli formali e il libretto formativo del cittadino, strumento di raccolta
e documentazione delle certificazioni acquisite dalla persona. Tutta la materia, in
sperimentazione nelle Regioni, tuttavia, è oggetto di riconsiderazione a seguito
della L. 53/03 che indica titoli e qualifiche professionali di differente livello, vale-
voli su tutto il territorio nazionale se rispondenti ai livelli essenziali di prestazione
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definiti su base nazionale a norma dell’art. 117 della Costituzione. 5) Qualità nella
formazione professionale. Mentre nel caso della formaz. scolastica o universitaria
è il sistema stesso a garantire e a sovrintendere sulla qualità dei contenuti formativi
e sulle capacità dei docenti, nel caso della FP concorrono soprattutto due adempi-
menti per una uguale garanzia: l’ accreditamento delle sedi formative e orienta-
tive e la certificazione di qualità ( qualità) che hanno lo scopo da una parte di as-
sicurare agli utenti la qualità del servizio formativo e dall’altra garantire le pub-
bliche amministrazioni sull’affidabilità degli enti gestori e dei soggetti attuatori.
Accanto a questi requisiti, che sono disciplinati da norme specifiche, la letteratura
del settore ne aggiunge altri che devono essere in possesso del soggetto che eroga
la formaz.: l’esperienza dell’ente nel settore, la rispondenza alla figura professio-
nale, la qualità didattica, l’efficacia, la capacità cioè del corso stesso di favorire
l’occupazione e la soddisfazione dell’ex-allievo, l’efficienza, la capacità del corso
cioè di fornire una formaz. valida a costi il più possibile contenuti, la continuità, la
possibilità cioè di seguire in un secondo momento corsi di specializzazione e/o di
aggiornamento e dei workshop. 6) I servizi di supporto. Le attività formative sono
oggi inserite in una rete di servizi, propedeutici, paralleli o successivi all’attività
didattica, che permettono di fornire all’utenza una sorta di guida completa in tutti i
momenti della qualificazione professionale. In generale sono gli “sportelli infor-
mativi”, che solitamente spiegano come reperire le informazioni sulle attività for-
mative; le “sedi orientative”, le quali, più che fornire informazioni, permettono alla
persona che vi accede, un servizio di individuazione di un percorso personalizzato
specifico; i “servizi per l’impiego”, che affiancano, accanto alla più classica atti-
vità di collocamento della manodopera, una serie di servizi aggiuntivi, tra i quali
l’informazione, l’orientamento e il tutorato ( tutor); il servizio di “incontro tra
domanda e offerta di lavoro”, per facilitare l’occupazione da parte degli iscritti alle
attività formative, i servizi di outplacement, affiancati spesso da quelli di tutoring,
servizi che agiscono sul post corso, sul modo di presentarsi, sulla redazione di un
curriculum, sull’autopromozione ( orientamento; servizi per l’impiego).
4. L’integrazione della FP con l’istruz. Uno dei temi ancora molto dibattuti oggi è
il rapporto tra la FP di competenza regionale e l’istruz. in senso lato. La questione
è stata posta in maniera decisiva già all’epoca della c.d. “Riforma Berlinguer”, che
proponeva un superamento della pluridecennale incomunicabilità tra il sistema
scolastico e il sistema formativo, concepiti come due canali paralleli e mutuamente
esclusivi. Il dibattito che ne è seguito ha portato alla formulazione di due concetti
di “integrazione”: l’interpretazione di coloro che intendono “integrazione” come
“integrazione di percorsi” (cioè la progettazione di un percorso dove l’istituzione
scolastica eroga interventi propri accanto a quelli realizzati dal Centro di FP nei
confronti dei medesimi utenti) e quella di coloro che intendono “integrazione”
come “integrazione tra sottosistemi” dell’unico sistema educativo (cioè l’integra-
zione in ambiti quali la programmazione, la certificazione dei crediti e dei pas-
saggi, anche attraverso iniziative didattiche adeguate, monitorando e valutando il
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conseguimento degli obiettivi intermedi e finali). Molta letteratura valuta critica-
mente la prima interpretazione in quanto ispirata ad un dualismo pedagogico che si
riflette per lo più in atteggiamenti di passività, se non di rifiuto, da parte dei desti-
natari che hanno avuto esperienze negative nella frequenza di percorsi di un dato
sistema. La L. 53/03, nel delineare il sistema educativo di istruz. e di formaz., arti-
colato nei sottosistemi di istruz. e in quello dell’istruz. e della FP, prefigura l’inte-
grazione tra sottosistemi.
Bibl.: AMBROSINI M. (Ed.), Un futuro da formare. Verso un nuovo sistema di formazione professio-
nale: tendenze, valutazioni e proposte, Brescia, La Scuola, 2000; DM 31.05.01, Certificazione nel
sistema della formazione professionale, in GU del 18.06.01, n. 139; UCCELLO S., Guida ai corsi di
formazione, Milano, Il Sole 24 ore, 2002; BRAMANTI A. - D. ODIFREDDI., Istruzione formazione
lavoro: una filiera da (ri)costruire, Milano, Franco Angeli, 2003; ISFOL (Ed.), Rapporto ISFOL
2003, Brescia, La Scuola, 2004; CONFAP, Collocazione CONFAP nel sistema dell’Istruzione e
Formazione Professionale, in “Presenza CONFAP”, 1-2 (2004), supplemento.
M. Tonini
FORMAZIONE PROFESSIONALE CONTINUA
Attività formativa destinata alla popolazione attiva con l’obiettivo di assicurare
che le conoscenze e le competenze professionali siano continuamente aggior-
nate e riqualificate in connessione con l’innovazione tecnologica ed organizzativa
del processo produttivo.
1. Il sistema di FPc. costituisce una componente di un più vasto sistema di
formaz. permanente, all’interno del quale la caratteristica distintiva proviene dalla
sua finalità, destinata essenzialmente alla riqualificazione collegata ai processi
produttivi.
In Italia, un vero e proprio sistema di FPc. ha cominciato a prendere forma negli
ultimi anni, in particolare con l’emanazione della L. 236/93. Fino ad allora gli inter-
venti di FPc. erano finanziati e gestiti direttamente dalle singole aziende, che li de-
stinavano per lo più all’aggiornamento professionale dei propri quadri, intermedi e
superiori. La L. 236/93 vuole rispondere, invece, all’esigenza di una riqualifica-
zione continua di tutta la forza lavoro, a garanzia sia dell’aggiornamento continuo
dei processi produttivi, sia della manutenzione e del miglioramento dei livelli di
professionalità ed occupabilità dei lavoratori stessi. Pertanto prende corpo, con i
finanziamenti del Ministero del Lavoro, un’attività programmata dalle Regioni, che
integra e rafforza, in una prospettiva di sistema, le iniziative condotte autonoma-
mente dalle imprese. Il dialogo sociale tra il sistema delle imprese e quello sinda-
cale ha un peso rilevante nella nascita di un sistema di FPc. in Italia. Negli accordi
tra parti sociali e Governo del 1993, del 1996 e del 1998, il tema della FPc. as-
sume un ruolo sempre più centrale. È sulla base di tali accordi che sono state appro-
vate le successive leggi (196/97, 53/2000) che valorizzano il ruolo strategico della
FPc. e delle parti sociali nella progettazione degli interventi formativi.
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2. Con la L. 53/03, gli interventi a favore dei lavoratori occupati si ampliano, in
una prospettiva di lifelong learning, con l’introduzione dei congedi formativi e dei
voucher individuali per svolgere attività formative, anche non immediatamente
collegate al processo produttivo. Infine, con la L. 388/00 la programmazione e
l’organizzazione delle iniziative di FPc. vengono portati più vicino al sistema
produttivo, con la costituzione dei Fondi interprofessionali, organismi gestiti dalle
parti sociali, ai quali le aziende possono versare direttamente lo 0,30% della retri-
buzione dei lavoratori normalmente versato allo Stato, e che veniva successiva-
mente destinato a finanziare le attività formative gestite dalle Regioni. L’obiettivo
di questi interventi normativi è quello di ampliare sia l’offerta di FPc. da parte
delle imprese, sia la partecipazione dei lavoratori a questo tipo di attività; le inda-
gini Eurostat indicano infatti che le imprese italiane sono fra quelle che in Europa
dedicano minore spazio alla FPc.: solo il 24% delle imprese italiane intervistate,
infatti, dichiara di aver svolto attività formativa a favore dei propri dipendenti nel-
l’anno 2001.
Bibl.: CONFINDUSTRIA, La fabbrica delle competenze. Rapporto della Commissione per la formazione
professionale, Scuola Formazione e Ricerca, 1999; OECD-OCSE, Surmonter l’exclusion grâce à
l’apprentissage des adultes, Paris, Oecd, 1999; COMMISSIONE EUROPEA, Realizzare uno spazio
europeo dell’apprendimento permanente. COM (2001) 678, Bruxelles, Commissione Europea,
2001; ISFOL, Economia e costi della formazione aziendale. Strumenti e ricerche, Milano, Franco
Angeli, 2002; MINISTERO DEL LAVORO, Rapporto sulla formazione continua, Relazione presentata al
Parlamento (a cura dell’ISFOL) anni 2001-2002.
G. Allulli
FORMAZIONE PROFESSIONALE INIZIALE
Intervento formativo, a carattere corsuale, destinato ai giovani in uscita dal primo
ciclo del percorso di istruzione e formazione, che intendono acquisire compe-
tenze di base e tecnico professionali che consentano loro di inserirsi nel mondo del
lavoro possedendo una professionalità specifica. Si conclude con l’attribu-
zione di una qualifica professionale.
1. La FPI ricade, in base alla Costituzione, sotto la competenza legislativa e ammi-
nistrativa delle Regioni. Con l’emanazione della L. quadro 845/78 tutta la FP,
compresa quella iniziale, era stata ricondotta all’interno delle politiche attive del
lavoro. Veniva separato nettamente il ruolo della scuola, rivolto prevalentemente
alla preparazione del cittadino, e quello della formaz., finalizzato principalmente
alla formaz. del lavoratore, in stretto collegamento con la domanda del mondo del
lavoro. Pertanto le politiche delle Regioni, incentivate anche dagli indirizzi del
Fondo Sociale Europeo, che fornisce la maggior parte delle risorse finanziarie del
sistema, si erano indirizzate negli anni successivi verso la programmazione di una
FPI a carattere breve, modulare, molto flessibile, rivolta esclusivamente alla profes-
sionalizzazione.
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Con l’emanazione dell’art. 68 della L. 144/99, il ruolo della FPI viene riconsiderato,
tanto che la FPI diventa uno dei canali attraverso i quali si può assolvere
l’ obbligo scolastico e formativo, che viene prolungato fino all’età di 18 anni
oppure fino al conseguimento della qualifica professionale. Il successivo Protocollo
Stato Regioni del febbraio 2000 sancisce questa nuova “filosofia” della FPI, sta-
bilendo per i percorsi formativi una durata minima di 2 anni, l’introduzione del
tirocinio, di misure di accompagnamento per l’inserimento professionale, di
sistemi di valutazione della qualità dell’offerta erogata.
2. La L. 53/03 valorizza e potenzia ulteriormente il ruolo della FPI come percorso
di pari dignità rispetto a quello scolastico, che dà la possibilità ai giovani che lo
frequentano e che conseguono una qualifica professionale, sia di inserirsi nel
mondo del lavoro, sia di proseguire nel percorso formativo, verso il conseguimento
di un diploma professionale, e successivamente verso la FP superiore e verso
l’Istruzione universitaria. Pertanto viene riconosciuto che obiettivo della FPI non è
solo la formaz. del lavoratore, ma anche la formaz. della persona, nei suoi vari
aspetti, culturali, civili e sociali. Con la L. 53/03 possono accedere alla FPI i gio-
vani che hanno superato l’esame di Stato al termine del primo ciclo. I corsi assu-
mono durata triennale, e si concludono con il rilascio, da parte delle Regioni, di
una qualifica professionale, che consente ai giovani di inserirsi nel mondo del
lavoro, oppure di proseguire nel percorso formativo con un ulteriore quarto anno,
attraverso il quale si consegue il diploma professionale. Sono previste misure di
accompagnamento ( orientamento, ecc.), personalizzazione, stage e
tirocini. Infine, viene superato il principio di una programmazione annuale delle
attività formative, a favore di un maggior consolidamento dell’offerta formativa
sul territorio.
Bibl.: CNEL, Libro Bianco sulla Formazione Professionale, Roma, CNEL, 1991; COMMISSIONE
EUROPEA, Insegnare e apprendere verso la società della conoscenza, Lussemburgo, Commissione
europea, 1996; ALLULLI G. - P. BOTTA, Inclusione ed esclusione: ritratto di una generazione di
giovani alle soglie del 2000, Milano, Franco Angeli, 1999; ISFOL, Obbligo Formativo: l’avvio del-
le sperimentazioni della formazione di base, Milano, Franco Angeli, 2001; NICOLI D., Il nuovo
sistema di formazione professionale, in “Professionalità”, 61 (2001), 22-31; BUSI M. - F. MAN-
FREDDA - O. TURRINI (Edd.), Quale percorso per la riforma?, inserto in “Professionalità”, 75 (2003),
I-XXXVIII.
G. Allulli
FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE
Intervento formativo destinato ai giovani che hanno terminato la FPI oppure il
percorso liceale e che intendono acquisire competenze di base e tecnico profes-
sionali più elevate che consentano loro di inserirsi nel mondo del lavoro come tec-
nici di livello superiore. Si conclude con l’attribuzione di un diploma professionale
superiore.
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1. In Italia il concetto di FPs. è stato tradizionalmente assimilato a quello di formaz.
universitaria. Dopo il diploma di maturità non esisteva in pratica, per i giovani che
volevano acquisire una preparazione professionale, una alternativa ai corsi universi-
tari di laurea o di diploma. L’unica alternativa possibile erano i cosiddetti corsi di
secondo livello, ovvero corsi brevi, della durata di 600/800 ore, programmati dalle
Regioni e destinati ai giovani in possesso di qualifica professionale o di diploma
secondario. L’esigenza di un percorso professionale di livello superiore ma non
universitario, che preparasse i cosiddetti lavoratori della conoscenza, ovvero i tec-
nici superiori, ha portato alla creazione del sistema FIS (Formazione Integrata Supe-
riore), che comprende sia i corsi di secondo livello organizzati dalle Regioni, sia i
corsi dell’Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS). La FIS si colloca nel
sistema formativo italiano nel segmento dell’istruzione e formaz. post-secondaria.
In particolare, attraverso l’istituzione dell’IFTS viene creata una nuova tipologia di
offerta, il cui obiettivo prioritario è quello di formare figure di tecnici e di profes-
sionisti che possano operare nelle imprese e nella pubblica amministrazione, in
particolare in quei settori della produzione e dei servizi che sono caratterizzati da
una elevata complessità tecnologica e organizzativa. Inoltre si vuole colmare una
carenza di offerta formativa a livello post-secondario, che costituiva finora uno dei
motivi dell’accesso di massa all’Università e del successivo abbandono.
2. La durata prevista per questi corsi va da 1.200 a 2.400 ore (uno o due anni), e alla
loro realizzazione devono concorrere scuola, università, FP e impresa. Inoltre, a
questo percorso, che prevede una quota minima (il 30%) di ore da dedicare alle atti-
vità di stage, possono accedere sia giovani che adulti, anche occupati; i corsi IFTS
rilasciano, oltre all’attestato di qualifica finale, dei crediti che possono essere
spesi all’interno dell’Università. L’istituzione di questo nuovo percorso si prefigge
dunque di facilitare l’inserimento professionale dei giovani, offrendo una
formaz. fortemente professionalizzante di alto profilo tecnologico, adeguata ai fab-
bisogni formativi delle imprese. La L. 53/03 prevede che il segmento della FPs. si
collochi, in modo organico, al termine dei percorsi dell’istruzione e FP di durata
almeno quadriennale. La stessa legge prevede che a questo segmento possano acce-
dere i giovani che ottengono l’ammissione al V anno dei Licei. Al tempo stesso,
dall’analisi dei primi anni di attuazione dell’IFTS emerge la necessità di predisporre
un’offerta più solida, in grado di presentare percorsi organizzati in una prospettiva
temporale più ampia, e non solamente su base annuale.
Bibl.: BUTERA F. - E. DONATI - R. CESARIA, I lavoratori della conoscenza. Quadri, middle manager e
alte professionalità tra professione ed organizzazione, Milano, Franco Angeli, 1997; D’ARCANGELO
A., La formazione per l’occupazione e le esperienze scuola/lavoro, in “Proiezioni”, 3-4 (1998),
18-20; OCSE, Esame delle politiche nazionali dell’istruzione. Italia, Roma, Armando Editore, 1998;
LAMOURE J., Les formations technologiques et professionnelles supérieurs, in “Cahiers Français.
La Documentation Française”, 285 (1998), 12-14; ISFOL, Nuovi bisogni di professionalità e inno-
vazione del sistema formativo italiano. La formazione integrata superiore, Milano, Franco Angeli,
2000.
G. Allulli
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FORMAZIONE PROFESSIONALE: SVILUPPO STORICO
D’accordo con il carattere della presente pubblicazione, questa “parola” si limita
all’ambito dell’età moderna e contemporanea, dando uno spazio privilegiato alle
realizzazioni italiane, con un veloce accenno ai precedenti. Ma anche in tali settori
si dovrà procedere per rapidi cenni, scegliendo alcuni orientamenti e fatti
significativi allo scopo di chiarire le origini e il significato della FP oggi.
1. I precedenti. La storia della FP in Occidente affonda le radici nelle forme di
apprendistato e avviamento al lavoro nella bottega artigiana dell’antica Roma.
Si deve dire tuttavia che i romani (e prima ancora i greci) “non avevano idea di una
distinzione tra l’arte (nel senso odierno) e i mestieri artigiani, e dunque tra l’artista e
l’artigiano” (Frasca, 1994, 6). Va ricordato, d’altra parte, il merito del cristianesimo
nel recuperare il valore etico e religioso del lavoro, anche manuale. Basti richiamare
il motto ora et labora che scandisce la vita di molti monasteri fin dall’Alto Me-
dioevo. Nel contesto dei cambiamenti socio-economici che si verificano in Europa a
partire dal sec. XIII, sorge un altro tipo d’istituzione: la scuola per i mercanti. Con-
temporaneamente, nelle nuove città ha luogo una vera esplosione di mestieri. Il
Livre des métiers (1268 ca.) elenca 130 mestieri manuali esercitati a Parigi. Gli arti-
giani che li esercitano si organizzano in corporazioni allo scopo di difendere i propri
diritti e privilegi. All’interno di ogni corporazione si configurano due livelli: i mae-
stri e gli apprendisti. In un secondo momento, è introdotto un grado intermedio: gli
ufficiali. Molto presto viene espressa l’esigenza di un periodo di tirocinio prima
di poter praticare la propria attività. Il futuro artigiano riceve la preparazione tecnica
e viene iniziato ai “segreti del mestiere” attraverso un prolungato contatto con un
“maestro” nell’officina e nella casa. Il ragazzo – solo o in piccoli gruppi – comincia
l’apprendistato tra i dodici e i quattordici anni e diventa ufficiale verso i diciotto o i
vent’anni. Dopo due anni di esercizio del mestiere diventa maestro, mediante la
realizzazione, appunto, di un’opera “maestra”.
2. Scuole di arti e mestieri nell’età moderna. Nei sec. XVII-XVIII le corporazioni
declinano. L’incipiente “rivoluzione industriale” comporta altre forme di lavoro e
modi differenti di organizzarsi tra i lavoratori. In contesti e con obiettivi diversi
sorgono nuove iniziative: le scuole per apprendisti dei Fratelli delle Scuole Cri-
stiane con un “programma tecnico-pratico”; le scuole di fabbrica in Inghilterra; le
case di lavoro durante il Pietismo in Germania; pur con lentezze, ripensamenti e
ambiguità, i primi ordinamenti scolastici con qualche attenzione al tema della pre-
parazione al lavoro. Nel 1780, il francese duca de La Rochefoucauld-Liancourt
concepisce “il progetto di una scuola che offrirebbe l’insegnamento elementare e
un sapere tecnico secondo il modello delle scuole di fabbrica che egli aveva visi-
tato durante un suo viaggio in Inghilterra” (Day, 1991, 114). L’École des Métiers
inizia la sua attività nel 1789 (lettura, scrittura, calcolo, esercizi militari, e prepara-
zione pratica a diversi mestieri: sarto, calzolaio, carpentiere, fabbro ferraio). Un
decreto di Napoleone (1803) trasforma detto centro in École d’Arts e Métiers per
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la formaz. di operai qualificati, trasferita nel 1806 a Châlons-sur-Marne (Cham-
pagne). Poco dopo è creata una scuola di arti e mestieri ad Angers. I responsabili
costatano la difficoltà che derivava dalla necessaria “associazione della teoria e
della pratica, della classe e del laboratorio”. (E sarà questo uno dei temi ricorrenti
anche in realizzazioni contemporanee). Dagli anni trenta del sec. XIX, diventa
maggiore l’interesse da parte dello Stato per la formaz. dei quadri per l’industria;
ma le realizzazioni più significative sono opera dell’iniziativa privata e delle auto-
rità comunali. La legge sulle Écoles manuelles d’apprentissage (1880) costituì il
primo tentativo di raggruppare tale formaz. sotto la tutela statale. I programmi do-
vevano essere approvati dal Ministero dell’Istruzione e da quello dell’Agricoltura
e del Commercio. L’intesa, nella pratica, non sempre riuscì facile. Nel 1919, la
L. Astier completò il quadro dell’insegnamento tecnico industriale e commerciale,
il cui scopo era “lo studio teorico e pratico delle scienze e delle arti o mestieri in
vista dell’industria e del commercio” (art. 1). L’impianto generale si mantenne so-
stanzialmente inalterato fino alla seconda guerra mondiale. Le esperienze e le nor-
mative legali francesi ebbero notevole influsso in altri Paesi europei e americani.
3. Dalle scuole speciali ai corsi di FP in Italia. Gli stimoli arrivati dalla Francia
trovano echi nelle pubblicazioni periodiche come il “Giornale della Società d’Istruz.
e d’Educ.”. Vi sono anche frequenti riferimenti ad esperienze belghe, inglesi e tede-
sche. Le realizzazioni attuate nella penisola italiana non sono però semplice replica
di quelle d’Oltralpe. L’Albergo di Virtù fu creato già nel sec. XVI per accogliere
giovani poveri “a fine di far loro insegnare le arti”. Nel 1797, l’Opera della Mendi-
cità Istruita (fondata nel 1776 a Torino), oltre “il ben vivere, il leggere, lo scrivere,
gli elementi di aritmetica”, si proponeva di offrire ai ricoverati “l’avviamento alle
arti”. Nel 1838, viene promossa a Milano una Società d’incoraggiamento per le arti
e i mestieri. L’incontro tra istruz. e lavoro è presente inoltre nelle iniziative dei
fondatori di istituti religiosi, maschili e femminili (fratelli Cavanis, L. Pavoni, B.
Capitanio, L. Murialdo, G. Bosco). Le prime disposizioni legali sulle “scuole ele-
mentari tecniche” si trovano nel Regolamento del Regno Lombardo-Veneto (1818);
in Piemonte la L. Boncompagni (1848) segnala che le “scuole speciali [...] prepa-
rano all’esercizio delle professioni per le quali non è destinato alcuno speciale inse-
gnamento nelle università” (art. 4). La L. Casati (1859) si occupa dell’istruzione
tecnica (articolata in due livelli: “scuole tecniche” e “istituti tecnici”), precisando
che “ha per fine di dare ai giovani che intendono dedicarsi a determinate carriere
del pubblico servizio, alle industrie, ai commerci ed alla condotta delle cose agrarie,
la conveniente cultura generale e speciale” (art. 272). Il passaggio, nel 1861, al Mi-
nistero dell’Agricoltura, Industria e Commercio non ne facilitò lo sviluppo. Ancora
alla fine del sec. si denunciava l’incapacità delle scuole tecniche a “dare un me-
stiere” (Soldani, 1981, 110). Di fatto, l’istruzione professionale, regolata da una L.
del 1878, ebbe la sua data di nascita legale nelle disposizioni emanate fra il 1879 e
1880 dalle circolari dei ministri Cairoli e Miceli. Pur con difficoltà, essa acquistò
progressivamente il riconoscimento di “scuola secondaria”, passando nel 1931 sotto
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le dipendenze del MPI. La FP, come “sistema formativo extrascolastico”, ebbe
invece inizio dopo la seconda guerra mondiale, favorita da due fatti: l’urgenza di
preparare manodopera per la ricostruzione, e l’inadeguatezza del sistema scolastico
nel dare una risposta al nuovo tipo di domanda formativa espressa dal mondo del
lavoro. Il settore fu disciplinato nel 1949 dalla L. 264. Detta legge riceve poi modi-
fiche e integrazioni negli anni successivi (1950-1970), che non costituiscono tuttavia
un sistema organico di regolamentazione del settore. A tali carenze legislative, il
Ministero del Lavoro ha supplito con circolari annuali, dando norme organizzative e
amministrative (De Falchi, 1992, 9426-28).
4. Nuovi orientamenti ed esperienze. Nel 1972, le competenze in materia di FP
sono state trasferite alle Regioni (con D.P.R. 10, del 5 gennaio) e nel 1978 venne
approvata la L. quadro in materia di FP (L. 845/78). I soggetti coinvolti nella
legge sono: il Ministero del Lavoro (con ruolo di coordinamento), le Regioni, gli
enti pubblici e privati. Frattanto, si erano consolidate esperienze significative
(nel 1977, ad es., iniziava le sue attività nella promozione del mondo del lavoro
giovanile il CNOS-FAP). Nella recente L. delega Moratti (L. 53/03), è introdotto
un percorso graduale e continuo di FP dai 14 ai 21 anni; e le “istituzioni scola-
stiche, nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro, possono collegarsi con il sistema
dell’istruzione e della FP ed assicurare, a domanda degli interessati e d’intesa con
le Regioni, la frequenza negli istituti d’istruzione e FP di corsi integrati che preve-
dano piani di studio progettati d’intesa fra i due sistemi” (art. 4). Tali proposte si
trovano in sintonia con gli ordinamenti di altri Paesi della UE, in cui il sottosi-
stema della FP è considerato di pari dignità rispetto alla scuola.
Bibl.: CHARMASSON Th. (Ed.), L’enseignement de la Révolution à nos jours, Paris, Economica,
1987; DE FALCHI F., “Professionale, formazione”, in M. LAENG (Ed.), Enciclopedia pedagogica, vol.
V, Brescia, La Scuola, 1992, 9426-9433; FRASCA R., Mestieri e professioni a Roma. Una storia del-
l’educazione, Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1994; HAZON F., Storia della formazione tecnica e
professionale in Italia, Roma, Armando, 1991; NANNI C., La riforma della scuola. Le idee, le leggi,
Roma, LAS, 2003; PRELLEZO J.M - R. LANFRANCHI, Educazione e pedagogia nei solchi della storia,
3. Voll, Torino, SEI, 2001; SOLDANI S., L’istruzione tecnica nell’Italia liberale, in “Studi Storici” 22
(1981)1, 110.
J. M. Prellezo
GENITORI
Famiglia; Processo formativo; Sistema formativo; Accoglienza;
CFP; Comunità educativo formativa; Contratto formativo; Educazione
GIOVANI
Destinatari; Minori; FPI; FP superiore; Apprendistato; Alternanza
formazione lavoro; Don Bosco e la FP; Sistema preventivo; Spiritualità
dell’operatore; Ispirazione cristiana della FP; Sviluppo professionale; Va-
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lori professionali; Orientamento; Riforma educativa; Sicurezza sul lavoro;
Svantaggio sociale; Abbandono; Finanziamenti per la FP
GLOBALIZZAZIONE
Nuove tecnologie; Economia e formazione; Educazione; Identità;
Spiritualità dell’operatore; Contratti; Riforma educativa
HANDICAP E FP
Il termine h. si riferisce a un ostacolo che impedisce di raggiungere uno scopo. Nel
sociale connota un disagio che pone al disabile la difficoltà di integrarsi nella
società e nel mondo del lavoro. Egli perciò ha bisogno di una scuola formativa
che tenga conto delle diverse capacità e/o esigenze, in modo da essere inserito
in classi comuni o in corsi specifici o pre-lavorativi. Perché il disabile venga orien-
tato ad un lavoro mirato si devono prevedere interventi mirati e formaz. speci-
fica. A tale scopo, i formatori ( tutor, coordinatori di processo, progettisti, coor-
dinatori di attività di integrazione, orientatori, valutatori dei processi formativi) de-
vono mantenere stretti collegamenti con i Servizi per l’impiego delle Province,
al fine di garantire l’articolazione dell’offerta formativa in termini di duttilità tra
domanda e offerta.
1. Un progetto mirato (L. 485/78: art. 3, comma l) e m); e art. 8, comma g) e h)
prevede l’inserimento del disabile nei corsi formativi ordinari e garantisce a coloro
che non sono in grado di avvalersi dei metodi di apprendimento normali l’ac-
quisizione di una qualifica professionale anche mediante attività specifiche nel-
l’ambito di quelle programmate, orientandoli con piani educativi individualizzati
durante l’iter formativo, e perseguendo obiettivi di sbocco in nuovi profili pro-
fessionali, mediante percorsi diversificati. La FP perciò programma interventi
formativi, valutazione e monitoraggio continuo, bilancio e riconoscimento
delle competenze sviluppate, sostegno e accompagnamento durante
la formaz. e il tirocinio, attenzione al ruolo dei formatori e dei tutor,
sostegno alle famiglie.
2. Ogni apprendimento per attività lavorativa è ben impostato se avviene a stretto
contatto con la realtà, le motivazioni, le difficoltà, le gratificazioni e le frustra-
zioni che da essa possono derivargli. Le distinzioni tra momento preparatorio al la-
voro (FP) e attività lavorativa vanno relazionate per essere nella vita comunitaria
occasioni di successivi momenti di maturazione. Gli interventi per l’inserimento
lavorativo ( accompagnamento al lavoro) nel contesto della FP oggi si avvantag-
giano di esperienze e scambi tra Paesi europei che ne facilitano le possibilità e mi-
gliorano la preparazione degli operatori. Con un’azione pedagogica centrata sulla
persona e con attività operativo-pratiche, si orienta l’integrazione facendo recupe-
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rare autonomia e protagonismo. Si realizza più facilmente l’integrazione lavorativa
quando è adeguata “la formazione degli operatori impegnati a vario titolo nel so-
stegno alle famiglie, nell’integrazione e nell’accompagnamento negli ambienti di
lavoro” (Causin - De Pieri, 1999, 17). Questo è possibile oggi anche per l’affer-
marsi di nuove tecnologie e per una diversa organizzazione del lavoro. Ad
esempio, il Progetto Horizon aiuta persone affette da specifiche difficoltà; il tele-
lavoro diventa possibile in casi di non facile spostamento.
3. Perciò la nuova frontiera della FP sviluppa nel disabile autonomia, professio-
nalità, capacità di partecipazione alla vita comune, valorizzazione delle potenzia-
lità e competenze, interazione coi possibili ambiti lavorativi, orientamento
vocazionale. Questi sono i pilastri degli interventi delle fasi della preparazione e
dell’inserimento nel mondo del lavoro.
Bibl.: VAN LOOY L. - G. MALIZIA (Edd.), Formazione professionale salesiana. Proposta in una pro-
spettiva multidisciplinare, Roma, LAS, 1997; CAUSIN P.- S. DE PIERI (Edd.), Disabili e società.
L’integrazione socio-lavorativa in prospettiva europea, Milano, Franco Angeli, 1999; BARAVELLI
F., Handicap formazione professionale-lavoro in Emilia Romagna. Analisi comparata delle
ricerche 1972-1985, Bologna, Tipografia Moderna, 1999; ANTINORI F. et al., Autonomia, forma-
zione e inserimento lavorativo dei disabili, Padova, CLEUP 2000; DELLE CHIAIE M.C., Disabilità e
garanzie sociali. Integrazione e opportunità della persona disabile, Roma, Ed. Interculturali, 2002.
G. Morante
IDENTITÀ
Il termine i., entrato ormai nel linguaggio comune, è carico di significati ed è
utilizzato nei contesti più diversi: in ambito teologico, psicologico, sociologico,
antropologico-culturale, religioso. La problematica dell’i. costituisce il punto di
incontro di numerose discipline (Sciolla, 1983). Storicamente affrontato dapprima
in filosofia, da alcuni decenni il concetto viene utilizzato da altre scienze
umane, in particolare dalla sociologia e psicologia con l’effetto di una notevole
disparità di definizioni.
1. In ambito psicologico, i significati del termine si sovrappongono o contrappon-
gono con facilità, sicché “individuazione”, “sentimento di i.”, “Sé”, “sistema di
Sé” sono considerati concetti intercambiabili con quello di i. L’i. racchiude in sé
concetti diversi, come continuità e sviluppo, stabilità e cambiamento, uguaglianza
e diversità, identificazione e differenziazione, fedeltà alle tradizioni e apertura al-
l’innovazione, maturazione personale e sociale. In tal senso, è un concetto multi-
dimensionale e complesso, sia sotto il profilo teorico che in riferimento al con-
testo culturale in continuo mutamento. Sono molteplici gli aspetti e le dimensioni
che la connotano, tuttavia muovendosi sul terreno del senso comune, si pensa
all’i. come alla consapevolezza di essere se stessi, pur attraverso le molteplici tra-
sformazioni che si sperimentano nel tempo e nelle diverse situazioni o relazioni
sociali, o anche a quell’esperienza vissuta globale e coerente di sé che dà senso e
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unità interiore. L’i. si configura innanzitutto come “i. personale” e indica ciò in
base a cui l’individuo sente di esistere come persona, si sente accettato e ricono-
sciuto come tale dagli altri, dal suo gruppo o dalla sua cultura di appartenenza. È
il risultato di due percezioni simultanee: la percezione immediata della propria
ipseità (auto-identificazione) e della continuità della propria esistenza nel tempo;
la percezione simultanea del fatto che gli altri riconoscano tale ipseità e continuità
(Erikson, 1974, 58).
2. L’i. non è “data fin dall’inizio”, ma rappresenta il risultato laborioso di una storia
personale, che si è costruita a partire dall’elaborazione – all’interno della trama di
relazioni interpersonali e d’interazioni con l’ ambiente – dell’incidenza dei mo-
delli culturali e delle differenti esperienze di vita. Perché l’i. possa manifestarsi, è
necessario che l’uomo percepisca se stesso come un tutto unitario e impari a rico-
noscere la propria separata diversità di individuo (processo di individuazione) in un
continuo “separarsi da” e “riconoscersi in”, riconoscersi uguale a se stesso e di-
verso dagli altri. Ciascuno trova la conferma o dis-conferma della propria i. nell’in-
contro/confronto con gli altri, persone, gruppi, ambiente, cultura. Per svilupparsi
armoniosamente nella propria i., ha bisogno di essere strutturato contemporanea-
mente dalle proprie appartenenze sociali, territoriali, etniche, linguistiche, culturali
e religiose, deve essere capace di assumere le proprie “i. collettive”, integrandole
nell’insieme e dando loro un senso (Del Core, 2000, 206).
3. Si parla anche di “i. sociale”, “i. culturale ed etnica”, “i. vocazionale e professio-
nale” che non sono altro che delle varianti o delle componenti dell’“i. personale”.
L’i. e la sua formaz., nel contesto attuale di globalizzazione, è diventata molto più
problematica, non solo per le nuove generazioni, ma anche per la convivenza delle
generazioni adulte il cui compito di trasmissione culturale si fa sempre più difficile
e complesso.
Bibl.: ERIKSON E.H., Gioventù e crisi d’identità, Roma, Armando, 1974; SCIOLLA L. (Ed.), Identità,
Torino, Rosemberg & Sellier 1983; DI CRISTOFORO LONGO G., Identità e cultura. Per un’antropologia
della reciprocità, Roma, Ed. Studium, 1993; DEL CORE P., Identità e alterità. Fondamenti dinamici
della reciprocità e percorsi maturativi, in “Rivista di Scienze dell’Educazione” 38 (2000)2, 201-234;
DEL CORE P. - A.M. PORTA (Edd.), Identità, cultura e vocazione. Quale futuro per la formazione in
Europa?, Roma, LAS, 2002.
G. Del Core
IMMIGRAZIONE
Educazione interculturale
IMPRESA
Nel linguaggio comune, erroneamente, si tende a considerare i. e azienda come sino-
nimi. Giuridicamente, invece, sono termini con significati diversi. Il Codice civile
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non definisce l’i., ma l’imprenditore: chi “esercita professionalmente un’attività eco-
nomica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”
(art. 2082). Di conseguenza l’i. è definibile come un’attività economica organizzata
al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi. Il Codice civile defi-
nisce, invece, l’azienda come “il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore
per l’esercizio dell’impresa” (art. 2555). L’azienda è quindi l’insieme degli strumenti
utilizzati per svolgere l’attività imprenditoriale.
Ogni anno nascono in Italia più di 300.000 nuove i. e il saldo tra le nuove i. iscritte e
quelle cancellate nel registro tenuto dalle Camere di Commercio risulta positivo, tanto
che lo sviluppo delle attività imprenditoriali è generalmente considerato come uno dei
modi per riuscire a debellare i grandi numeri della disoccupazione. Per questo, negli
ultimi anni, si sono intensificati gli interventi a sostegno della creazione d’i.: a) inter-
venti di natura finanziaria, cfr. in particolare la L. 44/86 e successive modificazioni,
la L. 236/93, entrambe gestite dalla Società per l’Imprenditorialità Giovanile (IG), e
la L. 215/92 sulla IG; a queste si aggiungono numerosissimi provvedimenti regiona-
li; b) interventi di formaz.: le Regioni inseriscono nei loro piani di formaz. corsi de-
dicati all’imprenditorialità; analogamente le Camere di Commercio offrono corsi di
preparazione alla creazione d’i.; nelle scuole superiori sono inseriti programmi di
simulazione della creazione d’i. (come il progetto IG studenti); c) interventi di assi-
stenza tecnica, per supportare la nascita della nuova imprenditorialità. Per la gestione
degli aiuti connessi ai finanziamenti, lo Stato opera attraverso la IG. La IG, che fa
capo al Ministero del Tesoro, svolge tutte le funzioni e i compiti necessari per soste-
nere l’intero processo di creazione di i., inoltre promuove e finanzia anche forme di
lavoro autonomo attraverso il “prestito d’onore”. Da menzionare anche l’attività
dei BIC (Business Innovation Center), che hanno la mission di sviluppare la cultura
imprenditoriale e stimolare la creazione di nuove i. I BIC, promossi dalla Commis-
sione Europea, Direzione Generale Politica Regionale, sono istituiti in molte Regio-
ni con la formula della S.p.A. Molte anche le iniziative di assistenza promosse da
enti locali. In molti Comuni, ad es., è stata attivata la costituzione del cosiddetto
sportello unico, un ufficio apposito al quale ci si può rivolgere per espletare tutte le
pratiche burocratiche accessorie necessarie per iniziare una nuova attività senza
doversi perdere nei meandri della pubblica amministrazione. Da menzionare, infine,
le numerose iniziative di accompagnamento alla imprenditorialità realizzate
all’interno di progetti integrati di formaz. o da parte di strutture orientative.
Bibl.: ASSEFOR, Il neo-imprenditore: manuale operativo per mettersi in proprio, Rimini, Assefor,
1991; DE BENEDETTIS A. - G. MINGOLLA - A. SCACCHERI (Edd.), Come fare un business plan, Milano,
Franco Angeli, 1993; ELVY B.H., Mettersi in proprio senza capitali: 100 nuove idee e opportunità,
come valutarle e selezionarle, Milano, Franco Angeli, 1994; SOCIETÀ PER L’IMPRENDITORIALITÀ
GIOVANILE, Vademecum per l’imprenditore: dal sogno all’idea imprenditoriale, Roma, Società per
l’imprenditorialità giovanile, 1995; ABELL F. D., Strategia duale: dominare il presente, anticipare
il futuro, Milano, Il Sole 24 ore media & impresa, 1997; REGIONE TOSCANA. DIPARTIMENTO DELLE
POLITICHE SOCIALI E DEL LAVORO, Come creare la propria attività e la propria impresa: guida alle
iniziative locali, Firenze, Ed. Toscana, 1999.
F. Ghergo
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INDICATORI DI QUALITÀ
Competenza
INDIVIDUALIZZAZIONE
Personalizzazione; Esclusione sociale
INFORMAZIONE
Nuove tecnologie; European Computer Driving Licence; Conoscenze;
Comunità educativo formativa
INSEGNAMENTO
Attività sociale diretta alla diffusione di conoscenze, abilità, atteggiamenti e
valori negli altri per mezzo di opportuni sistemi di rappresentazione e di comu-
nicazione.
Dal latino insignare, imprimere segni, il termine è stato ben presto utilizzato per in-
dicare la rappresentazione delle informazioni e delle conoscenze in signo sensibile,
cioè secondo un sistema di segni sensibili (in signo ponere). D’altra parte insignare
significa anche indicare, far segno.
1. L’azione di i. può, quindi, essere considerata sia come azione che mira a rendere
sensibili, percepibili le conoscenze, le abilità, le competenze, i valori che si in-
tendono proporre all’azione di apprendimento degli allievi, sia come indica-
zione del loro significato, del loro grado di plausibilità e del loro valore soggettivo
e collettivo. Oggi si insiste sul ruolo della pratica di i. come facilitazione dell’ap-
prendimento: l’i. è considerato come l’attività sociale che consiste nel creare le
condizioni nelle quali i soggetti possano e vogliano apprendere quanto è loro pro-
posto. La scienza che studia tale attività sociale è chiamata “didattica”, dal greco
didaskein (insegnare).
2. Insegnare validamente ed efficacemente è un compito assai complesso. Esso
implica non solo una conoscenza approfondita e consapevole di quanto è oggetto
di proposta di apprendimento, bensì anche la capacità di rappresentarlo e co-
municarlo efficacemente agli interlocutori, una sensibilità alle esigenze e diffi-
coltà di apprenderlo da parte loro, un senso di responsabilità e coinvolgimento
personale nell’impegno didattico. La storia passata e le testimonianze contempo-
ranee circa le pratiche di i. messe in atto e risultate valide ed efficaci permettono
di individuare un insieme di buone pratiche (meno felicemente dette buone
prassi), che costituiscono modelli a cui fare riferimento per progettare e realiz-
zare nuove attività formative. Nel contesto di questi modelli sono state suggerite
alcune tecniche che sembrano favorire in maniera particolare l’apprendimento
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da parte di diverse tipologie di interlocutori. Tra queste tecniche merita ricordare
un particolare suggerimento: articolare i percorsi formativi secondo unità didat-
tiche o formative opportunamente strutturate. Si preferisce, spesso, usare l’e-
spressione unità di apprendimento per sottolinearne il criterio organizzativo, che
fa riferimento non tanto a quanto fa o deve fare l’insegnante, quanto a ciò che
deve essere fatto da parte di ogni studente, o allievo, come suo specifico appren-
dimento. Un’unità di questo tipo implica: a) che sia sufficientemente evidente
l’ obiettivo, o l’insieme degli obiettivi, che si intende raggiungere; b) che siano
esplicitate le conoscenze e le abilità prerequisite; c) che siano chiari e validi sia
i contenuti da proporre, sia la metodologia adottata, sia le modalità di valu-
tazione.
3. Tra le metodologie da valorizzare, in particolare nei processi formativi, vanno
segnalate quelle che favoriscono lo sviluppo della capacità di autoregolazione
nell’apprendimento e di collaborazione tra gli allievi. Per promuovere la capacità
di autoregolazione viene spesso indicata come buona pratica una metodologia
nella quale l’insegnante assume il ruolo di mentore, cioè di guida e sostegno allo
sviluppo di progetti personali di apprendimento e alla capacità di auto-diri-
gersi nella loro realizzazione e valutazione (mentoring). Quanto alla capacità di
collaborare nei processi di studio sono abbastanza diffuse forme e tecniche di ap-
prendimento collaborativo o cooperativo (cooperative learning), che tengono
conto anche di obiettivi a valenza sociale, oltre che culturale e professionale.
Bibl.: DAMIANO E., L’azione didattica, Roma, Armando, 1993; GORDON T., Insegnanti efficaci,
Firenze, Giunti e Lisciani, 1996; PERRENOUD P., Enseigner, agir dans l’urgence, décider dans l’incer-
titude, Paris, ESF, 1996; ID., Dix nouvelles compétences pour enseigner, Paris, ESF, 1999; BORICH
G.D., Effective Teaching Methods, Columbus (Ohio), Merrill, 2000; MEAZZINI P., L’insegnante di
qualità, Firenze, Giunti, 2000.
M. Pellerey
INSEGNAMENTO A DISTANZA
Formazione a distanza
INSEGNAMENTO SOCIALE DELLA CHIESA
1. Origine e sviluppo. L’ISC “trova la sua sorgente nella Sacra Scrittura, a comin-
ciare dal libro della Genesi e, in particolare, nel Vangelo e negli scritti apostolici.
Essa appartenne fin dall’inizio all’insegnamento della Chiesa stessa, alla sua con-
cezione dell’uomo e della vita sociale e, specialmente, alla morale sociale elabo-
rata secondo le necessità delle varie epoche” (Laborem exercens n. 3). Ha, tuttavia,
avuto una fioritura particolarmente rigogliosa in concomitanza all’insorgenza della
rivoluzione industriale. In ragione del fatto che i documenti successivi alla Rerum
novarum di Leone XIII sono stati promulgati in continuità tra loro, si è gradual-
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mente costituito un corpus dottrinale aggiornato (cfr. Sollicitudo rei socialis, n. 1),
abbastanza organico. Esso è sostanziato da principi di riflessione, criteri di giu-
dizio, orientamenti pratici.
Le ragioni dello sviluppo dell’ISC sono molteplici. È da tener presente sia l’ur-
genza e la novità dei problemi legati alla suddetta rivoluzione industriale animata
in senso liberista, sia la preoccupazione pastorale dei pontefici di offrire ai catto-
lici (e non solo a loro) punti di riferimento e di orientamento etico-culturale per la
loro azione, in vista della soluzione della questione sociale secondo l’ispirazione
cristiana, partendo cioè dalla lettura degli avvenimenti alla luce del Vangelo e della
Tradizione.
2. Natura. È con la Gaudium et spes, preceduta dalla Mater et magistra, in un con-
testo socio-culturale sensibilmente mutato ed ampiamente secolarizzato, che l’ISC,
grazie ad un’ecclesiologia della comunione, della missione e del servizio, assume
più apertamente ed autorevolmente la sua formalità di sapere teologico teorico-
pratico. Ciò è avvenuto non in contrapposizione o in alternativa alla precedente
strutturazione, prevalentemente filosofica, ma riequilibrandola e ricomprendendola
in una formalità superiore, quella teologica, peraltro esigita connaturalmente e ne-
cessariamente dall’origine ecclesiale ed apostolica dello stesso ISC. Così rigoriz-
zato, l’ISC appare chiaramente espressione del ministero di salvezza integrale che
la Chiesa, come comunità-comunione di più componenti, è chiamata a svolgere nei
confronti di ogni uomo, di tutto l’uomo. Derivando dall’essere apostolico della
Chiesa, viene ritenuto atto a rivelare, annunciare, indicare presente e servire l’a-
zione di Dio nel sociale, avente anch’esso, come tutte le altre realtà umane, il suo
centro gravitazionale in Gesù Cristo, il nuovo Adamo, venuto per ricapitolare in sé
tutte le cose (cfr. Ef 1,3-14; Col 1,15-20).
Dopo il Concilio Vaticano II, dopo i tentativi maldestri che ideologizzavano l’ISC
o dottrina sociale della Chiesa (= DSC) scambiandolo con l’indicazione di un si-
stema sociale, dopo le critiche di alcune teologie della liberazione che ne rileva-
vano la tendenza a snaturare il cristianesimo e ad immanentizzare la salvezza, Gio-
vanni Paolo II afferma testualmente: “La dottrina sociale della Chiesa non è una
‘terza via’ tra capitalismo liberista e collettivismo marxista, e neppure una possi-
bile alternativa per altre soluzioni meno radicalmente contrapposte: essa costi-
tuisce una categoria a sé. Non è neppure un’ideologia, ma l’accurata formulazione
dei risultati di un’attenta riflessione sulle complesse realtà dell’esistenza del-
l’uomo, nella società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tra-
dizione ecclesiale. Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminandone
la conformità o difformità con le linee dell’insegnamento del Vangelo sull’uomo e
sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente; per orientare, quindi, il com-
portamento cristiano. Essa appartiene, perciò, non al campo dell’ideologia, ma
della teologia e specialmente della teologia morale. L’insegnamento e la diffusione
della dottrina sociale fanno parte della missione evangelizzatrice della Chiesa”
(Sollicitudo rei socialis, n. 41).
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3. Dimensione pastorale e pedagogica. Nella coscienza di Giovanni Paolo II, l’an-
nuncio della DSC o ISC è componente essenziale della nuova evangelizzazione
(cfr. Centesimus annus, n. 5). In altre parole, non può essere considerato facolta-
tivo per la comunità ecclesiale, per l’educatore alla fede e per la testimonianza. È
indispensabile dal punto di vista apostolico e pedagogico. Senza il suo apporto
non si può educare globalmente e far crescere alla fede matura né i singoli credenti
né le comunità ecclesiali e religiose; e così, non si può servire adeguatamente
l’uomo, per favorirne una promozione ed una liberazione secondo la sua vocazione
trascendente.
Data la natura interdisciplinare dell’ISC, l’uso didattico dei testi delle encicliche
e dei vari documenti sociali, compresi quelli episcopali, non può limitarsi alla di-
mensione teologico-morale, dimenticandone quella umanistica e pratico-proget-
tuale. Inoltre, non si può rinserrarne la presentazione nell’astoricità o nelle mura
scolastiche, senza evidenziarne l’intrinseco legame con il farsi della società
passata o contemporanea. Per questo, non ci si può accontentare delle varie sin-
tesi contenutistiche sull’ISC presenti nel mercato librario e dotate solo di qualche
fugace cenno storico. Tali sussidi, peraltro utili a sistematizzare un materiale a
volte frammentato e inevitabilmente segnato dalla contingenza, debbono essere
valorizzati e integrati all’interno di un metodo storico-teorico-pratico. Questo
consente di penetrare meglio nel costruirsi progressivo dell’ISC, insegnando a di-
venirne soggetti attivi e responsabili. In tal modo, non viene formata solo la co-
scienza morale, ma si perfeziona la propria sapienza teologale e pratica relativa
alla concretizzazione del bene possibile della società, senza rinunce o tradimenti
della visione cristiana della società, all’interno di una prospettiva del già e non
ancora.
Bibl.: CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti per lo studio e l’insegnamento
della dottrina sociale nella formazione sacerdotale, Bologna, EDB, 1989; CAMACHO I., Doctrina
social de la Iglesia, Madrid, Ediciones Paulinas, 1991; TOSO M., “Welfare Society”. L’apporto dei
pontefici da Leone XIII a Giovanni Paolo II, Roma, LAS, 1995; ID., Dottrina sociale oggi, Torino,
SEI, 1996; BEDOGNI G., La dottrina sociale nella formazione del cristiano adulto, Roma, Agrilavoro,
2000; TOSO M., Verso quale società? La dottrina sociale della Chiesa per una nuova progettualità,
Roma, LAS, 2000; ID., Umanesimo sociale. Viaggio nella dottrina sociale e dintorni, Roma, LAS,
2002.
I documenti sociali della Chiesa sono reperibili in ASS = Acta Sanctae Sedis (fino al 1908) e in AAS
= Acta Apostolicae Sedis (dal 1908). Una raccolta delle principali encicliche, facilmente accessibile,
è quella di I documenti sociali della Chiesa. Da Leone XIII a Giovanni Paolo II, Libreria Editrice
Vaticana, Città del Vaticano 1991.
M. Toso
INSEGNANTE
Moduli; Didattica induttiva; Insegnamento; Abbandono; Autonomia;
Riforma educativa; Valutazione
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INSERIMENTO PROFESSIONALE / LAVORATIVO
Accompagnamento al lavoro; Servizi per l’impiego; Risorse umane;
Handicap e FP; CFP; FPI; FP superiore; Personalizzazione
INTEGRAZIONE CON LA SCUOLA
FP
INTEGRAZIONE SOCIALE
Società
INTERAZIONE TRA SISTEMI
FP
INTERCULTURA
Educazione interculturale; Società; Metodologia; Diritti formativi
INTERESSI PROFESSIONALI
Orientamento
ISO 9000
Qualità; Accreditamento; Mansione
ISPIRAZIONE CRISTIANA DELLA FP
La Chiesa in Italia ha manifestato da lungo tempo una particolare attenzione alle
istituzioni che preparano i giovani al lavoro, riconoscendo ad esse una funzione
educativa e culturale che domanda molto impegno. L’i.c. infatti richiede di non in-
serire nella FP procedimenti unicamente preoccupati di promuovere e di valutare
le abilità tecniche, ma piuttosto di sviluppare l’attenzione alla totalità della per-
sona umana. L’impegno della comunità ecclesiale deve quindi farsi ancora più
attento, perché questi Centri di i.c., secondo la loro lunga e collaudata esperienza,
sempre meglio possano operare nel pieno rispetto della dignità umana e secondo un
progetto educativo valido e chiaramente ispirato all’annuncio evangelico sull’uomo,
sul lavoro, sul contesto economico in cui quest’ultimo si svolge in un’ottica di
formaz. permanente ( FP continua).
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1. Aspetti caratterizzanti l’identità della FP che si ispira ai valori cristiani.
Entrando nel merito della specificità della FP per quanto riguarda le sue finalità e
l’offerta educativa da essa proposta, si può procedere con la considerazione se-
guente. Da una parte, gli aspetti caratterizzanti la sua identità sono quelli che val-
gono per ogni tipo di istituzione educativa che si ispira ai valori cristiani (ad es. le
scuole cattoliche); dall’altra, è possibile richiamare alcuni aspetti specifici e più ca-
ratteristici di questa particolare forma educativa. Tra i primi, seguendo le indicazioni
del magistero si possono ricordare i seguenti: a) Connotazione ecclesiale: l’“eccle-
sialità della scuola cattolica è scritta nel cuore stesso della sua identità di istituzione
scolastica” (S. Congregazione per l’educazione cattolica, n. 11); essa si colloca nella
missione evangelizzatrice della Chiesa: la “Scuola Cattolica rientra nella missione
salvifica della Chiesa e particolarmente nell’esigenza dell’educazione alla fede”
(CEI, n. 9); b) Connotazione comunitaria: la “dimensione comunitaria nella scuola
cattolica non è una semplice categoria sociologica, ma ha anche un fondamento teo-
logico” (S. Congregazione per l’educazione cattolica, n. 18). Questo fondamento è
la teologia della Chiesa-comunione, espressa nella costituzione Lumen gentium.
“Elemento caratteristico [della scuola cattolica] è [quello] di dar vita ad un am-
biente comunitario scolastico permeato dello spirito evangelico di libertà e carità”
(Gravissimum educationis, n. 8); c) La qualità della proposta culturale: la ped. della
scuola cattolica si ispira ai valori evangelici. Con tale espressione si intende dire che
tutto l’agire educativo che la caratterizza ed il clima che in essa si respira devono
riflettere questa ispirazione di fondo. Nella scuola cattolica si persegue la formaz.
integrale dell’uomo. La “chiesa istituisce le proprie scuole, perché riconosce in esse
un mezzo privilegiato volto alla formaz. integrale dell’uomo: la scuola infatti è un
centro in cui si elabora e si trasmette una specifica concezione del mondo, del-
l’uomo e della storia” (S. Congregazione per l’educazione cattolica, n. 8). Più
avanti, lo stesso documento afferma: “è compito formale della scuola, in quanto isti-
tuzione educativa, rilevare la dimensione etica e religiosa della cultura, proprio allo
scopo di attivare il dinamismo spirituale del soggetto e aiutarlo a raggiungere la
libertà etica che presuppone e perfeziona quella psicologica” (S. Congregazione per
l’educazione cattolica n. 30); d) Significato sociale e civile della scuola cattolica: la
scuola cattolica è un’espressione di un diritto che tutti i cittadini hanno. La “Scuola
Cattolica è un’espressione del diritto di tutti i cittadini alla libertà di educazione, e
del corrispondente dovere di solidarietà nella costruzione della convivenza civile”
(CEI, n. 12). Con la sua presenza la scuola cattolica offre un contributo prezioso alla
realizzazione di un reale pluralismo basato sul principio di sussidiarietà. La “ca-
ratterizzazione di servizio pubblico – pur nel rigoroso rispetto della propria identità
culturale – conferisce alla Scuola Cattolica anche una connotazione sociale, che
esclude ogni scopo di lucro (CEI, n. 81). “La presenza della Chiesa nella cultura, e
quindi nel campo scolastico ed educativo, rappresenta per la storia italiana una co-
stante e un germe innegabile di promozione umana e sociale” (CEI, n. 5). Si tratta di
dimensioni che attraversano anche la FP di ispirazione cristiana la quale peraltro le
assume secondo una propria specificità che lo stesso documento La scuola cattolica
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oggi in Italia così sintetizza: “Alcuni aspetti dovranno soprattutto essere tenuti pre-
senti: l’equilibrio tra FP e formaz. umana, in una età ancora segnata dallo sviluppo;
la necessità di una fondazione scientifica, culturale ed etica della FP; l’attenzione
alle ricorrenti esigenze di ‘riconversione’, tipiche di questo settore; la proposta di
una ‘cultura del lavoro’ che sappia riesprimere alla luce del Vangelo la relazione del-
l’uomo con la macchina e la materia, nonché la problematica sociale e sindacale. A
tal fine occorre che, anche in sede di riforma legislativa della scuola secondaria su-
periore, si assicuri tutela adeguata a Centri e servizi che hanno arricchito la nostra
società e di cui il Paese ha tuttora bisogno” (CEI, n. 56). La cornice entro cui la FP
di ispirazione cristiana si colloca è quella desumibile dalla Dottrina sociale della
Chiesa ( Insegnamento sociale della Chiesa) ossia da quel magistero dottrinale che
è contenuto nelle Encicliche sociali in particolare a partire dalla Rerum novarum
(1891). Esse esprimono la coscienza storica della Chiesa in materia sociale e nello
stesso tempo individuano principi e criteri orientativi permanenti in grado di orien-
tare l’azione dei fedeli nel campo sociale, del lavoro e dell’ economia: Quadrage-
simo anno (1931), Mater et Magistra (1961), Pacem in terris (1963), Populorum
progressio (1967), Octogesima adveniens (1971), Laborem exercens (1981), Solleci-
tudi rei socialis (1987), Centesimus annus (1991). In particolare le tematiche del
rapporto tra formaz., lavoro ed economia vengono affrontate nella Laborem exer-
cens finalizzata alla lettura del lavoro quale ambito di manifestazione dell’umano e
quindi affermando l’uomo quale collaboratore del proprio ambito professionale e
non meramente oggetto dell’attività economico produttiva. L’interpretazione antro-
pologicamente ricca e innovativa del lavoro viene espressa nella Sollecitudo rei
socialis e nella Centesimus annus che sottolinea il principio della formaz. umana e
professionale di base per tutti i lavoratori e quello della compartecipazione alla
diretta gestione del proprio ambito produttivo.
2. Nuovi compiti e prospettive della FP di ispirazione cristiana. Oggi un punto
d’avvio importante è costituito dalla presa d’atto dell’importanza dell’ educ. per-
manente quale dinamica vitale dell’uomo strettamente collegata al suo processo di
progressiva personalizzazione. Si tratta dell’assieme di proposte, opportunità,
esperienze emergenti dalla società finalizzate a collaborare con l’individuo in
funzione della sua crescita personale e della sua progettazione esistenziale. In questo
contesto, la FP si presenta come una particolare proposta intesa a collaborare con la
famiglia nella educ. iniziale dei soggetti in età evolutiva e in cui vanno coniu-
gati la formaz. di base e il perfezionamento professionale. Da qui deriva la possibi-
lità di intendere la FP non come un addestramento finalizzato esclusivamente all’
insegnamento di destrezze manuali, ma come un principio pedagogico capace di ri-
spondere alle esigenze del pieno sviluppo della persona secondo un approccio speci-
fico fondato sull’esperienza reale e sulla riflessione in ordine alla prassi che per-
mette di intervenire nel processo di costruzione dell’ identità personale. In questo
senso, la FP può essere pensata anche nell’età dello sviluppo come una specifica
linea formativa capace di promuovere una formaz. integrale della persona seguendo
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un percorso metodologico e didattico proprio, distinto da quello previsto dall’istruz.
scolastica. Questa possibilità è in linea con la tradizione storica della FP di i.c. che,
attraverso molteplici esperienze di istituti religiosi maschili e femminili, ne ha sa-
puto sperimentare i concreti modelli di attuazione e i riferimenti pedagogici. Si tratta
di dar vita, fondamento e riconoscimento pubblico ad un sistema di sostegno della
FP iniziale e continua e nello stesso tempo di delinearne le strategie didattiche
adeguate. I principi pedagogici ispirativi, desumibili e coerenti con l’antropologia
cristiana, in grado di condizionare sia la concezione dell’economia che quella del la-
voro, potrebbero essere espressi nel seguente modo: a) nel mondo del lavoro si rea-
lizzano non solo attività produttive di beni e di servizi, bensì anche produzione di
cultura, maturazione di modalità di accesso individuale alla cittadinanza e consape-
volezza della propria dignità umana; b) la formaz. esclusivamente mirata alla pro-
duttività individuale ingenera distorsioni nella lettura del lavoro considerato unica-
mente in funzione del guadagno trasformando il produttore in consumatore e non in
un uomo consapevole dell’autentico valore spirituale del lavoro; c) è necessario non
perdere il riferimento al primato dello spirito, alla giusta gerarchia dei valori e alla
connessione tra i diversi aspetti delle attività umane; porre il lavoro a servizio
dell’“azione” vale a dire di quell’attività – il vivere sociale e la comprensione tra gli
uomini – che è più autenticamente e propriamente umana; l’apporto di beni e la fab-
bricazione di strumenti hanno valore non in funzione esclusiva del prolungamento
della pura sopravvivenza, ma perché permettono di affrontare la vita proponendosi
mete proporzionali alla vocazione dell’uomo “immagine e somiglianza di Dio”.
Bibl.: CEI, La scuola cattolica oggi in Italia, Roma, CEI, 1983; COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ
EUROPEE, Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente. Documento di lavoro dei servizi
della Commissione, Bruxelles, SEC (2000) 1832, 30.10.2000; ID., Realizzare uno spazio europeo del-
l’apprendimento permanente. Comunicazione della Commissione, Bruxelles, COM(2001) 678 defi-
nitivo, 21.11.2001; S. CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, La scuola cattolica alle soglie
del terzo millennio, Roma, 1999; ID., La scuola cattolica, Roma, 1977; CONSIGLIO DELL’UNIONE
EUROPEA, Gli obiettivi dei sistemi di istruzione e formazione. Relazione del 14/02/01, in “Docete”, 56
(2001) 9, 439-452; FILIPPI N., Verso una nuova concezione del lavoro, in L. SECCO (Ed.), Il rinnova-
mento scientifico nelle istituzioni del terzo millennio, Verona, Morelli editore, 2000; FONTANA F. - G.
TACCONI - M. VISENTIN, Etica e deontologia dell’operatore della FP, Roma, Tipografia Pio XI, 2003;
Il confronto europeo. Prefazione, in Obbligo scolastico e obbligo formativo. Sistema italiano e con-
fronto europeo, in “Studi e Documenti degli Annali della Pubblica Istruzione”, n. 92/93, Firenze, Le
Monnier, 2001, 134-139; MALIZIA G., Società cognitiva e politiche della formazione nell’Unione
Europea, in “ISRE”, VI (1999) 1, 28-50; TOSO M., Verso quale società. La dottrina sociale della
Chiesa per una nuova progettualità, Roma, LAS, 2002.
B. Stenco
ISTITUZIONI
Enti di FP; Istruzione e FP; Accreditamento; Autonomia; Cittadi-
nanza; Destinatari; Società; Sistema formativo; Riforma educativa;
Progettazione formativa; Parti sociali; Obbligo scolastico e formativo;
Ispirazione cristiana della FP; Educazione; FP: sviluppo storico; Capacità
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ISTRUZIONE E FP
Insieme di opportunità e di servizi volti a consentire alla persona di acquisire una
qualifica professionale e – progressivamente – un diploma di formaz. ed un
diploma di formaz. superiore. Il percorso di i. e FPI presenta carattere educa-
tivo, istituzionale, progressivo. Esso è equivalente rispetto al percorso liceale con
il quale condivide il modello regolatore (profilo educativo culturale e professio-
nale) e la possibilità di passaggi reciproci, ma dal quale risulta diversificato dal
punto di vista metodologico e del disegno delle opportunità. Il nuovo art. 117 della
Costituzione parla di “istruzione e formazione professionale” intendendo non già
un accostamento meccanico di strutture preesistenti, quanto una realtà nuova con-
cepita in stretta relazione con il territorio, le imprese, le professioni, la so-
cietà civile, nell’ambito dell’autonomia delle istituzioni scolastiche e formative. Il
sistema di i. e FP non si limita alla tradizionale FPI, ma riguarda ogni cittadino
lungo tutto il corso della sua vita.
1. Nel passato l’espressione formaz. era spesso contrapposta a quella di educ.
Mentre quest’ultima intendeva lo sforzo teso alla massima realizzazione delle po-
tenzialità umane nel rispetto della loro intrinseca unicità ed irripetibilità, la prima
prefigurava una sorta di “addomesticamento” della persona alle esigenze precosti-
tuite della realtà economica e sociale. Ora, il confine tra queste due espressioni ap-
pare molto più labile, mentre si profila tra di esse una tendenza convergente: nes-
suna educ. può esimersi dall’essere formativa, espressione che prevede “la possibi-
lità di controllare, guidare, monitorare, valutare un certo processo formativo sulla
base della sua coerenza interna, della sua rispondenza alle finalità, agli obiettivi,
alle procedure che si è deciso esso debba seguire” (Monasta, 1997, 23). Nello stesso
tempo, nessuna formaz., se è davvero rivolta alla persona, può evitare di caratteriz-
zarsi entro un quadro educativo, ovvero di valorizzazione del potenziale proprio
della stessa in riferimento al suo specifico progetto personale.
2. La natura dei percorsi di i. e FP è da rintracciare nei seguenti punti: a) nella cen-
tralità della persona all’interno dei processi che tali percorsi rendono possibili, che
significa porre il primato della risorsa umana – riferita ad una persona matura, re-
sponsabile, critica nel pensare, nel fare e nell’agire – come fondamento e condi-
zione prima per lo sviluppo sociale e quindi economico; b) nella unitarietà del sa-
pere superando la tradizionale gerarchizzazione e separazione tra theorìa e téchne,
tenendo anche conto che l’attuale scenario della società cognitiva esige un processo
circolare tra saperi, esperienze, educazioni nella prospettiva del lifelong learning;
c) nella affermazione del valore pienamente culturale e quindi educativo dei per-
corsi di i. e FP e della loro pari dignità rispetto ai percorsi liceali; d) nella afferma-
zione della priorità dei compiti/problemi e dei progetti, piuttosto che delle disci-
pline di studio, nella costruzione dei piani di studio personalizzati che mirano alla
acquisizione di competenze che consentono alla persona di svolgere un ruolo
attivo e protagonista nella realtà sociale e lavorativa.
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3. La formaz. è strettamente connessa alla struttura del lavoro intesa come am-
bito simbolico, operativo e relazionale nel quale si sviluppa l’attività umana
come dinamica di “creazione sociale”. Ciò comporta la necessità di delineare i
modi del rapporto tra formaz. e lavoro. Il lavoro, in particolare il tipo di lavoro
emergente dall’attuale dinamica sociale ed economica (che possiamo definire in
modo sintetico post-tayloristica e post-burocratica), è portatore di una “formati-
vità” implicita che va innanzitutto riconosciuta e poi valorizzata verso la mas-
sima promozione delle risorse umane. Il processo formativo non è pertanto
riconducibile ad una “forma” astratta, derivante da una codificazione delle di-
verse prassi formative entro modelli e schemi poiché non possono sostituire le di-
namiche reali del lavoro ed il loro carattere formativo implicito. La riflessione
che è propria dell’agire formativo richiede pertanto un continuo riferimento alla
forma reale del lavoro. Di conseguenza, il maggior nemico della “buona formaz.”
è il formalismo, ovvero una concezione che considera eccessivamente il modello
da applicare piuttosto che la capacità di guida inscritta nella relazione concreta
tra la persona (ovvero il suo potenziale) e il lavoro e le competenze poste in atto
in tale legame.
Bibl.: MAGGI B., La formazione: concezioni a confronto, Milano, Etas, 1991; MONASTA A., Mestiere:
progettista di formazione, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1997; BOCCA G., Pedagogia del lavoro.
Itinerari, Brescia, La Scuola, 1998; MONTEDORO C. (Ed.), Dalla pratica alla teoria per la forma-
zione: un percorso di ricerca epistemologica, Milano, Franco Angeli, 2000; NICOLI D., Il nuovo per-
corso dell’istruzione e della formazione professionale, in “Professionalità”, 75 (2003), XI-XXI.
D. Nicoli
ISTRUZIONE FORMAZIONE TECNICA SUPERIORE (IFTS)
FP superiore
KNOW HOW
Sistema produttivo; Comunità / famiglia professionale
LABORATORIO
Il l. non è una scoperta dei nostri giorni, anche se è sempre difficile paragonare la
nostra realtà con quella di alcuni secoli addietro. Il termine ha diversi significati.
Si parla di l. dei giovani, l. di storia, di psicologia, di informatica, di matematica,
ecc.
In ambito formativo, il l. è nato inizialmente interessandosi quasi esclusivamente
delle scienze sperimentali. La proposta venne dagli Stati Uniti nella prima metà
del sec. XIX. In Europa si è sviluppato, particolarmente intorno agli anni ‘60
come l. per le lingue. Un notevole impulso lo ha avuto come supporto della
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scuola attiva, che cercava di coinvolgere maggiormente le persone e renderle
attive nell’ apprendimento. Il termine richiama un ambiente provvisto di
strumenti, materiali e richiede nelle persone che lo frequentano una partecipa-
zione diretta per ricercare, sperimentare e produrre dei risultati. Oggi si parla
anche di metodo di l. usato non solo nell’ambito di processi formativi di in-
segnamento – apprendimento, ma anche in corsi e convegni per facilitare ai parte-
cipanti la possibilità di lavorare, singolarmente o in gruppo, su ipotesi e proposte
concrete mettendo a disposizione spazio, materiali e una varietà di documenta-
zioni e supporti adeguati.
In campo professionale, per l. si intende normalmente il luogo dove si apprendono
abilità manuali, costruendo oggetti, impianti, sperimentando prodotti, simulando
aspetti e fenomeni della realtà lavorativa legata alla specializzazione scelta. Il l.
come strategia didattica permette di collegare bene la costruzione del sapere ai fatti
e alle esperienze e di collegare la teoria con la pratica.
Bibl.: BANZATO M. Imparare insieme: laboratorio di didattica dell’apprendimento cooperativo,
Roma, Armando, 2002; FRABBONI F., Il laboratorio, Bari, Laterza, 2004.
N. Zanni
LAVORO
In ped., si intendono quelle attività che coinvolgono la persona nella sua totalità.
1. La cultura classica, concependolo come fatica da schiavi e negazione dell’
educ. dell’uomo “bello e buono”, lo ha definito come disumano; impostazione dif-
fusasi, attraverso l’età ellenistica e la cultura latina, fino ad oggi, penalizzando la
formaz. e l’ istruz. professionali e rendendo arduo il definirsi di una “cultura
del l.” quale percorso, paritario alla cultura “umanistica”, di piena formaz.
2. Dal punto di vista educativo, il l. è “logica in atto”, un operare sulle cose attra-
verso il ricorso al pensiero e alla riflessione, è esercizio del giudizio nel riconosci-
mento della bontà e giustezza di quanto si sta realizzando, fonte di coinvolgimento
nei processi realizzativi oltre che gestionali e decisionali dell’ impresa, forma
umana di collaborazione all’opera redentiva nella ricapitolazione di tutte le cose in
Cristo. L’introduzione del concetto di risorsa umana e di società cognitiva, ne
ha esaltato gli aspetti attinenti alla identità personale, sottolineandone i risvolti
cognitivi, di problem solving, di capacità relazionale ed autoorganizzazione
tipici delle professionalità di controllo. Si presenta come potenziale luogo di
produzione di cultura professionale oltre che forma di accesso alla cittadinanza,
pienamente contribuendo sia alla formaz. dell’uomo come al suo aggiornamento
tecnico e professionale.
3. Essendo manifestazione tipica di umanità, dovrebbe trovare spazio all’interno di
ogni itinerario di istruz. e formaz., divenendo esso stesso un percorso di formaz.
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umana; richiede altresì una peculiare attenzione nei processi di formaz. dell’iden-
tità personale, di costituzione di quadri cognitivi e di linguaggi specifici, secondo
modalità peculiari di socializzazione e di orientamento.
Bibl.: SS. GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Laborem exercens, Città del Vaticano, Libreria Edi-
trice Vaticana, 1981; ID., Lettera enciclica Centesimus annus, Città del Vaticano, Libreria Editrice
Vaticana, 1991; BOCCA G., Appunti per una diversa educazione al lavoro, in “Studium Educationis”,
4 (1998), 774-779.
G. Bocca
LIBRETTO FORMATIVO
FP
LINGUA STRANIERA
1. Ambito della disciplina. La l.s., a differenza della lingua seconda, è anche
“estranea”, lontana dall’ ambiente in cui vivono quotidianamente gli utenti della
FP. Per evitare che l’estraneità fisica si tramuti in estraneità psicologica e in
caduta della motivazione, è necessario staccare l’allievo dalla sua realtà locale
nel momento in cui studia una l.s., abbinando quest’ultima allo studio della cultura
straniera. Nelle migliori realizzazioni dell’approccio strutturalistico, nell’ inse-
gnamento veniva coinvolto un parlante nativo, che con la sua sola presenza
avrebbe dovuto condizionare l’allievo, aprirlo alla lontana realtà della cultura stra-
niera. Negli anni ‘60 e ‘70, fu invece tentata la creazione di “aule di civiltà”, che
dovevano dare allo studente la sensazione di essere nel Paese straniero. Oggi la
soluzione al problema del dépaysement, tipico di chi studia una l.s., è affidato
all’uso dei mass media attraverso la televisione satellitare e Internet.
La l.s. è articolabile nei seguenti ambiti: la l. intesa come sistema che permette di
esprimere concetti e di comunicare (aspetto fonetico-lessicale-grammaticale riferito
ai suoni, alla parola, alla frase e al testo); la l. intesa come semantica ovvero i signi-
ficati; la l. intesa come pragmatica (aspetti del registro, contesto comunicativo,
forme testuali) e, infine, la l. intesa come cultura (produzioni letterarie e artistiche e
saperi di varia natura).
2. Finalità formative della l.s. Le finalità formative da raggiungere attraverso l’
apprendimento di una l. e cultura straniere si possono riferire a tre ambiti: saper es-
sere, rappresentato da finalità etiche come la consapevolezza della propria iden-
tità e rispetto delle diverse identità culturali; saper fare, rappresentato da finalità
relazionali quali l’interazione e la comunicazione con persone di culture diverse
dalla propria; sapere, rappresentato da finalità cognitive quali la conoscenza di cul-
ture e di sistemi linguistici diversi dal proprio. Autopromozione, socializzazione e
culturizzazione sono le tre mete da raggiungere attraverso l’insegnamento/acquisi-
zione di una l.s.
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3. Certificazione della competenza ( certificazione degli apprendimenti) in l.s.
La descrizione di competenze specifiche in l.s. copre gli ambiti della compren-
sione del testo scritto e del discorso ascoltato e della produzione del testo scritto e
del discorso parlato. Si fonda sui parametri: attività linguistica, scopi della comu-
nicazione, contesti, interlocutori, argomenti, testi, lessico, strutture linguistiche,
fluenza nella produzione orale e correttezza nella produzione scritta. Prestazioni
definibili con gli stessi parametri possono dimostrare il possesso di una medesima
competenza a diversi livelli qualitativi ed essere quindi poste a obiettivo nei
diversi gradi della FP o essere giudicate secondo scale di valori classiche (suf-
ficiente, buono, di eccellenza, o altre). Oggi, la certificazione europea manifesta
esigenze diverse. L’elaborazione dei curricoli di l.s. è facilitata dal Framework of
reference del Consiglio d’Europa che articola la padronanza linguistica in sei
livelli, sganciati dai programmi formativi dei Paesi membri e dalle tipologie di
scuola seguita. Il “Portfolio europeo delle lingue”, o documento che accompagna
coloro che studiano una lingua nel loro percorso di apprendimento lungo tutto
l’arco della vita, permette al giovane cittadino europeo di registrare i propri
apprendimenti linguistici, di riflettere sul proprio processo di apprendimento e sui
risultati raggiunti, di porre nuovi obiettivi definendo e programmando le tappe del
proprio apprendimento.
4. L’insegnamento delle microlingue straniere a servizio della competenza profes-
sionale. Nella FP è indispensabile fornire insegnanti competenti nelle microlingue
(nella fattispecie, nella microlingua dell’informatica) che siano attenti a un ambito
disciplinare e culturale. In particolare, l’insegnamento dell’ESP (English for Spe-
cial Purposes) ha l’obiettivo di far seguire da vicino il mutamento del mondo
scientifico-professionale, di analizzare l’innovazione linguistica indotta dal diffon-
dersi delle reti telematiche che costituiscono uno dei più comuni canali di trasmis-
sione di messaggi microlinguistici, e di approfondire la natura di testi che sempre
più spesso si presentano in forma multimediale.
Bibl.: QUARTAPELLE F. (Ed.), Per un curricolo di lingua straniera: Criteri per la redazione del cur-
ricolo, in “Annali della Pubblicazione Istruzione”, 3-4 (1999), 90-94; BALBONI P., Le microlingue
scientifico-professionali: Natura e insegnamento, Torino, UTET, 2000; LITTLE D. - R. PERCLOVÁ,
Portfolio Europeo delle Lingue: guida per gli insegnanti e i formatori. Strasburgo, Consiglio d’Eu-
ropa, 2001; BALBONI P., Parlare a Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse, Torino,
UTET, 2002.
C. Cangià
MANSIONE
Il dizionario definisce la parola m. in due modi: “ciò che una persona deve com-
piere quando ricopre una funzione, svolge un incarico (sinonimo = compito)”;
“complesso dei doveri e delle attività che deve o si trova a svolgere chi fa una
determinata professione (sinonimo = incombenza)” (Sabatini - Coletti, 1997).
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Definiamo quindi come m. il compito che è stato assegnato ad un lavoratore e che
spesso viene descritto in forma analitica in un mansionario. Nello stesso dizionario
viene esplicitato il termine mansionario come un “elenco sistematico e analitico
dei compiti delle diverse categorie di dipendenti di una azienda o di un ente; ta-
bella delle mansioni assegnate a chi ha un determinato compito o lavoro (esempio:
mansionario del bidello)” (Sabatini - Coletti, 1997).
1. Il termine m. viene richiamato in molte disposizioni legislative; ad es. nello
“Statuto dei lavoratori” si esplicita che il lavoratore “deve essere adibito alle man-
sioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore
che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime
effettivamente svolte” (L. 300/1970, art. 13). Nelle disposizioni generali relative
alla sorveglianza sanitaria definite dal D. Lgs. 626/94, all’art. 17, si sostiene che il
medico competente deve esprimere un giudizio di idoneità alla m. specifica asse-
gnata. Nel linguaggio comune (es. in alcuni annunci di offerte di lavoro), è
facile trovare delle sovrapposizioni di termini per cui viene utilizzata la parola m.
per indicare una figura professionale (es.: m. di addetto segreteria, di progettista
software, ecc.).
2. Oggi il termine è considerato superato e legato ad una concezione del lavoro di
tipo rigido o tayloristico nel quale la m. “rappresenta l’unità organizzativa di base
della produzione di serie, riflesso della più accentuata divisione del lavoro tra
uomo e uomo e tra uomo e macchina” (Franceschetti, s.d., 131). Si preferisce par-
lare di “profilo professionale”, che consiste in un insieme organico di compiti,
conoscenze, competenze e relazioni capaci di descrivere in modo dettagliato
una determinata prestazione all’interno di un processo lavorativo. Anche il nuovo
CCNL ( contratto) della FP non fa più cenno alla m., ma la classificazione e l’in-
quadramento del personale vengono definiti in base a profili professionali
articolati in aree funzionali e operative. Il dipendente è impegnato nelle funzioni
per le quali è stato assunto (art. 37, comma 3) e che l’ Ente deve esplicitare
nella lettera di assunzione (art. 25, comma 2).
3. Nei primi manuali qualità elaborati in base alle norme UNI ISO 9000/94 ve-
niva definito il mansionario delle figure presenti nell’organigramma dell’azienda.
Oggi si preferisce descriverne i ruoli in base alla dipendenza gerarchica e/o fun-
zionale, all’obiettivo e alle responsabilità primarie. Questo nell’ottica di “perseguire
la massima flessibilità organizzativa al fine di consentire l’adozione di modelli or-
ganizzativi rispondenti alle esigenze del mercato del lavoro e il riconoscimento
delle professionalità e dei livelli di complessità in cui possono esprimersi” (CCNL,
s.d., 49). È strategico per un’azienda o un Ente, al fine di raggiungere gli obiettivi
prefissati, curare in modo particolare la gestione delle risorse umane definendo
in modo chiaro l’organigramma, i ruoli e le varie interconnessioni, gli obiettivi e
le responsabilità primarie, cercando di coordinare verso il fine comune le energie e
le capacità di dipendenti e collaboratori.
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4. Nelle realtà educative (scuole, istituti e CFP), è importante far prendere co-
scienza ai giovani, futuri lavoratori, delle esigenze di un rapporto di lavoro (che pre-
vede il rispetto delle mansioni/funzioni assegnate, a cui corrispondono dei diritti e
dei doveri), del proprio ruolo in vista del raggiungimento di comuni obiettivi, della
necessaria flessibilità per rispondere in modo rapido alle esigenze produttive e/o
di servizio e infine del contributo di volontà e di idee che ciascuno, all’interno del
proprio ruolo e delle proprie m., può dare allo sviluppo di tutti.
Bibl.: Legge 20 maggio 1970, n. 300, Statuto dei lavoratori. Norme sulla tutela della libertà e
dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme
sul collocamento, in GU del 27.05.1970, n. 131; D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, Attuazione delle
direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE,
90/394/CEE, 90/679/CEE, 93/88/CEE, 95/63/CE, 97/42, 98/24, 99/38 e 2001/45/CE riguardanti il
miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, in GU del 12.11.1994,
n. 265 - S.O. n. 141; FORMA - CENFOP - SNS CGIL - CISL SCUOLA - UIL SCUOLA, Contratto collet-
tivo nazionale per la formazione professionale - 1° gennaio 1998 - 31 agosto 2003, Roma, Edigraf
Editoriale Grafica, s.d.; SABATINI F. - V. COLETTI, DISC. Dizionario italiano, Firenze, Giunti, 1997;
FRANCESCHETTI M., “Risorse umane”, in CIOFS/FP (Ed.), Un glossario per l’orientamento, Roma,
Publigrafica Romana, s.d., 131-133.
L. Reghellin
MATURITÀ PROFESSIONALE
La m.p. è finalità naturale e obiettivo principale del processo dello sviluppo pro-
fessionale. Essa è una parte della m. umana e si colloca accanto ad altri tipi di m.
come quella psichica, sociale e morale per essere integrata in esse (Vandenplas-
Holper, 2000). Nella sua realizzazione finale consiste in una scelta professionale
valida, nell’acquisizione di competenze per l’esercizio della professione e nel
loro svolgimento secondo le norme etiche, nella soddisfazione lavorativa e nella
collaborazione al bene comune.
1. Indici. La m.p. si realizza progressivamente in un processo formativo durante
il quale si può parlare più di maturazione che di m. Durante tale processo possono
essere identificati dei comportamenti favorevoli al raggiungimento della m.p. che
possono essere visti come degli “indici” di maturazione. Essi permettono di stabi-
lire il grado di m. raggiunta ad un determinato livello di età cronologica. Molti di
questi indici però non sono altro che delle competenze richieste per il raggiungi-
mento dallo stadio finale e quindi ad esso subordinate e come tali sono puramente
strumentali.
2. Verifiche empiriche. Dagli anni ‘50 in poi, numerosi ricercatori hanno condotto
delle estese indagini sulla m.p. dalle quali emergono delle tematiche che si riferi-
scono a categorie con contenuti piuttosto vasti. Tali categorie sono in stretto rap-
porto con lo sviluppo professionale e con il processo della scelta lavorativa. Le
stesse categorie possono essere considerate, in realtà, come dei generali indici
della m. stessa.
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3. Categorie fondamentali. Le principali categorie che indicano la m.p. sono le
seguenti. a) Abilità - includono componenti intellettive, esecutive e apprendi-
mentali; b) Capacità decisionale - saper decidere conoscendo bene le alternative,
saperle valutare, possedere una sufficiente stabilità emotiva per controllare l’ansia;
c) Conoscenze - del settore in cui deve essere operata la scelta; il soggetto deve
cercare le informazioni, elaborarle e usarle per il suo progetto personale; d)
Costrutti personali - abilità, interessi, valori e ideali devono essere integrati in un
quadro unitario e devono essere congruenti con il progetto professionale; e) Esplo-
razione - oltre alle informazioni occasionali occorre esplorare intenzionalmente il
settore occupazionale prescelto; f) Progetto - elaborato in base alle attitudini, prefe-
renze e valori e rapportato alla situazione occupazionale, deve essere verificato e
progressivamente realizzato; g) Scelta - perché sia valida è necessario che il sog-
getto sia coinvolto in essa e che sia in stretto rapporto con il progetto professionale;
h) Lavoro - un positivo atteggiamento e la formaz. delle competenze richieste per
il suo esercizio; i) Integrazione delle componenti - tra le componenti personali (atti-
tudini, preferenze e valori) deve esserci un rapporto dinamico che si manifesta in
una equilibrata struttura, chiamata congruenza, che è un evidente segno dell’abilità
del soggetto di gestire le enumerate componenti della m. in modo efficiente.
Bibl.: VIGLIETTI M., Orientamento, una modalità educativa permanente, Torino, SEI, 1988; VANDEN-
PLAS-HOLPER C., Maturità e saggezza: lo sviluppo psicologico in età adulta e nella vecchiaia, Milano,
Vita e Pensiero, 2000.
K. Poláèek
MENTORING, PROGRAMMA
Insegnamento
MERCATO DEL LAVORO
Il m.d.l. è quel contesto ideale all’interno del quale avviene la compravendita di
quella merce sui generis costituita dalla forza lavoro, ovvero la capacità lavorativa
(Mingione - Pugliese, 2002). Ma proprio la caratteristica “ideale” di tale contesto ha
spinto un buon numero di autori a ritenere molteplici i punti deboli dell’applica-
zione al lavoro di uno schema concepito per altri tipi di merce in senso proprio.
1. Comunemente, si dovrebbe parlare di m.d.l. per indicare i meccanismi che rego-
lano l’incontro tra i posti di lavoro vacanti e le persone in cerca di occupazione, e
che consentono la determinazione dei salari pagati dalle imprese ai lavoratori.
Tuttavia, affinché il lavoro sia scambiato secondo le classiche regole del m., occor-
rerebbe che: a) esso fosse considerato come una qualsiasi merce, ovvero avvenga
una “mercificazione” della forza lavoro, che a questo punto non terrebbe però in
debito conto il fatto che non è possibile separare fisicamente tale merce dal suo
portatore; b) tra chi vende e chi compra vi fossero soltanto relazioni di scambio
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insistenti su un piano di parità; c) il prezzo (salario) svolgesse una funzione di ri-
equilibrio tra domanda e offerta; d) tutti i soggetti implicati nello scambio seguis-
sero criteri di razionalità economica (Reyneri, 2002).
2. Le indagini compiute sul tema del m.d.l. hanno mostrato come nessuna di tali
regole si applichi mai pienamente. Al contrario, le più recenti prospettive di analisi
– riconducibili soprattutto al filone della new economic sociology – delineano un
rapporto di interdipendenza tra domanda e offerta di lavoro, relazione che non
esclude la possibilità del ritorno a situazioni di completa subalternità dell’offerta,
ma legittima pienamente lo studio della stessa offerta di lavoro come soggetto
in grado di decidere i propri comportamenti in modo relativamente autonomo
(Accornero – Carmignani, 1986). In questa ottica, si chiarisce il senso dell’auto-
nomia dell’offerta (Zucchetti, 1991), in un m.d.l. che rifugge dall’intenzionalità e
dalla razionalità individuale proprie della microeconomia del lavoro, poiché
spiega i comportamenti dell’offerta non solo dando grande rilievo a elementi non
economici, ma inserendoli nella più vasta rete di relazioni sociali, culturali e poli-
tiche che innervano una concreta società. In questo senso, il m.d.l. è un m.
molto particolare, che riflette aspetti e tendenze generali della società (Mingione -
Pugliese, 2002), e al tempo stesso ne risulta essere influenzato. Nel momento pre-
sente, in particolare, non è possibile prescindere dai nuovi paradigmi di tipo rela-
zionale che le scienze sociali, e segnatamente la sociologia del lavoro, utiliz-
zano per spiegare il lavoro stesso e i fenomeni sociali che ad esso si collegano. Le
tradizionali interpretazioni del m.d.l., fortemente incentrate sul sistema produt-
tivo fordista, e dunque implicanti forti ricadute sul sistema della stratificazione
sociale – che appunto rifletterebbe i processi di distribuzione dei compensi in una
data società –, sono oggi messe in crisi dalla progressiva flessibilizzazione del
lavoro che, oltre a sconvolgere i confini canonici della segmentazione tra un m.d.l.
“primario” ed uno “secondario”, ne stanno ridisegnando i confini stessi, trasfe-
rendo nel lavoro dipendente alcune caratteristiche del lavoro autonomo, nell’am-
bito di una sovrapposizione al concetto di professionalità.
Bibl.: ACCORNERO A. - F. CARMIGNANI, I paradossi della disoccupazione, Bologna, Il Mulino, 1986;
ZUCCHETTI E., Il legame ritrovato. Il lavoro tra mercato economico e comunità locale, Milano, Vita e
Pensiero, 1991; MINGIONE E. - E. PUGLIESE, Il lavoro, Roma, Carocci, 2002; REYNERI E., Sociologia
del mercato del lavoro, Bologna, Il Mulino, 2002.
M. Colasanto
METODOLOGIA
Il termine m. – etimologicamente: discorso sul metodo (odos = via) – viene usato
sia per indicare lo studio critico dei metodi di ricerca scientifica, sia, nell’am-
bito delle scienze dell’ educ., per indicare la m. pedagogica (o dell’educ.)
propriamente detta, distinta da, o anche inclusiva, della didattica ( didattica
induttiva).
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1. “M. dell’educ.” e didattica. In ambito pedagogico, la m. ha la funzione media-
trice tra l’antropologia pedagogica e la teleologia pedagogica. Il suo concetto va
rapportato a varie dimensioni del processo formativo (educativo-didattico) con
un’ulteriore articolazione che distingue la “m. dell’educ.” propriamente detta e la
m. didattica chiamata anche, semplicemente, “didattica”. In ogni caso, la m. sia del-
l’educ. sia dell’ insegnamento, lungi dall’offrire ricette da applicare meccani-
camente alle situazioni, peraltro variegate e cangianti, è “conoscenza critica
(e quindi razionalmente e sperimentalmente giustificata) delle vie e dei mezzi per
conseguire gli scopi desiderati” (Laeng, 1990, 7679). Offre, quindi, i criteri generali
e procedurali da seguire, i principi da applicare per conseguire, in modo pertinente e
commisurato alle situazioni, le finalità e gli obiettivi formativi. La m. dev’essere
centrata sulla persona umana in situazione, soggetto e destinatario della
formaz.; è necessario considerare i formandi come protagonisti dell’azione educa-
tiva e didattica al fine di aiutarli a rendersi capaci di scelte libere e rette, di lettura
critica della realtà, di dialogo e di lavoro cooperativo, d’impegno costruttivo e
responsabile di cittadino solidale planetario. Nel quadro della m. centrata sulla per-
sona dell’alunno, rientrano sia l’affermarsi progressivo, nei diversi Paesi, dell’
autonomia scolastica, sia la prospettiva della scuola di tutti e di ciascuno, come
anche quella dell’interculturalità ( educ. interculturale) come principio educativo-
didattico nonché della convivenza in generale: istanze tutte importanti, più che mai,
nella nostra società sempre più complessa, multiculturale, globalizzata, compe-
titiva, tecnologica, con dei risvolti non solo positivi, ma anche negativi quali
violenza, emarginazione e nuove povertà. Le nuove tecnologie dell’informazione
e della comunicazione, pertanto, stanno offrendo enormi risorse da valorizzare
( formaz. a distanza; multimedialità; virtualità) nell’ambito della FP e obbli-
gano il sistema scolastico e formativo di ogni Paese a rivedere tutti i suoi ele-
menti, sia di natura teleologica, contenutistica, metodologico-didattica, come anche
organizzativa a vari livelli: strutturale, umano, materiale, spazio-temporale, micro e
macro, ecc., in termini di qualità, di comunicazione, di uguale opportunità e di
educ. alla cittadinanza planetaria. Come vi è una didattica delle singole discipline
di studio, così vi è una m. e didattica dei diversi gradi e ordini scolastici, compresa
la FP e l’educ. extrascolastica. Sul piano organizzativo, la m. deve favorire la conti-
nuità sia tra scuole di ordine diverso, sia tra queste e le varie agenzie educative ex-
trascolastiche ( famiglia, associazioni, enti locali, servizi sanitari nazionali,
chiesa, ecc.), così pure con il mondo del lavoro.
2. La m. scienza dell’educatore e del formatore. La promozione del processo for-
mativo è un impegno non facile. Si può dire che la m. (scienza per la prassi educa-
tiva) è propriamente la scienza dell’educatore e del formatore ( operatori della
FP), che dev’essere in grado di coniugare in modo unitario e pertinente la cono-
scenza speculativa sull’educ. (natura dell’uomo in quanto tale dell’educ./formaz.,
dei valori/fini da realizzare) e la conoscenza sperimentale dei fattori bio-psico-
sociologici nella formaz. della personalità, al fine di approntare e vagliare progetti
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d’intervento operativo adeguati al raggiungimento degli obiettivi. Tutto ciò ovvia-
mente esige che il formatore sia agente di cambiamento qualitativo, capace
di ricerca e di azione, innovatore, dotato di inventiva e di libera iniziativa, nella sua
funzione di organizzatore/programmatore, realizzatore e valutatore degli interventi
educativi e formativi.
Bibl.: FLORES D’ARCAIS G., “Metodología de la educación”, in G. FLORES D’ARCAIS - I. GUTIÉRREZ
ZULOAGA, Diccionario de ciencias de la educación, Madrid, Ediciónes Paulinas, 1990, 1307-1318;
LAENG M. (Ed.), “Metodologia”, in ID., Enciclopedia pedagogica IV, Brescia, La Scuola, 1990,
7677-7680; MIALARET G., Pédagogie générale, Paris, PUF, 1991; MEIRIEU Ph., “Méthodes pédago-
giques”, in P. CHAMPY - C. ETÉVÉ (Edd.), Dictionnaire encyclopédique de l’éducation et de la for-
mation, Paris, Nathan, 1998, 684-690; LANEVE C., Elementi di didattica generale, Brescia, La
Scuola, 1998; PELLEREY M., Educare. Manuale di pedagogia come scienza pratico-progettuale,
Roma, LAS, 2002.
H.-C.A. Chang
MIGRAZIONE
Educazione interculturale
MINORI
L’abbassarsi dello status di “minore-età” combacia ormai con l’adolescenza, pe-
riodo considerato a tutti gli effetti una “seconda nascita”, sia in termini fisiologici
(le trasformazioni corporee), che psicologici (la costruzione dell’ identità) e so-
ciologici (l’ingresso nella vita sociale-attiva).
1. Si tratta di un’età “evolutiva in sempre più rapida evoluzione”, nel senso che,
nel percorrere le varie tappe di questo processo, viaggia alla stessa velocità con cui
contestualmente si evolve e si trasforma la società. Di conseguenza, gli studi più
recenti ed accreditati sui m. partono dalle premesse di evitare il più possibile di as-
similare queste generazioni alle precedenti, e di inquadrarle piuttosto nelle loro
espressioni caratterizzanti. Durante questo periodo, infatti, la “carta d’identità”
viene giocata provocatoriamente sull’aspetto fisico/esteriore: il corpo diviene
oggetto di sperimentazione, rivestito con abbigliamenti personalizzati, colorato,
tatuato e traforato; la necessità di darsi prove iniziatiche di coraggio scaturisce dal
bisogno stesso di convalidare il passaggio dal corpo di bambino a quello di gio-
vane, una conquista spesso preceduta da condotte “resilienti” e/o a rischio, nei cui
confronti la conoscenza e l’informazione filtrate attraverso interventi di preven-
zione primaria e secondaria non sempre sono sufficienti a scoraggiare dal metterle
in atto; lo stesso ricorso a variegate forme di violenza attiva/passiva fa parte di un
linguaggio intenzionato a comunicare il proprio disagio interiore e/o uno stato
d’animo attraversato da mille bisogni di senso opposto, che ingenerano nel sog-
getto in evoluzione una sofferta confusione di sentimenti e di valori; per lui gli
amici occupano il primo posto e il gruppo è la nuova famiglia che si è scelto in
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alternativa e/o in concomitanza con quella in cui si è trovato a stare; il futuro o non
fa ancora parte dei suoi orizzonti oppure gli appare fumoso/chiaroscurato da incer-
tezze; così, piuttosto che passare il tempo a progettare, preferisce “presenziare”
in quella città virtuale che gli permette di “pensare con gli occhi” mentre viaggia
per le sconfinate autostrade informatico-massmediali, all’origine a loro volta di
modelli di apprendimento basati su logiche reticolari del sapere.
2. A tutto ciò la mente del m. in trasformazione deve comunque arrivare a dare
risposte di senso nel ripercorrere le normali tappe di un processo evolutivo, al fine di
conquistare quel sufficiente equilibrio/integrazione tra corpo e mente, tra io-identità
ed io-relazionalità, tra auto ed etero-gestione della propria personalità, che carat-
terizzerà lo stadio dell’“età-matura” grazie proprio al fatto di essere passato durante
l’adolescenza attraverso esperienze difficili/sofferte. Al tempo stesso, la non perfetta
assimilabilità del m. alle precedenti generazioni invita a tener conto che si è sempre
più di fronte a un diverso modo di diventare adulti, per cui anche i riti d’ingresso/ini-
ziazione all’assunzione di ruoli sociali/attivi avvengono conseguentemente. Limita-
tamente al campo della formaz. / lavoro, due sono i macro-trends con cui il m.
dovrà confrontarsi nel prepararsi a divenire attore del sistema produttivo: da un
lato, la perdita del valore-lavoro come fattore unico di realizzazione, congiuntamente
a quella di un’idea di professionalità statica e duratura per tutta la vita (con con-
seguente perdita di garanzie e di stabilità e l’adattamento a convivere con condizio-
ni lavorative precarie); e, dall’altro, l’acquisizione di una mentalità improntata alla
ricerca di opportunità di formaz. permanente, unitamente alla flessibilità a riconver-
tire le proprie competenze più volte durante la vita attiva.
Bibl.: BUZZI C. - A. CAVALLI - A. DE LILLO (Edd.), Giovani nel nuovo secolo. Quinto rapporto IARD
sulla condizione dei giovani in Italia, Bologna, Il Mulino, 2002; CENSIS, Giovani lasciati al presente,
Milano, Franco Angeli, 2002; EURISPES, 3° Rapporto nazionale sulla condizione dell’Infanzia e del-
l’Adolescenza, Roma, Eurispes-Telefono Azzurro, 2002.
V. Pieroni
MISSION
Proposta formativa; CFP; Impresa
MOBBING
Il termine m., deriva dall’inglese mob e significa letteralmente ‘assalire
tumultuosamente’. È mutuato dagli studi etologici di Lorenz che descriveva, con
tale termine, il comportamento di alcune specie animali, solite circondare minac-
ciosamente un membro del gruppo finché non veniva costretto alla resa o alla
fuga. Attualmente, è un termine molto diffuso ed utilizzato in ambito lavorativo
per indicare fenomeni di prevaricazione, vessazione, persecuzione nei confronti di
un collega (m. orizzontale) o di un subalterno (m. verticale).
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È un termine ormai acquisito dalla giurisprudenza sia in materia di rilevanza civile
che penale. Una recente pronuncia del Tribunale di Torino, (16 novembre 1999,
ud. 6/10/99, n. 5050) afferma che si verifica una situazione di m. aziendale
“allorché il dipendente è oggetto ripetuto di soprusi da parte dei superiori e, in
particolare, vengono poste in essere nei suoi confronti azioni dirette ad isolarlo
dall’ambiente di lavoro e, nei casi più gravi, ad espellerlo dalle pratiche il cui
effetto è di intaccare gravemente l’equilibrio psichico del paziente menomandone
la capacità lavorativa e la fiducia in se stesso e provocando catastrofe emotiva,
depressione e talora persino suicidio”.
Possiamo definire m. una situazione di pressione-terrorismo psicologico sul luogo
di lavoro, raramente sfociante in atti di violenza fisica, esercitata attraverso con-
dotte sistematiche durature ed intense, da parte del datore di lavoro (m. verticale)
o di colleghi (m. orizzontale) di accerchiamento attivo del lavoratore attraverso:
a) aggressione e /o menomazione alla capacità comunicativa, di relazione sociale
e all’immagine sociale, b) disconoscimento o compressione dei diritti elementari
per inespresse “cause di servizio”, c) attribuzione di mansioni dequalificanti o
degradanti. Si utilizza il termine bossing per descrivere il cosiddetto m. strategico,
attuato in esecuzione di piani persecutori con finalità di riduzione (per conteni-
mento dei costi) o di “svecchiamento” del personale, in situazioni di non praticabi-
lità del licenziamento.
Il maggior contributo in questo ambito lo si deve alle ricerche dello psicologo
tedesco Heinz Leymann (1990) che per primo individuò e studiò il fenomeno
negli anni ‘80. La manifestazione della sindrome di m. avviene in modo graduale
e progressivo. Si possono individuare sei fasi sebbene non nettamente distinte le
une dalle altre. La prima fase si caratterizza per una intenzionale attribuzione di
responsabilità delle diverse disfunzionalità aziendali al dipendente preso di mira.
Nella seconda fase, si ‘creano’ situazioni ad hoc per isolare e colpevolizzare la
“vittima”. Nella terza fase iniziano a manifestarsi, nel “mobbizzato”, i primi sin-
tomi di natura psicosomatica, quali: alterazioni dello stato dell’umore e del ritmo
sonno-veglia, stati d’ansia, decremento del repertorio comportamentale, modi-
fiche nell’immagine dell’io e nell’autostima. La fase successiva viene caratteriz-
zata dalle ripetute assenze dal lavoro, da consistenti e significativi cali di produt-
tività e dalla compromissione dell’immagine del lavoratore in azienda. La quinta
fase coincide con la individuazione del soggetto come di un “caso aziendale”,
con conseguente processo di stigmatizzazione e con ripercussioni, spesso irre-
parabili, sul futuro professionale del mobbizzato, sulla salute psichica e sulle
relazioni nella vita privata. L’ultima fase la si raggiunge con la fuoriuscita del
lavoratore dall’azienda per prepensionamento, per “malattia professionale”, per
licenziamento, per dimissioni o, nei casi più gravi, per suicidio. Da un punto di
vista diagnostico, la sindrome da m. rientrerebbe, secondo la classificazione psi-
chiatrica DSM IV, nell’insieme definito “Reazioni ad eventi”. Esse includono:
disturbo dell’adattamento (DA), disturbo acuto da stress (DAS), disturbo post-
traumatico da stress (DPTS). Poiché i sintomi delle suddette tre categorie pos-
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sono essere dovuti ad una molteplicità di variabili eziologiche, per poter definire
una sindrome da m. è necessaria la inequivocabile presenza di una intenzionale
attività persecutoria nei confronti della vittima. Il fenomeno sembra essere molto
diffuso e, ancora, troppo sommerso a causa di comprensibili reticenze a far di-
ventare pubbliche, in ambiente di lavoro, situazioni di grave disagio psicosociale.
Si calcola che nel nostro Paese circa un milione di lavoratori soffrano di sin-
drome da m. Gli interventi più diffusi sono di tipo psicoterapeutico destinati alla
vittima e orientati al reinserimento lavorativo. Sono carenti gli interventi di tipo
preventivo a livello sistemico organizzativo che coinvolgano l’intera organizza-
zione aziendale, con particolare riferimento ai quadri dirigenti. Attualmente, i
vari sindacati dei lavoratori stanno promovendo diverse iniziative per la sensi-
bilizzazione dei loro iscritti al fenomeno del m. Iniziano a diffondersi forme di
autoterapia tramite gruppi di auto-aiuto.
Bibl.: LEYMANN H. (1990): Mobbing and psychological terror at workplaces, in “Violence and
Victims”, 5, (2), 1990; ADAMS A., Bullying at work. How to confront and overcome it, London, Virago
Press, 1992; AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION, DSM-IV. Manuale diagnostico e statistico dei dis-
turbi mentali, Milano, Masson, 2000; MAIER E., Il mobbing e lo stress organizzativo, Il Ponte vecchio,
Pescara, 2002.
M. Becciu
MOBILITÀ PROFESSIONALE
La m.p. viene configurata come un Istituto Contrattuale che richiede o consente il
passaggio da un settore lavorativo ad un altro. Assume pertanto, configurazioni di-
verse a seconda della tipologia del CCNL ( contratto) e della stipula personale.
Nell’ambito della FP, l’Istituto della m.p. è stato utilizzato prevalentemente in
contesti di ridimensionamento del sistema, spesso abbinato con incentivi per l’u-
scita. La m.p. è andata, pertanto, assumendo una connotazione negativa, poco at-
tenta allo sviluppo del sistema e alla crescita professionale degli operatori. In
molte Regioni, particolarmente del Sud, l’applicazione della m.p. e degli incentivi
ha condotto allo smantellamento pressoché totale della FP. È pur vero che la FP, in
generale in tutto il sistema italiano, è stata sottoposta a tali e tante riorganizzazioni
che hanno richiesto capacità ingegneristiche specifiche cui è difficile far fronte, so-
prattutto se gli operatori hanno maturato esperienza prevalentemente nella docenza
di un ristretto ambito di insegnamenti. Nella Pubblica Istruzione, l’intesa sulla m.p.
firmata il 26 marzo 2002, relativa agli incarichi dirigenziali, assume, ad esempio,
una prospettiva totalmente diversa sia in rapporto alla persona che lavora, sia in
rapporto alla istituzione. Nei momenti di crisi, l’Istituto della m.p. viene utilizzato
per far fronte all’esubero del personale e al ridimensionamento delle funzioni al-
l’interno delle imprese. Nel contesto della riorganizzazione del sistema di Istru-
zione e FP (IeFP), le prospettive di utilizzo della m.p. potrebbero assumere una
funzione rigenerativa nella gestione delle risorse umane, anche in rapporto alle
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esigenze della configurazione del territorio e del mercato del lavoro. Con la ri-
forma dell’IeFP si auspica di pervenire, per la FP, ad una stabilità organizzativa e
di servizio compatibile con il sistema stesso. La m.p. potrà assumere allora una
connotazione di supporto allo sviluppo, alla qualità e all’efficacia dei servizi
formativi.
Bibl.: BULGARELLI A. - M. GIOVINE (Edd.), Politiche formative e lavoratori in mobilità, Milano,
Franco Angeli, 1996; MIUR, Intesa sulla mobilità professionale e sull’ordine e tempi delle operazioni
relative all’affidamento e all’avvicendamento degli incarichi dirigenziali, in www.edscuola.it/
archivio/norme/varie/imobdir_02.html, 26.03.02, 1; FORMA - CENFOP - SNS CGIL - CISL SCUOLA
- UIL SCUOLA. Contratto collettivo nazionale di lavoro per la formazione professionale - 1° gennaio
1998 - 31 agosto 2003, Roma, 2002.
L. Valente
MODULI
Il termine, utilizzato nei diversi ambiti di produzione e di organizzazione del la-
voro con il significato di parte o elemento ripetitivo di un sistema, è entrato piut-
tosto recentemente in ambito pedagogico per indicare una particolare forma di or-
ganizzazione scolastica e didattica applicata soprattutto nella FP.
1. Diversi significati. A seconda dei Paesi, la parola m. assume un significato leg-
germente diverso anche in riferimento all’ambito propriamente scolastico: in Italia,
ad es., l’organizzazione modulare nella scuola elementare fu introdotta con la
L. 148/90 secondo cui vengono assegnati 3 insegnanti a 2 classi del primo ciclo e 4
insegnanti a 3 classi successive, il che ha comportato una programmazione per m.
in corrispondenza alle aree disciplinari / competenze / interessi specifici di
ciascun insegnante; in Francia, soprattutto nei Lycées, venne introdotta nel 1992
secondo la logica della pédagogie différenciée nella prospettiva di un aiuto diffe-
renziato per il successo scolastico di tutti gli allievi.
2. M. didattico: concetto e suoi elementi costitutivi. Per m. didattico (formativo) si
può intendere un’unità di studio o un insieme di unità didattiche (UD disciplinari o
pluridisciplinari), che abbia una propria autonomia e completezza, la cui succes-
sione è flessibile, variamente combinabile (ricomponibile) in base ai destinatari
e agli obiettivi. Un m. cioè può contenere più UD il cui numero dipende sia
dalla portata della tematica, sia dalla finalità (competenze da assicurare). Struttu-
ralmente ambedue (m. e UD) contengono gli stessi elementi, ossia il titolo indi-
cante la tematica trattata, la durata dello svolgimento, i prerequisiti, gli obiettivi, i
contenuti ed esperienze/attività, il materiale didattico, i momenti e le modalità
della verifica ( valutazione).
Nonostante la varietà di significato che il termine può assumere a seconda dei
contesti, il suo utilizzo nell’ambito della FP comporta un’organizzazione delle
attività educativo-didattiche (“offerta formativa”) a partire dalle domande for-
mative (riferite sia ai soggetti destinatari come anche al mondo occupazionale)
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indicando chiaramente le condizioni di partenza, l’esito/risultato da perseguire
(competenze) e tutti gli altri elementi di cui sopra. L’organizzazione modulare
dell’ insegnamento – sempre più diffusa – e la certificazione delle competenze
( certificazione degli apprendimenti), anche attraverso il sistema dei crediti
( credito formativo), richiedono oggi una preparazione e riqualificazione di tutti
gli insegnanti.
3. Organizzazione modulare e team teaching. Tale tipo di organizzazione modulare
sia scolastica che didattica, per essere pedagogicamente significativa ed efficace
processo formativo), esige una capacità e disponibilità di lavorare in team, nello
spirito di un autentico team teaching in termini di co-programmazione, co-realiz-
zazione e co-valutazione.
Bibl.: WARWICK D., Teaching and Learning through Modules, Oxford, Basil Blackwell 1988; CLERC
F., Enseigner en modules. Secondes générales, téchnologiques et professionnelles, Paris, Hachette-
Éducation, 1992; MARRADI T., Dai programmi ai moduli: una riforma da riformare, Roma,
Anicia,1993; DOMENICI G., Manuale dell’orientamento e della didattica modulare, Bari, Laterza,
1999.
H.-C.A. Chang
MONITORAGGIO
In generale, il m. consiste in una “attività sistemica di raccolta dati ed informa-
zioni circa l’attuazione di un intervento (una politica, un programma, l’operato di
una struttura, ecc.)” (CNOS-FAP, 2002, 39). Più specificamente, esso riguarda la
comparazione tra le prestazioni di più scuole o CFP e tra le prestazioni della
stessa scuola o CFP. In questo caso, l’idea di qualità in base alla quale verificare
il funzionamento della scuola/CFP non è unicamente autoreferenziale come nel-
l’autovalutazione di istituto, ma presenta un indice di riferimento esterno, costi-
tuito dai valori medi delle prestazioni rilevate. In altre parole, si tratta di un ap-
proccio di m. basato su indicatori quantitativi e dal punto di vista metodologico si
distingue per le seguenti caratteristiche: è quantitativo, perché gli indici di funzio-
namento sono rilevati in termini numerici; è globale, nel senso che tende ad assu-
mere come punto di riferimento delle varie misure un modello sistemico di funzio-
namento; è tecnico, poiché si articola in un insieme di procedure che tendono a
neutralizzare la componente soggettiva della valutazione; è descrittivo, in
quanto è finalizzato prevalentemente a delineare fenomeni utili alla valutazione
dell’oggetto in esame.
Bibl.: ALLULLI G., Le misure della qualità, Roma, SEAM, 2000; CASTOLDI M. - B. STENCO - G. MA-
LIZIA, “La scuola cattolica e la valutazione della qualità”, in CSSC – Centro Studi per la Scuola Catto-
lica, Per una cultura della qualità. Promozione e Verifica. Scuola Cattolica in Italia. Terzo Rapporto,
Brescia, La Scuola, 2001, 15-60; CNOS-FAP (Ed.), Accreditamento della sede orientativa, Roma,
CNOS-FAP, 2002.
G. Malizia
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MOTIVAZIONE
La m. è un costrutto dell’ orientamento, essenziale nella dinamica della deci-
sione: infatti per prendere decisioni in ambito scolastico, professionale e lavora-
tivo, occorre avere motivi autentici per prendere posizione di fronte ad alternative.
Essa fa appello ad un sistema di valori che aiutano a compiere una decisione fon-
data su criteri di attendibilità e di fattibilità, soprattutto per contrastare il dis-
agio, la dispersione, l’emarginazione. In secondo luogo, la m. è energia e scopo:
ossia un insieme di fattori che aiutano la persona e la attivano, la dirigono e rego-
lano l’attività verso degli obiettivi. Costrutti connessi alla m. sono quelli di empo-
werment e di autoefficacia ( efficacia). L’empowerment è una forma di energia
interna che canalizza le risorse ed è anche un sistema di competenze e strumenti
che facilitano il controllo di una esperienza di vita. L’autoefficacia proviene dal-
l’auto-stima e consente di affrontare ( coping) un impegno superando eventuali
ostacoli e di raggiungere il successo formativo. In terzo luogo, la m. è interesse
per lo studio e l’ apprendimento. Infatti tra i fattori maggiormente motivanti c’è
la volontà di apprendere e questa è riconosciuta determinante nel successo forma-
tivo e orientativo. Il metodo di studio e l’apprendimento dipendono essenzialmente
da fattori motivazionali. Oggi tuttavia ci sono molti fattori demotivanti che non fa-
cilitano lo studio e l’apprendimento, come il clima consumistico, l’accontenta-
mento generalizzato nell’ educ. e la mancanza di modelli cui fare riferimento sia
tra i coetanei che tra gli adulti.
Dal punto di vista formativo, la m. per lo studio e l’apprendimento permette agli
allievi di conseguire importanti obiettivi in quanto attiva l’interesse, sostiene l’im-
pegno e la fatica, aiuta l’allievo a valorizzare le proprie capacità e a darsi un
percorso di studio consapevole e programmato. In definitiva, nell’orientamento la
m. consente di prendere decisioni ragionevoli, aiuta ad intraprendere percorsi
nuovi, a scegliere in situazioni complesse, di incertezza e di disorientamento, spe-
cialmente nei confronti di allievi con particolari problemi.
Bibl.: NUTTIN J., Motivazione e prospettiva futura, Roma, LAS, 1992; BROPHY J., Motivare gli
studenti ad apprendere, Roma, LAS, 2003.
S. De Pieri
MULTICULTURA
Educazione interculturale; Società; Metodologia; Riforma educativa;
Don Bosco e la FP
MULTIMEDIALITÀ
Nuove tecnologie; Metodologia
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NUOVE TECNOLOGIE
1. La digitalizzazione ha rivoluzionato il mondo tecnologico in modo silenzioso
ma sistematico e continuo. Le n.t. della comunicazione, ne hanno beneficiato
notevolmente e certamente costituiscono uno degli elementi centrali della globa-
lizzazione perché contribuiscono alla diffusione del sapere aumentando le
capacità e le qualità delle tecniche di trasmissione delle informazioni. Parlando
però di n.t. non ci si riferisce esclusivamente alle invenzioni tecniche moderne le-
gate ai progressi delle comunicazioni; in realtà le n.t., hanno sviluppato notevol-
mente le possibilità di comunicare e di avere in tempi reali molte informazioni;
inoltre stanno trasformando anche il nostro rapporto con il sapere, rendendo i
processi conoscitivi molto più veloci.
2. Le n.t., dunque, interessano non solo il modo di comunicare, ma l’intero mondo
che ci circonda nel suo insieme. Praticamente tutti i settori del vivere umano sono
coinvolti e certamente, non in modo indifferente, il mondo della formaz. nel
quale le n.t. entrano sempre più prepotentemente; dove, ad es., la multimedialità e
la telematica possono contribuire a veicolare meglio i contenuti del sapere e anche
a spingere verso una revisione dei contenuti stessi, mobilitando la creatività in fun-
zione di una miglior comunicazione. Oggi le n.t. sono: a) pervasive, diffondendosi
orizzontalmente a macchia d’olio in diversi ambiti del vivere ed interessando
contemporaneamente più strumenti e persone; b) rapide nel cambio, con effetti
quasi immediati sul modo di affrontare i problemi, rendendo molto difficile inter-
venire in modo puntuale e tempestivo; c) globali, tendendo ad interessare tutti i
settori e le attività della società nel suo insieme.
3. Le n.t. dell’ultima generazione sono molte legate all’interattività ed a Internet.
Per quanto riguarda la formaz. si concretizzano attraverso reti telematiche, televi-
sione satellitare, realtà virtuale, CD-Rom e DVD interattivi, corsi on line, iper-
testi, videoconferenze, e-mail e possono facilitare molto la qualità dell’ ap-
prendimento agevolando l’accesso a risorse, servizi, scambi a distanza. Sono
qualcosa di più del semplice supporto ad un intervento formativo, poiché possono
realmente modificare i processi di comunicazione del sapere e quelli della loro
acquisizione. Esse creano canali capillari di diffusione che offrono nuove e ine-
dite possibilità di una piena democratizzazione dell’accesso alla formaz. Le n.t.,
tendono a favorire delle strategie d’ insegnamento basate molto di più sull’ap-
proccio costruttivistico in cui una persona entra come attore nel processo di ap-
prendimento ed è chiamata a collaborare attivamente e continuamente con i com-
pagni e i docenti nelle diverse fasi dell’intervento.
4. Oggi non è più un grande problema per una persona in formaz. avere delle infor-
mazioni, ma è ancora problematico recuperarle, renderle attive, strutturarle, riflettere
su di esse in modo critico. Le conoscenze specifiche che un formatore ( operatori
della FP) possiede sulla propria disciplina diventano meno importanti, mentre acqui-
stano maggiore importanza le sue capacità metodologiche e didattiche generali.
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Modelli di formazione collaborativi e costruttivi sarebbero ovviamente possibili
anche utilizzando gli strumenti didattici tradizionali, ma con le n.t. è più agevole e
più naturale recepire le informazioni. Nel mondo formativo con le n.t. è abbastanza
facile creare ambienti virtuali e simulazioni, che aiutino a sviluppare il pensiero cri-
tico. In particolare, si riesce a creare un tipo di formaz. a distanza molto interes-
sante, una formaz. on line, dove lo spazio e il tempo entrano in una realtà virtuale.
Bibl.: AA.VV., Nuove tecnologie per l’apprendimento (con CD-ROM), Roma, Garamond, 1998;
TALAMO A. (Ed.), Apprendere con le nuove tecnologie, Firenze, La Nuova Italia,1998; CIOTTI F. - G.
RONCAGLIA, Il mondo digitale. Introduzione ai nuovi media, Bari, Laterza, 2000; AA.VV, Nuove
tecnologie e scuola di base, Roma, Carocci, 2001.
N. Zanni
OBBLIGO SCOLASTICO E FORMATIVO
Per o.s.f. si intende il dovere imposto per legge al cittadino di ricevere una
formaz./istruz. almeno sufficiente per inserirsi nella società o per continuare
gli studi.
In questi ultimi anni, si registra in proposito una tendenza interessante al supera-
mento del concetto stesso di o.s.f., che pure dal punto di vista storico ha esercitato
una funzione essenziale nel passaggio da una scuola per pochi a una per tutti, ma che
al presente sembra costituire piuttosto un impedimento alla piena realizzazione dei
diritti di cittadinanza. In una società complessa come l’attuale, la focalizzazione
scolasticistica perde di senso perché ciò che conta è il risultato e la sua qualità e non
i percorsi con cui si ottengono che possono essere i più vari. Inoltre, l’istruz. e la
formaz., prima che dei doveri, sono dei diritti della persona e vanno assicurati a tutti
in modo pieno. Pertanto, le varie istituzioni che le garantiscono devono operare in
rete, in una prospettiva di solidarietà cooperativa piuttosto che come alternative
tra loro escludentisi. Questo salto di qualità è stato recepito nel nostro Paese con la L.
53/03, la cosiddetta “Riforma Moratti”, che all’art. 2, comma1, lettera c) assicura a
tutti “il diritto all’istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o, comunque,
sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età”.
Bibl.: Rapporto del Gruppo Ristretto di Lavoro costituito con D.M. n. 672 del 18 luglio 2001, in
“Annali dell’Istruzione” 47 (2001) 1/2, 3-176; MALIZIA G. - C. NANNI, “Istruzione e formazione: gli
scenari europei”, in CIOFS/FP - CNOS-FAP (Edd.), Dall’obbligo scolastico al diritto di tutti alla for-
mazione: i nuovi traguardi della Formazione Professionale, Roma, Tipografia Pio XI, 2002, 15-42.
G. Malizia
OBIETTIVI
Gli o. di un’azione formativa costituiscono la dichiarazione delle intenzioni forma-
tive che la comunità, o il singolo docente, assume come riferimento per la pro-
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gettazione, conduzione e valutazione di un intero percorso formativo o di un sin-
golo corso. Si distingue spesso, in base al carattere di generalità e/o d’astrattezza
che assume l’espressione di tali intenzioni, tra o. intesi come finalità istituzionali,
o. considerati come mete educative e/o formative e o. didattici.
1. Finalità istituzionali. Gli o. intesi come finalità istituzionali di un CFP costi-
tuiscono il quadro di riferimento che caratterizza il suo servizio reso alla società.
Il processo formativo è, infatti, un processo intenzionale e l’istituzione formativa,
essendo al servizio della comunità nazionale, regionale e locale, deve tener conto
delle indicazioni che esse, ciascuna secondo la sua competenza, esprimono circa
il suo ruolo. Fonti principali per la specificazione di tali finalità sono, da una parte,
le disposizioni pubbliche e, dall’altra, i caratteri che contraddistinguono l’identità
specifica dell’ Ente promotore dell’istituzione stessa.
2. O. formativo. Una definizione più puntuale di o. formativo può suonare in questo
modo: “intento espresso in modo chiaro e non ambiguo, rispetto al quale è possibile
decidere se un percorso o un processo formativo è giunto al termine e/o è valido
per giungervi”. È inerente a questa definizione il processo decisionale attraverso
il quale la comunità formativa locale giunge alla determinazione e alla formula-
zione non solo delle mete da porre a fondamento della sua azione educativa e didat-
tica, bensì anche dei modi di verifica del loro raggiungimento. Tale processo si
svolge tra due poli di riferimento fondamentali: le finalità istituzionali e i bisogni
educativi dei giovani. Le prime sono lette e interpretate contestualizzandole all’
ambiente sociale e culturale in cui si opera, evidenziandone il significato e il valore
educativo; i secondi sono rilevati nella maniera più fedele possibile e rispondente al
tipo d’intervento prefigurato e quindi interpretati alla luce dei valori e delle finalità
istituzionali contestualizzate. Si tratta di realizzare una vera e propria mediazione
operativa tra un quadro ideale e una situazione reale, tra un dover essere e un dato
di fatto. Questo lavoro consente anche di assegnare priorità tra i vari o. Da una
parte, infatti, sono considerati i valori e le finalità educative secondo un ordine di
importanza dettato da considerazioni generali, dall’altro, viene studiata la distanza o
discrepanza esistente tra definizione ideale e la loro attuale presenza. Questo lavoro
consente alla comunità la scelta e l’organizzazione degli o. formativi.
3. Quadro degli o. La legge sul diritto-dovere alla formaz. fino a diciotto anni in-
dica la necessità di definirne il profilo educativo, culturale e professionale. Di qui
l’impegno nell’articolare il quadro degli o. formativi secondo tre tipologie fonda-
mentali: o. educativi, o. culturali, o. professionali. Evidentemente, nel concreto
della pratica formativa gli interventi mireranno a favorire lo sviluppo di una fe-
conda integrazione tra queste tre dimensioni della crescita personale. Gli o. educa-
tivi sono linee guida, orientamenti di fondo, principi d’azione, che devono infor-
mare sia la dimensione culturale, sia quella professionale. Sono l’orizzonte educa-
tivo entro il quale ci si muove o, se si vuole, il quadro di valori da interpretare e
concretizzare nel contesto dei vari interventi formativi. Probabilmente, molti o.
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educativi possono essere solo parzialmente raggiunti con l’apporto dell’attività for-
mativa strettamente connessa con gli insegnamenti specifici. Molti di essi coinvol-
gono le modalità stesse di organizzazione dell’ambiente formativo, il sistema di
relazioni interpersonali sviluppato, iniziative rivolte alla personalizzazione dei
percorsi formativi e all’ orientamento. D’altra parte, la valutazione relativa al
loro raggiungimento può basarsi solo su giudizi, su elementi colti dall’osserva-
zione sistematica degli allievi, su confronti fatti tra la situazione di partenza e
quella che si ha sotto gli occhi.
4. O. culturali e professionali. Gli o. culturali e professionali si riferiscono più spe-
cificatamente ai singoli insegnamenti, anche se questi vanno considerati nella loro
complessità e interconnessione. Oggi si tende a definire questo tipo di o. in termini
di competenze, cioè di capacità di utilizzare il proprio patrimonio di cono-
scenze, abilità e altre disposizioni interiori, come motivazioni, interessi e aspi-
razioni, per affrontare positivamente situazioni e problemi di natura culturale e/o
professionale. Nascono di conseguenza alcuni problemi di definizione di tali o.,
d’organizzazione dei percorsi formativi diretti al loro sviluppo, di valutazione del
loro raggiungimento.
Bibl.: MAGER R., Gli obiettivi didattici, Teramo, Lisciani e Zampetti, 1972; DE LANDSHEERE V., De-
finire gli obiettivi dell’educazione, Firenze, La Nuova Italia, 1977; HAMELINE D., Les objectifs péda-
gogiques, Paris, ESF, 1979; PELLEREY M., Progettazione didattica. Torino, SEI, 1994; ID., Educare,
manuale di pedagogia come scienza pratico-progettuale, Roma, LAS, 1999.
M. Pellerey
OFFERTA FORMATIVA
Progettazione formativa; CFP; Servizi per l’impiego; Apprendistato;
Handicap e FP; Diritti formativi; Economia e formazione; FPI; FP
superiore; Moduli
OPERATORI DELLA FP
I mutamenti normativi che hanno interessato negli ultimi anni la FP in Italia
hanno inciso, non solo sulla tipologia dei corsi e sulla tipologia degli utenti, ma
anche sulle figure professionali incaricate di gestire, erogare, monitorare il pro-
cesso formativo.
Di seguito, sono presentate le funzioni e la figura del formatore, le figure di
sistema e il Direttore.
1. Funzioni del formatore. Dalla più generale, e onnicomprensiva, funzione del
formatore si sono delineate altre funzioni, più specifiche, a cui oggi corrispondono
figure professionali definite. Con minime variazioni di denominazione nelle varie
Regioni, troviamo formatori che sono incaricati delle seguenti funzioni: coordi-
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namento; progettazione, valutazione e analisi del fabbisogno; docenza, docenza-
tutoring, orientamento. In alcuni contesti regionali, sia il docente-tutor ( tutor)
che il docente-orientatore sono figure a sé stanti; si mantiene anche la formula del
formatore-docente, anche se, sempre più spesso, le funzioni sono raggruppate fra
loro. Fin dalle origini la figura del formatore ha presentato i caratteri di un ruolo
professionale molteplice, flessibile in quanto declinato in corsi di diversa struttura,
rivolti a giovani allievi o ad adulti o a fasce di utenza marginale. La crescente com-
plessità dei corsi professionali erogati e la definizione sempre più articolata delle
reali competenze richieste ai formatori ha fatto emergere i settori di intervento
che normalmente sono individuabili come campi di azione dei formatori.
2. Formatore coordinatore. Il formatore coordinatore è colui che segue, sia a livello
amministrativo che didattico, lo svolgimento dei corsi in una sede; le sue compe-
tenze sono di tipo organizzativo e gestionale, la sua attenzione è rivolta alla defini-
zione del corpo docente, alla organizzazione delle condizioni operative per i singoli
corsi, al monitoraggio complessivo dei corsi, fino alla loro rendicontazione eco-
nomico-amministrativa.
3. Formatore progettista. Il formatore progettista (a cui si delegano anche le fun-
zioni di valutatore e analista del fabbisogno) è normalmente incaricato di seguire la
progettazione del CFP dal punto di vista della stesura dei progetti di corsi. Il la-
voro ha più caratteristiche: il progettista infatti deve acquisire competenze nell’ana-
lisi dei bandi Fondo Sociale Europeo o regionali e costruire, sia a livello contenuti-
stico che amministrativo, i singoli progetti. Dunque, oltre al lavoro di ideazione e
scelta dei contenuti dei corsi, il formatore deve svolgere il lavoro di traduzione, in
termini gestionali, dei corsi stessi. Ciò significa individuare le risorse professionali
necessarie, ma anche in via preventiva procedere all’analisi del fabbisogno dei corsi
stessi. Strategica appare, infatti, la funzione del progettista, dal momento che deve
individuare i bisogni formativi dell’utenza a cui si rivolge il singolo corso. Altro
elemento legato alla progettazione formativa è quello della valutazione. In
questo caso si intende una funzione valutativa ad ampio raggio che comprende sia
quella dei risultati dei singoli allievi, sia quella più generale relativa al corso nel suo
complesso, sia quella di tipo amministrativo/gestionale. Ulteriore segmento valuta-
tivo è quello del gradimento del corso da parte degli utenti: la FP per prima, nel
panorama scolastico, ha adottato, infatti, come parametro di qualità dei corsi la
soddisfazione dei partecipanti espressa attraverso strumenti di valutazione adeguati.
4. Formatore orientatore. Legata ai problemi di individuazione dei bisogni del-
l’utenza della FP è la figura dell’orientatore; da alcuni anni la tematica dell’
orientamento è divenuta oggetto strategico di riflessione culturale e professionale,
soprattutto nell’ambito della FP. Gran parte degli allievi della FP è stata poco e
male orientata nel percorso scolastico e lo stesso ingresso nella FP richiede un
accompagnamento che permetta all’allievo di ritrovare motivazione e capacità
di scelta. A tali bisogni risponde la figura del formatore-orientatore.
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5. Formatore tutor. Caratteristica della FP è la figura del formatore-tutor: con
questa dizione si indica una serie di competenze relative alla gestione dei rapporti
con gli allievi che frequentano i corsi. Il tutor segue in modo individualizzato gli
allievi supportando le loro difficoltà di inserimento, i momenti di scarso impegno,
le limitate competenze nell’uso di strumenti didattici, sia tecnologici che tradizio-
nali. Si tratta dunque di una funzione metodologica di sostegno per gli allievi, di
qualsiasi età, volta a migliorare le condizioni di fruizione del percorso professio-
nale.
6. Formatore docente. Più tradizionale è la funzione del formatore-docente: in
questo caso indichiamo il lavoro di insegnamento in aula, ma anche i labora-
tori professionali. Sia pure in proporzioni diverse, sia le funzioni di orientamento
che di tutorato fanno parte della funzione docente, anche nell’ambito scolastico;
tuttavia, la particolare utenza della FP, caratterizzata spesso da problemi legati
a forme di disagio sociale e personale, rende tali funzioni strategiche per la
frequenza dei corsi stessi e particolarmente impegnative in termini di orario lavo-
rativo.
7. Direttore. Altra funzione, in qualche modo legata alla figura e alla carriera del
formatore, è quella del direttore della singola sede; ad essa si attribuiscono funzioni
di gestione complessiva dell’azione formativa svolta e della valorizzazione delle
risorse umane impegnate nel lavoro didattico/educativo e amministrativo.
C. Montedoro
ORIENTAMENTO
O. presenta una notevole variazione nei termini: in ted., Berufsberatung: offrire
consigli per la scelta professionale; in ingl., Career counseling o career guidance:
consigliare o guidare in materia di carriera; l’aggettivo vocational sta per profes-
sionale; poiché il sostantivo o. ha numerosi significati deve essere qualificato con
un aggettivo (scolastico, professionale, educativo); il termine fr. è equivalente al-
l’italiano, Orientation scolaire et professionnelle.
L’o. consiste nell’aiuto che viene dato da un esperto (orientatore, consigliere) ad
un soggetto in crescita perché elabori un progetto di vita ( progetto personale
e professionale) e lo effettui progressivamente durante le fasi del suo sviluppo.
L’obiettivo finale dell’o. consiste in un valido inserimento del soggetto nella
società perché realizzando le sue personali finalità contribuisca nello stesso tempo
alla promozione del bene comune. Da adulto, poi, nello svolgimento della sua
attività professionale, si ispirerà a principi etico-morali e la condurrà da persona
professionalmente matura ( maturità professionale). Per raggiungere tale obiet-
tivo, l’o. si serve di conoscenze e di metodi provenienti dalle discipline sociolo-
giche, antropologiche, psicologiche e pedagogiche.
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1. Origine. L’o. nella sua fase iniziale veniva praticato nell’ambito della psicologia
di consulenza (counseling) e tale collocazione non poteva che essere vantaggiosa,
poiché la sua finalità era promuovere lo sviluppo delle persone, aiutarle ad effet-
tuare un dinamico adattamento al loro ambiente sociale e provvedere al loro be-
nessere fisico e psichico durante tutta la vita. All’o. si sono interessate in sede teo-
rica e operativa anche la psicologia industriale (attualmente, “delle organizzazioni”
psicologia del lavoro) e la psicologia applicata. Numerosi convegni sull’o.
durante il XX sec. sono stati gestiti nell’ambito della psicologia applicata.
2. Gli utenti. Nell’impostazione dell’o. da parte di Parsons, all’inizio del XX sec.,
venivano prese in considerazione alcune caratteristiche fondamentali del soggetto,
in stretto rapporto ai requisiti della possibile occupazione. Tali erano: attitudini, in-
teressi e valori professionali. Le attitudini sono state considerate delle predispo-
sizioni che se sviluppate diventano delle abilità mentali. Da decenni viene fatta
la distinzione tra abilità verbali, numeriche e spaziali che nell’insieme rappresen-
tano il livello generale attitudinale del soggetto. I tre tipi di abilità sono associati
agli indirizzi scolastici e ai settori occupazionali. Il livello e le abilità specifiche
possono essere rilevati con adatti strumenti (batterie attitudinali) che predicono in
buona misura il rendimento scolastico e professionale. Gli interessi e i valori pro-
fessionali rappresentano i motivi per cui un soggetto desidera svolgere una profes-
sione. I valori in particolare sono delle forze motivanti in quanto i valori specifici
sono per la loro natura associati a determinate professioni. Tanto gli interessi
quanto i valori sono alla base delle scelte degli indirizzi scolastici e in seguito con-
tribuiscono alla stabilità e alla soddisfazione nella occupazione scelta.
3. Dimensione informativa. Per una scelta professionale realistica, è necessario
offrire al soggetto delle informazioni sulla situazione occupazionale e sulle oppor-
tunità formative. Egli deve essere informato sulla progressiva trasformazione del
mondo del lavoro per essere flessibile nelle sue preferenze e disponibile alle inno-
vazioni nelle professioni.
4. Metodologie. Per la rilevazione delle caratteristiche del soggetto e per la ge-
stione del processo di o. vengono usati i più svariati procedimenti. Tra i più utiliz-
zati: il colloquio individuale per la raccolta dei dati anamnestici e per definire i
bisogni del soggetto. Sono usati poi vari questionari per accertare le fondamentali
dimensioni di personalità. Una metodologia piuttosto recente consiste nella
stima di competenze da parte del soggetto, nota sotto il nome “bilancio delle
competenze”. Si tratta di un procedimento che consiste nella ricostruzione, valoriz-
zazione e validazione di competenze acquisite dall’utente attraverso l’esperienza
lavorativa e quelle di vita per farne una risorsa utilizzabile nel mercato del la-
voro, formulando e verificando progetti e scelte professionali. Vari questionari
sono disponibili poi per la rilevazione della capacità decisionale dei soggetti (
sviluppo professionale). Una metodologia utile accanto agli interventi sistematici
dell’o. consiste nello “sportello dell’o.”, che si configura come un servizio su ri-
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chiesta di tutti coloro che hanno bisogno di informazioni e di sostegno personale.
L’attività dello “sportello” consiste nel colloquio dell’esperto con l’utente, che può
ottenere informazioni sui percorsi formativi.
5. Dimensione formativa. Assume un ruolo centrale nell’o. e consente agli utenti di
usufruire delle occasioni per sviluppare la personalità nella presa di coscienza di sé
e della propria identità in un contesto sociale e poi operare delle scelte nell’am-
bito della mobilità professionale dovuta alla rapida trasformazione dei settori
lavorativi.
6. Centri di o. ( sede orientativa). Un’attività ordinata ed efficace può essere
svolta solo da una struttura stabile con personale competente, quale è un centro di
o. La gestione dell’o. richiede varie competenze che sono coperte dal consigliere
dell’o.; psicologo, sociologo, pedagogista, informatico, assistente sociale, econo-
mista e documentalista coordinati da un direttore. Il centro svolge delle attività
articolate in accoglienza, in accertamento, in preparazione di profili degli utenti
per stabilire con loro un patto formativo, che rappresenta un vincolo morale dalle
due parti ed è un presupposto per una efficace crescita personale e professionale.
7. L’o. come risposta a nuove situazioni. Dalla storia dell’o. emerge con chiarezza
come gli eventi storici (le due guerre mondiali, la depressione del ‘29 e il lancio
dello Sputnik negli anni ‘50) hanno sollecitato nuove risposte arricchendo la me-
todologia dell’o. e definendo i suoi obiettivi a breve e a lungo termine. Anche
l’attuale situazione della nuova economia chiede una adeguata risposta all’o.
Greenhaus (2003, 521) riporta i dati secondo i quali dal 1979 al 1995 negli USA
sono stati cancellati 43 milioni di posti di lavoro. La perdita di molti tipi di la-
voro, come anche il sorgere di nuovi, ha prodotto “turbolenza” nel contesto occu-
pazionale. Gli esperti del settore, come riportano Guichard e Huteau (2003, 12),
notano che nel futuro le carriere professionali saranno caratterizzate più da un
“caos” che da una regolare crescita professionale. In vista di questa nuova situa-
zione, alcuni autori consigliano ai giovani di acquisire la competenza che permet-
terà loro di analizzare, ad ogni bivio che dovranno affrontare, gli elementi del sé,
le proprie risorse, la struttura dell’ambiente circostante con le opportunità e con le
sue incongruenze. In un mondo di evoluzione molti giovani non potranno elabo-
rare un progetto professionale a lungo termine e dovranno acquisire delle efficaci
strategie a breve termine con frequenti adattamenti. I teorici e i consiglieri dell’o.
dovranno rendersi sensibili alle trasformazioni sociali del momento e dare nuove
risposte.
Bibl.: DEL CORE P. - K. POLÁÈEK - L. VALENTE, “Premesse teoriche”, in G. MALIZIA et al. (Edd.),
Rapporto finale della ricerca “Seconda Indagine Nazionale sui Servizi di Orientamento 1988”,
Roma, CNOS-FAP, 1999, 17-50; BROWN S.D. - R.W. LENT (Edd.), Handbook of counseling psycho-
logy, Third edition, New York, Wiley, 2000; SWANSON J.L. - P.A. GORE, “Advances in vocational
psychology: Threory and research”, in S.D. BROWN - R.W. LENT (Edd.), Handbook of counseling
psychology, Third edition, New York, Wiley, 2000, 233-269; BAKER D.B., “Counseling psychology”,
in I.B. WEINER (Ed.), Handbook of psychology, vol. l, Hoboken NJ, J. Wiley, 2003; FREEDHEIM D.K.
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(Ed.), History of psychology, New Jersey, Wiley, 2003, 357-365; GREENHAUS J.H., “Career dyna-
mics”, in I.B. WEINER (Ed.), Handbook of psychology, vol. 12, Hoboken NJ, J. Wiley, 2003; BORMAN
W.C. - D.R. ILGEN - R.J. KLIMOSKI (Edd.), Industrial and organizational psychology, New Jersey,
John Wiley, 2003, 519-540; GUICHARD J. - M. HUTEAU, Psicologia dell’orientamento professionale:
Teorie e pratiche per orientare la scelta negli studi e nelle professioni, Milano, Cortina, 2003.
K. Poláèek
ORIENTATORE
Operatori della FP; Orientamento
PARI OPPORTUNITÀ
Gli studi sociali degli anni 1944-1965 negli USA e nell’Europa settentrionale evi-
denziano il divario tra ideali di democrazia e persistenza di disuguaglianze e ingiu-
stizie causate da colonialismo, imperialismo e razzismo. La frustrazione delle aspet-
tative di pace, di libertà e di rispetto dell’essere umano diffuse dopo la seconda
guerra mondiale e consolidate dalle normative costituzionali e dal diritto internazio-
nale, genera vive proteste da parte di fasce sociali che maggiormente vivono lo stato
di privazione dei diritti. Si tratta di donne, anziani, minoranze, persone con han-
dicap. Per un verso, la teoria della società pluralista spiega le ragioni storico-sociali
di pregiudizio e discriminazione, indicando le politiche funzionaliste dell’ istruz.;
per altro verso, i teorici dell’antirazzismo evidenziano l’effetto antidemocratico
della esaltazione delle diversità e del pluralismo che rischia, se non controllato, nei
comportamenti sociali, di restringere il campo all’uguaglianza delle opportunità
educative, dando luogo a fenomeni come il bullismo, l’emarginazione scolastica,
la persistenza degli stereotipi nei manuali scolastici, la recrudescenza della disper-
sione scolastica. L’uguaglianza delle opportunità in educ. è la variabile rispetto
alla quale si distribuiscono i modelli causali ora del consenso (centrati sul plura-
lismo culturale), ora del conflitto (centrati sull’antirazzismo). Il divario tra ugua-
glianza raggiunta ed uguaglianza negata in educ. si trasforma nella elaborazione
delle teorie sullo svantaggio relative al soggetto con esigenze specifiche (1965-
1976), delle teorie sull’educ. multiculturale (1976-1996), e delle teorie su esclu-
sione e discriminazione sociale (1996-2003) in materia di istruz. e formaz. Le
tesi concernenti le p.o., soprattutto di sesso e di razza, studiano le condizioni giuri-
diche e sociali di partecipazione delle donne e delle minoranze etniche alla vita ci-
vile, politica, economica, culturale ed individuano gli ostacoli al riconoscimento dei
diritti umani fondamentali, rivolgendo particolare attenzione a donne e bambine.
Nella Costituzione italiana è scritto: le “leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che
impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed
economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elet-
tive” (art. 117 sostituito dall’art. 3 della L. costituzionale 3/01, Modifiche al Titolo V
della parte seconda della Costituzione).
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Bibl.: CORRADINI L., “Diritto all’educazione e allo studio e uguaglianza delle opportunità”, in M.
LAENG (Ed.), Atlante della pedagogia, vol. I, Napoli, Tecnodid, 1990, 233-271; ANTONOURIS G. - J.
WILSON, Equal opportunities in schools. New dimensions in topic work, London, Cassell Educational
Limited, 1991; SAULLE M.R., “Il principio della parità tra i sessi come norma di diritto internazionale
inderogabile”, in G. MORICI (Ed.), Passato, presente e futuro dei diritti dell’uomo, Roma, Euroma -
La Goliardica, 1993, 181-191; ALTIERI G. - F. FARINELLI - S. MEGHNAGI (Edd.), La cultura delle pari
opportunità. Le donne nella storia, nel lavoro, nella società, Roma, Ediesse, 1993; FASANO A. - P.
MANCARELLI, Parità e pari opportunità uomo-donna. Profili di diritto comunitario e nazionale,
Torino, G. Giappichelli, 2001; RUBENSTEIN M., Discrimination. A guide to the relevant case law on
sex, race and disability discrimination and equal pay, London, Butterworths LexisNexis, 2003;
PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA ITALIANA, Legge Costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001. Modifiche
al titolo V della parte seconda della Costituzione, in www.senato.it/parlam/leggi/eleletip.htm,
17.02.2004.
S. Chistolini
PARTI (FORZE) SOCIALI
1. Per una definizione. Le dizioni p.(f.)s. evidenziano immediatamente la difficoltà
a identificare in modo preciso ed esclusivo non solo i soggetti protagonisti, ma
anche il ruolo e l’area specifica di azione che ne caratterizzano l’appartenenza nel-
l’ambito del vasto campo del sociale. Con riferimento, infatti, ai “soggetti” si in-
cludono correntemente nelle p.f.s. i sindacati, gli imprenditori, gli artigiani, i com-
mercianti, ecc., ma anche altri attori dell’area dell’associazionismo ( associa-
zioni) che stanno emergendo nell’ambito delle tematiche relative allo sviluppo dei
diritti, degli interessi e dei servizi connessi all’area del sociale nelle comunità com-
plesse. Alla considerevole dimensione numerica dei soggetti corrisponde, invece,
poca chiarezza e una rilevanza sistemica alquanto limitata quando si tratta di corre-
lare ruoli e aree specifiche alle diverse p.s. presenti nel sociale. Un indicatore di
tale squilibrio si può constatare tra l’uso frequente delle suddette dizioni e la loro
assenza pressoché completa nei dizionari e negli indici analitici della letteratura
economica, scientifica e sociale.
2. Contesto storico. Possiamo comunque constatare che il senso comune attribuito di
volta in volta alle p.f.s. si specifica concretamente nelle diverse congiunture storiche
in cui si trovano ad operare i soggetti protagonisti. Accade così che il medesimo sog-
getto – ad es. il sindacato – si qualifichi come “f.s.” nei contesti di confronto-
scontro nelle situazioni conflittuali del mondo del lavoro, mentre viene percepito
prevalentemente come “p.s.” in periodi di sviluppo di istanze diffuse di partecipa-
zione responsabile allo sviluppo complessivo e integrale dei cittadini che, con ruoli
diversi, tendono a concorrere alla realizzazione di un bene comune e condiviso. In
questa seconda accezione, sempre con riferimento al sindacato, si possono svilup-
pare alcune caratteristiche di collocazione, di identità e di azione che esso assume
come “p.s.”: nell’ambito dell’associazionismo, della rappresentanza sociale, della
partecipazione sociale e nei ruoli svolti per raggiungere e sottoscrivere Intese, Patti
e Accordi con i vari soggetti istituzionali, politici e amministrativi.
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3. Configurazione organizzativa. Nel contesto italiano, la principale fonte di docu-
mentazione dell’organizzazione delle “f.s.” è raccolta e aggiornata presso l’ar-
chivio del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), organismo
composto da rappresentanti del mondo dell’ impresa, del lavoro autonomo, del
lavoro dipendente (es., Confindustria, Confcommercio, Confartigianato, Confeser-
centi, Coldiretti, Confapi, Coldiretti, Confcooperative, CISL CGIL, UIL, CUB,
ecc.) da esponenti del mondo dell’associazionismo sociale e delle organizzazioni
del volontariato (es., Acli, Arci, Compagnia delle Opere, Forum Permanente Terzo
Settore, Movi, ecc.). L’archivio CNEL alla voce f.s. costituisce una banca dati con
lo scopo di offrire alle istituzioni, alle stesse rappresentanze sociali, e a tutti gli
interessati, un servizio aggiornato di informazioni e dati su come è articolata e
organizzata l’area della rappresentanza di interessi e la rappresentanza sociale nel
nostro Paese.
4. Partecipazione sociale. Al di là della problematica storica e analitica del con-
cetto stesso di “partecipazione” (che qualifica prevalentemente la collocazione più
diffusa attualmente delle p.s.), è utile rilevare nell’economia di queste annotazioni
i livelli e le dimensioni delle azioni poste in essere dalle p.f.s. nel contesto recente
della vita democratica del nostro Paese. Un primo rilievo fa riferimento all’im-
pegno di partecipazione che i soggetti svolgono nell’adempimento dei propri ruoli
in coerenza col rispettivo quadro di riferimento valoriale nell’area dei diritti di cit-
tadinanza, volontariato, cooperazione, solidarietà. Un secondo aspetto riguarda
l’azione delle p.s. a sostegno dell’efficacia della partecipazione come rapporto de-
cisionale, che si configura come un far parte di processi orientati a raggiungere un
approdo sancito e condiviso e dove il livello di partecipazione è proporzionale alla
possibilità di influenzare, manifestando e sostenendo interessi e preferenze riferite
alla propria appartenenza istituzionale. Un terzo livello di partecipazione delle p.s.
comporta l’azione diretta al fine di estendere la partecipazione definita al secondo
livello, estensione che può riguardare anche la tipologia dei soggetti (istituzionali,
politici, amministrativi, associativi, ecc.), nonché le sfere della decisione da pren-
dere (Intese, Patti, Accordi, ecc.).
5. Crisi e sviluppo. Il confronto con le p.s. sta assumendo nel contesto italiano un
ruolo sempre più diffuso specialmente nei rapporti con le istituzioni e le ammini-
strazioni nazionali e territoriali ai diversi livelli di informazione, di pareri, di coin-
volgimento, di approvazione, di sottoscrizione. Lo sviluppo della partecipazione
dei soggetti è spesso innescato dalla mobilitazione sociale di ampi strati della po-
polazione, prima esclusi in tutto o in parte dai circuiti dell’economia, della politica
e dei diritti di cittadinanza. La crisi si verifica, invece, quando la classe politica
e i gruppi dirigenti in genere non sanno fornire soluzioni istituzionali adeguate. In
simili situazioni, le p.s. si trovano a dover superare eccessi di tecnocrazia e di bu-
rocratizzazione, che creano distanze sempre più marcate nel tessuto sociale. Ana-
loghe situazioni di crisi si verificano in situazioni dove la dilatazione del sistema
politico invade sfere, attività e organizzazioni tipiche della società civile. Le vi-
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cende alterne del ruolo delle p.s., sindacati e imprese, nei confronti con il Governo
sono documentabili con alcuni riferimenti recenti a cominciare soprattutto dagli
anni ‘90, che interessano anche l’ambito di materie nuove quali la cultura, l’
istruz., la formaz. Tra questi ultimi si possono ricordare: l’Accordo del 31 luglio
1991, che ha azzerato la scala mobile e posto le basi per una nuova struttura del
salario; l’Accordo sul costo del lavoro del 23 luglio 1993; l’Accordo per il lavoro e
l’occupazione del 24 settembre 1996, con i primi riferimenti al diritto alla formaz.
fino ai 18 anni di età; il Patto Sociale per lo sviluppo e l’occupazione, del 22 di-
cembre 1998, che viene indicato, tra l’altro, come riferimento inedito nell’espe-
rienza politica per l’elaborazione della “legge-quadro in materia di riordino dei
cicli dell’istruzione” (L. 30/2000, abrogata con la L. 53/03). Se questi sono ele-
menti positivi e di sviluppo della cosiddetta fase di “concertazione” ( part-
nership) con le p.s., bisogna subito aggiungere come le spinte ad un ritorno alla
prassi opzionale del “confronto”, che rimanda ai rapporti di forza, allontana negati-
vamente non solo l’azione partecipativa, ma soprattutto quella decisionale con il
coinvolgimento delle p.s.
Bibl.: BOBBIO N., L’età dei diritti, Torino, Einaudi, 1990; SARTORI, G., Democrazia, cos’è?, Milano,
Franco Angeli, 1993; BAGLIONI G., Democrazia impossibile? Il cammino della partecipazione nel-
l’impresa, Bologna, Il Mulino, 1995; ROMANI M., Appunti sull’evoluzione del sindacato, Roma, Edi-
zioni Lavoro, 2000; NAPOLI M., Principio di sussidiarietà, Milano, Vita e Pensiero, 2003.
P. Ransenigo
PARTNERSHIP
La p. (o partenariato, o anche concertazione), introdotta dalla Riforma dei Fondi
Strutturali del 1988, è uno dei principi generali su cui si fonda la politica di co-
esione economica e sociale dell’UE.
1. Sancito nel Regolamento CEE n. 2081/93 del Consiglio e successivamente riba-
dito nel Regolamento CEE n. 1260/99, il principio di partenariato ha rappresentato
una profonda innovazione delle politiche dell’UE. Strettamente connesso al prin-
cipio di complementarietà, in base al quale la Commissione ritiene che l’azione
strutturale da essa svolta deve essere complementare rispetto alle iniziative realiz-
zate a livello nazionale, per p. s’intende quella forma di concertazione che, a di-
versi livelli, si realizza nella programmazione e attuazione dei Fondi Strutturali.
L’obiettivo è infatti quello di assicurare il coinvolgimento di tutti i soggetti istitu-
zionali competenti e delle parti economiche e sociali nella definizione della poli-
tica di coesione e di garantire la massima efficacia dell’azione comunitaria. L’art. 8
del Regolamento 1260/99, infatti, dispone che l’azione comunitaria è complemen-
tare alle azioni nazionali corrispondenti o vi contribuisce. Ciò è il risultato della
stretta concertazione tra la Commissione, lo Stato membro interessato, le autorità e
gli organismi designati dallo Stato membro, nel quadro delle proprie normative
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nazionali, delle prassi correnti, comprese le autorità regionali e locali e le altre
autorità pubbliche competenti, le parti economiche e sociali ( parti sociali), gli
altri organismi competenti in tale ambito.
2. La p., come precisa il suddetto regolamento, sempre operando nel pieno rispetto
delle competenze istituzionali, giuridiche e finanziarie di ciascun partner, si con-
cretizza in tutte le principali fasi della programmazione e dell’attuazione degli in-
terventi: elaborazione dei Piani, negoziazione e approvazione dei Quadri comu-
nitari di sostegno, attuazione delle forme di intervento, azioni di sorveglianza e di
valutazione (ex ante ed ex post) delle azioni intraprese. Con un’accezione diversa,
invece, per p. si intende anche la formula, spesso presente fra le condizioni neces-
sarie di partecipazione ad un programma comunitario, che indica la necessità di
collaborazione di più soggetti, appartenenti a Stati diversi, per l’attuazione di un
progetto. Le modalità concrete di p. possono essere diverse e sono specificate nei
singoli programmi.
Bibl.: COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE - ISFOL - MINISTERO DEL LAVORO, Fondo sociale
Europeo: Strumenti e percorsi per l’accesso, Roma, Il Centro Stampa, 1996.
E. Marsilii
PATTO ORIENTATIVO - FORMATIVO
Orientamento; Accoglienza
PEDAGOGIA DEL LAVORO
Area della ped. sociale che si occupa della riflessione attorno al lavoro come
uno dei luoghi di educ. permanente della persona.
Già nel XVII sec. Comenio vedeva nel “fare” delle mani il contributo allo sviluppo
armonico dell’uomo, una modalità di apprendimento e di espressione personale
in continuità con l’azione del mastro artigiano medioevale; la spiritualità della
Riforma cattolica si orientò all’educ. al lavoro nella formaz. dei poveri e degli
orfani. Locke la aprirà anche alla formaz. del gentleman, mentre il movimento delle
scuole attive (XIX sec.) proporrà curricoli formativi costruiti sul lavoro in concor-
renza con la scuola umanistica (Bürgerschule di Salomon, 1893), riconoscendo il
lavoro manuale come necessario per l’educ. di tutti i bambini attraverso una speci-
fica didattica. Troviamo così in Russia la trudovaja skola del Blonskij (1919); a
Monaco di Baviera la arbeitschule del Kerschensteiner (1925); se ne occuperanno
anche Dewey, Frenet, Ferrière. In Italia, la “Carta della scuola” voluta dal Bottai
pose il lavoro come aspetto centrale della formaz. dell’uomo fascista.
Un secondo filone pedagogico sorge dalle teorie sull’educ. permanente affermando
come all’interno del lavoro produttivo si ritrovano aspetti educativi dell’uomo.
Oltre il taylorismo, già Hessen (1950) proponeva l’idea di un “secondo mondo del
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lavoro” come assieme di elementi sociali e culturali, nella tensione alla piena rea-
lizzazione umana del lavoratore. La valorizzazione della risorsa umana e quindi
della competenza come aspetto essenziale del lavoratore, delina un quadro di
riferimenti a processi educativi che fanno pensare ad un continuum fra istruz.,
FP e lavoro direttamente agito nelle imprese.
Bibl.: HESSEN S., Pedagogia e mondo economico, Roma, AVIO, 1950; BOCCA G., Pedagogia del
lavoro. Itinerari, Brescia, La Scuola, 1998.
G. Bocca
PERCORSO FORMATIVO
Progettazione formativa; Tirocinio; Valutazione; Accoglienza;
Accompagnamento al lavoro; Contratto formativo; Credito formativo;
Curriculum vitae; Disagio; Esclusione sociale; FPI; Obiettivi formativi;
Apprendimento
PERSONALIZZAZIONE
Riferimento del percorso educativo-formativo alla specifica realtà personale del-
l’allievo. Personalizzare significa delineare differenti percorsi di trasferimento-
acquisizione delle conoscenze, abilità e competenze, in base alle caratteri-
stiche proprie di ciascun allievo: stili di apprendimento, metodi di studio, carat-
teristiche peculiari. Il concetto di p. impone un’analisi dei bisogni dei soggetti
che porti a modalità organizzative diversificate per gruppi, che possono variare a
seconda degli obiettivi di apprendimento.
1. Il concetto di p. è strettamente connesso a quello di successo formativo ( suc-
cesso scolastico e professionale). Esso si realizza nel momento in cui la persona è
in grado di trasformare le proprie capacità (attitudini, atteggiamenti, risorse,
vocazione) in competenze, al fine di ottenere comunque un risultato soddisfacente
nel senso del conseguimento di una qualifica professionale, garanzia di sup-
porto all’inserimento lavorativo ( accompagnamento al lavoro); della possibilità
di una prosecuzione della formaz. (diploma di formaz., diploma di formaz.
superiore) e di un passaggio anche nei Licei e nell’Università.
2. Il tema della p. rappresenta uno degli snodi centrali nelle riforme dei sistemi
formativi. Le politiche scolastiche degli ultimi decenni si sono concentrate deci-
samente sull’obiettivo della scolarizzazione di massa dei cittadini, affinché tutti
potessero usufruire di una istruz. di base. Si è trattato di un grande sforzo che
ha condotto a risultati indubbi, anche se il modo in cui si sono realizzati è stato
condizionato da un lato dagli approcci prevalenti e dalle risorse impiegate, e dal-
l’altro dall’influenza del contesto e dalle sue nuove sfide. Va infatti ricordata la
dominanza di metodologie basate sulla garanzia del perseguimento di obiettivi
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standard per tutti. La “ped. degli obiettivi” si è ben prestata in questa direzione, ma
nel fare ciò non ha potuto impedire che si creasse una omologazione delle pratiche
pedagogiche, che hanno teso a rivolgersi ad una figura indistinta, una sorta di “stu-
dente medio” che in realtà non esiste, scontentando da un lato i soggetti più in dif-
ficoltà e quelli portati all’eccellenza, senza peraltro stimolare adeguatamente le
persone mediamente dotate. Ciò anche a causa della repulsione ideologica per le
pratiche pedagogiche differenziate, ritenute sempre come sinonimo di disugua-
glianza e di ingiustizia sociale.
3. Pellerey riassume nelle seguenti tre le caratteristiche di una formaz. personaliz-
zata: “in primo luogo si mette in risalto la fondamentale e irripetibile caratterizza-
zione dei diversi soggetti educandi. Volerli tutti imbrigliare in un unico progetto e
in un analogo percorso educativo significa da una parte misconoscere la realtà e la
dignità delle singole persone, dall’altra esporsi a brucianti delusioni e fallimenti. In
secondo luogo si constata che è difficile prevedere in anticipo tutti i bisogni e le
possibilità educative che durante l’attività educativa emergeranno. Essere prigio-
nieri di un progetto prefabbricato rende ciechi e sordi a nuove istanze, a occasioni
inaspettate, a nuove presenze e a nuove prospettive. Le cose veramente importanti
nel fatto educativo sono l’attività e l’esperienza che vengono proposte, che devono
essere in sé cariche di potenzialità e di valori in molte direzioni. Ciascun giovane
le vivrà secondo il suo animo e la sua motivazione, le farà fruttificare secondo i
propri ritmi, il proprio stile, arricchendo se stesso secondo le proprie esigenze e
prospettive. In terzo luogo ci si espone a pericoli di formalismo tecnicista, di buro-
cratismo, di comportamentismo riduttivo” (Pellerey, 1999, 162-163).
4. Diversamente dall’individualizzazione, la p. avviene generalmente entro un
gruppo e prevede una flessibilità nell’aggregazione di gruppi di allievi: gruppi
classe (per alcuni scopi), gruppi di livello (per altri scopi), gruppi d’interesse o
elettivi. Il gruppo classe va inteso soprattutto come ambito che sostiene il processo
di socializzazione piuttosto che un gruppo di apprendimento, mentre solo quando
si costituiscono gruppi di “scopo” gli allievi imparano meglio.
5. La p. è quindi ad un tempo una opzione metodologica di fondo che caratterizza
per intero l’opera dell’educatore, ma indica pure una serie di azioni specifiche che
consentono di perseguire il fine del successo formativo per tutti. Le azioni di p. con-
sistono in laboratori di approfondimento e di recupero, attività connesse ai passaggi
tra ambiti e sistemi formativi, laboratori di livello ed elettivi, attività di alter-
nanza, esperienze di autoformazione, laboratori di sviluppo di capacità personali.
Bibl.: GENTILE G., La risorsa umana: un potenziale pressoché illimitato, Milano, Franco Angeli,
1995; PELLEREY M., Educare. Manuale di pedagogia come scienza pratico-progettuale, Roma, LAS,
1999; ISFOL, La personalizzazione dei percorsi di apprendimento e di insegnamento, Milano,
Franco Angeli, 2001; CHIOSSO G., Personalizzazione dei percorsi e qualità della scuola, in “Nuova
Secondaria”, 7 (2002), 13-18; NICOLI D., La personalizzazione dei percorsi formativi, in “Rassegna
CNOS”, 1 (2003), 24-38.
D. Nicoli
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POLITICHE DEL LAVORO
Economia e formazione
POLITICHE FORMATIVE
Per p.f. si intende l’insieme degli interventi posti in essere dall’autorità pubblica
nella scuola e nella FP in vista del raggiungimento del bene comune.
1. Una scuola che istruisce. Con una formula sintetica si può forse dire che in
questo momento si contendono il campo quattro visioni diverse delle p.f. Una
prima ipotesi è costituita da un modello di scuola/CFP finalizzata esclusivamente o
quasi al perseguimento di obiettivi cognitivi, all’ istruz. cioè. In tale ipotesi la
formaz. intellettuale occupa il centro della scena e l’intelligenza viene immaginata
a guisa di un calcolatore naturale che bisogna far funzionare nel modo più efficace
in risposta alle sollecitazioni dell’ ambiente. Inoltre, riprende credito la tesi tra-
dizionale della separazione della scuola dalla vita, interpretata tuttavia in una ma-
niera nuova, come strategia per consentire la simulazione scientifica delle opera-
zioni da ripetere nel concreto. Le finalità della formaz. non vengono identificate
in una formaz. globale centrata sulla cultura generale, ma nella preparazione pro-
fessionale focalizzata su contenuti di natura scientifico-tecnologica. L’ipotesi può
comportare degli effetti negativi sulla dimensione formativa dei processi di in-
segnamento/ apprendimento e, di conseguenza, sul contributo della scuola/CFP
alla maturazione della persona.
2. Una scuola che seleziona. Un’altra formula è quella di un sistema formativo che
seleziona, che è modellato sulla base di “politiche di eccellenza”. È uno scenario
tutto dominato dalla centralità degli esami e delle votazioni e dal primato della
qualità dell’insegnamento. L’analogia fondamentale è data dall’azienda: pertanto,
la finalità prioritaria consiste nel produrre, mediante la combinazione ottimale dei
vari fattori, un risultato che dovrà essere valutato sul piano quantitativo e qualita-
tivo e di cui si dovrà rendere conto ai diversi utenti/pagatori; diviene essenziale il
concetto di “performance”, cioè di acquisizioni formative misurabili e obiettiva-
mente registrate; la gestione delle strutture formative, del personale e delle risorse,
assume un carattere autonomo e flessibile. In sostanza, la scuola/FP verrebbe ad
essere pervasa dalla logica del merito e della concorrenza, il libero mercato entre-
rebbe nel mondo della formaz. e il sistema formativo si muoverebbe a due velo-
cità, una per la massa e l’altra per un’élite intellettuale. In altre parole, questa
scuola significa il trionfo dei valori neo-borghesi e del loro individualismo che non
vanno molto d’accordo con un’etica della solidarietà sociale.
3. Il modello tecnocratico. La terza ipotesi è costituita dal modello tecnocratico:
si tratta di una formaz. che si basa tutta sulla telematica, sulle banche dati, sui
computer. Si caratterizza per l’esplosione dei luoghi di formaz. attraverso il decen-
tramento dei processi di insegnamento/apprendimento nel proprio domicilio sulla
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base di reti telematiche e dell’interdipendenza di strutture diverse, collegate con
una sede centrale di consulenza, di risorse e di valutazione. Esso comporta una
modificazione profonda delle condizioni di organizzazione interna del sistema for-
mativo, compresa la gestione del personale, implica uno sviluppo adeguato del
software didattico e soprattutto presuppone investimenti consistenti in attrezzature
e nella preparazione dei formatori ( operatori della FP). In questo caso, l’effi-
cientismo e il tecnicismo potrebbero mortificare i valori etici e spirituali che
rispondono a una logica sostanziale e non strumentale.
4. L’impostazione neo-umanistica e solidaristica. Anzitutto questa mantiene la
priorità della funzione formativa sull’istruttiva: in altre parole, la formaz. viene
intesa come sviluppo globale della personalità, tanto sul piano cognitivo, che su
quello emotivo e valoriale, tanto degli aspetti individuali che della dimensione
sociale. Sul piano strutturale i punti di riferimento sono la politica dell’alternanza e
il sistema integrato. Le finalità vengono individuate nei valori emergenti della soli-
darietà, dello sviluppo, della protezione dell’ambiente, della tutela dei diritti
umani, della mondialità. L’innovazione viene perseguita mediante procedure de-
mocratiche e partecipative: in particolare, la singola comunità educativa ( comu-
nità educativo formativa) diviene lo strumento per eccellenza di gestione del
sistema formativo e di costruzione del tessuto educativo locale. Essa implica la
scelta della progettualità, della flessibilità, della collaborazione, della promozione
del privato sociale, per ovviare alle inadeguatezze del gigantismo degli apparati
amministrativi della scuola. Indubbiamente, la scelta neo-umanistica e solidaristica
è esposta al rischio della retorica delle proclamazioni inefficaci e del trionfalismo
di un’utopia totalmente priva di agganci con la realtà concreta. Tuttavia, appare
anche come l’unica strada che permette di affrontare in modo efficace le sfide edu-
cative attuali. Questa sembra sostanzialmente l’impostazione anche del rapporto
Delors che presenta le strategie dell’UNESCO per il XXI sec. (Delors et al., 1996).
Bibl.: FAURE E. et al., Learning to Be, Paris/London, UNESCO/Harrap, 1972; CRESSON E. - P. PLYNN,
Insegnare e apprendere. Verso la società conoscitiva, Bruxelles, Commissione Europea, 1996;
DELORS J. et al., L’éducation. Un trésor est caché dedans, Paris, Editions UNESCO/Editions Odile
Jacob, 1996; NANNI A., Quale educazione per il ventunesimo secolo, in “Proposta Educativa”, 3
(1998) 19-31; MA L I Z I A G. - C. NANNI, “Istruzione e formazione: gli scenari europei”, in CIOFS/FP
- CNOS-FAP (Edd.), Dall’obbligo scolastico al diritto di tutti alla formazione: i nuovi traguardi
della Formazione Professionale, Roma, Tipografia Pio XI, 2002, 15-42.
G. Malizia
PORTFOLIO
Valutazione; Tutor; Lingua straniera
PREDIZIONE DELL’ESITO SCOLASTICO E PROFESSIONALE
Orientamento
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PREVENZIONE
La p. può essere definita come “l’insieme degli interventi sulle persone sane e
sull’ambiente ed ha come fine l’anticipazione di un evento patogeno in modo da
impedire che esso si manifesti” (Merenda, 1995, 16).
1. Il concetto di p. è intimamente connesso con quello di salute o benessere. Tale
stato viene attualmente minacciato da alcuni comportamenti collettivi “a rischio”:
abuso di sostanze stupefacenti e tossiche (dall’alcool al fumo), condotte perico-
lose. Tali comportamenti, che nascono probabilmente da situazioni di disagio,
mettono a repentaglio sia la salute dell’individuo, sia la sicurezza degli altri. La p.
allora può essere intesa come la difesa dei “buoni” contro il pericolo rappresentato
dai “devianti”: è la classica p. “repressiva”.
2. Accanto a questa, si fa strada una concezione “promozionale” della p. che mira
ad incidere sulle cause del disagio e dell’emarginazione, prevenendone lo stabiliz-
zarsi: sia cause oggettive, strutturali, esterne al giovane, cui si fa fronte diretta-
mente con interventi sociali e politici; sia cause soggettive, personali, interne
al giovane, cui si fa fronte direttamente attraverso i processi educativi e formativi
( processo formativo), e indirettamente con interventi politici. Promuovere la p.
in senso educativo significa non solo far evitare esperienze che possono avere con-
seguenze negative sul processo di maturazione umana, ma anche anticipare ed ac-
compagnare processi positivi di crescita, offrirne gli strumenti adeguati, con una
appropriata relazione educativa. Significa potenziare nel giovane la capacità di de-
cisione, di progettualità, di coerenza verso livelli sempre più alti di maturità. Signi-
fica aiutarlo a sviluppare la capacità di anticipare lui stesso e risolvere corretta-
mente i problemi, di prevenire gli esiti negativi del disagio, della marginalità, della
problematicità, che sono diventate dimensioni ormai generali e normali della vita
di oggi. Ciò permette di introdurre concetti recenti come quelli di empowerment,
coping e resilienza. Concetti tutti che tendono a promuovere nell’individuo la
capacità di reagire, utilizzando le risorse interiori per emergere da situazioni svan-
taggiose o stressanti, conseguendo una propria maturità e realizzazione, senza
ricorrere a strumenti illegali o nocivi.
Bibl.: BUSCEMA M., Prevenzione e dissuasione. Saggi teorico-critici, Torino, EGA, 1986; MION R.
(Ed.), Emarginazione e associazionismo giovanile. Emarginazione, disagio giovanile e prevenzione
nella società italiana dal 1945 ad oggi, Roma, Ministero dell’Interno, 1990; REGOGLIOSI L., La
prevenzione del disagio giovanile, Roma, NIS, 1994; MERENDA P., Educazione alla salute e scuola,
Torino, SEI, 1995.
G. Vettorato
PROBLEM SOLVING
Il p.s. (soluzione di problemi) consiste in una strategia cognitiva attraverso la quale
la persona, posta di fronte ad una situazione problematica, ovvero non risolvibile
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facendo appello alle conoscenze e alle strategie in quel momento disponibili, è
portata a generare nuove alternative di soluzione per poi selezionare, tra queste,
quelle ritenute più efficaci.
La strategia consta di alcune fasi ben codificate e con carattere di propedeuticità:
1) Orientamento generale. È la fase nella quale la persona dopo aver percepito
il problema decide di assumere una posizione attiva nei confronti dello stesso;
2) Definizione del problema. È la fase nella quale la persona raccoglie tutte le in-
formazioni utili a definire la situazione problematica in termini concreti e specifici,
in modo tale da identificare gli obiettivi da raggiungere; 3) Produzione di alterna-
tive. È la fase nella quale la persona, facendo ricorso alla propria creatività e supe-
rando l’inibizione connessa alle proprie funzioni critiche e ai propri condiziona-
menti, cerca di produrre il maggior numero di idee senza preoccuparsi della loro
fattibilità. Tale fase si attua applicando le regole del differimento del giudizio (la
valutazione è posposta al termine dell’elencazione delle alternative) e della quan-
tità che genera la qualità (maggiore è il numero delle alternative prodotte, mag-
giore è la possibilità di trovare soluzioni efficaci); 4) Assunzione di decisioni. È la
fase nella quale la persona, dopo aver previsto per ciascuna alternativa le possibili
conseguenze (a breve e a lungo termine, personali e sociali), formula la scelta su
come operare; 5) Verifica dell’efficacia dell’alternativa prescelta. È la fase in cui
la persona valuta l’utilità delle strategie e delle tattiche elaborate rispetto agli
obiettivi formulati nella definizione del problema.
La strategia del p.s. ha una gamma di applicazione molto ampia e può essere adot-
tata per problemi di natura personale, interpersonale, scolastica e professionale.
Bibl.: HOLYOAK K.J., “Problem solving”, in D.N. OSHERSON - E.E. SMITH (Edd.), Thinking: An Invi-
tation to cognitive science, Cambridge, MA, The MIT Press, 1990, 117-146; MAYER R.E., Thinking,
problem solving, cognition, New York, Freeman, 1992; MEAZZINI P., “Usare le risorse delle mente”,
in P. MEAZZINI, L’insegnante di qualità, Firenze, Giunti, 2000, 137-194.
A. R. Colasanti
PROCESSO FORMATIVO
L’espressione p.f. non è di facile definizione. Di fatto viene usata sia come sino-
nimo, o anche inclusivo, di “p. educativo e/o didattico”, come anche con un signi-
ficato specifico in qualche modo distinto, cioè riferito alla preparazione profes-
sionale. Ciò dipende dall’uso variegato del termine formaz., del quale conviene
rilevare in particolare due accezioni: una ampia, ossia come sinonimo, o meglio
inclusivo, di educ., istruz., apprendimento, addestramento, aggiornamento
( FP continua), come indicativo del processo di integrale sviluppo personale e
come azione umanizzatrice attraverso la cultura; una ristretta, come azione forma-
tiva inerente all’acquisizione di competenze riferite a dimensioni particolari della
personalità (formaz. intellettuale, sociale, religiosa, ecc.) o alla preparazione profes-
sionale secondo ruoli e categorie di lavoro (formaz. iniziale-continua/permanente
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dei genitori, degli insegnanti, dei formatori, dei lavoratori, degli specialisti, dei
manager, ecc.).
1. P.f. come azione organizzata, permanente. Sia nell’uno che nell’altro significato,
per p.f. si può intendere l’insieme delle interazioni educativo-didattiche miranti ad
un armonico, graduale e costante sviluppo, che si instaura nei e per i soggetti in di-
rezione dei fini formativi. Ogni p.f., pertanto, comporta una finalizzazione orga-
nica dei suoi vari momenti, in termini di continuità (verticale e orizzontale), di di-
namicità e integralità, così pure un’attenta analisi dei bisogni di formaz. (degli
individui e dell’organizzazione) e una coerente progettazione / realizzazione /
valutazione delle attività/interventi e dei risultati che si ottengono durante e alla
fine del percorso. Senza un chiaro progetto educativo/formativo ( progettazione
formativa), il p.f. rischia frammentarismo, disorganicità, nonché spreco di ri-
sorse umane ed economiche degli individui e delle istituzioni. Ogni p.f., anche
quando avviene “a distanza” ( formaz. a distanza), suppone delle mediazioni (in-
terpersonali, istituzionali e non) di vario tipo, in attenzione alla dignità della per-
sona umana e ai suoi bisogni formativi (sapere, saper fare, saper essere), lungo la
vita, nel contesto socio-culturale odierno, sempre più caratterizzato da rapido cam-
biamento e interdipendenza. Il p.f., dunque, ha bisogno di essere considerato nella
sua globalità, nella prospettiva della formaz. dell’uomo e del cittadino consapevole
della propria collocazione nel mondo e capace di collaborare, in modo responsa-
bile, costruttivo e creativo, alla realizzazione del bene comune.
2. P.f. e sua promozione. Nel p.f intervengono molti fattori (umani, culturali, istitu-
zionali, materiali e ambientali) la cui conoscenza è indispensabile per un’adeguata
conduzione del p.f. il quale sta divenendo sempre più complesso non solo per un’e-
sigenza di personalizzazione pedagogico-didattica, orientatrice, promotrice del-
l’autoformazione dei soggetti formandi, ma anche a motivo della complessità della
società in generale e del mondo del lavoro in particolare, che pongono nuove
questioni alla stessa formaz. ed esigono una costante ottimizzazione, in termini di
qualità, tanto dei processi quanto dei “prodotti”/esiti della formaz. sia scolastica
che professionale propriamente detta, una capacità di ricerca-azione, un operare si-
nergico nel quadro di un sistema formativo integrato e in rete. Una sensata orga-
nizzazione e conduzione del p.f. all’altezza dei tempi richiede non solo la prepara-
zione iniziale, ma anche quella permanente dei formatori, alla luce sia delle
scienze dell’educ. e della formaz., sia anche di quelle dell’organizzazione e della
comunicazione.
Bibl.: DOMINICÉ P., L’histoire de vie comme processus de formation, Paris, L’Harmattan, 1990; ALÌ
G., “Proceso educativo”, in G. FLORES D’ARCAIS - I. GUTIÉRREZ ZULOAGA (Edd.), Diccionario de
ciencias de la educación, Madrid, Ediciónes Paulinas, 1990, 1525-1528; QUAGLINO G.P. - G.P. CAR-
ROZZI, Il processo di formazione. Dall’analisi dei bisogni alla valutazione dei risultati, Milano,
Franco Angeli, 1990; FABRE M., Penser la formation, Paris, PUF, 1994; GIANOLA P., “Processo edu-
cativo”, in J.M. PRELLEZO - C. NANNI - G. MALIZIA (Edd.), Dizionario di scienze dell’educazione,
Leumann (TO)/Roma/Torino, ElleDiCi/LAS/SEI, 1997, 858-859; NANNI C., “Formazione”, in J.M.
PRELLEZO - C. NANNI - G. MALIZIA (Edd.), Dizionario di scienze dell’educazione, Leumann
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(TO)/Roma/Torino, ElleDiCi/LAS/SEI, 1997, 432-435; PINEAU G., “Formation”, in P. CHAMPY - C.
ETÉVÉ (Edd.), Dictionnaire encyclopédique de l’éducation et de la formation, Paris, Nathan, 1998,
459-462.
H.-C.A. Chang
PROFESSIONALITÀ
P. è tradizionalmente il carattere di una attività lavorativa che si segnala per essere
specializzata, altamente qualificata, di riconosciuta utilità sociale, svolta da indi-
vidui che hanno acquisito una competenza specialistica attraverso un preciso
percorso di studio orientato a tale obiettivo (Gallino, 1993, 516).
In tale prospettiva, chi possiede una determinata p., ovvero esercita una determi-
nata professione, è tradizionalmente associato all’idea di appartenenza ad una posi-
zione medio-alta, di prestigio, all’interno del sistema della stratificazione sociale.
In particolare, ciò che avviene è l’identificazione tra il concetto di p. e l’idea che la
lega strettamente all’esercizio delle cosiddette “professioni libere”: quelle di avvo-
cato, notaio, medico, ingegnere.
1. In senso lato, tuttavia, è andata sempre più diffondendosi una seconda accezione
di p., ovvero quella riferibile ai connotati di una qualsiasi attività lavorativa svolta
con continuità, tanto in forma subordinata, quanto in forma autonoma. Ovvero, il
cosiddetto “professionismo” è andato diffondendosi in ambiti del mercato del
lavoro sino a poco tempo fa non definiti in tal senso, toccando una larga varietà
di posizioni lavorative. Per l’una e per l’altra accezione di p., una prima questione
di cruciale interesse riguarda la grande rilevanza che assume, in rapporto ad essa,
il tema della formaz. Nel primo caso, l’idea di p. come attività lavorativa alta-
mente qualificata, poiché essa passa necessariamente attraverso il conseguimento
di un titolo di studio e di una abilitazione. Nel secondo caso, l’idea di p. come
esercizio di una qualsiasi attività lavorativa, poiché essa include comunque impie-
gati di medio-alto livello, tecnici, operai specializzati (in fr., professionnels),
ovvero individui per i quali è riconoscibile il fatto che si siano qualificati al fine
di svolgere una determinata attività lavorativa.
2. Una seconda questione riguarda il rapporto tra professione, etica e coesione
sociale, problema che ha interessato la sociologia sin dal suo sorgere come disci-
plina. La società capitalistica moderna, infatti, avrebbe legittimato il mantenimento
di posizioni privilegiate nel mercato e nella stratificazione della società da parte
delle professioni in quanto esse, attraverso un lavoro organizzato, di utilità sociale,
eticamente fondato e tecnicamente specializzato, avrebbero svolto una funzione
nomica (Sarfatti Larson, 1998, 85), e dunque creatrice di ordine, fonte di norme ra-
zionali e specifiche, ovvero l’opposto del concetto di anomia proprio di Durkheim,
che d’altra parte definisce gli ordini professionali come focolai di moralità. Ora,
questo modo di intendere la funzione svolta dalle professioni – e la legittimità del
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ruolo che esse ancora giocano e a cui aspirano – sembra essere messa fortemente
in crisi dai nuovi processi di lifelong learning che scardinano i sistemi di creden-
ziali definite rigidamente. E questo, peraltro, in coerenza con i mutamenti struttu-
rali e culturali messi in luce dalle analisi più recenti in materia di sistemi pro-
duttivi. Mutamenti, dunque, che sfumano i confini tra le diverse professioni e ne
ridefiniscono i contenuti in termini di nuove competenze, tenuto conto che una do-
manda di prodotti e servizi sempre più personalizzati sta determinando da un lato
una diminuzione nella capacità di incidenza e legittimazione delle prestazioni, e
dunque, dall’altro, una rivoluzione metodologica nel modo di intendere l’esercizio
dei tradizionali ruoli professionali.
Bibl.: TOUSIJN W. (Ed.), Le libere professioni in Italia, Bologna, Il Mulino, 1987; ABBOTT A.,
The System of the Professions, London, University of Chicago Press, 1988; BUTERA F. - A. FAILLA,
Professionisti in azienda, Milano, Etaslibri, 1992; GALLINO L., “Professioni, Sociologia delle”, in L.
GALLINO, Dizionario di sociologia, Torino, UTET, 1993, 516-517; PRANDSTRALLER G.P., Guardare
alle professioni, Milano, Franco Angeli, 1997; SARFATTI LARSON M., “Le funzioni ‘nomiche’ delle
professioni e la fine della modernità”, in M. GIANNINI - E. MINARDI (Edd.), I gruppi professionali,
Milano, Franco Angeli, 1998, 81-109.
M. Colasanto
PROFESSIONALIZZAZIONE
Comunità formativa / professionale; Economia e formazione; FPI
PROFILO PROFESSIONALE
Il p.p. rappresenta un documento che indica le caratteristiche fondamentali di una
figura professionale e le competenze necessarie all’esercizio delle funzioni pro-
prie di tale figura. Se nel passato tale riferimento ha condotto ad una polverizza-
zione delle rappresentazioni dei ruoli e delle posizioni di lavoro, nell’attuale
fase del dibattito si mira ad aggregare maggiormente tali figure, per realizzare in-
siemi più omogenei e olistici dai quali emerga una comunità di cultura, di pratiche
e di competenze.
1. Il p.p. non si autosostiene; esso trova la sua collocazione privilegiata nell’ambito
della comunità professionale (o aree professionali), ovvero un aggregato di
figure che prevedono riferimenti condivisi. Ciò ha valore sia nel contesto di
lavoro sia nelle prassi formative. Nel contesto di lavoro si tende ad arricchire la
tradizionale descrizione delle posizioni attraverso l’individuazione di competenze
chiave o strategiche che definiscano un gruppo professionale definito in rapporto
al contributo che arreca agli scopi dell’organizzazione, aggregando al suo interno
più figure. Nel contesto formativo, si mira a ridurre il numero di p.p. scegliendo
denominazioni in grado di garantire le condizioni della comunità di pratiche;
pertanto non si prevede necessariamente da parte dell’utente la scelta della figura
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professionale (anche se può essere fatta un’opzione preferenziale sia da parte
dell’allievo, sia da parte dell’organismo formativo), che si articolerà solo lungo il
percorso in rapporto alle specifiche necessità del contesto ed alle caratteristiche del
soggetto. È peraltro possibile – ad es. – che la qualifica professionale abbia una
denominazione polivalente, senza per questo specificarsi in una figura professio-
nale mirata.
2. Il p.p. è caratterizzato dalle seguenti dimensioni: a) comunità professionale di
appartenenza, dei suoi livelli di formaz. in senso progressivo, dei compiti condi-
visi entro le diverse figure professionali previste; b) denominazione della figura
professionale, dei compiti specifici che vanno aggiunti ai compiti indicati
in precedenza in tema di comunità professionale; c) collocazione organizzativa
ovvero le differenti modalità in cui tale figura si riscontra nelle organizzazioni di
lavoro.
Bibl.: PONTECORVO C. - A.M. AJELLO - C. ZUCCHERMAGLIO, I contesti sociali dell’apprendimento.
Acquisire conoscenze a scuola, nel lavoro, nella vita quotidiana, Milano, LED, 1995; PRAND-
STRALLER G.P. (Ed.), Guardare alle professioni, Milano, Franco Angeli, 1997; BOLDIZZONI D. - L.
MANZOLINI (Edd.), Creare valore con le risorse umane. La forma dei nuovi paradigmi nella direzione
del personale, Milano, Guerini & Associati, 2000; NICOLI D., Famiglie professionali e competenze.
Nuovi riferimenti per l’analisi delle professioni e la formazione, in “Rassegna CNOS”, 2 (2001),
29-46.
D. Nicoli - C. Catania
PROGETTAZIONE FORMATIVA
Per p.f. si intende generalmente l’elaborazione del progetto educativo, culturale e
professionale, che fa da guida ideale a tutta la pratica formativa promossa in un
centro o istituto a ciò destinato. Il progetto così sviluppato fornisce a tutte le com-
ponenti coinvolte un riferimento prospettico chiaro e condiviso di valori, mete
educative culturali e professionali, principi d’azione, sistemi di relazioni inter-
personali e istituzionali e modalità di valutazione.
1. L’attività di p.f. porta a definire quello che nella normativa attuale viene chia-
mato il “profilo educativo, culturale e professionale” dello studente. Per far
questo occorre tener conto sia dei “livelli essenziali di prestazione” indicati a
livello nazionale, sia delle disposizioni che le Regioni e Province Autonome
hanno l’autorità di emanare, sia della cultura educativa e formativa delle singole
istituzioni. Tradizionalmente si parlava di p.f. in relazione alla predisposizione
del curricolo formativo che il centro o l’istituto intendeva seguire e che comuni-
cava pubblicamente agli allievi, alle famiglie e alle autorità competenti. Il nuovo
lessico istituzionale tende a evitare il termine “curricolo” per parlare di percorso
o di offerta educativa. Comunque, si tratta sempre di impostare l’azione educa-
tiva, culturale e professionale nei suoi obiettivi, contenuti, metodi e modalità di
valutazione.
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2. La p.f. può essere svolta a vari livelli: nazionale, regionale, locale, di singola
classe o di particolare disciplina. Essa può riguardare un intervento formativo,
un’unità di apprendimento, un sussidio didattico, un programma audiovisivo, un
software multimediale, l’impianto stesso educativo, culturale e professionale dei
piani di studio personalizzati. In senso più personale e soggettivo, la p.f. riguarda il
significato, i valori, lo stile e le scelte di vita che ciascuno si propone di far proprie
come prospettiva o orientamento esistenziale. In questo senso si parla di “progetto
di vita civile e professionale” ( progetto personale e professionale), che fa da
riferimento alla propria auto-formaz.
3. In una p.f. le articolazioni portanti sono costituite in primo luogo dai fini, o
valori di riferimento, che sono chiamati a formare l’orizzonte educativo entro cui
acquista senso e validità l’azione formativa. Questo orizzonte deve appoggiarsi
sulla visione antropologica assunta dagli operatori, o dalla comunità formativa,
cioè su una concezione dell’uomo, del lavoratore, della società e del loro bene,
non astratta, bensì connessa strettamente con il contesto culturale e sociale di rife-
rimento. Il secondo elemento costitutivo di ogni progetto formativo riguarda i
destinatari dell’azione formativa e la loro condizione umana, culturale, sociale
ed economica. La lettura attenta e l’interpretazione di tali condizioni alla luce
dei valori o ideali educativi di riferimento permette di individuare da un lato la
domanda educativa presente, cioè bisogni di formaz. emergenti, e dall’altra di
procedere alla scelta e alla definizione degli obiettivi da assumere come intenti
operativi per l’azione formativa.
4. Il terzo passaggio riguarda la prefigurazione dell’azione formativa, la scelta e
organizzazione delle risorse formative, cioè delle pratiche (attività ed esperienze,
loro contenuti, metodi e strumenti) disponibili e che appaiono valide ed efficaci:
valide nei riguardi degli obiettivi e dei valori di riferimento, efficaci nei confronti
dei risultati che si intendono conseguire. Si tratta della componente strategica della
p.f., cioè della prefigurazione di un’offerta o percorso formativo che può essere
realizzata solo in riferimento a un concreto e specifico contesto educativo, orche-
strando in maniera conveniente le differenti risorse formative disponibili in vista
di mete educative determinate. Il quarto e ultimo passaggio è costituito dall’impo-
stazione di un sistema di regolazione dell’azione formativa, cioè di valutazione
continua e finale. L’istanza valutativa ha un ruolo e un significato permanente e
puntuale nel guidare l’azione. In effetti, sia nel momento di analisi della situazione
iniziale, sia in quello di conduzione dell’azione progettata, sia in quello di verifica
dei suoi risultati è presente sempre l’esigenza di interpretare e valutare quanto si
riscontra nella realtà educativa. Di qui la necessità di prefigurare i dispositivi da
mettere in atto per rendere presente e operante tale istanza.
Bibl.: VECCHI J. - J.M. PRELLEZO (Edd.), Progetto educativo pastorale: Elementi modulari, Roma,
LAS, 1984; MERRILL M.D., Instructional design theory, Englewood Cliffs, Educational Technology
Publications, 1994; PELLEREY M., Progettazione didattica, Torino, SEI, 1994; BRAMANTI D. (Ed.),
Progettazione educativa e valutazione, Roma, Carocci, 1998; PELLEREY M., Educare, manuale di
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pedagogia come scienza pratico-progettuale, Roma, LAS, 1999; SEMERARO R., La progettazione
didattica, Firenze, Giunti, 1999.
M. Pellerey
PROGETTO PERSONALE E PROFESSIONALE
La parola “progetto” (dal latino pro-iectus, che indica l’essere lanciati innanzi)
richiama la tensione dinamica verso qualcosa che sta avanti, l’idea che l’uomo è
divenire, possibilità di sviluppo, identità che si configura nel tempo mediante le
esperienze e le scelte quotidiane. In tal senso si parla di “p. esistenziale” o “p. di
vita” come l’insieme di scelte organizzate in un piano di azione che l’uomo mette
in atto nella sua vita e che costruisce mediante una corretta valutazione sia del
futuro che del passato e del presente.
1. L’idea di p. dunque richiama la guida della propria esistenza e la possibilità di
conferirle un significato complessivo perché non si riduca a un cumulo disorganico
e desemantizzato di eventi occasionali e giustapposti. Esso rimanda a motivazioni e
traguardi, a consapevolezze e a razionalità, a scelte consapevolmente e coeren-
temente compiute (Rossi, 1994, 56). Dal punto di vista psicopedagogico, il p. è de-
finito come “un piano d’azione (un’intenzione) che richiede da chi lo predispone
(o da chi lo vive) una capacità di valutare il futuro (anticiparlo nella coscienza)
anche in base ad una valutazione del passato e del presente, ed una conseguente
capacità metodologica volta alla scelta e alla predisposizione dei mezzi necessari per
una concreta realizzazione del piano medesimo” (Bertolini, 1980, 162-163). Il ter-
mine può essere considerato nella duplice accezione di dinamismo e di contenuto. In
quanto dinamismo psicologico si colloca nel percorso di maturazione della prospet-
tiva temporale che a partire dall’adolescenza assume la caratteristica di prospettiva
futura. La progettualità, infatti, costituisce “uno dei modi fondamentali degli indi-
vidui di porsi di fronte al tempo” (Cavalli, 1985, 36) e si esprime nella capacità
di orientarsi verso il futuro e di anticiparlo mediante l’elaborazione di progetti. La
capacità progettuale è in stretta interdipendenza con il processo decisionale. Difatti
elemento decisivo della progettazione è la scelta, o meglio il sistema di scelte se-
condo cui esso si articola. Saper progettare bene è condizione indispensabile per una
buona scelta. Un buon p. nella pratica diventa un indice della consistenza della
scelta, le dà cioè realismo e dimostra competenza nella persona che sceglie.
2. Lo studio del “p. di vita” è presente in quegli approcci teorici che si ispirano al-
l’antropologia umanistico-esistenziale. Il carattere di ‘intenzionalità’ della condotta
umana, spesso misconosciuta dalla psicologia, è stato recuperato da alcuni autori
come Allport, Maslow, Rogers, Nuttin, Frankl e da molti altri che hanno studiato il
rapporto tra tempo e identità o lo sviluppo della prospettiva temporale futura. Sono
pochi gli studi sul “p. professionale”, molti di più invece quelli sul “p. di vita”. Una
definizione completa di progettualità professionale che tenga conto delle implicanze
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psico-pedagogiche e sociali forse non è stata ancora elaborata. La costruzione e la
realizzazione di un p.p. e p. rappresentano il punto di arrivo di ogni processo orien-
tativo e formativo. Si tratta di un processo che si colloca all’interno di un percorso
di maturazione della persona. Va ricollegato all’ identità di cui è dimensione
essenziale la progettualità, sia come dinamismo che come processo.
3. Nell’ambito dell’orientamento educativo il p.p. e p. si ritrova, come categoria
esplicativa del processo orientativo più che come costrutto fondamentale dell’
orientamento. È presente nelle teorie evolutive sulla scelta professionale che fanno
capo a Super e Ginzberg. L’idea centrale di tali autori è che l’identità personale e
professionale si costruisce secondo un ciclo di tappe ben definite, e che occorre
essere aiutati a maturare per affrontare scelte sempre più complesse. Ciò si fonda
sul riconoscimento del ruolo centrale dell’immagine di sé nella formaz. delle pre-
ferenze professionali e nel processo di elaborazione e realizzazione delle intenzioni
future. A livello metodologico il p.p. e p. è preso in considerazione dal bilancio
delle competenze, un processo metodologico di orientamento articolato in tre fasi
(accoglienza, analisi del potenziale ed elaborazione del p. finale) in cui l’auto-
progettazione professionale e/o formativa fa parte degli obiettivi prioritari del
bilancio. Definire il proprio p. professionale è il punto di arrivo di un percorso che,
partendo dall’individuazione di competenze e capacità, interessi e valori,
preferenze e scelte, conduce il soggetto a identificare un progetto di sviluppo nel-
l’impiego attuale o in altro impiego. Non è facile focalizzare con chiarezza il p.
professionale, perché occorre verificare il grado di autenticità di tale p., se si tratta
cioè di intenzioni velleitarie ed utopistiche senza fondamento nella realtà e nelle
competenze che la persona possiede. Si tratta di vedere se si colloca in un p. glo-
bale più ampio, un progetto di sé o un p. di vita su cui s’innestano altri progetti,
alcuni prioritari altri secondari o molto lontani connotati di “sogno” e fantasia.
Inoltre, occorre verificare se i passi e le tappe per realizzarlo sono possibili, reali-
sticamente individuate e perseguite.
La capacità di elaborare un p.p. e p. affonda le radici nel complesso sistema motiva-
zionale del soggetto, ma entrano in gioco anche altri fattori (dinamici, intrapsichici,
socioculturali e soprattutto gli orientamenti di valore che danno senso all’esistenza)
che concorrono alla sua realizzazione. Occorre coniugare il piano del desiderio e
della realtà con quello della volontà. Il p. presuppone la visione del rapporto fina-
lità-obiettivo-scopo, fondato sul rapporto desiderio-bisogno-valore, mediato dal
rapporto risorse-vincoli-gestione (Yatchinovsky - Michard 1991).
Bibl.: BERTOLINI P., “Progetto”, in P. BERTOLINI, Dizionario di psico-pedagogia, Milano, Edizioni
scolastiche Bruno Mondadori, 1980, 162-163; CAVALLI A., Il tempo dei giovani, Bologna, Il Mulino,
1985; LIVOLSI M., Identità e progetto, Firenze, La Nuova Italia, 1987; YATCHINOVSKY A. - P.
MICHARD, Le bilan personnel et professionnel. Instrument de management, Paris, ESF Editeur, 1991;
ROSSI B., Identità e differenza. I compiti dell’educazione, Brescia, La Scuola 1994; DEL CORE P.,
“Prospettiva futura e progettualità”, in COSPES (Ed.), L’età incompiuta. Ricerca sulla formazione
dell’identità negli adolescenti italiani, Torino-Leumann, ElleDiCi, 1995, 315-332; LEGRÈS J. - D.
PÈMARTIN, Abilità progettuale e maturità professionale, in “Orientamento Scolastico e Professio-
nale”, 1 (1998), 4-6; DEL CORE P., La paura di scegliere: dinamica della decisione e scelte di vita, in
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“Rivista di Scienze dell’Educazione”, 40 (2002) 3, 442-455; DI FABIO A., Bilancio di competenze e
orientamento formativo, Firenze, OS - Giunti, 2002.
G. Del Core
PROPOSTA FORMATIVA
La dizione p.f. ha trovato la sua più compiuta collocazione nella L. 845/78, “Legge-
quadro in materia di formazione professionale”, la quale ha avuto il merito di dare
vita ad un sistema professionale italiano “pluralistico”. L’espressione p.f. viene in-
dicata in alcuni passaggi del testo della L. citata: a) le Regioni organizzano il si-
stema di FP sviluppando “le iniziative pubbliche e rispettando la molteplicità delle
proposte formative” (art. 3, lettera c); b) la formazione e l’aggiornamento del perso-
nale devono essere attuati “rispettando la presenza delle diverse proposte
formative” (art. 4, lettera h); c) i programmi dei corsi devono “assicurare il pieno ri-
spetto della molteplicità degli indirizzi educativi” (art. 7, comma 4); d) l’organizza-
zione del servizio può avvenire sia direttamente nelle strutture pubbliche sia “me-
diante convenzione, nelle strutture di enti che siano emanazione o delle organizza-
zioni democratiche e nazionali dei lavoratori dipendenti, dei lavoratori autonomi,
degli imprenditori o di loro associazioni con finalità formative e sociali, o di im-
prese e loro consorzi, o del movimento cooperativo” (art. 5, commi 1 e 2).
1. La p.f. nella FP. L’ ente pubblico, dunque, riconosce, secondo questa L.,
“l’apporto, non solo sussidiario, che possono dare le libere associazioni di forma-
zione professionale le quali, a parità di strumentazione e capacità didattica, si ispi-
rano a concezioni ideali di diversa natura o hanno matrici sociali diverse” (Hazon,
1986, 47). Gli enti, come indicati all’art. 5, lettera b), si sono dotati di specifiche
p.f., riflettendone l’ispirazione e i valori. In alcuni testi, la p.f. non era esplicita ma
era desumibile dalle finalità del movimento o dell’ associazione di cui le strut-
ture formative erano emanazione; in altri, ed è stato il caso degli enti di ispirazione
religiosa, la p.f. era dichiarata e articolata. In questo secondo caso, la p.f., general-
mente, conteneva l’identità valoriale dell’ente: erano indicati, in altre parole, i va-
lori ispiratori dell’azione formativa, che potevano essere desunti dal Vangelo, dalla
dottrina sociale della Chiesa o dal carisma del fondatore; la natura educativa del-
l’azione formativa, centrata sulla comunità formativa; la natura culturale e profes-
sionale di ogni percorso, esplicitato nell’identificazione di una particolare cultura
generale, tecnica e professionale; la natura orientativa sottesa a tutta l’azione for-
mativa, attraverso il servizio permanente dell’ orientamento. In base alla p.f., gli
enti di FP hanno invitato i vari CFP a dotarsi di specifici “progetti formativi” e
di “indirizzi educativi”. La L. ha ispirato la produzione di materiale documentale
molto significativo “sul piano ideologico, per il suo valore di principio in ordine al
rispetto delle diverse concezioni dell’uomo che si traducono in fatti culturali ed
educativi; sul piano tecnico-didattico, per la sua capacità di creare l’offerta di
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risposte contenutistiche e tecnico-didattiche liberamente ricercate e convalidate
dall’esperienza; sul piano promozionale, per lo spazio che offre all’iniziativa,
all’inventiva, alla capacità di soddisfare le esigenze, e anzi di anticiparle, con emu-
lazione che nasce dalle cose stesse (Hazon, 1986, 50-51).
2. Dalla p.f. alla mission. Nell’attuale scenario, molto diverso per il profondo pro-
cesso riformatore in atto ( riforma educativa), non compare la dizione p.f. Si può,
tuttavia, fare riferimento ad un concetto equivalente, quello della mission perché è
ricavabile dalla normativa e dalle prassi in atto. I vari enti, infatti, hanno proceduto
nel cammino dell’ accreditamento e della qualità. In sintesi, si può affermare
che nella materia dell’ istruz. e della formaz. oggi in Italia si intersecano la
potestà legislativa esclusiva dello Stato in tema di norme generali, la potestà legis-
lativa concorrente delle Regioni, la potestà legislativa esclusiva delle Regioni in
materia di istruz. e di FP e l’ autonomia normativa delle istituzioni scola-
stiche. L’autonomia delle istituzioni scolastiche, inoltre, è inserita nella Costitu-
zione riformata (art. 117, comma 3); per analogia si ritiene che anche gli organismi
di formaz., denominati enti nella L. a. 845/78, art. 5, comma b, che oggi sono an-
cora disciplinati dalle norme dell’accreditamento (D.M. 166 del 25 maggio 2001) e
aperti alla certificazione di qualità e che, secondo la L. 53/03 saranno chiamati a
dare vita al sottosistema dell’Istruz. e della FP ( sistema formativo), entrino a far
parte dell’autonomia sancita costituzionalmente. Tutto il processo riformatore, in
conclusione, sembra riaffermare ed ampliare la visione pluralistica, riconoscendo
ad ogni organismo la possibilità di sviluppare una vera e propria strategia forma-
tiva, coerente con i propri valori e con la visione del contesto di riferimento, per
metter in atto i percorsi formativi ispirati al principio della personalizzazione.
3. Mission e offerta formativa. Si propone una prima esemplificazione della docu-
mentazione desumibile dalle sperimentazioni in atto nelle Regioni e rispondente
sia alle indicazioni della normativa che alle indicazioni della qualità. La documenta-
zione del CFP descrive la missione (mission) dell’organismo, centrata sulla crescita
e sulla valorizzazione della persona umana come elemento centrale del processo
educativo, nel contesto territoriale di riferimento, perseguendo l’elevazione del li-
vello culturale di ciascun cittadino ed il potenziamento delle capacità di ciascuno
e di tutti di partecipare ai valori – ivi compresi quelli spirituali – della cultura, del
lavoro, della civiltà e della convivenza sociale e di contribuire al loro sviluppo; in-
dica la strategia formativa (vision) dell’ente, quando questo si propone di perseguire
l’eccellenza metodologica in ogni settore previsto ed in ogni livello di intervento,
anche mediante la promozione di forme di partnership; analizza il territorio di ri-
ferimento ed elabora specifiche proposte per i rispettivi target (adolescenti, giovani,
adulti, soggetti svantaggiati); elabora un piano di servizi e di offerte formative in
risposta ai bisogni del territorio attraverso la proposta di un servizio stabile di orien-
tamento (informazione, formaz. e consulenza) per tutti gli utenti potenziali, anche in
forma di attività integrata; la proposta di percorsi formativi specifici per durata e
tipologia; definisce le scelte metodologiche più idonee ispirate alla personaliz-
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zazione, al successo formativo, alla didattica attiva e all’ apprendimento
dall’esperienza, alla valutazione autentica, alla partnership formativa; anima lo
stile professionale della comunità formativa ( comunità educativo formativa)
attraverso la motivazione, la preparazione, l’esperienza e la maestria coerenti con
le necessità del contesto, il lavoro in team; si ispira ai criteri della qualità, perse-
guendo la soddisfazione degli utenti in termini di successo formativo, in coerenza
con la visione della formaz. prevista dai riferimento valoriali dell’ente; migliorando
continuamente il servizio attraverso il coinvolgimento del personale; adottando un
modello unitario che sintetizzi l’accreditamento interno, l’accreditamento esterno e
la certificazione di qualità (Nicoli, 2004, 26).
Bibl.: HAZON F., Introduzione alla formazione professionale. Manuale per docenti e operatori,
Brescia, La Scuola, 1986; AMBROSINI M. et al., Un futuro da formare. Verso un nuovo sistema di
formazione professionale: tendenze, valutazioni e proposte, Brescia, La Scuola, 2000; PUGLIESE S.,
L’accreditamento interno come approccio per l’eccellenza qualitativa nella formazione CNOS-FAP,
in “Rassegna CNOS”, 17 (2001)3, 11-31; BRAMANTI A. - D. DIFREDDI (a cura di), Istruzione Forma-
zione Lavoro: una filiera da (ri)costruire. L’esperienza lombarda e la sfida della riforma, Milano,
Franco Angeli 2003; NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel
sistema dell’istruzione e della formazione professionale, Roma, Tipografia Pio XI, 2004.
M. Tonini
PSICOLOGIA DEL LAVORO
Branca della p. che si occupa dello studio del comportamento, delle emozioni e
delle cognizioni delle persone in contesti lavorativi.
1. Sviluppo storico. La p.d.l. nasce, all’inizio del ‘900, come “psicotecnica”, cioè
come applicazione delle conoscenze sulle attitudini e capacità della persona ai
contesti della vita pratica. Il termine si diffuse negli Stati Uniti al principio del
‘900 con i primi interventi di “selezione del personale” e in Italia verrà utilizzato
fino agli anni ‘50. Un movimento internazionale di studio attorno al quadro di ri-
ferimento teorico, ai risultati conseguiti sperimentalmente, alla definizione di me-
todologie specifiche, ecc. arrivò a delimitare la psicotecnica come le applicazioni
della p. alla vita lavorativa delle persone per migliorare il reciproco adattamento
(le persone all’ambiente di lavoro e l’ ambiente di lavoro alle persone). Con
il taylorismo e lo sviluppo della tecnologia, la psicotecnica si trova a fare i conti
con l’organizzazione scientifica del lavoro: alla radicale lettura del lavoro come
realizzazione di specifici e singoli compiti, imposta dal taylorismo, la psicotec-
nica si adatta identificando il proprio oggetto di studio nel concetto di “attitudine”
( orientamento), arrivando a spiegare il successo o meno in un dato compito la-
vorativo in termini di presenza/assenza dell’attitudine necessaria per quel compito
(Avallone, 1997, 35-39; Lessico Universale Italiano, 1977, 75-76; Novara - Sar-
chielli, 1996, 114). Tale prospettiva ha originato i processi di selezione del perso-
nale basati sull’analisi del lavoro, sui profili professionali e sui reattivi per mi-
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surare le attitudini. Dagli anni ‘20-‘30, l’ottica disposizionale è stata messa in
crisi dagli studi sull’analisi fattoriale (Cattel), dallo sviluppo delle teorie sull’
apprendimento (Pavlov, Skinner, Bandura), dalla psicoanalisi (Freud), dal “movi-
mento delle relazioni umane” (Hawthorne e Mayo) e dalle teorie sui bisogni
(Maslow) che hanno messo in luce la complessità della personalità, non ricondu-
cibile a semplici “condotte”. Così, da una visione secondo la quale è il lavoratore
la variabile che deve adattarsi alla costante lavoro, si è passati a una prospettiva
secondo la quale è l’ambiente la variabile da modificare per facilitare l’adatta-
mento della persona: nascono la “biomeccanica”, la “psicologia sperimentale ap-
plicata”, la “psicologia industriale”, l’“ergonomia”, ecc., una serie di filoni di
studio che hanno l’obiettivo di ottimizzare il rapporto tra uomo e ambiente di la-
voro (Lessico Universale Italiano, 1977, 76).
2. Contesto attuale. Oggi l’espressione p.d.l. resta il nome usato in Italia per defi-
nire la disciplina; l’espressione più comune, sia da noi che nel resto d’Europa, è
“p.d.l. e delle organizzazioni”. Vengono utilizzate anche altre espressioni, spesso
come sinonimi, che hanno accentuazioni, ambiti e campi di studio affini, ma speci-
fici per ciascuna. In genere, si è concordi nel sostenere che la “p.d.l. e delle orga-
nizzazioni” abbraccia tre ambiti (Sarchielli, 2003, 39; ENOP, 2004): 1) la stessa
p.d.l., che riguarda l’attività lavorativa delle persone, cioè, il modo in cui affron-
tano i loro impegni lavorativi (in particolare, si occupa di compiti, ambiente di
lavoro, ergonomia, prestazioni, ruoli, ecc.); 2) la p. delle risorse umane, che
riguarda le relazioni tra le persone e l’organizzazione cui appartengono (in partico-
lare, si occupa della gestione delle persone in ambiente lavorativo: selezione, svi-
luppo di carriera, potenziamento di abilità e capacità, formaz., ecc.); 3) la
p. delle organizzazioni, che riguarda il comportamento delle persone in quanto
membri di un gruppo di lavoro (in particolare, studia i modelli comunicativi, i con-
flitti interpersonali, i processi decisionali, le condotte cooperative, la struttura
organizzativa, le tecnologie utilizzate, i cambiamenti organizzativi, la leadership,
la cultura organizzativa, ecc.).
Bibl.: LESSICO UNIVERSALE ITALIANO. DI LINGUA LETTERE ARTI SCIENZE E TECNOLOGIA, Psicologia,
Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, 1977, vol. XVIII, 67-79; NOVARA F. - G. SAR-
CHIELLI, Fondamenti di psicologia del lavoro, Bologna, Il Mulino, 1996; AVALLONE F., Psicologia
del lavoro. Storia, modelli, applicazioni, Roma, NIS, 1997; SARCHIELLI G., Psicologia del lavoro,
Bologna, Il Mulino, 2003; ENOP, European Curriculum in W&O Psychology Reference Model and
Minimal Standards, in http://www.ucm.es/info/Psyap/enop/rmodel.html, 23.06.2004.
D. Antonietti
QUALIFICA PROFESSIONALE
Per q.p. si intende un riconoscimento formale che attesta nella persona il possesso
di capacità, conoscenze, abilità e competenze acquisite da una persona
in specifiche esperienze (a tempo pieno, in alternanza, in modo non formale o
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informale) utili e necessarie al fine dell’esercizio di un’attività lavorativa determi-
nata. La q.p. rappresenta un’istituzione sociale riconosciuta da convenzioni collet-
tive che classificano e gerarchizzano i posti di lavoro ( contratti collettivi na-
zionali); ad essa è pure orientata l’istruz. e FP che realizza i percorsi di appren-
dimento in riferimento al profilo educativo culturale e professionale, alle
indicazioni, ai repertori delle comunità e dei profili professionali.
1. La q.p., dopo aver rappresentato per diversi decenni il punto di riferimento del-
l’analisi come pure della contrattualistica del lavoro, pare oggi indebolita nella sua
visione specialistica/mansionistica dalle trasformazioni in atto e dal mutamento
delle questioni relative alla tutela dei lavoratori e del welfare. Essa richiama
quindi tematiche molteplici quali la rappresentazione della professionalità, la
progettazione della formaz., la certificazione delle acquisizioni ( certificazione
degli apprendimenti), la definizione dei sistemi di classificazione del personale, la
gestione delle risorse umane, la tutela dei lavoratori, la gestione delle relazioni
industriali e sindacali, la contrattazione e così via. Ciò influisce in modo decisivo
sulla rappresentazione del lavoro, sul rapporto tra progettazione formativa e
certificazione, infine sulla trasparenza dei titoli e la loro spendibilità/capitaliz-
zazione.
2. La creazione del concetto di q.p. si spiega dopo l’affermazione della società
industriale che ha determinato la crisi dei modelli di acquisizione dei saperi profes-
sionali tipici della società corporativa. Nel dibattito in corso sulla rappresentazione
del lavoro in un contesto post-fordista, la parola “q.” viene sottoposta a critiche di
inadeguatezza a fronte del mutevole contesto organizzativo, del superamento delle
modalità di reclutamento e di gestione delle carriere basate su rigide corrispon-
denze tra qualifiche e titoli di studio e su mansionari predefiniti, della modifica
delle relazioni istituzionali tra mondo del lavoro e sistema formativo oltre che
dell’organizzazione e del contenuto delle attività formative, e infine della valida-
zione e del riconoscimento dei saperi e delle competenze professionali.
3. Molti condividono la necessità di rappresentazioni delle realtà lavorative e pro-
fessionali che superino il concetto di “declaratoria” basato sulle mansioni e la
stretta corrispondenza con i titoli di studio. È anche comune la convinzione sul-
l’importanza di integrare gli aspetti tecnico-specialistici con elementi connessi alla
personalità, contesto, trasversalità, cultura ed etica del lavoro ( etica professio-
nale). Alcuni tendono a sostituire al concetto di q. un modello basato sulla compe-
tenza come entità funzionale ed autoreferenziale, tassello che consente di dise-
gnare il lavoro in modo granulare o compositivo, solo che in tal modo ripropon-
gono in chiave più frammentata la stessa prospettiva fordista. Altri propongono
nuove modalità di definizione della q. entro una prospettiva olistica che conce-
pisce il lavoro come un tutto dotato di una precisa rilevanza culturale e istituzio-
nale; ciò conduce a classificazioni più ricche ed aperte, connesse alla cultura ed
alla struttura del contesto settoriale ed aziendale di riferimento ( “famiglie/comu-
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nità professionali”). La difficoltà di rappresentare la realtà del lavoro con categorie
rigide – benché frammentate in “mattoncini” tecnico operativi – non viene quindi
superata tramite metodologie analitiche più sofisticate in grado di classificare di-
versamente compiti e mansioni, bensì tramite il riferimento ad una categoria più
sintetica, ovvero il “gruppo di lavoro” o comunità professionale che rappresenta
un’unità ad un tempo organizzativa e culturale, ma pure un’entità in grado di ap-
prendere e di elaborare soluzioni creative. Il modello organizzativo non si basa su
una rigida divisione dei compiti, bensì sulla capacità di ogni componente di parte-
cipare alle caratteristiche del gruppo in una sorta di “comunità lavorativa” a forte
valenza cognitiva.
Bibl.: CASTAGNA M., Progettare la formazione, Milano, Franco Angeli, 1993; LANZAVECCHIA G.,
Il lavoro di domani. Dal taylorismo al neoartigianato, Roma, Ediesse, 1996; ACCORNERO A., Era
il secolo del Lavoro, Bologna, Il Mulino, 1997; AJELLO A.M. - S. MEGHNAGI (Ed.), La competenza
tra flessibilità e specializzazione, Milano, Franco Angeli, 1998; AMBROSINI M. (Ed.), Un futuro da
formare, Brescia, La Scuola, 2000; LIPARI D., Logiche di azione formativa nelle organizzazioni,
Milano, Guerini & Associati, 2002.
D. Nicoli
QUALITÀ
Il termine q. assume nel linguaggio comune significati differenti a seconda dei
contesti: esprimere attributi morali o spirituali di una persona oppure una dote o
virtù di qualcuno o qualcosa, o indicare una distinzione di specie di qualcosa. Una
definizione, del termine q., nella sua globalità, è fornita dal vocabolario della
lingua italiana: “caratteristica che contraddistingue una persona, un animale, una
cosa, una situazione o un loro insieme, denotando valori (in genere, ma non neces-
sariamente positivi) che assicurano a chi li possiede un requisito, una proprietà
unici” (Sabatini - Coletti, 1997). Il nostro scopo è spiegare il concetto di q. di un
servizio o un prodotto (accezione più ristretta); ciò non semplifica il compito
perché il concetto di q. non è assoluto ma relativo ed ha subito nel tempo evolu-
zioni significative.
1. Il concetto di q. di un prodotto o servizio si è sviluppato prevalentemente in am-
bito industriale e successivamente, negli anni ‘80 e ‘90, è stato oggetto di analisi
nei servizi. Dalla rivoluzione industriale (agli inizi del ‘900) fino agli anni ‘50-’60,
per q. di un prodotto si intendeva il “grado di conformità del prodotto alle speci-
fiche progettuali” dello stesso; un problema tecnico che le organizzazioni risolve-
vano attraverso una sistematica attività di controllo della q. in fase di realizzazione
del prodotto/servizio.
2. Negli anni ‘60 e ‘70, si ha una evoluzione significativa nel concetto di q. che
viene collegato strettamente all’uso più che al prodotto stesso. La q. è definita
come idoneità all’uso (in ingl., Fitness for use) ovvero il grado di conformità del
prodotto ai requisiti posti dall’utilizzazione. Fare q. si concretizza in un’attività
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sistematica di pianificazione e controllo che interessa tutta l’organizzazione e l’in-
tero ciclo di realizzazione del prodotto / servizio (dalla concezione, alla progetta-
zione, alla produzione, alla commercializzazione sino all’assistenza post-vendita);
uno dei padri di questo approccio, Feigenbaum (1983) parla di Total Quality
System. Si sviluppa qui il concetto di “Sistema di Assicurazione Qualità”, fonda-
mentale nella successiva elaborazione delle norme sui sistemi q.: la serie ISO 9000
del 1986.
3. Negli anni ‘80, sulla scorta di quello che è definito l’insegnamento giapponese
(le aziende giapponesi realizzano, a parità o a costi minori, prodotti di q. supe-
riore che si affermano rapidamente sul mercato occidentale), si sviluppa il con-
cetto attuale di q. secondo soddisfazione delle esigenze del cliente (in ingl.,
Customer Satisfaction). L’evento rappresenta una rivoluzione, in quanto pone
definitivamente la q. in relazione ai bisogni delle persone, che per loro natura si
modificano nel tempo. La q. diventa relativa e dinamica e non si ottiene solo con
accorgimenti tecnici ma anche con un continuo sforzo creativo di miglioramento
di tutte le persone che partecipano alla produzione e vendita. Deming (1989),
uno dei padri di questo approccio (noto come “Total Quality Management”), evi-
denzia la molteplicità di prospettive nel concetto di q. e di attori che interven-
gono per la sua realizzazione. Quest’ultima definizione di q. si adatta bene alla
FP che richiede tuttavia una particolare attenzione per le sue peculiarità: un
forte contenuto relazionale, la presenza di una complessa rete di aspettative e un
sistema organizzativo e gestionale costituito da legami deboli e, nella FP di ispi-
razione cristiana, il riferimento a tale ispirazione espresso nel progetto educa-
tivo/formativo del Centro ( CFP).
Bibl.: JURAN J.M., Quality Control Handbook, New York, McGraw-Hill, 1974; FEIGENBAUM A.V.,
Total Quality Control, New York, McGraw-Hill, 1983; DEMING E., L’impresa di Qualità, Torino,
Isedi - Petrini, 1989; CONTI T., Come costruire la Qualità Totale, Milano, Sperling & Kupfer Editori,
1992; PUGLIESE S., Dal Centro di formazione professionale al Centro di servizi formativi, in “Profes-
sionalità” n. 40 (1997), XI-XXIII; SABATINI F. - V. COLETTI, DISC. Dizionario italiano, Firenze,
Giunti, 1997; UNI EN ISO 9001:2000, Quality Management System-Requirement, Ginevra (CH),
International Organization for Standardizzation, 2000.
S. Pugliese
RECUPERO DIDATTICO
Personalizzazione
REGIONE
Enti di FP; Progettazione formativa; Mobilità professionale; Impresa;
FP: sviluppo storico; FPI; FP continua; FP superiore; Finanziamenti
per la FP; Riforma educativa; Servizi per l’impiego; Apprendistato;
Autonomia
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RELIGIONE
R., presa in senso proprio, comporta un rapporto dell’uomo col divino; nell’ambito
occidentale il divino è personale. Sotto il profilo specifico educativo il nodo del
problema si pone circa la funzione della r. nella maturazione piena ed equilibrata
della persona: questione esasperata dalle ideologie recenti, che ne hanno contestato
il significato umanizzante.
Oggi la r. viene per lo più riconosciuta come una delle fondamentali esperienze
umane con una risonanza di ordine culturale e sociale difficilmente calcolabile.
Donde la molteplicità degli studi che la esplorano nelle diverse aree disciplinari. A
proposito vale la pena sottolineare: a) la r. non è più appannaggio della riflessione
cristiana, tanto meno teologica: è campo di indagine aperto a tutti i versanti della
cultura; b) comporta un doppio versante: quello sociale, istituzionale, organizza-
tivo e quello personale, interiore, magari mistico per stare alla distinzione di
Bergson; c) donde la diversa connotazione degli studi e delle valutazioni, dall’a-
spetto sociologico a quello fenomenologico e antropologico.
In ambito educativo, la ricerca attorno alla risorsa umanizzante della r. rappresenta
un filone singolarmente interessante e innovativo; impegna la ricerca storico-feno-
menologica da Heiler, a Eliade, a Ries, alimenta la riflessione fenomenologica da
Scheler a Levinas, quella esistenziale da Marcel a Ricoeur. Costituisce uno stimolo
notevole anche per la rivisitazione della consuetudine educativa ecclesiale.
Bibl.: SCHELER M, L’eterno nell’uomo, Milano, Fratelli Fabbri, 1972; BERGSON H., Le due fonti
della morale e della religione, Milano, Ed. Comunità, 1973; RIES J., “Storia delle religioni”, in S.
ABBRUZZESE (Ed.), Religioni. Enciclopedia tematica aperta, Milano, Jaca Book, 1992; TRENTI Z.,
Opzione religiosa e dignità umana, Roma, Armando, 2001.
Z. Trenti
RENDIMENTO SCOLASTICO E PROFESSIONALE
Successo scolastico e professionale; Valutazione; Efficacia; Orienta-
mento
RESILIENZA
Prevenzione; Minori
RETE
Il concetto di r. è relativamente recente e trae origine dagli studi organizzativi e
dagli sviluppi informatici. In ingl., esso si può tradurre letteralmente in net, op-
pure, più compiutamente, in network, riferendosi ad un concetto sistemico di r. ov-
vero di oggetti operanti collegati tra loro. Il termine r. tende ormai a individuare
branche di studio: net technology, net organization, net economy.
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In ambito informatico, il concetto di r. si è affermato in contrapposizione al con-
cetto di struttura gerarchica; esso indica un sistema distribuito di elaboratori dove
ciascun nodo della r. (elaboratore) è dotato di autonomia elaborativa e collegandosi
agli altri nodi (uno dei quali fa da coordinatore) coopera all’elaborazione com-
plessiva. Il concetto è esploso con lo sviluppo della telematica e in particolare di
internet che realizza a livello internazionale il concetto di r. valorizzandone gli
aspetti comunicativi.
In ambito organizzativo, il concetto di r. si sviluppa a partire dalla concezione
sistemica dell’organizzazione che, in quanto sistema aperto, è costituita da un
insieme connesso e coerente di sottosistemi in relazione tra loro e con l’esterno. In
particolare, il concetto di r. si afferma con la rottura dei limiti spaziali dell’organiz-
zazione che tende a distribuirsi sul territorio in più unità autonome ma integrate.
La caratterizzazione di organizzazione formativa “in r.”, presente in più punti su un
territorio regionale, nazionale o sovranazionale, implica che i CFP locali, pur
mantenendo la loro autonomia, siano in grado di configurarsi all’esterno come
organizzazione integrata che riesce a conseguire economie di scala e di scopo.
Bibl.: GALBRAITH J., Designing Complex Organizations, Readings, MA, Addison-Wesley, 1977;
LORENZONI G. (Ed.), Accordi, reti e vantaggio competitivo, Milano, Etas, 1992; NOHIRIA N. - R. ECCLES
(Edd.), Network and Organizations: structure, Form and Action, Harvard, Harvard - University Press,
1992.
S. Pugliese
RIABILITAZIONE PROFESSIONALE
Comunità educativo formativa
RICERCA
La r. è una “indagine, investigazione condotta con sistematicità e tendente ad ac-
crescere o a verificare il complesso di cognizioni, documenti, teorie, leggi inerenti
a una determinata disciplina” (Zingarelli, 1959).
1. Nella definizione sono esplicitamente indicati modalità di realizzazione, obiet-
tivi e estensione del suo campo: la sistematicità, la verifica delle conoscenze. La r.
è: a) una conoscenza sistematica: con un processo ben strutturato per la raccolta
delle informazioni, la loro analisi e valutazione; con l’uso di metodi e strumenti di-
versi, scelti in base agli oggetti, alle finalità e agli ambiti disciplinari; b) una cono-
scenza verificata: legata ai fatti e all’esperienza ma con l’obiettivo di verificare
ipotesi che consentano di interpretare fattori e cause che vanno oltre il “buon senso
comune” di lettura degli stessi fatti.
2. Tre sono le condizioni per poter fare r.: a) fare r. comporta l’uso di modelli men-
tali e produce una stimolazione a costruire modelli mentali. Si va alla realtà con
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uno schema mentale, almeno implicito, che consente di confrontarsi con la realtà
che si vuole indagare; b) fare r. richiede buone competenze circa la metodo-
logia, la costruzione e l’uso delle tecniche. L’attività di r. si attua secondo metodo-
logie rigorose e capacità di uso di strumenti e tecniche: dalle più semplici alle più
sofisticate; c) ci vuole fantasia creatrice per fare r. Fare r. non è l’applicazione
asettica di tecniche e strumenti perché in essa si esprime sempre curiosità, pas-
sione, voglia di innovazione.
Tutte e tre le condizioni possono essere causa di errore nella conoscenza che la
ricerca consente. È necessario sempre un atteggiamento critico nei confronti dei
modelli; una verifica sull’uso dei metodo e delle tecniche e una presa di distanza
nel proprio coinvolgimento. Solo così i risultati di una r. possono far avanzare la
conoscenza.
Bibl.: ZINGARELLI N., Vocabolario della lingua italiana, Bologna, Zanichelli, 1959; GILLI G.A.,
Come si fa ricerca, Milano, Arnoldo Mondadori, 1971; GATTICO E. - S. MANTOVANI, La ricerca sul
campo in educazione. I metodi quantitativi, Milano, Bruno Mondadori, 1998; BAILEY K.D., Metodi
della ricerca sociale, Bologna, Il Mulino, 2001; LUCISANO P. - A. SALERNI, Metodologia della ricerca
in educazione e formazione, Roma, Carocci, 2002.
V. Orlando
RIFORMA EDUCATIVA
La r.e. è un cambiamento importante e intenzionale del sistema educativo di istruz.
e di formaz. o di una sua parte, realizzato attraverso un processo che, muovendo da
una situazione data, mira a portare a quella voluta.
1. I modelli di r.e. La strategia tradizionale consiste nell’introduzione della r.e. per
via d’autorità e il mancato rispetto delle disposizioni dall’alto comporta l’applica-
zione di sanzioni. La generalizzazione della r.e. su tutto il territorio nazionale co-
stituisce il vantaggio principale di tale modello; al tempo stesso esiste il pericolo di
un’osservanza formale da parte dei formatori ( operatori della FP) perché non si
è cercato di creare un consenso adeguato attorno alla r.e. e, pertanto, emerge il pro-
blema di un possibile insuccesso della r.e. a livello di cambiamento profondo del
comportamento insegnante. Da quando si è riconosciuta dignità di scienza positiva
alla riflessione sull’ educ. ha acquisito importanza un’altra strategia che si può
chiamare empirico-razionale. Questa consiste nella traduzione dei risultati della
ricerca educativa in prassi didattica per via di sperimentazione e nella diffusione
dei processi innovativi nelle scuole o nei CFP. La procedura seguita, in quanto
scientificamente corretta, assicura la validità delle indicazioni. Il problema si pone
però sul piano soggettivo nel senso che in genere le organizzazioni tendono ad op-
porre resistenza ad innovazioni che siano elaborate da agenzie esterne come può
essere un istituto di ricerca. Un terzo modello sposta il fulcro dei processi di rinno-
vamento sulla singola scuola o CFP, sull’innovazione dal basso, in breve sull’
autonomia. In un contesto di continuo mutamento, la possibilità di soddisfare le
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esigenze che insorgono incessantemente dipende in primo luogo dalla rapidità
degli interventi. Inoltre, le probabilità di successo di un’innovazione sono mag-
giori quando l’insegnante ne è partecipe, la sente propria, ha contribuito personal-
mente ad elaborarla, approvarla, attuarla. Il limite di tale strategia va visto nel peri-
colo di una innovazione troppo diseguale e disomogenea sul territorio nazionale.
In conclusione va osservato che prevalentemente si tende a considerare i tre mo-
delli come complementari piuttosto che alternativi.
2. La recente stagione delle riforme. Mi riferisco al nostro Paese e al periodo che è
iniziato alla metà degli anni ‘90 e che sta per concludersi. Anzitutto va sottolineato
che la r. del sistema educativo di istruz. e di formaz. era assolutamente necessaria e
urgente non solo per le carenze interne della nostra scuola/ FP, ma anche per lo
scenario radicalmente diverso in cui esse vengono a operare, quello cioè della so-
cietà della conoscenza, ma anche della società complessa, della società pluralistica
e multiculturale, della mondializzazione e della globalizzazione. Nelle proposte di
r. che sono state avanzate dalla metà degli anni ‘90 ad oggi, e soprattutto nella L.
30/00 (cosiddetta, “Berlinguer”) e nella L. 53/03, delega “Moratti”, che l’ha sosti-
tuita, si possono cogliere alcuni orientamenti da tutte condivisi. In primo luogo,
viene fornita una definizione alta delle mete della r. che si fonda sulla centralità
delle persona che apprende. La L. “Moratti” perfeziona tale dettato, aggiungendo
che la r. dovrà rispettare le scelte educative della famiglia e soprattutto che an-
dranno favorite la formaz. spirituale e morale. Inoltre, tutte le ipotesi di cambia-
mento avanzate tendono a ridisegnare l’architettura complessiva del sistema edu-
cativo di istruz. e di formaz., conferendogli una nuova organicità e unitarietà. Va
anche notato lo sforzo comune di allineare la nostra scuola e la nostra formaz. con
quelle degli altri Paesi dell’Europa.
Tra le varie proposte si osservano anche delle interessanti linee evolutive. Così non
si può non evidenziare che solo nella L. 53/03 si viene incontro in maniera ade-
guata alle esigenze di sviluppo dei giovani: infatti, con il ripristino della durata ot-
tennale del primo ciclo si valorizza pienamente la specificità delle età evolutive
della fanciullezza e della preadolescenza e, prevedendo un percorso graduale e
continuo di FP parallelo a quello scolastico e universitario dai 14 ai 21 anni si
risponde per la prima volta in modo soddisfacente alle esigenze di formaz. degli
adolescenti e dei giovani che hanno l’intelligenza nelle mani. La L. delega “Mo-
ratti” porta in primo piano il principio della personale responsabilità educativa
degli alunni e delle famiglie mediante l’introduzione dei piani di studio personaliz-
zati. Inoltre, essa recepisce il passaggio da un modello fondato sulle esclusive pre-
rogative dello Stato ad uno che fa interagire in maniera integrata tre diverse com-
petenze: quella dello Stato, quella delle Regioni e degli enti territoriali e quella
delle istituzioni scolastiche autonome.
L’evoluzione però non è completa per quanto riguarda il riconoscimento effettivo
del diritto alla libertà di educ. Infatti, nella L. 53/03 che, pure, intende delineare le
norme generali sull’ istruz., manca il riferimento esplicito al fatto che il nostro
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sistema educativo nazionale non è formato solo da scuole statali, ma anche dalle
scuole paritarie private e degli enti locali.
Bibl.: MALIZIA G., “Riforma educativa scolastica”, in J.M. PRELLEZO - C. NANNI - G. MALIZIA (Edd.),
Dizionario di scienze dell’educazione, Leumann (TO)/Roma/Torino, ElleDiCi/LAS/SEI, 1997, 939;
EVERARD B. - G. MORRIS, Gestire l’autonomia. Manuale per dirigenti e staff di direzione, Trento,
Erickson, 1999; Rapporto del Gruppo Ristretto di Lavoro costituito con D.M. N. 672 del 18 luglio
2001, in “Annali dell’Istruzione” 47 (2001) 1/2, 3-176; MALIZIA G. - C. NANNI, “La riforma del
sistema italiano di istruzione e di formazione”, in CIOFS/FP - CNOS-FAP (Edd.), Dall’obbligo sco-
lastico al diritto di tutti alla formazione: i nuovi traguardi della Formazione Professionale, Roma,
Tipografia Pio XI, 2002, 43-63; SERGIOVANNI T.J., Dirigere la scuola comunità che apprende, Roma,
LAS, 2002.
G. Malizia
RISORSE UMANE
La nuova centralità assegnata alla soggettività e alle r.u. va al di là di un semplice
ritorno al modello classico delle relazioni umane; essa sollecita qualità dei
risultati/prodotti/servizi offerti da imprese pubbliche e private e dei processi di
lavoro, valorizzazione di aspetti simbolico-culturali e del capitale sociale esistente,
nuove condizioni di apprendimento individuale e organizzativo, l’opportunità di
ridare significato al lavoro e al legame tra individuo e attività produttiva, dina-
mismo nell’inserimento lavorativo ( accompagnamento al lavoro).
1. Le r.u. appaiono sempre più come una leva strategica per la crescita della capa-
cità e competitività delle organizzazioni e le condizioni per la piena realizzazione
di questo principio passano attraverso la trasformazione del modello di gestione
delle r.u. da una logica quantitativa a una logica qualitativa. D’altra parte se la
formaz. “per tutta la vita” (lifelong learning) diventa una priorità, ed una necessità
del lavoratore, essa non può realizzarsi se non in un contesto di trasformazione
delle organizzazioni in sistemi autoapprendenti (learning organization) e perciò
essere assunta come priorità da imprese ed enti pubblici. La formaz. e l’at-
tenzione rivolta alle r.u., concepite come leva strategica deve essere connessa
a processi di “costruzione di nuovi significati lavorativi individuali e collettivi”
(Kaneklin e Scaratti, 1998). I fattori di successo di tale processo sono quelli per
i quali il soggetto torna al centro del lavoro, si potenziano i rapporti e le reti di
rapporti fra gruppi di persone e tra imprese, si potenziano gli aspetti comunicativi
nelle organizzazioni e si valorizzano i processi culturali, si negoziano obiettivi e
modi di valutazione degli obiettivi stessi.
2. Ogni impresa o azienda, pubblica o privata, dovrà imparare a produrre non solo
ricchezza economica, ma anche valore sociale, legato alla soddisfazione delle esi-
genze di benessere e socialità (Butera, 1999). La centralità delle r.u. modifica
dunque in modo sostanziale le modalità di funzionamento di aziende e imprese in
quanto richiede di cambiare le caratteristiche gestionali delle organizzazioni. Da
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modelli burocratici, in cui le mansioni lavorative sono declinate in modo rigido,
si dovrà passare a contesti di lavoro dove è possibile sperimentare modalità di la-
voro nuove, flessibili e più funzionali. Nuove complessità si disegnano: sul fronte
della gestione delle r.u. occorre che la dirigenza impari a orientare e riorientare chi
lavora in modo da valorizzare il potenziale, spesso inespresso, delle competenze
professionali e personali. Un processo analogo investe chi lavora, chiamato ormai
ad assumere ruoli più sfumati, legati all’individualità del singolo. L’ottica si sposta
dall’impresa al mondo sociale che la circonda: la rete di rapporti che garantisce la
qualità dei prodotti/servizi è anche espressione di benessere sociale, di interessi
collettivi che ruotano intorno al mondo del lavoro.
3. Alcune criticità storiche sollecitano la valorizzazione delle r.u.: i cambiamenti
indotti dalle nuove tecnologie, i cambiamenti del mercato del lavoro, la ride-
finizione necessaria del significato del lavoro rispetto alla realizzazione personale
del soggetto. I tre elementi citati si legano fra loro perché fanno parte dell’orizzonte
di significati che fa da ponte fra le r.u. e l’attività lavorativa. Le nuove tecnologie
sono un fattore di cambiamento che richiede ai lavoratori e alle imprese pubbliche
e private continui riadattamenti di procedure e funzioni, oltre che FP continua.
Il mercato del lavoro risente della transitorietà di profili professionali in divenire
e delle sempre meno definibili carriere professionali; dunque sembrano sempre più
validi comportamenti legati alla flessibilità, alla autoimprenditorialità. Ultima
questione, ma fondamentale, è il significato stesso del lavoro. Se diventa centrale
l’uomo, come risorsa, si può ritenere che siano le migliori caratteristiche dell’uomo
stesso a fare da cardine nell’attività lavorativa: la creatività, la capacità di parte-
cipazione, la progettualità. Dunque un lavoro in cui il soggetto esprime le poten-
zialità tecniche in un contesto che garantisce, al tempo stesso, l’espressione delle
capacità relazionali, inventive, di socialità lavorativa. La qualità finale del lavoro
diventa il prodotto delle competenze professionali e delle caratteristiche personali,
in un contesto che garantisce l’espressione di entrambe. Centralità delle r.u. per
le imprese, pubbliche e private, di beni o servizi significa perciò un ripensamento
delle modalità di reclutamento del personale, una nuova formulazione delle propo-
ste di lavoro, una gestione del personale attenta ai criteri dell’integrazione positiva
delle persone nei processi lavorativi. Uguale trasformazione diventa necessaria nel-
la formaz.: i profili professionali debbono essere arricchiti di quelle competenze
trasversali (buona relazionalità, progettualità, capacità organizzative, ecc.) che sono
il valore aggiunto indispensabile per gestire, nel tempo, la vita lavorativa stessa. Un
nuovo umanesimo sembra accompagnare la società postmoderna: a fronte dei grandi
mutamenti tecnologici si evidenzia la centralità dell’uomo come risorsa unica e
fondamentale per gestire al meglio i cambiamenti.
Bibl.: KANEKLIN C. - G. SCARATTI, Formazione e narrazione. Costruzione di significati e processi di
cambiamento personale ed organizzativo, Milano, Cortina, 1998; BUTERA F., Economia e società nel-
l’impresa: l’impresa eccellente socialmente capace, in “Studi Organizzativi”, 1 (1999), 11-39.
C. Montedoro
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RUOLO PROFESSIONALE
Il r.p. è l’insieme delle norme e delle aspettative che convergono su un individuo in
quanto occupa una determinata posizione in una organizzazione lavorativa dove si
delinea una specifica rete di relazioni sociali. Tali norme e aspettative provengono
dagli individui che occupano le posizioni collegate a quella del soggetto. In tal
modo, si ottengono le attese di r., che sono da distinguere dal comportamento di r.,
ovvero il modo in cui l’individuo agisce concretamente la sua posizione.
1. In tal senso, il r. rappresenta l’elemento centrale della struttura sociale. Le orga-
nizzazioni sono infatti costituite dai meccanismi o “dispositivi strutturali” (Scott,
1994, 26) che costituiscono il mezzo grazie al quale si realizzano alcune categorie
di fini. Le routine e le procedure rappresentano le risorse che vengono solitamente
attivate per rendere una gran parte di prodotti/servizi. Esse indicano la natura della
condotta tipicamente sociale che presenta caratteri differenti dalle condotte indivi-
duali: “lo sviluppo delle organizzazioni è il meccanismo principale, in base al
quale in una società altamente differenziata è possibile realizzare i propri progetti e
raggiungere degli obiettivi che vanno al di là degli individui” (Parsons, 1960, 41),
con enfasi sulla natura formale, razionale e sociale della organizzazione.
2. Il concetto di r. rappresenta uno degli elementi più importanti della elaborazione
sociologica e la sua evoluzione indica un percorso che mira a porre in rilievo in
modo sempre più evidente il suo carattere ad un tempo di relazione sociale fonda-
mentale e di vera e propria istituzione in grado di determinare un sistema definito
di attese nei confronti della persona che lo presidia. Da una iniziale concezione
rigida e normativa di r., propria dei principi de L’organizzazione scientifica del
lavoro di F.W. Taylor (verticalizzazione della decisione, definizione scientifica
delle mansioni, selezione della persona più adatta, addestramento della stessa in
modo efficiente, controllo della produttività), la sociologia ha via via aperto le sue
prospettive ai fattori informali dell’organizzazione, al contesto ambientale, alle
caratteristiche peculiari delle persone impegnate. Soprattutto l’analisi del lavoro
nella società cognitiva ha potuto rilevare come i r.p., non più riconducibili a quali-
fiche rigide, hanno acquisito sempre più un carattere culturale, mentre si sono
create nuove forme di relazioni proprie dei gruppi e delle comunità professio-
nali. Tali relazioni pongono in evidenza la natura culturale di ogni attività di lavoro
competente, e la necessità di creare circoli virtuosi tra i componenti delle comunità
tramite percorsi formativi, scambio di materiali, occasioni di incontro e confronto,
associazioni professionali.
3. In tal modo, sotto le spinte della globalizzazione e della cognitivizzazione, il
r.p. diventa sempre meno un fattore rigido e prescrittivo ed acquisisce sempre più
un carattere di habitus ovvero un costume, una mentalità che richiede al soggetto
che lo presidia una intensa partecipazione esprimendo in ciò le proprie prerogative
personali sotto forma di competenza.
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166
Bibl.: PARSONS T., Structure and process in modern societies, Glencoe (Illinois), Free Press, 1960;
MAGATTI M. (Ed.), Azione economica come azione sociale, Milano, Franco Angeli, 1990; SCOTT
W.R., Organizzazioni, Bologna, Il Mulino, 1994; CESAREO V. (Ed.), Sociologia, concetti e tematiche,
Milano, Vita e Pensiero, 1997; GIANNINI M. - E. MINARDI, I gruppi professionali, Milano, Franco
Angeli, 1998; GALLINO L., Dizionario di Sociologia, Torino, UTET, 2000; BOAM R. - P. SPARROW,
Come disegnare e realizzare le competenze organizzative. Un approccio basato sulle competenze per
sviluppare le persone e le organizzazioni, Milano, Franco Angeli, 2002; TRIGILIA C., Sociologia
economica, 2 voll., Bologna, Il Mulino, 2002; BOLDIZZONI D. (Ed.), Management delle risorse
umane, Il Sole 24 Ore, 2003.
D. Nicoli
SALUTE
Sicurezza sul lavoro; Prevenzione; Società; Efficacia; Etica profes-
sionale; Formazione
SAPERI
Aree professionali; Certificazione degli apprendimenti; Conoscenze;
Contratto formativo; Didattica induttiva; Istruzione e FP; Qualifica pro-
fessionale; Comunità educativo formativa
SCIENZE UMANE ED ETICA
1. Le s.c. Le s.u. sono quelle forme di indagine e di sapere che hanno come og-
getto proprio l’uomo nelle sue espressioni e nel suo vissuto specificamente
umani. S.u. sono quindi anzitutto la psicologia, la psichiatria, la sociologia e le
scienze sociali in genere e quindi l’antropologia culturale, le scienze della comu-
nicazione, e in particolare la linguistica e la semiologia. La insaziabile curiosità
dell’uomo nei confronti dello specifico della sua umanità ha prodotto negli ultimi
due secoli uno sviluppo enorme di queste forme di sapere, moltiplicandone il
numero, le suddivisioni e le specializzazioni. Dal punto di vista specificamente
etico, questo sviluppo e l’insonne ricerca che lo ispira vanno visti come assolu-
tamente positivi.
2. L’etica. Le specifiche esigenze dell’e. pongono come unica condizione al libero
sviluppo della ricerca sull’uomo il rispetto della sua dignità e dei suoi diritti inalie-
nabili. Anche l’e. del resto è sempre e comunque un sapere sull’uomo: essa studia
e interpreta il vissuto morale umano, una delle realtà più specificamente ed esclusi-
vamente umane. Il vissuto morale infatti non è solo una esperienza umana che si
pone accanto alle altre, essa le tocca, le coinvolge e le giudica dal suo punto di
vista, tutte. Proprio per l’identità dell’oggetto della loro ricerca, costituito in ultima
istanza dall’uomo, l’e. e le altre s.u. hanno intrattenuto e intrattengono numerose
forme di incontro e di dialogo, di confronto e, a volte, di scontro. Per quanto ri-
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guarda l’e., fin dal suo primo porsi come forma di sapere, essa ha dovuto occuparsi
in modo esplicito e diretto della psicologia del vissuto morale, e quindi, ad es.,
della specifica razionalità e., della coscienza morale, della libertà e delle forme del
suo esercizio, della motivazione, della trasgressione e del senso di colpa. È per
questo che i teologi e i filosofi furono per molti secoli praticamente gli unici ad
occuparsi di psicologia.
3. Problemi comuni. Grossi problemi, come quelli del significato ultimo dell’esi-
stenza umana, interessano, sia pure da punti di vista anche molto diversi, tanto l’e.
quanto le scienze dell’uomo. Ma con l’illuminismo il rapporto tra queste due
forme di ricerca e di sapere è stato frequentemente caratterizzato da una certa
forma di conflittualità o almeno di diffidenza reciproca. Fin dal loro primo porsi
come forme di sapere autonomo (se pure disperatamente ma inutilmente impe-
gnate ad imitare i metodi di ricerca delle scienze naturali) le s.u. guardarono con
sospetto a ogni forma di e. Fu allora il sapere morale, sia filosofico che teologico,
a dover comparire davanti al tribunale delle scienze dell’uomo per rendere conto
della sua serietà e sensatezza, messa in questione dai cosiddetti “maestri del
sospetto” (Marx, Nietzsche, ma soprattutto Freud).
4. Servizio reciproco. Pur nella loro unilateralità e nel carattere preconcetto dei
loro presupposti, le contestazioni rivolte dalle s.u. all’e., offrirono a quest’ultima
un contributo prezioso per quel lavoro di verifica, di autocritica e di affinamento
progressivo dei propri strumenti di ricerca che è compito essenziale di ogni
forma di sapere scientifico, compreso evidentemente quello etico. Particolarmente
preziosi furono i suggerimenti e le critiche provenienti dalla psicologia e dalle
scienze della comunicazione. Esse si rivelarono particolarmente utili, ai fini di una
migliore comprensione dello specifico mondo umano del desiderare e del tendere,
del funzionamento della coscienza e dei limiti e condizionamenti della libertà
umana. Ma il servizio più importante reso dalle s.u. all’e. (in questo caso all’e. in
quanto vissuto più che in quanto sapere) è probabilmente legato ai problemi del-
l’educ. morale e quindi allo studio dello sviluppo morale, cioè dei dinamismi edu-
cativi e delle tappe della graduale maturazione del senso morale, dalle forme più
psichicamente immature di impegno morale del bambino a quelle mature dell’a-
dulto riuscito. È evidente quanto lo studio dello sviluppo morale e dei dinamismi
educativi che lo incentivano sia importante, per poter offrire una guida illuminata e
un aiuto efficace agli adulti educatori e, in ultima analisi, per promuovere un
destino migliore per l’umanità. D’altra parte, anche l’e. ha un suo contributo speci-
fico da offrire alle scienze dell’uomo: si tratta di una seria messa in guardia contro
il pericolo che le scienze dell’uomo, attratte dal modello delle scienze della natura
e ingannate dalle allettanti promesse di esattezza e di efficacia operativa offerte dai
metodi di ricerca, tipici di questo mondo del sapere, dimentichino il carattere
specifico dell’oggetto delle loro ricerche, che è l’uomo, con la sua assoluta unicità
nel creato, e con il suo vissuto caratterizzato dalla dimensione spirituale e dal
carattere libero e responsabile del suo agire.
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Bibl.: WOLFF K., Psychologie und Sittlichkeit, Stuttgart, Klett, 1958; WRIGHT D., The Psycology
of Moral Behaviour, London, Harmondsworth, 1971; KOHLBERG L., Essays on Moral Development,
2 voll., S. Francisco, Harper & Row, 1981; STEININGER M., Problemi etici in psicologia, Roma,
Armando, 1988; GATTI G., Educazione morale, etica cristiana, Leumann (To), ElleDiCi, 1994; LA-
DRIÉRE J., L’etica nell’universo della razionalità, Milano, Vita e Pensiero, 1999.
G. Gatti
SCUOLA
Sistema formativo; Riforma educativa; Successo scolastico e professio-
nale; Valori professionali; Abbandono; Alternanza formazione lavoro;
Politiche formative; Autonomia; Comunità educativo formativa; Cono-
scenze; Didattica induttiva; Don Bosco e la FP; Educazione; Educa-
zione permanente; FPI; FP superiore; FP: sviluppo storico; Handicap e
FP; Ispirazione cristiana della FP; Laboratorio; Lingua straniera; Meto-
dologia; Moduli; Monitoraggio; Obbligo scolastico e formativo
SECONDA OPPORTUNITÀ
Alternanza formazione lavoro
SEDE ORIENTATIVA
È la s. accreditata ( accreditamento) dalla Regione per lo svolgimento
del servizio di orientamento secondo le direttive del D.M. 166/01, in analogia a
quanto è previsto per la sede formativa ( CFP). L’accreditamento è obbligatorio
dal luglio 2003. Il D.M. 166/01 è la prima norma di carattere nazionale in materia
di orientamento, dal momento che ad oggi manca una L. quadro. Seguendo il ci-
tato Decreto, in questa voce saranno descritte alcune caratteristiche di base pro-
prie di ogni s.o. Per “sede operativa” il decreto intende un soggetto organizzativo
flessibile, responsabile dei processi ed erogatore dei servizi.
1. L’ambito di azione della s.o. è riconducibile a tutti quegli interventi di carattere
informativo, formativo, consulenziale, finalizzati a promuovere l’auto-orienta-
mento e a supportare la definizione di percorsi personali di formaz. e lavoro
e il sostegno all’inserimento occupazionale. I servizi sono fondamentalmente tre:
a) informazione o., che è rappresentata da un sistema informativo strutturato car-
taceo e/o multimediale, su opportunità di formaz. e di lavoro, aperto ai bisogni in-
formativi di utenze giovani e/o adulte e accessibili mediante esplorazioni personali
e/o con l’assistenza di un esperto; b) formazione o., che è rappresentata dalla ero-
gazione di moduli brevi, destinati a gruppi di utenti con omogenei fabbisogni
informativo-formativi su particolari tematiche connesse al processo orientativo
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(es. “Tecniche e strategie di ricerca del lavoro”, “Le nuove forme del lavoro”, “Le
politiche attive del lavoro”, “Mercato del lavoro e delle professioni locale”,
“Esplorazione del sé”, “Analisi delle capacità, degli interessi e delle motivazioni”);
c) consulenza o., che si configura come una “relazione di aiuto individualizzato”
che mira a favorire, anche mediante la metodologia del “bilancio delle compe-
tenze”, la conoscenza di sé, la scoperta delle proprie attitudini, capacità e inte-
ressi e la chiarificazione delle motivazioni per giungere a definire un proprio
progetto professionale e a individuare le vie per attuarlo. Per utenti che presentano
fenomeni di disorientamento e/o disadattamento ( disagio) vengono realizzati
interventi specialistici di carattere psico-pedagogico.
2. Concorrono allo svolgimento dei suddetti servizi varie risorse umane che
sono, soprattutto, risorse di governo (quali la direzione, l’amministrazione e il
coordinamento), risorse di processo (quali l’analisi, la progettazione e la valuta-
zione) e, infine, risorse di prodotto (quali la docenza e l’orientamento). Ogni
s.o., infine, dovrà, per essere accreditata, rispondere ad una gamma di requisiti
che da una parte saranno a tutela dell’utente per la qualità del servizio, dall’altra
di garanzia per l’amministrazione pubblica sull’affidabilità e sull’uso di danaro
pubblico. Sono tenuti ad accreditare la s.o. tutti gli organismi pubblici e privati
che organizzano ed erogano attività di o. finanziate con risorse pubbliche. Il mo-
dello delineato dal D.M. 166/01 ha caratteristiche generali; per sperimentarne la
fattibilità onde trarne anche suggerimenti utili al suo miglioramento, l’ISFOL ha
promosso una sperimentazione nelle Regioni dell’Obiettivo 1, predisponendo,
allo scopo, un documento “Manuale operativo per l’accreditamento delle sedi
orientative”. Al momento della stesura della presente voce, tuttavia, non si è in
possesso dei risultati. Ci si limita pertanto a riportare un giudizio più generale,
contenuto nel rapporto ISFOL 2003. La FP è il “servizio che ha investito
maggiormente in azioni orientative, sia esterne (per i propri utenti) sia esterne
(nei confronti degli utenti di altri sistemi. Gli interventi rivolti agli utenti dello
stesso sistema sono soprattutto di accompagnamento in itinere dell’esperienza in
corso e di sostengo sia nelle transizioni tra i diversi canali, sia per l’inserimento
nel mondo del lavoro, mentre per quanto concerne gli interventi per gli altri sog-
getti istituzionali è possibile riscontrare una vasta gamma di servizi dedicati sia
al sistema scolastico (attività informative, progetti integrati, interventi nelle di-
verse fasi di transizione, ecc.) sia ai servizi per l’impiego (servizi di acco-
glienza, colloquio, tirocini, bilancio di competenze, ecc.)” (ISFOL, 2003, 301).
Bibl.: MINISTERO DEL LAVORO, DM del 25 maggio 2001, Roma, Ministero del Lavoro, 2001; BETTONI
C. - L. SCIARRETTA, L’accreditamento delle sedi operative di formazione e orientamento, in “Profes-
sionalità”, XXII (2002) 71, 23 - 37; CNOS-FAP (Ed.), Accreditamento della sede orientativa. La pro-
posta del CNOS-FAP alla luce del D.M. 166/2001, Roma, Tipografia Pio XI, 2002, ISFOL (Ed.), Ma-
nuale operativo per l’accreditamento delle sedi orientative, voll. 1, 2 e allegati, Roma, manoscritto,
2002; ISFOL, Rapporto 2003, Brescia, La Scuola, 2004.
M. Tonini
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SERVIZI (O CENTRI) PER L’IMPIEGO
La riforma dei s.p.i. (ex Uffici di collocamento), a seguito del D. Lgs. del 23
dicembre 1997, n. 469, prevede la necessità di fronteggiare situazioni di disoccu-
pazione strutturale rivedendo e modificando gli obiettivi specifici che, oltre alle
prestazioni di base ( accoglienza e gestione delle procedure amministrative),
hanno come finalità: a) la facilitazione dell’incontro tra domanda ed offerta di la-
voro; b) la prevenzione dei fenomeni di disoccupazione; c) l’allargamento della
partecipazione al mercato del lavoro, in particolare attraverso una maggiore
partecipazione della manodopera femminile e di altri segmenti sottorappresentati
nel mercato del lavoro.
1. Servizi attivati nei s.p.i. I s.p.i., devono essere in grado di fornire i servizi corri-
spondenti, sulla base delle scelte di indirizzo espresse ai diversi livelli di strategia
di intervento (nazionale, regionale, provinciale, locale), considerando principal-
mente le caratteristiche specifiche dei mercati del lavoro locali. È pertanto, essen-
ziale l’organizzazione di un sistema di rete delle strutture informative che ope-
rano a livello territoriale. Per il funzionamento dei nuovi servizi si dovrà provve-
dere a fornire azioni di: a) accoglienza ed informazione orientativa; b) gestione
procedure amministrative; c) orientamento e consulenza; d) promozione di
segmenti del mercato del lavoro a sostegno delle fasce deboli ( disagio); e) in-
contro domanda ed offerta. Inoltre, nell’ambito dell’art. 68 della L. 144/99 rela-
tivo all’obbligo formativo, cui si aggiunge l’Accordo della Conferenza Unificata
Stato-Regioni del 2/3/00, sono previsti altri nuovi servizi a carico dei s.p.i. (ana-
grafe regionale sull’obbligo scolastico, interventi di informazione, orientamento e
tutorato, banche dati per favorire l’orientamento dei giovani e la predisposizione
di un’adeguata offerta formativa).
2. Le nuove funzioni/competenze dei s.p.i. Il D. Lgs. 469/97 prevede che le Pro-
vince debbano gestire ed erogare, in strutture denominate “s.p.i.”, funzioni e
compiti connessi a diverse tipologie di collocamento (ordinario, agricolo, dello
spettacolo, obbligatorio, degli extracomunitari, dei lavoratori domestici e a do-
micilio), all’avviamento a selezione negli enti pubblici, alla preselezione ed
incontro tra domanda ed offerta di lavoro, ad iniziative volte ad incrementare
l’occupazione e ad incentivare l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro anche
con riferimento all’occupazione femminile. Il D. Lgs. 181/00 per agevolare l’in-
crocio domanda/offerta di lavoro sottolinea l’obbligatorietà per i s.p.i. dell’ero-
gazione di servizi attinenti colloqui di orientamento e proposte di iniziative di in-
serimento lavorativo ( accompagnamento al lavoro) o di formaz. a fasce di
utenza ben definite. La novità sostanziale consiste nel fatto che i s.p.i. devono
fornire ai loro clienti/utenti, oltre che i tradizionali servizi di tipo amministrativo
collegati al collocamento, soprattutto nuove tipologie diversificate di servizi es-
senzialmente centrati sull’obiettivo di favorire l’incontro tra la domanda e l’of-
ferta di lavoro e sullo sviluppo di interventi di supporto alle scelte formative e
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lavorative (servizi informativi, di consulenza, di orientamento, di preselezione,
di inserimento lavorativo, ecc.). Essi potranno anche essere chiamati a promuo-
vere e progettare interventi mirati per quanti incontrano maggiori difficoltà ad
inserirsi o reinserirsi nel mercato del lavoro. I clienti possono essere sia persone
che imprese. Possono, ad es., rivolgersi ai s.p.i: a) persone che cercano lavoro
o che vogliono modificare la loro condizione lavorativa; b) persone che devono
definire propri progetti formativi o professionali ( progetto personale e profes-
sionale); c) imprese che richiedono informazioni in materia di collocamento,
contrattualistica e legislazione del lavoro; d) imprese che cercano nuovo perso-
nale o che chiedono consulenza sui problemi della formaz. e dello sviluppo delle
risorse umane e dell’organizzazione; e) imprese con più di 15 dipendenti e
persone disabili ( handicap e FP), o appartenenti ad altre categorie protette che
richiedono interventi di sostegno per un inserimento lavorativo ( accompagna-
mento al lavoro) mirato, ai sensi della L. 68/99.
Bibl.: APOF (Agenzia Provinciale Orientamento e Formazione), Manuale per la sperimentazione,
vol. I, Linee di Servizi Informativi e orientativi presso i Centri per l’Impiego, Potenza, Manoscritto,
2001; ISFOL, Rapporto 2002, Milano, Franco Angeli, 2002; ISFOL, Manuale operativo. L’inter-
vento per l’obbligo formativo nei servizi per l’impiego, Milano, Franco Angeli, 2002.
D. Pavoncello
SICUREZZA SUL LAVORO
Il tema della s.s.l. è un riferimento strategico per le attività di FP; infatti, il
nostro Paese continua a vantare un triste primato sul numero di incidenti sul
lavoro, almeno in relazione ad altri Paesi europei. Le norme in materia di s.s.l. tro-
vano il loro fondamento nella tutela costituzionale dei diritti al lavoro e alla salute,
e in particolare nell’art. 2087 del Codice civile che obbliga l’imprenditore ad adot-
tare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro.
1. Normativa paradigmatica in materia è senza dubbio il D. Lgs. 626 del 1994, che
impegna le imprese all’adozione di una serie di misure precise a tutela della s.
del lavoratore. La norma individua come destinatari degli obblighi di s. non solo
datori di lavoro e personale dirigente, ma gli stessi lavoratori. Pertanto, è molto
importante erogare una formaz. sulla s. nei confronti di tutti i soggetti operanti
nel contesto aziendale, per fare acquisire ai lavoratori conoscenze tecniche e regole
comportamentali utili in riferimento ai diversi compiti assolti nel processo produt-
tivo. Il D. Lgs. 626/94 obbliga ad effettuare interventi di formaz. in caso di assun-
zione, trasferimento o cambiamento di mansioni, nonché qualora vengano intro-
dotte in azienda nuove tecnologie o attrezzature di lavoro, oppure sostanze e
preparati pericolosi. Tuttavia, considerando che non sempre tale obbligo è rispet-
tato in relazione a tutti i dipendenti, soprattutto quelli che entrano con contratti
flessibili, è importante che la FP si faccia carico di impartire conoscenze e com-
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petenze sulla s. che supportino i giovani nel primo contatto con il mondo del la-
voro. Del resto, gli allievi hanno bisogno di sapere come tutelarsi dal rischio di
infortuni già nei percorsi formativi, prima di effettuare attività nei laboratori e
nelle officine dei CFP, oltre che durante il tirocinio.
2. Riguardo ai contenuti minimi della formaz. alla s.s.l., generalmente si distingue
un primo livello generale di formaz. sui processi produttivi e sull’organizzazione
della s. e un secondo livello più specifico, diversificato secondo il ruolo e le
mansioni svolte nel luogo lavorativo.
R. D’Agostino
SINDACATI
Nell’economia della presente iniziativa editoriale, che privilegia destinatari impe-
gnati soprattutto negli ambiti educativi e formativi, le connotazioni essenziali della
voce s. si focalizzano principalmente sull’identità e i ruoli, sui modelli organizza-
tivi e di azione che le organizzazioni sindacali assumono nei confronti delle modi-
ficazioni socio-economiche che i cittadini sperimentano nel mondo del lavoro e
nell’esercizio dei propri diritti/doveri nei vari contesti sociali. Peraltro, da più parti
sembra emergere un atteggiamento di distacco rispetto al tema “sindacato”, che
viene considerato sì un fenomeno rilevante del mondo industrializzato in un mo-
mento storico ben preciso, ma che non rappresenta più una tematica degna di ap-
profondimento e soprattutto di attualizzazione. Può essere opportuno tener conto
anche di questa situazione nell’approccio al tema e procedere nella strategia educa-
tivo/formativa del sapere, saper fare, saper essere.
1. Identità e ruoli. I s., intesi nel loro significato specifico, designano le asso-
ciazioni/organizzazioni distinte degli addetti ai lavori subordinati (detti prestatori
d’opera), da un lato, e dei datori di lavoro, dall’altro. Identificare le diverse si-
tuazioni di lavoro subordinato e le varie forme dei rapporti con i datori di la-
voro comporta, come ovvio, collocare l’ambito del s. come prodotto della storia.
Da questa constatazione, i raggruppamenti delle Trade Unions delle origini, rife-
riti alle associazioni degli artigiani, si sono via via evoluti in unioni di me-
stieri, o syindacats (termine che in origine indicava l’assistenza a persone in sede
giudiziaria), fino ad estendersi successivamente ai gruppi di interessi organizzati.
Ma il dato storico di riferimento rimanda all’esperienza del lavoro operaio e,
solo più tardi, a quella degli impiegati o dei “colletti bianchi”, fino a compren-
dere tutta l’area del lavoro dipendente. Diversamente, l’aggregazione sociale
degli imprenditori e del lavoro autonomo, privo anche di collaboratori subordi-
nati, segue linee di sviluppo diverse, che non sempre trovano il riferimento al
termine “sindacale” (associazioni di imprenditori, patronats, controparte padro-
nale). Il tutto ha sullo sfondo il dato di origine, che è costituito dalla rivoluzione
industriale.
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2. Modelli strutturali. Nei confronti dei vari contesti socio-economici, il s. si può
configurare schematicamente secondo tre modelli strutturali: il modello antagoni-
stico al sistema, riscontrabile principalmente alle origini e ancora ricorrente nei
Paesi in via di sviluppo; il modello conflittuale nei confronti dell’autorità ai vari
livelli, a partire dalla sede di lavoro dell’organizzazione produttiva e dalle comu-
nità territoriali, fino al livello statuale; il modello partecipativo, ispirato ideal-
mente a valori di solidarietà, a politiche mirate all’integrazione collaborativa
nelle trasformazioni più recenti dell’organizzazione del lavoro, nonché ad espe-
rienze recenti di progetti relativi alla cosiddetta “economia di comunione”.
3. Configurazioni organizzative. Nel contesto italiano, la configurazione organiz-
zativa del s. è determinata da una serie complessa di fattori, che rimandano a
scelte ideologiche e ad elaborazioni dottrinali su aree più vaste della struttura eco-
nomica, costituzionale e giuridica (Costituzione, artt. 39 e 40; Statuto dei Lavora-
tori, L. 300/70). Non meno rilevanti risultano le motivazioni che hanno dato ori-
gine, dal 1944 in poi, a scissioni interne al s. unitario, attraverso varie fasi evolu-
tive con cui si sono strutturate le principali organizzazioni sindacali a livello na-
zionale. Attualmente (secondo i dati socializzati dal “Corriere della Sera” del 28
gennaio 2004), la grande maggioranza dei s. dei lavoratori sono aggregati in tre
organizzazioni presenti in tutti i settori del lavoro dipendente pubblico e privato:
la CGIL (Confederazione Generale Italiana del Lavoro), che dichiara 5,4 milioni
di iscritti, dei quali 2,9 pensionati; la CISL (Confederazione Italiana Sindacati
Lavoratori), che dichiara 4,1 milioni di iscritti, dei quali 2,1 pensionati; la UIL
(Unione Italiana del Lavoro), che dichiara 1,8 milioni di iscritti, dei quali 500 mila
pensionati. Si deve comunque rilevare che accanto alle citate Confederazioni Sin-
dacali sono in forte aumento, dagli anni ‘80, altre organizzazioni: il CUB aggrega
numerose sigle dei Cobas (sindacati di base), che dichiara – sul medesimo “Cor-
riere della Sera” – 600 mila iscritti di cui 160 mila pensionati. Anche le associa-
zioni degli imprenditori si sono strutturate nei diversi settori produttivi attraverso
aggregazioni di rappresentanza facenti capo, a livello nazionale, soprattutto a Con-
findustria, Confapi, Confagricultura.
Bibl.: SS. GIOVANNI Paolo II, Lettera enciclica Laborem exercens, AAS 73 (1981), n. 20; ZANGHERI R.,
Storia del socialismo italiano, Torino, Einaudi, 1997; CELLA G.P., Il sindacato, Bari, Laterza, 1999;
ROMANI M., Appunti sull’evoluzione del sindacato, Roma, Edizioni Lavoro, 2000; CEREJA F., Il movi-
mento operaio torinese nella storia del secolo (materiali), Torino, Cesedi, 2001.
P. Ransenigo
SISTEMA FORMATIVO
Sta ad indicare il complesso delle istituzioni che svolgono la funzione formativa e
l’organizzazione della relativa offerta. L’espressione sottolinea l’idea che tali strut-
ture costituiscano come un tutto, un’unità, un insieme che presenta regole e com-
piti comuni.
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1. Il modello di riferimento. Benché nel mondo la varietà dei s.f. sia grande,
tuttavia, da quando nel 1972 l’UNESCO ha lanciato il modello della formaz. per-
manente ( FP continua), si può dire che tutti i Paesi vi hanno riconosciuto un
quadro di riferimento (Faure et al., 1972; Delors et al., 1996). Questo ruota attorno
a quattro assunti principali. Anzitutto, lo sviluppo integrale dell’uomo richiede il
coinvolgimento lungo l’intero arco dell’esistenza, oltre che della scuola e della
FP, di tutte le agenzie formative in una posizione di pari dignità, anche se ciascuna
di esse interverrà in tempi e forme diverse secondo la propria natura, la propria
metodologia e i propri mezzi (policentricità formativa). Il s.f. deve prevedere la
possibilità di spezzare la sequenza della formaz. in diversi tempi – in modo da
rinviarne parte o parti a un momento successivo al periodo della giovinezza – e di
alternare momenti di studio e di lavoro ( alternanza, formazione lavoro). In
terzo luogo, la formaz. è una responsabilità della società intera, comunità e sin-
goli, che sono chiamati a gestire democraticamente le iniziative formative (“cité
educative”, o società educante). Infine, la formaz. dovrà costituire un diritto di
tutte le persone e di tutti i popoli, presentare un carattere propositivo, offrire stru-
menti per l’elaborazione di un progetto personale di vita e stimolare l’educando
a porsi in maniera critica e innovativa rispetto ai messaggi trasmessi e ai valori cir-
colanti nella società (formaz. liberatrice).
2. Le strategie di sistema. Essendo il problema nord/sud la questione più grave che
l’umanità dovrà affrontare nel futuro prossimo, gli interventi sul piano mondiale
diventano la priorità delle priorità. In altre parole, non è possibile pensare di risol-
vere i problemi formativi sul piano locale se non si risolvono al tempo stesso i pro-
blemi a livello mondiale, se non si riesce ad es. a ridurre in misura importante le
diseguaglianze di opportunità formative tra i Paesi del nord e del sud.
Un altro gruppo di strategie rientrano nel cosiddetto sistema integrato: questo si-
gnifica il coordinamento tra le diverse strutture formative che consenta di valoriz-
zare i rapporti di complementarità esistenti e di favorire transizioni complesse, in
vista della realizzazione di sinergie generali e della creazione di una vera coerenza
formativa. La “cité éducative” del Rapporto Faure (cioè che l’ educ. è una
responsabilità della società intera, comunità e singoli, che sono chiamati a gestire
democraticamente le iniziative formative), o la tesi del rapporto Delors che l’educ.
riguarda tutti i cittadini, resi ormai attori da consumatori passivi che erano prima,
non si possono attuare partendo solo dallo spontaneismo della società civile, ma
richiede anche un intervento del centro che dovrà dare l’impulso, offrire una guida
e valutare l’attività della periferia (Faure et al., 1972; Delors et al., 1996). Non è
pensabile che il mercato possa, lasciato a se stesso, correggere i propri limiti o che
basti una specie di autoregolazione; è, invece, necessario che l’autorità politica si
assuma tutta la responsabilità che le compete.
3. Intervento del privato. Lo Stato non è più in grado da solo di affrontare i pro-
blemi formativi, ma la sua azione dovrà essere completata dall’intervento del
“privato sociale” e del mercato, cioè bisogna ipotizzare una dinamica sociale a
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tre dimensioni. Il “privato sociale” comprende le iniziative che, pur promosse da
privati, sono finalizzate a scopi pubblici: pertanto, esse dovrebbero essere soste-
nute dal denaro di tutti, sebbene non completamente, perché conservano sempre
un carattere e una responsabilità privata. In terzo luogo, si dovrebbe fare ricorso
al mercato libero per utilizzare anche le sue grandi risorse a condizione che siano
garantite la qualità del servizio e l’eguaglianza delle opportunità. Da tale punto di
vista bisognerebbe che venisse generalizzato il riconoscimento reale e pieno della
libertà di educ. Questa può contare almeno su tre giustificazioni molto significa-
tive: il diritto di ogni persona ad educarsi e a essere educata secondo le proprie
convinzioni e il correlativo diritto dei genitori di decidere dell’educ. e del genere
d’istruz. da dare ai loro figli minori; il modello della formaz. permanente ( FP
continua), la cui attuazione è assicurata non solo dalle istituzioni formative statali,
ma anche da una pluralità di strutture educative pubbliche o private che, in quanto
operano senza scopo di lucro, hanno diritto di ricevere adeguate sovvenzioni
statali; l’emergere nelle dinamiche sociali fra Stato e mercato di un “terzo settore”
o del “privato sociale” che, creato dall’iniziativa dei privati e orientato a perse-
guire finalità di interesse generale, sta ottenendo un sostegno sempre più consi-
stente dallo Stato a motivo delle sue valenze solidaristiche.
Bibl.: FAURE E., Learning to Be, Paris/London, UNESCO/Harrap, 1972; DELORS J. et al., L’éduca-
tion. Un trésor est caché dedans, Paris, Editions UNESCO/Editions Odile Jacob, 1996; MALIZIA G.,
“Sistema formativo”, in J.M. PRELLEZO - C. NANNI - G. MALIZIA (Edd.), Dizionario di scienze del-
l’educazione, Leumann (TO)/Roma/Torino, ElleDiCi/LAS/SEI, 1997, 1021-1022; AUGENTI A.,
Europa chiama scuola, Roma, Sermitel, 1998; DI AGRESTI C., Le politiche formative dell’Unione
Europea, in “Orientamenti Pedagogici”, 46 (1999) 3, 441-448; MALIZIA G. - C. NANNI, “Istruzione e
formazione: gli scenari europei”, in CIOFS/FP - CNOS-FAP (Edd.), Dall’obbligo scolastico al
diritto di tutti alla formazione: i nuovi traguardi della Formazione Professionale, Roma, Tipografia
Pio XI, 2002, 15-42.
G. Malizia
SISTEMA PREVENTIVO
1. La ped. che sorregge la FP salesiana, pur con le diversità dei tempi, dei luoghi
e delle azioni formative, si rifà agli stili della tradizione educativa salesiana, glo-
balmente compresi in quello che viene detto s.p. La formula era già usata in altre
nazioni (Francia, Belgio), ma con don Bosco, specie dopo la pubblicazione de Il s.p.
nell’educ. della gioventù (1877) assunse un significato specifico, venendo ad
evidenziare soprattutto un modo di educare in cui non si reprimono mancanze od
errori, ma piuttosto si fa in modo che non accadano, promovendo tutto ciò che con-
tribuisce ad un buono sviluppo umano degli educandi. In ciò, per un verso, don
Bosco si collocava in quel movimento, tipico dopo il Congresso di Vienna (1815),
per cui preservare, proteggere, ma anche preparare, premunire, illuminare, istruire,
promuovere erano “imperativi” (o perlomeno “infinitivi”) con cui molti volevano
caratterizzare la politica, l’economia, la vita giuridica e sociale e l’ educ.; per
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altro verso, don Bosco continuava ed innovava l’inesausta tradizione caritativa cri-
stiana dell’età moderna a favore della gioventù, specie quella delle classi popolari o
in condizione di disagio (“gioventù povera ed abbandonata”, “giovani poveri e peri-
colanti”), educandoli con stili improntati ai principi evangelici dell’amore e della
misericordia. Don Bosco, ha saputo dare a queste prospettive un’anima ed una certa
unità ideale, com’ebbe a dire nel 1920 il pedagogista idealista Lombardo Radice.
2. Nel corso della tradizione educativa e formativa salesiana, già vivente don
Bosco, non sono mancati momenti di difficoltà, ma a tutt’oggi certi aspetti del s.p.
sembrano avere una loro forza propositiva (non senza aggiustamenti e adegua-
menti pratici e teorici, pedagogici e teologici). In estrema sintesi, questi punti forza
si possono così elencare: l) il s.p. si pone nell’orizzonte della ricerca del bene dei
giovani, non in astratto: il bene spirituale (“Da mihi animas”), si concretizzò in
don Bosco nell’essere “prete dei giovani”, vicino a loro, sensibile alle loro esi-
genze (di sicurezza, istruz., lavoro, ma anche di gioia, vitalità, bisogno di af-
fetto, di amicizia, di accompagnamento autorevole e orientativo, ecc.); 2) il s. p. si
fonda sulla fede evangelica della benignità e della paternità misericordiosa di Dio.
Per questo don Bosco propose la benigna amabilità e lo zelo esuberante di s. Fran-
cesco di Sales ad esempio dei suoi collaboratori e lo volle protettore della sua con-
gregazione di preti e laici (e poi di quella che ancora oggi è chiamata “famiglia
salesiana”); 3) alla base del s.p. c’è la convinzione della grandezza e fragilità del
ragazzo e della sua dignità di persona e di figlio di Dio, che portava don Bosco a
dire: “senza di voi non posso far nulla”; 4) pur non facendosi illusioni romantiche
alla Rousseau, il s.p. parte dall’idea che in ogni ragazzo, anche il più traviato, c’è
“un punto accessibile al bene” e stimola gli educatori a mantenere un tono proces-
suale di fiducia e di speranza nell’uomo e nella provvidenza di Dio: in tal senso
don Bosco ripeteva ai suoi collaboratori il “niente ti turbi” che fu di Gesù, di s.
Paolo, di s. Teresa d’Avila, di s. Francesco di Sales; 5) lo stile di intervento nei
confronti dei giovani è improntato non solo alle motivazioni profonde che discen-
dono da una visione religiosa della vita ( “religione”), ma anche a ragione, ragio-
nevolezza ed amorevolezza (cfr. le frasi attribuite a don Bosco: “l’educazione è
questione di cuore”; “studia di farti amare”; “non basta amare i giovani, ma bi-
sogna che sappiano di essere amati”); 6) la relazione educativa è realizzata sotto
forma di presenza attiva ed amichevole, al fine di favorire l’iniziativa, invitare a
crescere nel bene, incoraggiare a liberarsi da ogni schiavitù, affinché il male non
superi e non vinca le forze migliori degli individui e del gruppo (“assistenza” e
“preventività”); 7) la vita e l’ ambiente educativo è esemplato sulla struttura, le
dinamiche, le funzioni e lo “spirito di famiglia”, in modo tale che ciascuno si possa
sentire “a casa sua”; 8) fin dagli inizi l’opera educativa di don Bosco fu finalizzata
a formare “buoni cristiani ed onesti cittadini”, che si “guadagnassero il pane con il
proprio lavoro”. Tale quadro finalistico, con il crescere dell’opera salesiana, si di-
latò sempre più nella linea di un progetto-uomo, che coniugasse insieme “lavoro,
religione, virtù” e di un progetto-società, che ricercasse pietà, moralità, cultura,
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civiltà: parametri simili, insieme civili e religiosi, sono tipici del s.p., pur nella
linea di fedeltà ed innovazione (cfr. l’espressione: “con don Bosco e con i tempi”).
3. Quest’“anima” del s.p. trova il suo “corpo”, cioè la consistenza istituzionale nel-
l’“oratorio”. Esso non era nuovo come istituzione catechetica-educativa (cfr.
s. Filippo Neri e s. Carlo Borromeo); ma con don Bosco, diventa un’istituzione
educativa globale e paradigmatica. In tal senso, l’oratorio di Valdocco, come di-
cono le Costituzioni rinnovate dei salesiani, fu (ed ogni istituzione salesiana è
chiamata ad essere) per i giovani “casa che accoglie, parrocchia che evangelizza,
scuola che avvia alla vita e cortile per incontrarsi con gli amici e vivere in alle-
gria”. Parimenti, la tradizione educativa salesiana del s.p. ha prodotto un “arma-
mentario” pedagogico ed è sempre attento a produrre creativamente e contestual-
mente “dispositivi” e supporti, che vanno dall’organizzazione dell’ ambiente,
alla regolamentazione della vita comunitaria, di gruppo, di massa; all’insieme delle
attività ricreative, ludiche, fisiche, culturali, religiose (banda, teatro, squadre spor-
tive, gruppi ricreativi, associazioni formative, ecc.); alla scansione dei tempi di
festa e della quotidianità giornaliera, settimanale, periodica, annuale; al vivo senso
di coinvolgimento, di corresponsabilità, di partecipazione di tutti ed ognuno nella
vita del centro educativo; all’uso ricorrente di momenti rituali e di momenti di
spontaneità e di svago; al ricorso a forme di comunicazione di massa o indiretta
e a forme di comunicazione interpersonale diretta e profonda; e globalmente, ad un
vivace rapporto tra istituzione educativa e territorio.
Bibl.: VECCHI J. - J.M. PRELLEZO (Edd.), Prassi educativa pastorale e scienze dell’educazione,
Roma, Editrice SDB, 1988; BRAIDO P. (Ed.), Don Bosco educatore. Scritti e testimonianze, Roma,
LAS, 1992; BRAIDO P., Prevenire non reprimere. Il sistema educativo di don Bosco, Roma, LAS,
2000; WIRTH M., Da don Bosco ai nostri giorni, Roma. LAS, 2000; PRELLEZO J.M., Sistema educa-
tivo ed esperienza oratoriana di don Bosco, Leumann (TO), ElleDiCi, 2000; STELLA P., Don Bosco,
Bologna, Il Mulino, 2001; NANNI C., Il sistema preventivo di don Bosco, Leumann (TO), ElleDiCi,
2003.
C. Nanni
SISTEMA PRODUTTIVO
Con l’espressione s.p. si tende solitamente indicare, a livello micro, il modo in cui
è organizzato l’insieme dei fattori di produzione, tra i quali rientrano senz’altro le
risorse finanziarie (capitali), tecnologiche (attrezzature, impianti, ma anche sistemi
logistici), quelle relative alla conoscenza (know how), e infine le risorse umane
(forze di lavoro). Tale espressione è inoltre certamente utilizzata, a livello
macro, per descrivere complessivamente la struttura economico-produttiva di un
Paese.
1. L’attuale riflessione sui differenti modelli di produzione prende le mosse dal-
l’ormai appurata crisi del fordismo, ovvero di quella organizzazione scientifica del
lavoro pensata come one best way e caratterizzata dal controllo razionale dei tempi
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e dei movimenti, dalla parcellizzazione e semplificazione delle mansioni, dalla
separazione tra la progettazione (concezione) e l’esecuzione (manuale), e dalla
conseguente dequalificazione di un lavoro che diviene intercambiabile; tutto ciò in
virtù dell’idea che esiste sempre un modo migliore – individuabile appunto con
metodi scientifici – per compiere qualsiasi tipo di azione e risolvere problemi di
varia natura. Sui fattori di successo di tale sistema di produzione – che nel dopo-
guerra ha favorito l’incremento della produttività, la creazione di posti di lavoro
tendenzialmente stabili che hanno assicurato un aumento dei livelli di reddito e, di
conseguenza, il dilatarsi dei consumi – si è innestato, nel corso degli anni ‘70, il
venir meno di quei meccanismi di regolazione di tipo istituzionale che ne avevano
decretato le fortune: entra infatti in crisi il welfare state, vengono ad esaurirsi al-
cuni cicli tecnologici, le ricorrenti crisi petrolifere aggravano il deficit di efficacia
delle politiche pubbliche keynesiane, cresce il “costo economico” della protesta
operaia, iniziano a manifestarsi i primi segni di una logica produttiva che sorpassa
i confini nazionali.
2. L’uscita di scena del sistema di produzione fordista saluta l’affacciarsi alla ri-
balta di nuovi modelli, definiti “post-fordisti”, e riconducibili essenzialmente alla
specializzazione flessibile, da un lato, alla produzione snella e alla diversificazione
di qualità dall’altro. Nel primo caso, si tratta dell’affermarsi di un paradigma pro-
duttivo decisamente opposto a quello fordista, in quanto centrato sulle imprese
di piccole dimensioni, destandardizzate, caratterizzate da processi di produzione
flessibili e rapidamente orientabili alle esigenze del mercato ( mercato del la-
voro). Il caso più significativo di sistema a specializzazione flessibile è quello dei
distretti industriali italiani, ovvero quel sistema indicato come “terza Italia” (Ba-
gnasco, 1977), e per il quale si è parlato di second industrial devide (Piore - Sabel,
1987). A distinguere tale modello dal paradigma fordista sta l’innalzamento del
livello di fiducia e collaborazione – facilitato dal radicamento in una comune cul-
tura produttiva locale – tra imprenditori e dipendenti, la qualificazione on the job
dei lavoratori stessi – che consente loro di saper svolgere più funzioni e di assu-
mere delle iniziative tese a migliorare il processo di produzione –, nonché un certo
grado di informalità nella regolazione dei rapporti di lavoro.
3. L’elemento della flessibilità è comune anche al modello della produzione snella
(lean production) concettualizzato a partire dagli studi sui processi di ristruttura-
zione delle fabbriche della Toyota. L’obiettivo della qualità “totale”, al perse-
guimento del quale i dirigenti dell’azienda nipponica si votarono, fu raggiunto
attraverso una meticolosa ottimizzazione del processo di produzione, grazie alla
quale si puntò ad economizzare su ogni componente tecnologica ritenuta ridon-
dante, ordinando la produzione per piccoli lotti, programmando rigidamente le
quantità per singolo periodo così da “azzerare” le scorte di magazzino, ed esten-
dendo – attraverso rapporti fiduciari o di controllo diretto – questi stessi principi ai
propri fornitori. Il punto di forza del modello, e l’elemento che ne determinò il
successo, fu comunque il coinvolgimento diretto dei lavoratori nel miglioramento
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del ciclo produttivo e la loro adattabilità/polifunzionalità alle esigenze del-
l’azienda. Preparazione e polivalenza dei lavoratori sono, infine, punti di forza del
modello della produzione diversificata di qualità, che mira a “coniugare la produ-
zione su larga scala con la realizzazione di prodotti che si collocano sui segmenti
“alti” del mercato, con l’obiettivo di rispondere alle domande di una clientele
selettiva ed esigente attraverso [...] l’elevato standard di realizzazione, la diversifi-
cazione e la personalizzazione dei prodotti” (Lodigiani - Martinelli, 2002, 21).
Bibl.: BAGNASCO A., Tre Italie. La problematica territoriale dello sviluppo italiano, Bologna, Il
Mulino, 1977; PIORE M. - C. SABEL, Le due vie allo sviluppo industriale, Torino, Isedi, 1987; BUTERA
F., Il castello e la rete, Milano, Franco Angeli, 1991; KERN H. - M. SCHUMANN, La fine della divi-
sione del lavoro? Produzione industriale e razionalizzazione, Torino, Einaudi, 1991; BONAZZI G.,
Storia del pensiero organizzativo, Milano, Franco Angeli, 1998; LODIGIANI R. - M. MARTINELLI
(Edd.), Dentro e oltre i post-fordismi, Milano, Vita e Pensiero, 2002.
M. Colasanto
SISTEMA QUALITÀ
Qualità; Accreditamento
SOCIETÀ
Un primo problema che si presenta a chi voglia studiare la s. è un problema innan-
zitutto di definizione. Il concetto di s. infatti è un concetto polisemico, di difficile
precisazione perché di vastissima estensione, una di quelle categorie che da oltre
due millenni ricorre con grande frequenza e varietà di significati sia nel linguaggio
comune che nei linguaggi specializzati della filosofia, del diritto, dell’economia,
della politica, della storiografia, della sociologia e delle altre scienze sociali. In un
modo o in un altro, tutte le discipline dell’uomo hanno tra i loro oggetti di osserva-
zione o di contesto il costrutto s. In particolare nelle scienze socio-politiche, attra-
verso la sua concettualizzazione, l’uomo cerca di comprendere la realtà sociale,
così da avere strumenti simbolici di controllo per studiarla e quindi governarla. In
questo saggio molto sintetico, noi ci collochiamo in una prospettiva prevalente-
mente sociologica e con un approccio globale e olistico. In senso molto ampio, una
s. può essere definita come un insieme di persone, organizzate in una serie di
gruppi e istituzioni in relazione tra di loro, che tendono a conservarsi nel tempo e
che condividono una medesima cultura per lo più abbastanza omogenea. In senso
più ristretto, si parla di s. come un sistema di sistemi (Gallino, 1980, 41), in intera-
zione tra di loro, sulla base di due leggi, quelle della interdipendenza e delle reci-
procità, e individuabili nei quattro sistemi della persona, della popolazione, della
cultura e del sistema sociale.
1. Il sistema sociale propriamente detto costituisce la dimensione strutturale di
ogni s., che viene perciò teoricamente articolata secondo altrettanti settori distinti
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di attività, ciascuno dei quali presiede ad una serie di funzioni specifiche, chiara-
mente definibili. In ogni s. possiamo così individuare: a) il sistema dell’organizza-
zione politica che tende ad assicurare il controllo unitario della s., costruendone e
orientandone gli scopi collettivi e l’azione sociale, per far fronte alle esigenze ge-
nerali di difesa esterna, mantenimento dell’ordine interno, ricerca della coesione
sociale, rilevazione delle molteplici e contrastanti domande politiche della popola-
zione; b) il sistema di produzione economica che, attraverso una adeguata strumen-
tazione tecnologica, presiede all’acquisizione, trasformazione e distribuzione delle
risorse umane, materiali ed energetiche, così da offrire una serie di prodotti che
garantiscono la sopravvivenza del sistema generale; c) il sistema della riprodu-
zione socio-culturale, che ha il compito di operare la trasmissione della memoria
sociale di un gruppo umano, di quella serie cioè di norme, valori e stili di vita, di
conoscenze cognitive, informative e prescrittive, che hanno costituito la cultura del
passato, ma sulla cui base si vengono ad elaborare e diffondere definizioni, istru-
zioni, norme e valori che riguardano l’esistenza individuale e sociale, oltre che ad
essere diretti a costruire dei sistemi di significato capaci di orientare il comporta-
mento e l’interazione sociale, attraverso la formaz. del linguaggio, la comunica-
zione verbale e massmediatica, il particolare orientamento religioso ( religione);
d) il sistema della riproduzione biopsichica, che provvede alla riproduzione biolo-
gica e alla cura della salute mentale della popolazione, ne regola l’interazione
sociale, le dinamiche relazionali soddisfacenti, i rapporti sessuali, le cure fisiche
dei figli, l’assistenza e la cura medica specie dei bambini e degli anziani in base
specialmente alle condizioni definite dalle istituzioni e dalla cultura locale.
2. Evoluzione storica degli studi sulla s. La categoria sociologica di s., emersa
peraltro soltanto in questi due ultimi secoli, per opera di Comte, di Durkheim, di
Tonnies, e dei sociologi moderni, è stata preceduta da una storia molto antica, che
affonda le sue origini nella filosofia. Già la riflessione teoretica di Platone tende a
considerare la s. come una risposta funzionale e organizzata ai diversi bisogni del-
l’uomo. Anche Aristotele propugna la concezione dell’uomo naturalmente socie-
vole, che sarà poi ripresa dalla filosofia sociale e politica di san Tommaso, con il
quale si diffonde la concezione della s. come totalità organica e sistema di relazioni
naturali, il cui ordine è voluto e regolato da un fine comune trascendente quelli indi-
viduali, che è il bene comune. Esso è sovrafunzionale all’individuo e si manifesta
nello Stato. In opposizione alla concezione della s. come ordine naturale, si colloca
Hobbes, il quale afferma la naturale tendenza degli uomini a danneggiarsi l’un
l’altro, aprendo così il pensiero alla concezione contrattualistica della s., secondo
cui per evitarne la distruzione è necessario un contratto, che artificialmente deli-
miti le esigenze e le pretese di ciascuno. Per mezzo di esso ogni individuo libera-
mente cede il suo diritto di usare la forza a favore di un terzo, cioè lo Stato, che
sulla base di un calcolo razionale garantisce l’incolumità dei suoi membri. Vi è qui
una prima opposizione tra la s.-natura e la s.-istituzione. A quest’ultima, Rousseau
contrapporrà la s.-natura, con l’esaltazione del vivere primitivo, dove la natura ori-
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ginariamente buona si è corrotta attraverso la costituzione della collettività. Nel
corso del ‘700, appaiono le elaborazioni teoriche sul sociale di filosofi come Kant e
di economisti come Montesquieu, Smith e Ferguson, dove si pongono preliminar-
mente le basi teoriche della distinzione tra s. civile e s. politica. Si dovrà aspettare
l’‘800 per trovare una teoria specifica del sociale distinta da quella del pensiero filo-
sofico. Comte, segretario di Saint Simon, inizierà a investigare la s. con l’approccio
specifico di una scienza che chiamerà “fisica sociale” prima, e “sociologia” poi. In
questo contesto la s. diventa oggetto di uno studio particolare, che userà una me-
todologia speciale, quella empirica e positiva, abbondantemente utilizzata dai “padri
fondatori” della sociologia come Tocqueville, Durkheim, Pareto, Weber, Tonnies,
Marx e Spencer. Da questo punto, lo studio della categoria “s.” diventerà sempre
più specifico per opera di scuole come il funzionalismo, la teoria critica della
Scuola di Francoforte ed il conflittualismo, oltre che per l’apporto dei sociologi
moderni e contemporanei, come Parsons, Gurvitch, Merton, Rimmel, Ardigò,
Habermas, Luhmann, Dahrendorf, Giddens, Featherstone, Beck, Bauman.
3. Tipologie di s. In apertura parlavamo di una pluralità di significati sottesi al con-
cetto di s. Al termine del nostro studio, possiamo individuare una pluralità di tipi
specifici che presentano la poliedricità di questo concetto e sono individuati sulla
base dei criteri di distinzione e di approccio utilizzati. Per cui se della s. noi pren-
diamo in considerazione la sua struttura politica ed economica possiamo parlare di
s. civile e s. politica; di s. agricola, preindustriale, industriale e post-industriale; di
s. di massa e di s. globale; di s. a libero mercato e di s. ad economia controllata; di
s. capitalista e di s. socialista; di s. Gemeinschaft e di s. Gesellschaft; di s. rurali e
s. urbane. Se ci soffermiamo invece su un approccio che ne studi specialmente le
tendenze culturali in genere, gli stili di vita, gli orientamenti del costume, l’orga-
nizzazione del lavoro, l’integrazione o la differenziazione sociale, la dimensione
religiosa, possiamo individuare dicotomie polarizzate come s. semplici e s. com-
plesse; s. integrate e s. multiculturali; s. sacrali e s. secolarizzate; s. tradizionali e s.
moderne o postmoderne. Per l’esigenza di aderire il più possibile alla variegata
complessità della realtà storica senza rinunciare ai benefici di una tipizzazione, si è
giunti, sulla base poi di caratteristiche emergenti e particolarmente tipiche di un
certo periodo storico, ad elaborare una lettura della s. dalle configurazioni più di-
verse, come la s. dei consumi, la s. dell’immagine, la s. dell’incertezza, la s. globa-
lizzata, la s. liquida, la s. del rischio, la s. mondiale, la s. opaca, la s. flessibile, la s.
opulenta, la s. virtuale, la s. comunicazionale, la s. relazionale. In ogni caso però se
è abbastanza facile tipicizzare la società odierna non si dovrà trascurare la sua di-
mensione dinamica e di modernizzazione, che guida il movimento storico, le tra-
sformazioni sociali e quella serie dei processi di cambiamento sociale che oggi
sembrano acquistare sempre più accelerazione e differenziazione.
Bibl.: GALLINO L., La società, perché cambia, come funziona, Torino, Paravia, 1980; DONATI P.,
La teoria relazionale della società, Milano, Franco Angeli, 1991; BAGNASCO A. - M. BARBAGLI - A.
CAVALLI, Corso di Sociologia, Bologna, Il Mulino, 1997; INGLEART R., La società postmoderna,
Roma, Editori Riuniti, 1998; BECK U., La società del rischio. Verso una seconda modernità, Roma,
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Carocci, 2000; DONATI P., La cittadinanza societaria, Roma-Bari, Laterza, 2000; GUBERT R. (Ed.),
La via italiana alla postmodernità. Verso una nuova architettura dei valori, Milano, Franco Angeli,
2000; BEDESCHI G. (Ed.), Enciclopedia delle scienze sociali, Roma, Istituto dell’Enciclopedia
Italiana, voll. 1-9, 1991-2001; DONATI P. - I. COLOZZI (Edd.), Generare il civile: nuovi scenari nella
società italiana, Bologna, Il Mulino, 2001; BAUMAN Z., La società individualizzata. Come cambia
la nostra esperienza, Bologna, Il Mulino, 2002.
R. Mion
SOCIOLOGIA DEL LAVORO
La s.d.l., secondo la definizione che ne dà Gallino, “studia, da un lato le variazioni
dell’organizzazione, della qualità, del valore del lavoro in differenti settori produt-
tivi – industria, agricoltura, amministrazioni, ecc. – e professionali, mettendole in
rapporto col variare del modo di produzione, della tecnologia, della struttura tec-
nica ed economica delle aziende, del tipo e grado di organizzazione sindacale dei
lavoratori, delle forme di dominio politico ed economico, della composizione bio-
sociale della popolazione (piramide d’età, sesso, scolarità, ecc.); dall’altro lato, gli
effetti che i cennati aspetti del lavoro hanno sulle collettività dei lavoratori, sulla
stratificazione sociale, sull’uso del tempo libero, sull’estensione della civiltà, in-
fine sulla qualità della vita” (Gallino, 1993, 389).
1. Nel corso degli anni ‘90, nel nostro Paese ma non solo, alle discipline socio-
lavoriste è riconosciuto il fatto di aver acquisito piena maturità e legittimazione,
tanto dal punto di vista scientifico e accademico, quanto sotto il profilo politico e
istituzionale. Il contesto in cui si muove la disciplina, tuttavia, continua a perma-
nere problematico proprio in virtù delle profonde trasformazioni che interessano il
suo oggetto di studio. Un criterio utile ad orientarsi nel vasto campo delle prospet-
tive analitiche e dei materiali prodotti dalla riflessione sociologica sul lavoro in
Italia prevede di organizzare la letteratura intorno ad alcuni filoni tematici princi-
pali (Colasanto, 2002).
2. Il primo filone di analisi riguarda l’organizzazione del lavoro e le nuove forme
di regolazione. In esso confluiscono anzitutto gli studi di quegli autori che si sono
occupati della trasformazione del sistema produttivo delle aziende seguita alla
crisi del modello fordista, e dunque all’emergere di nuovi paradigmi post-fordisti.
Anche da ciò deriverebbe l’importanza attribuita al tema – che ha progressiva-
mente assunto un ruolo sempre più centrale – della partecipazione dei lavoratori
nell’ impresa e delle forme che essa assume. Nel corso del decennio ‘90,
accanto alla valorizzazione del lavoro umano si pongono tuttavia processi sempre
più marcati di precarizzazione delle posizioni lavorative. La flessibilità del lavoro
– ma anche delle stesse dimensioni strutturali dell’impresa – è intesa come risposta
e capacità di adattamento alle modificazioni del rapporto tra domanda e offerta, tra
consumo e produzione. L’accento sulla flessibilità spinge alcuni autori ad interes-
sarsi degli inediti scenari del lavoro autonomo, entrato ormai in quella che è stata
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definita come una seconda generazione, determinata non tanto dalla libera scelta
degli individui, quanto dalla nuova domanda di lavoro proveniente proprio dalle
imprese ristrutturate alla luce dei differenti modelli di uscita dai sistemi di produ-
zione fordisti. La precarietà che ne deriva riporta in auge anche il tema delle
risorse umane, della loro occupabilità e del ruolo che a proposito di questa svolge
la formaz.
3. Il secondo filone di analisi prende in considerazione le nuove politiche dell’oc-
cupazione, e si compone soprattutto di quelle riflessioni in merito alla disoccupa-
zione italiana che invitano a superare letture riduzionistiche del mercato del la-
voro e a porre in evidenza le peculiarità di quella merce sui generis rappresentata
dal lavoro.
4. Un terzo filone al quale ricondurre la più recente letteratura socio-lavorista fa
capo ai contenuti del lavoro, con particolare riguardo al tema della conoscenza e
della professionalità, e scaturisce dalla presa d’atto dell’importanza delle
competenze di tipo motivazionale e cognitivo che le occupazioni ad elevato conte-
nuto professionale oggi richiedono. Tale attenzione sfocia da un lato nello studio
delle libere professioni e dei lavoratori “della conoscenza”, e trova un rinnovato
fuoco di interesse per il concetto di gruppo professionale, anche per via del suo
stretto legame con il tema della stratificazione sociale; dall’altro, tende a superare
ogni interpretazione del lavoro di tipo deterministico (su base tecnologica o ideolo-
gica) per valorizzare gli aspetti di senso: così, Arendt (il lavoro come azione che
valorizza le dimensioni soggettive in contrapposizione al lavoro come opus); e così
soprattutto Donati (il lavoro come relazione, che acquista significato nel rapporto
che si stabilisce tra soggetti, oltre ogni lettura meramente economicistica, legata a
transazioni di puro mercato).
5. Un quarto filone di analisi, infine, pone attenzione al rapporto tra lavoro e mu-
tamento della società, portando in evidenza le basi sociali del processo di trans-
izione ed in particolare il ruolo in esso giocato dalle società locali. La consistente
– e certamente non conchiusa – riflessione sviluppatasi in proposito anche a par-
tire dalla valorizzazione dei concetti sviluppati dalla cosiddetta “nuova s. econo-
mica”, oltre ad aver approfondito tematiche ad essa legate – come ad es. quella
delle caratteristiche e della funzione del lavoro degli immigrati – ha contribuito ad
elaborare letture più articolate dell’economia e della società italiana e della loro
trasformazione.
Bibl.: ARENDT H., Vita activa. La condizione umana, Milano, Bompiani, 1964; GALLINO L., “Lavoro,
Sociologia del”, in ID., Dizionario di sociologia, Torino, UTET, 1993, 389-398; KERGOAT J. et al., Le
monde du travail, Paris, Éditions La Découverte, 1998; DONATI P., Il lavoro che emerge, Torino, Bollati
Boringhieri, 2001; COLASANTO M., “La sociologia del lavoro in Italia: elementi per una riflessione”, in
G. BONAZZI - M. LA ROSA - V. PULIGNANO (Edd.), Sociologia del lavoro e studi organizzativi. Lo stato
del dibattito in Italia ed in Gran Bretagna, Milano, Franco Angeli, 2002, 191-208.
M. Colasanto
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SOLIDARIETÀ
Nel linguaggio italiano corrente la parola s. fa riferimento ai rapporti di comu-
nanza tra persone pronte a collaborare tra loro e ad assistersi a vicenda nella piena
condivisione dei casi e delle responsabilità, all’insieme dei legami di comunanza
sussistenti tra gli esseri umani e la società di cui fanno parte, a situazioni di
condivisione di pareri, idee, ansie, paure, dolori, ecc. Il suo uso è aumentato a dis-
misura negli ultimi decenni del Novecento: ad esso fanno riferimento i sinda-
cati e altre organizzazioni dei lavoratori, le chiese cristiane, associazioni, partiti
politici e governi.
1. Principali significati del concetto di s. Il concetto di s. si è sviluppato soprat-
tutto nel XIX e XX sec. È stato preceduto dal concetto di “fratellanza”, di ispira-
zione cristiana, che ha esercitato una influenza culturale profonda e durevole nella
società occidentale sia nella sfera religiosa che laica. Negli anni ‘60 dell’Otto-
cento, in Francia si afferma il concetto di s. come “s. operaia”, basata sulla ugua-
glianza della condizione sociale e degli interessi che ne derivano, che unisce i la-
voratori salariati nella lotta per l’affermazione di tali interessi. Alla fine del sec., il
concetto assume ulteriori significati: oltre a s. di tutti i lavoratori salariati (ambito
del movimento operaio), s. è anche la coesione sociale (ambito sociologico) e s.
sociale tra i membri della collettività (ambito della teoria sociale e politica), con-
cetto che pone la base della politica sociale e della sua prassi, distinta dall’assi-
stenzialismo. Si fa strada così, gradualmente, l’idea di realizzare l’eguaglianza del
cittadino sociale e di conseguenza la s. della società nel suo complesso. Il Nove-
cento è stato definito anche il “secolo della cittadinanza sociale” (Zoll, 1998,
246): le politiche sociali sono state interpretate sempre più come un diritto piut-
tosto che forme di carità o di altruismo. L’avvio di un nuovo periodo di s., detto
anche di s. organica, è di questi decenni ed è motivato dai segnali di crisi che si
sono manifestati sia nelle forme dello Stato sociale che negli ambiti della s. ope-
raia. Nel concetto di s. organica rimane l’aspirazione alla giustizia sociale e al su-
peramento delle disuguaglianze tradizionali, però il nuovo concetto vuole coniu-
gare i bisogni della soggettività, dare soddisfazione alle esigenze individuali, va-
lorizzare il diritto di ciascuno alla differenza, assicurando a ciascuno la possibilità
di attuare le proprie opportunità in collaborazione con gli altri. In questa ottica, il
concetto di s. si lega strettamente con il concetto di “corresponsabilità”. Il pro-
fondo ripensamento dello Stato sociale fa emergere nuove ipotesi: si mira a riqua-
lificarlo puntando alla realizzazione di una “società solidale”, fondata su uno
Stato “garante-promotore” piuttosto che “garante-organizzatore”; si mira, in
secondo luogo, al potenziamento del privato sociale, cioè, al complesso delle atti-
vità di produzione di beni e servizi, condotte senza scopo di lucro, ma con finalità
di servizio sociale, e attivate da privati, per arrivare a una nuova dinamica sociale;
si cerca di diffondere, infine, la cultura della s. che realizzi un salto di qualità da
una s. passiva, deresponsabilizzante, assistenziale, ad una s. attiva, promozionale,
responsabilizzante.
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2. S. nella dottrina sociale della Chiesa. Il principio di s., di sussidiarietà, per-
sonalistico e del bene comune costituiscono la “grammatica etica” della dottrina
sociale della Chiesa, sorta in concomitanza della “questione sociale”, esplosa con
la rivoluzione industriale. Con l’evolversi della “questione sociale” si è evoluto
anche il concetto di s., passando dalla natura intrinsecamente sociale della per-
sona, alla dimensione sociale della proprietà privata, alla s. come esigenza intrin-
seca della universale destinazione dei beni, alla s. come valore in sé, come co-
scienza e virtù morale, necessaria per dare dimensione umana all’interdipendenza
che oggi unisce tra loro uomini e nazioni. Oggi, in seguito alla “crescente consa-
pevolezza della interdipendenza tra gli uomini e le nazioni”, la s. si è “trasformata
in coscienza e ha acquistato così connotazione morale”. La s. non può più essere
scambiata con un “sentimento di vaga compassione o di superficiale inteneri-
mento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determina-
zione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di
tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti” (Sollecitudo
rei socialis, n. 38). Il principio di s., già condivisibile dalla retta ragione e da tutti
gli uomini di buona volontà, trova il suo sostegno nella coscienza religiosa: come
il senso religioso rafforza la coscienza della dignità trascendente della persona,
scorgendo in essa l’immagine stessa di Dio, parimenti il senso religioso rafforza
pure la coscienza naturale della s., trasformandola da filantropia in carità. Essa
spinge le persone a compiere scelte coraggiose e anche eroiche per il bene altrui,
fino alla condivisione volontaria della indigenza, per aiutare i poveri ad essere gli
artefici della propria elevazione; nello stesso tempo, la s. completa e rende più
umana la giustizia.
3. S. e FP. Il sistema di FP ( sistema formativo) in Italia nasce con la L. 264, del
29.04.1949, con forti caratterizzazioni di s. sociale, in quanto strumento concepito
per la “qualificazione e riqualificazione di disoccupati, di lavoratori in soprannu-
mero nelle aziende, di emigrati”. Era la risposta di aiuto sociale e professionale ai
giovani che, non potendo compiere un percorso scolastico “normale”, rischiavano
l’emarginazione e l’esclusione dalla società ( esclusione sociale) e dal lavoro.
Anche nei decenni successivi la FP, soprattutto quella espressa dal mondo catto-
lico, che si è caratterizzata con proposte formative che coniugavano prepara-
zione tecnico-professionale, formaz. generale e sensibilità educativa, è cresciuta
nell’ottica della s. Ancora oggi la FP, attraverso un proprio progetto unitario che
assume, come criterio centrale delle proprie scelte, il valore universale della per-
sona con la sua educabilità e la sua apertura all’orizzonte dello spirito, anche attra-
verso il lavoro, è scuola di s. e strumento di cooperazione sia all’interno di un
Paese sia nel rapporto tra Paesi ricchi e Paesi poveri.
4. S. ed educaz. alla s. nella FP. L’educaz. alla s. oggi è un tema fondamentale.
Essa mira a formare uno stile globale di vita che definisce l’ identità della per-
sona, l’insieme delle sue interazioni con gli altri e la partecipazione alla vita
sociale, politica ed ecclesiale. L’ambiente educativo cardine nella FP è il lavoro,
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inteso nella sua concezione olistica ed educativa: si rivela, infatti, come opera,
azione personale e sociale, pensiero dell’uomo. Attraverso il lavoro la persona si
confronta con la storia viva della civiltà, vive relazioni significative con gli altri,
conosce ed esprime se stessa, agisce sulla realtà apportando ad essa un valore ed
acquisendo in tale dinamica sempre nuove competenze. In questo orizzonte, un
itinerario di educaz. alla s. può prevedere la cura della interiorità della persona, del
mondo delle relazioni interpersonali, l’educaz. alla partecipazione personale e cor-
responsabile nella società civile, politica ed ecclesiale, per contribuire alla crescita
di una convivenza e di un ambiente dal volto umano, il dialogo con la cultura e
la civiltà, aiutando le persone a superare ogni precoce fissazione mentale, ad essere
flessibili e aperti nel pensare e nel giudicare e a impegnarsi nell’elaborazione di
una cultura dell’accoglienza nell’ottica della s.
Bibl.: SS. GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Sollecitudo rei socialis, Città del Vaticano, Libreria
Editrice Vaticana, 1987; ZOLL R., Solidarietà, in “Enciclopedia delle Scienze Sociali. vol. VIII”,
Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, 1998, 240-255; TOSO M., Umanesimo sociale.
Viaggio nella Dottrina Sociale della Chiesa e dintorni, Roma, LAS, 2002; NICOLI D. (Ed.), Linee
guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione profes-
sionale, Roma, Tipografia Pio XI, 2004.
M. Tonini
SPERIMENTAZIONE
La s. è l’insieme delle operazioni esplorative, interpretative, conoscitive intraprese
dallo studioso, per dare fondamento scientifico al suo essere nel mondo. Essa è
procedimento rigoroso di controllo di principi e fatti. Si distingue da esperienziale,
empirico, euristico, laboratoriale, condividendo con questi termini l’esigenza me-
todologico-sistematica.
1. Williams apre a Londra (1773) la prima scuola sperimentale guidato dall’idea
illuminista di rinnovare l’ educ. Nel corso della storia, alla verità teologica e a
quella metafisica si sono aggiunte la dialettica e la metodologia, portatrici di vie
altre, capaci di illuminare il dato fenomenico con suggestioni, ipotesi, falsificazioni.
Se nell’antichità classica filosofi, teologi, astronomi e matematici, pongono do-
mande e avanzano soluzioni, in epoca a noi più prossima le assillanti questioni circa
la presenza dell’uomo sulla terra e le controverse attribuzioni causali, utili alla spie-
gazione dei fatti, rivoluzionano la prospettiva di analisi. Non basta conoscere, è ne-
cessario anche capire; non basta riprodurre, è anche importante ripercorrere i pro-
cessi; non basta trasmettere, è fondamentale anche trasformare. Sul piano empirico,
il dogma s’infrange di fronte alla mentalità sperimentale che vuole provare la verità
di principi, ragionamenti e leggi con strumenti attendibili, prove valide e misura-
zioni adeguate. Curiosità per l’incognito, rigore della matematica, desiderio di co-
municare scoperte inattese, conducono Galilei (1564-1626) alla definizione del me-
todo sperimentale che assegna ad esperienza e ragione il ruolo di una nuova rivela-
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zione, fondata sulla continuità della conoscenza che si muove dall’osservazione alla
dimostrazione, avendo assunto il dubbio quale motore della scienza.
2. Le scienze naturali sono sperimentali per definizione, le scienze umane sono in-
vece divenute sperimentali quando l’oggetto di osservazione si è spostato dall’inda-
gine sulla natura divina e metafisica dell’uomo alla natura scientifica dell’uomo. Le
scienze umane sperimentali fanno il loro ingresso nella storia nel XIX sec. Gli studi
di Spencer (The principles of psychology, 1855) e di Darwin (On the origin of spe-
cies, 1859) sull’evoluzione dell’uomo sono l’inizio di quell’indagine causale, scivo-
lata talvolta nel determinismo, ma più spesso interessata a stabilire variabili signifi-
cative nel gioco infinito di connessioni e correlazioni. Per Windelband (1848-1915)
sono scienze nomotetiche quelle intese alla costruzione di leggi, ed idiografiche
quelle volte alla descrizione delle individualità fenomeniche. Nel ‘900, Peirce (1839-
1914) scrive sulle leggi dell’ipotesi che la validità è una questione di fatto e non di
pensiero, ed il ragionamento ha lo scopo di trovare quello che non conosciamo an-
cora, partendo da premesse vere nel senso che appartengono al metodo sperimentale,
cosicché la conclusione ultima di ognuno viene ad essere la medesima. L’ipotesi va
formulata secondo percezione, ragionamento, esperienza, vale a dire secondo la con-
cezione della realtà. Cresce la consapevolezza che chi conosce può a sua volta essere
conosciuto non a priori, ma per procedimenti a posteriori. Al neopositivismo vien-
nese, che elimina la metafisica (Neurath, Hahn, Carnap), segue il razionalismo cri-
tico di Popper (1902-1994) per il quale anche la scienza può fallire.
3. Le scienze dell’educ. si pongono la questione sperimentale nel momento in cui
considerano la realtà, della persona e della società, come laboratorio di
ricerca nel quale le varie componenti dell’azione agiscono, si influenzano e produ-
cono risultati da leggere secondo la prospettiva della formaz. La teoria del-
l’educ., l’esperienza d’ insegnamento, gli strumenti di rilevazione sono i poli co-
stitutivi della s., come analisi di concordanze e differenze tra fenomeni che hanno
e non hanno luogo nel sistema di logica secondo Mill (1806-1873), come valuta-
zione dell’indagine secondo Dewey (1859-1952), come studio comparativo
secondo Kuhn (The structure of scientific revolutions, 1962). Dal punto di vista
della analisi comparativa, le ricerche su figure, ruoli, competenze e qualità
della formaz. prevedono l’applicazione delle evidenze raggiunte in contesti e tempi
determinati, così da promuovere il miglioramento dell’offerta istituzionale e la
possibilità della sua estensione a livello internazionale. Nella FP, la s. è rivolta
alla preparazione al lavoro nel laboratorio dei mestieri, è fonte di innovazione
didattica ed è proposta di organizzazione sistematica.
Bibl.: CALONGHI L., Sperimentazione nella scuola, Roma, Armando, 1977; BECCHI E. - B. VERTECCHI
(Edd.), Manuale critico della sperimentazione e della ricerca educativa, Milano, Franco Angeli,
1984; DE LANDSHEERE G., Storia della pedagogia sperimentale. Cento anni di ricerca educativa nel
mondo, Roma, Armando, 1988; LAENG M., Pedagogia sperimentale, Scandicci (FI), La Nuova Italia,
1992; CHISTOLINI S., Comparazione e sperimentazione in pedagogia, Milano, Franco Angeli, 2001.
S. Chistolini
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SPIRITUALITÀ DEL LAVORO
1. L’esigenza di un’unificazione personale profonda dell’operare, dell’agire e del-
l’essere nella produzione, nella professione e nell’imprenditoria rimangono spesso
inespressi, ma non per questo meno cogenti. Sviluppi umanistici e religiosi della
cultura del lavoro e delle professioni possono risultare significativi per la stessa
buona qualità della competenza professionale e dei vissuti lavorativi e profes-
sionali. Oggi, per un verso, tale esigenza si può ricollegare al venir meno della
forza motivazionale delle ideologie del lavoro, tipiche del recente passato (comu-
nista-socialista, liberistico-laicista, cristiano-sociale) e dei valori che esse prospet-
tavano: sia in termini di moralità soggettiva (onestà, laboriosità, solidarietà, ecc.)
sia di impegno etico oggettivo (costruzione del bene comune, giustizia sociale, svi-
luppo democratico). Altrettanto è da dire per certe modalità delle concezioni reli-
giose (cattolica, protestante o di altre confessioni) che concepivano il lavoro e le
professioni come luogo di espiazione, di redenzione, di santificazione o di carità
ed impegno sociale. Per altro verso, tale esigenza scaturisce, magari a livello intui-
tivo, dalla percezione dell’insufficienza della secolarizzazione, dalla ricerca di una
buona qualità della vita o dall’insoddisfazione per le attese riposte nell’efficien-
tismo e nell’innovazione tecnologica informatica e telematica.
2. In questo contesto si comprende la rinnovata attenzione alla Dottrina sociale
della Chiesa ( Insegnamento sociale della Chiesa) ed in particolare all’insegna-
mento del papa Giovanni Paolo II, sia per il loro ribadire la centralità della per-
sona umana e della sua dignità, sia per la loro chiara denuncia, tutela, difesa e
promozione dei diritti umani, tra cui quelli dell’occupazione e di un lavoro uma-
namente degno. In continuità con questa linea di difesa dell’umano, si pongono:
la richiesta di condizioni di vita civili e democratiche; l’esigenza di cultura e di
formaz., di alfabetizzazione, di educ. e di coscientizzazione socio-politica (cfr.
in particolare l’enc. Centesimus annus). Rispetto, poi, alle “res novae” di cui fac-
ciamo esperienza, si mette in luce l’esigenza di interrogarsi sul senso umano del
lavorare e del produrre; sulla necessità di giustizia sociale per ciò che riguarda la
fruizione dei beni produttivi sul mercato; sul sano equilibrio tra tempo del lavoro
e tempo libero; sulla solidarietà a tutti i livelli dell’esistenza sociale (locale,
nazionale, internazionale) (cfr. in particolare le enc. Centesimus annus e Sollici-
tudo rei socialis).
3. Più specificamente, da una rilettura del Vangelo ed in particolare del cap. 5 del-
l’enc. Laborem exercens (e della parte finale dell’enc. Sollicitudo rei socialis) si
possono anche evidenziare i fondamenti religiosi dell’etica del lavoro, delle pro-
fessioni e della produzione che permettono di delineare una vera e propria s.d.l. e
dello sviluppo solidale (configurando una sorta di “Vangelo del lavoro”). Di esso
sono da segnalare: 1) la partecipazione dell’uomo all’opera del creatore (per
questo i primi capitoli de La Genesi sono qualificabili come “primo Vangelo del
lavoro”); 2) l’essere immagine e somiglianza di Dio nella quotidianità, “lavo-
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rando e riposando”; 3) la concezione dell’uomo-libertà e dell’autonomia delle
“realtà terrestri”, che Dio stesso rispetta (solo eccezionalmente intervenendo “mi-
racolosamente” per il bene); 4) la responsabilità dell’uomo nei confronti del
mondo e della storia, in quanto “vicario” di Dio in terra, che può “dar nome” ad
animali e a cose (cfr. la rilevanza del “fattore uomo”), ma anche rovinare, distrug-
gere, annientare rovinare (oggi con le biotecnologie, l’intervento sugli ecosistemi,
lo sfruttamento delle risorse naturali, il mercato mondializzato, la globalizza-
zione); 5) il lavoro visto come valore arduo, in quanto possibile via di emancipa-
zione, di espressione personale, di qualificazione della vita, ma anche di aliena-
zione, di abbrutimento, di funzionalizzazione economicistica, di dominazione so-
ciale, ecc.; 6) la concezione della tecnica non necessariamente nemica, ma possi-
bile alleata dell’uomo (Laborem exercens, n. 5); 7) il lavoro e l’imprenditorialità
come modello dell’operare fattivo e gioioso per il Regno (cfr. molte parabole
evangeliche); 8) la prospettiva del Regno e l’impegno per la giustizia di esso,
come orizzonte ultimo (in termini tecnici, “escatologico”) dell’impegno umano
storico, lavorativo e imprenditoriale; 9) la comunione eterna con Dio, come ter-
mine del “riposo” in cui la Lettera agli ebrei invita ad entrare, mentre si vive nel
tempo tra difficoltà ed esperienze di complessità.
Bibl.: CHIAVACCI E., Teologia morale e vita economica, Città di Castello, Cittadella Editrice, 1988;
SPIAZZI R., I documenti sociali della Chiesa da Pio IX a Giovanni Paolo II, Milano, Massimo, 1988;
SS. GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Centesimus annus, Città del Vaticano, Libreria Editrice Va-
ticana, 1991; NANNI C., “Educazione al lavoro e allo sviluppo”, in N. GALLI (Ed.), L’educazione cri-
stiana negli insegnamenti degli ultimi pontefici, Milano, Vita e Pensiero, 1992, 255-304; BOCCA G.,
Pedagogia del lavoro, Brescia, La Scuola, 1998; TOSO M., Umanesimo sociale, Roma, LAS, 2001.
C. Nanni
SPIRITUALITÀ DELL’OPERATORE
Intendiamo per s. un processo di crescita esistenziale nello Spirito, che matura
nella persona un’autenticità sempre più grande della sua relazione verso Dio, gli
altri, il mondo. Essa traspare da particolari intuizioni spirituali, atteggiamenti etici,
decisioni vitali. Quando si pone in relazione con l’esperienza di grandi personalità
spirituali, essa assume una più incisiva dimensione sociale, “trasmissibile”, fino a
formare “Scuole di Spiritualità”. La s.d.o. di FP si caratterizza per alcune di-
mensioni specifiche.
1. La s. – che plasma e qualifica la coscienza educativa dell’o.– si ispira al
carisma fondazionale dell’Opera, che dà identità e senso di appartenenza ai
singoli operatori, indicando parole umane ed evangeliche privilegiate, valori speci-
fici, scelte prioritarie, atteggiamenti educativi originali.
2. È segnata intimamente da un amore preferenziale per i giovani più poveri, molti
dei quali confluiscono all’ istruz. e alla FP. Esso si traduce in una “ped. del po-
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vero”, sorretta da profondo senso di solidarietà, dalla capacità di farsi piccolo coi
piccoli, nel linguaggio, nella fraternità, nella pazienza, che non si stanca di rico-
minciare da capo. Per moltiplicare le risorse al loro servizio esso spinge ad aprirsi,
a tutto campo, agli uomini e donne di buona volontà, che hanno a cuore la condi-
zione e l’ educ. dei giovani. Esso, inoltre, alimenta una autentica “ped. della
speranza”, che – a giovani e persone, talora precocemente toccate dal fallimento e
dalla frustrazione – è capace di proporre, con allegria ed ottimismo, un pensiero
positivo, che germina fiducia nella vita.
3. Guardando a tali giovani, la s.d.o. si trasfigura in una spiritualità pedagogica:
vissuta in modo da essere comunicata ai destinatari dell’azione educativa, sia espli-
citamente (con la parola, l’ insegnamento, ecc.), sia implicitamente (col proprio
vissuto, l’esempio, l’atteggiamento, ecc.). L’“apprendimento da modello” è, spesso,
la via maestra per educare i giovani che affluiscono ai CFP. In questa logica, la
s.d.o. lo muove a “educare educandosi”, facendosi “modello” credibile dei valori,
che vede più urgenti e che intende comunicare, come, per es., la capacità di sacri-
ficio, l’acquisizione di una disciplina e di un metodo di lavoro, la subordinazione
del guadagno, il rifiuto dell’improvvisazione, per una progettualità a medio
e lungo termine, la preferenza data al “gusto di costruire”, anziché al “piacere di
consumare”.
4. La s.d.o. ha approfondito ed accolto il significato del lavoro, come prolunga-
mento del progetto creativo di Dio, sviluppo delle potenzialità personali, strumento
ottimale di responsabilità familiare e di solidarietà sociale, intimamente con-
nesso con la dignità della persona e con lo sviluppo dei popoli. Il lavoro – con le
sue componenti di manualità e di razionalità – diventa allora “la nostra forma di
inserimento nella società e nella cultura”, e “dedizione alla missione con tutte le
capacità e a tempo pieno” (Vecchi, 2000, 101). Il lavoro – nel quale l’uomo riven-
dica la dignità d’essere sempre soggetto – rappresenta un decisivo spazio di uma-
nizzazione della persona e del suo mondo. Esso testimonia il riscatto della dignità
del quotidiano, poiché i giorni, che noi viviamo, sono gli spazi sempre rinnovati
della nostra vocazione.
5. Per questo, l’operatore lo realizza con professionalità, che, situata nel mo-
derno contesto “del sempre e nuovo e del sempre diverso” (Veneruso, 1987, 140),
è “la maggior perfezione possibile nel proprio lavoro”, che comporta – in vista
della necessaria flessibilità e innovazione – di assumere volenterosamente la fatica,
la formaz. permanente ( FP continua), il lavoro d’équipe, la sperimentazione:
dimensioni, che confluiscono in una disciplina di vita, segnata dal senso del dovere
e da una s., che lo rende possibile ed amabile. Di conseguenza, alimenta e propone
una “nuova cultura professionale”, che si traduce in una “professionalità com-
plessa”, che – accanto alla indispensabile competenza tecnica, imprenditoriale e
culturale – coltiva con speciale impegno anche la dimensione motivazionale, rela-
zionale, etica e spirituale. Solo una tale professionalità appare capace di servire
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l’“uomo integrale”, che si vuole educare nel giovane lavoratore (Bosco,1988, 209
e ss.), orientandolo verso la propria “progettazione esistenziale” (Bocca, 2003, 40).
La s.d.o., tesa a “ricostruire una pedagogia del lavoro” (Macchietti, 2003, 112) lo
abilita a ricomprendere e a rievangelizzare il suo significato, frenando la “sottile
erosione dell’antica etica del lavoro”, che ha raggiunto livelli allarmanti, specie nei
giovani (Milanesi, 1988, 195).
6. La s.d.o. fa perno sulla comunità educativa ( comunità educativo-formativa) –
ricca di relazionalità e di spirito di famiglia – come naturale ambiente forma-
tivo, e come anticipazione del futuro lavoro d’équipe. La relazionalità è oggi
iscritta fra le componenti essenziali della “qualità del lavoro”. La tradizione educa-
tiva cristiana, da sempre, ne fa elemento base per la “qualità della vita” e per la ri-
uscita dell’educ. Ne sono espressione: lo stile dell’ accoglienza, la ped. dell’in-
coraggiamento attenta ai più deboli, la prontezza alla riconciliazione, la familiarità
della convivenza che chiama ciascuno per nome, ed anche l’attenzione ad indivi-
duare e coltivare le qualità di leadership. Una comunità educativa matura coltiva
l’impegno nella Chiesa e per il mondo, in uno sforzo incessante di “inculturare il
Vangelo”, come contributo per un mondo più umano: nella “famiglia santuario
della vita”, con la diffusione di una cultura della solidarietà e della pace, con
l’impegno per la promozione umana che porta a condizioni di vita più giuste e al
rispetto per la dignità di ogni persona, con la difesa dell’equilibrio ecologico, che
custodisce l’“abitabilità” della nostra casa comune.
7. La s.d.o. stimola l’adozione di uno stile educativo, fedele alla tradizione cri-
stiana ( sistema preventivo ed affini), che fa appello all’intelligenza, che si sforza
di capire i giovani e di coinvolgerli responsabilmente, mantenendo aperto con loro
un dialogo, capace di raggiungere il cuore, dove si ancorano le convinzioni, che
durano una vita. Valorizza le risorse della fede, che, mentre nutre le motivazioni
dell’educatore, fa percepire al giovane il grande orizzonte dell’Amore, che si ri-
vela, per donare pienezza di vita. La scoperta della verità che salva (evangelizza-
zione e catechesi), i sacramenti della Chiesa, l’attenzione solidale ai fratelli (carità,
che educa) ne sono gli elementi portanti. Risponde alle attese del cuore del gio-
vane, creando spirito di famiglia e accoglienza incondizionata, rapporto personale
costruttivo e propositivo, condivisione di gioie e di dolori, impegno a tradurre in
“segni” l’amore educativo.
Bibl.: VENERUSO D., “Il metodo educativo di S. Giovanni Bosco alla prova. Dai laboratori agli Istituti
Professionali”, in P. BRAIDO (Ed.), Don Bosco nella Chiesa a servizio dell’umanità, Roma, LAS
1987, 133-142; BOSCO G.B., Criterio educativo peculiare dell’intervento salesiano per la prepara-
zione del giovane lavoratore, in “Rassegna CNOS”, 4 (1988) 2, 205-220; MILANESI G.C., Cultura ed
educazione per il mondo del lavoro nella proposta formativa salesiana, in “Rassegna CNOS”,
4 (1988) 2, 193-203; VECCHI J.E., Spiritualità salesiana, Roma, s.e., 2000; BOCCA G., Pubblica e
di ispirazione cristiana. Per una pedagogia della scuola cattolica, Brescia, La Scuola, 2003;
MACCHIETTI S.S., Per affermare l’umanesimo del lavoro, in “Notiziario dell’Ufficio Nazionale per i
Problemi Sociali e il Lavoro (CEI)”, 7 (2003) 8, 109-113.
G. Fedrigotti
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SPORTELLO INFORMATIVO
Destinatari; FP
STAFF DI DIREZIONE
CFP
STAGE
Tirocinio; Accompagnamento al lavoro; FPI; FP superiore
STANDARD FORMATIVI
FP
SUCCESSO SCOLASTICO E PROFESSIONALE
L’indagine P.I.S.A. (Programme for International Student Assessment) sulle com-
petenze funzionali di 265.000 quindicenni nei 32 Paesi dell’OCSE (2001) evi-
denzia per l’Italia lo stato prevalente di omogeneità delle prestazioni e di non ec-
cellenza nei risultati, con docenti poco ambiziosi, rispetto alle potenzialità degli
studenti. Dalla scuola del malessere degli anni 1975-2000, che invitava gli inse-
gnanti a prender coscienza degli effetti negativi della propria azione pedagogica,
poco attenta ai bisogni degli alunni, si passa nel terzo millennio alla scuola delle
competenze e della corsa al successo nella scuola e nella società. La politica
delle eccellenze e del s.s. si va sovrapponendo alla teoria della deprivazione cul-
turale che negli anni ‘60 del XX sec. intese a riparare all’insuccesso scolastico
con l’ educ. compensativa. I docenti vengono invitati a ripensare al proprio
ruolo, secondo la categoria dell’eccellenza, definita su standard internazionali e
sempre più sono guidati a gestire con capacità organizzative le situazioni proble-
matiche che si presentano a scuola. La constatazione dei bassi livelli dell’Italia
nella classifica internazionale pone il quesito sull’innalzamento della qualità del-
l’istruz. Allo Stato spetta il compito di determinare “i livelli essenziali delle pre-
stazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale” (art. 117 sostituito dall’art. 3 della L. costituzionale 3/01,
Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), primo fra tutti il di-
ritto di cittadinanza. Scuola e CFP, agenzie ed imprese offrono i mezzi per
la maturazione delle conoscenze e della abilità e certificano le competenze
finali acquisite. Il sistema educativo d’istruz. e formaz. ( sistema formativo)
deve rendere conto dei risultati raggiunti (accountability framework) così come
avviene in altri Paesi europei. La L. 53/03, Delega al Governo per la definizione
delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in ma-
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teria di istruzione e formazione professionale, riforma gli ordinamenti, precisa i
principi, fissa i criteri affinché sia assicurato il diritto-dovere di istruz. e formaz.
per almeno dodici anni, sino al conseguimento di una qualifica, entro il diciotte-
simo anno di età, per questo la normativa prevede mobilità interna, flessibilità,
alternanza, ed assegna alla valutazione un ruolo soprattutto promozionale.
Bibl.: GIUS E. - M.V. MASONI (Edd.), Costruire il successo scolastico. Guida per insegnanti, Torino,
UTET, 2000; BERTAGNA G. (Ed.), L’ipotesi elaborata dal Gruppo Ristretto di Lavoro, in “Annali del-
l’Istruzione, n. speciale Stati Generali dicembre 2001”, 47 (2001) 1/2, 21-77; SCHLEICHER A,
L’indagine P.I.S.A., Associazione TRELLE, Seminario n. 1, maggio 2002, 16-27; NARDI E., Come leg-
gono i quindicenni. Riflessioni sulla ricerca OCSE-PISA, Milano, Franco Angeli, 2002.
S. Chistolini
SUSSIDIARIETÀ
Il principio di s. si può considerare un’esplicitazione del principio di solidarietà.
Infatti, il principio di solidarietà afferma che le varie società sono ministeriali
alle persone e ai vari gruppi sociali, per offrire loro un aiuto. Il principio di s. dice
come deve essere dato questo aiuto, ossia non comprimendo o annientando l’auto-
nomia, la libera iniziativa, non sostituendosi alle persone e alle società, alla loro li-
bertà di azione, bensì favorendole, incrementando la loro capacità di autorganiz-
zarsi e autopromuoversi. La giustificazione del principio di s. va ricercata ultima-
mente nella persona e nella sua socialità. La socialità della persona è, infatti, carat-
terizzata dall’individualità e dalla personalità, ovvero dall’autonomia, da una li-
bertà e da una responsabilità che ne fanno un soggetto relazionale che agisce su
basi di indipendenza.
1. Definizione classica. Tale principio ha trovato la sua prima formulazione nella
Quadragesimo anno (1931). Viene definito così: “Non è lecito togliere agli indi-
vidui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria, per affi-
darlo alla comunità. Così è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società
ciò che in quelle minori si può fare (...). L’oggetto naturale di qualsiasi intervento
della società – continua la Quadragesimo anno – è quello di aiutare (subsidium
afferre) le membra del corpo sociale, non già distruggerle o assorbirle. Perciò è
necessario che l’autorità suprema dello Stato rimetta ad assemblee minori ed infe-
riori il disbrigo degli affari e delle cure di minor importanza, dalle quali essa del
resto sarebbe più che mai distratta; ed allora essa potrà eseguire con più libertà,
con più forza ed efficacia le parti che a lei sola spettano, perché essa sola può
compierle; di direzione cioè, di vigilanza, di incitamento, di repressione, a se-
conda dei casi e delle necessità. Si persuadano dunque fermamente gli uomini di
governo, che quanto più perfettamente sarà sviluppato l’ordine gerarchico tra le
diverse associazioni, salvo il principio della funzione sussidiaria, tanto più forte
riuscirà l’autorità e la potenza sociale e perciò anche più felice e più prospera la
condizione dello Stato stesso”.
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2. Significato. Nella sua formulazione, il principio di s. afferma che l’azione di un
soggetto, qualunque esso sia, deve essere sussidiaria all’altro soggetto non sempli-
cemente in quanto gli porta un aiuto in caso di necessità (lo sussidia nel senso eti-
mologico), ma anche in quanto – nell’aiutarlo – lo rispetta e lo promuove nella sua
dignità e nella sua autonoma responsabilità. Pertanto, il principio di s. ha una du-
plice valenza. Esso impone non solo l’aiuto ma uno stile particolare di liberazione
e di emancipazione del più debole, in modo da accrescerne le capacità e quindi di
valorizzarne la dignità, secondo termini di flessibilità. Il principio di s. dice che, in
funzione del bene comune e, ultimamente, della promozione delle persone, va con-
servato e potenziato il carattere pluralistico del tessuto sociale: il bene comune è
meglio realizzato mediante la pluralità delle società, giacché lo richiede la molte-
plicità dei fini della persona, cui il bene comune è relativo. In secondo luogo e
conseguentemente, afferma che vanno evitate tra società maggiori e società minori
(s. verticale), tra società dello stesso rango (s. orizzontale), tra persone e società,
sovrapposizioni annientatrici o invadenti, con espropriazioni da una parte e con so-
vraccarico di compiti dall’altra, con effetti di deresponsabilizzazione, strumentaliz-
zazione, colonizzazione. Secondo il principio di s. si vuole, allora, favorire l’ini-
ziativa e le responsabilità delle singole persone e dei gruppi sociali; si nega che la
comunità superiore possa impedire alle comunità inferiori di perseguire i loro fini
legittimi; si impone alla comunità superiore, quella politica, di aiutare positiva-
mente le singole persone e le società intermedie; si afferma il dovere di supplire le
società inferiori in ciò che per motivi di impossibilità contingente non posso com-
piere; si impone anche di integrare le persone e le società minori in ciò che queste,
per impossibilità intrinseca, sono sproporzionate.
3. S. oggi. Secondo una corretta interpretazione, nell’attuale contesto di riforma
dello Stato del benessere, s. non significa ognuno per sé, fare da sé, ma, piuttosto,
trovare nuove relazioni tra Stato, società, mercato, di modo che il primo, conser-
vando il proprio compito di coordinazione e di garanzia, non sia troppo invadente,
paternalistico, assistenzialistico, bensì integratore e incentivante; di modo che la
seconda, alla quale va riconosciuto il primato, sia più attiva e protagonista me-
diante nuove organizzazioni sociali e possa meglio mettere a disposizione le sue ri-
sorse; di modo che il terzo polo sia più libero e “democratico”, ossia popolato da
più soggetti economici (capitalismo democratico). La s. dello Stato non deve cu-
rarsi solo di fornire aiuto sul piano dei beni materiali, ma anche su quello dei beni
relazionali e morali. Lo Stato ha il compito di non danneggiare direttamente o in-
direttamente l’essenza etica o virtuosa delle società che lo precedono e delle quali
è espressione. Deve piuttosto favorirla, in ordine alla realizzazione di un benessere
anche relazionale. Leggi, ad es., che praticamente liberalizzano l’aborto e il di-
vorzio o che non sostengono adeguatamente le famiglie tradizionali, giungendo
addirittura ad equipararle alle unioni di fatto, possono a lungo andare danneggiare
l’istituto della famiglia e, di riflesso, la stessa vita politica. Recenti ricerche
mostrano come tali politiche alimentano tassi decrescenti di natalità, una generale
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erosione del bene relazionale e stabile che è la società naturale fondata sul matri-
monio, produttrice di beni essenziali alla vita politica. Così, il principio di s. non
viene interpretato adeguatamente quando gli amministratori cooptano società non-
profit, rendendole funzionali ad un sistema di servizi deciso ed organizzato unilate-
ralmente (si ha così una s. rovesciata) o se le si costringe a elemosinare o a costi-
tuirsi quale forza di tipo sindacale per difendere i propri diritti.
Bibl.: PIO XI, Lettera enciclica Quadragesimo anno, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana,
1931; TOSO M., Verso quale società? La dottrina sociale della Chiesa per una nuova progettualità,
Roma, LAS, 2000; TOSO M., Umanesimo sociale. Viaggio nella dottrina sociale e dintorni, Roma,
LAS, 2002.
M. Toso
SVANTAGGIO SOCIALE
Pari opportunità
SVILUPPO PROFESSIONALE
Lo s.p. si allinea agli sviluppi descritti in psicologia evolutiva accanto a quello
intellettivo, affettivo, sociale e morale. Gli stessi sviluppi sono poi considerati
nella ped. sotto l’aspetto formativo.
1. Inizi. Lo s.p. è stato preso in considerazione verso la fine del XIX sec. nell’ambito
della sociologia. L’attenzione dei sociologi è stata rivolta alla diretta trasmissione
dell’occupazione dal padre al figlio. Nello stesso sec., questa continuità è stata inter-
rotta a causa di una massiccia immigrazione negli USA, che ha avuto come effetto
un crescente numero di giovani in difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro. A Bo-
ston, l’avvocato Parsons credette di poter aiutare tali giovani con un semplice proce-
dimento con il quale venivano accertati alcuni tratti di personalità, analizzati i requi-
siti di una possibile occupazione e raccordate poi le due realtà in vista di un soddisfa-
cente adattamento lavorativo. La sua idea ebbe una buona accoglienza in sede uni-
versitaria e presto si diffuse nelle scuole americane come la “teoria dei tratti”.
2. Teorie più recenti. Nel 1951, Ginzberg e collaboratori hanno pubblicato un vol.
dal tit. Occupational choice in cui hanno articolato lo s.p. in alcune fasi ed hanno
dato anche qualche indicazione su come dovrebbe essere elaborata una teoria per
spiegare lo s.p. Nello stesso periodo, altri autori hanno articolato lo s.p. in stadi che
variavano in numero e specificità. Nel 1957, Super ha pubblicato The psychology
of career in cui ha articolato l’intero arco della vita umana in cinque stadi: crescita
(4-14 anni), esplorazione (15-24 anni), stabilizzazione (24-44 anni), mantenimento
(45-64 anni) e declino (65 anni), suddividendoli in fasi subordinate. Ogni stadio e
ogni fase sono caratterizzati da competenze da acquisire che diventano degli in-
dici di maturità professionale. Alla base dello s. p., Super pone il concetto di sé
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che da un lato assicura la continuità del processo dello sviluppo e dall’altro viene a
sua volta potenziato con le scelte effettuate e con le esperienze professionali. La
teoria è stata rielaborata varie volte (Super, 1985). Nel complesso essa offre infor-
mazioni utili per capire la situazione professionale di un soggetto. Le competenze
che caratterizzano i singoli stadi e fasi possono servire da indici di maturazione di
soggetti di differente età cronologica. Essa offre anche delle indicazioni sulla suc-
cessione delle fasi; per es., lo stadio della crescita è articolato in tre fasi in un or-
dine di sviluppo: fantasia, interessi e capacità; le scelte fantasiose cedono posto
agli interessi e gli interessi vengono ridimensionati dalle capacità.
Accanto alle teorie dello sviluppo si collocano altre teorie in cui la dimensione
dello sviluppo è solo implicita. Tali sono le tre teorie basate sulla scelta professio-
nale: quella dei tipi e delle aree professionali, di Holland, e quelle dei bisogni che
possono essere soddisfatti con l’esercizio di una determinata professione, di Roe e
di Bordin. Un altro gruppo di studiosi privilegia come quadro di riferimento la de-
cisione professionale. Così, per es., secondo Tiedeman, è importante formare la ca-
pacità decisionale a tutti i livelli dello sviluppo dei soggetti. Krumboltz punta l’at-
tenzione sui fattori che favoriscono o ostacolano la realizzazione di un progetto
personale accogliendo in esso anche eventi casuali per farne un’opportunità.
Di fronte a queste svariate teorie, durante un recente simposio, una ventina di autori
ha cercato di far emergere delle convergenze ma senza un apprezzabile successo
(Savickas - Lent, 1994). Le teorie sullo s. p. accusano la loro età. La nuova situa-
zione socioeconomica non è più conciliabile con una articolata e sequenziale distri-
buzione degli eventi umani. La stabilità nella carriera professionale, supposta dalle
citate teorie, in molti casi è inesistente ( orientamento: risposta a nuove situa-
zioni). Anche lo stesso s. p. non può essere considerato in un completo isolamento;
per questa ragione, viene integrato nelle teorie degli stadi della vita umana di
Erikson e di Levinson. Per ironia della sorte, Super, per elaborare la sua teoria ha
preso i cinque periodi in cui Bühler ha articolato la esistenza umana, applicandoli
poi allo s.p.
Bibl.: SUPER D., “Career and life development”, in D. BROWN - L. BROOKS (Edd.), Career choice and
development, San Francisco, Jossey-Bass, 1985, 192-234; SAVICKAS M.L. - R.W. LENT (Edd.), Con-
vergence in career development theories, Palo Alto, CPP Books, 1994; MULTON K.D., “Career deve-
lopment”, in A.E. KAZDIN (Ed.), Encyclopedia of psychology, vol. 2, Oxford, University Press, 2000,
25-29.
K. Poláèek
SVILUPPO SOSTENIBILE
Educazione; Formazione
TECNICHE DI INSEGNAMENTO
Insegnamento
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TIROCINIO
Si definisce t. (o stage) un’esperienza formativa, orientativa o professionalizzante,
che non configura rapporto di lavoro, realizzata presso luoghi di lavoro sulla
base di una convenzione contenente uno specifico progetto fra il datore di lavoro e
i soggetti del sistema formativo, che assolvono a compiti di promozione ed as-
sumono la responsabilità della qualità e della regolarità dell’iniziativa.
Il t. è un’esperienza orientativa e formativa. Esso si distingue in stage di orien-
tamento e stage di formaz. Lo stage rappresenta un ponte che collega i pro-
cessi scolastici e formativi e il mondo delle imprese. Il t. in Italia è regolato
dalla L. 196/97 (e dal decreto di attuazione 142, del 25.3.98,). Le esperienze di t.
possono essere effettuate da soggetti in attesa di occupazione con almeno l’ob-
bligo scolastico assolto e soggetti in formaz. scolastica, universitaria e professio-
nale. La normativa in vigore prevede che il t. sia regolato da una convenzione tra
istituzione formativa e impresa (o associazione industriale). Il tutor aziendale rap-
presenta l’interlocutore diretto del tirocinante, responsabile di assistere l’allievo,
individuandone le potenzialità e facilitandone il percorso formativo. Le attività
svolte nel corso dei t. di formaz. e orientamento, possono avere valore di cre-
dito formativo. Per quanto riguarda il costo, lo stage, non costituendo un rapporto
di lavoro, deve essere considerato a titolo gratuito anche se le imprese possono
riconoscere discrezionalmente ai tirocinanti una somma forfetaria a titolo di rim-
borso spese. Attualmente lo stage è molto diffuso nella FPI, abbastanza diffuso
nella scuola tra gli indirizzi economici e tecnici, mentre è guardato ancora con
una certa diffidenza negli indirizzi di carattere umanistico.
Bibl.: DI NUBILA R., La formazione oltre l’aula: lo stage, Padova, CEDAM, 2000; ASSOLOMBARDA,
Dall’idea al progetto di stage: manuale per l’impresa, Roma, Sipi, 2002; GENTILI C., Scuola e extra-
scuola, Brescia, La Scuola, 2002.
C. Gentili
TRANSIZIONE SCUOLA / LAVORO
Alternanza formazione lavoro; Accompagnamento al lavoro
TUTOR
Si tratta di una figura indispensabile in ogni azione di istruzione e di FP che ha
il compito di guidare l’ équipe dei formatori coinvolti e presiedere alle fasi di
progettazione e programmazione (piano formativo personalizzato), coordinare le
attività, facilitare i processi di apprendimento e sostenere il miglioramento con-
tinuo dell’attività formativa e didattica. Si tratta di una figura composita, sia dal
punto di vista concettuale sia pratico, ragione per cui esiste una molteplicità di
tipologie di t. il cui contenuto professionale si pone entro due limiti estremi: dal
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sostegno organizzativo e documentativo dell’attività didattica fino al presidio della
progettazione, del coordinamento e delle relazioni interno-esterno proprie della
situazione formativa.
1. La letteratura pedagogica e di psicologia dell’apprendimento tende a far emer-
gere sempre di più tale figura come soggetto garante e responsabile dell’apprendi-
mento dell’allievo, promotore del suo sviluppo e della sua autonomia. Egli riveste
diverse funzioni: facilitazione e sostegno dell’apprendimento individuale e di
gruppo, accompagnamento del/nel processo formativo, gestione e supporto dei di-
scenti e dei formatori nelle fasi di progettazione e programmazione didattica (
progettazione formativa) ed esperto delle dinamiche relazionali e dei processi
comunicativi. In questo senso, il t. svolge anche funzioni di counselor: egli “può
aiutare il cliente ad esaminare dettagliatamente le situazioni o i comportamenti che
si sono rivelati problematici e trovare un punto piccolo ma cruciale da cui sia possi-
bile originare qualche cambiamento. Qualunque approccio usi il counselor (...) lo
scopo fondamentale è l’autonomia del cliente: che possa fare le sue scelte, prendere
le sue decisioni e porle in essere” (Hough, 2002, 8-9).
2. Tale figura garantisce un punto di riferimento e di raccordo per l’allievo, l’é-
quipe dei formatori e la famiglia; la sua funzione di accompagnamento ha inizio
dal momento dell’ accoglienza dell’allievo e prosegue attraverso l’elaborazione
e la condivisione di un progetto formativo personalizzato ( progetto personale e
professionale) fino al sostegno nei processi di transizione post-formativa. La fun-
zione del t. è quella di presidiare il lavoro di squadra, facendo sì che i piani forma-
tivi siano effettivamente personalizzati, ovvero rispondenti alle caratteristiche ed
esigenze di ciascuno. Egli cura in particolare l’elaborazione del “portfolio delle
competenze” ( valutazione), in modo da delineare percorsi coerenti, efficaci,
ricchi di stimoli e di risultati.
3. Si possono distinguere quattro situazioni-tipo in cui opera il t.: a) il gruppo di
apprendimento collocato in un contesto formale ed informale; b) l’ alternanza
formativa e il raccordo tra formaz. e lavoro; c) negli sportelli o servizi di
orientamento ed accompagnamento individualizzato; d) il contesto comunitario
(es.: comunità alloggio).
Bibl.: MOTTANA P., Un’esperienza di tutorship. Materiali per pensare un ruolo paradossale, in
“Rivista AIF”, 10 (1990); SALOMONE I., Il setting pedagogico, Firenze, La Nuova Italia, 1996; BRU-
SCAGLIONI M., La gestione dei processi nella formazione degli adulti, Milano, Franco Angeli, 1997;
BARROWS H.S., Il processo tutoriale, Milano, Fondazione Smith Kline, 1998; HOUGH M., Abilità di
counseling. Manuale per la prima formazione, Trento, Erickson, 2002; PICCARDO C. - A. BENOZZO,
Tutor all’opera, Milano, Guerini Editore, 2002.
D. Nicoli
TUTORATO (O TUTORAGGIO, O TUTORING)
Tutor; Operatori della FP; Servizi per l’impiego
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UNITÀ DI APPRENDIMENTO
Insegnamento; Contratto formativo; Progettazione formativa
UNITÀ DIDATTICA
Insegnamento; Moduli
UNITÀ FORMATIVA
Insegnamento
UNITÀ FORMATIVA CAPITALIZZABILE (UFC)
Competenza
UTENTI
Destinatari; Contratto formativo; Orientamento; Politiche formative;
Lingua straniera; Servizi per l’impiego
VALORI PROFESSIONALI
Se assumiamo il termine professionalità come insieme di conoscenze e di
competenze operative in un determinato settore dell’attività umana, la definizione
si presta anche a verificare i processi scolastici che risultano in grado di conse-
guirla. In questo intervento, consideriamo la professionalità nell’ambito specifico
scolastico e, data la discussione in atto per la riforma della scuola, la valenza pro-
pria della FP ipotizzata dalla “Riforma Moratti” (L. 53/03). Un accenno conclu-
sivo all’aspetto specifico cristiano e salesiano vuole sottolineare la continuità e
l’integrazione che ne risultano.
1. L’ambito scolastico. Considerando l’ambito della scuola è importante rilevare la
progressiva evoluzione semantica del termine. Schematicamente si potrebbe ricono-
scere un graduale approfondimento che dalla considerazione delle competenze circa
un posto preciso di lavoro, si porta sulla rete di relazionalità operativa con un con-
testo complesso in cui entrano in gioco fattori legati al comportamento umano, alle
attitudini, alle motivazioni, alla rete delle relazionalità. La FP viene di conse-
guenza verificata sulla sua valenza umanizzante: come ogni processo educativo (
processo formativo) tende ad una gamma di v. che si compongono in una visione
equilibrata e integrale della persona. Per distinguerli nei loro aspetti più rilevanti si
potrebbe far riferimento ai “pilastri dell’educazione” del rapporto dell’UNESCO.
Comprendono: a) il fare come processo dall’ abilità alla competenza; b) il vivere
insieme come disponibilità a relazionarsi con gli altri e ad operare secondo obiettivi
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condivisi; c) l’essere quale capacità di ciascuno “di risolvere i suoi problemi, di
prendere le sue decisioni e di assumersi le sue responsabilità” (Delors, 1997, 87).
2. Nel dibattito attuale sulla Riforma. Nell’ambito del dibattito più attuale con-
cernente il “secondo ciclo”, è esplicita la preoccupazione di garantire all’istru-
zione e alla FP pari dignità rispetto ai Licei. Molto lucida a proposito la presa di
posizione del “Rapporto del gruppo ristretto di lavoro” (2002) coordinato da
Bertagna: “Per un verso, istruzione e formazione sono due processi diversi (...).
Per l’altro verso (...) ambedue i processi sono chiamati ad essere educativi, nel
senso che l’uno e l’altro sono invitati a promuovere nel modo più integrato, ar-
monico, simultaneo e progressivo possibile tutte le dimensioni della personalità
di ciascuno”. È chiara la posizione teorica – e teoretica – che sta alla base dell’o-
rientamento per il “secondo ciclo” proposta dalla Riforma che prevede senz’altro
una educ. paritaria del sistema educativo di istruz. e formaz.: La L. Moratti
scandisce perentoria “è promosso l’apprendimento in tutto l’arco della vita e
sono assicurate a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali”
(art. 2). Restano naturalmente da verificare le condizioni di fattibilità; non solo a
livello organizzativo e strutturale; ma anche e forse soprattutto a livello teore-
tico. La prospettiva è comunque carica di suggestione; ha bisogno di elabora-
zione pedagogica per riuscire efficace. In questo senso la verifica concreta è data
dal progetto educativo che di fatto una certa tradizione e una determinata scuola
vanno elaborando.
3. L’orizzonte educativo della tradizione cristiana e salesiana. La tradizione cri-
stiana ha fatto della scuola una via privilegiata all’educ., ma anche alla matura-
zione integrale, umana e cristiana, della persona, perseguita per lo più da spiritua-
lità e pedagogie diverse che la storia conosce. Qui facciamo riferimento in parti-
colare a quella salesiana. La tradizione salesiana è marcatamente segnata dalla
sua attenzione alle classi popolari, ai giovani disagiati, che dispongono di minori
opportunità. La scelta dell’ istruz. e della FP, sotto molti aspetti privilegiata,
dice la concreta volontà di elaborare una proposta operativa efficace e mirata.
Vale la pena esplicitare i v. che si impegna a perseguire. Rispetto all’attenzione
attuale della scuola al soggetto il contesto salesiano si trova in evidente sintonia;
con alcune accentuazioni che caratterizzano una specifica metodologia pedago-
gica: ribadisce la prospettiva dell’UNESCO, sopra richiamata, la integra in alcuni
aspetti peculiari: a) tende a fare della preparazione professionale la base di una
comprensione matura delle logiche e dei processi di produzione; b) si impegna
per una competenza qualificante circa la professione specifica che persegue; c) si
qualifica per l’attenzione a prevenire e di conseguenza ad attrezzare il soggetto di
qualità e competenze che gli consentano un autentico protagonismo anche di
fronte alle provocazioni dell’operatività, del guadagno e del consumo; d) assume
l’esigenza di integralità nei processi di maturazione della persona: non solo ne af-
ferma il primato sulla realizzazione concreta; non la esaurisce nella produttività,
nel significato economico, nel confronto commerciale. La orienta all’incontro e al
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servizio, la tiene aperta all’esigenza di trascendenza; ne legittima di conseguenza
l’atteggiamento religioso (cfr. Progetto Educativo Pastorale Salesiano - PEPS).
Bibl.: DELORS J., Nell’educazione un tesoro, Roma, Armando, 1997; ZANNI N., “Professionalità”, in
J.M. PRELLEZO - C. NANNI - G. MALIZIA (Edd.), Dizionario di scienze dell’educazione, Leumann
(TO)/Roma/Torino, ElleDiCi/LAS/SEI, 1997, 859-861; DE MASI M., Il futuro del lavoro. Fatica e
ozio nella società postindustriale, Milano, Rizzoli, 1999; AMBROSINI M. (Ed.), Un futuro da formare.
Verso un nuovo sistema di formazione professionale: tendenze, valutazioni e proposte, Brescia, La
Scuola, 2000; BERTAGNA G., Strategie riformatrici e qualità del sistema di istruzione e formazione, in
“Orientamenti Pedagogici”, 47 (2000) 4, 642-665; BERTAGNA G., Rapporti fra istruzione, formazione
e sviluppo socioeconomico. Quale modello?, in “Orientamenti Pedagogici”, 49 (2002) 5, 763-784;
Rapporto del Gruppo Ristretto di Lavoro costituito con D.M. n. 672 del 18 luglio 2001 (2002),
«Annali dell’Istruzione», vol. XLVII, n. 1/2, 3-176; MIUR, Legge 28 marzo 2003 n. 53. Delega al
Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle presta-
zioni in materia di istruzione e formazione professionale, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello
Stato, 2003.
Z. Trenti
VALUTAZIONE
In termini sintetici, valutare significa attribuire un valore ad un’azione. Nel caso
della formaz., la v. è quell’attività che mira a rilevare il patrimonio di capa-
cità, conoscenze, abilità e competenze di una persona, utilizzando una
metodologia che consenta di giungere a risultati certi e validi. L’espressione ri-
chiama l’attribuzione di un giudizio o di un voto (stimare, apprezzare) all’azione
stessa, che richiede a sua volta un modello di riferimento definito ed inoltre una
metodologia operativa.
1. V. tradizionale. Per un lungo periodo, le prassi di v. degli apprendimenti si sono
basate su modelli simili a quelli in uso nei contesti socio-economici che enfatizzano
il carattere “oggettivo” degli stessi e la dotazione di indicatori, per poi preferire,
sulla base degli esiti poco soddisfacenti di tali metodiche, su approcci che conside-
rano la peculiarità dei fenomeni di apprendimento, e quindi orientarsi verso una
v. definita “autentica”. Nella letteratura, appare sempre più spesso la definizione di
v. “tradizionale” rispetto alla v. “autentica”. Per “tradizionale” si intende solita-
mente una modalità di v. del profitto scolastico che risulta dal confronto dei risultati
ottenuti dagli studenti con i risultati attesi, normalmente espressi in obiettivi resi
in modo tale da poter essere rilevati empiricamente ed indicanti “valori di soglia”
per determinarne il livello. È in base alla vicinanza o distanza dei risultati che si
traggono inferenze sul grado di apprendimento. Tale operazione richiede pertanto
una riduzione del fenomeno complesso, denominato apprendimento, in comporta-
menti osservabili (performance) e trattabili come oggetti tramite l’applicazione di
metodi quantitativi. A fronte dell’esigenza di garantire una misura che fosse il più
possibilmente precisa, si è fatto soprattutto ricorso a prove standardizzate applica-
bili su popolazioni omogenee. Tali prove hanno visto un’applicazione che in molti
casi ha tracimato rispetto all’alveo euristico entro cui queste erano state pensate. Di
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conseguenza, invece che risultare strumenti atti a rilevare soltanto il successo op-
pure l’insuccesso dell’apprendimento per suggerire interventi di rinforzo o di aiuto,
le prove standardizzate si sono diffuse generalmente come un sistema di giudizio
selettivo in base al quale stabilire il contenuto, la validità ed il livello degli appren-
dimenti degli studenti e degli alunni. Ma tale esito non si giustifica a partire dal me-
todo adottato. Infatti, questo consente piuttosto di registrare ciò che una persona
“sa” inteso come ripetizione del contenuto della lezione e del testo scritto, mentre
non è in grado di rilevare la capacità di “costruzione” della conoscenza e neppure la
“capacità di applicazione reale” della conoscenza posseduta.
2. V. autentica. Di contro, la v. “autentica” rappresenta una metodologia – collo-
cata entro un approccio formativo coerente – che mira a verificare non solo ciò che
un allievo sa, ma ciò che “sa fare con ciò che sa”, fondato su una prestazione reale
e adeguata dell’apprendimento che risulta così significativo, poiché riflette le
esperienze reali ed è legato ad una motivazione personale. Lo scopo principale
consiste nella promozione di tutti offrendo opportunità al fine di compiere presta-
zioni di qualità. Tale v., coinvolgendo gli allievi, le famiglie ed i partner forma-
tivi, mira pertanto alla dimostrazione delle conoscenze tramite prestazioni con-
crete, stimolando l’allievo ad operare in contesti reali con prodotti capaci di soddi-
sfare precisi obiettivi. Particolarmente rilevante è il “capolavoro” che l’allievo
esegue al termine del percorso formativo e che documenta nelle forme e nel lin-
guaggio proprio della comunità professionale la sua preparazione, giustificando
il rilascio della relativa qualifica professionale.
3. Portfolio delle competenze. In tal senso, muta la prospettiva dell’intera attività
formativa: se la prima forma di v. è intesa come verifica circa l’apprendimento da
parte dello studente di una conoscenza trasmessa dall’insegnante, la v. autentica si
muove in chiave formativa, ovvero in modo da consentire un incremento del pro-
cesso di apprendimento e di consapevolezza da parte dell’allievo. In questo modo,
la v. è essa stessa formaz. e non un’interruzione del cammino. Da qui, la pratica
del “portfolio delle competenze personali”. Esso rappresenta una raccolta signifi-
cativa dei lavori dell’allievo che racconta la storia del suo impegno, del suo pro-
gresso o del suo rendimento. Tramite esso è possibile capire la storia della crescita
e dello sviluppo di una persona corredandola con materiali che permettono di com-
prendere “che cosa è avvenuto” dal momento della presa in carico della persona
(che richiede un’attenta osservazione delle sue capacità e acquisizioni previe) fino
al momento della partenza, passando per le varie fasi di cui si compone il percorso
formativo. In questo senso, il cuore della v. sta il più possibile nei prodotti di cui
l’allievo va orgoglioso, e che segnalano (a se stesso, ai formatori, ma anche agli
altri attori, compresa la famiglia) le sue acquisizioni ed in particolare il grado di
possesso delle competenze.
4. V. dei sistemi formativi. Accanto alla v. degli apprendimenti, abbiamo anche la v.
di efficacia ed efficienza dei sistemi formativi. Questa è intesa come verifica
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203
della capacità – del sistema nel suo insieme e degli organismi che vi fanno parte –
di realizzare gli obiettivi per cui sono stati mobilitati (efficienza), e del rapporto tra
i risultati conseguiti e le risorse umane e finanziarie utilizzate per il loro rag-
giungimento. La v. di efficacia dei piani formativi mira a verificare la congruità
degli apprendimenti e la loro persistenza oltre che dinamica moltiplicativa. Il pro-
blema di tale v. risiede nella possibilità di identificare con esattezza il contributo
dell’apprendimento in processi economici, sociali e culturali cui concorrono mol-
teplici fattori. La v. di efficienza utilizza solitamente l’analisi costi/benefici avendo
come oggetto un set di fenomeni obiettivi che vengono convenzionalmente intesi
come risultati diretti ed indiretti delle pratiche formative.
Bibl.: OCSE, Valutare l’insegnamento, Roma, Armando, 1998; IANES D. - S. ANDRICH, Programma-
zione e valutazione scolastica, Trento, Erickson, 2000; PELLEREY M., Il portafoglio formativo progres-
sivo come nuovo strumento di valutazione delle competenze, in “Professionalità”, 57 (2000), 5-20; VA-
RISCO B.M., Metodi e pratiche della valutazione: tradizione, attualità, nuove speranze, Milano, Gue-
rini & Associati, 2000; MONTEDORO C. (Ed.), Elementi di progettazione integrata per la formazione di
qualità, Milano, Franco Angeli, 2000; COMOGLIO M., La valutazione autentica e il portfolio, Roma,
manoscritto, 2001; AA.VV., Dossier sulla valutazione, in “Libertà di Educazione”, 2 (2002), 7-48.
D. Nicoli
VERIFICA
Valutazione; Accoglienza; Accompagnamento al lavoro; Accredita-
mento; Didattica induttiva; Progettazione formativa; Riforma educativa;
Ricerca; Moduli; Monitoraggio; Obiettivi; Problem solving;
Scienze umane ed etica
VISION
Proposta formativa
VOCAZIONE PROFESSIONALE
Orientamento
VOTI
Valutazione
VOUCHER
FP continua
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205
PISTE DI LETTURA
Le piste di lettura che seguono propongono opportunità di approfondimento
sia per la sede formativa che per la sede orientativa.
Della sede formativa, si evidenziano gli aspetti non solo corsuali, ma anche di
servizi – in primo luogo, l’orientamento –, di cui ogni CFP ormai si è dotato.
Della sede orientativa, data la novità della norma che la disciplina, si abbozza
un primo modello descrittivo.
Dunque, per un utilizzo del volume come strumento di autoformazione, pre-
sentiamo quattro piste di lettura che aggregano le voci definite in base a:
1) Sistemi
• Organizzazione della FP
• Contesto socio-economico e culturale della FP
• Soggetti della FP
2) Dimensioni
• Dimensione educativa del sistema di FP
• Dimensione culturale del sistema di FP
• Dimensione professionale del sistema di FP
3) Processi/funzioni
• Direzione e coordinamento
• Progettazione
• Docenza
• Valutazione
4) Servizi
• Orientamento
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1) PISTE DI LETTURA: SISTEMI
Organizzazione della FP
206
Accreditamento
Alternanza formazione lavoro
Apprendistato
Associazioni
CFP
Cultura professionale
Diritti formativi
Enti di FP
Finanziamenti per la FP
FP
FP continua
FP superiore
FP: sviluppo storico
FPI
Istruzione e FP
Monitoraggio
Obbligo scolastico e formativo
Operatori della FP
Politiche formative
Proposta formativa
Qualifica professionale
Qualità
Rete
Riforma educativa
Sede orientativa
Sistema formativo
Contesto socio-economico e culturale della FP
Cittadinanza
Comunità / famiglie professionali
Contratti
Don Bosco e la FP
Economia e formazione
Educazione
Educazione interculturale
Educazione permanente
Esclusione sociale
Formazione
FP continua
FP: sviluppo storico
Impresa
Ispirazione cristiana della FP
Istruzione e FP
Lavoro
Mercato del lavoro
Mobilità professionale
Nuove tecnologie
Pari opportunità
Parti (forze) sociali
Partnership
Pedagogia del lavoro
Politiche formative
Professionalità
Profilo professionale
Psicologia del lavoro
Qualità
Rete
Riforma educativa
Ruolo professionale
Servizi per l’impiego
Sindacati
Sistema formativo
Sistema preventivo
Sistema produttivo
Spiritualità del lavoro
Società
Sociologia del lavoro
Solidarietà
Spiritualità del lavoro
Spiritualità dell’operatore
Sussidiarietà
Valori professionali
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207
Soggetti della FP
Associazioni
Comunità educativo formativa
Destinatari
Enti di FP
Équipe educativa
Famiglia
Impresa
Minori
Operatori della FP
Parti (forze) sociali
Partnership
Risorse umane
Servizi per l’impiego
Sindacati
Sistema formativo
Sistema produttivo
Società
Tutor
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208
Ambiente
Bisogni formativi
Cittadinanza
Comunicazione
Comunità educativo formativa
Contratto formativo
D. Bosco e la FP
Educazione
Educazione interculturale
Educazione permanente
Formazione
FP
FPI
FP: sviluppo storico
Identità
Ispirazione cristiana della FP
Prevenzione
Processo formativo
Progettazione formativa
Progetto personale e professionale
Proposta formativa
Religione
Scienze umane ed etica
Sistema formativo
Sistema preventivo
Spiritualità del lavoro
Spiritualità dell’operatore
Dimensione culturale della FP
Cultura professionale
Diritti formativi
Don Bosco e la FP
Educazione
Formazione
Insegnamento
Istruzione e FP
Pedagogia del lavoro
Politiche formative
Psicologia del lavoro
Ricerca
Riforma educativa
Sociologia del lavoro
Solidarietà
Dimensione professionale della FP
Abilità
Accompagnamento al lavoro
Alternanza formazione lavoro
Apprendimento
Apprendistato
Aree professionali
Capacità
Certificazione delgi apprendimenti
Competenza
Comunità / famiglie professionali
Conoscenze
Contratto formativo
Credito formativo
Cultura professionale
Curriculum vitae
European Computer Driving Licence
FP
Impresa
Insegnamento
Laboratorio
Lavoro
Lingua straniera
2) PISTE DI LETTURA: DIMENSIONI
Dimensione educativa della FP
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209
Mansione
Maturità professionale
Mercato del lavoro
Orientamento
Professionalità
Profilo professionale
Progetto personale e professionale
Qualifica professionale
Ruolo professionale
Servizi per l’impiego
Sicurezza sul lavoro
Sindacati
Successo scolastico e professionale
Tirocinio
Valori professionali
Valutazione
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210
Accreditamento
Autonomia
CFP
Comunicazione
Comunità educativo formativa
Cultura professionale
Diritti formativi
D. Bosco e la FP
Economia e formazione
Educazione
Enti di FP
Finanziamenti per la FP
Formazione
FP
FP continua
FPI
FP superiore
FP: sviluppo storico
Impresa
Ispirazione cristiana della FP
Istruzione e FP
Lavoro
Mercato del lavoro
Obbligo scolastico e formativo
Parti (forze) sociali
Partnership
Politiche formative
Proposta formativa
Qualità
Rete
Ricerca
Riforma educativa
Risorse umane
Scienze umane ed etica
Servizi per l’impiego
Sindacati
Sistema formativo
Società
Sperimentazione
Progettazione
Abbandono
Accreditamento
Alternanza formazione lavoro
Aree professionali
Autonomia
Bisogni formativi
Bullismo
Comunità / famiglie professionali
Cultura professionale
Disagio
Economia e formazione
Educazione interculturale
Enti di FP
Équipe educativa
Esclusione sociale
Famiglia
Finanziamenti per la FP
FP
FP continua
FP superiore
FPI
Handicap e FP
Impresa
Lavoro
Mercato del lavoro
Moduli
Monitoraggio
Obiettivi
Operatori della FP
Partnership
3) PISTE DI LETTURA: PROCESSI/FUNZIONI
Dimensione e coordinamento
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Politiche formative
Prevenzione
Processo formativo
Profilo professionale
Progettazione formativa
Proposta formativa
Qualità
Rete
Ricerca
Riforma educativa
Servizi per l’impiego
Sicurezza sul lavoro
Sistema formativo
Sistema preventivo
Sistema produttivo
Sperimentazione
Tirocinio
Valutazione
Docenza
Abilità
Apprendimento
Bullismo
Capacità
Colloquio
Competenza
Comunicazione
Comunità educativo formativa
Conoscenze
Destinatari
Didattica induttiva
Educazione
Efficacia
Équipe educativa
Famiglia
Formazione
FP
Handicap e FP
Insegnamento
Laboratorio
Lingua straniera
Metodologia
Minori
Moduli
Motivazione
Nuove tecnologie
Obiettivi
Personalizzazione
Processo formativo
Profilo professionale
Proposta formativa
Qualifica professionale
Sperimentazione
Spiritualità dell’operatore
Tirocinio
Valori professionali
Valutazione
Valutazione
Abbandono
Abilità
Accreditamento
Capacità
Certificazione degli apprendimenti
Competenza
Conoscenze
Contratto formativo
Credito formativo
Curriculum vitae
Efficacia
Équipe educativa
European Computer Driving Licence
(ECDL)
Famiglia
Formazione
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212
FP
FPI
Handicap e FP
Maturità professionale
Metodologia
Monitoraggio
Motivazione
Obiettivi
Personalizzazione
Prevenzione
Professionalità
Progetto personale e professionale
Qualifica professionale
Sperimentazione
Successo scolastico e professionale
Sviluppo professionale
Tirocinio
Tutor
Valori professionali
Valutazione
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213
Abbandono
Accoglienza
Accompagnamento al lavoro
Alternanza formazione lavoro
Apprendistato
Aree professionali
Bisogni formativi
Capacità
CFP
Colloquio
Competenza
Comunicazione
Comunità educativo formativa
Comunità / famiglie professionali
Coping
Curriculum vitae
Destinatari
Disagio
Educazione
Efficacia
Équipe educativa
Famiglia
Formazione
FP
FPI
Handicap e FP
Identità
Impresa
Istruzione e FP
Lavoro
Maturità professionale
Mercato del lavoro
Minori
Mobilità professionale
Motivazione
Obiettivi
Orientamento
Prevenzione
Problem solving
Progetto personale e professionale
Qualifica professionale
Rete
Sede orientativa
Servizi per l’impiego
Successo scolastico e professionale
Sviluppo professionale
Tirocinio
Tutor
Valori professionali
4) PISTE DI LETTURA: SERVIZI
Orientamento
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215
SOMMARIO ............................................................................................................................................................ 3
PRESENTAZIONE .................................................................................................................................................. 5
INTRODUZIONE .................................................................................................................................................... 7
COLLABORATORI ................................................................................................................................................ 11
ABBREVIAZIONI................................................................................................................................................... 13
ABBANDONO (S. Chistolini) .......................................................................................................................... 15
ABILITÀ (D. Nicoli) .......................................................................................................................................... 16
ACCOGLIENZA (S. De Pieri) .......................................................................................................................... 17
ACCOMPAGNAMENTO AL LAVORO (F. Ghergo)....................................................................................... 18
ACCREDITAMENTO (S. Pugliese).................................................................................................................. 20
ADATTAMENTO Ambiente ........................................................................................................................... 21
ADDESTRAMENTO FP; Formazione; Competenza; Ispirazione cristiana della FP 21
AGGIORNAMENTO FP continua; Enti di FP; Lavoro .............................................................. 21
ALTERNANZA Alternanza formazione lavoro; Apprendistato .................................................. 22
ALTERNANZA FORMAZIONE LAVORO (C. Gentili).................................................................................. 22
AMBIENTE (C. Di Agresti) ............................................................................................................................. 23
AMBIENTE EDUCATIVO Ambiente; Comunità educativo-formativa ....................................... 24
ANALISI DEI FABBISOGNI PROFESSIONALI E FORMATIVI Bisogni formativi.................................. 24
APPRENDIMENTO (M. Pellerey) ................................................................................................................... 24
APPRENDIMENTO COOPERATIVO Insegnamento.................................................................................... 26
APPRENDISTATO (S. D’Agostino) ............................................................................................................... 26
AREE PROFESSIONALI (D. Nicoli - C. Catania)..................................................................................... 28
ASSOCIAZIONI (P. Ransenigo) ...................................................................................................................... 28
ASSUNZIONI Curriculum vitae; Mansione; Sicurezza sul lavoro; Apprendistato 30
ATTESTATO FP superiore; Apprendistato......................................................................................... 30
ATTITUDINI PROFESSIONALI Orientamento; Abilità ...................................................................... 30
AUTO FORMAZIONE Processo formativo................................................................................................ 30
AUTONOMIA (G. Malizia) ............................................................................................................................... 30
BILANCIO DI COMPETENZE Orientamento; Destinatari; Accompagnamento al lavoro 31
BISOGNI FORMATIVI (G. Vettorato) ............................................................................................................ 31
BULLISMO (M. Becciu) ................................................................................................................................... 33
BUONE PRASSI / PRATICHE Insegnamento.............................................................................................. 34
CAMBIO SOCIALE Società ............................................................................................................................ 34
CAPACITÀ (D. Nicoli) ....................................................................................................................................... 34
CENTRO DI FORMAZIONE PROFESSIONALE (G. Malizia) ..................................................................... 36
CENTRO DI ORIENTAMENTO Orientamento; Sede orientativa.................................................... 38
CENTRO PER L’IMPIEGO Servizi per l’impiego..................................................................................... 38
INDICE
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216
CENTRO SERVIZI FORMATIVI (CSF) CFP ................................................................................................ 38
CERTIFICAZIONE DEGLI APPRENDIMENTI (D. Nicoli)........................................................................... 38
CERTIFICAZIONE DI QUALITÀ Accreditamento ..................................................................................... 39
CICLO Riforma educativa; FP iniziale; Moduli; Valori professionali; Alter-
nanza formazione lavoro ...................................................................................................................... 39
CITTADINANZA (V. Orlando) ........................................................................................................................ 39
CLIMA EDUCATIVO / FORMATIVO Ispirazione cristiana della FP.................................................... 40
CODICE DEONTOLOGICO Etica professionale....................................................................................... 40
COLLOCAMENTO, UFFICI DI Servizi per l’impiego............................................................................. 40
COLLOQUIO (A.R. Colasanti) ...................................................................................................................... 40
COMPETENZA (D. Nicoli) ............................................................................................................................... 41
COMPETITIVITÀ Risorse umane; Educazione permanente ........................................................ 43
COMPLESSITÀ SOCIALE Società ................................................................................................................. 43
COMUNICAZIONE (C. Cangià) ...................................................................................................................... 43
COMUNITÀ DI APPRENDIMENTO Comunità educativo-formativa ................................................... 45
COMUNITÀ DI PRATICHE Comunità educativo-formativa................................................................. 45
COMUNITÀ EDUCATIVO FORMATIVA (C. Di Agresti) ............................................................................ 45
COMUNITÀ / FAMIGLIA PROFESSIONALE (D. Nicoli) ............................................................................. 46
CONCERTAZIONE Parti sociali; Partnership; Contratti .......................................................... 48
CONOSCENZE (D. Nicoli) ................................................................................................................................ 48
CONSIGLIO DI CENTRO CFP ........................................................................................................................ 49
CONSULENZA Orientamento....................................................................................................................... 49
CONTRATTI (P. Ransenigo) ........................................................................................................................... 50
CONTRATTO FORMATIVO (L. Valente)....................................................................................................... 51
COOPERAZIONE Solidarietà ........................................................................................................................ 52
COORDINATORE Operatori della FP......................................................................................................... 52
COPING (A.R. Colasanti) ............................................................................................................................... 53
COUNSELLING Orientamento ...................................................................................................................... 53
CREDITO FORMATIVO (D. Nicoli) ................................................................................................................ 54
CULTURA PROFESSIONALE (G. Bocca) ....................................................................................................... 54
CURRICOLO Progettazione formativa; Didattica induttiva; Pedagogia del lavoro 55
CURRICULUM VITAE (R. Paggi) ..................................................................................................................... 55
DECISIONE Orientamento; Sviluppo professionale; Motivazione; Prevenzione;
Accoglienza.......................................................................................................................................... 56
DESTINATARI (V. Pieroni)............................................................................................................................... 56
DEVIANZA Destinatari.................................................................................................................................. 57
DIALOGO Spiritualità dell’operatore; Accoglienza ..................................................................... 58
DIDATTICA Insegnamento; Didattica induttiva; Moduli; Laboratorio; Meto-
dologia; Alternanza formazione lavoro; Autonomia; Accoglienza; Tutor 58
DIDATTICA INDUTTIVA (N. Zanni)............................................................................................................... 58
DIPLOMA PROFESSIONALE FPI; FP superiore; Istruzione e FP; Personalizzazione;
Apprendistato....................................................................................................................................... 59
DIRETTORE Operatori della FP; Équipe educativa; Orientamento .................................. 59
DIRITTI FORMATIVI (G. Malizia) ................................................................................................................. 59
DISABILITÀ Handicap e FP ........................................................................................................................ 60
DISAGIO (A. Felice) .......................................................................................................................................... 60
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217
DISCIPLINA Didattica induttiva; Nuove tecnologie ..................................................................... 61
DISOCCUPAZIONE Sociologia del lavoro; Bisogni formativi; Economia e formazione;
Esclusione sociale; Finanziamenti per la FP; Impresa; Servizi per l’impiego;
Bisogni formativi................................................................................................................................ 61
DOMANDA E OFFERTA DI LAVORO Economia e formazione;Mercato del lavoro; Biso-
gni formativi .............................................................................................................................................. 61
DOMANDA FORMATIVA Bisogni formativi; FP: sviluppo storico; CFP; Destinatari 61
DON BOSCO E LA FP (J.M. Prellezo)........................................................................................................ 62
DONNE Pari opportunità; Destinatari ............................................................................................... 64
DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA Insegnamento sociale della Chiesa; Enti di FP;
Ispirazione cristiana della FP; Spiritualità dell’operatore.................................................. 64
DROP-OUT Abbandono; Destinatari .................................................................................................. 64
ECONOMIA E FORMAZIONE (M. Colasanto)............................................................................................ 64
EDUCATORE Équipe educativa; Insegnamento sociale della Chiesa; Metodologia;
Personalizzazione; Spiritualità dell’operatore................................................................... 66
EDUCAZIONE (C. Nanni) ................................................................................................................................ 66
EDUCAZIONE FORMALE Educazione; Alternanza formazione lavoro .................................... 68
EDUCAZIONE INFORMALE Educazione .................................................................................................... 68
EDUCAZIONE INTERCULTURALE (V. Orlando)........................................................................................ 68
EDUCAZIONE NON FORMALE Educazione............................................................................................... 69
EDUCAZIONE PERMANENTE (C. Di Agresti) ............................................................................................ 69
EDUCAZIONE TECNICO - PROFESSIONALE Educazione........................................................................ 71
EFFICACIA (K. Poláèek) ................................................................................................................................. 71
E-LEARNING Formazione a distanza........................................................................................................ 72
EMARGINAZIONE Disagio; Esclusione sociale; Metodologia; Motivazione;
Pari opportunità; Prevenzione; Abbandono; Comunità educativo formativa 72
ENTI DI FP (S. Colombo) .............................................................................................................................. 72
ÉQUIPE EDUCATIVA (A.R. Colasanti) ........................................................................................................ 74
ESCLUSIONE SOCIALE (A. Felice) ................................................................................................................ 74
ETICA PROFESSIONALE (G. Gatti) ............................................................................................................... 75
EUROPEAN COMPUTER DRIVING LICENCE (ECDL) (I. Pizzini) ....................................................... 77
FAMIGLIA (R. Mion) ........................................................................................................................................ 78
FAMIGLIA PROFESSIONALE Comunità / famiglia professionale...................................................... 81
FILIERE FORMATIVE FP................................................................................................................................. 81
FINANZIAMENTI PER LA FP (S. D’agostino) ........................................................................................... 81
FLESSIBILITÀMansione; Contratti; Sistema produttivo; Risorse umane; Socio-
logia del lavoro; Sussidiarietà; CFP;Minori .................................................................. 82
FONDO SOCIALE EUROPEO (FSE) Finanziamenti per la FP; FPI; Operatori della FP 82
FORMATORE Operatori della FP; Metodologia; Nuove tecnologie; CFP................. 82
FORMAZIONE (C. Nanni)................................................................................................................................ 82
FORMAZIONE A DISTANZA (M. Tonini) ...................................................................................................... 84
FORMAZIONE FORMALE Apprendistato ................................................................................................... 86
FORMAZIONE ON LINE Formazione a distanza ..................................................................................... 86
FORMAZIONE PERMANENTE FP continua; Alternanza formazione lavoro; Spiritualità
dell’operatore; Diritti formativi; Ispirazione cristiana della FP; Sistema
formativo; Minori ............................................................................................................................... 86
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FORMAZIONE PER FASCE DEBOLI FP......................................................................................................... 86
FORMAZIONE PROFESSIONALE (M. Tonini) ............................................................................................. 86
FORMAZIONE PROFESSIONALE CONTINUA (G. Allulli) ......................................................................... 90
FORMAZIONE PROFESSIONALE INIZIALE (G. Allulli) ............................................................................ 91
FORMAZIONE PROFESSIONALE SUPERIORE (G. Allulli)........................................................................ 92
FORMAZIONE PROFESSIONALE: SVILUPPO STORICO (J.M. Prellezo) ............................................. 94
GENITORI Famiglia; Processo formativo; Sistema formativo; Accoglienza;
CFP; Comunità educativo formativa; Contratto formativo; Educazione.... 96
GIOVANIDestinatari;Minori; FPI; FP superiore;Apprendistato;Alternanza
formazione Lavoro; Don Bosco e la FP; Sistema preventivo; Spiritualità del-
l’operatore; Ispirazione Cristiana della FP; Sviluppo Professionale; Valori
professionali; Orientamento; Riforma Educativa; Sicurezza sul lavoro;
Svantaggio sociale;Abbandono; Finanziamenti per la FP ............................................ 96
GLOBALIZZAZIONE Nuove tecnologie; Economia e formazione; Educazione;
Identità; Spiritualità dell’operatore; Contratti; Riforma educativa...................... 97
HANDICAP E FP (G. Morante) ..................................................................................................................... 97
IDENTITÀ (G. Del Core) .................................................................................................................................. 98
IMMIGRAZIONE Educazione interculturale............................................................................................ 99
IMPRESA (F. Ghergo) ....................................................................................................................................... 99
INDICATORI DI QUALITÀ Competenza...................................................................................................... 101
INDIVIDUALIZZAZIONE Personalizzazione; Esclusione sociale ................................................ 101
INFORMAZIONE Nuove tecnologie; European Computer Driving Licence; Cono-
scenze; Comunità educativo formativa ..................................................................................... 101
INSEGNAMENTO (M. Pellerey) ...................................................................................................................... 101
INSEGNAMENTO A DISTANZA Formazione a distanza ......................................................................... 102
INSEGNAMENTO SOCIALE DELLA CHIESA (M. Toso) ............................................................................ 102
INSEGNANTE Moduli; Didattica induttiva; Insegnamento;Abbandono;Auto-
nomia; Riforma educativa; Valutazione .............................................................................. 104
INSERIMENTO PROFESSIONALE / LAVORATIVOAccompagnamento al lavoro; Servizi per
l’impiego; Risorse umane; Handicap e FP; CFP; FPI; FP superiore;
Personalizzazione.................................................................................................................................... 105
INTEGRAZIONE CON LA SCUOLA FP........................................................................................................... 105
INTEGRAZIONE SOCIALE Società................................................................................................................ 105
INTERAZIONE TRA SISTEMI FP .................................................................................................................... 105
INTERCULTURA Educazione interculturale; Società;Metodologia; Diritti formativi 105
INTERESSI PROFESSIONALI Orientamento............................................................................................... 105
ISO 9000 Qualità; Accreditamento; Mansione...................................................................... 105
ISPIRAZIONE CRISTIANA DELLA FP (B. Stenco) ..................................................................................... 105
ISTITUZIONI Enti di FP; Istruzione e FP; Accreditamento; Autonomia; Citta-
dinanza; Destinatari; Società; Sistema formativo; Riforma educativa;
Progettazione formativa; Parti sociali; Obbligo scolastico e formativo;
Ispirazione cristiana della FP; Educazione; FP: sviluppo storico; Capacità ... 108
ISTRUZIONE E FP (D. Nicoli) ........................................................................................................................ 109
ISTRUZIONE FORMAZIONE TECNICA SUPERIORE (IFTS) FP superiore.......................................... 110
KNOW HOW Sistema produttivo; Comunità / famiglia professionale.................................... 110
LABORATORIO (N. Zanni) .............................................................................................................................. 110
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LAVORO (G. Bocca)........................................................................................................................................... 111
LIBRETTO FORMATIVO FP ............................................................................................................................ 112
LINGUA STRANIERA (C. Cangià) ................................................................................................................. 112
MANSIONE (L. Reghellin) .............................................................................................................................. 113
MATURITÀ PROFESSIONALE (K. Poláèek) ................................................................................................ 115
MENTORING, PROGRAMMA Insegnamento.............................................................................................. 116
MERCATO DEL LAVORO (M. Colasanto)................................................................................................... 116
METODOLOGIA (H.-C.A. Chang) ............................................................................................................... 117
MIGRAZIONE Educazione interculturale................................................................................................ 119
MINORI (V. Pieroni) ......................................................................................................................................... 119
MISSION Proposta formativa; CFP; Impresa ............................................................................ 120
MOBBING (M. Becciu)..................................................................................................................................... 120
MOBILITÀ PROFESSIONALE (L. Valente) .................................................................................................. 122
MODULI (H.-C.A. Chang) ............................................................................................................................. 123
MONITORAGGIO (G. Malizia) ....................................................................................................................... 124
MOTIVAZIONE (S. De Pieri)........................................................................................................................... 125
MULTICULTURA Educazione interculturale; Società;Metodologia; Riforma edu-
cativa; D. Bosco e la FP.................................................................................................................. 125
MULTIMEDIALITÀ Nuove tecnologie; Metodologia ..................................................................... 125
NUOVE TECNOLOGIE (N. Zanni).................................................................................................................. 126
OBBLIGO SCOLASTICO E FORMATIVO (G. Malizia) ............................................................................... 127
OBIETTIVI (M. Pellerey)................................................................................................................................. 127
OFFERTA FORMATIVA Progettazione formativa; CFP; Servizi per l’impiego;
Apprendistato; Handicap e FP; Diritti formativi; Economia e formazione;
FPI; FP superiore; Moduli ........................................................................................................ 129
OPERATORI DELLA FP (C. Montedoro) ................................................................................................... 129
ORIENTAMENTO (K. Poláèek)....................................................................................................................... 131
ORIENTATORE Operatori della FP; Orientamento......................................................................... 134
PARI OPPORTUNITÀ (S. Chistolini) ............................................................................................................. 134
PARTI (FORZE) SOCIALI (P. Ransenigo).................................................................................................... 135
PARTNERSHIP (E. Marsilii)............................................................................................................................. 137
PATTO ORIENTATIVO - FORMATIVO Orientamento; Accoglienza .............................................. 138
PEDAGOGIA DEL LAVORO (G. Bocca).......................................................................................................... 138
PERCORSO FORMATIVO Progettazione formativa; Tirocinio; Valutazione; Acco-
glienza;Accompagnamento al lavoro;Contratto formativo;Credito formativo;
Curriculum vitae; Disagio; Esclusione sociale; FPI; Obiettivi formativi;
Apprendimento .................................................................................................................................... 139
PERSONALIZZAZIONE (D. Nicoli)................................................................................................................. 139
POLITICHE DEL LAVORO Economia e formazione............................................................................... 141
POLITICHE FORMATIVE (G. Malizia).......................................................................................................... 141
PORTFOLIO Valutazione; Tutor; Lingua straniera................................................................... 142
PREDIZIONE DELL’ESITO SCOLASTICO E PROFESSIONALE Orientamento........................................ 142
PREVENZIONE (G. Vettorato)........................................................................................................................ 143
PROBLEM SOLVING (A.R. Colasanti) .......................................................................................................... 143
PROCESSO FORMATIVO (H.-C.A. Chang) ................................................................................................ 144
PROFESSIONALITÀ (M. Colasanto)............................................................................................................. 146
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PROFESSIONALIZZAZIONE Comunità formativa / professionale; Economia e formazione;
FPI................................................................................................................................................................. 147
PROFILO PROFESSIONALE (D. Nicoli - C. Catania) ............................................................................. 147
PROGETTAZIONE FORMATIVA (M. Pellerey)............................................................................................ 148
PROGETTO PERSONALE E PROFESSIONALE (G. Del Core) .................................................................. 150
PROPOSTA FORMATIVA (M. Tonini) ............................................................................................................ 152
PSICOLOGIA DEL LAVORO (D. Antonietti)................................................................................................ 154
QUALIFICA PROFESSIONALE (D. Nicoli) .................................................................................................... 155
QUALITÀ (S. Pugliese)..................................................................................................................................... 157
RECUPERO DIDATTICO Personalizzazione.............................................................................................. 158
REGIONE Enti di FP; Progettazione formativa; Mobilità professionale; Impresa;
FP: sviluppo storico; FPI; FP continua; FP superiore; Finanziamenti per
la FP; Riforma educativa; Servizi per l’impiego;Apprendistato;Autonomia 158
RELIGIONE (Z. Trenti) .................................................................................................................................... 159
RENDIMENTO SCOLASTICO E PROFESSIONALE Successo scolastico e professionale;
Valutazione; Efficacia; Orientamento................................................................................... 159
RESILIENZA Prevenzione; Minori....................................................................................................... 159
RETE (S. Pugliese) ............................................................................................................................................ 159
RIABILITAZIONE PROFESSIONALE Comunità educativo formativa................................................. 160
RICERCA (V. Orlando) .................................................................................................................................... 160
RIFORMA EDUCATIVA (G. Malizia).............................................................................................................. 161
RISORSE UMANE (C. Montedoro) ............................................................................................................... 163
RUOLO PROFESSIONALE (D. Nicoli)............................................................................................................ 165
SALUTE Sicurezza sul lavoro; Prevenzione; Società; Efficacia; Etica profes-
sionale; Formazione.......................................................................................................................... 166
SAPERI Aree professionali; Certificazione degli apprendimenti; Conoscenze;
Contratto formativo; Didattica induttiva; Istruzione e FP; Qualifica profes-
sionale; Comunità educativo formativa .................................................................................... 166
SCIENZE UMANE ED ETICA (G. Gatti)......................................................................................................... 166
SCUOLA Sistema formativo; Riforma educativa; Successo scolastico e professio-
nale; Valori professionali; Abbandono; Alternanza formazione lavoro;
Politiche formative;Autonomia; Comunità educativo formativa; Conoscenze;
Didattica induttiva; Don Bosco e la FP; Educazione; Educazione per-
manente; FPI; FP superiore; FP: sviluppo storico; Handicap e FP; Ispi-
razione cristiana della FP; Laboratorio; Lingua straniera; Metodologia;
Moduli; monitoraggio; Obbligo scolastico e formativo ............................................... 168
SECONDA OPPORTUNITÀ Alternanza formazione lavoro .................................................................. 168
SEDE ORIENTATIVA (M. Tonini) ................................................................................................................... 168
SERVIZI (O CENTRI) PER L’IMPIEGO (D. Pavoncello) ......................................................................... 170
SICUREZZA SUL LAVORO (R. D’agostino)................................................................................................. 171
SINDACATI (P. Ransenigo) ............................................................................................................................. 172
SISTEMA FORMATIVO (G. Malizia) .............................................................................................................. 173
SISTEMA PREVENTIVO (C. Nanni) ............................................................................................................... 175
SISTEMA PRODUTTIVO (M. Colasanto) ..................................................................................................... 177
SISTEMA QUALITÀ Qualità; Accreditamento................................................................................... 179
SOCIETÀ (R. Mion)........................................................................................................................................... 179
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SOCIOLOGIA DEL LAVORO (M. Colasanto) .............................................................................................. 182
SOLIDARIETÀ (M. Tonini) .............................................................................................................................. 184
SPERIMENTAZIONE (S. Chistolini) .............................................................................................................. 186
SPIRITUALITÀ DEL LAVORO (C. Nanni) ..................................................................................................... 188
SPIRITUALITÀ DELL’OPERATORE (G. Fedrigotti)................................................................................... 189
SPORTELLO INFORMATIVO Destinatari; FP ....................................................................................... 192
STAFF DI DIREZIONE CFP............................................................................................................................. 192
STAGE Tirocinio; Accompagnamento al lavoro; FPI; FP superiore........................... 192
STANDARD FORMATIVI FP............................................................................................................................ 192
SUCCESSO SCOLASTICO E PROFESSIONALE (S. Chistolini)................................................................. 192
SUSSIDIARIETÀ (M. Toso) ............................................................................................................................... 193
SVANTAGGIO SOCIALE Pari Opportunità................................................................................................. 195
SVILUPPO PROFESSIONALE (K. Poláèek) .................................................................................................. 195
SVILUPPO SOSTENIBILE Educazione; Formazione......................................................................... 196
TECNICHE DI INSEGNAMENTO Insegnamento ........................................................................................ 197
TIROCINIO (C. Gentili) ................................................................................................................................... 197
TRANSIZIONE SCUOLA / LAVOROAlternanza formazione lavoro;Accompagnamento al
lavoro ........................................................................................................................................................... 197
TUTOR (D. Nicoli) .............................................................................................................................................. 197
TUTORATO (O TUTORAGGIO, O TUTORING) Tutor; Operatori della FP; Servizi per
l’impiego..................................................................................................................................................... 199
UNITÀ DI APPRENDIMENTO Insegnamento; Contratto Formativo; Progettazione
formativa..................................................................................................................................................... 199
UNITÀ DIDATTICA Insegnamento; Moduli ....................................................................................... 199
UNITÀ FORMATIVA Insegnamento............................................................................................................. 199
UNITÀ FORMATIVA CAPITALIZZABILE (UFC) Competenza................................................................ 199
UTENTI Destinatari; Contratto formativo; Orientamento; Politiche formative;
Lingua straniera; Servizi per l’impiego..................................................................................... 199
VALORI PROFESSIONALI (Z. Trenti)............................................................................................................ 199
VALUTAZIONE (D. Nicoli) ............................................................................................................................... 201
VERIFICA Valutazione; Accoglienza; Accompagnamento al lavoro; Accredita-
menti; Didattica induttiva; Progettazione formativa; Riforma educativa;
Ricerca; Moduli; Monitoraggio; Obiettivi; Problem solving; Scienze
umane ed etica .......................................................................................................................................... 203
VISION Proposta formativa......................................................................................................................... 203
VOCAZIONE PROFESSIONALE Orientamento .......................................................................................... 203
VOTI Valutazione .......................................................................................................................................... 203
VOUCHER FP continua.................................................................................................................................. 203
PISTE DI LETTURA .............................................................................................................................................. 205
1) PISTE DI LETTURA: SISTEMI .......................................................................................................................... 206
Organizzazione della FP ................................................................................................................................. 206
Contesto socio-economico e culturale della FP ..................................................................................... 206
Soggetti della FP................................................................................................................................................ 207
2) PISTE DI LETTURA: DIMENSIONI................................................................................................................... 208
Dimensione educativa della FP.................................................................................................................... 208
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Dimensione culturale della FP...................................................................................................................... 208
Dimensione professionale della FP ............................................................................................................ 208
3) PISTE DI LETTURA: PROCESSI / FUNZIONI.................................................................................................. 210
Direzione e coordinamento............................................................................................................................ 210
Progettazione ....................................................................................................................................................... 210
Docenza ................................................................................................................................................................. 211
Valutazione........................................................................................................................................................... 211
4) PISTE DI LETTURA: SERVIZI........................................................................................................................... 213
Orientamento ....................................................................................................................................................... 213
INDICE ................................................................................................................................... 215
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Pubblicazioni 2002-2004 nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP
“STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE”
1. Nella sezione “studi”
1) CIOFS/FP (a cura di), La formazione professionale per lo sviluppo del territorio. Atti del seminario di formazione europea,
Castel Brando (Treviso), 9-11 settembre 2002
2) MALIZIA G. - D. NICOLI - V. PIERONI (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello
CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale
3) MALIZIA G. - V. PIERONI (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP
e CIOFS/FP. Rapporto sul follow - up
4) MALIZIA G. (coord.) - D. ANTONIETTI - M. TONINI (a cura di), Le parole chiave della formazione professionale
5) RUTA G., Etica della persona e del lavoro
6) CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di
riforme
2. Nella sezione “progetti”
7) BECCIU M. - A.R. COLASANTI, La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi
8) CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle uni-
tà didattiche
9) COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa. Prototipo realizzato dal grup-
po di lavoro CIOFS/FP
10) FONTANA S. - G. TACCONI - M. VISENTIN, Etica e deontologia dell’operatore della FP
11) GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo
12) MARSILI E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente
13) TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione
14) VALENTE L. - D. ANTONIETTI, Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi
15) CIOFS/FP (a cura di), Un modello per la gestione dei servizi di orientamento
16) NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione
professionale
17) NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della
formazione professionale
18) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale
alimentazione
19) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale
aziendale e amministrativa
20) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale
commerciale e delle vendite
21) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale
elettrica e elettronica
22) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale
estetica
23) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale
grafica e multimediale
24) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale
legno e arredamento
25) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale
meccanica
26) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale
sociale e sanitaria
27) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale
tessile e moda
28) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale
turistica e alberghiera
29) ASSOCIAZIONE CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), Le competenze orientative. Un approccio metodologico e proposte di strumenti
30) ASSOCIAZIONE CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), L’accoglienza nei percorsi formativo-orientativi. Un approccio metodologico
e proposte di strumenti
3. Nella sezione “esperienze”
31) CNOS-FAP Piemonte (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza
32) CNOS-FAP Piemonte (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere
33) CNOS-FAP Piemonte (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale
34) CNOS-FAP Piemonte (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage
35) TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordinatore delle attività educative
del CFP
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